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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
3.
Giovedì 8 ottobre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL CREDITO AL CONSUMO

Audizione di esperti:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 12 14 15 16
Carriero Giuseppe Leonardo, Esperto del settore ... 3 12 14 16
Fluvi Alberto (PD) ... 12
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 8 ottobre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 10,40.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di esperti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul credito al consumo, l'audizione di esperti.
Do la parola all'avvocato Giuseppe Leonardo Carriero.

GIUSEPPE LEONARDO CARRIERO, Esperto del settore. Ringrazio innanzitutto per l'invito rivoltomi.
Ho depositato un testo scritto il cui contenuto mi limiterò a riassumere, poiché voglio evitare di sottrarre un tempo eccessivo ai lavori della Commissione.
Il credito al consumo è un tema al quale ho dedicato parte delle mie fatiche scientifiche fin dalla seconda metà degli anni Ottanta, ossia fin da quando fu adottata la prima direttiva comunitaria in materia.
Tenterò di delineare i principali profili di criticità della tutela del consumatore dal punto di vista del diritto positivo, soffermandomi sull'evoluzione del diritto comunitario. Proverò quindi a svolgere alcune considerazioni sul contesto conseguente alla crisi dei mercati finanziari - diverso da quello all'interno del quale si erano sviluppati i lavori preparatori della nuova direttiva sul credito ai consumatori -, nonché in merito all'articolo 33 della legge comunitaria del 2008, recante la delega al Governo per l'attuazione della predetta direttiva. L'ampiezza della delega può comportare, infatti, alcuni problemi interpretativi, in ordine ai quali cercherò di offrire un contributo.
Auspicando che si tratti di un gesto gradito, mi permetto di consegnare alla Commissione due volumi: il primo è la seconda edizione del mio Autonomia privata e disciplina del mercato: il credito al consumo, tomo 31o del Trattato di diritto privato, diretto da Mario Bessone; il secondo, fresco di stampa (edito, come il primo, da Giappichelli), raccoglie gli atti di un convegno tenutosi a Ferrara lo scorso dicembre, al quale ho partecipato, avente ad oggetto proprio la nuova direttiva sul credito ai consumatori.
Ciò premesso, conviene forse muovere dal definire l'oggetto del nostro interesse.
Il credito al consumo può essere qualificato come un importante canale di finanziamento, attraverso il quale la domanda di beni (segnatamente, di beni durevoli: dagli strumenti audiovisivi all'autovettura, ai frigoriferi, e via elencando) e di servizi può essere soddisfatta oltre il limite di reddito del richiedente, mediante il differimento temporale del pagamento.
In origine, tale domanda era soddisfatta dalla più elementare vendita a rate, la nota vendita con riserva di proprietà, e la ripartizione del rischio era quella stabilita dalle corrispondenti disposizioni codicistiche.


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Il codice civile del 1942, pur ignorando la figura del consumatore - nell'ambito dei rapporti contrattuali, muove dal presupposto dell'uguaglianza delle parti del contratto e non si interessa degli status diversificati -, distribuisce il rischio tra venditore e compratore in maniera piuttosto equa. In caso di inadempimento del venditore (che si concreti, ad esempio, nella mancata o ritardata consegna del bene, oppure nella consegna di un bene viziato), valgono i principi generali in materia di reazione da parte dell'acquirente (che oggi definiremmo consumatore), il quale può opporre l'eccezione di inadempimento o domandare la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno. Del pari, nell'ipotesi di inadempimento del compratore, ossia del consumatore, la disciplina specifica di cui agli articoli 1525 e 1526 stabilisce che non basta, per dare luogo alla risoluzione del contratto, un inadempimento qualsiasi, come il mancato pagamento di una rata, ma occorre che l'importo dell'insoluto sia superiore all'ottava parte del prezzo del bene compravenduto.
Questo «piccolo mondo antico» va irrimediabilmente in frantumi nel momento in cui in un'operazione così semplice si inserisce un terzo soggetto. L'inserimento dell'istituto finanziario, effetto della dimensione di massa del fenomeno, determina il passaggio da un'operazione dicotomica, binaria, a un ménage à trois, all'interno del quale i rapporti si scompongono: non vi è più soltanto una vendita a rate, un contratto tra il venditore e il consumatore, ma anche un finanziamento, concesso dall'istituto finanziario, di norma, attraverso un contratto di mutuo.
Tale scomposizione di rapporti rende inapplicabile la disciplina alla quale si è fatto cenno in precedenza. In ipotesi di inadempimento del venditore, il consumatore non potrà lamentare tale circostanza nei confronti dell'istituto finanziatore, ma dovrà continuare a corrispondere le rate del mutuo. Del pari inapplicabile risulterà, in siffatto contesto, l'articolo 1525 del codice civile sull'importanza dell'inadempimento.
La dottrina e anche la giurisprudenza hanno fatto ricorso, allora, alla teoria del collegamento negoziale, che in altro non si risolve - mi scuso con i giuristi - se non nella possibilità di far valere la responsabilità di una delle parti estendendola a un altro soggetto (il collegamento tra i due negozi sul piano causale, della funzione economico-sociale, appare evidente ove si abbia riguardo al nesso tra le singole operazioni economiche. Tuttavia, il tentativo di applicare alla fattispecie la teoria del collegamento negoziale si è rivelato pieno di insidie.
Grazie alla crescente influenza del diritto privato europeo, finalmente nel nostro Paese sono state introdotte regole specifiche. La direttiva 87/102/CEE del Consiglio, del 22 dicembre 1986, colma la lacuna attraverso prescrizioni in tema di trasparenza informativa, volte ad accrescere la consapevolezza del consumatore all'atto della manifestazione del consenso (in primis, quella relativa al costo effettivo del credito, al tasso annuo effettivo globale, espresso mediante l'acronimo TAEG), nonché di ripartizione del rischio, tema che ci interessa più da vicino.
Il primo insieme disciplinare, in realtà, è prevalente, essendosi il legislatore di Bruxelles limitato a prevedere, nell'ipotesi di inadempimento del consumatore, il limite dell'ingiustificato arricchimento, già contemplato dall'articolo 2041 del codice civile: nemo locupletari potest cum aliena iactura.
Dal punto di vista che ci interessa di più, ovvero quello dell'inadempimento del venditore, la direttiva prevede la possibilità di agire nei confronti del finanziatore solo nel caso in cui si sia previamente proceduto nei confronti del venditore o fornitore senza ottenere soddisfazione. Insomma, il diritto del consumatore di procedere nei confronti del creditore è subordinato alla ricorrenza di presupposti particolarmente restrittivi. Si comprende bene come, in un contesto nel quale la durata del processo civile è particolarmente lunga, come in Italia, tale strumento, dal punto di vista dell'enforcement, si riveli di fatto inefficace.


