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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
4.
Martedì 17 gennaio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AI REQUISITI PRUDENZIALI PER GLI ENTI CREDITIZI E LE IMPRESE DI INVESTIMENTO (COM(2011)452 DEFINITIVO) E DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO SULL'ACCESSO ALL'ATTIVITÀ DEGLI ENTI CREDITIZI E SULLA VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI E DELLE IMPRESE DI INVESTIMENTO E CHE MODIFICA LA DIRETTIVA 2002/87/CE (COM(2011)453 DEFINITIVO)

Audizione dei rappresentanti di Fitch Ratings:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 9 11 14 15 16
Barbato Francesco (IdV) ... 9
Carella Renzo (PD) ... 11 15
Fluvi Alberto (PD) ... 9
Fugatti Maurizio (LNP) ... 11 14
Ramadurai Krishnan, Managing director di Fitch Ratings ... 3 12 14 15
Settepani Alessandro, Head of business and relationship management di Fitch Ratings ... 12 14 15
ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti di Fitch Ratings ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 17 gennaio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 12,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dei rappresentanti di Fitch Ratings.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (COM(2011)452 definitivo) e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 2002/87/CE (COM(2011)453 definitivo), l'audizione dei rappresentanti di Fitch Ratings.
Do, quindi, la parola al dottor Krishnan Ramadurai.

KRISHNAN RAMADURAI, Managing director di Fitch Ratings. Vi ringrazio per aver dato a Fitch Ratings la possibilità di parlare e di essere ascoltata da codesta Commissione.
Il mio intervento affronterà alcuni degli interrogativi sollevati dall'accordo di Basilea 3, ma esaminerà anche i motivi, le lacune e le deficienze che lo hanno reso necessario. Analizzerò anche le novità e i nuovi criteri regolamentari di Basilea 3, ivi compresi i nuovi requisiti patrimoniali, che sono fondamentali per ottenere miglioramenti nel futuro immediato, nonché il loro impatto sulle banche e le probabili reazioni di queste ultime. Cercherò, infine, di darvi un'idea di quanto Fitch sta facendo per adeguarsi ai cambiamenti del quadro normativo.
Prima di iniziare, permettetemi alcune osservazioni sull'accordo di Basilea 2.
Come sapete, ci sono voluti dieci anni per attuarlo. Trattandosi di un accordo globale, e tenendo presente il numero di Paesi interessati e le peculiarità di ognuno di loro, simili tempi non devono sorprenderci. Anzi, dobbiamo essere grati di disporre di un accordo globale. In materia di mutamenti climatici, per esempio, l'accordo globale non è stato raggiunto.
Malgrado una serie di lacune, Basilea 2 era necessario, anche se non sufficiente. Basilea 1 era, infatti, uno strumento imperfetto e superato, che non affrontava molti dei rischi inerenti alla cartolarizzazione e ai prodotti derivati. Basilea 2 si era, quindi, reso necessario rispetto a Basilea 1, ma si limitava, in un certo senso, ad inseguire le innovazioni dei servizi finanziari e le pratiche effettive della gestione interna dei rischi.


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È facile biasimare Basilea 2. Vorrei, però, ricordare che è stato attuato soltanto nel 2007, e che la crisi è esplosa proprio in quel periodo. Nel valutare l'impatto di Basilea 2, il giudizio non può essere univoco. Le pecche di Basilea 2 hanno comunque reso necessario Basilea 3.
Nello specifico, la crisi finanziaria ha reso necessario Basilea 3 per diverse ragioni. La prima, nel gergo degli economisti, è definita esternalità di rete. Con ciò si intendono gli effetti di «tracimazione» trasmessi dal sistema bancario all'economia. Come sappiamo, le banche sono il fulcro dell'economia, mentre le attività delle aziende e delle persone sono, per così dire, i raggi delle ruote dell'economia. Quando le banche entrano in crisi, visti i rapporti così stretti che esse hanno con l'economia e con gli altri operatori di mercato, si producono effetti di contagio che colpiscono l'economia e l'uomo della strada. Queste esternalità negative rappresentano un costo molto elevato per l'economia.
Il secondo fattore precede la crisi del 2007. Fino a quel momento si credeva di vivere nell'età dell'oro, e le banche centrali pensavano di aver domato l'inflazione e la disoccupazione. I modelli e le prassi di gestione dei rischi all'interno delle banche sembravano aver conquistato l'ultima frontiera. Con il senno di poi, tutti gli analisti, noi compresi, hanno compiuto l'errore di pensare che la gestione dei rischi avesse raggiunto il livello di sicurezza più alto possibile.
Così come, nella fiaba di Andersen, un bambino rivelò che il re era nudo, c'è voluta la crisi dei mutui sub-prime per rivelare che i modelli di gestione erano, in realtà, logori. I modelli di rischio sono venuti meno al precetto keynesiano in base al quale è meglio che i modelli siano approssimativamente giusti piuttosto che precisamente sbagliati. Oggi, invece, sappiamo che i modelli di gestione dei rischi erano precisamente sbagliati. Basilea 3 ha affrontato anche questa problematica.
La terza causa è il disallineamento degli incentivi. Forse, il fattore più importante, che Basilea 3 non contempla, è proprio rappresentato dal moral hazard, l'azzardo morale, dagli incentivi e dalle remunerazioni. Si è visto che le perdite vengono sopportate dalla società, mentre gli utili vengono privatizzati. I vantaggi sono straordinari per le banche, ma lo svantaggio è che occorre poi un salvataggio da parte dei governi o dei contribuenti: una situazione inaccettabile, sulla quale bisognava agire.
Le questioni di governance societaria non sono oggetto di Basilea 3, ma del Financial Stability Forum.
Sul piano delle esternalità negative, una delle principali carenze di Basilea 1 e 2 risiedeva nel fatto che si guardava ai singoli alberi, ma non alla foresta, cioè il sistema bancario. Detto in termini tecnici, il quadro macroprudenziale era assente.
Ho individuato alcuni tra i motivi che giustificano la necessità di una regolazione macroprudenziale, che, come detto, rappresenta un punto debole nei precedenti accordi di Basilea.
Gli effetti di contagio dovuti al fallimento di molteplici istituzioni finanziarie impongono un costo monetario inaccettabile per la società, perché sono i contribuenti a dover salvare il sistema bancario. In caso di fallimento, la banca deve rimettere in ordine il proprio stato patrimoniale. Le opzioni sono due: aumentare il capitale o contrarre il patrimonio. In una situazione di rischio isolato e non sistemico, che riguardi un Paese o una banca problematica, entrambe le opzioni sono praticabili, ma quando si tratta di una questione sistemica, con molte banche in stato di crisi, aumentare il capitale diventa difficile, come vediamo oggi in tempo reale, e la contrazione patrimoniale è, spesso, l'opzione prescelta.
Una banca isolata non crea problemi per l'economia. Quando, invece, molte banche iniziano a contrarre il proprio stato patrimoniale, questa contrazione comporta due costi primari. La stretta creditizia rende più onerosa l'erogazione di prestiti, producendo un impatto sull'economia. Quando molte banche iniziano tutte insieme a vendere i propri attivi, si innesca un ciclo di caduta dei prezzi.


