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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
5.
Giovedì 10 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI SULL'ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA: PROGREDIRE NELLA RISPOSTA GLOBALE DELL'UE ALLA CRISI (COM(2011)11 DEFINITIVO)

Audizione di rappresentanti di Confindustria:

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3 6 14 19
Armosino Maria Teresa (PdL) ... 9
Baretta Pier Paolo (PD) ... 7
Duilio Lino (PD) ... 9
Franzoso Pietro (PdL) ... 11
Galli Giampaolo, Direttore generale di Confindustria ... 3 19
Lulli Andrea (PD) ... 14
Marchi Maino (PD) ... 6
Occhiuto Roberto (UdC) ... 7
Polledri Massimo (LNP) ... 13
Vannucci Massimo (PD) ... 8
Vico Ludovico (PD) ... 7 19
Vignali Raffaello (PdL) ... 12
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 10 marzo 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO

La seduta comincia alle 8,35.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Confindustria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'analisi annuale della crescita: progredire nella risposta globale dell'Unione europea alla crisi (COM(2011)11 definitivo), l'audizione di rappresentanti di Confindustria.
Sono presenti il direttore generale di Confindustria, dottor Giampaolo Galli, accompagnato dai dottori Daniel Kraus, vicedirettore generale e Roberto Iotti, direttore comunicazione e stampa, e dalla dottoressa Patrizia La Monica, direttore rapporti istituzionali.
Do la parola al dottor Giampaolo Galli.

GIAMPAOLO GALLI, Direttore generale di Confindustria. Innanzitutto, mi scuso a nome del presidente di Confindustria, dottoressa Marcegaglia, che all'ultimo momento, pur essendo molto interessata e intenzionata a partecipare a questa audizione, non è potuta venire per motivi di salute.
A nome di Confindustria vi ringrazio per averci dato la possibilità di condividere con voi alcune considerazioni su un tema che ci sembra di grande importanza: quello del semestre europeo, del Programma nazionale di riforma e della contestuale elaborazione del Piano di stabilità e convergenza. Questi atti rappresentano, infatti, un primo passo verso la riforma della governance economica europea, nella direzione di un maggiore coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri; un passo che noi riteniamo costituisca un'importante occasione offerta a ciascun Paese - in particolare al nostro - per sciogliere alcuni nodi che debbono essere affrontati al fine di migliorare le prospettive di crescita del nostro Paese.
Siamo in una situazione congiunturale che riteniamo abbastanza positiva. Vi sono, infatti, segnali di ripresa, sia pure con notevoli rischi, in particolare per ciò che riguarda le materie prime. È evidente, tuttavia, che questa ripresa si innesca su tendenze di lungo periodo poco brillanti per l'Italia; di conseguenza, le prospettive a medio termine fanno prevedere una crescita bassa.
Non sfugge, a nostro giudizio, che questa bassa crescita è, in parte, dovuta alla lontana eredità di un elevato debito pubblico, che rende difficile attuare misure efficaci a sostegno della crescita stessa.
È un fatto che il nostro Paese presenta - come abbiamo denunciato in molte


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occasioni - gravi deficit di competitività che si manifestano nella più bassa crescita, nell'ampio deficit delle partite correnti e nella bassissima posizione occupata nelle graduatorie internazionali di produttività e competitività, come quelle, ad esempio, della Banca mondiale.
Per effetto congiunto della bassa crescita nel periodo pre-crisi e della profondità della recessione - il nostro è uno dei Paesi che ha avuto la recessione più profonda nel biennio 2008-2009, come confermano le ultime revisioni dei dati retrospettivi fatte dagli istituti nazionali di statistica - l'Italia è risultato l'unico Paese dell'Unione europea in cui il PIL pro capite del 2009 era inferiore al livello di dieci anni prima.
Dal 1992 in avanti il tasso di crescita dell'economia italiana è stato mediamente di oltre 1 punto percentuale inferiore a quello della media degli altri Paesi europei. Si è trattato di uno spreco enorme se si pensa che, se in questo periodo l'Italia fosse cresciuta allo stesso ritmo medio dell'area dell'euro, oggi il PIL italiano sarebbe più alto di 335 miliardi di euro, con conseguenze evidenti sulla sostenibilità del debito pubblico, sul sistema di welfare, sul gettito fiscale e così via.
Nell'ultimo decennio, la crescita lenta ha caratterizzato tutte le macroregioni italiane. Non si è ridotto - ma non si è neppure ampliato - il divario fra nord e sud, che rimane di 40 punti percentuali, in termini di PIL pro capite. Il Piano per il sud messo a punto dal Governo individua interventi prioritari e importanti per avviare un processo di recupero.
La bassa crescita dell'Italia è legata - credo che queste siano analisi ormai condivise - a una bassa crescita della produttività, talché, malgrado un andamento delle retribuzioni, negli ultimi anni, che si può dire moderato in confronto quanto meno ai decenni precedenti (anche se più elevato rispetto ad altri Paesi europei, come la Germania), per effetto della bassa crescita della produttività, il costo del lavoro per unità di prodotto nell'industria è cresciuto, nel decennio prima della crisi - la quale crisi determina poi un fenomeno di abbassamento della produttività che bisogna considerare - del 19 per cento, mentre questa stessa variabile è diminuita del 7,5 per cento in Francia, del 9,8 per cento in Germania e dell'1,3 per cento nell'eurozona. Dal 1997 abbiamo quindi perso competitività per oltre 30 punti percentuali rispetto alla Germania e per quasi 30 punti rispetto alla Francia.
È evidente che una maggiore crescita economica è indispensabile - come più volte afferma anche la Commissione nei suoi documenti - per conseguire gli obiettivi di riduzione del peso del debito pubblico, resi ancora più pressanti dalle dinamiche che si stanno sviluppando a seguito della crisi dei debiti sovrani in Europa e in relazione alle nuove regole europee.
Per abbassare il debito pubblico, a nostro avviso, occorre agire sulla spesa pubblica. Negli anni 2000 la spesa corrente primaria, cioè al netto degli interessi, ha continuato a crescere del 2 per cento reale in media all'anno, un ritmo superiore all'aumento del PIL. La manovra di 0,8 punti percentuali all'anno per il 2011 e il 2012 - contenuta nella legge di stabilità - dovrebbe consentire, nelle previsioni del Governo, di riportare l'indebitamento netto sotto il 3 per cento nel 2012. Da quell'anno comincerebbe, dunque, la discesa del debito in rapporto al PIL. Si tratta di un sentiero ambizioso, che richiede una notevolissima riduzione dell'incidenza della spesa corrente sul prodotto interno lordo, ma riteniamo che sia indispensabile e possibile perseguirlo, mediante la piena attuazione delle manovre già approvate e il raggiungimento degli obiettivi di crescita sottesi a quelle valutazioni.
Per quanto riguarda le azioni per la crescita, mi soffermerò su tale aspetto del questionario che avete diffuso per questa audizione. Prima di tutto, consegno agli atti della Commissione un ampio documento che abbiamo prodotto in un'altra occasione, che si intitola «Italia 2015», composto da dieci capitoli in cui si articola, a nostro avviso, un'azione per la competitività delle imprese e per la crescita.