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Tale disciplina viene recepita con la legge n. 142 del 1992 (legge comunitaria per il 1991) e, successivamente, è inserita nel titolo VI (articoli 115 e seguenti) del Testo unico in materia bancaria e creditizia, dedicato alla trasparenza delle condizioni contrattuali inerenti a operazioni e servizi offerti da banche e intermediari finanziari.
Diversamente dalla normativa in materia di trasparenza, che è, per così dire, a soggetto indifferente, cioè si applica quale che sia la controparte della banca (consumatore, professionista, esercente un'attività autonoma, imprese di piccole, medie o grandi dimensioni), la disciplina del credito al consumo - mi permetto di sottolinearlo perché si tratta di un profilo importante - si applica esclusivamente nei casi in cui controparte della banca sia il consumatore. Non troverà applicazione, ad esempio, nei confronti di una piccola impresa o di un avvocato.
Quest'ultima consta, in conformità alla direttiva, di norme di informazione obbligatoria e di norme di protezione o riequilibrio eteronomo del rapporto.
Il nocciolo duro delle norme di protezione è costituito dall'articolo 125 del TUB, che finalmente estende l'applicazione dell'articolo 1525 del codice civile - che abbiamo richiamato a proposito dell'importanza dell'inadempimento - alle operazioni di credito al consumo.
Naturalmente, si apre un delicato dibattito volto a stabilire se l'ottava parte del prezzo si riferisca al bene compravenduto o al finanziamento. La dottrina maggioritaria ritiene debba farsi riferimento all'ammontare complessivo del finanziamento, e io sicuramente aderisco a tale tesi, più garantista nei confronti del consumatore.
Soprattutto, si tratta di risolvere il problema dell'allocazione del rischio per responsabilità.
Nel 2005 parte del previgente articolo 125 del Testo unico bancario rifluisce, senza alcuna modifica, nell'articolo 42 del codice del consumo. Diversamente dalla direttiva, che, come abbiamo visto, subordinava il diritto di procedere nei confronti del finanziatore al previo esperimento dell'azione contro il fornitore senza avere ottenuto soddisfazione, il citato articolo 42 stabilisce che, nei casi di inadempimento del fornitore di beni e servizi, il consumatore che abbia effettuato inutilmente la costituzione in mora, ha il diritto di agire contro il finanziatore nei limiti del credito concesso, a condizione, tuttavia, che sia intervenuto un accordo che attribuisce al finanziatore l'esclusiva per la concessione di crediti ai clienti del fornitore. Deve esservi dunque un accordo, tra l'istituto finanziario e il fornitore, in base al quale tutti i clienti del secondo, per le operazioni di credito al consumo, dovranno rivolgersi esclusivamente al primo. Se ciò non si verifica, il consumatore non può proporre l'azione di responsabilità nei confronti del finanziatore.
È agevole comprendere come sia possibile aggirare tale condizione: basta inserire nel contratto di credito al consumo una clausola in cui si dichiara assente qualsiasi vincolo di esclusiva (il che può essere anche contrario alla realtà). Peraltro, il consumatore italiano non ha la discovery, ossia non ha la possibilità di acquisire le prove di un accordo diverso rispetto a quello dichiarato. Si tratta quindi di un limite consistente all'operatività della norma, la quale - lo ripeto, ma torneremo su ciò più avanti - è stata recepita senza alcuna modifica nel codice del consumo.
L'evoluzione del diritto privato europeo ha condotto alla nuova direttiva 2008/48/CE, del 23 aprile 2008, relativa al credito ai consumatori.
Lo scenario economico che ha caratterizzato i lavori di revisione della pregressa disciplina era rappresentativo di una consistente e duratura crescita dei volumi di attività di credito al consumo all'interno dell'Unione, in termini tanto assoluti quanto percentuali. Nel decennio tra il 1990 e il 2000, all'interno dell'area dell'Unione europea si registrava un incremento del tasso di crescita del credito al consumo di circa il 6,64 per cento (tutti i dati che citerò sono tratti dalle relazioni annuali della Banca d'Italia). Tale andamento


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si consolidava negli anni successivi. Emblematicamente, in Italia corrispondeva, quanto a volume complessivo dei finanziamenti, al 2,8 per cento del PIL del 2004: valore in sé elevato, ancorché notevolmente inferiore a quello di altri Paesi dell'area euro, in media pari al 6,8 per cento. Nel 2007 il credito al consumo erogato da banche e società finanziarie vigilate aumentava ancora in misura considerevole.
In un contesto nel quale il credito al consumo cresceva nei singoli Paesi dell'Unione, ma non nelle operazioni cross-border, transfrontaliere, il legislatore comunitario maturava l'orientamento di incentivare la conclusione di tali operazioni. La lievitazione del volume di attività del comparto avrebbe introdotto maggiore concorrenza, riduzione dei prezzi e - anche se non direttamente - una migliore tutela del consumatore: questo il ragionamento sviluppato dal legislatore di Bruxelles nel corso di quegli anni.
Ciò è testimoniato dalla circostanza che la Grundnorm richiamata nel preambolo della direttiva è non l'articolo 153 del Trattato istitutivo, norma dedicata alla tutela dei consumatori (ai sensi della quale i singoli Stati membri possono legittimamente prevedere discipline e tutele diverse, purché più favorevoli al consumatore), ma l'articolo 95, cioè la disposizione che regola interventi comunitari relativi al ravvicinamento delle legislazioni nazionali nel quadro della realizzazione del mercato interno.
Le tecniche giuridiche impiegate per conseguire l'obiettivo risiedono nella massima armonizzazione delle discipline, realizzata, tuttavia, con modalità discordanti rispetto all'approccio e alle caratteristiche della fonte utilizzata (direttiva, anziché regolamento). Infatti, l'intervento dei legislatori nazionali è circoscritto ad aspetti ritenuti non essenziali.
In definitiva, tale politica legislativa è prioritariamente volta a fare in modo che i creditori, cioè le imprese finanziarie, possano concepire forme di credito ai consumatori valide per tutta l'UE, senza doversi necessariamente conformare a ventisette differenti normative nazionali. Il sospetto - o forse la certezza - è che la disciplina sia tesa a favorire il mercato, più che il consumatore.
Lo testimonia anche la circostanza che, nel corso dei lavori preparatori, sono stati esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva due istituti di tutela del consumatore che erano contemplati nella proposta originaria. Il primo consisteva nell'estensione della disciplina anche alle fideiussioni, alle garanzie personali del consumatore. Il secondo era costituito da alcuni accorgimenti (ad esempio, banche di dati) volti a sovvenire al problema del cosiddetto sovraindebitamento del consumatore (come ci dicono le statistiche, molto spesso causato da eventi traumatici, quali la perdita del posto di lavoro, disfunzioni nell'ambito familiare o danni gravi alla salute, ai quali occorre in qualche misura far fronte). L'ampliamento alle garanzie personali del consumatore viene meno a causa delle differenti posizioni espresse al riguardo dagli Stati, mentre la parte concernente il sovraindebitamento del consumatore è fondamentalmente annacquata.
Cosa rimane e quali sono gli istituti topici della nuova direttiva?
Da un lato, sotto il profilo soggettivo, si registra, forse, un arretramento della tutela rispetto al diritto interno. Invero, mentre il Testo unico bancario prevede che la disciplina del credito al consumo si applichi non soltanto all'impresa bancaria o finanziaria che eroga direttamente il credito, ma anche, all'interno della catena distributiva, al mediatore creditizio o all'intermediario finanziario che colloca i contratti, e via discorrendo, la direttiva prevede che, qualora il contratto di finanziamento sia offerto o concluso da chi operi nella catena distributiva, si applichino soltanto alcuni istituti, sia pure lasciando agli Stati membri un margine di intervento.
La direttiva prevede, invece, informazioni pubblicitarie dalla portata più ampia rispetto alla vigente disciplina italiana in tema di trasparenza bancaria, che si applica, in parte, anche al credito al consumo.