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Bisogna contabilizzare a prezzi di mercato gli attivi «in pancia», e questo innesca a sua volta un ciclo discendente.
Tutti questi aspetti rendono necessaria una regolamentazione macroprudenziale. Il quadro è inasprito dal fatto che l'equity, il patrimonio di base, è costoso, mentre il debito a breve termine costa di meno. Ovviamente la banca è portata a scegliere l'opzione più economica.
Avendo constatato la necessità di una regolazione macroprudenziale, Basilea 3 individua innanzitutto quali istituti finanziari abbiano rilevanza sistemica. È la prima volta che si utilizzano criteri globali per individuare e definire la rilevanza sistemica degli istituti. Alcuni di questi criteri sono la dimensione, l'interconnessione con il circuito interbancario, la complessità delle attività svolte, cioè se vengano in rilievo semplici prestiti commerciali oppure attività di banca di investimento o di negoziazione per proprio conto, la sostituibilità o meno delle attività svolte e il livello di attività globale.
Per ridurre l'importanza sistemica sono previsti alcuni strumenti, come, ad esempio, le stanze di compensazione centrali. La negoziazione dei derivati over the counter (OTC) avverrà attraverso un sistema di compensazione centralizzato, riducendo così i rischi per il sistema bancario. Alcune banche centrali e alcune autorità di regolamentazione hanno anche previsto limiti all'entità delle attività. Negli Stati Uniti, ad esempio, nessuna banca può detenere una quota di mercato dei depositi superiore al 10 per cento. In Australia, al fine di garantire un elevato livello di concorrenza e di evitare concentrazioni eccessive, sono stati imposti vincoli alle quattro maggiori banche.
Per quanto riguarda le misure volte a ridurre le probabilità di fallimento, Basilea 3 innalza i requisiti di capitale, cioè la riserva di conservazione del capitale, la riserva di capitale anticiclica e i requisiti aggiuntivi di capitale per le istituzioni con rilevanza sistemica. Prevede, inoltre, strumenti contingenti come il cosiddetto bail-in, il salvataggio preventivo, cioè la conversione di attivi in capitale ordinario, e una maggiore trasparenza delle banche.
Da ultimo, per quanto riguarda la riduzione dei costi del fallimento, Basilea 3 sottolinea l'importanza di piani efficaci affinché, qualora sia necessario chiudere una banca per fallimento, questo processo avvenga in maniera ordinata e non caotica. È anche previsto un rafforzamento delle infrastrutture di mercato.
Passando, invece, ai rischi microprudenziali, vorrei toccare alcune questioni specifiche. In primo luogo, due terzi delle perdite subite dalle banche sono dipesi dall'adeguamento ai valori di mercato delle esposizioni del portafoglio di negoziazione, mentre soltanto un terzo è dovuto a default. La contabilità bancaria è divisa tra portafoglio di negoziazione e portafoglio bancario. Prima della crisi era vantaggioso collocare le esposizioni nel portafoglio di negoziazione, che è collegato al rischio di mercato e alle connesse esigenze di capitale.
Le esposizioni in questo settore sono collegate, ad esempio, ai movimenti del prezzo delle azioni, oppure dei tassi di interesse delle obbligazioni. Si tratta di accantonare capitale per far fronte a eventuali movimenti. Purtroppo, molte delle innovazioni intervenute nel settore bancario, come ad esempio i prodotti derivati, hanno aiutato le banche a spostare i propri attivi dal portafoglio bancario al portafoglio di negoziazione. In questo quadro, si possono considerare i prezzi dei CDS per valutare i rischi di mercato. Tuttavia, si pone anche la questione del rischio di default di controparte.
Tutto ciò non rientra nei tradizionali modelli VaR (value at risk, valore a rischio) utilizzati per misurare il rischio di mercato. Questa era una delle carenze di Basilea 2. Le autorità ne erano al corrente, ma, come detto, per arrivare a Basilea 2 ci sono voluti dieci anni. C'è stato un ampio dibattito con le banche per risolvere il problema e, purtroppo, non si è arrivati in tempo ad applicare gli strumenti previsti dall'emendamento sul rischio di mercato.
Basilea 2.5, che entrerà in vigore nel gennaio 2012, farà sì che le banche calcolino


