Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione VI
11.
Mercoledì 15 febbraio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AI REQUISITI PRUDENZIALI PER GLI ENTI CREDITIZI E LE IMPRESE DI INVESTIMENTO (COM(2011)452 DEFINITIVO) E DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO SULL'ACCESSO ALL'ATTIVITÀ DEGLI ENTI CREDITIZI E SULLA VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI E DELLE IMPRESE DI INVESTIMENTO E CHE MODIFICA LA DIRETTIVA 2002/87/CE (COM(2011)453 DEFINITIVO)

Audizione del professor Ugo Biggeri, presidente della Banca popolare etica:

Conte Gianfranco, Presidente ... 7 9 10 11
Albini Tea (PD) ... 6
Barbato Francesco (IdV) ... 7
Biggeri Ugo, Presidente della Banca popolare etica ... 6 9
Crosta Mario, Direttore generale della Banca popolare etica ... 10
Fogliardi Giampaolo (PD) ... 7
Froner Laura (PD) ... 8
Pagano Alessandro (PdL) ... 8
Sarubbi Andrea (PD) ... 7

Audizione della professoressa Marina Brogi:

Conte Gianfranco, Presidente ... 11 16 17 19
Brogi Marina, Professore di Economia dei mercati finanziari, vicepreside della Facoltà di Economia presso l'Università di Roma «La Sapienza» ... 11 16 17
Fogliardi Giampaolo (PD) ... 16 19

ALLEGATI:
Allegato 1: Documentazione consegnata dal professor Ugo Biggeri ... 20
Allegato 2: Documentazione consegnata dalla professoressa Marina Brogi ... 37
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 15 febbraio 2012


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 14,30.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Ugo Biggeri, Presidente della Banca popolare etica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (COM(2011)452 definitivo) e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 2002/87/CE (COM(2011)453 definitivo), l'audizione del professor Ugo Biggeri, presidente della Banca popolare etica.
Do la parola al professor Biggeri per lo svolgimento della relazione.

UGO BIGGERI, Presidente della Banca popolare etica. Innanzitutto, ringrazio la Commissione per l'invito a partecipare all'audizione odierna.
Banca popolare etica fa parte di un movimento internazionale di banche etiche e alternative, riunite in alcuni organismi. Abbiamo consegnato un documento in cui potrete trovare maggiori informazioni al riguardo.
La Federazione europea delle banche etiche e alternative (FEBEA) ha in programma un incontro, sollecitato dal Commissario europeo Barnier, per la rilevanza di alcune osservazioni che il sistema ha formulato, nonostante le sue dimensioni relativamente limitate.
Le banche etiche sono istituti che si rifanno alle iniziative bancarie con connotati mutualistici e sociali, come sono, in Italia, le banche di credito cooperativo e le banche popolari, ma si rivolgono, generalmente, a settori specifici.
La caratteristica principale è quella di rendere noto ai risparmiatori come vengono impiegate le risorse.
Tali banche svolgono l'attività di intermediazione finanziaria più classica, ma nel caso di Banca popolare etica essa è rivolta prevalentemente al terzo settore, che in Italia, è bene ricordarlo, vale dal 3 al 5 per cento del PIL. Si tende ad avere una visione del terzo settore come di qualcosa di residuale, ma, in realtà, il suo valore è rilevante.
In Europa, negli ultimi anni, le esperienze di finanza etica, Banca popolare etica compresa, sono state caratterizzate da una crescita a doppia cifra.
Tra le nostre caratteristiche, come dicevo, c'è la modalità partecipativa. L'innovazione più importante che abbiamo introdotto nel modo di fare banca è la


Pag. 4

totale trasparenza degli impieghi. Sul web è possibile verificare come sono impiegati i soldi delle banche etiche. Ciò fa sì che gli impieghi siano decisi con criteri socio-ambientali, che affiancano, senza sostituirla, l'istruttoria economica sul merito creditizio.
Le banche etiche portano avanti anche attività di microfinanza e microcredito, e già dal 1995 hanno preso posizione a favore della tassa sulle transazioni finanziarie.
A proposito delle tanto discusse remunerazioni del top management, queste banche applicano, generalmente, una regola che impone una differenza non eccessiva tra gli stipendi più alti e quelli più bassi. In Banca popolare etica, ad esempio, è fissato un rapporto di sei a uno, che è davvero molto lontano dai livelli di altri istituti.
La caratteristica intrinseca di tipo più tecnico, dal punto di vista bancario, sta nel fatto che i crediti sono trattenuti all'interno della banca e, quindi, non divengono oggetto di cartolarizzazioni. L'attività di intermediazione cui sono dedite le banche etiche è quella tradizionale, basata sul modello originate-to-hold: esse trattengono il credito erogato, anziché spacchettarlo per rivenderlo e distribuirlo tra i risparmiatori o tra altre banche.
Quanto a Basilea 3, ci permettiamo, innanzitutto, di chiarire che Banca popolare etica non chiede agevolazioni specifiche. Riteniamo positivi sia il percorso di rafforzamento dei requisiti patrimoniali delle banche, sia il controllo su di esso esercitato. Tuttavia, siamo dell'avviso che alcune contraddizioni potrebbero produrre un impatto negativo non soltanto sulla finanza etica, ma anche su chi si occupa dei settori più fragili della popolazione. Considerate le modalità operative del terzo settore in Italia, ad esempio nel welfare partecipato, restringerne la capacità di ottenere credito significherebbe compromettere i benefici arrecati a tante persone dalle sue attività.
Da questo punto di vista, condividiamo le considerazioni già espresse in questa sede dall'ABI, dall'Associazione nazionale fra le banche popolari e da Federcasse. In particolare, ci trova concordi la critica al modello one size fits all, in base al quale una stessa regola vale per tutti.
Le valutazioni che ci inducono a essere critici nei confronti del predetto modello sono di diversa natura.
Vengono in rilievo, in primo luogo, i crescenti costi legati alla gestione di una normativa prudenziale sempre più voluminosa. La normativa è importante, ma, se si applicano le stesse regole agli istituti di dimensioni enormi, i cosiddetti too big to fail, come alle piccole banche di credito cooperativo o alle piccole popolari, il carico amministrativo per queste ultime finisce per essere decisamente sproporzionato.
Proprio il principio di proporzionalità risulta disatteso, mentre, di solito, i Paesi europei sono attenti a fare in modo che le norme pesino in maniera proporzionale alla dimensione e all'importanza dell'intermediario finanziario o creditizio.
Riteniamo che, in Europa, gli istituti di piccole e medie dimensioni siano penalizzati, al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti, dove il Dodd-Frank Financial Reform Act individua chiare distinzioni. In Europa non esiste alcunché di analogo. Pur in una situazione di maggiore apertura dei mercati finanziari, negli Stati Uniti vigono regole di tutela delle piccole banche che mancano all'interno del sistema europeo.
Alcuni interrogativi riguardano l'effettiva comparabilità tra le banche e tra i diversi Paesi.
Semplificando, le banche italiane hanno, ad esempio, un rapporto tra risk-weighted asset e total asset, cioè l'assorbimento dei crediti realizzati, pari al 60 per cento, contro la media del 30-40 per cento delle banche inglesi e tedesche. Ciò significa che le banche italiane erogano credito alle persone e alle imprese più di altre banche. Applicando le stesse regole, il rischio è che anche le banche italiane riducano la capacità di credito ai livelli inglesi, francesi e tedeschi.
Fatta salva l'opportunità che le banche rafforzino le proprie dotazioni patrimoniali,