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In questo caso, però, c'è un trade-off: la forbice dell'asimmetria informativa si allarga, nella gran parte dei casi per carenza di informazione, ma anche - come ci insegna l'analisi economica del diritto - per eccesso di informazioni non utilmente spendibili da parte dell'oblato. Anticipare gli obblighi informativi dal momento prenegoziale della trattativa, e quindi del collocamento del prodotto, a quello della pubblicità significa fornire informazioni che al consumatore potrebbero non interessare, e che potrebbero addirittura confonderlo, segnatamente ove le stesse siano propalate attraverso mezzi televisivi o radiofonici.
È soprattutto in punto di responsabilità del finanziatore per fattispecie di inadempimento del fornitore che la direttiva evidenzia consistenti limiti rispetto al diritto interno. Infatti, l'articolo 15 conferma che è possibile agire nei confronti del creditore soltanto dopo avere esperito inutilmente l'azione nei confronti del fornitore e ove ricorra il presupposto della sussistenza di un «contratto di credito collegato». Stando alla relativa definizione, tale fattispecie è subordinata alla cumulativa ricorrenza di due requisiti: il credito deve servire «esclusivamente a finanziare un contratto relativo alla fornitura di merci specifiche e alla prestazione di servizi specifici»; i due contratti devono costituire oggettivamente un'unica operazione commerciale. Fortunatamente, anche in questo caso è consentito l'intervento derogatorio, da parte dei singoli Stati membri, nell'attuazione della direttiva.
Il mondo, nel frattempo, è cambiato. I tumultuosi eventi recenti, sviluppatisi con grande rapidità e intensità, disegnano un contesto economico diverso e quasi giustapposto rispetto a quello preso a riferimento dal legislatore comunitario.
Le cause della crisi finanziaria sono molteplici e non tutte chiare, fatta naturalmente eccezione per quella scatenante, rappresentata dalla cartolarizzazione dei famigerati mutui sub-prime (tuttavia, com'è stato efficacemente detto, imputare la crisi unicamente a tale fenomeno equivale a ricondurre il primo conflitto mondiale ai soli fatti di Sarajevo). Gli effetti, certi nella loro drammaticità anche sociale, restano di difficile quantificazione e identificazione, e non è definitivamente escluso che estensioni progressive dello tsunami possano ulteriormente interessare i fruitori, nelle diverse forme, di credito al consumo. Importanti segnali non mancano.
Sui versanti dei salvataggi bancari e, più in generale, dell'offerta, la gamma dei possibili rimedi macroeconomici, in atto e in prospettiva, è amplissima e comprende misure inedite o, per contro, già sperimentate in epoche remote (mi riferisco alla legge bancaria del 1936, che ridisegnò l'assetto del sistema creditizio nel segno della separazione tra credito a breve e a lungo termine).
Il problema riguarda, tuttavia, anche la domanda, segnatamente gli incentivi atti a sostenerla e a rinvigorirla. Riguarda, cioè, tanto il credito quanto il consumo.
Va incidentalmente rammentato che, a dicembre del 2008, il tasso di crescita del credito al consumo era di poco inferiore al 10 per cento, rispetto a un'espansione massima al 15 per cento alla fine del 2007. Esso, quindi, decresce considerevolmente (di cinque punti) e non può prescindere dall'introduzione di nuove, più incisive e, soprattutto, più effettive regole di tutela del consumatore, idonee a ricostituire la cornice giuridica sottesa ad assetti fiduciari incrinatisi considerevolmente.
Ciò porta a ritenere che, in tempi non molto lunghi, lo stesso legislatore di Bruxelles possa ritornare sui propri passi, in termini di rivisitazione della direttiva in senso più favorevole al consumatore.
Occorre intanto, entro il 12 maggio del 2010, provvedere all'attuazione della direttiva stessa. Non potendo il legislatore domestico, considerata l'urgenza, omettere di confrontarsi con le nuove, inattese e traumatiche variabili economiche, bisognerà governare al meglio l'unico strumento consentito, quello delle scelte opzionali, nel ristretto ambito delle materie (o dei segmenti di materie) non coperte da armonizzazione massima.
All'attuazione della direttiva è dedicato l'articolo 33 della legge comunitaria 2008.