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le coperture per il VaR (valore a rischio) sulla base di dati di stress e, quindi, non soltanto sui movimenti di mercato a uno o a sessanta giorni.
Le banche dovranno anche tener conto del rischio di controparte, del rischio di default e del rischio di migrazione. La gamma dei rischi di cui le banche devono rendere conto si amplia. Il rafforzamento delle altre esposizioni e i cambiamenti per i requisiti di capitale relativi al portafoglio di negoziazione comporteranno aumenti tra il 2 e il 2,5 per cento.
Sappiamo anche quanto sia stato grave il problema del rapporto di leva finanziaria (leverage ratio), che era aumentato sia in bilancio sia fuori bilancio. L'introduzione di un indice massimo di leva finanziaria è molto importante. In realtà, i mercati del credito sono «completi», e questo inficia i sistemi di ponderazione del rischio. Acquistando un credit default swap (CDS), la banca può ridurre il rischio legato a un prestito nel portafoglio bancario, trasferendo il rischio al portafoglio di negoziazione. Se, da un lato, i coefficienti patrimoniali migliorano, il leverage persiste. E se la controparte del CDS è inadempiente, la situazione diviene problematica.
A mio parere, il rapporto di leva finanziaria rappresenta un grosso problema. Basilea 3 non dice chiaramente se si tratti di uno strumento relativo al primo o al secondo pilastro. La direttiva CRD 4 lo ha lasciato nel secondo pilastro, ma secondo me andrebbe riferito al primo.
Tuttavia, non è un solo coefficiente di capitale che può risolvere la questione. Abbiamo bisogno di tutta una serie di strumenti, vista la complessità dell'attività bancaria. Il rapporto di leva finanziaria è comunque uno strumento utile. In Canada è stato utilizzato in maniera efficace. Il quadro è quello di Basilea 2, ma le autorità lo applicano pienamente. Conta il modo in cui vengono effettivamente utilizzati i diversi strumenti.
Sotto un altro profilo, l'erosione graduale del livello e della qualità del capitale comporta la necessità di cambiare il capitale detenuto. Prima della crisi, le banche avevano solo vantaggi, senza conseguenze negative. In tal senso Basilea 3 ha opportunamente rafforzato i requisiti patrimoniali. Il capitale di alta qualità è un utile cuscinetto contro le perdite. È altresì importante definire, come cercano di fare per la prima volta Basilea 3 e la direttiva CRD 4, quali caratteristiche dovranno possedere il tier 1 e il tier 2, e quali strumenti saranno classificati come tali, arrivando ad eliminare il tier 3, tenendo conto dei filtri prudenziali che potranno valere in relazione al capitale in un'ottica contabile. Si tratta di un primo importante passo verso la standardizzazione e la comparabilità a livello globale dei diversi strumenti.
Per quanto riguarda la liquidità, Basilea 2 era carente perché non se ne occupava. Come abbiamo visto, la liquidità oggi c'è e domani scompare. Non è che in passato non ci si sia mai interessati alla liquidità. È sempre stata importante, e le banche se ne sono sempre occupate, ma la crisi ci ha fatto rendere conto del fatto che liquidità e solvibilità non si escludono a vicenda.
La Northern Rock è spesso citata come caso di una banca con elevato merito di credito, ma fallita a causa di problemi di liquidità. Io la vedo in maniera diversa, e per questo ho detto che la liquidità oggi c'è e domani non c'è più. Alla Northern Rock non è stata offerta liquidità perché gli operatori non credevano nel mark-to-market della banca e nel valore dei suoi attivi.
Liquidità e solvibilità sono cose diverse. Anche Lehman Brothers aveva capitali liquidi sufficienti, ma il mercato non ha creduto nella qualità dei suoi attivi, nel valore del mark-to-market e delle esposizioni iscritte nello stato patrimoniale. Sono tutte questioni interconnesse.
Gli accordi di Basilea sono necessari, ma non sufficienti. L'attività bancaria si basa sulla fiducia. Credito deriva da credere. Quando si perde la fiducia, si perde tutto: la liquidità e la solvibilità.
Vorrei ora soffermarmi sui cosiddetti pilastri dimenticati, quelli più importanti, il secondo e il terzo. Il secondo pilastro si


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occupa dei rischi non previsti dal primo pilastro, di stress test e dell'intervento della vigilanza. Il terzo pilastro si occupa, invece, di trasparenza e pubblicità.
C'è un vivace dibattito, tra USA e Europa, in ordine ai fattori di ponderazione dei rischi, con reciproche accuse di sottovalutazione dei rischi. Ma non avverrà niente di risolutivo senza l'armonizzazione dei criteri di trasparenza e di pubblicità.
Nel mondo più semplice di Basilea 1 eravamo tutti avvezzi a considerare i fattori di ponderazione dei rischi. Basilea 2 era più complesso. Bisognava studiare le probabilità di default in base a parametri come il loss given default (perdita in caso di default) e via dicendo. Serve un'unità di misura armonizzata per la ponderazione dei rischi. A questo proposito, esiste una tensione intrinseca tra le esigenze delle banche e le richieste delle autorità e degli analisti. Se una sola banca offre molte informazioni, indebolisce la propria posizione concorrenziale. Se lo fanno tutte questo non avviene. Se si offrono alle banche diverse opzioni, le banche si comporteranno in maniera diversa. Dobbiamo considerare la questione anche nella loro ottica.
Vorrei ora approfondire il tema dell'impatto sulle banche, suddividendo la mia analisi tra attività bancarie al dettaglio, corporate e di investimento. Per le attività al dettaglio sono previsti coefficienti patrimoniali e di liquidità più elevati. Nel 2015 scatterà un nuovo regime per i coefficienti di copertura di liquidità, per cui le banche dovranno detenere attivi liquidi per far fronte a crisi di mercato o situazioni di stress perduranti per trenta giorni. Tutte le banche ne saranno colpite.
L'innalzamento dei coefficienti farà salire il costo dei prodotti. Alcune banche riusciranno a trasferire meglio di altre i costi aggiuntivi. A causa del coefficiente di copertura della liquidità e del coefficiente di finanziamento stabile netto (net stable funding ratio), cioè del rapporto tra le fonti di finanziamento stabili e il fabbisogno a medio-lungo termine, emerge con chiarezza che usciranno vincenti le banche che sono in grado di attrarre depositi, che possiedono una rete di filiali e hanno accesso a finanziamenti a basso costo. Io credo che i modelli operativi cambieranno: al semplice contratto di mutuo subentreranno prodotti innovativi, quali, ad esempio, mutui corredati da un elemento in grado di attrarre anche i depositi.
Anche per le attività corporate aumenteranno i requisiti patrimoniali e di liquidità. Assisteremo, però, a un altro fenomeno. I prestiti a lungo termine e i prestiti non garantiti saranno più costosi, mentre i prestiti garantiti e a breve termine saranno più vantaggiosi. In questo caso non sarà facile trasferire ai clienti gli aumenti di costo, perché le aziende sono più sensibili ai tassi di interesse e, forse, decideranno di accedere direttamente ai mercati dei capitali. A differenza degli Stati Uniti, in Europa sono le banche, in genere, a erogare prestiti alle aziende. Io credo che una parte del mercato societario accederà direttamente al mercato dei capitali.
Le linee di credito aperte saranno costose. Pertanto le banche non favoriranno strumenti come lo scoperto, ma erogheranno prestiti con l'impegno alla riduzione del prestito stesso, basati su commissioni. I finanziamenti commerciali subiranno un impatto a causa dei massimali sul rapporto di leva finanziaria, che deve tener conto di lettere di credito e fideiussioni.
Quello dei prestiti alle piccole e medie imprese è un settore molto importante per la Commissione. Qui i dettagli sono essenziali. Il settore più toccato sarà quello delle banche di investimento. I cambiamenti nei rischi di mercato, le nuove regole sulla liquidità e il requisito di mantenimento in caso di cartolarizzazione faranno crescere i costi delle banche di investimento. I prodotti derivati, che sono stati il big business, gli swap sui tassi di interesse e altri prodotti di questo tipo dovranno passare attraverso una compensazione centrale, riducendo gli utili.
Come detto, la possibilità delle banche di trasferire i costi alle aziende sarà molto limitata, perché si tratta di clienti sofisticati.