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Si tratta di oltre cento proposte - dalla pubblica amministrazione, alla giustizia civile, alle liberalizzazioni, alla ricerca e innovazione, al fisco e così via - che richiederebbero troppo tempo per essere illustrate.
Per essere concreto, in questa audizione, e fornire un valore aggiunto, mi limito a prendere in considerazione le principali azioni suggerite ai Paesi dall'Annual Growth Survey della Commissione europea, anche per focalizzare la nostra attenzione sugli aspetti evidenziati dalla Commissione stessa. Quindi, commenterò brevemente alcune di queste azioni.
In primo luogo, la Commissione europea suggerisce di attuare un risanamento rigoroso dei bilanci pubblici, salvaguardando la spesa in ricerca e innovazione, istruzione, green economy e nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT). Queste sono, infatti, le spese che possono favorire la crescita. Sul rigore dei conti pubblici e sull'esigenza di ridurre la dinamica della spesa mi sono già espresso. Per il resto, a nostro avviso, occorre integrare, molto meglio di quanto non sia stato fatto finora, le azioni per la crescita su queste materie - green economy, ICT, ricerca e innovazione - con il progetto di medio termine di riduzione dei conti pubblici. Questi punti devono trovare una loro coerenza - e confido che la troveranno - nei documenti che saranno prodotti nelle prossime settimane riguardo questo importante esercizio europeo.
In secondo luogo, occorre correggere gli squilibri macroeconomici in rapporto a situazioni di disavanzi o eccessivi avanzi delle partite correnti. Sotto questo aspetto, l'Italia ha un pesante disavanzo delle partite correnti, un problema della bilancia dei pagamenti spesso trascurato. Il disavanzo delle partite correnti, che ormai raggiunge il 3 per cento del prodotto interno lordo, si cumula nel tempo, generando la posizione debitoria netta dell'Italia nei confronti del resto del mondo. Pertanto, oggi abbiamo un debito estero netto assai elevato e analogo, in rapporto al PIL, a quello degli Stati Uniti. Questo disavanzo non si può curare con la manovra della domanda interna, poiché è il riflesso ovvio ed evidente della perdita di competitività di cui ho detto in precedenza.
La Commissione suggerisce, poi, di garantire la stabilità del settore finanziario, attraverso regole prudenziali e supervisione adeguata. A nostro avviso, a tale proposito, occorre prestare la massima attenzione a non penalizzare un modello di banca, come quello prevalente in Italia, orientato non alla speculazione finanziaria, bensì ai prestiti alla clientela. Occorre, quindi, preoccuparsi della capacità, nel tempo, di tale modello di banca di continuare a fare quello che ha fatto finora, cioè sostenere le imprese, mediante i prestiti, oppure di farlo meglio di quanto abbia fatto finora.
Si deve, inoltre, rendere il lavoro più attraente, riducendo gli oneri fiscali sull'occupazione, rendendo più flessibile l'organizzazione del lavoro e così via. Su tale punto ci sarebbe molto da dire perché, a nostro avviso, è uno degli aspetti chiave. Occorre ridurre gli oneri sul lavoro, quindi il cuneo fiscale, l'IRAP sul lavoro, l'IRPEF, che grava in particolare sui lavoratori dipendenti. Insomma, si può fare molto, sia pure gradualmente e nel tempo.
Vi è, poi, l'azione di riformare i sistemi pensionistici, che è un tema centrale nel dibattito europeo. L'Italia ha già compiuto, a nostro avviso, notevoli progressi in direzione della sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale. Forse, la preoccupazione principale concerne la sostenibilità sociale del sistema pensionistico, che è messa a rischio se non si sviluppa - come purtroppo non si sta sviluppando - la previdenza complementare.
Salto alcuni punti, pure importanti, per commentare un'altra azione suggerita dalla Commissione europea: sfruttare il potenziale del mercato unico europeo tramite le liberalizzazioni. Riteniamo che questo punto sia particolarmente rilevante in Italia, specialmente in riferimento alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali. A questo proposito, crediamo che la reintroduzione di tariffe minime per alcune categorie professionali vada esattamente


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nella direzione opposta. Siamo preoccupati e anche stupiti, perché in tema di servizi pubblici locali relativi alla fornitura dell'acqua non c'è il consenso bipartisan che ci si potrebbe aspettare; anzi, è previsto un referendum rispetto al quale le posizioni delle principali organizzazioni politiche sembrerebbero essere diverse. Peraltro, nel referendum si parla di «privatizzazione» dell'acqua, mentre la legge di cui si tratta non ha nulla a che fare con la privatizzazione dell'acqua, bensì con un principio di civiltà giuridica, secondo il quale i servizi devono essere messi a gara.
Tornando alle azioni suggerite dalla Commissione, si tratta altresì di attrarre capitali privati per il finanziamento di investimenti, per le infrastrutture e per le piccole e medie imprese. Tutto ciò è fondamentale, ma per realizzarlo occorre un quadro regolatorio e fiscale stabile che, purtroppo, in Italia spesso non abbiamo avuto, mentre ne abbiamo uno che, piuttosto, fa scappare i capitali.
Mi avvio a concludere dicendo che, a nostro avviso, il tema fondamentale - lo ripeto - è come coniugare i vincoli di bilancio con alcune spese necessarie, come gli investimenti in reti infrastrutturali, nei trasporti, nell'energia, in ricerca e sviluppo, in capitale umano, in ICT e via dicendo. Questi temi devono trovare una loro integrazione, anche rispetto ai conti pubblici, altrimenti si crea un contesto di fortissima incertezza riguardo alla possibilità dell'Italia di raggiungere obiettivi di crescita e agli obiettivi che si stanno perseguendo rispetto ai trasporti, all'energia, alla ricerca e via discorrendo. In pratica, laddove ci sono investimenti, c'è anche la difficoltà di svilupparli.
Certo, questa è una sfida estremamente difficile. Nel documento «Italia 2015» - che abbiamo depositato agli atti - abbiamo cercato di coniugare al meglio queste esigenze poiché, a nostro avviso, esse rappresentano il compito da portare a termine e la sfida da affrontare.

PRESIDENTE. Ringrazio il direttore Galli.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, suggerendo di porre domande sintetiche su questioni mirate.

MAINO MARCHI. Ringrazio il direttore Galli delle valutazioni poste alla nostra attenzione. Seguirò il suggerimento del presidente, ponendo due questioni specifiche relative alla crescita e a due degli ambiti su cui l'Unione europea ha concentrato i propri obiettivi in riferimento alla stessa crescita, ovvero ricerca ed energia.
Chiederei quindi una valutazione sulla situazione attuale, in riferimento sia agli incentivi sulla ricerca e, in modo particolare, al credito di imposta sulla ricerca, sia a questioni che si trascinano da tempo, come il contenzioso che si è aperto dopo il click day. Peraltro, sappiamo che su questo tema ci sono state relazioni tra le associazioni di categoria e il Governo e che si attendeva un decreto ministeriale o interministeriale in questo senso.
Vorrei conoscere la vostra opinione su questo argomento e anche in riferimento a quanto previsto dalla legge di stabilità per il 2011, quindi in relazione alle risorse assegnate con modalità diverse rispetto al credito di imposta che abbiamo conosciuto in passato e che vanno regolamentate, ovvero hanno bisogno di altri strumenti per diventare operative. Vorrei sapere se ritenete che occorrano strumenti che diano maggiore certezza alle imprese riguardo ai loro investimenti in tale campo.
La seconda questione riguarda l'energia, in particolare l'obiettivo di aumentare la quota di energie rinnovabili fino al 20 per cento del consumo. A questo proposito, in merito all'ultimo decreto legislativo sulle fonti di energia rinnovabili, chiederei una valutazione sulla questione della certezza per le imprese, anche con riferimento alle decisioni rimaste in sospeso fino al 30 aprile.
Dal vostro punto di vista, quale situazione si determina per gli investimenti delle imprese e per l'occupazione in questo settore?


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ROBERTO OCCHIUTO. Anche io voglio ringraziare il direttore Galli del contributo di pregio - come tutti quelli provenienti da Confindustria - offerto alla Commissione. Tuttavia, in questa occasione mi è sembrato mancasse un capitolo che, invece, nelle elaborazioni di Confindustria è sempre stato proposto in maniera assai incisiva. Mi riferisco al problema del Mezzogiorno, perché tutte le analisi sulla crescita del Paese non possono prescindere da tale aspetto. È opinione ormai consolidata che viviamo in un Paese che sta diventando sempre più duale: se guardiamo i dati macroeconomici per contesti territoriali ci rendiamo conto che abbiamo, per esempio, una disoccupazione dell'8,7 per cento nel Paese, ma con punte del 12,7 per cento nel Mezzogiorno e del 4,2 nel nord-est dell'Italia.
Chiederei al direttore Galli qualche valutazione ulteriore su tale tema, in particolare sulla questione della riprogrammazione delle risorse del FAS (Fondo per le aree sottoutilizzate). A questo riguardo, proprio ieri il mio gruppo politico è stato impegnato in un incontro con l'ANCE, la quale rappresentava il rischio che la riprogrammazione delle risorse FAS derivanti dalla programmazione 2007-2013 - riguardante quindi 30 miliardi di euro - potesse comprimere ulteriormente le possibilità di crescita del Paese e del Mezzogiorno e, dunque, proponeva di riprogrammare, come è giusto, le risorse FAS 2000-2006, avendo però un atteggiamento diverso in ordine a quelle derivanti dalla programmazione 2007-2013, che sarebbero immediatamente cantierabili.

