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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
8.
Martedì 24 gennaio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AI REQUISITI PRUDENZIALI PER GLI ENTI CREDITIZI E LE IMPRESE DI INVESTIMENTO (COM(2011)452 DEFINITIVO) E DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO SULL'ACCESSO ALL'ATTIVITÀ DEGLI ENTI CREDITIZI E SULLA VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI E DELLE IMPRESE DI INVESTIMENTO E CHE MODIFICA LA DIRETTIVA 2002/87/CE (COM(2011)453 DEFINITIVO)

Audizione del presidente dell'Associazione bancaria italiana (ABI):

2 Conte Gianfranco, Presidente ... 2 7 13 15 17 22
Barbato Francesco (IdV) ... 7
Berardi Amato (PdL) ... 17
Causi Marco (PD) ... 12
Fugatti Maurizio (LNP) ... 10
Mussari Giuseppe, Presidente dell'ABI ... 2 8 9 10 13 15 16 17 18 21
Pagano Alessandro (PdL) ... 19
Pugliese Marco (Misto-G.Sud-PPA) ... 9 18
Strizzolo Ivano (PD) ... 15 16

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal presidente dell'ABI ... 23
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta pomeridiana di martedì 24 gennaio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 13,35.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del presidente dell'ABI.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (COM(2011)452 definitivo) e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 2002/87/CE (COM(2011)453 definitivo), l'audizione del presidente dell'ABI.
Preliminarmente, desidero informare l'avvocato Mussari che la Commissione ha approvato, nella seduta odierna, un atto di indirizzo che impegna il Governo, tra l'altro, ad adottare alcune iniziative in merito alla Raccomandazione dell'Autorità bancaria europea dell'8 dicembre 2011 e ai problemi relativi alla capitalizzazione del sistema bancario italiano. Il testo è a sua disposizione, presidente, per eventuali considerazioni.
Do la parola al presidente dell'ABI per lo svolgimento della relazione.

GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'ABI. Grazie, signor presidente e onorevoli deputati, per l'opportunità che ci avete offerto. Il lavoro svolto insieme, nei due anni trascorsi da quando ho assunto la presidenza dell'Associazione bancaria italiana, è stato per noi sicuramente proficuo - spero sia analoga alla mia la vostra valutazione -, non soltanto per gli specifici temi trattati, ma anche perché è stato possibile, più di una volta, esprimere le nostre opinioni sull'industria bancaria italiana, sulle sue potenzialità, sulle sue difficoltà, su ciò che essa ritiene di poter fare, e di avere già fatto, per il Paese. Desidero, inoltre, dare atto alla Commissione che abbiamo sempre trovato un ambiente in grado di comprendere e indirizzare la nostra attività, a volte in maniera decisa, altre addirittura severa. Da parte nostra, abbiamo sempre cercato di tradurre i vostri suggerimenti in comportamenti concreti.
Siamo qui, oggi, per discutere di Basilea 3 e della sua trasposizione nella legislazione dell'Unione europea.
Si impone, in primo luogo, una considerazione preliminare: stiamo discutendo, ed è giusto che sia così, di provvedimenti comunitari che ancora non hanno efficacia normativa; eppure, paradossalmente, lo facciamo mentre essi hanno già trovato concreta applicazione, in Europa e in Italia.
Da questo punto di vista, credo sia utile, in questa sede, proporre umilmente una prima riflessione, a proposito del fatto che i luoghi della decisione formale tendono


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sempre più a spostarsi verso ambiti tecnici. Data la loro natura, e l'impatto che provocano sui mercati, tali decisioni diventano immediatamente obiettivi concreti da realizzare. Questo cortocircuito tra funzione tecnica e attesa dei mercati rischia, se non attentamente valutato e regolato, di determinare una deminutio sostanziale degli organi titolari della sovranità.
Il «pacchetto» di proposte che prende il nome di Basilea 3 è a voi ben noto. Ne abbiamo molto discusso. Cercherò, quindi, di contenere il mio intervento, in modo da sfruttare questa occasione di incontro per conoscere la vostra visione a proposito del momento e dell'attività delle banche, per dare risposte e, nello stesso tempo, per assumere impegni.
Basilea 3 richiede alle banche di incrementare la quantità e la qualità del loro capitale. È questa la risposta alla grande crisi del 2008. Ci siamo interrogati più volte in ordine alla sua complessità, nonché alla congruità tra quanto era avvenuto e quanto si intende fare per evitare che si ripeta, in futuro, una situazione analoga. Abbiamo accolto Basilea 3 in maniera serena, anche se non abbiamo lesinato interventi in merito a potenziali modifiche, a miglioramenti delle norme in questione.
Il primo punto da cui partire è che le nostre banche operano prevalentemente sul mercato nazionale con una chiara tipizzazione industriale. Gli attivi medi delle banche italiane sono destinati per il 70 per cento a crediti alle imprese e alle famiglie. Si tratta di una percentuale che non ha eguali in Europa e nel mondo. Solo le banche spagnole vi si avvicinano.
La storia del credito delle banche italiane non fa registrare mutamenti negli ultimi dieci anni: la dinamica del credito non soltanto non è diminuita nelle quantità, negli ammontari, ma è stata sempre superiore alla dinamica dell'incremento della ricchezza del Paese. Nello stesso tempo, l'erogazione del credito non ha determinato, in Italia, fenomeni speculativi simili a quelli che si sono prodotti al di là e al di qua dell'Oceano (ad esempio, nel settore immobiliare spagnolo). Le banche hanno tenuto il Paese al riparo da quei fenomeni definiti «bolle», che hanno determinato gravi danni all'economia dei Paesi in cui si sono verificati.
Questa tipologia di banche trova in Basilea 3 un ostacolo principale, noto come «taglia unica», a prescindere dalla tipologia dell'intermediario. È evidente che la taglia unica ben si adatta, o mal si adatta, a seconda del lavoro che si svolge. Se c'è un insegnamento che la crisi ci ha impartito, è che, per conoscere la natura, la stabilità e la qualità delle banche, occorre porsi le seguenti due domande fondamentali: come è composto l'attivo? Qual è il rapporto tra attivo e mezzi reali?
Da questo punto di vista, le risposte che le banche italiane possono dare sono abbastanza chiare.
Il nostro attivo è prevalentemente costituito da crediti all'economia. Il nostro grado di leva, vale a dire il rapporto tra il patrimonio tangibile e la dimensione dell'attivo, è il più contenuto che ci sia, in Europa e nel mondo. Anche in questo caso, gli unici che possono paragonarsi a noi sono gli spagnoli. Ne sono derivate accuse, abbastanza inconsistenti, di arretratezza della nostra industria bancaria.
Tuttavia, nel momento in cui la crisi è diventata più acuta, trasformandosi da finanziaria a economica, alcuni Paesi sono stati costretti a correre in soccorso delle proprie industrie bancarie, investendo ingenti quantità di denaro pubblico (non vi sarà sfuggito, al riguardo, lo studio di Mediobanca, di cui hanno dato notizia, qualche giorno fa, i maggiori quotidiani italiani).
In Italia, invece, ciò non è avvenuto. Non una lira dei contribuenti è stata versata a favore delle banche. Non abbiamo «nazionalizzato» di nuovo le banche, e i soldi che sono stati spesi con lo strumento ideato dal Ministro Tremonti hanno una remunerazione otto volte superiore a quella che altri Paesi europei ed extraeuropei hanno recuperato dalle risorse messe a disposizione delle loro banche.


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Ciò è dipeso esclusivamente dalla struttura genetica dell'industria bancaria, la quale dovrà misurarsi, adesso, con un nuovo complesso normativo.
Alle banche si chiede di incrementare il capitale, a step. Il primo adempimento, riguardante il periodo 2013-2015, è stato già assolto dalle banche italiane mediante gli aumenti di capitale realizzati tra la prima e la seconda parte dell'anno scorso. È richiesto di raggiungere l'8 per cento dal 2013 al 2015, l'8,625 per cento nel 2016, il 9,25 per cento nel 2017, il 9,875 per cento nel 2018 e il 10,5 per cento dal 2019. Mediamente, dopo l'aumento di capitale di Unicredit, il sistema conseguirà in anticipo l'obiettivo fissato per il 2016. Non c'è stata alcuna resistenza, quindi, a richiedere agli azionisti sforzi per adeguarsi a norme che, ripeto, ancora non sono tali.
Nel frattempo, è intervenuta la Raccomandazione formale dell'Autorità bancaria europea, sulla quale si è espressa anche codesta Commissione con la risoluzione approvata stamani, che condividiamo.
Di fronte all'evidente crisi dei debiti sovrani, verificatasi in un breve volgere di tempo, da giugno a settembre, l'Autorità bancaria europea ha ritenuto di eseguire un esercizio straordinario e unico per verificare la tenuta dei capitali delle banche europee in relazione alla loro esposizione in titoli del debito pubblico dei Paesi di appartenenza.
Fin dall'inizio dell'esercizio, non siamo stati convinti della bontà delle decisioni assunte dall'EBA, per due ragioni di fondo.
In primo luogo, la posizione delle banche italiane rispetto al debito pubblico è una frazione dell'esposizione nei confronti dell'economia italiana. Se l'intenzione è quella di misurare la qualità delle banche in base alla loro esposizione in titoli del debito pubblico, con l'idea che, in futuro, esso possa subire una crisi di solvibilità, vuol dire che si guarda il dito e non la luna. Infatti, se si avverasse uno scenario come quello ipotizzato, il problema non sarebbe costituito dalla predetta esposizione, ma da quella, molto più ampia, rispetto all'economia del Paese che ospita le banche.
Per questo motivo, avremmo compreso se l'esercizio avesse considerato l'esposizione verso altri Paesi, ma non verso quello di appartenenza.
La penalizzazione delle banche italiane, se si esclude Unicredit, è in gran parte, forse totalmente, relativa a questo tipo di esposizione, che noi, anche sulla scorta dei criteri contabili attualmente in vigore, continuiamo a ritenere priva di rischio.
L'esercizio dell'EBA ha determinato conseguenze assolutamente evidenti sia rispetto all'andamento del debito pubblico, sia rispetto all'andamento delle banche, al loro valore in borsa e al valore del rischio associato alle banche. Se esso avesse avuto una solida base teorica, ci si sarebbe dovuti aspettare che le banche individuate come bisognevoli di capitalizzazione registrassero una maggiore rischiosità rispetto alle altre, che il mercato della liquidità si riaprisse, almeno per una parte di esse, e che il risultato, per quanto riguarda il debito pubblico, fosse neutro.
Invece, è avvenuto sostanzialmente il contrario. La rischiosità delle banche è aumentata per tutte, il mercato della liquidità si è chiuso per tutte - da qui l'intervento utile, e indispensabile, della BCE - e le quotazioni delle azioni bancarie hanno avuto tutte lo stesso andamento fortemente negativo. D'altra parte, si tratta di dati che riguardano un range temporale molto ristretto. Guardando i dati riferiti al periodo da settembre a oggi, nessuno potrebbe metterli in dubbio.
Meno ancora convince l'unicità dell'esercizio. In termini logici, se un esercizio è giusto si ripete. Se un esercizio è unico e straordinario, viene a chiunque il dubbio che esso non sia giusto, né ben fondato dal punto di vista teorico. In termini di vigilanza prudenziale, non si è mai visto fare di un esercizio un unicum irripetibile, straordinario e temporaneo.
Ho letto con attenzione la relazione svolta dal Presidente Enria davanti a codesta Commissione lo scorso 11 gennaio.