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Anche in questo caso dovranno cambiare i modelli operativi. Le maggiori banche di investimento andranno bene, gli operatori di nicchia sopravvivranno, ma molte banche che sono a cavallo tra la nicchia e i grandi operatori dovranno uscire dal mercato.
Vorrei esporre un piccolo esempio sui finanziamenti commerciali, che riguarda anche le piccole e medie imprese. Anche in questo caso il diavolo è nel dettaglio. Prendiamo il caso di un cliente con rating BBB, con una probabilità di default dello 0,50 e una perdita in caso di default del 45 per cento. Nel semplice universo di Basilea 1 la ponderazione del rischio di tutti i prestiti era del 100 per cento, a prescindere dal fatto che il prestito fosse erogato a FIAT, IBM o al negozietto all'angolo. Utilizzando l'approccio standardizzato, il rating è all'8 per cento. Sulla base dell'approccio fondato sul rating interno, invece, la questione si fa più complessa, poiché intervengono molti parametri: la probabilità di default; la perdita in caso di default; l'esposizione al momento del default. Se un cliente ha ottenuto cento e utilizzato cento, non ci sono problemi. Se ha utilizzato solo cinquanta, invece, l'esposizione non può essere iscritta a cinquanta. Basilea, infatti, rileva che c'è sempre il rischio che la somma residua venga utilizzata. Inoltre deve essere tenuta in considerazione la scadenza.
Nell'impostazione basata sul rating interno, soprattutto nel caso di prodotti per i finanziamenti commerciali, come le lettere di credito, se il cliente ha utilizzato cento, i requisiti di capitale aumentano. Ma se il fattore di conversione del credito è più basso, si abbassano i requisiti di capitale. Da tutto ciò emerge la complessità dei parametri. Il diavolo si nasconde davvero nei dettagli. Nel secondo caso di un cliente con un rating più basso, BB-, gli oneri di capitale aumentano. Le cose stanno così in un approccio sensibile ai rischi.
È importante anche l'aspetto delle scadenze. Credo che il Comitato di Basilea lo abbia riconosciuto. Quando si parla di finanziamenti commerciali, non bisogna penalizzare le banche per prodotti che hanno una scadenza inferiore a un anno. È stata infatti accettata una riduzione delle scadenze per le operazioni di trade finance. Se ne avvantaggeranno anche le piccole e medie imprese, che fanno uso delle operazioni di trade finance.
Come reagiranno le banche è il grande punto di domanda. Dovranno ristrutturare lo stato patrimoniale. Per quanto riguarda il capitale abbiamo già visto quanto è successo per la gestione delle passività, il riacquisto di strumenti al di sotto del prezzo di mercato e il tentativo di innalzare i livelli patrimoniali. Ovviamente il rapporto di leva finanziaria e gli attivi ponderati per il rischio saranno ridotti, trasferendo il rischio o vendendo attivi. Infine, si ridurrà la dipendenza dai finanziamenti a breve termine e aumenteranno i depositi. Sono tutti aspetti importanti.
I modelli operativi potranno cambiare e verranno concepiti nuovi prodotti, prodotti leggeri dal punto di vista del capitale e basati su commissioni. Le iniziative per aiutare le aziende a finanziarsi sul mercato potrebbero aiutare anche le banche con riferimento ai prodotti basati su commissioni, attenuando le pressioni sullo stato patrimoniale. Il rischio di credito relativo ai prestiti potrebbe essere trasferito in maggiore misura, determinandone la migrazione dal settore regolamentato al settore non regolamentato. Questa è un'altra questione ancora.
Si lavorerà anche sulle strutture e sugli assetti legali. Lo abbiamo visto con le grandi banche: ci si chiedeva, ad esempio, se operassero come filiali o succursali. Ci sono state questioni nell'UE in ordine a questo aspetto. Sono ben documentate. Anche gli assetti legali avranno quindi un impatto sull'operatività delle banche. Da quando è scoppiata la crisi sono in atto diversi cambiamenti inerenti al miglioramento dei modelli di rischio, la compensazione centralizzata dei derivati, la gestione centralizzata della liquidità e il rafforzamento dei piani di raccolta.
Avrei alcune cose da dire riguardo all'attività di Fitch, ma credo di aver


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esposto ciò che interessa alla Commissione. Sono a disposizione per le vostre domande.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Ramadurai e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCESCO BARBATO. A nome mio e del gruppo parlamentare Italia dei Valori ringrazio per le interessanti indicazioni il dottor Ramadurai, al quale desidero rivolgere una domanda preliminare.
Sembra che molte agenzie di rating siano controllate dai fondi di investimento statunitensi, i quali sono stati fortemente avvantaggiati dal declassamento, ad opera delle medesime agenzie di rating, di alcuni Stati europei. È fin troppo evidente, sullo sfondo di un simile meccanismo, un macroscopico conflitto di interessi, tanto è vero che la Consob è stata costretta ad assumere specifiche iniziative in merito a taluni comportamenti delle predette agenzie, che sono stati segnalati anche all'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati.
Dottor Ramadurai, lei ha ammesso alcuni errori, riconoscendo, in particolare, di avere pensato che la gestione dei rischi avesse raggiunto il livello di sicurezza più alto possibile, mentre, invece, i modelli utilizzati si sono rivelati «precisamente sbagliati» (così ha affermato testualmente). Ciò significa che avete emesso giudizi sbagliati, che avete attivato meccanismi dannosi per gli Stati sovrani e per le loro economie.
Poiché non conosco Fitch Ratings, le chiedo se anche tra i vostri azionisti vi siano fondi di investimento statunitensi. Mi fermo qui, perché, ove mai la risposta fosse positiva, secondo noi di Italia dei Valori, l'attività della vostra società risulterebbe inficiata da un peccato originale: l'esistenza di un vero e proprio conflitto di interessi. In tal caso, come deputato della Repubblica italiana, non potrei certo farmi spiegare come si debba legiferare da parte di «peccatori» - i quali non possono indicare percorsi virtuosi, e meno che mai insegnare come si fanno le leggi -, e ritirerei anche i ringraziamenti preliminari.