PIER PAOLO BARETTA. Ringrazio Confindustria del contributo. Mi sembra che la strategia che avete indicato sia chiara: in sintesi, investimenti infrastrutturali, energia, innovazione tecnologica, ricerca e capitale umano.
Si tratta di interventi che hanno bisogno almeno di due presupposti: investimenti forti e clima di coesione politico-sociale. Personalmente, vedo due ostacoli a questa strategia che dovremo, in qualche modo, provare ad affrontare. Il primo ostacolo è il debito: in effetti, il peso del debito condizionerà il dibattito e qualunque sarà la trattativa europea - anche se fosse la più favorevole all'Italia, come mi auguro - occorrerà affrontare questa emergenza. Il secondo ostacolo è costituito dalle relazioni sindacali, sociali e industriali che sono all'ordine del giorno.
Avviandomi alla conclusione, vorrei evidenziare che, in questo quadro, c'è una differenza rispetto al 1993, quando alcuni problemi furono affrontati con lo strumento della svalutazione, che oggi non abbiamo più a disposizione, e con il ruolo attivo - quasi di sostituzione, in alcuni momenti - delle parti sociali.
È chiaro che questa considerazione presuppone una lunga riflessione. Ad ogni modo, la domanda è se Confindustria, tenuto conto delle differenze rispetto al quadro di riferimento del 1993, ritiene che ci siano le condizioni per fronteggiare questi due problemi - debito e sistema di relazioni - superando questo clima di complessiva divisione. Inoltre, vi chiedo in che misura l'attuale situazione di difficoltà nelle relazioni può condizionare questo processo e, infine, se credete vi siano delle strade indipendentemente da ciò. Del resto, in qualche modo, il problema del debito dovremo comunque affrontarlo.

LUDOVICO VICO. Ringrazio il direttore Galli, al quale pongo due domande rapidissime.
Dopo averla ascoltata, direttore, e aver letto il documento che ci avete consegnato, vorrei osservare che non è mai citato un obiettivo che mi sembra trasversale rispetto alle questioni della crescita. Infatti, il nostro Paese ha una grande difficoltà che si chiama liberalizzazione o liberalizzazioni. Le chiedo, quindi, se queste sono uno strumento portatore di valore aggiunto in sé. Da questo punto di vista, l'energia è una delle questioni rilevanti; penso, per esempio, a SNAM Rete gas e a quello che si vorrà fare, come anche il settore dell'acqua, da lei citato, e via di seguito.
La seconda questione riguarda la politica industriale, che potrebbe apparire un


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tema trasversale anch'esso, poiché percorre tutte le valutazioni che Confindustria ha reso in questa audizione. Riguardo alla politica industriale - come si dice da qualche parte - non si capisce qual è la testa e quale la coda, mentre è abbastanza evidente quello che si muove sul piano internazionale ed europeo. Alla fine, ritorna il grande interrogativo se nel Paese ognuno fa la sua parte, in relazione al proprio ruolo e alle proprie funzioni.
In conclusione, circa la politica industriale, rispetto alle questioni che Confindustria suggerisce in questa audizione, dovremmo essere nelle condizioni di non affidarci solo al mercato, ma, in verità, mancano degli indirizzi. Del resto, gli indirizzi si concordano e si apprezzano se esistono, ma si contestano se non esistono.

MASSIMO VANNUCCI. Ringrazio Confindustria per questa audizione. Il documento depositato e la relazione del direttore Galli indicano le criticità del Paese. Riguardo alle opportunità, sono curioso di leggere le cento proposte per la crescita, che - credo - saranno legate proprio a smuovere le criticità.
Molto spesso siamo d'accordo sulle analisi, ma sulle azioni conseguenti incontriamo difficoltà. Abbiamo audito ieri i rappresentanti sia dell'ENEL, sia, in seguito, di Finmeccanica e più o meno tutti condividiamo le criticità emerse. Lei ha indicato la spesa pubblica italiana come uno dei principali problemi e si rileva che, da anni, la spesa corrente cresce costantemente del 2 per cento all'anno. In verità, c'è stata un'interruzione nel recente Governo di centrosinistra, ma certamente non sufficiente. Anche noi abbiamo fortemente criticato i tagli lineari, ciechi, non selettivi; tuttavia, alla fine bisogna pur prendere delle decisioni: non basta essere generici, ma occorre valutare dove tagliare. D'altra parte, se andiamo a vedere, scopriamo che la nostra spesa corrente ha meccanismi automatici di crescita, sui quali è difficile intervenire. La spesa corrente cresce perché la legislazione prevede automatismi e, se si incide su di essi, si indice sui diritti, per cui la questione diventa molto complicata. Ad ogni modo, se non affrontiamo questo tema il risultato sarà un aumento continuo della spesa corrente, tenuto conto che registriamo invece una spesa in conto capitale che è diminuita del 24 per cento nei primi tre anni di questo Governo.
Vorrei capire se questo Paese in generale - chi fa opinione, chi partecipa alle decisioni - è in grado di affrontare tale tema e se Confindustria ha su ciò un'idea precisa, non vaga. Abbiamo ascoltato anche le organizzazioni sindacali che hanno parlato dei costi della politica e di altre questioni generiche; per contro, credo che per intervenire sulla spesa occorra effettuare delle analisi approfondite.
Riprendendo quanto affermato dall'onorevole Occhiuto, anche noi, ieri, abbiamo incontrato l'ANCE, che è associata a Confindustria. Inoltre, ieri sera anche Finmeccanica ha confermato che, nell'ambito del Programma operativo nazionale Ricerca e competitività 2007-2013, è stato speso solo il 7 per cento dei 43 miliardi disponibili; ciò significa che 30 miliardi rischiano di tornare all'Unione europea.
Riguardo al Piano nazionale per il sud, 30 miliardi di fondi interamente di competenza regionale non sono stati ancora trasferiti. Direttore, lei ha affermato che il Piano per il sud, prevedendo interventi prioritari, è condivisibile; tuttavia, lo è solo sulla carta, perché nella pratica succede quanto ho detto e il nostro Paese è esposto a questi rischi.
Su questo punto, una vostra associazione - l'ANCE appunto - è in campo pesantemente, proprio perché la situazione delle imprese di costruzione è gravissima per il ritardo dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Ieri Il Sole 24 Ore ha scritto riguardo mille cantieri fermi perché le imprese non ricevono i soldi che spettano loro, con conseguente fallimento delle imprese stesse e difficoltà a riprendere i lavori.
Infine, abbiamo parlato del costo dell'energia, che lei inserisce tra le criticità. Ebbene, ieri nell'audizione dell'ENEL è stato affermato che il costo dell'energia è molto alto in Italia perché, rispetto agli


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altri Paesi, le nostre fonti - gas e petrolio - sono più costose e non abbiamo energia nucleare. Poi, ieri sera, sempre in sede di audizione, Finmeccanica ha fatto i conti del prezzo dell'energia media nel nostro Paese e ci ha riferito che l'Italia spende 64 euro per ogni megawattora, contro i 52 della Francia, i 50 della Germania, i 44 della Spagna e i 48 del Regno Unito. Ora, considerando le dipendenze da gas e petrolio, la Spagna - 44 euro a megawattora contro i nostri 64 - ha le stesse fonti, cioè dipende dal gas e dal petrolio proprio come noi, ed ha il 26 per cento di energie alternative, probabilmente incentivate come da noi. Pertanto, vorrei sapere se Confindustria può presentare un'analisi più approfondita dei costi reali. Vorrei conoscere, insomma, la ragione vera, perché non basta continuare a parlare in modo vago - come per la spesa corrente - senza comprendere le cause.