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Da parte nostra, non c'è alcunché di fortemente critico nei confronti dell'Autorità. La nostra Associazione mantiene sempre un certo stile, anche quando dissente. È evidente che la nostra preoccupazione non riguardava, e non riguarda, esclusivamente le banche, le quali hanno disciplinatamente presentato il loro esercizio alla Banca d'Italia, e faranno il loro corso. Ciò che ci preoccupa è la propensione che avranno in ordine ai titoli di Stato sia le banche coinvolte nell'esercizio, sia quelle escluse. Ciascuna risolverà la questione al proprio interno, secondo i propri criteri e responsabilità. È chiaro, tuttavia, che l'esercizio crea un vulnus rispetto ad asset che, in precedenza, erano ritenuti non rischiosi e che ancora oggi sono considerati tali in base ai criteri contabili.
Una sollecitazione che vi rivolgiamo a questo proposito è che non si introduca nella quarta direttiva sui requisiti patrimoniali (CRD IV), materia di cui stiamo discutendo, una ponderazione per i titoli di Stato. Non vorrei che l'esercizio, piuttosto che rimanere unico, diventasse addirittura norma. A quel punto, sarebbe veramente difficile immaginare il sostegno al debito pubblico, nostro o di altri Paesi.
È bene cominciare a dire, anche a chi non vuole capirlo, che questo problema deve essere reso comune. Con l'attuale regime di tassi, ci sono Paesi, in Europa, che si finanziano praticamente a zero, o addirittura, in alcune aste, a tassi negativi. Noi tutti speriamo che questa fase possa avere una rapida e ragionevole soluzione.
Il Paese sta sopportando grandi sacrifici, che devono essere valorizzati. Per una volta, bisogna dare ragione al responsabile per l'Europa di Standard & Poor's, il quale, in un'intervista pubblicata oggi, ha dichiarato di aver apprezzato i risultati prodotti dal Parlamento - poco, invero, considerato il rating che ci hanno attribuito -, ma che il problema può trovare soluzione altrove, segnatamente in Europa. È quello europeo il tavolo dove il lavoro encomiabile che è stato compiuto deve riuscire a produrre risultati concreti. Se questi risultati dovessero arrivare, in un range temporale ragionevole i tassi tornerebbero a crescere.
Se i tassi dovessero tornare a crescere, quale valore avrebbero i titoli che oggi sono stati emessi a redditività negativa? Quali risultati patrimoniali si produrrebbero per le banche che li detengono? Sicuramente, alla scadenza, i titoli saranno rimborsati al 100 per cento. Se, tuttavia, nel corso della vita dei titoli, i tassi salissero, e il valore dei titoli diminuisse, saranno richiesti aumenti di capitale? Questo riguarda, in primo luogo, il debito pubblico della Repubblica federale di Germania, che gode, oggi, delle migliori condizioni di mercato in termini di tassi.
La materia dei debiti sovrani è troppo delicata per operare in maniera erratica, perché la forza di una moneta deriva dalla solidità dei debiti pubblici espressi in quel conio. Il dubbio su un debito pubblico determina, quindi, gravi danni per la moneta, oltre che ingiusti vantaggi competitivi per un Paese rispetto ad altri. Esso si traduce in vantaggi per il debito pubblico e per l'economia di alcuni, perché la moneta è appesantita, per così dire, dalla qualificazione negativa attribuita alle economie che si vogliono descrivere come peggiori e non è rapportata al loro valore. Non si possono pagare a lungo due conti di natura ed entità simili.
Ciò detto, e al netto di quanto l'ABI sta facendo, vi ringraziamo dell'attenzione che avete voluto dedicare all'esercizio dell'EBA, impegnando il Governo ad adottare svariate iniziative. Credo che di questa materia saranno investite le Assemblee della Camera e del Senato.
Ritengo che, rispetto a Basilea 3, dobbiamo porci pochi, ma chiari obiettivi. Per quanto ci riguarda, questi pochi e chiari obiettivi sono tre.
Il primo è il supporto alle piccole e medie imprese. Non è accettabile che Basilea 3 penalizzi, dal punto di vista della ponderazione del rischio, il credito alle piccole e medie imprese. C'è una proposta di modifica dell'ABI molto chiara, sottoscritta da Confindustria, R.ETE. Imprese Italia, Alleanza italiana per le cooperative


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e rappresentata a Bruxelles da tutte le imprese italiane, per la prima volta, al Commissario Barnier. Non possiamo tollerare una penalizzazione delle esposizioni creditizie nei confronti delle piccole e medie imprese, che si tradurrebbe in una restrizione del credito per costoro. Se pesasse più di prima sul capitale, che è una misura data, è evidente che il credito di cui stiamo discorrendo avrebbe minore spazio.
La seconda questione è che non può esserci alcuna ponderazione per i titoli pubblici. Lo dico, paradossalmente, più nell'interesse degli intermediari stranieri e della stabilità complessiva dell'Unione europea.
La terza questione, altrettanto importante, riguarda principalmente l'Italia. Come sapete, le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, che derivano dalle operazioni di erogazione del credito alla clientela, non sono liberamente deducibili da parte delle banche. In particolare, soltanto una piccolissima parte di esse può essere dedotta nell'esercizio in cui si verifica, mentre la deduzione della restante parte deve essere spalmata nei diciotto esercizi successivi. Questo meccanismo determina poste all'attivo che vanno sotto il nome di imposte differite. Codesta Commissione è stata interessata più volte, affinché fossero introdotte modifiche volte a rendere tale tipologia di attivi italiani assolutamente congrua con le norme di Basilea 3.
A questo punto, dopo alcuni cambiamenti, le DTA (deferred tax assets) sono diventate crediti di imposta veri e propri. Non si dica, ora, che sono escluse dal patrimonio di vigilanza delle banche, perché ciò sarebbe oggettivamente inaccettabile, anche rispetto alla qualità del lavoro svolto al riguardo dal Parlamento italiano. Da questo punto di vista, non c'è Presidenza danese che tenga! Per dare soluzione a questo problema tecnico è stato seguito un percorso istituzionalmente corretto, con la Commissione, con la Banca d'Italia e con il Parlamento.
D'altra parte, a noi farebbe molto più piacere poter dedurre integralmente i crediti in sofferenza. Da questo punto di vista, siamo aziende anomale: le altre possono dedurre le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, se sono in grado di giustificarle; noi non possiamo farlo. Sappiamo bene che non è il caso, oggi, di porre questioni che riguardano la fiscalità generale. Il senso di responsabilità vuole che si dica, ma che non si protesti. Tuttavia, non si può subire, oltre al danno, anche un'atroce beffa, in special modo dopo il lavoro che è stato svolto nelle aule parlamentari: ciò sarebbe oggettivamente inaccettabile.
Credo che le tre questioni indicate siano quelle cui dobbiamo prestare attenzione. Naturalmente, non voglio dire che, all'interno di Basilea 3, non esistano altre anomalie - diciamo così - che ci preoccupano.
Una per tutte concerne il range di variazione dei risk weight, con riferimento al rischio di credito relativo ai mutui residenziali. Sotto tale profilo, emerge una situazione veramente singolare. I maggiori gruppi italiani, che adottano un sistema di rating avanzato, applicano per questa classe di attività un fattore di ponderazione del 19,6 per cento. La casa è un bene primario, e l'italiano giustamente festeggia quando paga l'ultima rata del mutuo. La storia dimostra che la qualità dei mutui immobiliari è sempre stata buona. Il rapporto tra rata e reddito è corretto, così come il rapporto tra il valore della casa e il valore del mutuo. Ebbene, questo valore è più elevato del 46 per cento rispetto alla media europea, che è pari al 13,5 per cento, e addirittura del 131 per cento rispetto alla Svezia, dov'è applicata una ponderazione dell'8,5 per cento. Dipende da questo il fatto che, per le banche svedesi, l'esercizio dell'EBA non ha indicato la necessità di capitale. Forse, se avessero applicato la stessa ponderazione di quelle svedesi, anche le banche italiane avrebbero avuto bisogno di una minore quantità di capitale per raggiungere la fatidica soglia del 9 per cento. Nel confronto con i principali Stati membri dell'UE, spicca, inoltre, il differenziale del 96 per cento rispetto a Francia e Irlanda.