PRESIDENTE. Oggetto dell'indagine è il nuovo quadro regolamentare di Basilea 3. In tale contesto, l'audizione di un'agenzia di rating offre la ghiotta occasione di affrontare anche il profilo dell'affidabilità delle loro valutazioni.
Immagino che qualche collega voglia chiedere quale sarà il giudizio di Fitch Ratings sul nostro debito sovrano, ma suggerirei di attenerci al tema.

ALBERTO FLUVI. Ringrazio il dottor Ramadurai per la sua esposizione e per la documentazione consegnata. Entrambe saranno sicuramente utili per l'esame delle proposte di direttiva e di regolamento predisposte dalla Commissione europea, volte, com'è noto, a recepire nella legislazione comunitaria l'accordo di Basilea 3.
Nelle sue precedenti versioni, quest'ultimo non è stato applicato in maniera uniforme a livello internazionale. Lei, dottor Ramadurai, faceva riferimento alle vicende del 2007, quando l'applicazione di Basilea 2 era nella fase iniziale. Questo processo non è stato ancora completato, soprattutto nei mercati americani. Infatti, non tutte le banche statunitensi sono tenute ad applicare gli standard di Basilea 2; anzi, l'obiettivo è renderli vincolanti soltanto per alcune grandi banche e non per l'intero sistema finanziario.
Le chiedo, quindi, quali criteri utilizzi un'agenzia di rating per valutare le realtà individuali, vale a dire le singole istituzioni finanziarie, ovvero le istituzioni finanziarie sistemiche che hanno recepito in toto gli accordi di Basilea 2 e 2.5 e che si accingono a tradurre in norme, e quindi ad applicare, anche Basilea 3.
In secondo luogo, le recenti decisioni della European banking authority (EBA) hanno obbligato a valutare a prezzi di mercato i titoli di Stato presenti nei portafogli delle singole istituzioni finanziarie


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europee, ivi compresi quelli detenuti fino alla scadenza e, pertanto, non oggetto di trading. Come sono valutati, ad esempio, i titoli tossici nei portafogli delle banche francesi e tedesche? Mentre i titoli di Stato italiani sono considerati al valore di mercato, quale tipo di valutazione è adottato per i titoli di Stato presenti nei portafogli delle grandi istituzioni finanziarie del continente diverse da quelle spagnole, greche o italiane?
Taluni ritengono che le agenzie di rating svolgano un ruolo più politico che economico-finanziario. Secondo molti commentatori, le loro valutazioni travalicherebbero i criteri per una corretta valutazione del rischio e risponderebbero a interessi diversi da quelli dichiarati. Mi sembrano sostanzialmente analoghe le dichiarazioni rilasciate proprio in questi giorni alla stampa da Olli Rehn e Michel Barnier.
A mio avviso, ciò è dovuto, essenzialmente, alla presenza, nel capitale delle singole agenzie, dei grandi fondi di investimento. Cosa ci fanno questi fondi nel capitale di soggetti la cui attività consiste nel valutare i titoli che società o Stati emettono e che proprio i fondi di investimento comprano e vendono? Più specificamente, sembra che una quota importante del capitale di Fitch Ratings sia in mano a una primaria società francese che svolge attività finanziaria e immobiliare, la Fimalac. È lecito chiedersi, allora, quanto incida la presenza di un investitore così importante sulla vostra autonomia di giudizio.
Sappiamo che le agenzie di rating, quando assegnano una valutazione a titoli sovrani o corporate, indicano anche un outlook, che può essere positivo o negativo. In un'interessante intervista, pubblicata oggi, il presidente della Consob, Vegas, stabilisce una stretta correlazione temporale tra gli outlook emessi dalle diverse agenzie di rating e l'andamento dei credit default swap. In particolare, il presidente della Consob rileva come, negli ultimi mesi, la pubblicazione degli outlook negativi abbia provocato un incremento dei prezzi dei CDS, che sono prodotti da cinque oligopolisti americani (la «fabbrica» dei CDS nel mondo). Ogni altra considerazione la lascio a lei, dottor Ramadurai.
L'ultima domanda riguarda la connessione tra le regole di Basilea 3 e l'esercizio dell'EBA, che impone la costituzione, da parte degli istituti di credito, di un buffer di capitale, sia pure eccezionale e temporaneo, entro giugno 2012. In base alle proposte di regolamento e di direttiva, l'accordo di Basilea 3 è concepito in modo tale che i buffer aggiuntivi di capitale siano costituiti nei momenti di crescita, per essere utilizzati nei momenti di difficoltà. Mi pare che l'EBA, costringendo a ricapitalizzare in un momento di difficoltà come l'attuale, segua una logica diametralmente opposta.
Infine, per quale motivo, secondo lei, Basilea 3 e la Raccomandazione dell'EBA intervengono esclusivamente sui requisiti di capitale? Si è sempre intervenuti, peraltro in maniera corretta, chiedendo di incrementare il capitale di classe 1 e 2. In generale, lo strumento prediletto da legislatori e regolatori è l'incremento dei requisiti di capitale. È molto meno considerato, invece, il coefficiente di leva finanziaria. Eppure, sappiamo che anche nel crac di Lehman Brothers quest'ultimo elemento ha avuto un ruolo tutt'altro che secondario, come ha riconosciuto anche lei, dottor Ramadurai. C'è una prima apertura, al riguardo, in Basilea 3. Tuttavia, si è stabilito che la prima fase, fino a tutto il 2012, sarà di semplice monitoraggio, che la sperimentazione durerà dal 1o gennaio 2013 al 1o gennaio 2017 e, infine, che la trasformazione del leverage ratio in requisito minimo avverrà a partire dal 1o gennaio 2018, mentre l'incremento dei requisiti di capitale entrerà in vigore subito.
Un'ultima notazione. La settimana scorsa abbiamo ascoltato in audizione un'altra agenzia di rating. Abbiamo parlato di Basilea 3 e, il giorno dopo, ci siamo visti declassare. Speriamo che non ci riserviate la stessa sorpresa anche voi.


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RENZO CARELLA. Per evitare ogni sorpresa, Fitch sta già dichiarando a vari organi di stampa che l'Italia sarà declassata entro gennaio.
Vorrei sapere se confermiate questa indiscrezione.