MARIA TERESA ARMOSINO. Desidero anche io ringraziare Confindustria per la relazione che ci ha voluto portare, della quale, tuttavia, non colgo nessuna utilità per l'esercizio della nostra attività di parlamentari sia di opposizione che di maggioranza. Mi sembra, infatti, un'analisi, a valenza molto ampia e molto filosofica, di che cosa occorrerebbe fare.
Penso che dal mondo che produce - e che deve produrre, per dare conto della ragione stessa della sua esistenza e fare profitto - debbano arrivare, invece, proposte più concrete. Mi pare molto difficile realizzare quello che è affermato in questa relazione, che parte dal presupposto oggettivo e da tutti condiviso che si lavora in un Paese con un grande debito e, quindi, occorre procedere alla riduzione del debito con tutte le altre indicazioni fornite.
In sostanza, come qualcun altro ha riconosciuto, ritengo che da parte delle forze produttive del Paese debba arrivare una proposizione fondata sui conti delle operazioni. Il nostro compito è non solo di costruire infrastrutture - su cui sono assolutamente d'accordo - o di investire in ricerca, ma anche di capire da dove trarre queste fonti, mantenendo qualcosa che si chiama «coesione sociale», questo sì compito esclusivo della politica.
Pertanto, poiché qualcuno ha chiesto i conti relativi ai costi dell'energia rinnovabile, credo che voi siate in possesso di questi dati, altrimenti - ma è una mia opinione - si negherebbe l'esigenza stessa di sussistenza della vostra associazione, quale promotrice di tali idee. Con i dati, per quanto mi riguarda, riuscirò a lavorare molto meglio.

LINO DUILIO. Vi ringrazio per la vostra comunicazione e, poiché ci è stato riferito che il vostro presidente è assente perché non sta bene, formulo i migliori auguri perché si possa riprendere presto.
Entro nel merito e pongo alcune domande brevissime, collegandomi a quanto detto poc'anzi dalla collega Armosino. In verità, da molti anni siamo in una condizione che, in metafora, ci ricorda di tanti medici chiamati a consulto di un malato che rischia di morire; quindi tutti si affannano a dire che è malato, che sarebbe il caso che guarisse, che gli si dovrebbe somministrare qualche pastiglia e via dicendo, e così continuiamo in questa recita, ovviamente con le migliori intenzioni e le maggiori preoccupazioni.
La gravità della situazione in cui ci troviamo potrebbe portare a conseguenze drammatiche in prospettiva se, tra frizzi e lazzi, continuiamo a viaggiare verso un debito pubblico che, al 2013, è previsto intorno al 120 per cento, mentre ricordo che 3-4 anni fa eravamo al 103 per cento. Ovviamente è intervenuta «madre crisi internazionale», che spiega tutti i problemi di questo Paese; problemi che - lo dicevo ironicamente nei giorni scorsi - sono concentrati negli unici venti mesi in cui ha governato il centrosinistra, a cui risale la madre di tutte le questioni di questo Paese, e - pur governando da dieci anni circa l'attuale maggioranza - tutti i problemi sono enucleabili, appunto, all'interno di quel periodo di venti mesi di cui parlavo.
Venendo alle questioni serie e al di là delle battute polemiche, avete fatto un'eccellente analisi, in particolare su un punto


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che credo sia - questo sì - la madre di tutte le questioni, ovvero il tema della produttività, in particolare di un trend dei tassi di crescita della produttività che da circa vent'anni è negativo. Lo avete esaminato molto puntualmente nella vostra relazione, prendendo in considerazione che dal 2000 al 2007 siamo allo 0,2 per cento, mentre negli anni Novanta eravamo all'1,6, negli anni Ottanta all'1,8, negli anni Settanta al 2,8 e così via. Insomma, questa situazione dei tassi di crescita della produttività è una tragedia, perciò vi ringrazio di averlo riepilogato sinotticamente.
Questo andamento comporta un costo del lavoro per unità di prodotto più alto degli altri Paesi, e questa è la consecutio della tragedia. Nel decennio dal 1997 al 2007, il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato del 19 per cento in Italia e diminuito del 7,5 in Francia, del 9,8 in Germania e dell'1,3 nell'eurozona; ci sono venti punti di differenza - o meglio, 32 meno della Germania e 29 meno della Francia - che si riflettono sulla competitività. Il cerchio, dunque, si comincia a chiudere. Ebbene, chi si vuole preoccupare, si preoccupi; chi non vuole, continui tra «frizzi e lazzi».
Ovviamente, tutto ciò si riverbera sul debito pubblico perché, per uscire da questa situazione, è necessario recuperare in termini di crescita, altrimenti neppure dei maghi potrebbero ridurre il debito pubblico. Infatti, se non si ricostituiscono tassi di avanzi primari significativi e se non aumenta il denominatore non riusciamo nell'impresa. Per questo sono molto preoccupato, come cittadino e come parlamentare.
Dinanzi a questa situazione, che riepilogavo in maniera sinottica, ringraziandovi per l'essenzializzazione delle cartelle consegnate, pongo alcune domande. La prima è di tipo retrospettivo. Attualmente ci sono molte proposte, anche di fantasia. Mi ricordava un collega prima - voi non ne avete parlato, il che forse è significativo - che, nella fantasia creativa delle proposte per uscire da questa situazione, ogni tanto salta fuori l'ipotesi di modifica dell'articolo 41 della Costituzione. Voi - lo ripeto - non ne avete fatto cenno e questo per me è significativo della dimensione fantastica e creativa di proposte estemporanee che nascono ogni giorno. In realtà, le questioni sono molto più robuste, concrete e strutturali.
Presidente, mi avvio alla conclusione. Del resto, non abbiamo molto da fare in Parlamento; come lei sa, tra poco lo mettiamo in cassa integrazione, quindi concediamoci almeno dieci minuti di tempo per parlare.
Come centrosinistra - ognuno si assuma le proprie responsabilità - in una situazione di finanza pubblica disastrata abbiamo investito parecchi miliardi di euro per la riduzione del cuneo fiscale, di cui pure parlate, nel biennio 2006-2007. Eravamo intorno ai 6 miliardi di euro, in presenza di una situazione di finanza pubblica molto complicata, per la quale ci preoccupavamo. Ci si diceva che volevamo ammazzare il cavallo, poi si è scoperto che la finanza pubblica è davvero in condizioni disperate, quindi si è continuato a fare quello che avevamo iniziato. Tuttavia, avevamo devoluto quasi 6 miliardi di euro per la riduzione del cuneo fiscale, di cui una parte significativa era andata alle imprese.
Ci potete dire se è servito a qualcosa e se avete apprezzato gli effetti di queste misure? Di questi 6 miliardi di euro una parte cospicua - più del 50 per cento - sono andati alle imprese. Vi chiedo, quindi, se e dove sono arrivati e se hanno prodotto qualche effetto; altrimenti, se queste misure non sono utili, la prossima volta, se dovesse capitare, quei fondi li si destina ad altri fini. Lo chiedo in termini retrospettivi: credo abbiate fatto un bilancio, nei vostri centri studi, di queste risorse pubbliche spese in una certa direzione. Anche noi, in Parlamento, abbiamo il vizio di affastellarci e litigare sulle misure da assumere, ma poi non ne verifichiamo mai le conseguenze ex post.
Sulla ricerca, condivido tutto quello che avete detto: stando al contenuto del Programma nazionale di riforma, al 2020 non solo rimaniamo indietro nel settore della ricerca, ma aumenta la distanza tra noi e


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l'Europa. Infatti, attualmente, c'è un distacco tra l'1,18 per cento di spesa per ricerca sul PIL dell'Italia e l'1,9 per cento dell'Unione europea - che in effetti sarebbe tra l'1,27 e l'1,9, perché il dato del Programma nazionale di riforma è da correggere - quindi c'è uno 0,7 per cento circa di differenza. Invece, nel 2020 noi saremmo all'1,5 per cento e l'Europa al 3 per cento, con un divario di 1,5 punti rispetto allo 0,7 attuale. Insomma, sarebbe una tragedia. Questo svela, peraltro, la superficialità con cui si scrivono documenti su temi così importanti.
Per evitare che continuiamo, per il futuro, a confrontarci sulle diagnosi che ci vedono d'accordo, voi, che siete l'organizzazione più importante delle imprese del nostro Paese, attraverso i vostri centri studi e le vostre analisi, potreste dirci in tre parole tre misure essenziali in termini non velleitari - quindi non un'elencazione di tutte le questioni che conosciamo e abbiamo sviscerato da tempo - per risolvere la situazione? Per esempio, tutti sappiamo che bisogna ridurre gli oneri fiscali, ma i soldi dove li prendiamo? Noi vorremmo che ci si venisse a dire cosa bisogna fare e dove si recuperano i soldi.
Insomma, aiutateci a cercare le soluzioni, altrimenti siamo alle prediche. Noi non siamo in grado di fare questo discorso, con una politica che, con le distorsioni che ha accumulato in questi anni, si basa sull'offrire il «più 1». Questa è la competizione politica.
Come Confindustria, per quanto riguarda il tema cruciale della crescita del nostro Paese, in particolare relativamente alla questione di fondo, quella dei tassi di incremento della produttività di cui parlavo, in termini di pars construens non velleitaria, ma sostenibile sul piano finanziario, che cosa ci potete dire? Non è un'intimazione, né ritengo dobbiate rispondere oggi, in maniera lapidaria. Tuttavia, aiutateci a provvedere, altrimenti continueremo per anni a stare in questa situazione in questa sede - in modo autorevole come è successo con voi in quanto parti sociali, o in modo meno autorevole com'è successo l'altro ieri nell'audizione con i sindacati, i quali peraltro non si sono presentati neppure nelle loro rappresentanze più alte, perché il Parlamento è l'ultima cosa che interessa - aspettando che intervenga qualche divinità che ci possa salvare, magari concludendo che nemmeno questa può.