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Esistono, quindi, altre questioni. Nella dinamica della disciplina di vigilanza prudenziale vedremo come riuscire a portarci non ai livelli più bassi, ma quanto meno a un livello medio. Per un verso, poiché un livello alto è indice di solidità, tenderei istintivamente a mantenerlo il più possibile alto. Tuttavia, per un altro verso, un livello più basso è indice di competitività. Chi può fare le stesse cose con meno capitale prevale, prima o poi, su chi ha bisogno di un capitale maggiore.
Questo è il tema di fondo. Vedremo di trovare qualche aggiustamento.
Le tre questioni su cui vi raccomando la massima attenzione sono, dunque, la ponderazione dei titoli di Stato, il supporto alle piccole e medie imprese - chiediamo esclusivamente di applicare Basilea 2 e di evitare stravolgimenti - e le imposte differite.
Sono questioni che incidono pesantemente non soltanto sulla vita dell'industria bancaria, ma anche sull'economia reale del nostro Paese.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Mussari e do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCESCO BARBATO. Ringrazio il presidente Mussari anche a nome del gruppo parlamentare Italia dei Valori.
Devo riconoscere che il presidente dell'ABI è molto bravo. Si vede che è un avvocato: mi stava quasi convincendo, malgrado noi di Italia dei Valori soffriamo di una forma di allergia, per così dire, nei confronti dei banchieri e del sistema bancario.
Al di là delle battute, mi stuzzica, e stimola una serie di quesiti, innanzitutto, la sua affermazione, presidente, secondo la quale i luoghi delle decisioni finali si stanno spostando verso ambiti di natura tecnica, con conseguente deminutio degli organi investiti del potere decisionale dalla sovranità popolare.
Nei giorni scorsi, cinque primarie banche italiane, alle quali l'Agenzia delle entrate aveva contestato l'illegittimità di alcune operazioni finanziarie, realizzate al solo scopo di ridurre le imposte dovute, hanno versato all'erario, facendo ricorso a uno dei cosiddetti istituti deflativi del contenzioso, circa un miliardo di euro. Tra esse figura Intesa Sanpaolo, alla cui guida c'era, all'epoca in cui furono compiute le predette operazioni, l'attuale Ministro Passera: sembra che la banca abbia dovuto versare 350 milioni di euro, tra imposte, sanzioni e interessi.
Immagino possa farvi piacere che i luoghi delle decisioni finali si siano spostati verso ambiti tecnici, considerato che il Governo attuale è tecnico e che uno dei ministri tecnici è stato alla guida di una banca accusata di elusione, la quale ha definito il contenzioso con l'Agenzia delle entrate versando 350 milioni di euro. Uno più uno, per me, fa due. Le chiedo, quindi, se faccia piacere all'ABI che i luoghi della decisione siano tecnici, che anche i Governi siano tali, piuttosto che politici, e che al loro interno vi siano Ministri come Passera.
Inoltre, per quanto riguarda la concessione di liquidità da parte della BCE, di cui le banche italiane sembrano avere approfittato per un valore superiore a 110 miliardi di euro, vorrei sapere se abbiate ricevuto questi soldi, oppure no. Vorrei da lei, presidente, una risposta non politica, non come quelle che dà il Presidente Monti, il quale afferma quasi sempre che sta studiando i vari problemi del Paese. Preferirei che lei mi dicesse quanto avete ottenuto dalla BCE, oppure se non prenderete nulla. Vorrei una risposta tecnica, anche perché ho il sospetto che, navigando verso Basilea 3, il sistema bancario italiano si orienti sempre di più verso le attività puramente finanziarie. Prendere soldi dalla BCE all'1 per cento e acquistare titoli di Stato al 5 per cento è più redditizio e meno rischioso che offrire credito a imprese e famiglie. A un'esposizione maggiore al rischio, rebus sic stantibus, il sistema bancario preferisce un'attività di retroguardia - diciamo così - che comporta una chiusura dei rubinetti del credito per le imprese e per l'economia italiana.


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La terza domanda è più «volgare». A suo dire, presidente, il sistema bancario italiano ha una diversa struttura genetica. Noi di Italia dei Valori apprezziamo un sistema sano, che funziona, e siamo pronti a prenderlo per mano, come si suole dire. La diversità genetica delle banche italiane le renderebbe più solide, in generale, rispetto alle altre banche europee. Se è così, perché c'è ancora tanta differenza di costi per quanto riguarda le spese di tenuta dei conti correnti e quelle collegate all'utilizzo delle carte di credito? Perché i costi dei servizi bancari sono, in Italia, molto più alti rispetto alla media europea?
Le ho rivolto la stessa domanda in occasione della precedente audizione, presidente, ma mi sembra che non sia cambiato molto da allora. La vostra connotazione genetica è rimasta la stessa, ma anche i costi per i consumatori italiani non sono mutati.
Sarà un pensiero malevolo il mio, ma non vorrei che, in questo momento di gravissima difficoltà sotto il profilo dell'erogazione del credito, le imprese, per ottenere un affidamento, fossero costrette a sottoscrivere obbligazioni delle banche, oltre che a prestare garanzie e controgaranzie. All'esterno del mondo bancario, fatti simili potrebbero integrare il delitto di estorsione. Lei, presidente, negherà che ciò possa avvenire, ma siamo venuti a conoscenza di alcuni casi, che denunceremo attraverso l'attività di sindacato ispettivo.
La nostra preoccupazione è che il sistema funzioni, a partire dalle esigenze dei consumatori, e che le imprese, le banche e tutti noi, insieme, facciamo la nostra parte.

GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'ABI. Per quanto riguarda la sua prima domanda, onorevole Barbato, credo le sia noto, avendone questa Commissione discusso, ed essendo il presidente Conte particolarmente attento al tema, il problema dell'abuso del diritto. Le contestazioni cui ha fatto riferimento derivano dall'applicazione di tale principio, non espressamente sancito da una norma del nostro ordinamento tributario, ma elaborato dalla giurisprudenza. Peraltro, sono state presentate, in materia, alcune proposte di legge, le quali daranno modo al Parlamento di definire in maniera univoca i contorni e l'ambito di applicazione dell'istituto.
Riterrei complicato, tuttavia, stabilire una connessione, dal punto di vista logico, tra la soluzione transattiva adottata dalle banche italiane, per contestazioni che ammontavano a diverse centinaia di milioni di euro, e le vicende politiche attuali. Nei casi citati, la valutazione delle singole aziende ha senz'altro tenuto conto del fatto che, a fronte del rischio di pagare 100, conviene risolvere la questione al costo di 50. In prospettiva, è interesse di ogni azienda vivere senza che incomba su di essa un rischio pari a 100, anche se sono convinto che, a lungo andare, quel rischio avrebbe potuto diminuire drasticamente, o addirittura azzerarsi. Si è trattato di una certa fase della vita della nostra nazione. Se posso permettermi, credo che farebbe bene il Parlamento a disciplinare la materia, individuando un indirizzo univoco e non fluttuante, perché le oscillazioni interpretative non consentono di intrattenere con il fisco un rapporto chiaro e leale.
Temo che la mia riflessione su sedi tecniche e luoghi investiti del potere decisionale attraverso il suffragio universale poco si sposi con il suo paragone, onorevole Barbato. Comprendo il punto di vista della sua parte politica, ma discutevo di altre questioni. Il tema, per quanto ci riguarda, è avere un confronto franco e sereno con le istituzioni tecniche, siano esse il Comitato di Basilea o altre. Personalmente, ritengo che le regole debbano essere dettate dai Parlamenti.
La questione che ponevo riguarda, in un certo senso, i tempi. La democrazia, per i tempi che oggettivamente la caratterizzano, rischia di trovarsi indietro di almeno un giro rispetto a valutazioni e decisioni tecniche che, comunicate al mercato, hanno un impatto immediato. Questo è il gap. Il rischio è lo svuotamento non dei Governi, ma dei Parlamenti. Poi, sul Governo


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tecnico ciascuno può avere l'opinione che vuole, e non credo che la mia interessi in maniera particolare.
Le strutture tecniche sono necessarie per determinate materie. Tuttavia, bisognerebbe ridurre il gap evidenziato, perché il Parlamento europeo, come voi adesso, del resto, discuterà di una normativa cui è già stata data applicazione. Esiste una contraddizione più palese di questa? Normalmente, la nuova disciplina avrebbe dovuto trovare applicazione dopo la conclusione dell'esame delle proposte di regolamento e di direttiva da parte del Parlamento europeo (e dopo il recepimento da parte del Parlamento nazionale). Invece, così non è. Sarebbe molto complicato oggi, anche per un Parlamento, modificare la situazione data, perché i mercati già considerano quella disciplina efficace e vincolante. In maniera del tutto serena, mi chiedo, quindi, a quale livello si situi, rispetto a Basilea 3, la volontà popolare. Questo era il mio ragionamento.
Per quanto riguarda la liquidità messa a disposizione delle banche italiane dalla BCE, essa ammonta a 116 miliardi di euro.

MARCO PUGLIESE. I giornali dicono 140.

GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'ABI. Per noi sono 116. Dobbiamo distinguere tra gli impegni verso la BCE e il programma triennale della BCE, perché si tratta di due grandezze diverse. Mi sembra che la domanda dell'onorevole Barbato avesse ad oggetto il programma triennale. A noi risultano 116 miliardi di euro, di cui 57 nuovi e i restanti rinnovati. Abbiamo, quindi, un delta positivo di 57 miliardi. La liquidità è a tre anni, con un tasso d'interesse dell'1 per cento.
Tali risorse servono, in primo luogo, ad affrontare le prossime scadenze relative alle obbligazioni wholesale. Ciò vale per tutta l'Europa. Essendosi chiuso il mercato della liquidità, se in Europa non avessimo potuto disporre di quella messa a disposizione dalla BCE, non avremmo potuto rinnovare le anzidette obbligazioni, e questo avrebbe determinato una riduzione del credito. Quando è impossibile rinnovare il debito, per restituire quanto ci è stato dato in prestito non possiamo fare altro che farci restituire quanto a nostra volta abbiamo prestato.
Per altro verso, la liquidità fornita dalla BCE servirà a sostenere il credito. Il dubbio che ci convenga di più investire questa liquidità in BTP al 5 per cento è legittimo. Tuttavia, se si va ad approfondire, ci si accorge che non siamo, in realtà, davanti a due scelte in concorrenza tra loro, perché la BCE risconta gli eventuali BTP, senza sottrarre liquidità al credito.
La domanda che mi porrei, piuttosto, è la seguente: quanta liquidità si trasformerà in BTP? Speriamo che sia una quantità sufficiente a sostenere il debito pubblico. La mia preoccupazione è, quindi, opposta a quella che lei esprime, onorevole Barbato, perché un'eventuale operatività in BTP non sottrarrebbe liquidità alle imprese. I BTP, infatti, sono ugualmente stanziabili in garanzia presso la BCE. Spero di essere stato chiaro.
Per quanto riguarda i costi dei servizi, dal 2007 al 2011 l'inflazione è stata dell'11 per cento, mentre i servizi finanziari sono aumentati del 5,9 per cento. Il conto corrente medio costa 110 euro, ovvero 30 centesimi al giorno. Se vuole, onorevole, possiamo mettere a sua disposizione tutta la mole di dati di cui disponiamo.
Anche da questo punto di vista è bene intendersi sul tipo di banche che vogliamo. Se vogliamo banche che servano l'economia reale, che abbiano pochi attivi finanziari, che traggano i propri ricavi dall'attività tradizionale, bisogna che questa attività tradizionale sia remunerata in modo equo e trasparente. Diversamente, l'attività tradizionale sarebbe gratuita. Un esempio di gratuità è nel provvedimento a favore dei benzinai, che impone di svolgere un'attività a titolo gratuito. I benzinai hanno ragioni da vendere, perché su quello che incassano trattengono una minima percentuale, mentre pagano una commissione sui pagamenti effettuati con moneta elettronica. Fanno bene, quindi, a protestare. Tuttavia, non si può imporre a un operatore di mercato di prestare un servizio a