Pag. 5

se a tutte viene contemporaneamente richiesto di aumentare il capitale, il mercato si ingolfa. La massiccia richiesta di capitali determina costi insostenibili per le piccole banche, che svolgono attività di credito a favore dell'economia reale, a differenza di quelle che compiono attività di tipo speculativo.
L'accordo di Basilea rischia, in tal modo, di penalizzare le banche che non hanno causato la crisi e che, anzi, durante la crisi, hanno continuato a erogare credito. Banca popolare etica è tra queste, ma non è la sola.
Un aspetto importante riguarda l'andamento generale, che sembra tendere verso un eccesso di regolamentazione e una supervisione sub-ottimale. In Paesi come Canada, Italia e Francia, in cui l'attività di vigilanza è buona, e la supervisione è attuata efficacemente, il peggio è stato evitato. Invece, in Paesi come l'Inghilterra o gli Stati Uniti, nei quali l'approccio alla supervisione è stato più leggero, le banche sono fallite. Questo ci dovrebbe indurre a intensificare la supervisione a scapito delle regole, o almeno ad accompagnare l'aumento delle regole con una maggiore supervisione.
Inoltre, più della metà dell'attività finanziaria mondiale si svolge attraverso lo shadow banking. Si tratta, come dice il nome, di un sistema bancario ombra, in cui si muovono alcune realtà di intermediazione finanziaria non sottoposte alle regole degli istituti bancari. La coesistenza di due sistemi, uno maggiormente controllato e l'altro meno, non aiuta ad armonizzare le regole finanziarie. Negli Stati Uniti, le banche devono rispettare la Volcker rule, volta a evitare che gli stessi istituti finanziari possano tenere i piedi in due staffe.
Come dicevo, Banca popolare etica lavora quasi esclusivamente con il terzo settore, che vale tra il 3 e il 5 per cento del prodotto interno lordo, impiega 600.000 addetti e 3.000.000 di volontari. Esso ha un tasso di impiego molto alto rispetto al PIL che produce e conta circa 10.000.000 di associati. Nel documento consegnato trovate elencata la normativa di riferimento.
È interessante segnalare come, in Italia, la richiesta di credito del terzo settore sia molto cresciuta negli ultimi dieci anni, seconda soltanto alla richiesta di credito delle famiglie. Tuttavia, mentre l'aumento della richiesta di credito delle famiglie può essere preoccupante, il fatto che il terzo settore chieda più credito significa che sono in aumento i servizi alla persona e alcune attività svolte, talora, con caratteristiche imprenditoriali.
A fronte di tale crescita, le statistiche - pur limitate, perché non esiste una tradizione di elaborazione - mostrano che quello al terzo settore è un credito sano. Infatti, i dati dicono che il rapporto tra nuove sofferenze e prestiti non in sofferenza degli istituti non profit è un quinto di quello medio delle società non finanziarie. In altre parole, la qualità del credito delle istituzioni senza fini di lucro è cinque volte superiore a quella delle società non finanziarie.
Nel medesimo senso depone l'esperienza di Banca popolare etica. I crediti non restituiti, nell'ultimo decennio, sono oscillati tra un terzo e un sesto di quelli del sistema bancario. Dai dati interni delle varie tipologie di banca emerge che ciò riguarda sia le banche di credito cooperativo, sia i grandi istituti bancari italiani che hanno elaborato statistiche ad hoc.
Abbiamo anche aderito a una proposta formulata dall'ABI, in accordo con Confindustria, R.ETE. Imprese Italia e Alleanza italiana per le cooperative, per correggere gli assorbimenti patrimoniali. Attualmente, quando una banca eroga un finanziamento a una cooperativa o a un'associazione non profit deve mettere da parte il massimo richiesto dalla vigilanza. Crediamo che esistano ragioni affinché, in termini di assorbimento del capitale, il terzo settore possa godere delle stesse agevolazioni delle piccole e medie imprese. Si tratta di una questione non marginale, perché la detta estensione faciliterebbe molto l'erogazione del credito al terzo


Pag. 6

settore, in un momento in cui le banche, per un motivo o per un altro, hanno problemi di patrimonializzazione.
La proposta che riguarda il terzo settore prevede o di applicare agli impieghi relativi al terzo settore il PMI supporting factor, la ponderazione relativa alle piccole e medie imprese, oppure, più semplicemente, di adeguare il trattamento prudenziale relativo agli enti senza fini di lucro a quello delle più generali categorie di mercato al dettaglio. Le serie storiche sono relativamente limitate, ma mostrano una direzione univoca.
Un altro tema che credo interessi l'attività di questa Commissione riguarda il fatto che Banca popolare etica e, in generale, tutto il sistema bancario che finanzia il terzo settore sottostanno a un ingente assorbimento di capitale per tutte le operazioni di anticipo di crediti agli operatori economici qualora i debitori di questi ultimi siano lo Stato e gli enti locali. Inoltre, come sappiamo, i tempi di pagamento degli enti pubblici si stanno dilatando. Questi fattori rischiano di creare difficoltà a ottenere credito per tutto il mondo della cooperazione sociale, che si occupa di welfare partecipato e di attività ricreative. Trovare una modalità per azzerare l'assorbimento di capitale nelle operazioni di anticipo, in relazione a crediti certificati dalla pubblica amministrazione, aiuterebbe moltissimo tutto il terzo settore in questa difficile fase.
Riteniamo opportuno, inoltre, riconsiderare il termine di 90 giorni entro cui considerare scaduto un prestito. Ce lo chiede l'Unione europea, ma è la stessa amministrazione pubblica italiana che non riesce a mantenere gli impegni.
Scorrendo il documento che abbiamo consegnato alla Commissione, noterete che abbiamo preso posizione sulla Raccomandazione dell'Autorità bancaria europea (EBA) dell'8 dicembre 2011.
Com'è stato rilevato da personalità e da istituzioni ben più autorevoli di noi, ci sembrano incongrui l'immediato rafforzamento patrimoniale richiesto - in contraddizione con lo spirito di Basilea 3, che prevede la costituzione di buffer anticiclici in tempi di crescita economica, per consentirne l'assorbimento in periodi di crisi - e l'applicazione del mark-to-market alle esposizioni sovrane detenute nel banking book.
Le banche etiche e, più in generale, le banche cooperative e popolari, che fanno intermediazione creditizia con l'economia reale, quando hanno la fortuna, come nel caso di Banca popolare etica, di avere liquidità, la gestiscono in modo molto prudenziale, orientandosi tendenzialmente verso i titoli di Stato. Il rischio è, quindi, quello di disincentivare questo tipo di investimento, per applicare un regola che, forse, è sensata solo per le banche che svolgono una più spinta attività di finanziarizzazione, lontana dall'economia reale. L'imposizione di regole uguali per tutti potrebbe spingere le banche che attualmente erogano credito all'economia reale verso scenari di maggiore finanziarizzazione o cartolarizzazione.
Ho cercato di essere sintetico. Nella parte finale del documento troverete i suggerimenti che abbiamo ritenuto opportuno sottoporre alla valutazione della Commissione. Tengo, però, a fornire un dato relativo all'attività svolta da Banca popolare etica. Nel 2011 abbiamo erogato il 24 per cento di credito in più, che corrispondono all'incredibile cifra di 100 milioni di euro. Ci rendiamo conto che si tratta di risultati facili da conseguire quando si ha la dimensione di una media o grande banca di credito cooperativo, che non ha deteriorato la qualità del nostro credito.
Credo che sia sotto gli occhi di tutti la forte domanda di credito, alla quale il sistema creditizio non riesce a rispondere, per tanti motivi. Lo stesso rischia di succedere anche a Banca popolare etica, a causa della velocità con cui si sta attuando la nuova regolamentazione e di un'impostazione che tende contraddittoriamente a mettere tutti sullo stesso piano.

TEA ALBINI. Può dirci qualcosa in più sul microcredito?