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Mette conto anticipare che i contenuti della legge di delega sono per taluni aspetti generici e per altri di difficile lettura. Si proverà, nel seguito, a suggerirne un'interpretazione per quanto possibile razionale e coerente con i principi ispiratori della materia, tanto italiani quanto europei.
Mi è capitato di leggere un interessante rapporto, prodotto, nel luglio di quest'anno, dalla Commissione speciale incaricata di valutare le proposte di legge francesi sul credito ai consumatori. L'interessante, ricco e ponderoso lavoro (di circa 450 pagine) dà esecuzione al mandato governativo di procedere non già al pedissequo recepimento della disciplina europea, quanto, piuttosto, a larghe modifiche della sezione del Code de la consommation dedicata alla materia, nella dichiarata consapevolezza che, a fronte degli effetti della crisi economica, «la confiance des consommateurs doit être préservée pour continuer à soutenir l'activité» e per questa via attuare l'obiettivo riassunto, a mo' di slogan, dall'adagio «più credito, meno eccessi».
La sottesa opzione di politica economica è di manifesta evidenza: a fronte del crescente debito pubblico indotto dalle misure di salvataggio degli intermediari finanziari, spazi e risorse tradizionalmente destinati a favorire importanti prestazioni sociali si assottigliano notevolmente. In tale mutato contesto, ben può una più efficiente disciplina dell'istituto favorire il soddisfacimento di bisogni primari - tra gli altri, quelli della salute, in specie delle cure sanitarie, e dell'istruzione - altrimenti destinati (soprattutto per le fasce economiche più esposte) a rimanere inevasi.
È appena il caso di osservare come tale impostazione concili, sapientemente e con grande equilibrio, due essenziali funzioni del diritto solo apparentemente e superficialmente valutabili quali antitetiche: quella promozionale sul piano sociale e dei valori fondativi - in sintesi, la funzione equitativa - e quella dinamica in punto di efficienza e di crescita economica. Infatti, i lavori di autori nordamericani e di istituzioni quali il Fondo monetario internazionale o la Banca mondiale sottolineano come il diritto sia importante anche ai fini della crescita economica: introducendo nei Paesi dell'Africa Sub-sahariana istituti elementari quali la proprietà, il contratto e la responsabilità civile, il PIL pro capite cresce in misura anche considerevole.
Lo strumentario a favore del consumatore (nonché dell'impresa finanziaria, per rendere il credito anche bilateralmente «responsabile») viene arricchito attraverso l'introduzione di tecniche che vanno da banche dati obbligatorie a regimi di solidarietà contrattuale, da forme di microcredito personale a procedure di riabilitazione conseguenti all'insolvenza civile, da nuove regole relative al tasso di usura all'ampliamento della sfera di operatività dell'istituto. I limiti di questa audizione non mi consentono di esaminare nel dettaglio tali istituti. Basti averli citati.
Ritornando alla delega, essa ha ad oggetto non soltanto l'attuazione della nuova direttiva sul credito al consumo, ma anche modifiche e integrazioni della disciplina relativa ai soggetti operanti nel settore finanziario, ai mediatori creditizi e agli agenti in attività finanziaria.
Poiché quest'ultima parte della delega è, naturalmente, estranea al perimetro della direttiva, si potrebbe revocare in dubbio la coerenza dell'intervento normativo. Tuttavia, ritengo importante che il legislatore si sia soffermato sulla materia da ultimo menzionata, per tre ragioni.
La prima è che la regolamentazione ad hoc dell'intermediazione finanziaria risale, nel nostro ordinamento, a provvedimenti dei primi anni Novanta (la legge è del 1991), che erano ispirati dal diverso obiettivo del contrasto al riciclaggio. La disciplina si è evoluta, ma non quanto sarebbe necessario per provvedere a un'efficace supervisione nei confronti degli intermediari abilitati; e poiché tale supervisione, nell'ambito della distribuzione dei contratti di credito al consumo, è essenziale, penso sia importante che il legislatore si sia fatto carico di ammodernarla.


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La seconda importante ragione risiede nella circostanza che, nel frattempo, si è evoluto il mondo: nel senso che, un tempo, sia la vigilanza sia i controlli antiriciclaggio erano svolti dal soppresso Ufficio italiano dei cambi, le cui funzioni sono state trasferite direttamente alla Banca d'Italia per quanto riguarda la supervisione sugli intermediari finanziari, nonché all'Unità di informazione finanziaria per ciò che attiene, invece, alla funzione di prevenzione e contrasto del riciclaggio.
Nei termini specificati, l'intervento del legislatore è, dunque, coerente.
Infine, guardando più da vicino alla materia della quale ci stiamo occupando, ravviso un terzo elemento di coerenza nella circostanza che, dopo la legge comunitaria 2008, diventa dubbia la possibilità di applicare pedissequamente la parte della direttiva che prevede minori controlli con riferimento alla fase della distribuzione. I controlli nei confronti dei distributori dovranno essere uguali a quelli nei confronti degli emittenti. Giudico positivo tale ampliamento.
L'articolo 33 della legge comunitaria 2008 è avaro di principi e criteri direttivi in ordine all'attuazione della direttiva europea sul credito ai consumatori, ma netto e univoco nella scelta sulla discussa collocazione della futura regolamentazione. Poiché questa dovrà apportare le necessarie modifiche e integrazioni al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, sarà abbandonato il vigente assetto binario e, a fortiori, ogni ambizione di far rifluire l'intera disciplina nell'ambito del codice del consumo.
L'opzione è chiara, ma tutt'altro che pacifica o scontata. Una parte consistente (e forse maggioritaria) della dottrina italiana ritiene infatti impropria, segnatamente sotto il profilo sistematico, la scelta a suo tempo effettuata, e ora reiterata, di collocare la disciplina del credito al consumo all'interno del Testo unico bancario (ciò anche rammentando la diversa esperienza francese).
La mia posizione è, per contro, dichiaratamente adesiva rispetto alla scelta compiuta dal legislatore delegante.
Innanzitutto, ritengo che inserire la materia del credito al consumo all'interno del Testo unico bancario significhi stimolare, sollecitare la protezione del consumatore anche da parte dell'autorità di settore. Se volgiamo lo sguardo a ciò che sta accadendo oltreoceano - dove si assiste al tentativo del Presidente Obama di introdurre misure dirette di tutela del consumatore, esercitabili anche attraverso il canale della sorveglianza finanziaria - comprendiamo quanto possa essere importante tale forma di sollecitazione.
Inoltre, inserire tale materia nell'ambito del Testo unico bancario significa rafforzare la tutela del consumatore, in quanto alla possibilità di ricorrere al giudice ordinario - assolutamente speculare rispetto al codice del consumo - si aggiunge la sottoposizione dell'intermediario ai poteri di vigilanza della Banca d'Italia, la quale provvede, all'occorrenza, a sanzionarne i comportamenti.
La comparazione - ho sempre presente il modo in cui operano gli altri - offre sul punto un dato di sicuro interesse: con l'unica eccezione della Francia, tutti gli altri Paesi dell'Unione europea che hanno codificato il diritto dei consumi in testi variamente denominati hanno tuttavia scelto di non contemplare in tali codici la materia del credito al consumo, affidandone la relativa disciplina a specifici provvedimenti legislativi (da ultimo, la legge portoghese, che mi è capitato di leggere alcuni giorni fa). La sensazione è perciò che venga ovunque percepita la peculiarità dei problemi posti da queste fattispecie e la conseguente difficoltà di collocare le relative regole giuridiche nel contesto di provvedimenti omnibus dedicati ai contratti dei consumatori.
Ciò premesso, non posso tuttavia omettere di considerare, sul piano più propriamente tecnico, come la chiarezza della scelta del legislatore delegante sia offuscata da alcuni complementari principi di delega di dubbia comprensione.
Mi riferisco, in primo luogo, alla lettera c) del primo comma dell'articolo 33, ove si prevede il coordinamento (che riterrei principalmente circoscritto alla nullità