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titolo gratuito. Se i soldi li incassa lo Stato, si accolli quella parte di commissione.
Per quanto riguarda le commissioni connesse all'utilizzo delle carte di credito, come abbiamo sempre detto, siamo disponibili a discuterne. Il Parlamento ha fissato una percentuale massima dell'1,5 per cento. Credo sia stato un errore perché, nel momento in cui si fissa un prezzo, tutti arrivano a quel prezzo. I temi veri sono abrogare la banconota da 500 euro, aumentare gli incentivi per la moneta elettronica e discutere, per quanto possibile, della riduzione delle commissioni rispetto ai volumi. Alle banche conviene ridurre la circolazione del contante, poiché questa ha un costo significativo (oltre alle varie implicazioni, non del tutto commendevoli, che lei, onorevole Barbato, conosce meglio di me).
Per quanto riguarda l'ultima questione, è la prima volta che ne sento parlare. Non sono, quindi, in grado di commentare. Il rapporto tra banche e clienti si basa su impieghi e depositi. L'equilibrio tra queste due componenti è fondamentale per la vita di una banca commerciale. Per come è stato posto il problema, è evidente che i casi cui si è fatto generico riferimento si collocano fuori dalla fisiologia del rapporto tra banche e clienti. Tante imprese italiane hanno debiti a lungo termine verso le banche e, fortunatamente, congrui depositi presso le banche medesime. Questa situazione è fisiologica. Invece, mi sembra che lei, onorevole Barbato, si riferisse a comportamenti oggettivamente patologici, di cui, ripeto, non ho conoscenza: se fossero confermati, li condannerei apertamente.

MAURIZIO FUGATTI. La ringrazio, presidente Mussari, per la sua partecipazione all'audizione odierna.
Lei ha affermato, nella relazione, che il profilo dei tassi potrebbe cambiare, e che un aumento dei rendimenti, con conseguente diminuzione del valore dei titoli, ridurrebbe la «discriminazione» che le banche italiane subiscono nei confronti di altre banche europee, mentre altri Paesi sarebbero influenzati negativamente da tale mutamento di scenario.
In base alle vostre previsioni, ritenete, quindi, che migliorerà la situazione delle nostre banche con il mark-to-market?
Inoltre, nelle precedenti audizioni, i rappresentanti delle agenzie di rating hanno dichiarato che le banche italiane non saranno necessariamente in grado di garantire finanziamenti alle imprese ai livelli pre-crisi, anche qualora riuscissero a rispettare Basilea 3, le prescrizioni dell'EBA e via discorrendo. Cosa ne pensa, presidente?
Infine, come gruppo della Lega Nord, abbiamo riconosciuto, in parte modificando il nostro punto di vista, che il sistema bancario italiano è diverso da altri ed è stato meno sostenuto dall'intervento pubblico (abbiamo letto anche noi lo studio di Mediobanca).
Presidente Mussari, agli occhi degli imprenditori, nonostante i chiarimenti da lei forniti anche in merito all'utilizzo dei 116 miliardi di euro di liquidità ottenuti dalla BCE, le banche perseguono essenzialmente i propri interessi. Nella situazione attuale, è difficile spiegare alle imprese che il sistema bancario italiano è stato il meno aiutato dallo Stato, che ha preferito essere competitivo nel mercato tradizionale e che, se facesse finanza, i costi diminuirebbero. Il messaggio che è passato, presidente, è che le banche si sono messe in tasca i 116 miliardi di euro, senza dare alcunché alle piccole e medie imprese.

GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'ABI. Ho fatto riferimento alla questione dei tassi per mostrare quanto sia sbagliata una ponderazione dei titoli di Stato diversa da quella vigente, che qualcuno vorrebbe introdurre in Basilea 3. In prospettiva, senza guardare all'interesse delle banche italiane, la ripresa economica e una normale risalita dei tassi causerebbero inevitabilmente una perdita di valore dei titoli a cinque anni, emessi, oggi, a rendimento negativo. Commetteremmo un errore se modificassimo la ponderazione di tali titoli, perché si determinerebbero


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minusvalenze per le banche che li detengono.
L'esempio mi serviva per ribadire che, all'interno di una comunità economica dotatasi di una moneta unica, non si può mettere in discussione la solvibilità degli Stati membri. Alle posizioni in titoli di Stato, che siano detenute dalle banche o da imprese commerciali, deve corrispondere una ponderazione del rischio pari a zero, a prescindere dall'andamento momentaneo dei titoli medesimi.
In altre parole, deve essere dato per assodato che, al termine della vita dei titoli, lo Stato li rimborserà al 100 per cento. Aver messo in discussione questo principio, e non aver dato soluzione al caso greco, è una delle cause dei guai che ci stiamo procurando.
Mi terrorizza che una norma prudenziale riguardante le banche possa prevedere, a regime, una ponderazione dei titoli: significherebbe ammettere che questi potrebbero non essere rimborsati integralmente, il che è davvero privo di senso nella comunità in cui viviamo.
Diversa questione è il mark-to-market. Ci aspettiamo un miglioramento se lo spread tra BTP e bund si ridurrà. Una riduzione dello spread comporterebbe un apprezzamento dei nostri titoli a dieci anni, e in seguito degli altri, che si riavvicinerebbero alla parità. Il rapporto tra costo storico e costo di mercato dei titoli si ridurrebbe, fino ad azzerarsi.
La Banca d'Italia lega il tema dello spread anche alla crescita economica del Paese. In una interessante ricerca pubblicata nell'ultimo Bollettino economico, l'Istituto analizza le prospettive dell'economia italiana nel biennio 2012-2013, ipotizzando rendimenti dei BTP a dieci anni inferiori di 200 punti base rispetto a quelli attualmente incorporati nelle quotazioni dei mercati finanziari. Nello scenario preso in considerazione, in media d'anno, il PIL diminuirebbe dell'1,2 per cento nel 2012 e si espanderebbe dello 0,8 nel 2013.
A prescindere dai vaticini delle agenzie di rating, dipenderà da due fattori se le banche torneranno a finanziare le imprese come facevano prima della crisi.
In primo luogo, il mercato della liquidità deve ritrovare una sua normalità, e ciò accadrà nel momento stesso in cui i rischi sovrani si normalizzeranno. Il meccanismo si è deteriorato quando si è ritenuto che il rischio sovrano italiano, spagnolo, irlandese, greco e portoghese non fosse più governabile e che nessuno fosse in grado di garantirne l'affidabilità. Le banche dei predetti Paesi si sono viste immediatamente chiudere ogni tipo di rifornimento di liquidità sul mercato all'ingrosso. La prima difficoltà da rimuovere è questa. Per un verso, essa dipende dalla percezione del nostro debito pubblico e dalle misure che l'Italia deve adottare. Per altro verso, dipende da una stabilità europea che è ancora di là da venire.
La giornata di oggi si apre con i nostri titoli pubblici in recupero, sia perché sembra che la soluzione greca si avvicini, sia perché, stando alle notizie divulgate dalle agenzie di stampa, sarebbero state prese alcune decisioni in ordine al cosiddetto «fondo salva Stati». Tuttavia, basta una dichiarazione dei tedeschi che metta in dubbio le decisioni in merito al fondo, oppure alla soluzione del problema greco, per far incrementare lo spread di dieci punti base e per far perdere alle azioni delle banche quotate il 3 per cento del loro valore. Eppure, oggi siamo gli stessi di ieri, giornata in cui abbiamo guadagnato venticinque punti base sullo spread: non siamo cambiati, non ci siamo dati alla pazza gioia.
Ci dicono che dobbiamo «fare i compiti». Secondo me, abbiamo fatto anche quelli per le vacanze. Se, però, non si risolve il problema all'origine, non ci sono «compiti» che tengano! Se mi è consentita una riflessione che travalica il mio ruolo, è pericoloso il permanere di una situazione nella quale chi ha fatto sacrifici, mettendosi in regola e rinunciando ad alcune cose che pensava fossero date - forse privilegi, forse no -, non vede il problema risolversi.
Ben vengano, quindi, tutte le pressioni e gli indirizzi al Governo per far valere in Europa la qualità e la solidità di questo Paese. Una comunità non è tale se prevede


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che, in caso di difficoltà, un proprio membro debba risolvere ogni problema da solo. La riflessione di qualche autorevole esponente tedesco, secondo il quale l'Italia può farcela da sola, non è positiva. Se siamo dentro una comunità, dobbiamo muoverci all'interno di un quadro comunitario, non da soli.
La nostra capacità di fornire tutto il credito che offrivamo prima della crisi dipenderà da questo, più che dalla nostra volontà.
I nostri ricavi sono rappresentati, per una percentuale importante, dal margine di interesse, che si ottiene in due modi: o con il differenziale di spread sui titoli di Stato, o prestando soldi a imprese e famiglie. Altro sistema non c'è. Le banche sono aziende che vogliono, debbono e possono fare credito. Oggi, il contesto rende più difficile il nostro lavoro. A differenza delle agenzie di rating, auspico che le banche possano continuare a svolgerlo; tuttavia, affinché si possa ritornare ai livelli raggiunti prima della crisi, occorre che alcune cose si facciano in Italia, altre in sede comunitaria.
Lei ha perfettamente ragione, onorevole Fugatti, quando afferma che la diversità del sistema bancario italiano è difficile da spiegare: è uno dei guai in cui ci troviamo in questo momento. Noi ci proviamo, e vorrei chiedere anche a voi di provarci, a prescindere dalle differenti posizioni su specifiche questioni, come quella delle carte di credito.
Noi possiamo dire, e voi potete riconoscere serenamente, che non abbiamo mai messo in difficoltà il Paese. Aiutateci a far capire che la liquidità fornita dalla BCE serve a mantenere lo stock di credito esistente, nonché a erogare tutto il credito possibile. Il credito non è in concorrenza con i BTP, perché questi non assorbono liquidità e, per il momento, nemmeno patrimonio.