UGO BIGGERI, Presidente della Banca popolare etica. In base a una ricerca effettuata


Pag. 7

nel 2010 da Rete italiana di microfinanza, risultiamo essere la banca che, in termini assoluti, ha erogato la maggiore quantità di microcredito. Ci è sembrato curioso, perché i circa 6 milioni di euro di microcredito erogati negli ultimi quattro o cinque anni, pur costituendo un buon risultato, equivalgono soltanto all'1 per cento del credito complessivamente erogato.
Se una banca piccola come la nostra, che rappresenta il cinque per mille dell'operatività bancaria, risulta la prima erogatrice di microcredito, significa che il microcredito è, in Italia, qualcosa di cui si parla molto e si pratica poco.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCESCO BARBATO. Voglio subito ringraziare, a nome mio e del gruppo parlamentare Italia dei Valori, il professor Buggeri e i suoi collaboratori, innanzitutto perché, senza voler essere lombrosiano, mi fa piacere avere come interlocutori banchieri con la loro faccia.
Ciò premesso, devo dire subito che ho molto apprezzato l'attenzione prestata da Banca popolare etica a mantenere un rapporto di sei a uno tra gli stipendi massimo e minimo corrisposti dalla banca. A tale proposito, mi piacerebbe sapere quale sia, con precisione, la retribuzione massima di un vostro top manager. Ove mai il Ministro Passera decidesse di non fare più il Ministro, e cercasse, quindi, una nuova collocazione, uno come lui, o come Alessandro Profumo, potrebbe trovare spazio da voi...
Vorrei, inoltre, che precisaste l'ammontare della vostra quota di mercato e il numero degli sportelli operativi. Non mi sembra, infatti, che questo dato sia indicato nel documento consegnatoci.
Nonostante le vostre ridotte dimensioni, siete presenti su tutto il mercato nazionale italiano? Siete distribuiti in maniera omogenea al Nord come al Sud, nelle grandi città come nei piccoli comuni, nelle zone più ricche come in quelle meno sviluppate?
Come dicevo, a noi piace una banca dal volto umano, e apprezziamo il vostro interesse per il terzo settore, che oggi tutte le altre banche mettono alla porta, benché esso svolga attività importanti, dal punto di vista sociale, ma anche economico-imprenditoriale. Evidentemente, ciò che il terzo settore può offrire in termini di redditività, o di interessi, vale poco.
Infine, cosa suggerireste al legislatore per consentire una maggiore espansione di Banca popolare etica nel nostro Paese?

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Mi complimento sia per la relazione, sia per l'opera che Banca popolare etica svolge. Sarebbero tante le considerazioni e le domande da fare, ma mi limiterò solo ad alcuni flash.
Sono sempre più convinto che il concetto di decrescita sostenibile debba entrare nella nostra mentalità e nel nostro agire quotidiano. Da questo punto di vista, credo che istituzioni come la vostra rappresentino un elemento fondamentale di questo nuovo modo di concepire il progresso.
Rilevo dalla tabella 1, a pagina 9 del documento consegnato alla Commissione, che a crescere di più sono stati i prestiti alle famiglie consumatrici, mentre al livello più basso si attestano quelli alle amministrazioni pubbliche. Il dato mi lascia perplesso. Anche le amministrazioni pubbliche, a mio giudizio, dovrebbero accedere al credito, e ciò sarebbe di conforto anche per voi.
Anche noi riteniamo che l'Autorità bancaria europea abbia imposto vincoli eccessivi, ma non ritenete che l'esposizione delle famiglie, la quale, forse, soffre più di tutti, sia uno degli indici di maggior rischio?
Infine, vorrei sapere se abbiate elaborato proiezioni per gli anni a venire. Credo che istituzioni come la vostra siano sicuramente in crescita, una crescita che porterà una grossa mole di richieste. Avete programmi mirati?

ANDREA SARUBBI. Sono componente della Commissione affari sociali e, di conseguenza,


Pag. 8

la mia domanda riguarda il costo sociale della vostra attività.
Anziché soffermarmi sull'accordo di Basilea 3, vorrei accennare all'introduzione dell'imposta di bollo sui depositi titoli nella misura minima di 34,20 euro, previsto dall'articolo 19, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011 (mi pare che sia contemplata un'esenzione specifica soltanto per i buoni postali fruttiferi fino a 5.000 euro). Forse, la domanda è retorica, ma mi piacerebbe conoscere la vostra posizione ufficiale. Vorrei sapere cosa ne pensiate, se la predetta misura possa avere un impatto negativo sui vostri correntisti e, inoltre, se abbiate soluzioni da proporre per introdurre eventuali esenzioni.
Mi piace concludere con una notazione di carattere personale: oltre che un deputato della Repubblica, sono anche, da molto tempo, un vostro correntista, e sono fiero di esserlo.

LAURA FRONER. Poiché provengo da un'altra Commissione, come l'onorevole Sarubbi, anche la mia presenza in questa sede è un po' anomala.
Collegandomi alla domanda posta dal collega Fogliardi, anch'io vorrei avere qualche informazione in merito alla programmazione della vostra attività futura con le amministrazioni pubbliche. Penso che la vostra presenza, anche alla luce delle nuove regole nel frattempo intervenute, potrebbe rivelarsi quanto mai utile per la gestione dei servizi, considerati i tempi difficili per gli enti pubblici e, in particolare, per i comuni.
Inoltre, riconoscendo la mia ignoranza riguardo alla vostra diffusione territoriale, vorrei avere, come l'onorevole Barbato, dati più precisi al riguardo.
Mi unisco, infine, agli elogi per l'attività che svolgete. Anche se non sono ancora una vostra sostenitrice, intendo diventarlo.

ALESSANDRO PAGANO. Mi pare che oggi abbiate incassato un grande risultato, e questo è già un fatto positivo.
Piace anche a me la visione etica dalla vostra banca. Tuttavia, a mio modesto avviso, alcuni fattori devono essere approfonditi.
Il primo è la redditività: un'iniziativa economica si regge se offre un minimo di redditività. Le banche di credito cooperativo potrebbero avvicinarsi al vostro modus operandi. La loro forma giuridica consente di abbattere la pressione fiscale e, inoltre, sappiamo quale destinazione abbia la gran parte degli utili. La vostra è una banca popolare, ma sappiamo ben poco al riguardo. Sarebbe interessante per noi che chiariste questi aspetti, in modo tale che si possa contribuire a divulgare e a creare sul territorio una nuova cultura bancaria.
In secondo luogo, avete una vocazione chiara per i settori più svantaggiati, a torto emarginati dal contesto produttivo, ma nel terzo settore c'è ancora molto da fare. Il fatto che vi siate dedicati ad esso depone a vostro favore, ma vorremmo conoscere le strategie del o dei network di banche che avete indicato nel documento distribuito, dei quali non è noto il peso specifico. Alcune sigle sono anglosassoni e, forse, virtuali, mentre FEBEA è conosciuta.
Vorrei sapere quali strategie intendete adottare per ampliare il vostro raggio d'azione, anche dal punto di vista geografico. In alcune aree del Paese, sicuramente svantaggiate rispetto ad altre, l'effetto leva prodotto dalla vostra presenza porterebbe sicuri vantaggi.
Vi siete giustamente vantati di essere la prima banca per quanto riguarda la concessione di microcredito. Ebbene, conoscendo l'analisi cui ha fatto riferimento, ed essendo stato relatore sullo schema di decreto legislativo che ha dato attuazione alla direttiva 2008/48/CE, relativa ai contratti di credito ai consumatori, e ha modificato il titolo VI del testo unico bancario in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (divenuto decreto legislativo n. 141 del 2010), convengo con lei, professore: tutti parlano di microcredito, ma nessuno se ne occupa, a parte voi.


Pag. 9


Potreste fornirci ulteriori elementi di valutazione? Qual è, ad esempio, il vostro approccio per quanto concerne il management?
Non credo ci sia disinteresse per il microcredito: probabilmente, manca la cultura necessaria.
Sarebbe interessante sapere da voi, che siete specialisti in tale campo, quale approccio seguite, quale margine avete, quale sistema di selezione e di informazione adottate per stabilire chi finanziare e chi no. Confesso che l'argomento mi appassiona, e che mi piacerebbe saperne di più.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Biggeri per la replica.