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delle clausole relative alla commissione di massimo scoperto) del titolo VI del Testo unico bancario con le cosiddette leggi Bersani e Bersani-bis e con il più recente decreto-legge n. 185 del 2008, recante misure urgenti anticrisi, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009. È difficile immaginare un'attinenza di tali discipline con la materia del credito ai consumatori, o anche soltanto della trasparenza bancaria: esse incidono, invece, più in generale, su taluni istituti e/o su talune clausole in uso nell'ambito di particolari contratti bancari. Si tratta di cose diverse.
Mi riferisco, ancora, alla lettera f) del medesimo comma, che impone di coordinare il TUB con le altre disposizioni aventi ad oggetto la tutela del consumatore. In merito, non è chiaro se l'idea sottostante sia di traslare nel Testo unico bancario disposizioni o frammenti di disposizioni di leggi speciali che, a vario titolo, riguardano il consumatore o, piuttosto, il risparmiatore. La differenza non è di poco conto, poiché il coordinamento potrebbe avere a oggetto, a seconda dei casi, poche leggi ovvero l'enorme congerie di provvedimenti nell'uno e nell'altro modo relativi ai contratti dei consumatori (per citarne alcuni, dalla disciplina delle clausole vessatorie alle vendite a distanza dei servizi finanziari; dai contratti conclusi fuori dai locali commerciali alle pratiche commerciali scorrette). Non è chiaro, inoltre, se il coordinamento riguardi la sola informazione obbligatoria e la trasparenza o anche le regole di comportamento e quelle di invalidità, né come si concili il ruolo della Banca d'Italia - che in questo caso davvero non si concilia - con quello attualmente svolto da altre autorità (penso, ad esempio, con riferimento alle pratiche commerciali scorrette, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ma anche, dopo il parere del Consiglio di Stato del 3 dicembre 2008, n. 3999, alla Consob e all'Isvap).
Ancora più difficile risulta la comprensione della lettera a) dello stesso comma 1. Trattasi di disposizione davvero singolare, il cui senso letterale «fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse» confligge apertamente con la «intenzione del legislatore» (si tratta dei due argomenti interpretativi richiamati nel primo comma dell'articolo 12 delle preleggi, dedicato proprio all'interpretazione della legge). Nel prevedere testualmente l'estensione, in tutto o in parte, degli strumenti di protezione del contraente debole previsti dalla direttiva 2008/48/CE - la quale protegge non il contraente debole ma il consumatore, solo il consumatore - ad altre tipologie di finanziamento a favore dei consumatori, la norma inverte manifestamente i termini della questione. Riferisce, cioè, gli strumenti di protezione del contraente debole alla direttiva, che ha invece ad oggetto i contratti di credito ai consumatori, prevedendo l'estensione di tali tecniche di tutela ad altre tipologie di finanziamento diverse dal credito al consumo, ove la parte debole molto spesso non riveste la qualifica soggettiva di consumatore (che è, invece, il secondo termine di riferimento della disposizione). Essa va letta, pertanto, al contrario, muovendo dal consumatore, ed estendendo le relative norme di protezione contemplate dalla direttiva a colui che riveste la qualità di contraente debole.
Anche così, tuttavia, i problemi non mancano. Per la prima volta, almeno a mia memoria, è adoperata nel linguaggio legislativo, onde qualificare il destinatario delle norme di protezione, l'espressione «contraente debole», in voga soprattutto nei tardi anni Settanta e rappresentativa di una categoria soggettiva indefinita e incerta. Finora, l'espressione è stata utilizzata nel solo ambito semantico dottrinale (dal quale è trasmigrata anche nel lessico generale), ma esclusivamente in guisa di sintesi verbale con funzione descrittiva degli interessi di volta in volta contrapposti all'impresa. Trattasi, perciò, di categoria sociologica, di difficile identificazione giuridica, dai confini mobili e incerti, che sconta l'assenza di parametri oggettivi o solo di indicatori. Sono ben noti, peraltro, le difficoltà incontrate e gli sforzi compiuti dalla dottrina e dalla giurisprudenza per estendere le norme di


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protezione del consumatore ad altre figure contrattuali. I recenti studi sul «terzo contratto» testimoniano tangibilmente gli ostacoli che si frappongono, sul piano scientifico, all'enucleazione di principi teorici in grado di giustificare un terzo modello disciplinare (il «primo contratto» è quello del codice civile, il contratto tra uguali; il secondo è il contratto del consumatore) del quale sono parti due imprenditori, l'uno in condizioni di dipendenza economica dall'altro (mi riferisco, per esempio, alla subfornitura, oppure ai ritardati pagamenti nelle transazioni commerciali).
A fronte di un'evoluzione incompiuta e incerta, con riguardo a famiglie di soggetti predefinite o almeno predefinibili, l'indeterminatezza del legislatore delegante può creare problemi applicativi. Né aiuta la successiva precisazione che subordina l'estensione alla ricorrenza di «analoghe esigenze di tutela alla luce delle caratteristiche ovvero delle finalità del finanziamento». Infatti, ove in ipotesi controparte dell'intermediario finanziario sia l'impresa, difficilmente le finalità del finanziamento potrebbero coincidere con quelle del soddisfacimento della domanda di beni durevoli (o essere anche soltanto assimilabili ad esse), dal momento che l'impresa accede al finanziamento - non al credito al consumo - per altri obiettivi, come il perseguimento del proprio oggetto sociale. D'altro canto, la stessa analogia delle esigenze di tutela risulta quanto meno dubbia ove si rifletta sulla circostanza che la disciplina speciale del credito al consumo si giustifica per l'esistenza di un rapporto trilatero, mentre non ha normalmente a oggetto contratti di finanziamento che prescindono dalla funzione del consumo.
Quanto esposto evidenzia la mancanza di specifici criteri di delega relativi alle questioni in relazione alle quali la direttiva comunitaria consente margini di libertà e di autonomia ai legislatori nazionali. Tra queste, soprattutto quella della responsabilità del finanziatore è rappresentativa, per la sua importanza, della concreta linea di policy che si intende perseguire.
La questione non è nuova. Ricordo soltanto che, nell'ambito dei lavori relativi al codice del consumo, l'ipotesi di espungere dalla norma dell'articolo 42 l'inciso concernente l'accordo di esclusiva - di cui abbiamo già detto -, pur condivisa dal Consiglio di Stato, aveva formato oggetto di specifici rilievi critici, segnatamente da parte dell'ABI. Unitamente a valutazioni più generali, concernenti il possibile incremento del prezzo del contratto, derivante dalla necessità per il finanziatore di ricorrere a coperture assicurative, tali rilievi non sono risultati ininfluenti sulla definitiva scelta di recedere dall'intento riformatore.
Preso doverosamente atto di ciò, non mi sembra tuttavia più possibile, atteso il ricordato diverso contesto di riferimento, sottrarsi al compito di fornire una soluzione al problema.
Tra i due estremi, rispettivamente rappresentati dall'inazione e dal riconoscimento a tutto tondo della responsabilità solidale del finanziatore nell'ambito dei negozi collegati, esistono momenti intermedi di più coerente e razionale bilanciamento degli interessi economico-patrimoniali contrapposti.
La fantasia giuridica nell'individuazione delle relative tecniche è decisiva. Al solo fine di addurre alcuni spunti di riflessione alla Commissione, osservo, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, come sarebbe possibile modificare la norma prevedendo che l'estensione dell'eccezione di inadempimento nei confronti del finanziatore non risulti subordinata alla sussistenza della clausola di esclusiva (la quale giocherebbe un ruolo soltanto ai fini del risarcimento del danno) e introducendo al riguardo l'inversione dell'onere della prova, nel senso che non dovrà essere il consumatore a farsi carico di dimostrare l'esclusiva, ma dovrà essere la banca a provarne l'inesistenza. Ciò potrebbe produrre una più equilibrata ripartizione del rischio contrattuale senza incidere in maniera consistente sul prezzo dell'operazione.