MARCO CAUSI. Nel corso di queste audizioni, soprattutto dopo le dichiarazioni di autorevoli esponenti della Banca d'Italia e, ancora di più, dopo quelle del presidente Draghi, stiamo riscontrando grande concordia tra noi con riferimento sia a Basilea 3, sia all'esercizio dell'EBA. I diversi gruppi politici si rendono conto che siamo di fronte a un problema di sistema del Paese e che, quindi, bisogna fare tutto il possibile per ottenere quella che può sembrare una quadratura del cerchio.
Per aiutarci nel lavoro, che lei giustamente ci sollecita a svolgere, presidente, potrebbe far diventare patrimonio comune, intanto, alcune specifiche informazioni.
In primo luogo, quanti capitali sono arrivati in Italia attraverso il canale bancario? Appartiene al senso comune, anche nell'ambiente politico, l'opinione che l'Italia sia poco attrattiva e che, di conseguenza, non arrivino, nel nostro Paese, capitali dall'estero.
Tuttavia, ciò è vero se si ha riguardo agli investimenti diretti all'estero, cioè alle decisioni di società estere di impiantare stabilimenti in Italia (ad esempio, nella forma greenfield). Io ricordo, invece, che l'Italia, fino a qualche anno fa, ha attratto molti capitali tramite il canale bancario. Probabilmente, anche questo aspetto fa parte della nostra specificità rispetto ad altri sistemi: abbiamo attratto meno IDE, ma più capitali tramite il canale interbancario. Sarebbe importante, quindi, conoscere i dati relativi ai capitali giunti nel nostro Paese attraverso le banche, verificare l'evoluzione di tale flusso negli ultimi anni e far capire come il nostro sistema bancario, in realtà, abbia drenato risorse dall'esterno, svolgendo, in tal modo, un ruolo importantissimo.
Da questo punto di vista, presidente, è vero che, a parità di fonti di approvvigionamento, la scelta che un operatore creditizio italiano compie, tra BTP ed economia reale, non è alternativa. Tuttavia, la preoccupazione riguarda l'estero: esiste, oggi, una tale competizione sulle allocazioni finanziarie, a livello mondiale, che il canale tradizionale interbancario, attraverso il quale acquisivamo capitali per la nostra economia reale, è diventato più ostico per noi in confronto agli altri competitori. In altre parole, il mercato internazionale potrebbe ritenere il canale bancario


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italiano meno interessante rispetto al passato. Si tratta di un tema che dobbiamo approfondire e far comprendere anche all'opinione pubblica.
Un'altra questione non è politica, ma di conoscenza, perché concerne le informazioni in vostro possesso sul processo di Basilea 3 e sull'esercizio dell'EBA. Poiché siamo di fronte a questioni che involgono rilevanti interessi del Paese - si pensi alle piccole e medie imprese, ai titoli pubblici, al tax deferral e via discorrendo -, molti si chiedono come mai l'Italia non si sia saputa difendere nei processi di negoziazione, di contrattazione, di condivisione e di discussione nelle sedi associative, regolamentari e parlamentari. Ogni tanto, sembra che arriviamo all'ultimo momento...
Quale strategia di alleanze potete suggerirci? Esistono alleanze tra Paesi, o con particolari sistemi associativi all'interno dei Paesi? Forse, bisogna investire di più su una battaglia culturale, per quanto riguarda, ad esempio, i modelli di valutazione del rischio. Perché deve esistere solo un modello standard?
Sarebbe importante, per noi, sapere se da parte dell'Italia, compreso il Parlamento, vi sia stata disattenzione, e come superare i problemi da questa creati.
Concordo totalmente, presidente, con la sua visione del ruolo dell'Unione europea nella situazione attuale. Ritengo che la politica monetaria integrata sia una delle poche politiche comuni europee. Non c'è, invece, una politica comune di difesa, mentre quella in materia di concorrenza è rimasta a metà strada, nonostante i grandi sforzi dell'ex Commissario Monti. La politica agricola, poi, è in una situazione di perenne riforma.
La politica monetaria, l'unica importante, vera, forte politica comune che abbiamo costruito in questi anni, non funziona più da quando è scoppiata la crisi, per effetto anche di scelte sbagliate. Se la BCE interviene, e il suo intervento si riflette in un differenziale di interessi come quello attuale tra i titoli di Germania e Italia, vuol dire che quella politica non funziona. Rimetterla in moto è, quindi, importantissimo.
Da ultimo, presidente, qualche giorno fa, in occasione di un'audizione svolta presso la Commissione bilancio della Camera, anche la dottoressa Cannata Bonfrate, direttrice generale del debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze, ha lamentato - se posso usare questo termine - come l'investimento in titoli di Stato possa essere scoraggiato dal fatto che i dipendenti delle banche fanno di tutto per vendere ai clienti altri prodotti, tanto è vero che il Tesoro starebbe pensando di organizzare un canale alternativo, attraverso il quale il cittadino potrà direttamente emettere l'ordine on line, accedendo alla piattaforma del Mercato telematico delle obbligazioni e dei titoli di Stato. Vorrei una sua opinione in merito.
Considerato che, come lei ha giustamente affermato, nei prossimi mesi sarà cruciale l'assorbimento dei titoli pubblici italiani, ci sembra assolutamente necessario che le banche facciano di tutto per far funzionare al meglio ogni canale retail, per quanto piccoli siano i flussi veicolati. In questa fase, il sistema bancario potrebbe svolgere un importante ruolo sotto diversi profili: politico, della comunicazione e del costume.

GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'ABI. Abbiamo depositi dall'estero per 433 miliardi di euro, il 2 per cento in meno anno su anno. Il 19 per cento del capitale delle prime sessanta banche italiane è posseduto da fondi esteri. Questi sono i primi dati. Disponendo di un margine di tempo, potremmo fornire una risposta più completa.

PRESIDENTE. Al netto dell'acquisto dei titoli di Stato?

GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'ABI. Si tratta di depositi.
Per quanto riguarda il finanziamento interbancario e la concorrenza, lei giustamente ipotizza, onorevole Causi, che sia il nostro modello, o la nostra realtà economica, a rendere meno conveniente per i grandi detentori di liquidità investire nel debito delle banche italiane.


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Fino a giugno dell'anno scorso non abbiamo avuto problemi a emettere le nostre obbligazioni wholesale. Il tema è il cosiddetto rischio Paese. Se si comincia a dubitare della solvibilità e della stabilità di uno Stato, non c'è banca che riesca a finanziarsi, perché il contagio è, ovviamente, immediato.
D'altra parte, questo fenomeno riguarda l'intera Europa. Negli ultimi sei mesi, infatti, non ci sono state emissioni di obbligazioni da parte di banche europee. È evidente che stiamo assistendo a un fenomeno molto singolare. Masse ingenti di denaro - trilioni di dollari - sono ferme, e non trovano albergo, perché il debito pubblico tedesco è relativamente piccolo, mentre quello americano è già ottimamente impiegato verso l'Estremo Oriente o in patria. Quando si capirà che la curva ha raggiunto il suo picco, e che si prospettano enormi riprese di valore per chi inizierà a investire, arriverà la svolta.
Dobbiamo pur dire, con estrema chiarezza, che qualcuno è diventato ricco, che qualcuno sta soffrendo e che, senza dubbio, qualcuno diventerà ancora più ricco.
Non credo che siamo strutturalmente destinati a non ricevere attenzione da parte dei grandi investitori istituzionali. Abbiamo una buona economia reale, e le nostre imprese, mediamente più rischiose delle altre in relazione alle loro dimensioni, proprio per questo pagano di più. Il margine di interesse delle banche italiane è sempre stato uno degli elementi fondamentali dei loro ricavi. Ripeto che non abbiamo mai avuto difficoltà e che stiamo attraversando una fase oggettivamente senza precedenti.
È difficile rispondere alla sua terza domanda, onorevole Causi. Lo premetto non per evitare di pronunciarmi al riguardo - è noto, infatti, che non sono destinato a fare carriera -, ma perché il processo cui lei ha fatto riferimento nasce senza consultazioni preventive degli intermediari e senza uno studio di impatto. All'origine c'è una richiesta del Fondo monetario internazionale. Dopo che Strauss-Kahn si è trovato coinvolto in una situazione assai sgradevole, il Fondo ha iniziato a sostenere che le banche europee presentavano esigenze di ricapitalizzazione per 260 miliardi di euro, in relazione alla loro esposizione verso i titoli sovrani. A quel punto è entrato in gioco il tema culturale cui lei faceva riferimento, onorevole: culturalmente, l'Europa non è stata in grado, Grecia a parte, di rispondere a tono, di smentire quella tesi; al contrario, l'ha confermata, tanto è vero che è stato eseguito il ben noto esercizio sul capitale. Questo è stato l'errore politico più grave. Sarebbe stato meglio chiedere alle banche di portare al 9 per cento, in via definitiva, il rapporto tra patrimonio di qualità più elevata e le attività ponderate per il rischio, anziché prevedere la costituzione di un buffer di capitale, in via temporanea ed eccezionale, a fronte delle esposizioni verso gli emittenti sovrani. Questo ha innescato il processo cui abbiamo assistito.
Anch'io penso che si tratti di una questione di sistema e di Paese, perché l'esercizio presenta alcune contraddizioni. Ad esempio, perché i titoli pubblici plusvalenti sono stati portati a compensazione di quelli minusvalenti? La Repubblica federale di Germania non rimborserà per un Bund, alla scadenza, 101, 105 o 108 euro, ma pur sempre 100. Paradossalmente, abbiamo attualizzato plusvalenze non realizzabili e minusvalenze che non si produrranno. Ciò vale una reazione.
Ha ragione, onorevole Causi, quando afferma che l'unica politica comune è quella monetaria. Il problema è che, quando si è trattato di compiere certe scelte, non ha funzionato nemmeno questa. In altri termini, ha funzionato fino a quando non occorreva compiere scelte. Invece, nel momento in cui sono sorti i problemi relativi al rapporto tra deficit e PIL, che, è bene ricordarlo, hanno investito prima di tutto Francia e Germania, sono state decise le deroghe. Com'è possibile ciò in una comunità?
Abbiamo creato un meccanismo connotato da un evidente squilibrio di convenienza finanziaria ed economica, a favore di taluni e a danno di altri. Capisco la logica negoziale, per cui uno non fa fin quando non fa anche l'altro; tuttavia,


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quando l'uno fa e l'altro no, viene il dubbio che la logica negoziale fosse mirata non a fare, ma a preservare un vantaggio competitivo in parte indebito. La concorrenza è concorrenza!
Quanto alle lamentele della dottoressa Cannata Bonfrate, abbiamo organizzato due «BTP-day» che hanno avuto un grande successo. La concorrenza dei BTP è meno forte sulle scadenze brevi, ma è veramente difficile da arginare sulle scadenze medie. Io non sarei preoccupato, e vorrei che la dottoressa Cannata Bonfrate parlasse, ogni tanto, anche di Poste Italiane, non soltanto delle banche.
Noi faremo il possibile. Per noi, avere liquidità significa fare credito o, tutt'al più, acquistare BTP: non ci appaga tenere la liquidità nelle casse. Capisco, comunque, l'osservazione. In questa fase, bisogna essere più che responsabili, ma occorre considerare anche l'altro grande veicolo italiano di raccolta del risparmio, che dipende dallo stesso Ministero per il quale lavora la dottoressa Cannata Bonfrate.

IVANO STRIZZOLO. Anch'io esprimo apprezzamento per la chiarezza e l'efficacia con cui il Presidente Mussari ha esposto alcune tematiche, afferenti a scelte politiche strategiche che si incrociano con la strutturale debolezza politica dell'Europa.
Le difficoltà di oggi sono dovute al fatto che diversi Governi europei - mi perdonino i colleghi che lo sostenevano se indirizzo il rilievo anche al precedente Governo italiano - non credono sufficientemente nella necessità di rafforzare il ruolo politico dell'Europa. Questa è, a mio avviso, una sottolineatura importante. In larga misura, l'attuale situazione nasce dalla mancata risposta dell'Unione europea ai primi segnali di crisi connessi alla situazione della Grecia. L'Europa sconta questa difficoltà.
Presidente Mussari, le rivolgerò alcune domande che possiamo considerare minori rispetto alle tematiche fin qui trattate.
Nell'audizione di stamani, cui sono intervenuti i rappresentanti di R.ETE Imprese Italia, è stata sottolineata una sorta di arretratezza del sistema bancario italiano nella valutazione del merito di credito, soprattutto delle piccole e medie imprese. Al di là della contrazione del credito, è emerso, in particolare, che i tempi di accesso ai finanziamenti sono molto lunghi. In proposito, vorrei sapere se l'ABI, come associazione che rappresenta la stragrande maggioranza delle aziende di credito del nostro Paese, fatte salve le ex casse rurali, abbia da fornire indicazioni diverse.
Un altro tema che desidero sottoporle, presidente, è alquanto delicato. Ogni tanto, emerge la preoccupazione che i due principali gruppi bancari nazionali, avendo una presenza rilevante nei Paesi dell'Europa centrale e orientale, possano subire ripercussioni a causa della situazione in cui si trovano tali Paesi, dai quali provengono segnali non molto incoraggianti. Il tema è molto delicato, ripeto, ma mi piacerebbe conoscere l'opinione in merito del presidente dell'ABI. Poiché si collega alle difficoltà generali, al di là di Basilea 3 e delle altre situazioni di cui si è discusso, vorrei sapere, insomma, se tale problema sia monitorato.
Da ultimo, presidente, lei ha sottoposto alla nostra attenzione tre questioni, tra cui quella riguardante un diverso trattamento fiscale. Da questo punto di vista, la Commissione sta tentando di portare avanti il discorso relativo all'abuso del diritto in materia tributaria. Si tratta di un argomento che non soltanto io, primo firmatario di una delle tre proposte di legge presentate, ma anche altri colleghi stanno approfondendo, affinché il nostro Paese sia più competitivo e attrattivo. Infatti, la certezza del diritto e la trasparenza del sistema fiscale fanno crescere il livello di attrattività e competitività del sistema Paese.

PRESIDENTE. Invito il collega Strizzolo a leggere l'ultimo libro del collega Tremonti, Uscita di sicurezza.

GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'ABI. È un bel libro.
Per quanto riguarda la prima domanda, farei una premessa. Bisogna considerare


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che eseguiamo milioni di operazioni ogni giorno e, il più delle volte, dobbiamo occuparci di questioni singole. Sebbene tali questioni abbiano tutte, ovviamente, la loro importanza, vi invito a non trarre un giudizio complessivo da singole vicende, perché ciascuna ha la sua storia e le sue complessità.
Rispondo alla sua domanda, onorevole Strizzolo, richiamando i risultati di un'indagine condotta dalla CNA (quindi, non di parte). Ebbene, i dati medi sono: per competenza e disponibilità del personale, 94 su 100; per la capacità di comprendere i bisogni dell'azienda, 83 su 100; per la disponibilità a concedere credito, 79 su 100; per la varietà dell'offerta di servizi, 78 su 100; per la trasparenza rispetto al costo dei servizi, 78 su 100; per la disponibilità alla contrattazione delle condizioni del conto e della personalizzazione dell'offerta, 77 su 100; per il costo dei servizi, 55 su 100 (quando si paga, nessuno è contento). Mi preoccupa, invece, che il 58 per cento degli interpellati preveda un irrigidimento dei criteri applicati dalle banche per l'approvazione di prestiti e l'apertura di linee di credito a favore delle piccole e medie imprese. Mi preoccupa, inoltre, che il 56 per cento delle aziende abbia già registrato un notevole o moderato irrigidimento, mentre per il 40 per cento di esse la situazione è rimasta invariata.
Le cause dell'irrigidimento sono note. Negli ultimi mesi dell'anno c'è stata una riduzione del credito perché la liquidità era finita. Chiuso il mercato della liquidità, è inevitabile che, tre mesi dopo, il credito si riduca. Come ogni fenomeno ad andamento sinusoidale, la riduzione del credito deve trovare una sua compensazione. Spero che, nei prossimi mesi, si torni a situazioni più fisiologiche. Il dato che mi preoccupa di più è quello relativo al futuro, perché in esso intravedo un'idea non soltanto del rapporto con la banca, ma della situazione complessiva. L'indagine che ho citato è pubblica: la si può reperire sul sito della CNA.
Quanto alle attività all'estero delle prime due banche italiane, credo che la presenza in altri Paesi sia normale nell'ottica di un'equilibrata differenziazione del rischio. Si tenga presente che una delle norme «antieuropee» non molto conosciute prevede che, da maggio in poi, sia sostanzialmente impossibile il finanziamento interno dei gruppi bancari da Paese a Paese. In altre parole, le autorità di vigilanza hanno reso difficile, se non impossibile, avere una tesoreria unica, con il potenziale paradosso che singoli pezzi del gruppo saranno più che liquidi, mentre altri potranno avere difficoltà a servire le imprese.
La libera circolazione di mezzi, persone e capitali è un altro tema comunitario, ma vale finché non piove, diciamo così. Quando comincia a piovere, la libertà trova ostacoli non sempre visibili a livello comunitario o parlamentare. Basta che un'autorità di vigilanza disciplini i flussi per tornare a essere quelli di prima. Questa idea di comunità che funziona solo quando le cose vanno bene non regge.
Le dispiace rammentarmi l'altra questione, onorevole Strizzolo?

IVANO STRIZZOLO. Ho fatto riferimento all'abuso del diritto in materia tributaria, immaginando che a livello europeo, soprattutto nella zona euro, ci sia una sempre maggiore armonizzazione dei sistemi fiscali.

GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'ABI. Ne abbiamo parlato, e so che il vostro presidente è sensibile all'argomento.
Mi auguro che si arrivi a una soluzione chiara, per non avere più una spada di Damocle sulla testa e non sapere cosa fare. Il problema riguarda tutte le imprese, non soltanto quelle bancarie. Ipotizziamo che l'amministratore di un'impresa quotata rinunci a compiere un'operazione fiscalmente conveniente, per il timore che la stessa possa essere qualificata come abuso del diritto da parte degli organi giurisdizionali: un domani, qualcuno potrebbe chiedergli di rispondere del fatto di non averla realizzata. Mi auguro, pertanto, che eliminiate al più presto l'attuale incertezza.


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AMATO BERARDI. Presidente, qual è la sua opinione sul futuro delle piccole e medie banche in Italia? Inoltre, come si può migliorare il servizio ai clienti?
Premesso che sono cliente del Monte dei Paschi di Siena, quando mi reco presso la mia banca, trovo un solo sportello aperto, venti persone in fila e dieci dipendenti dietro le scrivanie. Mi chiedo quale possa essere il motivo delle lunghe attese alle quali è costretta la clientela. Nonostante gli imprenditori perdano tempo prezioso per fare le file, il direttore della mia filiale sostiene che non può aprire altri sportelli, perché la sede centrale non lo permette.
Inoltre, per ritirare un blocchetto di assegni devo per forza recarmi all'agenzia dove ho aperto il conto. È assurdo! Negli Stati Uniti non esistono simili complicazioni.

GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'ABI. Il secondo problema non dipende dal Monte dei Paschi di Siena: qualsiasi banca italiana le farebbe lo stesso ragionamento.
La prima questione attiene a un oggettivo nostro disservizio, di cui mi dispaccio e mi scuso.
Credo che, in futuro, dovremo modificare profondamente la dimensione e la qualità del rapporto con il cliente. Ci aiuterà molto la tecnologia. Mi auguro che, un giorno, lei possa ordinare per telefono, o tramite l'iPad, il blocchetto degli assegni, che qualcuno le consegnerà direttamente in ufficio. Lei non dovrà muoversi, ma ci farà la cortesia di pagare il servizio, visto che risparmierà tempo prezioso.
Questa, secondo me, è la traiettoria giusta per rendere i servizi più efficienti, per ridurre i costi e per avere clienti meno arrabbiati, come lo è lei, oggi, nei confronti della sua banca.
Con il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro abbiamo ottenuto dai sindacati maggiore flessibilità, prevedendo un orario di apertura degli sportelli dalle 8 alle 20. Tuttavia, il problema della qualità del servizio si risolve consentendo ai clienti di non doversi più recare fisicamente in filiale - se non per negoziare questioni importanti, come il mutuo per la casa, la ristrutturazione del debito dell'azienda o un piano pensionistico - e di eseguire da casa tutte le altre transazioni. Soltanto così la qualità del rapporto cambierà in modo significativo.

AMATO BERARDI. Le file, presidente, non le trova solo al Monte dei Paschi di Siena, ma anche in altre banche, come, ad esempio, Unicredit.

PRESIDENTE. Vivendo a Philadelphia, in Pennsylvania, il collega Berardi ha la possibilità di fare un confronto tra il nostro e gli altri sistemi.

GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'ABI. È vero che si possono trovare le file, ma in termini di qualità del servizio, una volta superata la fila, che è comunque da evitare perché fa perdere tempo e denaro, si continua ad avere un rapporto personale. Invece, in occasione delle mie fugaci esperienze come cliente di banca in Gran Bretagna, allo sportello non ho mai avuto il piacere di parlare due volte con la stessa persona. Pur non avendo alcuna preferenza di razza o religione, ho trovato una volta un indiano, un'altra volta un musulmano, un'altra volta ancora un inglese: il turnover era totale!
Concordo sulla necessità che la qualità del nostro servizio sia migliorata. D'altra parte, però, non siamo così scassati come qualcuno vuole far credere, e continuiamo a mantenere un rapporto reale con la clientela e con i territori.
L'ultima considerazione mi consente di rispondere anche alla sua prima domanda, onorevole Berardi. Credo che in Italia, per la conformazione geografica e per la configurazione economica del Paese, ci sia spazio per le banche piccole e medie.
Sottolineiamo in ogni occasione come le grandi banche non abbiano richiesto interventi a carico della finanza pubblica. Ebbene, non è stato casuale che, passate la crisi del 2008 e la recessione del 2009, anche il sistema delle banche più piccole, quali casse di risparmio e casse rurali, non


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abbia determinato problemi di stabilità. Quando le crisi colpiscono gli Stati Uniti, le casse di risparmio saltano a centinaia. La qualità, in termini di stabilità e di natura degli attivi, è comune a tutti i nostri istituti.

MARCO PUGLIESE. Nell'associarmi ai ringraziamenti, mi complimento con lei, presidente Mussari, per il suo spirito battagliero. Abbiamo bisogno di persone come lei!
Prima di porle due brevi domande, vorrei premettere una considerazione. Dovrebbe provare ad avere a che fare con le banche, oggi, da cittadino qualsiasi, o da piccolo imprenditore. Dai nostri elettori e dagli imprenditori, che conoscono il territorio, sentiamo dire che le banche dovrebbero ricominciare a fare il loro mestiere. In altre parole, si è perso lo spirito che ha reso forte nel mondo il nostro sistema bancario, garante dell'intero Paese.
Credo che, ormai, l'economia ruoti intorno alla finanza e si disinteressi della realtà produttiva: le banche non finanziano neppure i progetti sulle energie alternative, per i quali ricevono incentivi dal Ministero, mentre i lavoratori autonomi e dipendenti, con i loro redditi, non riescono a ottenere il mutuo per l'acquisto di una casa. Come semplice cittadino, ho provato a chiedere un fido di soli 15.000 euro a un istituto di credito importantissimo, di cui sono cliente da molto tempo. Ebbene, la mia pratica è arrivata addirittura a Roma per una firma!
Come il collega Berardi, che da cittadino americano nota le differenze, ho riscontrato la mancanza di competenza e di professionalità in alcuni direttori di filiale di Unicredit, i quali non sanno nemmeno che la loro banca sta effettuando un aumento di capitale. Il mio consiglio per l'ABI è di fare pressione su queste banche, affinché, al di là del rispetto per il cliente, accrescano il livello di competenza del personale che ha a che fare con la clientela.
Passando a un altro argomento, che ne è stato della Banca del Mezzogiorno, progetto tanto sbandierato da Tremonti? Ha riempito le pagine dei giornali per diverso tempo, ma da un po' se ne sono perse le tracce.
L'ultima domanda chiama in causa le agenzie di rating del credito. Personalmente, non credo nelle agenzie di rating. Secondo me, fa bene qualche procura a indagare su facili consulenze a professori che hanno rilasciato dichiarazioni su alcuni temi di carattere finanziario. Quale credibilità hanno, per l'ABI, le agenzie di rating, e qual è il vostro rapporto con esse?

GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'ABI. Non sono qui per fare l'avvocato d'ufficio delle imprese bancarie italiane. Infatti, non ho mancato di dire, anche in questa occasione, in cosa si può migliorare. Nello stesso tempo, posso affermare che un Paese con aspirazioni industriali, con piccole e medie imprese e con famiglie che risparmiano, non può esistere senza un'industria bancaria come la nostra.
Come tutti, dobbiamo superare alcuni limiti. Tuttavia, vi chiedo di cambiare il sentimento verso l'industria bancaria, e di farlo nell'interesse del sistema Italia. Aiutateci a risolvere i problemi e denunciate le nostre mancanze, ma sappiate che, se le banche smettono di fare il proprio lavoro, non avremo un futuro. Se, in questi anni, abbiamo retto, è perché questa industria si è assunta alcuni rischi, di cui troverete traccia nelle rettifiche sui crediti dei prossimi anni.
La sua pratica da 15.000 euro è arrivata a Roma, onorevole Pugliese, perché nei mesi finali dello scorso anno tutto arrivava a Roma, o a Siena, a seconda dei casi. Per effetto della riduzione della liquidità, tutte le funzioni creditizie sono state accentrate. La liquidità fornita dalla BCE dovrebbe consentire di ridefinire anche a valle le precedenti competenze e autonomie.
Tra novembre e dicembre dello scorso anno, senza che alzassimo mai i toni, il Paese ha attraversato momenti veramente complicati. La banca è principalmente flusso, non stock. Gli stock sono importanti,


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perché generano redditività, ma la cosa più importante è il flusso, l'equilibrio tra dare e avere. Ci sono costati moltissimo, in termini di liquidità, in un solo giorno, il downgrade dell'Italia e la decisione, invero assai singolare, della Cassa di compensazione e garanzia (società che fornisce i servizi di controparte centrale, tra l'altro, sui contratti aventi a oggetto i titoli di Stato) di aumentare di una certa percentuale i margini di garanzia richiesti ai partecipanti al sistema. Sui titoli tale margine è stabilito in relazione al rischio. In un'ora, violando tutte le procedure, la società ha deciso di aumentare i predetti margini di garanzia. Ciò ha comportato che, per un valore di 100 milioni di euro, una banca ha dovuto depositarne altri 300 (e assicuro che le cifre reali sono ben più consistenti di quelle che ho citato nell'esempio). Oggi, la situazione dovrebbe aver ritrovato il proprio equilibrio, in parte perché lo spread si è ristretto e, in parte, per la liquidità procurata dalla BCE.
Quanto alla Banca del Mezzogiorno, la parola «banca» ci accomuna a soggetti molto diversi da noi. Le grandi banche di investimento americane, pur avendo nella propria denominazione la parola «banca», fanno un mestiere assai diverso dal nostro. Temo, quindi, di non saperle dare una risposta, onorevole Pugliese.
Per quanto riguarda, invece, le agenzie di rating, non voglio criticare l'arbitro dopo che ha fischiato il rigore: è giusta l'osservazione del Presidente del Consiglio. Piuttosto, voglio discutere della formazione dell'arbitro e del designatore, e non voglio essere culturalmente subalterno a questo. Le procure fanno bene a fare quello che fanno, ma il punto non è solo il contenuto dell'attività svolta dalle agenzie di rating, su cui potremmo dilungarci. È sul meccanismo giuridico sottostante che, probabilmente, non abbiamo esercitato una sufficiente autonomia culturale.
In questo Paese siamo molto attenti ai conflitti di interesse. Abbiamo approvato una norma che impedisce al consigliere d'amministrazione di un'assicurazione di sedere nel consiglio di amministrazione di una banca.
Allora, tornando al tema, come mai l'arbitro è designato da una delle parti che giocano la partita? È di questo che voglio discutere. E vorrei che l'Europa avesse la qualità culturale, prima ancora che politica, per discutere e mettere in crisi un modello che ritengo ingiusto.