UGO BIGGERI, Presidente della Banca popolare etica. Cercherò di essere rapido.
La retribuzione annua lorda del direttore generale è pari a 130.000 euro. Non credo che essa soddisferebbe i grandi manager bancari. Il presidente, invece, ha per la banca un costo annuo di 70.000 euro. Abbiamo sedici sportelli in tutto. Il nostro assetto organizzativo è strano, perché, pur essendo una banca di dimensioni provinciali, siamo presenti in tutta Italia, da Palermo a Trieste, da Torino a Bari o a Napoli. Abbiamo filiali regionali e siamo presenti, tendenzialmente, nei capoluoghi di regione.
Banca popolare etica nasce dal basso, da un gruppo di persone che hanno deciso di dare vita a una banca partendo dall'esperienza cooperativistica delle Mutue per l'autogestione, dalla cui ristrutturazione nacque, nel 1994, l'Associazione verso la banca etica. Caso unico in Italia, una volta raggiunto il capitale, è stata chiesta l'autorizzazione a trasformare la cooperativa in banca. Per questo abbiamo ampia diffusione territoriale e intercettiamo bisogni in tutta Italia. Impariamo, anche con risorse limitate, a lavorare a distanza.
Tra le nostre caratteristiche c'è quella di perseguire un equilibrio geografico, nel senso che tendiamo ad applicare i medesimi tassi di interesse al Sud e al Nord. Storicamente, nel Meridione siamo sotto la soglia di mercato, perché prestiamo a tassi più bassi, attraverso un'azione di tipo mutualistico. Inoltre, investiamo al Sud 2,38 volte di più di quanto raccogliamo: raccogliamo risparmio al Nord e lo portiamo al Sud.
L'imposta di bollo minima di 34,20 euro ci mette in difficoltà, perché abbiamo un gran numero di soci (24.000) che possiedono un controvalore di azioni inferiore ai 1.000 euro. Poiché introduce una tassazione superiore alla redditività delle azioni sottoscritte, la previsione recata dall'articolo 19, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011 ci sembra negativa non soltanto per Banca popolare etica, ma anche per tutte quelle realtà in cui si cerca, tramite l'azionariato popolare, di coinvolgere maggiormente gli utenti dei servizi di welfare che partecipano nelle società erogatrici. A nostro avviso, l'imposta di bollo di 34,20 euro non è né sostenibile, né equa. È vero che si è introdotta una tassazione proporzionale, ma su chi possiede 500 euro di azioni essa ha un peso del 70 per cento, non dello 0,10 per cento, come nel caso di chi detiene 20.000 o 30.000 euro di azioni. Siamo, quindi, fortemente interessati alla modifica della norma citata.
Per quanto riguarda lo scenario macroeconomico, giudichiamo molto positivamente l'impegno per la tassazione delle transazioni finanziarie. Crediamo che esso sia utile non soltanto per il gettito fiscale, e per riformare i meccanismi di approvvigionamento degli Stati, ma anche perché costringe a una maggiore trasparenza il sistema finanziario. Rendere trasparenti le transazioni significa renderle anche più facilmente controllabili.
Un altro provvedimento di nostro interesse riguarda il microcredito. In questa legislatura sono stati fatti progressi nella definizione di norme volte a favorire il microcredito, ma mancano i decreti attuativi. L'emanazione di tali provvedimenti aiuterebbe a capire come muoversi e, forse, sbloccherebbe la situazione, ponendo le premesse affinché di microcredito non si parli soltanto.


Pag. 10


Oltre il 70 per cento degli impieghi di Banca popolare etica è diretto al terzo settore e a organismi non-profit. Stiamo ragionando sul rischio connesso a tale impegno e, come scenario futuro a più lungo termine, stiamo cominciando ad aprire anche al profit responsabile, con la consapevolezza che il nostro posizionamento di mercato dipende dal fatto che un risparmiatore, visitando il sito di Banca popolare etica, capisce subito quale direzione prende il denaro a noi affidato. Questo rappresenta un vincolo rispetto alla possibilità di diventare una banca completamente generalista sul fronte del credito.
I grafici contenuti nel documento di cui avete copia riguardano non tanto Banca popolare etica, quanto tutto il settore bancario italiano. Il problema delle famiglie è generalizzato. Il nostro rischio sistemico riguarda il credito verso il terzo settore.
Come dicevo, il bollo minimo sul deposito titoli è per noi gravoso e, pertanto, proponiamo di eliminarlo. Se ci fosse un problema di copertura, si potrebbe modificare l'aliquota, anche se ci rendiamo conto di quanto ciò sia complicato, oppure si potrebbero equiparare il trattamento di tutti i titoli a quello previsto per i buoni postali fruttiferi.
Banca popolare etica ha una propria redditività. In questi anni, il valore delle nostre azioni è cresciuto, sia pure di poco. Essendo una banca non quotata, risulta più facile, ma da 12 anni abbiamo bilanci in ordine e in utile. Stiamo lavorando per essere ancora più efficienti, e per questo, all'inizio dell'audizione, dicevo che non chiediamo sconti, né una normativa ad hoc. Chiediamo di poter competere con gli altri perché riteniamo che, lavorando bene, possiamo stare sul mercato con le nostre forze.
Quanto al microcredito, crediamo che esso possa funzionare se una banca, o una realtà di intermediazione finanziaria, è in grado di attivare le reti sociali sul territorio. Una delle caratteristiche fondamentali di Banca popolare etica è quella di sostituire alle garanzie di tipo patrimoniale o finanziario - che comunque richiediamo - garanzie di tipo relazionale. Ciò è possibile se si crea un collegamento con le realtà che erogano servizi ai cittadini sul territorio, quali le associazioni dei consumatori, la Caritas, l'ARCI e gli enti locali.
Il nostro modo di operare, a macchia di leopardo, è legato alla possibilità di realizzare buoni partenariati, come a Venezia o a Torino, dove le province promuovono, per le famiglie, un progetto di asset building denominato «Fragili orizzonti».
Il concetto è abbastanza semplice, e si capisce perché se ne parli, ma non si pratichi. Serve un sistema che metta insieme enti tendenzialmente non-profit, che si facciano carico dei bisogni di relazione, e un istituto finanziario. Un piccolo imprenditore che non riesce a ottenere un prestito di 5.000 euro ha bisogno di qualcuno che gli dedichi tempo, a patto, però, che questo tempo non sia messo in conto a lui, incrementando gli interessi sul debito. Per la concessione di un finanziamento di 5.000 euro un qualsiasi operatore di banca impiega venti minuti: il microcredito non funziona così. Riteniamo che l'attuazione delle norme possa favorire lo sviluppo di modalità operative che permettano alle banche di dedicare attenzione e tempo al microcredito, lavorando fianco a fianco con le reti sociali.
Noi non guadagniamo dal microcredito e non crediamo che tale settore porti profitto. Non perderci è già un buon risultato, soprattutto ove si consideri che si compie un'attività positiva sul territorio.
Se permette, signor presidente, chiederei al dottor Crosta di svolgere qualche considerazione integrativa.

PRESIDENTE. Prego, dottor Crosta.

MARIO CROSTA, Direttore generale della Banca popolare etica. Vi siamo grati per aver accolto la nostra richiesta di audizione e, ancora di più, per l'apprezzamento che ci avete manifestato.
Le proposte di regolamentazione all'esame della Commissione lasciano qualche margine di negoziazione. Le richieste


Pag. 11

contenute nel documento che abbiamo consegnato non rappresentano sogni, ma esigenze che in altri Paesi d'Europa hanno trovato già soddisfazione e che crediamo debbano essere portate avanti anche da noi.
L'aspetto contabile è un altro elemento importante. Poiché la regolamentazione si basa sui principi anglosassoni e, in particolare, sul mark-to-market, qualsiasi realtà viene valutata soltanto in base al suo valore di mercato. Invece, le aziende hanno una storia: possono avere difficoltà ma, soprattutto, possono avere un futuro. Ragionare esclusivamente in base ai valori di mercato penalizza le banche e le induce a non concedere credito a causa dei noti meccanismi di rating, favorendo la prociclicità anziché l'anticiclicità. O le cose vanno bene per tutti, oppure i problemi che possono presentarsi si acuiscono: questo non è adeguato. Fare credito significa dare fiducia, credere nelle persone. Mi piacerebbe che il primo articolo del Testo unico bancario stabilisse che il credito è un diritto umano: farebbe cambiare prospettiva a tutta la normativa.
Grazie ancora.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti.
Autorizzo la pubblicazione della documentazione consegnata dal presidente di Banca popolare etica in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1).
Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione della professoressa Marina Brogi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (COM(2011)452 definitivo) e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 2002/87/CE (COM(2011)453 definitivo), l'audizione della professoressa Marina Brogi, ordinario di Economia dei mercati finanziari e vicepreside della facoltà di Economia presso l'Università di Roma «La Sapienza».
Do la parola alla professoressa Brogi per lo svolgimento della relazione.