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Non può peraltro omettersi incidentalmente di ricordare che, anche con riguardo alla materia in rassegna, la via maestra per il perseguimento del divisato obiettivo di un più ridotto costo del denaro, strutturalmente connesso all'abbattimento di rendite di posizione e di extraprofitti, risiede non nella scorciatoia costituita dalla predetta subordinazione, ma in una maggiore concorrenza dinamica tra gli operatori del settore.
In ogni caso, tutto è ora rimesso al legislatore delegato. L'auspicio è che il Governo sappia fare buon uso di così ampia discrezionalità attraverso una compiuta analisi del fenomeno sotto i diversi profili economico, sociale e soprattutto giuridico. I lavori di codesta Commissione potranno, a tale scopo, risultare preziosi.
Mette solo conto, in conclusione, ribadire l'importanza, per un razionale riassetto sistematico della materia, della complementare proposta di legge n. 2364, approvata dal Senato della Repubblica il 1o aprile e ora all'esame della Camera, il cui capo secondo introduce una specifica e indispensabile disciplina relativa al procedimento per la composizione delle crisi da sovraindebitamento.
È necessario addivenire a una disciplina organica e stabile del credito al consumo, a una disciplina duratura, superando quei «tanto sottili Provvedimenti ch'a mezzo novembre non giunge quel che tu d'ottobre fili» per i quali Dante rampognò la città di Firenze nel Canto VI del Purgatorio. Grazie.

PRESIDENTE. Ringraziamo l'avvocato Carriero.
Credo che, dopo la sua esposizione, il panorama che abbiamo di fronte sia ancora più complesso, essendovi implicazioni di natura giuridica particolarmente intricate.
Do la parola ai deputati che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ALBERTO FLUVI. Non è molto semplice porre domande, e neanche digerire, per così dire, un'esposizione come quella che abbiamo ascoltato.
Vorrei soffermarmi su un punto, in particolare, ed eventualmente chiedere un'ulteriore precisazione. Se ho ben capito, avvocato Carriero, in merito alla vigilanza, lei ha fatto riferimento alla necessità di inserire le norme sul credito al consumo fra le attività vigilate dalla Banca d'Italia.

GIUSEPPE LEONARDO CARRIERO, Esperto del settore. Ho fatto riferimento alla bontà della scelta effettuata dal legislatore quando ha confermato, con la legge comunitaria 2008, l'inserimento della materia nell'ambito del Testo unico bancario.

ALBERTO FLUVI. In linea teorica, potremmo isolare due corni del problema, individuando soluzioni che, almeno dal punto di vista teorico, dovrebbero procurare vantaggi ai consumatori: da una parte, vi è la necessità di introdurre maggiore concorrenza nel settore; dall'altra, quella di prevedere norme più stringenti dal punto di vista della vigilanza.
Mi interessa soffermarmi sul secondo aspetto, relativo alla vigilanza, perché, ragionando sempre dal punto di vista teorico, ho l'impressione che i soggetti deputati alla vigilanza - segnatamente, la Banca d'Italia, di cui non è in discussione la competenza - abbiano come mission più la stabilità del sistema che la tutela del consumatore.
La mission di Banca d'Italia può essere, allora, la tutela del consumatore attraverso la garanzia della stabilità del sistema. Altre autorità garanti - penso all'Antitrust o alla Consob - dovrebbero avere, e hanno, come mission quella di dare maggiore rilievo alle tematiche di interesse del consumatore, per lo meno sul piano teorico.
Vorrei, se è possibile, un chiarimento ulteriore, avvocato, rispetto a quanto ci ha già detto.

GIUSEPPE LEONARDO CARRIERO, Esperto del settore. La ringrazio per la domanda, onorevole Fluvi, perché tocca davvero un punto nevralgico. La sua impostazione