PIETRO FRANZOSO. Ringrazio Confindustria anche perché, al contrario di quanto ho sentito, ritengo che le analisi del sistema confindustriale, anche attraverso il proprio ufficio studi, siano utili per l'azione che il Parlamento dovrà svolgere, peraltro, dopo aver ascoltato - come hanno detto i colleghi precedentemente - anche altri interlocutori.
Senza fare retorica, proprio attraverso le loro analisi, mi preme capire alcune questioni. Prima del 2007 avevamo un debito pubblico che toccava il 103,6 per cento e, seppure in presenza di un ampliamento della fiscalità, abbiamo avuto come conseguenza un peggioramento della competitività di 32 punti rispetto alla Germania e 29 rispetto alla Francia. Siccome lei ha affermato che il debito pubblico è uno dei fattori critici, oltre al costo dell'energia e via discorrendo, vorrei porre una domanda. Dal vostro punto di osservazione, negli anni in cui c'era un poco di crescita e non c'era la crisi mondiale, che è intervenuta dal 2007 in poi, abbiamo fatto quanto necessario per cercare di «approfittare» e accentuare i momenti di crescita e di sviluppo del sistema Paese in termini di rapporti con le aziende e il mondo del lavoro?
Peraltro, nel momento in cui suggerite giustamente di correggere gli squilibri macroeconomici, per l'Italia, che ha un disavanzo del 3 per cento, si tratterebbe di adottare politiche di moderazione salariale. Allora, poiché in questo Paese abbiamo un problema Mezzogiorno e un divario - conosciuto da tutti - tra nord e sud di 40 punti pro capite, credo che gli aspetti deficitari siano tanti.
Qualche collega richiamava, poc'anzi, il problema dell'utilizzo dei fondi FAS, fondi europei e quant'altro. Tali fondi possono contribuire - ma vorrei conoscere le analisi


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e gli studi della Confindustria - per cercare di avvicinare all'Europa questa parte più depressa del sistema Paese in termini di infrastrutture. Infatti, in tali aree, il sistema energetico, il sistema dei trasporti e così via allontanano i processi produttivi in termini di competitività e di costi rispetto alle aree «più sviluppate» del nostro Paese. Ritengo, dunque, che quei fondi debbano essere adeguatamente utilizzati per cercare di ridurre gli sprechi e il gap in materia di infrastrutture.
Inoltre, c'è un aspetto del Mezzogiorno sul quale chiederei a Confindustria di esprimersi in modo chiaro e più coraggioso. Sappiamo che il nostro Paese, nel suo insieme, è formato da tante piccole aziende; c'è sicuramente un problema di incentivazione alla ricerca, ma soprattutto allo sviluppo di tante piccole aziende, che non può essere a vantaggio dei grossi gruppi o delle grandi aziende, che semmai in questo momento debbono supportare lo sforzo del Governo, che mira proprio a incentivare tante piccole imprese. Oltre a questo aspetto, non ritenete sia finalmente giunto il momento che in questo Paese si forniscano aiuti per le fasce più deboli per abbattere - non dico eliminare - i 40 punti di divario tra nord e sud? Non ritenete che si debba mirare alla defiscalizzazione delle aziende e del mondo del lavoro?
Inoltre, qual è il vostro giudizio in merito alla inesistenza del sistema bancario nel nostro Paese, atteso che le poche banche che c'erano sono state «captate» dal sistema bancario del nord, che è più forte? Peraltro, per illuderci, hanno mantenuto le denominazioni, come per il Banco di Napoli. Il Mezzogiorno finisce per avere un apparato di raccolta, più che un sistema bancario che agevola lo sviluppo delle aziende. Del resto, nel Mezzogiorno, si richiede maggiore responsabilità nell'elargire i finanziamenti alla crescita di un'azienda, perché lo spread - lo ascoltavamo ieri sera in questa Commissione - imposto dalle banche per il cosiddetto «rischio» è di gran lunga superiore rispetto al nord.
Detto ciò, mi chiedo se non sia arrivato il momento che Confindustria esca allo scoperto con molta chiarezza e diventi, per certi versi, meno nordista e più sudista per equiparare il territorio.

RAFFAELLO VIGNALI. Ringrazio il professor Galli per la sua relazione. Anch'io sono convinto che, come ci dice l'Europa, dobbiamo coniugare stabilità e crescita, altrimenti la stabilità è un'illusione. È come voler stare in equilibrio in bicicletta rimanendo fermi, mentre l'equilibrio è sempre dinamico.
Devo dire che anche le cento proposte di Confindustria, che sono note da tempo, danno tante indicazioni utili. Tuttavia, vorrei concentrarmi e porre qualche domanda rispetto a un tema che anch'io trovo decisivo, quello della ricerca e dell'innovazione. Concordo che questi siano i fattori critici e determinanti della competitività e della produttività nel medio periodo. Su questo, in merito alla nota richiesta del credito di imposta per la ricerca, trovo anch'io che sia il metodo più serio e idoneo per sostenere questo settore, essendo anche l'unica modalità di erogazione di risorse compatibile con i tempi dell'innovazione, mentre le politiche fatte per bandi hanno tempi di gestione burocratici incompatibili con quelli dell'innovazione stessa.
Premesso, dunque, che è nota la richiesta di riconoscimento del credito di imposta per la spesa in ricerca, come anche l'idiosincrasia di tutti i Ministri dell'economia e delle finanze per questo strumento - anche per via della difficile quantificabilità ex ante del provvedimento - vorrei insistere innanzitutto sugli aspetti normativi e regolatori: che cosa si potrebbe fare, da questo punto di vista? Penso, in particolare, anche a tutto il tema delle start-up innovative, che voi giustamente avete citato e che, secondo me, sarebbe un buon criterio anche di valorizzazione delle risorse del sud, dove c'è molta ricerca avanzata. Ci sono tanti aspetti per i quali le norme agiscono da blocco, al di là delle regole generali, rispetto al fare impresa. Per costituire una


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società innovativa negli Stati Uniti ci vogliono 800 dollari e lo si può fare on line dall'Italia. Da noi sappiamo qual è la differenza.
Peraltro, anche il problema del capitale sociale, per l'avviamento di un'impresa, è semplicemente anacronistico: in Italia occorrono 10.000 euro per costituire una società a responsabilità limitata. Se si tratta di tre amici che realizzano un software non ha senso, ma non lo ha nemmeno se si vuole creare un impianto industriale. È il mercato a decidere, ma, al di là di tale tema, vorrei capire quali sono gli aspetti normativi e regolatori, in particolare sul tema delle start-up innovative e della ricerca scientifica e tecnologica, su cui si potrebbe lavorare. Ci sono tanti dettagli da esaminare.
Ieri è stato presentato un disegno di legge per modificare il sistema di fatturazione nel commercio diretto delle applicazioni su iPad, Android e sugli smart phone. Non ha senso un sistema in cui è previsto che sia emessa una fattura per ogni applicazione venduta, pari a 0,79 centesimi. È una follia. Applichiamo, anche in questo caso, un problema di innovazione nella legislazione. Noi applichiamo le regole che si usano per la vendita per corrispondenza a prodotti che si vendono on line e che, peraltro, sono tracciabili per definizione, non ponendosi, in questo caso, nemmeno un problema di elusione.
L'altra domanda è sul tema dell'università e delle imprese. Sono noti i problemi di entrambi i settori e io sono tra coloro che sono convinti che nel nostro sistema della ricerca pubblica, comunque, ci siano tante risorse che oggi non sono valorizzate o sfruttate. Non c'è una valorizzazione economica della conoscenza quale meriterebbe di esistere, anche perché abbiamo molte punte di eccellenza, inoltre con risorse molto più basse di quelle che mettono a disposizione gli altri Paesi. Secondo voi, che cosa si può fare per avvicinare maggiormente questi due mondi? Grazie.