MARINA BROGI, Professore di Economia dei mercati finanziari, vicepreside della Facoltà di Economia presso l'Università di Roma «La Sapienza». Ringrazio la Commissione per avermi invitata a riferire nell'ambito di questa indagine conoscitiva sulle proposte di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 2002/87/CE (COM(2011)453) e di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (COM(2011)452). La riforma in esame avrà un impatto importante sia sulle banche, sia sul sistema economico nel suo complesso.
La proposta di riforma, nota come Basilea 3, persegue l'obiettivo di promuovere un sistema bancario più robusto e il rafforzamento della capacità delle banche di assorbire choc derivanti da tensioni finanziarie ed economiche indipendentemente dalla loro origine, riducendo, in tal modo, il rischio di contagio dal settore finanziario all'economia reale. Essa si compone di una serie di misure articolate, attualmente oggetto di recepimento a livello europeo. L'Unione Europea si muove per prima, mentre altri Paesi sono più attendisti.
La struttura del mio intervento prevede una premessa e l'illustrazione di tre punti che credo meritino l'attenzione della Commissione: le opzioni che l'Italia dovrebbe poter esercitare, l'importanza della ricapitalizzazione delle banche e alcune considerazioni sulla governance. Seguiranno alcune riflessioni conclusive, che non vogliono,


Pag. 12

però, offrire soluzioni, perché in questo campo - ahimè - non vi sono ricette precostituite.
Prima di analizzare alcuni elementi della riforma proposta e il loro possibile impatto, e di proporre alcuni correttivi, vale la pena di tratteggiare il contesto di riferimento, ricordare l'evoluzione del sistema e identificare alcune aree di criticità, intrinseca e ineliminabile, che devono essere tenute presenti nel modellare la nuova disciplina.
Il primo punto da considerare è che le banche sono speciali. Una regolamentazione particolare è giustificata dal fatto che le banche non sono aziende come le altre. Esse svolgono un ruolo all'interno dell'economia, perché trasferiscono le risorse dalle unità in surplus alle unità in deficit: nel caso dell'Italia, dai risparmiatori alle imprese o ad altri settori in deficit. Essendo intermediari, le banche assumono dei rischi.
Occorre sottolineare, in primis, che le banche hanno alcuni doveri sia nei confronti delle imprese affidate, sia nei confronti dei depositanti, o di coloro che, come risparmiatori, hanno sottoscritto le loro obbligazioni. Nel considerare il dibattito in corso, non si può dimenticare l'articolo 42 della Costituzione italiana, che afferma l'opportunità di promuovere, salvaguardare e tutelare il risparmio.
Bisogna anche ricordare che la selezione degli impieghi è difficoltosa, perché le eventuali perdite sui prestiti potrebbero intaccare i depositi. Il dibattito è correttamente incentrato sulla crescita e sui prestiti all'economia, ma non dobbiamo mai trascurare l'altro lato dello stato patrimoniale della banca, composto dal risparmio raccolto per mezzo di depositi e conti correnti, o tramite le obbligazioni sottoscritte dagli investitori.
La selezione degli affidati - quella che si potrebbe chiamare l'arte del banchiere - risente delle caratteristiche intrinseche e ineliminabili dello scambio finanziario. In qualunque scambio finanziario, intermediato dalle banche o sul mercato, esiste un soggetto che acquisisce i fondi e si impegna a restituirli a una data futura. La seconda parte dello scambio avviene successivamente, e per questo è soggetta a incertezza, un'incertezza ineliminabile. Questo rende il mestiere del banchiere più difficile.
L'incertezza è acuita anche dal fatto che chi chiede i soldi in prestito conosce la sua azienda meglio del banchiere che li presta. È un fattore intrinseco allo scambio. Esiste un problema che, tecnicamente, chiameremo asimmetria informativa. È un problema ineliminabile, e va sempre considerato. È il rischio che i banchieri devono essere capaci di assumersi.
Un altro aspetto è che le banche sono collegate. Non vi sfuggirà il fatto che diciamo «sistema» bancario, mentre parliamo di settore dell'auto. Questo dipende da due ordini di motivi. Le banche sono collegate a sistema e, se fallisce una grande banca, le altre banche sono scontente. Se fallisce Renault, in FIAT sono contenti, perché acquisiscono potenziali nuove quote di mercato. Per le banche non è così.
Inoltre, le banche sono collegate a sistema non solo nel momento patologico di un'insolvenza, o meglio di una liquidazione coatta amministrativa, ma anche momento per momento sul mercato interbancario. È fisiologico che le banche si prestino soldi a vicenda sul mercato interbancario. In più, con il meccanismo del mark-to-market inserito nei principi contabili internazionali (IAS), il valore degli attivi di una banca si può modificare anche se una banca non agisce sul mercato interbancario.
Infatti, se l'interbancario è poco liquido, le banche che hanno bisogno di liquidità ricorrono al mercato insieme, vendendo titoli e creando un eccesso di offerta che potrebbe determinare una perdita di prezzo, e anche chi non vende può subire un'incidenza negativa sul proprio attivo. Il collegamento sistemico tra le banche perdura nel momento patologico - il caso estremo -, ma anche nel momento dell'ongoing concern, cioè dell'attività ordinaria.
Come dicevo, le banche sono speciali, ma sono anche imprese. Si tratta di un


Pag. 13

concetto introdotto in Italia nel 1992, con il recepimento della seconda direttiva CEE, modellata per rendere ammissibile il modello di banca universale, che esisteva quasi esclusivamente in Germania. Le tre grandi banche tedesche, Commerzbank, Dresdner Bank e Deutsche Bank, erano universali, a differenza delle banche presenti negli altri mercati europei, dove, a seguito della crisi bancaria del 1929, si era scelto di separare banche e industria, di specializzare le banche per scadenze e di specializzare e dividere l'attività mobiliare, come è stato fatto negli Stati Uniti con il Glass-Steagall Act.
Nel 1993 il Testo unico bancario (TUB) razionalizza il sistema bancario e stabilisce che la banca è un'impresa, che è ammesso tutto ciò che non è esplicitamente vietato e che le banche possono scegliere anche attività rischiose, purché abbiano le spalle abbastanza larghe da sostenere le eventuali perdite. Dal momento in cui alle banche è permesso ampliare le proprie attività e scegliere quelle più rischiose, purché siano abbastanza patrimonializzate, si diffonde l'idea che la proprietà statale delle banche non sia la soluzione ottimale. Le grandi banche italiane sono state tutte privatizzate perché si pensava che una banca quotata potesse avere più possibilità di raccogliere capitale rispetto a una banca non quotata.
Questa speranza è stata disattesa: lo dimostrano i numeri contenuti nella relazione che vi invierò quanto prima. L'idea era che le banche, comprese quelle pubbliche, avrebbero potuto ricapitalizzarsi più di quanto avevano già fatto grazie all'autofinanziamento e alla ritenzione degli utili. Si auspicava, inoltre, che un percorso di concentrazione generasse maggiore efficienza.
Le attese sulla ripatrimonializzazione sono state disattese, ma anche l'idea che le banche più grandi siano più efficienti e possano conseguire economie di scala non è sempre vera. La ricerca empirica dimostra che le acquisizioni non garantiscono lo stesso ammontare di prestiti erogato da banche separate. Spesso, anzi, i prestiti devono essere ridotti. Dipende dalla composizione del portafoglio delle banche originarie.
Le banche, come tutte le imprese, devono mantenere tre equilibri. Il primo è l'equilibrio economico, cioè la redditività, che dipende dagli utili. Il secondo è l'equilibrio patrimoniale, ossia il valore dell'attivo deve essere sufficiente a coprire il passivo. Per le banche questo è particolarmente importante. Se ci fosse il dubbio che l'attivo non valga abbastanza da coprire i depositi, si potrebbe verificare una corsa agli sportelli, il che va assolutamente escluso. Il terzo equilibrio è quello finanziario, cioè la capacità della banca di far fronte alle potenziali uscite senza incorrere in crisi di liquidità.
Si tratta di tre equilibri collegati. La redditività può aiutare la solvibilità, perché permette di accantonare l'utile, cosa che le grandi banche quotate non hanno fatto a sufficienza. La liquidità ha un costo-opportunità. Certo, la cassa non viene remunerata, ma è importante. Se consideriamo la banca in un'ottica dinamica, notiamo che la liquidità per la banca è più importante che per altre tipologie di imprese. Se un'impresa avesse un momentaneo squilibrio di liquidità, potrebbe rivolgersi al sistema bancario. La banca si può rivolgere al prestatore di ultima istanza, alla Banca centrale, ma bisogna evitare di creare situazioni di eccessiva dipendenza.
Il terzo tassello di questa premessa riguarda l'evoluzione del sistema bancario italiano e le implicazioni per i suoi equilibri. Le grandi banche quotate presentano, fino al 2008, una situazione di patrimonializzazione, ossia di solvibilità, inferiore a quella delle piccole banche. Le banche di credito cooperativo italiane, che, ai sensi dell'articolo 37 del TUB, hanno l'obbligo di accantonare il 70 per cento degli utili a riserva, presentano coefficienti patrimoniali migliori rispetto a quelli delle grandi banche.
Le grandi banche sono state spinte a distribuire lauti dividendi e a non accantonare i propri utili, aumentando il patrimonio. È stata perseguita una politica di