ALESSANDRO PAGANO. Mi associo ai complimenti al presidente Mussari, che il nostro ospite si è saputo meritare non soltanto con una brillante relazione, ma anche fornendo risposte concrete, dati di fatto e opinioni.
Qualche dubbio sul sistema bancario italiano certamente rimane, presidente. In materia di anatocismo, ad esempio, ci sarebbe molto da dire sul modo in cui siete stati aiutati, diciamo così, non più tardi di un anno fa. Tuttavia, non è mio desiderio approfondire l'argomento in questa sede.
Insomma, il sistema bancario non è tutto rose e fiori. Prendiamo atto che è buono, e noi siamo i primi a difenderlo, perché rappresenta un nostro patrimonio, anche sotto il profilo culturale, vista l'impostazione che lo caratterizza. Guai a chi lo tocca, quindi, soprattutto se, in un contesto complessivo, lo si fa oggetto di evidenti aggressioni. Nelle vostre stanze, o in diversi contesti, si potrebbero aprire discorsi interessanti sull'argomento.
Penso che con i suoi interventi abbia risposto, presidente, a tutti i quesiti che potevamo immaginare di porle. Gli impegni contenuti nella risoluzione che la Commissione ha approvato stamani sono in linea con quanto lei ha affermato.
A questo punto, le domande acquistano giocoforza una connotazione tecnico-politica. È vero che lei non fa il politico, presidente, ma quanto ci dirà servirà a tanti di noi per comprendere come impostare, in buona fede, il nostro percorso.
Abbiamo udito affermazioni importanti a proposito della sovranità che stiamo perdendo. Ebbene, ricordo ai colleghi che le nostre manovre finanziare si basano,


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quasi esclusivamente, su misure di carattere fiscale, perché tutto ciò che ha a che fare con il credito, ad esempio, è deciso altrove. Ormai, in materia di sviluppo del Paese, che si gioca in larga parte sul versante creditizio, non ci compete più, di fatto, alcun potere decisionale: è come se il Ministero dell'economia e delle finanze fosse altrove. Ogni tanto si ventilano soluzioni. Si tratta di un fatto culturale, che non appartiene a un solo partito politico. Se, però, pensiamo di risolvere i problemi continuando a spostare altrove anche altri pezzi di sovranità - mi riferisco alla materia fiscale -, peggioriamo la situazione. Mi aveva servito un assist, presidente, e non mi sono lasciato sfuggire l'occasione di sfruttarlo.
Vengo alle domande, che hanno, come ho anticipato, una connotazione tecnico-politica.
Presidente, l'ABI ha sostenuto l'iniziativa dei «BTP-day», il 28 novembre e il 12 dicembre scorsi. In Giappone il rapporto tra debito pubblico e PIL è del 240 per cento, ma i titoli di Stato sono sottoscritti all'interno del Paese, e nessuno si permette di speculare. Il problema, lì, non esiste.
L'iniziativa dei «BTP-day» era chiaramente volta a trasmettere il messaggio che il sistema Paese merita fiducia. Pur avendoci rimesso sul piano economico, l'ABI ne ha guadagnato in immagine. Ad essere sincero, forse perché sono un acceso tifoso della mia patria, mi aspettavo qualcosa in più dagli italiani: è andata benino, ma ero convinto che la risposta sarebbe stata più ampia.
Comunque, fino al 1992, i titoli del debito pubblico erano sottoscritti quasi al 100 per cento da italiani. Oggi, manca all'appello un 40 per cento. Il punto è il seguente: c'è margine affinché possa verificarsi anche da noi quanto accade in Giappone, o è un esercizio di pura fantasia immaginarlo?
Per quanto riguarda le agenzie di rating, sappiamo bene che sono una sorta di braccio armato della speculazione internazionale. Basta verificare chi sono i proprietari delle società e come la speculazione scatti ogni volta che esse additano al mercato «buoni» e «cattivi». Non possiamo fare come la Russia, e dare vita a nostre agenzie di rating? Quanto il sistema bancario italiano può premere affinché la volontà politica vada in tale direzione? Alla luce della critica intelligente che lei ha formulato, presidente, le banche non possono essere terze rispetto all'esigenza di intervenire, per fare in modo che una nuova agenzia entri nel mercato.
La speculazione che stiamo subendo è uno degli aspetti di assoluto rilievo politico dell'attuale situazione. Com'è stato giustamente detto, qualcuno si è arricchito. La speculazione trova spazio perché, da un lato, la fiducia viene fortemente menomata attraverso operazioni intelligenti del «nemico», che sa fare bene il suo mestiere; dall'altro, a causa delle loro rigidità culturali, taluni Paesi non riescono a comprendere che, continuando così, ci porteranno alla terza guerra mondiale, causata, stavolta, da problemi finanziari. Quando arriverà il break-even? Quando si spezzerà questa spirale? Non voglio che indichi una data, presidente. Vorrei soltanto capire se sia possibile stabilire, sulla base di considerazioni geopolitiche e di politica finanziaria, quando vi sarà l'inversione di marcia. Naturalmente, non siamo a Rischiatutto, né le chiedo di leggere nella sfera di cristallo.
Da questo punto di vista, sono preoccupato. La speculazione potrebbe provocare un impoverimento complessivo, che consentirebbe di comprare aziende cosiddette sistemiche, non soltanto bancarie, a prezzi di realizzo. Inoltre, lo «spezzatino» consente di comprare di più e meglio. Ad esempio, quanto valgono, in questo momento, Fideuram, del gruppo Intesa Sanpaolo e le quattro controllate di Unicredit, che hanno un valore superiore a quello della stessa banca? L'operazione «spezzatino», quindi, potrebbe essere ancora più interessante. Esiste, insomma, il rischio di perdere pezzi del nostro Paese, nonché la capacità di essere competitivi.
Non pretendo che mi dia una risposta precisa, presidente. Certamente, conoscere la sua posizione anche in ordine alle questioni da me segnalate potrebbe essere d'aiuto


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alla Commissione: la stiamo ascoltando con molto interesse da quasi due ore perché abbiamo bisogno di un ragionamento, dal suo punto di vista, il più possibile completo.

GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'ABI. All'origine dei «BTP-day» c'è l'iniziativa di un cittadino di Pistoia, Giuliano Melani, sostenuta dal Corriere della sera. L'ABI ha soltanto deciso di appoggiare quella che sembrava un'ottima idea. Ero molto prudente circa il suo esito, ma, alla fine, i risultati sono stati incoraggianti.
Si può sicuramente pensare di incrementare la quantità di debito pubblico in mano agli italiani; tuttavia, allo stesso tempo, non dobbiamo dimenticare che esistono quantità di denaro molto significative, trilioni di dollari, che, se non riusciremo a intercettare, in parte, mediante le emissioni dei titoli del debito pubblico, difficilmente riusciremo a captare per investimenti produttivi. Il primo investimento che si fa su un Paese è proprio quello che ha ad oggetto il suo debito; il secondo riguarda le attività produttive, acquistate o impiantate ex novo.
I giapponesi riescono a essere autarchici perché possiedono un sistema industriale particolarmente complesso, forte e tecnologicamente avanzato, perché il loro Paese si trova in una posizione geografica oggettivamente isolata, perché hanno mantenuto la loro moneta, ma anche perché sono giapponesi: scioperano con la fascia gialla sul braccio, accettano di vivere in una città come Tokyo e hanno anche cultura e religione, che rispetto profondamente, molto diverse dalle nostre.
Possiamo sforzarci per avvicinare la nostra situazione a quella del Giappone, sotto il profilo di cui ci stiamo occupando, ma non dobbiamo dimenticare come lo sforzo fondamentale sia convincere gli investitori che l'Italia merita credito e fiducia.
Per quanto riguarda le agenzie di rating, ho espresso una posizione ufficiale dopo la decisione di Standard & Poor's del 13 gennaio. Credo che la sola ricetta possibile sia di non tener conto dei loro giudizi all'interno delle istituzioni europee.
Ho trovato non condivisibile, per quanto riguarda la liquidità aggiuntiva della BCE, che si sia fatto riferimento al rating, per le banche che ne sono dotate, e all'andamento medio dei credit default swap, delle banche stesse e di quelle del Paese di appartenenza, per quelle non fornite di rating. In tal modo sono state molto penalizzate le banche più piccole - che non pagano servizi di rating, perché non ne hanno bisogno -, per le quali la liquidità della BCE ha avuto un costo maggiore.
Il tema vero è che il potere delle agenzie nasce dall'influenza che il loro giudizio esercita sui fatti reali dell'economia e della finanza. Per ridurre tale potere, bisogna far sì, al netto dei provvedimenti legislativi europei, che la BCE, in primo luogo, non tenga conto di quel giudizio: sarebbe un colpo sostanziale per le agenzie di rating.
Il Presidente Draghi ha detto che sono maturi i tempi per la creazione di un'agenzia di rating europea. Credo che la BCE, dotata com'è di servizi, di uomini e di mezzi tecnici, potrebbe, intanto, formarsi una propria opinione sulle banche e sui Paesi europei, senza tenere più in alcun conto né Standard & Poor's, né Fitch Ratings, né Moody's. È questa l'iniziativa che farebbe prosciugare l'acqua nei pozzi delle agenzie di rating. Queste non hanno un potere di influenza diretto: influenzano sia gli investitori, sia le istituzioni finanziarie. Dove possiamo intervenire, credo sia utile farlo.
La sua terza domanda, onorevole Pagano, costringe a formulare previsioni molto complesse. Credo che non ci sia soluzione all'interno di un'idea di comunità coerente con i contenuti che l'Unione europea ha approvato fino a oggi. Il fondo salva Stati non è una novità di questa mattina, ma è materia di discussione e di decisione dei Capi di Stato e di Governo dell'UE da sei mesi. Si lamentano dei nostri tempi di attuazione, ma anche i loro tempi di decisione sono discutibili.
Dobbiamo togliere dalla testa di chiunque, in qualunque area del mondo, che


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parte del debito pubblico europeo rischi di non essere rimborsata. Dobbiamo convincere il mondo che l'episodio greco è dovuto al fatto che la Grecia ha alterato i propri conti per entrare in Europa e che, quindi, esiste una responsabilità originaria. Per tutti gli altri, che hanno seguito un percorso lineare, al netto del ciclo economico, deve esistere una disciplina comunitaria di garanzia. In caso contrario, ci sarà una comunità di ricchi e una di poveri; e non si può alimentare una simile diversità, perché, presto o tardi, i poveri si arrabbieranno.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti.
Credo che abbiamo assistito, oggi, a una plastica rappresentazione di come gli italiani siano in grado di reagire nei momenti di crisi. Come ricordava l'amministratore delegato di Fitch Ratings, nell'audizione di una settimana fa, «credito» deriva da «credere». Speriamo, allora, di poter credere che la vostra capacità di reagire corrisponda a quella del Paese.
Ho una mia idea per quanto riguarda le commissioni bancarie, ma ne parleremo in un altro momento.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione prodotta dall'ABI (vedi allegato) e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,30.

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