MASSIMO POLLEDRI. Ringrazio il direttore per la sua presenza e mi auguro che la dottoressa Emma Marcegaglia possa godere di miglior salute nel prossimo futuro.
Il documento depositato agli atti è sicuramente sintetico ed è tratto da un altro documento europeo sulla crescita: per carità, bisogna partire da una base! Si tratta, però, dello stesso punto di partenza in cui mi trovo io la domenica sera, quando mi ripropongo, da lunedì, di mettermi a dieta: mi faccio quindi tanti buoni propositi. Lo stesso vale per i buoni propositi europei, che conosciamo ormai da anni. Non voglio discutere sulla diagnosi della mancata crescita, ma vi faccio notare che forse altri Paesi che sostenevano di crescere in altro modo, in realtà, crescevano a debito, perché sono cresciuti con il debito delle famiglie. Anch'io posso crescere, allora: mi indebito e compro, aumentando sicuramente il PIL, ma prima o poi devo pagare tale debito.
Per passare alle questioni concrete, non sarà il caso, intanto, di denunciare gli obiettivi europei in quanto sono irrealizzabili, come la mia dieta e i miei buoni propositi? La crescita del 20-20-20 sulle energie da fonti rinnovabili o l'obiettivo di Kyoto mi sembrano, infatti, completamente irrealizzabili. Voi l'avete denunciato più volte. Sono 8 miliardi di euro di costi e basta, smettiamola! Ieri, eseguivo il conto di quanto ci costa l'operazione di captazione dell'anidride carbonica (CO2). Per la zona di Brindisi si è parlato di alcune centinaia di milioni di euro e captiamo 25.000 chili di CO2. Ho calcolato che sono l'equivalente di 620 chili di carne bovina o di 250 maiali. Se mi pagaste 50 euro per non mangiare una fettina, otterremmo sicuramente un risultato migliore. Ciò intende dimostrare quanto c'è di totem e quanto in pratica.
Non sarebbe il caso di rinegoziare seriamente, con una nostra forte volontà politica, il protocollo di Kyoto e le altre «stupidaggini» degli obiettivi del 20-20-20, che sono bellissimi, che sono numeri magici, ma ai quali non arriveremo mai? A corollario di quanto detto, con riferimento all'energia solare e alla green economy, come considerate questo provvedimento?


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Ancora, che cosa pensate della crescita a debito? La differenza tra il centrosinistra e noi è che noi tiriamo i remi in barca e speriamo che la sussidiarietà funzioni, cioè che voi possiate realizzare il miracolo. Oggi un industriale è una persona che andrebbe portata sul palmo della mano, perché chi vuol fare l'industriale in Italia è da reputare un matto. Quindi, è opportuno promuovere la crescita a debito o no?
Quanto allo stato dei distretti industriali - è vero che magari ciò attiene più alla piccola e alla media impresa - in che condizione li vedete?
In materia di politica industriale, volete indicarci su quali settori vorreste puntare? Le vostre considerazioni sono dovute e apprezzabili ed espresse nel linguaggio delle buone intenzioni, ma di buone intenzioni, di solito, è lastricata la strada per l'inferno.

ANDREA LULLI. Condividendo l'intervento del collega Duilio, vorrei tornare sulla questione del CLUP, il costo del lavoro per unità di prodotto, che da noi è cresciuto del 19 per cento. Ciò testimonia il fatto - molto serio - che noi realizziamo prodotti che, rispetto a quelli degli altri Paesi europei, hanno un valore più basso. Siamo d'accordo che bisogna tagliare i costi e che siamo in una situazione di difficoltà. A volte, sentendo alcuni colleghi, mi verrebbe voglia di rivolgermi alla trasmissione televisiva Chi l'ha visto? per capire di chi sia la responsabilità dell'aumento della spesa pubblica di parte corrente; ma lasciamo perdere questo tema.
La politica industriale è un fatto dirimente, perché, se non troviamo il modo di tornare a crescere, fermo restando che sono d'accordo su molte questioni, di promuovere la riduzione dei costi, di essere più conseguenti, di ridurre la burocrazia - anche questo è un problema serio; poi magari ci accorgiamo che, se si compie un tentativo di ridurre la burocrazia, la Ragioneria generale dello Stato ci fa presente che esso comporta un impatto sui costi economici dello Stato, come vedremo sullo Statuto delle imprese - ci si pone una questione: come possiamo, con le politiche pubbliche, aiutare le imprese a imboccare una strada che consenta di realizzare prodotti a maggior valore aggiunto?
Parliamoci con molta franchezza. Il fatto che il CLUP cresca in tal modo è un indicatore legato non solo al sistema Paese, ma anche a una nostra difficoltà di tenuta. Ci possiamo anche consolare sostenendo che gli altri Paesi hanno indebitato le famiglie, ma siamo in un Paese che, se non ritrova la propria vocazione manifatturiera e non la rafforza, con una strategia precisa ai livelli dei Governi locali, dei Governi regionali e del Governo centrale e con una difesa seria in Europa, non so davvero come possiamo uscirne.
Non ci rimane altro, se non attuiamo ciò, che tagliare posti di lavoro nelle amministrazioni dello Stato e da altre parti, in presenza di una situazione nella quale si rischia non solo che il sistema previdenziale abbia un problema di sostenibilità sociale, ma anche che il sistema Paese incontri un'insostenibilità sociale. Mi piacerebbe capire - sul tema della politica industriale - come possiamo dare una mano nell'individuare una strategia che consenta di investire sui prodotti a maggiore valore aggiunto.

PRESIDENTE. Colleghi, ben undici interventi dimostrano il grande interesse per quest'audizione. Prima di dare la parola al professor Galli per la replica, il quale, peraltro, potrà rispondere alle domande anche facendoci pervenire ulteriori relazioni o risposte scritte, volevo porre alcune questioni assolutamente semplici, quasi «terra terra».
Nella vostra relazione in due punti toccate, a mio avviso, due questioni nodali, quando centrate la vostra attenzione sul divario tra nord e sud, e quando parlate di burocrazia pletorica.
In effetti, il divario tra nord e sud, la competitività del Paese e l'efficienza della pubblica amministrazione, per alcuni versi, vanno a braccetto. Quali sono i suggerimenti che voi potete dare al mondo della politica per migliorare le criticità del nostro Paese e quali sono i vostri comportamenti


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e atteggiamenti in relazione alle politiche di coesione, in particolare a quelle riguardanti le zone dell'Obiettivo 1? Inoltre, vi chiedo se siate in grado o se vogliate esprimere un giudizio nei confronti di ciò che sta avvenendo nelle regioni meridionali.
Circa un mese addietro, sono rimasto allibito nel leggere un'espressione del presidente della regione siciliana Raffaele Lombardo, rivolta proprio al sistema industriale e confindustriale in genere. Lombardo dice testualmente: «È finita la fase storica in cui i gruppi industriali venivano a fare quello che volevano, magari mettendo in tasca a politici compiacenti cospicue mazzette, grosse commesse e qualche assunzione». L'ha affermato Lombardo ed è stato scritto su tutti i giornali.
Sono rimasto particolarmente allibito, sia per la sgradevolezza, sia per la gravità di tali affermazioni, ma, tenendo presente che, almeno nell'immaginario collettivo, una parte importante di Confindustria è strettamente collegata alla fase politica che in questo momento sta vivendo la Sicilia, addirittura con un vostro uomo di punta, che credo sia assessore all'industria e alle attività produttive, è di tutta evidenza che tale distonia tra la realtà e le parole ci mette nelle condizioni di confonderci un po' le idee.
Mi dispiace porle una domanda molto particolare e forse politicamente non corretta, ma personalmente preferisco affrontare direttamente le questioni. Era una domanda che avrei voluto rivolgere alla presidente Marcegaglia, ma, in sua assenza, non può essere altro che lei il terminale delle mie curiosità.
Do la parola al professor Galli per la replica.