Pag. 14

return on equity (ROE) elevato. A qualunque risparmiatore viene spiegato che, di fronte a un rendimento del 20 per cento, deve ritenere che vengano assunti rischi importanti. Andando indietro nel tempo, vi accorgereste che nei piani di determinate banche, straniere in primis, ma anche italiane, si dichiarava l'obiettivo di un ROE del 20 per cento. Un ROE simile implica grandi rischi.
Va detto che la Banca d'Italia, con l'allora Governatore Draghi, già a partire dal 2010 inviò lettere alle banche per spiegare che era meglio distribuire meno dividendi e ritenere più utili, in modo tale da migliorare la patrimonializzazione. Questa, a mio parere, rimane la strada maestra da seguire anche in questo momento.
Dal punto di vista della solvibilità, la patrimonializzazione delle grandi banche appare più fragile di quella delle piccole banche. Inoltre, analizzando la composizione del patrimonio di vigilanza, si nota che, dagli anni Novanta al 2008, c'è stata una sostituzione progressiva di capitale «vero» (core capital) con capitale di qualità inferiore. Il capitale «vero» è quello che serve a coprire le eventuali perdite anche se non si arriva al fallimento.
Nel periodo 1995-2008, i prestiti subordinati sono aumentati molto più del patrimonio di vigilanza. Le riserve di capitale «vero» erano di proporzioni inferiori, perché sostituite da altre componenti meno adatte a sostenere le perdite in caso di difficoltà. La crisi ha dimostrato che il subordinato serve nel caso estremo di default, ma non serve se non si arriva al fallimento. Questa forte ricomposizione è facilmente rilevabile.
Anche la liquidità è stata percepita come qualcosa da ottimizzare. Una critica importante, a mio parere, la meritano i principi contabili. Aver indotto i banchieri, a partire dal 2005, a utilizzare il meccanismo del fair value, cioè il valore equo degli attivi, e averlo proposto per gran parte degli attivi, ha autorizzato le banche a pensare di poter ottenere liquidità vendendo in qualunque momento un attivo al valore di mercato scritto nei libri contabili.
Il diavolo, però, sta nei dettagli. Lo IAS 39 è immaginato per tutte le aziende e non solo per le banche. Tuttavia, le aziende compongono settori, mentre le banche sono un sistema e si ritrovano a vendere tutte insieme. Non vi sarà sfuggito che la prima ondata di liquidità a 36 mesi fornita dalla Banca centrale europea è stata raccolta prevalentemente dalle grandi banche. Adesso le nuove disposizioni di Banca d'Italia cercano di favorire l'accesso a quel «rubinetto» delle banche più piccole, perché, quando c'è un problema di liquidità, il mercato interbancario non funziona anche perché le banche non hanno voglia di prestarsi soldi.
La liquidità è stata percepita come un fattore da ottimizzare, perché buona parte dell'attivo era calcolata a valore di mercato. Tuttavia, vendendo tutte insieme, le banche determinano un eccesso di offerta, e il prezzo scende. Di conseguenza, si dovranno fare sacrifici per quanto riguarda la redditività, e sarà sempre più difficile trovare un mercato. Questo va ricordato.
Dato che le banche sono aziende speciali che hanno la necessità di mantenere i tre equilibri ricordati, e data la spinta del mercato finanziario a ricercare profili di rischio sempre più alti per le banche quotate, ritengo che la proposta di disciplina che state analizzando abbia tre implicazioni.
La prima riguarda la patrimonializzazione e la leva finanziaria. Un secondo aspetto riguarda le opzioni, che a mio parere devono essere introdotte. La terza implicazione riguarda la governance.
In primo luogo, anche se non fa piacere ai banchieri italiani e di tutto il mondo, una maggiore patrimonializzazione è necessaria. Serve a ripristinare la fiducia nella solvibilità delle banche. L'evidenza di preoccupazioni circa la solvibilità delle banche si trova sia sul mercato azionario, sia sul mercato interbancario. Sul mercato azionario il rapporto tra il valore di mercato del patrimonio e il valore di libro del


Pag. 15

patrimonio è largamente inferiore all'unità. In Italia, abbiamo avuto il caso di una banca che è arrivata al 4 per cento.
Immaginiamo una banca che abbia un patrimonio, a valore di libro, di 60 miliardi, e immaginiamo che il prezzo di mercato di questa banca attribuisca alle sue azioni in circolazione un valore di mercato di 15 miliardi. In tal modo, il mercato sta comunicando di ritenere che 45 miliardi di libro non esistano. La dinamica è sempre domanda-offerta, ma non c'è fiducia in quei numeri. Allo stesso modo, quando le banche preferiscono lasciare i soldi in deposito presso la Banca centrale europea, anziché prestarseli fra loro, ciò è indicativo del fatto che le banche stesse non si fidano della qualità del proprio attivo. Non basta uno stress test per capire di quanto potrebbe oscillare il valore dell'attivo. I prezzi rimangono comunque depressi.
Il patrimonio serve per ripristinare la fiducia degli investitori nelle banche e delle banche nelle altre banche. Sarà un percorso doloroso. Sicuramente è più faticoso, oggi, aumentare il capitale di quanto lo sarebbe stato, ieri, non distribuire i dividendi. Poiché le banche sono collegate a sistema, se hanno giocato tutte con le stesse regole, finiscono per avere bisogno tutte insieme. Il mercato ha una data capacità di assorbimento. Non si può moltiplicare il risparmio per facilitare gli aumenti di capitale. Il problema esiste, ma occorre ripristinare la fiducia.
È poi necessaria una ricomposizione del passivo. Il passivo delle banche è fatto di depositi, di obbligazioni e di patrimonio. Queste sono le grandi voci. Negli anni, però, si è determinato uno squilibrio nella sana e prudente gestione. Oggi anche banche molto piccole hanno un rapporto tra prestiti e depositi superiore all'unità. Ciò significa che, se non riescono a emettere obbligazioni, dovranno ridurre i prestiti, ma estinguere un prestito comporta, in alcuni casi, una perdita secca in conto economico, e questo non è sostenibile.
Il problema è delicato. Gli aumenti di capitale servono, così come serve la ritenzione di utili a riserve. Alcune fondazioni saranno dispiaciute di non poter percepire dividendi anche quest'anno, ma, a mio parere, non ci sono molte alternative.
Un altro tassello importante della normativa è rappresentato dal coefficiente di leva o leverage ratio: un coefficiente assolutamente fondamentale. In Italia esisteva già, perché era stato introdotto con Basilea 1. Allora si chiamava coefficiente dimensionale, ma, in ogni caso, le banche non potevano detenere un attivo oltre un certo multiplo del patrimonio. Quando si crea un coefficiente patrimoniale in cui al numeratore si pone il patrimonio di vigilanza - composto di azioni e di altri titoli che assomigliano alle azioni ma non tanto - e al denominatore vanno gli attivi ponderati per il rischio, stabilendo, però, che nella ponderazione per il rischio i pesi non sono più indicati dall'autorità di vigilanza, e si consente alle banche di utilizzare modelli interni di calcolo del rischio, il processo diventa meno trasparente.
Se il denominatore ponderato per il rischio è meno trasparente, è necessario che sia accompagnato da qualcosa di molto trasparente, intuitivo e del tutto rigoroso - cioè impossibile da cambiare -, che rappresenti il livello massimo di espansione dell'attivo. Il coefficiente di leva è necessario perché è comprensibile da tutti. Io mi occupo di mercati finanziari e da anni gli analisti hanno ricominciato a utilizzare il coefficiente di leva secco, considerato come percentuale di capitale rispetto al totale attivo. È semplice. Il mercato lo capisce, e ciò che si capisce è più adatto a creare fiducia.
Credo che l'Italia dovrebbe spingere per una deroga relativamente ai prestiti alle piccole e medie imprese, come ha proposto l'ABI. Io non condivido l'idea che gli aumenti di capitale non siano fattibili; attenuare il coefficiente patrimoniale, anche relativamente al capital conservation buffer, per le piccole e medie imprese è, invece, importante. Rappresenta un modo per non penalizzare troppo l'Italia.
Una freccia al vostro arco è offerta dal fatto che anche gli inglesi si sono stranamente espressi a favore di questa impostazione. In realtà, ciò non è tanto curioso,