MAURIZIO FUGATTI. È indubbio che nell'azione delle agenzie di rating vi siano le contraddizioni evidenziate nei precedenti interventi. Ritengo, tuttavia, che le responsabilità maggiori siano da imputare a chi ha deciso di attribuire valore regolamentare ai giudizi emessi dalle agenzie di rating del credito. Ci risulta, ad esempio, che anche i regolamenti della Banca centrale europea ricolleghino specifici effetti alla presenza di un determinato rating. Se le agenzie rappresentano un problema, la responsabilità più grave è aver costruito un sistema basato sulle valutazioni del merito di credito da esse elaborate. Le agenzie di rating fanno, bene o male, il proprio lavoro: il problema sta, forse, a monte.
I rappresentanti di Moody's, ascoltati dalla Commissione qualche settimana fa, hanno affermato che, anche rispettando alla lettera le ultime prescrizioni dell'Autorità bancaria europea e i requisiti prudenziali di Basilea 3, le banche italiane non saranno in grado, molto probabilmente, di erogare credito ai livelli pre-crisi. Ci chiediamo, allora, a cosa servano i grandi sacrifici richiesti alle banche, se è fortemente dubbio che esse tornino, ciò nonostante, ai livelli pre-crisi. Già adesso il caso Unicredit sta mostrando quanto sia difficile per il sistema bancario italiano adempiere gli obblighi imposti dall'Autorità bancaria europea.
A proposito di quanto è stato detto in relazione al downgrade dell'Italia - operato da un'altra agenzia di rating del credito il giorno successivo alla partecipazione di suoi rappresentanti a una nostra audizione -, non eravamo certo tenuti a saperlo, né sarebbe stato opportuno trattare l'argomento a mercati aperti.
Il nostro Paese ha approvato una manovra sicuramente pesante, che ci era stata chiesta dall'Europa, nel merito della quale, naturalmente, non entrerò in questa sede. Non si è trattato dell'unica, ma soltanto dell'ultima di una serie di pesanti manovre adottate nel volgere di pochi mesi, come avevano chiesto, del resto, gli organismi europei. Il risultato è stato il declassamento della settimana scorsa, cui è seguito quello della Francia. Gli effetti positivi, sul piano della credibilità, non si sono visti.
A questo punto, il cittadino normale, non tanto il membro della Commissione, si pone le seguenti domande: dove dobbiamo arrivare? Di quale entità devono essere le manovre perché il Paese torni ad avere almeno il rating della settimana scorsa? Rivolgiamo tali domande a voi, forse in termini poco tecnici, poco giuridici, però realistici.

PRESIDENTE. Premesso che condivido pienamente le domande poste dai colleghi, in particolare dall'onorevole Fluvi, desidero rivolgerle, dottor Ramadurai, un quesito di sistema.
Lei ha dichiarato che il disallineamento delle informazioni riguardanti i diversi istituti bancari, derivante da un eccesso di disclosure, potrebbe creare difficoltà, qualora di un istituto bancario si conoscesse molto e degli altri poco. La sua considerazione richiama alla nostra mente le difficoltà degli Stati Uniti ad adeguarsi a Basilea 2 (e figuriamoci a Basilea 2.5 e 3). Credo che nel nostro Paese e, a livello più generale, in Europa, stia prevalendo l'idea di imporre una disclosure eccessiva, mentre non si sa su quali principi si regga il sistema finanziario statunitense. A noi è richiesta la massima trasparenza riguardo a capacità patrimoniale, liquidità, leverage ratio, deleveraging, assetti di rischio e quant'altro, ma del sistema d'oltreoceano sappiamo poco o niente.
Qualcuno comincia a sospettare che, essendo il sistema americano oberato da pesanti debiti, dell'ordine di trilioni di dollari, si stia cercando di evitare che l'Europa possa intercettare i flussi finanziari mondiali, in particolare spingendo le


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banche europee a essere tanto trasparenti da far dirottare i predetti flussi verso gli Stati Uniti, a sostegno del debito di tale Paese.
Quanto c'è di vero in questa ricostruzione? A fronte dell'alto livello di disclosure che caratterizza il sistema finanziario europeo, con quali criteri sono valutati gli asset statunitensi?
Le do la parola per la replica, dottor Ramadurai.

KRISHNAN RAMADURAI, Managing director di Fitch Ratings. Alessandro Settepani mi aiuterà a rispondere.
È stata posta una domanda sul conflitto di interessi dovuto al fatto che le agenzie di rating sono di proprietà dei fondi di investimento. Per quanto mi consta, tra i nostri azionisti ci sono Fimalac e un altro gruppo privato statunitense, ma non fondi di investimento. Se sbaglio, Alessandro Settepani mi correggerà.

ALESSANDRO SETTEPANI, Head of business and relationship management di Fitch Ratings. Una quota maggioritaria del capitale di Fitch Ratings è posseduta da Fimalac, una società francese che fa capo a Marc de Lacharrière. Posso riferire che, nei miei dieci anni a Fitch, ho parlato con lui una volta sola. Che io sappia, fino a poco tempo fa, Fimalac aveva al suo attivo esclusivamente Fitch. Ora la società sta diversificando i propri investimenti, ma nell'ambito delle attività alberghiere e similari.
Il rimanente 30 per cento del capitale della nostra società è, se non sbaglio, nelle mani del gruppo Hearst, un gruppo editoriale americano.
In base alle informazioni in nostro possesso, non ci sono fondi di investimento nel capitale di Fitch.
La società è nata negli Stati Uniti, ma il suo azionista principale è europeo: fra tutte le agenzie di rating, siamo, forse, la più «europea».

KRISHNAN RAMADURAI, Managing director di Fitch Ratings. C'era poi una domanda sulla concorrenza e gli Stati Uniti. Effettivamente, gli Stati Uniti non hanno attuato Basilea 2. Le banche che dovrebbero aderire su base volontaria a Basilea 2 sono dodici, più un altro gruppo di otto, per un totale di venti banche, che rappresentano più del 65 per cento del settore bancario statunitense.
Ho iniziato dicendo che Basilea 2, sotto molti aspetti, cercava di recuperare il terreno perduto rispetto alle prassi bancarie, in particolare con riferimento al capitale economico. Le dodici principali banche statunitensi seguono già politiche basate sul capitale economico e uno dei cambiamenti perseguiti da Basilea 2 è l'approccio basato sul rating interno, in linea con le pratiche interne di gestione del capitale economico. È un'opinione, ma io non vedo un grande problema nel fatto che gli Stati Uniti non diano attuazione all'accordo, anche se esistono differenze. Tuttavia, quando molte banche utilizzano gli stessi parametri riguardo al capitale economico, i risultati sono simili. È vero, però, che se il regime di pubblicità non è trasparente per il mercato, sorgono problemi. Si torna alla questione dell'opacità del settore bancario.
La situazione statunitense è aggravata dal fatto che esiste non una sola autorità di regolazione, ma quattro. In Europa avrete anche un processo normativo lungo - com'è normale nei sistemi democratici basati sullo Stato di diritto -, ma, nonostante tutte le critiche, almeno avete messo nero su bianco. Purtroppo, per motivi storici, il sistema statunitense ha diversi regolatori, tra cui la Federal Reserve, l'Office of the Comptroller of the Currency (OCC), la Securities and Exchange Commission (SEC). Mettere d'accordo tutte queste autorità di regolazione è molto difficile, ma se le banche seguono pratiche di gestione fondate sul capitale economico, sono più o meno conformi a Basilea 2. Ovviamente, non rivelano il significato esatto delle cifre pubblicate, e ammetto che questo è un problema.
Per quanto riguarda la leva finanziaria, il sistema bancario statunitense ha sempre previsto un coefficiente di leva finanziaria. Il problema è che, per i prodotti derivati,