GIAMPAOLO GALLI, Direttore generale di Confindustria. Le domande sono tantissime e mi scuso fin da adesso se farò appello al «quinto emendamento», avvalendomi della facoltà di non rispondere ad alcune. Alcune questioni sono trasversali. C'è una richiesta di concretezza e di esprimere che cosa effettivamente si può fare e come si finanzia tale intervento. Qualcuno ha chiesto di riferire le tre questioni davvero importanti. La nostra opinione è che ci sono tantissime iniziative che devono essere attuate. Se la bacchetta magica esistesse, qualcuno di voi l'avrebbe già trovata e un ministro dell'economia e delle finanze o dello sviluppo economico l'avrebbe già applicata.
Molte iniziative sono già state tentate da numerosi e diversi Governi - di differenti colori - per semplificare la burocrazia, per migliorare l'ambiente per le imprese e per promuovere la ricerca. Sono state varate riforme su riforme, ma ci ritroviamo, da molti punti di vista, al punto di partenza. Se vi dicessi che bisogna fare tre cose, voi mi rispondereste, giustamente, che sono già state tentate.
Nel nostro documento, che depositiamo agli atti, noi non solo elenchiamo i temi e per ciascuno cerchiamo di avanzare proposte precise e articolate, ma spieghiamo anche perché su semplificazione, fisco, ricerca e innovazione e istruzione le riforme che sono state tentate - e i cambiamenti che sono stati applicati in passato negli ultimi vent'anni - non abbiano prodotto i risultati sperati. Altrimenti, sembrerebbe che si venga dalla luna, ma non è così.
Ci sono tante cose da fare e molte si possono realizzare senza costi, con costi bassi o addirittura con risparmi. Al primo punto delle nostre proposte c'è la semplificazione. Non è un caso. Noi abbiamo svolto sondaggi con gli imprenditori, che rispondono sempre citando per prima questione la burocrazia, che è una realtà complessa e attiene sia a come funziona la pubblica amministrazione stessa, sia alla natura delle leggi e delle regole, a come si sovrappongono queste, a come cambiano e se le stesse sono incerte.
Stiamo lavorando costruttivamente con il Ministro Brunetta e con il Ministro Calderoli su proposte di semplificazione. Il nostro auspicio è che tali proposte, che in gran parte già sono state fatte proprie dal Governo e dal Parlamento, possano esserlo sempre di più.
Si pone, poi, un tema di spesa pubblica. Siamo stati invitati a essere concreti su


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dove tagliare. Traggo da un documento del CNEL il dato per cui, dal 1996 al 2008, la spesa per gli apparati delle amministrazioni pubbliche è cresciuta del 226 per cento, a fronte di una crescita del PIL del 157 per cento. Se la crescita di queste voci fosse stata in linea con quella del PIL, si sarebbero spesi 30 miliardi in meno, equivalenti a due punti di PIL.
Quando emerse il problema del disavanzo eccessivo e noi andammo in disavanzo eccessivo, un attimo dopo la Germania, nel 2003, si propose di ridurre di tre punti, in tre anni, la spesa pubblica e ci riuscì. Qualcuno può obiettare che in Italia non si può fare. È stato fatto in tanti Paesi ed è ciò che questo Governo si propone di fare nei prossimi tre anni.
Nel 2013, la spesa pubblica si ridurrà di circa tre punti di PIL rispetto all'anno 2010. Questo è quanto è scritto nella Decisione di finanza pubblica. Nel documento del Ministero dell'economia e delle finanze è prevista una riduzione di circa tre punti in tre anni della spesa pubblica, il che viene postulato nell'assunto che la crescita torni al 2 per cento annuo e che i tassi di interesse non aumentino, se non molto poco: è il minimo indispensabile per evitare che il debito pubblico continui ad aumentare e cominci, invece, a scendere dal 2012 in poi, se non ricordo male.
Stiamo parlando di iniziative che devono essere attuate, che questo Governo si propone di attuare e che altri Governi hanno attuato. Non si tratta di questioni astratte.
Ho l'impressione che ci sia stato un po' questo sentimento. Capisco che possa emergere un poco di stanchezza, dopo tanti anni in cui si sostiene che dobbiamo ridurre la spesa pubblica e il debito pubblico. Non l'abbiamo fatto, ma lo dobbiamo fare. L'unico precedente, se guardate la serie storica, di riduzione della spesa sul PIL è stato l'anno di grazia 1995, a seguito delle manovre che furono attuate dal Governo Amato in poi. In tutti gli altri anni dell'ultimo ventennio la spesa corrente è aumentata molto poco: pur rimanendo più o meno invariata, tendenzialmente è aumentata.
Rispondo ad alcuni quesiti più specifici. La ricerca è evidentemente importante e fondamentale, come avete tutti sostenuto. Noi siamo piuttosto soddisfatti di alcune decisioni che sono state prese in uno dei recenti Consigli dei ministri, quello che si occupava di rilanciare la crescita, perché - quanto meno - sono stati sbloccati alcuni fondi relativi al click day. Sono stati, inoltre, sbloccati fondi relativi a un importante bando del Ministero dell'università e della ricerca scientifica con l'impegno a concluderlo entro l'aprile prossimo.
Per quanto riguarda il credito di imposta, ci rendiamo conto che esiste una perplessità da parte di tutti i Ministri dell'economia e delle finanze e, quindi, abbiamo dato la disponibilità e avanzato proposte circa la possibilità di introdurre un credito di imposta controllato, per evitare che ci siano utilizzi impropri di tale strumento e, al tempo stesso, per salvaguardare un'utile caratteristica del credito di imposta e, anche con riferimento all'ultima domanda che ha posto il presidente e che io prendo un po' alla larga, di evitare improprie mediazioni politiche e burocratiche nell'uso dei fondi pubblici. Questo è il punto sul credito d'imposta.
Dato che mi ritrovo su questo tema, personalmente interpreto la frase di Lombardo nel senso che quel periodo è finito. Prendo atto che è finito.
Molte domande hanno riguardato il Mezzogiorno. In merito, mettiamoci d'accordo: il Mezzogiorno ha un ritardo di sviluppo noto ed è inutile tornarci sopra, però il problema della bassa crescita riguarda il Mezzogiorno tanto quanto il nord, il nord-est e il nord-ovest: il PIL per abitante del nord cresce bene o male allo stesso ritmo. Esiste il divario, ma la crescita è uguale. Ciò significa che esiste un problema di bassa crescita e di bassa competitività anche al nord. Il problema del Mezzogiorno riguarda, da questo punto di vista, davvero l'intero Paese e riguarda tutti, non questo Governo. Il fatto che riguardi la politica e non la società civile è una semplificazione che lascio ai


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talk show. È evidente che esso riguarda tutta la società. C'è un meccanismo che deve essere rimesso in moto, ma anche una responsabilità specifica, che riguarda le classi dirigenti, noi, il Governo e l'opposizione. Si pone un tema di programmazione dei fondi FAS e di Piano per il sud. L'osservazione che possiamo svolgere è che il Piano per il sud messo a punto dal Governo è largamente coincidente con le proposte e con i ragionamenti che noi avevamo svolto e che gran parte della classe dirigente che si occupa di sud aveva sviluppato. Occorreva riprogrammare, concentrare le risorse e via elencando.
L'unica osservazione che possiamo avanzare è che ci colpisce il tempo necessario per compiere tale operazione. Prendiamo atto positivamente del fatto che in un recente Consiglio dei ministri il Ministro Fitto abbia elaborato un cronoprogramma che dovrebbe concludersi, se non ricordo male, con decisioni entro aprile. Noi auspichiamo che tale progetto vada in porto.
Gli investimenti non si possono compiere per un problema di finanza pubblica, è stato detto. Noi sprechiamo un'enormità di opportunità di investimento e di finanziamento nel project financing, nel project bond, nei fondi della BEI, nell'utilizzo dei fondi FAS, per inefficienze e perché, ripetendo ciò che ho affermato prima, abbiamo regole che cambiano, ragion per cui persino l'investitore BEI, che deve attuare il bond financing su un progetto di infrastrutturazione in Italia, è particolarmente cauto e timoroso per il fatto che è difficile in questo Paese, e non da oggi, avere una stabilità del quadro regolatorio, assoluta precondizione perché si possano attuare project financing, bond financing e altre operazioni.
Qualcuno ha sostenuto che non ci siamo occupati di liberalizzazioni. Si tratta, invece, di uno dei temi fondamentali dei quali ci occupiamo. Noi riteniamo che ci sia ancora molto spazio in Italia per promuovere liberalizzazioni, sia a livello nazionale, sia a livello locale, e oggi molto a livello locale. Riteniamo che ci siano energie imprenditoriali che non si sviluppano, perché esistono ancora in gran parte monopoli locali.
Riteniamo che siano passi indietro, come abbiamo riferito molte volte, alcune proposte che riguardano, per esempio, la professione forense in ordine alle tariffe minime. Il rischio che proliferi una domanda di tariffe minime e che anche chi produce ceramiche o acciaio o faccia l'autotrasportatore pretenda a sua volta la tariffa minima è un problema. Ci siamo già pronunciati ampiamente in merito e non siamo d'accordo.
Sulle politiche industriali bisogna intendersi. Noi riteniamo che il grosso delle politiche industriali siano cosiddette orizzontali o dei fattori. Non sono tanto politiche di settore, anche se ci sono alcuni casi in cui è opportuno avere un'idea di che cosa si fa di un settore, quando si parla di energia o di telecomunicazioni. È evidente che sarebbero necessari approfondimenti ad hoc su questi temi.
Anche quando indichiamo le priorità come la green economy, perché dobbiamo raggiungere gli obiettivi europei o comunque avvicinarci a essi, ciò significa che dobbiamo sviluppare alcune iniziative in materia di efficienza energetica e anche di nucleare, secondo noi, come anche di ricerca e sviluppo e di ICT.
Sono le scelte di un Paese che non può collocarsi in concorrenza con i Paesi a bassissimo costo della manodopera, altrimenti l'Italia rimane schiacciata come un sandwich fra la Silicon Valley statunitense o la Medium-tech della Germania e il bassissimo costo del lavoro dei Paesi in via di sviluppo. Dobbiamo trovare una nostra collocazione ed è per questo motivo che noi insistiamo su ricerca e sviluppo, sull'ICT e sulle nuove tecnologie come punti importanti.
Gli obiettivi di Kyoto sono sbagliati e troppo ambiziosi, secondo l'onorevole Polledri. Io sono grato a questo Governo per essere riuscito a evitare, in Europa, che il 20-20-20 divenisse 20-20-30, dove l'unico numero che conta è l'ultimo, cioè la riduzione delle emissioni in atmosfera di gas serra al 30 per cento, anziché al 20 per


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cento. È stata una battaglia durissima che questo Governo ha combattuto e che forse avrebbe combattuto anche un altro Governo, ma è un punto di merito di quest'ultimo. Sembrava impossibile a questo Governo - non posso che prenderne atto - e ai ministri che hanno compiuto questa trattativa in piena sintonia con noi, ridurre ulteriormente le emissioni con riferimento a questo obiettivo, che riteniamo estremamente ambizioso per l'Italia e molto costoso per un Paese che ha un sistema fortemente manifatturiero. Esiste, però, un vizio d'origine su come è stato negoziato tale obiettivo, il che naturalmente comporta un costo notevole e un problema per noi.
Vengo al cuneo fiscale e alle nostre valutazioni in merito alla sua riduzione. Riteniamo che sia stata un'iniziativa utile e, se diamo una priorità a esso in termini di obiettivi di politica e di riforma fiscale, è quella di continuare il lavoro di riduzione del cuneo fiscale. È stato tolto un terzo della componente lavoro dell'IRAP e riteniamo che gradualmente si debba eliminare la rimanente parte. Rimuovere tutta l'IRAP non è possibile, ma la priorità - laddove si liberassero risorse e qualora si riuscisse ad attuare ciò che noi riteniamo opportuno e che questo Governo ha annunciato di voler attuare, e non da oggi, cioè una riforma fiscale che sposti l'onere della tassazione dalle persone alle cose - è di ridurre la differenza fra la busta paga e il costo del lavoro per l'azienda. Si tratta, infatti, di una tassa sull'occupazione e sullo sviluppo. Diamo una valutazione positiva di tutto ciò che si può fare da tale punto di vista.
Una domanda era relativa ai compiti delle imprese. Alcuni di voi hanno sollevato questo tema e hanno chiesto se prima della crisi le imprese si siano date sufficientemente da fare. Noi, come Confindustria, ci sentiamo fortemente impegnati a sollecitare le imprese a dimostrare, con i fatti e con gli esempi di coloro che hanno avuto successo, che devono internazionalizzarsi di più, che devono crescere e che devono patrimonializzarsi.
Stiamo svolgendo questo lavoro e lo consideriamo una parte essenziale. Stiamo tenendo alcuni focus group che stanno coinvolgendo migliaia di imprenditori, in cui prendiamo qualcuno che ha avuto successo, altri che ne hanno avuto meno e vediamo chiaramente come chi ha avuto successo - non ci sono bacchette magiche neanche in quel campo, che è tremendamente complicato - abbia ottenuto determinati risultati. Ci sentiamo impegnati in questa direzione.
Reagiamo, invece, alle prediche. Stiamo parlando di un sistema composto di quasi 2 milioni di imprese, se le consideriamo complessivamente, un sistema sociale che fa parte di questo Paese. Riteniamo che si debbano cercare di capire quali sono i motivi che hanno ostacolato una maggiore internazionalizzazione rispetto, per esempio, alla Germania o una minore patrimonializzazione rispetto ad altri Paesi e lavorare sugli incentivi che si possono dare alle imprese per superare questi ostacoli.
Sono interamente d'accordo con le considerazioni dell'onorevole Vignali e, quindi, non le ripeto, a proposito delle piccole imprese, delle start-up e di iniziative che si possono promuovere per migliorare l'ambiente, in particolare per le piccole imprese.
A proposito del decreto sulle energie rinnovabili, noi stiamo lavorando seduti a un tavolo con i consumatori di energia, in particolare con i consumatori di molta energia, i cosiddetti «energivori», e con coloro che, invece, hanno sviluppato soprattutto il fotovoltaico. Siamo a buon punto - credo - per trovare un percorso di accordo fra queste diverse componenti che abbiamo al nostro interno, in maniera tale da poter proporre tale percorso - e punto di accordo - al Governo e al Parlamento. Spero che esso possa essere reso pubblico al più presto, nel momento in cui tutti avranno espresso il loro accordo su questo tentativo di conciliare interessi che sono obiettivamente diversi. Ci sono legittime aspettative, da un lato, e legittime proteste, dall'altro, per gli alti costi delle energie rinnovabili che finiscono poi in bolletta.


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LUDOVICO VICO. Lei sostiene che il decreto che sposta i termini ad aprile e giugno abbia una ricaduta autentica e vera per decisione del Ministro e del Governo in ordine al conflitto fra energivori e fotovoltaici?

GIAMPAOLO GALLI, Direttore generale di Confindustria. No, non ho affermato questo, ho detto che c'è un problema obiettivo.
Sulle banche in generale il nostro sistema imprenditoriale ha lamentato un problema di difficoltà di accesso al credito. Il sistema bancario ha fatto molto per andare incontro alle imprese, in particolare con le decisioni assunte insieme al Governo sull'avviso comune e sulla cosiddetta moratoria. Adesso l'accordo è stato rinnovato ed è stato deciso di compiere un'uscita morbida da esso, rinnovando per sei mesi la possibilità di moratoria per chi non l'abbia utilizzato.
Al tempo stesso, noi siamo consapevoli, particolarmente in relazione alla normativa di Basilea 3, che, pur non essendo essa ancora totalmente definita ed entrando in vigore in maniera molto graduale, questa impatti già oggi sulle banche, perché alle banche viene richiesto dai mercati e dalle agenzie di rating di aumentare la capitalizzazione e la patrimonializzazione. In una situazione in cui è molto difficile avere accesso al mercato dei capitali, il rischio che sta diventando, e che è già realtà, è che il problema del rapporto fra patrimonio e attivo, che è il tema dell'Accordo di Basilea, venga risolto riducendo l'attivo e, in particolare, i prestiti. Noi abbiamo un forte punto di preoccupazione su questo tema.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Galli, la dottoressa La Monica e i dottori Kraus e Iotti, che sono stati oggi con noi per rappresentarci la loro idea di Paese, nonché per ascoltare le nostre osservazioni.
Rinnovo il mio invito, professor Galli, qualora lo ritenesse utile, a farci pervenire ulteriori elementi di valutazione che possano contribuire all'esame del provvedimento all'ordine del giorno.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,20.

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