Pag. 16

perché tutte le imprese nascono piccole. Alcune crescono, altre un po' meno, ma tutte partono piccole. Penalizzare le imprese neonate, o in fase di crescita, non è sicuramente una buona idea, e una deroga andrebbe prevista.
Tenete conto, inoltre, che l'idea di livellare il piano di gioco, tante volta ripetuta nella documentazione, è un auspicio sulla carta. Di fatto, esistono differenze di trattamento nei coefficienti patrimoniali per la composizione del patrimonio e per l'attribuzione dei risk weighted asset al denominatore. Ci sono modalità differenti di interpretare questi numeri, ma soprattutto le grandi banche, comprese quelle italiane, non sono davvero in grado di offrire servizi in una dimensione transfrontaliera.
Per farvi un esempio concreto, l'utile di una banca tedesca, figlia di una grande banca italiana, viene ritenuto ed entra a far parte del patrimonio della banca figlia. Quando l'autorità di vigilanza del Paese vede che la figlia di una banca italiana fa raccolta a tassi più bassi, non consente di finanziare le imprese italiane con quei depositi. È un punto sul quale bisogna intervenire, perché le banche sono state spinte a internazionalizzarsi.
Oggi alcuni progetti potrebbero beneficiare del tasso di interesse più basso che viene pagato sui depositi in Germania. Chi fa raccolta in Germania paga meno, perché chi fa raccolta in Italia deve essere competitivo rispetto ai BTP, ma i BTP rendono più dei Bund. In Germania non è stato consentito. Dobbiamo riconoscere le limitazioni concrete all'idea del piano di gioco livellato. Possiamo, quindi, introdurre un accorgimento per le piccole e medie imprese.
Per l'Italia è molto importante, perché le nostre imprese sono più piccole, spesso sono familiari e crescono meno. Noi viviamo con l'idea che sia meglio essere i primi nel villaggio di montagna, che secondi a Roma. È un limite, ma una deroga nell'ambito del capital conservation buffer avrebbe sicuramente senso.

PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, professoressa, ma devo porle una domanda. Non so se lei abbia sviluppato il concetto, ma come può una banca internazionale, o sistemica, essere ricondotta in un ambito nazionale per ragioni tutte interne al Paese in cui opera?

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Mi permetto di aggiungere che l'allora Governatore della Banca d'Italia, Draghi, indicò l'operazione di Profumo come una delle più valide e sostenne che tutti gli istituti avrebbero dovuto seguirne l'esempio. Lo riferirono Il Sole 24 Ore, il Corriere della Sera e tutta la stampa nazionale e internazionale di spicco.

MARINA BROGI, Professore di Economia dei mercati finanziari, vicepreside della Facoltà di Economia presso l'Università di Roma «La Sapienza». Consentitemi di rispondervi in teoria. In teoria, nell'ambito bancario, bisognerebbe per prima cosa non ammettere acquisizioni, ma solo fusioni. Non si dovrebbero mai pagare vecchi soci, perché in quel caso si farebbe uscire patrimonio dal sistema bancario (che non è mai una buona idea). Tuttavia, di operazioni questo tipo ve ne sono, non v'è dubbio. Io ho partecipato a seminari della Banca d'Italia in cui si sosteneva che le aggregazioni bancarie fossero importanti. Il tempo ha dimostrato che le aggregazioni possono essere destabilizzanti. Da un lato, non è facile fare economie di scala e, dall'altro, allorché le acquisizioni avvengono a prezzi che richiedono avviamenti troppo elevati, tali avviamenti si portano avanti nel tempo e creano una serie di problematiche.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Professoressa, lei non può immaginare quanti veronesi e veneti - che io rappresento - rimpiangano la Banca popolare di Verona.

MARINA BROGI, Professore di Economia dei mercati finanziari, vicepreside della Facoltà di Economia presso l'Università di Roma «La Sapienza». Io posso basarmi su quanto dice la teoria. Fatico a prendere


Pag. 17

una posizione, tanto più che non conosco nel dettaglio le singole operazioni. Vi posso dire, però, che si può e si deve introdurre un correttivo per quanto riguarda le piccole e medie imprese.
Si deve anche considerare che le banche non sono tutte uguali. Ci sono banche più piccole che presentano una giusta dimensione rispetto alle aziende. Nel quadro delle modalità di erogazione del credito, le piccole banche hanno un circuito diverso rispetto a quello internazionale in cui si muovono le grandi banche. Per le banche medio-piccole un'azienda media è un'azienda importante.
Si può riscontrare che, nelle province in cui esiste una banca media, le aziende riescono a essere più grandi e internazionalizzate rispetto alle province in cui una banca media non c'è. La banca piccolissima non ha le dimensioni per diversificare il portafoglio, e la banca troppo grande non ne ha l'interesse: quest'ultima è una macchina da guerra per la gestione dei rischi, ma non ha le caratteristiche giuste per l'analisi di fido ad aziende di dimensioni ridotte, che è molto complicata se non si dispone di un circuito informativo «informale» nel territorio.
Questo mi consente di passare al punto del governo societario.

PRESIDENTE. Trovo singolare che la Banca centrale tedesca impedisca a Unicredit, presente sui mercati tedesco e italiano, di fare raccolta nel primo Paese e di trasferirla nel secondo. È come se, in Italia, decidessimo che non si possono raccogliere risorse al Sud per destinarle al Nord. Si è spinto per l'internazionalizzazione del sistema bancario, ma poi ci ritroviamo in una situazione nella quale ognuno fa per sé.
Quello del campo di gioco livellato dovrebbe essere un principio chiaro. O siamo in Europa o non ci siamo. Non possiamo accettare limitazioni per differenze competitive tra i mercati. Il principio di libera circolazione dei capitali è sancito dalla normativa primaria.