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di cui le regole contabili statunitensi consentono la compensazione (netting), si ottengono valori più bassi rispetto alle banche europee, che seguono gli International Financial Reporting Standards o altre norme contabili che non consentono la compensazione. Questo genera un rapporto di leva negativo per le banche europee, ma l'accordo di Basilea ha affrontato direttamente questo problema: gli esperti di Basilea hanno detto che non c'era l'obbligo di seguire né le norme IFRS né le norme contabili americane, raccomandando a tutte le banche di rifarsi a uno standard regolamentare di netting comune, di cui si parla troppo poco sul mercato. Convengo che è necessario avere uno standard globale uniforme.
Ci si potrebbe chiedere quale sia l'utilità del coefficiente di leva finanziaria dal momento che Lehman Brothers è fallita. D'altro canto, l'Autorità di vigilanza per le banche di investimento, la SEC, non aveva previsto alcun coefficiente di leva finanziaria. Il problema non sono gli accordi di Basilea, quanto l'uso che si fa degli strumenti disponibili. La molteplicità di parametri è necessaria. Quello che conta è il modo in cui sono usati.
Un'altra domanda riguardava l'EBA, gli stress test e i coefficienti patrimoniali. Per quanto concerne sia la qualità sia la quantità di capitale, i requisiti sono necessari e corretti. Voi, però, avete chiesto come si possano trattare in maniera uniforme gli attivi governativi. La nostra metodologia è pubblica ed è applicata a tutte le banche allo stesso modo. Ciò vale anche per i titoli di Stato. Non possiamo adottare trattamenti differenziati da Paese a Paese. La domanda, però, è valida: ci si chiede perché la ponderazione del rischio sia allo 0 per cento. I Governi potevano, in passato, stampare moneta, ma questo non è più possibile nell'Unione europea. Tuttavia, il trattamento è uniforme, senza distinzioni tra Paese e Paese.
L'EBA si concentra solo sul capitale, ma è il denominatore, cioè la ponderazione del rischio, a essere ugualmente importante. Solo la CRD, la direttiva sui requisiti di capitale, ha fatto un buon lavoro su questo aspetto. La mia opinione personale è che la crisi sia stata causata dai mutui, come categoria di attivi, ma non ci sono state modifiche nella ponderazione del rischio dei mutui residenziali. Tuttavia, la CRD, anche sulla base di quanto successo in Europa orientale, ha dimostrato che i mutui, soprattutto se in valuta straniera, costituiscono una categoria di attivi da tenere sotto attenta osservazione.
Quanto ai coefficienti di copertura di liquidità, Basilea considera i rating di credito, i quali tengono conto, tra l'altro, della probabilità di default. Si potrebbe - sottolineo «potrebbe» - pensare a uno strumento con un rating più basso, ma con una liquidità superiore. Anche in questo vanno riconosciuti i meriti della CRD, che considera il bid-offer spread (differenziale lettera-denaro) e i dati di mercato.
Per quanto riguarda la trasparenza e la pubblicità, l'approccio basato sul rating interno fa sì che, se sono pubblicati i dati sulla probabilità di default o sulla perdita in caso di default, qualsiasi analista possa valutare con un semplice calcolo il pricing e gli utili. Ciò non piacerebbe ad alcuna banca, ed è per questo che vorrei attirare la vostra attenzione sulla ponderazione del rischio.
Dimentichiamo sia la probabilità di default sia la perdita al momento del default, che possono essere tradotte in fattori di ponderazione di rischio.
Ad esempio, il fattore di rischio dei mutui in un portafoglio è il 20 per cento. Questo è comprensibile per tutti, perché Basilea 1 indicava il 50 per cento. Come si arrivava a questo 50 per cento? Con la combinazione tra scadenze, probabilità di default e perdite al momento del default. Una banca, però, non pubblicherà mai questi dati, se non lo faranno anche tutte le altre. È un discorso che riguarda il terzo pilastro. Se il regime di pubblicità non è uniforme, perché mai una banca dovrebbe rivelare dati sensibili? Bisogna essere pragmatici.
Quella dei fattori di ponderazione dei rischi è una questione che deve essere affrontata a livello globale. Il Forum per la


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stabilità finanziaria fa riferimento all'analisi del gruppo dei pari, che spero affronterà la questione dei fattori di ponderazione dei rischi e che, secondo me, potrebbe attenuare queste differenze relative.

PRESIDENTE. Non mi è chiara, dottor Ramadurai, la risposta che ha dato alla domanda del collega Fluvi. Il livello di rischio delle Landesbanken tedesche è notevolmente più alto di quello delle banche italiane, ma noi paghiamo la scarsa valutazione del debito sovrano. Come si valuta un sistema bancario? E qual è la vostra opinione, allo stato attuale, sul sistema bancario italiano?

ALESSANDRO SETTEPANI, Head of business and relationship management di Fitch Ratings. Poiché Krishnan ed io non siamo analisti che seguono il settore bancario, ci è difficile esprimere un giudizio. Posso dire che il rating attuale delle banche tedesche incorpora il supporto che ricevono dallo Stato. Per evidenziare la differenza tra tale rating e quello che una banca tedesca avrebbe senza il supporto dello Stato, li pubblichiamo entrambi. In tal modo, l'investitore può farsi un'idea più precisa.
In considerazione del rating e della situazione dell'Italia, per le banche italiane il supporto dello Stato incide in misura minore, e i loro rating sono più bassi. Ciò non implica necessariamente che l'attivo delle banche italiane sia peggiore di quello delle banche tedesche.

KRISHNAN RAMADURAI, Managing director di Fitch Ratings. Il rating delle Landesbanken incorpora il supporto dello Stato.

MAURIZIO FUGATTI. Mi corregga, se sbaglio, dottor Ramadurai, ma non è contraddittorio che una banca aiutata dallo Stato sia considerata in modo positivo, mentre un'altra, che non ha ricevuto un aiuto analogo, veda diminuito il proprio rating? Le banche italiane, ad esempio, non hanno fruito, da parte dello Stato, di aiuti così consistenti come quelli ottenuti, ad esempio, dalle banche tedesche.
Se ho capito male, me ne scuso.

ALESSANDRO SETTEPANI, Head of business and relationship management di Fitch Ratings. Pubblichiamo entrambi i rating proprio per consentire agli investitori di avere conoscenza del valore che assegniamo all'intervento dello Stato.
Lo Stato tedesco ha dichiarato pubblicamente che, per una serie di ragioni, supporterà le banche nazionali. In Italia, invece, dove manca un supporto simile, le banche si reggono soltanto sulle proprie gambe.
Ripeto: poiché pubblichiamo entrambe le tipologie di rating, compiendo uno sforzo di trasparenza, l'investitore ha la possibilità di valutare.

PRESIDENTE. Lei sta dicendo che, siccome lo Stato italiano non ha credibilità, la garanzia prestata alle banche per rifornirsi presso la BCE non ha molto peso.

ALESSANDRO SETTEPANI, Head of business and relationship management di Fitch Ratings. Stiamo dicendo che, a parità di garanzia, mentre il rating dello Stato tedesco è AAA, quello dello Stato italiano è A .
Ne approfitto per rispondere a un'altra domanda. Siamo l'agenzia che assegna il rating più alto all'Italia. Tuttavia, un mese fa abbiamo posto lo Stato italiano in rating watch negative, preannunciando una decisione in merito entro la fine del mese di gennaio. La stampa ne ha dato notizia soltanto una settimana fa, ma forse i giornali pubblicano le informazioni anche secondo le proprie esigenze.
Esprimere un rating watch negative significa che, nel giro di un paio di mesi, potrà essere assunta una decisione di rating negativa. È verosimile, quindi, che il rating dell'Italia subisca un declassamento. Comunque, già un mese fa abbiamo comunicato al mercato che entro


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gennaio avremmo potuto abbassare il rating dell'Italia di due notch. Inoltre, abbiamo indicato al mercato quale potrà essere il massimo downgrade per l'Italia.

RENZO CARELLA. Come rilevava l'onorevole Fugatti, rispetto a un mese fa, è stato approvato definitivamente il provvedimento recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici. Cosa dobbiamo fare, se una manovra da 37 miliardi di euro, che include riforme strutturali, non basta a far cambiare il vostro giudizio?

ALESSANDRO SETTEPANI, Head of business and relationship management di Fitch Ratings. Premesso che né io, né Krishnan facciamo parte degli analisti che assegnano il rating sovrano, ribadirò alcune cose che abbiamo già detto pubblicamente tramite comunicati stampa.
Noi riteniamo che, nonostante l'elevato livello del debito, che purtroppo penalizza il Paese, i conti italiani siano sotto controllo. Il deficit è più basso rispetto a quello di altri Paesi, e anche il giudizio sull'ultima manovra di finanza pubblica è molto positivo. Riteniamo che l'Italia si stia incamminando su un percorso di credibilità.
Il problema è rappresentato dal costo al quale la Repubblica italiana si deve rifinanziare sul mercato in questo momento.

RENZO CARELLA. Costo che è inferiore a quello di un mese fa.

ALESSANDRO SETTEPANI, Head of business and relationship management di Fitch Ratings. Sì, ma questo costo, proiettato sui prossimi quattro o cinque anni, ha un impatto significativo sul bilancio. Ci aspettiamo che, ai tassi attuali, i conti possano peggiorare. Inoltre, bisogna considerare che, come sappiamo tutti, il Paese non si trova in una situazione brillante dal punto di vista della crescita.
Pur avendo un giudizio positivo su molti aspetti della manovra finanziaria, vediamo che il mercato continua a chiedere tassi di interesse molto alti sul debito italiano, che rendono la situazione difficile anche in proiezione futura. È per questo motivo che, al momento, il rating watch è negativo. Se la situazione sul mercato rimarrà quella descritta, il rating non potrà che rifletterla.

PRESIDENTE. Avrei un'altra domanda prima di chiudere.
Alcuni giornalisti hanno sostenuto che il passaggio da A a BBB costringerebbe i fondi pensione a cedere i titoli del Paese che dovesse subire un simile declassamento. Tuttavia, poiché l'ordine di vendita è stato impartito già da qualche tempo, tanto è vero che da 350 miliardi di dollari siamo scesi a 50, cos'altro rimane da vendere? Perché sarebbe necessario un altro downgrade, se i mercati hanno già scontato gli effetti della vendita da parte dei fondi?
Peraltro, sembra che qualcuno ci stia ripensando: da Legg Mason, ad esempio, sarebbe arrivata per l'Italia l'indicazione «buy». Quando valuterete questi fatti ai fini del rating?

KRISHNAN RAMADURAI, Managing director di Fitch Ratings. Le decisioni di rating sono basate sui fondamentali. La nostra metodologia è pubblica. Non ci interessa, quindi, che una decisione di rating abbia un impatto sulle decisioni di un fondo di investimento. Lo dico con assoluta sicurezza. La nostra metodologia è totalmente indipendente e tiene conto dei fattori fondamentali, come ha sottolineato il mio collega.
La domanda è legittima, perché l'Italia ha approvato una manovra. Bisogna considerare, però, le due facce della medaglia. Vi sono i provvedimenti di austerità, ma c'è anche la crescita, che è uno dei fattori più importanti. L'Italia ha compiuto alcuni passi, ma altri sono necessari. Per quanto riguarda la nostra metodologia, anche il tasso di crescita è fondamentale.
Senz'altro non subiamo influenze. Voglio dire con chiarezza che il comitato di


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rating è totalmente indipendente. Quando teniamo riunioni tra analisti, i dirigenti non votano mai per primi, perché prima consentono a tutti di esprimere il proprio parere. È un procedimento collaudato da anni. È in gioco la nostra reputazione: se la perdessimo, perderemmo tutto.

PRESIDENTE. Spero vi candidiate per creare l'agenzia di rating europea: così risolveremo il nostro contrasto con Standard & Poor's e con Moody's.
Ringrazio i nostri ospiti, anche per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,35.

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