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è correttissima dal punto di vista istituzionale e - aggiungo - anche da quello dei riferimenti.
Nell'ambito delle tre discipline di settore - abbiamo il Testo unico bancario per il settore bancario, il Testo unico della finanza per i mercati mobiliari e il codice delle assicurazioni per il mercato assicurativo - vi sono tre norme chiave relative alle finalità della vigilanza.
Mentre le finalità di vigilanza della Consob e dell'Isvap sono espressamente indirizzate, rispettivamente, alla tutela dell'investitore e del consumatore, l'articolo 5 del Testo unico bancario, nel fissare le finalità della vigilanza, fa riferimento alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all'efficienza e alla competitività del sistema finanziario, senza fare alcuna menzione della tutela del consumatore. Ciò conferma, anche dal punto di vista dell'impalcatura teorica, la correttezza della sua osservazione, onorevole Fluvi.
Io trovo, invece, che, anche nel settore bancario e creditizio, e forse soprattutto in esso, non si possa prescindere dalla tutela del consumatore.
Quanto all'allocazione di tale tutela, lei distingue, altrettanto correttamente, una tutela diretta da una indiretta, che si realizza per il tramite della concorrenza. Io mi permetto di nutrire dubbi circa la coincidenza della tutela indiretta con il cosiddetto triangolino del consumatore - concentrazione, intesa e abuso di posizione dominante - garantito da parte dell'authority di settore.
A mio modo di vedere, la concorrenza per la tutela del consumatore dovrebbe essere intesa, come nella riforma del Titolo V della Costituzione, quale concorrenza dinamica, atta a promuovere la parità di condizioni di partenza per quel che riguarda l'accesso al mercato, nonché l'eliminazione di rendita, ultraprofitti e via elencando.
Se si ipotizza che tale concetto di concorrenza dinamica sia sussunto nell'ambito della competitività - di cui il Testo unico bancario fa tuttora menzione, nonostante la legge sul risparmio abbia sottratto qualsiasi potere in materia di concorrenza alla Banca d'Italia -, allora si può ritenere che anche la relativa funzione di tutela possa essere svolta dalla Banca centrale. Se, invece, si opina che il riferimento alla competitività contenuto nell'articolo 5 del TUB non costituisca un paradigma normativo sufficiente a garantire questo tipo di risultato, occorre individuare un'unità del sistema che sia istituzionalmente deputata allo svolgimento della specifica funzione di tutela.
Ritornando alla prima parte della sua domanda, onorevole Fluvi, preso atto che nell'ambito del Testo unico bancario non c'è una norma che - quanto alle finalità della vigilanza - abbia ad oggetto la tutela del consumatore, il mio è un wishful thinking: spero che l'evoluzione dell'ordinamento sia nel senso di consegnare la predetta funzione alla Banca d'Italia. Certamente aiuterebbe se, insieme alla disciplina del credito al consumo, nell'ambito della rivisitazione generale delle istituzioni, fosse allocata una missione specifica di tutela del consumatore.
Faccio riferimento alla Banca d'Italia perché essa ha esercitato tale ruolo a partire dal 1993, da quando, cioè, la disciplina del credito al consumo è stata accorpata negli articoli 121 e seguenti del Testo unico bancario. All'inizio, parte della dottrina si è chiesta perché ciò fosse avvenuto: se il Testo unico bancario disciplina materie connotate da un'impronta pubblicistica, per quale motivo vi è contemplata la tutela del consumatore?
La mia risposta è che nel mercato del credito c'è stata un'evoluzione: dalla foresta pietrificata alla concorrenza. Una variabile che era un tempo assolutamente indipendente, quella dell'efficienza, è diventata dipendente: se sono elementi dati il numero delle banche e degli sportelli, nonché gli ambiti territoriali entro i quali le banche operano (ricordiamo tutti l'assetto previgente), è determinata o determinabile anche la clientela, costretta al più brutale take it or leave it. In tale contesto, il contratto, più che sinallagmatico, diventa quasi di somministrazione (come nel caso dell'energia elettrica o del gas). Viceversa,


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nel diverso contesto di concorrenza, l'efficienza diventa variabile dipendente: la banca potrà acquisire fasce ulteriori di clienti solo comportandosi, dal punto di vista dell'efficienza e dei prezzi, in maniera virtuosa. Tutto questo è sotto i nostri occhi e ha determinato un'evoluzione di fatto dell'ordinamento. Occorrerebbe adesso - e in ciò convengo senza riserve con lei, onorevole Fluvi - una sanzione di tipo formale.

PRESIDENTE. Non mi è chiaro un passaggio.
Abbiamo trascorso gli ultimi anni a suddividere per obiettivi e finalità l'attività delle varie autorità e abbiamo ridotto il campo di attrazione della Banca d'Italia alla sola vigilanza. Lei, invece, avvocato Carriero, suggerisce di modificare l'articolo 5 del TUB, introducendo tra le finalità della vigilanza la tutela del consumatore, da esercitare anche mediante l'applicazione di sanzioni.
Come facciamo a mettere insieme le due cose? Diamo per scontato che, essendoci un finanziamento, debba esservi anche una forma di garanzia, prevedendo ciò nel Testo unico bancario e abbandonando il criterio della ripartizione dei compiti delle autorità per finalità? Questa ipotesi genera in me un dubbio: se stabiliamo che la Banca d'Italia si occupi, oltre che della stabilità complessiva del sistema all'interno del quale operano banche e istituti finanziari, anche dell'aspetto della tutela del consumatore, che dovrebbe avere come punti di riferimento altri soggetti, quali problemi di sistema potremmo incontrare?
Sono molto interessato alla tutela del contraente debole. Nel credito al consumo, il contraente debole è inevitabilmente il consumatore, il quale è mosso da necessità e, indipendentemente dall'esistenza di un mercato concorrenziale, molto spesso si trova nella condizione di sottoscrivere un contratto con chi è disposto a offrirglielo.
Avendo riguardo alle motivazioni che hanno indotto la Commissione a deliberare lo svolgimento dell'indagine conoscitiva sul credito al consumo, mi interesserebbe sapere cosa potremmo fare, di più e meglio, rispetto all'attuale quadro normativo, invero molto complesso, costituito da direttive comunitarie, disposizioni di delega, norme primarie e secondarie, codice civile, Testo unico bancario. Infatti, al termine dell'indagine, quando avremo acquisito sufficienti elementi di conoscenza, sotto i profili giuridico e finanziario, potremo anche avanzare specifiche proposte legislative.
A suo giudizio, avvocato Carriero, dove bisognerebbe intervenire e quali modifiche normative sarebbero necessarie per tutelare maggiormente il contraente debole?

GIUSEPPE LEONARDO CARRIERO, Esperto del settore. Grazie per la domanda.
Per quanto attiene alla ripartizione della vigilanza per finalità, essa riguarda i mercati mobiliari, quindi il Testo unico della finanza e le sole materie da questo disciplinate; non concerne, viceversa, il settore bancario e i relativi contratti: a nessuno sono stati devoluti, in tale ambito, specifici obiettivi.
Non spetta a me dire se si debba colmare tale carenza conferendo la specifica funzione alla Banca d'Italia oppure ad altri soggetti. Io ho espresso la mia opinione dal punto di vista meramente funzionale. Dal momento che non vi è stata una riflessione meditata sul punto, che continui a occuparsene la Banca d'Italia piuttosto che nessuno: è soltanto questa la considerazione, di buon senso e banale, che svolgo nel mio scritto. Aggiungo che, qualora si decidesse di effettuare una più approfondita riflessione, e fossi chiamato a fornire un contributo, proverei ad argomentare in maniera un po' più compiuta, anche e soprattutto con riferimento alle tecniche di tutela.
Non si tratta solo di stabilire chi fa che cosa, ma soprattutto come. Non è ininfluente costruire una tutela del consumatore attraverso norme che potenzino gli obblighi di informazione, in vista della formazione di una volontà consapevole, ovvero mediante disposizioni di stampo paternalistico, come quelle che vietano, ad esempio, determinate clausole. Bisogna


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fare molta attenzione, perché le prime sono coerenti con la concorrenza contrattuale, le seconde no: vietare determinati contratti o clausole determina come risultato immediato che il prezzo del contratto non può deflettere. Le norme paternalistiche sono essenziali per tutelare valori fondanti. Per esempio, la norma che vieta la tratta di bambini - cito un caso macroscopico - è paternalistica perché non consente il dispiegarsi teorico della concorrenza in tale settore, ma deve proteggere un valore fondante.
Bisogna capire, dunque, non soltanto chi possa svolgere l'anzidetta funzione di tutela, ma anche con quali tecniche.
La sua seconda domanda, signor presidente, riguarda le possibili innovazioni da introdurre nella disciplina vigente. Penso sia emerso in maniera chiara come ritenga centrale, nell'ambito della tutela del consumatore, il tema della ripartizione del rischio. Possiamo parlare di trasparenza finché vogliamo, ma se abbiamo ormai sotto gli occhi la prova che, attraverso lo sdoppiamento dei contratti, non si realizza neanche la tutela minimale prevista dal codice civile in punto di allocazione del rischio, vuol dire che c'è qualcosa che non va e che bisogna trovare un rimedio.
Il secondo istituto fondamentale è quello della cosiddetta insolvenza civile del consumatore. Ho richiamato il disegno di legge approvato dal Senato perché esso disciplina gli effetti dell'insolvenza (stato di sovraindebitamento) in relazione a soggetti diversi dall'imprenditore (sulla nozione di piccolo imprenditore ai fini del fallimento il legislatore è intervenuto nel 2006 e nel 2007). Ciò è molto importante per svariate ragioni: si evitano farraginose procedure esecutive individuali; si impedisce che le conseguenze dell'insolvenza del consumatore si trascinino all'infinito sulla sua famiglia; si concede al consumatore meritevole e sfortunato, che ha vissuto eventi traumatici, un fresh start, una nuova occasione. I capitoli 7 e 11 dello United States bankruptcy code sono dedicati a tale fenomeno (nel 2005 il legislatore statunitense è intervenuto per mitigare taluni eccessi). In Francia, l'istituto del sovraindebitamento delle persone fisiche è conosciuto sin dalla fine degli anni Ottanta. La Commission de surendettement des particuliers si fa carico di operare un fine tuning rispetto a tale fenomeno. Penso che in Italia non possiamo non fare altrettanto.
Vi è un terzo profilo, quello del credito responsabile. La mission della banca è fare credito in maniera responsabile, verificando e valutando il merito di credito. Certo, un utilizzo più frequente e più aperto delle banche dati da parte del sistema bancario - per verificare, ad esempio, se l'avvocato Carriero è stato un cattivo pagatore - potrebbe essere utile per separare le posizioni, facendo accedere al credito i soggetti in relazione ai quali non sussistano controindicazioni e prestando attenzione a non caricare di ulteriori debiti coloro che, invece, si trovino già in una condizione di difficoltà.
L'altro istituto che mi permetto di evocare - non si tratta di un'invenzione particolare, in quanto traggo ampia ispirazione dai lavori francesi - è il cosiddetto microcredito. Si potrebbe prevedere la concessione di crediti di ridotta entità, non assistiti da garanzie personali ma mallevati dallo Stato mediante un intervento ad hoc, a quei consumatori marginali i quali possono incontrare problemi, soprattutto a causa della crescita del deficit pubblico, nell'accesso a servizi fondamentali (quali le cure dentistiche o l'istruzione per i figli).
La fantasia limitata non mi consente di formulare ulteriori suggerimenti.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda l'aspetto della conoscibilità dei dati, l'audizione dei rappresentanti di CRIF ha fatto emergere una situazione che, francamente, è esattamente opposta a quella che sarebbe auspicabile, a partire dalle procedure: se non si paga una bolletta della luce o una rata del prestito contratto per l'acquisto dell'auto, si viene registrati negli archivi CRIF - con la conseguenza che si diventa cattivi pagatori, anche in relazione a semplici dimenticanze - e si


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impiegano mesi per ottenere la cancellazione.
L'altro giorno mi è stato rappresentato il caso del mancato pagamento di un RID, durante il mese di agosto, dovuto al fatto che il correntista aveva trasferito il conto da un istituto a un altro: il malcapitato, il cui nominativo è stato immediatamente registrato da CRIF, sta ora correndo da una parte all'altra per ottenere la cancellazione. A fronte di una richiesta di credito, è finito in quella che possiamo definire black list semplicemente perché è saltato il pagamento del RID di agosto. Siamo veramente a livelli di follia. Già le banche non sono molto disponibili a concedere credito. Se poi si trincerano dietro simili ragionamenti e impartiscono ai propri funzionari la precisa disposizione di non erogare credito in presenza di segnalazioni da parte di CRIF, tutto quello che diciamo lascia il tempo che trova.
Le procedure per ottenere la cancellazione dagli archivi di CRIF sono piuttosto complesse e, forse, dovrebbero essere migliorate sotto il profilo legislativo: non sarebbero interventi paternalistici, ma di garanzia per un corretto consumo. O sbaglio?

GIUSEPPE LEONARDO CARRIERO, Esperto del settore. Tocca un punto delicato, signor presidente. Il problema della responsabilità della banca per cattiva iscrizione nella Centrale rischi bancari è complicato dal fatto che l'unico rimedio è quello di rivolgersi al giudice.
A fronte di sistemi di banche dati, dovrebbero essere previsti, per far valere la responsabilità della banca, meccanismi di alternative dispute resolution non limitati al profilo dei rapporti contrattuali, ma implicanti la possibilità di rivolgersi a un'autorità di settore (la Banca centrale o una diversa autorità di vigilanza) ai fini dell'adozione di provvedimenti di tipo sanzionatorio nei confronti delle banche che abbiano operato in maniera non diligente.
Si tratta di una possibilità che richiede - convengo con lei senza riserve, signor presidente - una più approfondita riflessione, perché la creazione di automatismi di questo tipo potrebbe recare nocumento anziché beneficio al consumatore.

PRESIDENTE. Ringrazio l'avvocato Carriero e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 11,50.

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