MARINA BROGI, Professore di Economia dei mercati finanziari, vicepreside della Facoltà di Economia presso l'Università di Roma «La Sapienza». Sono stata imprecisa. La vigilanza sulle banche tedesche è esercitata dalla BaFin e, da quanto emerge, l'indicazione è arrivata sotto forma di moral suasion. Non c'è un divieto normativo, bensì un'attenzione.
Lei, presidente, ha ragione a dire che in Italia non si potrebbe fare, anche se, quando studiavo all'università, era notorio che al Sud ci fossero le piazze di raccolta e al Nord quelle di impiego, benché l'Autorità centrale fosse una sola. È più faticoso fare impieghi dove i rischi sono più alti, e la corretta dimensione diventa ancora più importante.
Banca popolare etica ha un modello di business talmente particolare che, pur facendo credito a soggetti che sulla carta sembrano non bancabili, riesce ad avere sofferenze molto basse. Evidentemente, sa selezionare.
Ho citato l'arte del banchiere. Ebbene, sono allieva di un professore quasi ottantacinquenne, il quale sottolineava, a proposito della difficoltà di selezionare il credito, l'importanza di guardare gli imprenditori negli occhi e di conoscerli. Ho studiato molto anche le banche di credito cooperativo. Ricorderò sempre la battuta del presidente di una di esse, il quale mi disse che non vi avrei mai potuto lavorare, perché non sapevo parlare il dialetto e non conoscevo nessuno. La mia laurea alla Bocconi non serviva a niente!
Quello delle banche di credito cooperativo è un modello speciale. Certo, presenta dei rischi, ma sono rischi che vanno considerati diversamente. I consigli di amministrazione delle BCC-CR sono relazionali. Il vicepresidente, per esempio, potrebbe essere il notabile locale che, conoscendo tutti, sa a chi vale la pena di concedere un fido e a chi no. Non voglio, però, far passare l'idea che le BCC-CR siano un'isola felice ed esenti da rischi. Tenete conto che le banche di credito cooperativo del Nord hanno avuto, negli ultimi tre anni, imponenti aumenti degli impieghi. Tuttavia, storicamente, le sofferenze non si verificano subito. Se con l'aumento del portafoglio insorgono sofferenze,


Pag. 18

ciò si nota dopo qualche tempo. Per questo ci si dovrebbe preoccupare dei rischi riguardanti le BCC-CR, i cui prestiti sono cresciuti troppo.
Mi avvio alle conclusioni. Come ho detto, serve patrimonializzare, e serve il coefficiente di leva finanziaria non ponderato. A mio parere, sarebbe anche utile porre un limite al capitale che si può liberare in base ai modelli interni. Sono stupita dal fatto che, dopo l'esercizio dell'EBA, le banche abbiano sostenuto che passare ai modelli interni sarebbe stato come avere più patrimonio. Non sono sicura che sia la modalità giusta. Sicuramente bisognerebbe attenuare l'impatto del capital conservation buffer per le PMI. La proposta dell'ABI è giusta sia per l'Italia, sia per l'economia nel suo complesso.
Per quanto riguarda la governance, i board devono essere più diversificati, come è scritto nelle proposte, ma anche più competenti. Bisogna avere il coraggio di dichiarare quali competenze ci si aspetta che i board possiedano. È comunque ragionevole stabilire un insieme di sanzioni più forti. L'accademia si è molto esercitata sul tema degli incentivi e dei compensi, quello che io chiamo la «carota», ma occorre rilevare come poco si sia fatto sul versante del «bastone».
Una sanzione amministrativa di 5.000 euro a un consigliere di amministrazione non fa male. Quello che fa male all'amministratore delegato è minacciare la chiusura temporanea della filiale se le attività antiriciclaggio non sono svolte correttamente. Le sanzioni sono necessarie, ma ritenere sufficiente che il consiglio di amministrazione eserciti un controllo forte è alquanto utopistico. Non basta, però, sanzionare il singolo consigliere, il quale, in quel momento, possiede informazioni che provengono, spesso, dagli esecutivi. Occorrono, piuttosto, sanzioni che incidano sul business.
Per concludere, vorrei lasciarvi qualche spunto per guardare avanti, ribadendo che non si tratta di ricette.
Per prima cosa, serve una visione di insieme. Non basta considerare questa riforma, ma occorre un approccio olistico ai problemi. L'intreccio tra Stati sovrani, banche e mercati finanziari va gestito in modo unitario. Ciò che state esaminando è solo un pezzo della storia.
Come esseri umani, sappiamo bene come alcuni alimenti, che, mangiati singolarmente, fanno bene, possano far male se assunti in modo combinato. Un esempio di approccio non olistico molto negativo è stato l'introduzione simultanea dei principi IAS e di Basilea 2. Entrambi sono prociclici. Singolarmente, non funzionerebbero male; tuttavia, sapendo che si autorizzava una maggiore oscillazione dell'attivo, si doveva aumentare il coefficiente patrimoniale in quel preciso momento, una volta consentito, tramite il fair value, di distribuire utili su profitti non realizzati nel portafoglio di trading.
In base alla curva gaussiana, alla probabilità di ottenere un notevole profitto corrisponde la stessa probabilità di subire una perdita. Lasciando distribuire l'utile guadagnato su un profitto virtuale, non si è in grado di affrontare le perdite. Una visione di insieme è, quindi, necessaria. Gli IAS sono un tassello importante.
Un'altra normativa rilevante e correlata è quella relativa alle agenzie di rating. Tutto ciò che riguarda le agenzie di rating va rimosso dalle proposte in esame. Se vogliamo che i banchieri sappiano fare il proprio mestiere, un certo grado di automatismo va eliminato. È bene formare persone che sappiano fare i banchieri.
I derivati rappresentano un altro capitolo. Il marking-to-market, ossia la valorizzazione al mercato, non è di per sé negativa, se attuata da una cassa di compensazione e garanzia che consenta di attenuare il rischio di controparte.
Le banche, inoltre, devono mantenere i coefficienti minimi patrimoniali, riuscendo comunque a rispettare gli equilibri descritti all'inizio. Nell'immediato, sorgono sicuramente problemi di redditività prospettica, perché le banche possiedono ancora attivi rischiosi e, forse, anche sofferenze non ancora divulgate. Questo il


Pag. 19

mercato lo pensa, ed è per questo che registriamo sconti così forti sul mercato azionario.
Il capitale deve essere aumentato. La difficoltà sta nel fatto che tutti devono ridurre la leva. Gli Stati sovrani hanno lo stesso problema e, in certi Paesi, sono interessate anche le imprese. Esiste un problema generale di insufficienza del patrimonio. Tuttavia, alcune analisi empiriche, tra cui un interessante studio della BCE, spiegano che il modello bancario può essere trasformato da modello a più alto rischio, per il quale la redditività non è adeguata, in modello a più basso rischio.
In altri termini, un soggetto maggiormente capitalizzato è percepito come meno rischioso e, di conseguenza, il sottoscrittore di capitale è disponibile a sottoscrivere l'aumento anche se la redditività sarà più bassa. Occorre gradualità, ma è un passaggio che si può realizzare.
Da ultimo, resta la questione del credit crunch. Per le aziende italiane il credit crunch non dipende tanto dal fatto che le banche debbano rispettare requisiti di solvibilità, quanto dal fatto che il prenditore privo di rischio italiano, ossia lo Stato, paga un premio al rischio oggi elevatissimo. Paghiamo il fatto che l'Italia non cresce, anche se siamo il secondo Paese manifatturiero d'Europa e in tanti settori siamo fortissimi. Il costo del denaro è molto elevato, e non può essere altrimenti, perché le nostre banche raccolgono depositi a tassi più alti. Il credit crunch si risolve più facilmente se gli Stati riescono a ricondurre le finanze pubbliche a maggiore ordine.
Vi ringrazio dell'attenzione.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Vorrei complimentarmi con la professoressa per la sua interessantissima relazione, pregandola di farci avere un testo scritto.
Mi permetto, signor presidente, di chiedere un ulteriore approfondimento in una successiva seduta. Gli aspetti che meritano di essere approfonditi sono tanti. Mi piacerebbe, ad esempio, tornare sulla differenza tra capitale «vero» e capitale di qualità inferiore, nonché su alcuni aspetti relativi alla redditività, alla situazione patrimoniale delle banche e alle trasformazioni susseguitesi in questi anni.
Credo che un approfondimento sarebbe davvero utile.

PRESIDENTE. Chiederemo alla professoressa Brogi di concederci un'altra occasione.
Ringrazio tutti gli intervenuti. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione prodotta dalla professoressa Marina Brogi (vedi allegato 2).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,05.

[Avanti]
Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive