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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
14.
Giovedì 23 febbraio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AI REQUISITI PRUDENZIALI PER GLI ENTI CREDITIZI E LE IMPRESE DI INVESTIMENTO (COM(2011)452 DEFINITIVO) E DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO SULL'ACCESSO ALL'ATTIVITÀ DEGLI ENTI CREDITIZI E SULLA VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI E DELLE IMPRESE DI INVESTIMENTO E CHE MODIFICA LA DIRETTIVA 2002/87/CE (COM(2011)453 DEFINITIVO)

Audizione del professor Stefano Mieli, Direttore centrale per l'Area vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia;

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 17 20 21 22 23
Ventucci Cosimo, Presidente ... 12
Barbato Francesco (IdV) ... 13
Fluvi Alberto (PD) ... 14 17 19
Messina Ignazio (IdV) ... 16
Mieli Stefano, Direttore centrale per l'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia ... 3 18 19 22
Pilati Andrea, Direttore superiore del Servizio normativa e politiche di vigilanza della Banca d'Italia ... 20 21 22

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Direttore centrale per l'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia ... 24
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 23 febbraio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 10,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del professor Stefano Mieli, Direttore centrale per l'Area vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (COM(2011)452 definitivo) e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 2002/87/CE (COM(2011)453 definitivo), l'audizione del professor Stefano Mieli, Direttore centrale per l'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia.
Sono presenti anche il dottor Andrea Pilati, Direttore superiore del Servizio normativa e politiche di vigilanza, il dottor Francesco Cannata, funzionario del Servizio normativa e politiche di vigilanza, e il dottor Roberto Di Castro.
Do la parola al professor Mieli per la relazione.

STEFANO MIELI, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia. Signor presidente, ho predisposto un testo scritto, al quale cercherò di attenermi; si tratta di una versione provvisoria, che provvederemo a integrare in seguito.
Prima di illustrare l'attuazione in Europa delle regole di Basilea 3, ritengo opportuno premettere qualche considerazione sulla crisi finanziaria internazionale, che da più di quattro anni rappresenta una costante e che, come sappiamo tutti, è la più grave della storia recente.
La crisi è tutt'altro che terminata. Nonostante le tensioni sui mercati si siano gradualmente attenuate nelle ultime settimane, i rischi rimangono elevati. Ne risulta condizionato - occorre evidenziarlo - il clima di fiducia, elemento essenziale per il buon funzionamento del sistema finanziario e per l'efficiente allocazione delle risorse all'interno del sistema economico.
Uno degli elementi che possono contribuire a ripristinare la fiducia è rappresentato dall'insieme di regole che gli operatori della finanza saranno chiamati a rispettare nei prossimi anni. Una delle principali lezioni della crisi è stata, infatti, la conferma di quanto un quadro regolamentare efficace, esaustivo e rigoroso sia condizione indispensabile per rendere il sistema finanziario più stabile e per evitare che si possano ripetere crisi della portata di quella attuale.
La discussione sulla criticità del quadro regolamentare e sui correttivi che ad esso


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è necessario apportare, avviata subito dopo lo scoppio della crisi del 2007, è stata molto intensa e, a tratti, vivace. Essa ha coinvolto, oltre alle autorità di regolamentazione, intermediari, operatori di mercato e accademici.
Credo che la risposta sia stata, nell'insieme, tempestiva ed efficace. L'agenda definita dai Leader del G20 è già stata in larga parte realizzata, e le norme di Basilea 3 ne rappresentano la novità principale.
Sappiamo che il processo di attuazione della riforma non è completato. Oltre alla finalizzazione di alcuni specifici aspetti e tasselli dell'agenda regolamentare, è in corso la fase di recepimento da parte delle singole giurisdizioni. Si tratta di passaggi molto delicati, in cui è evidente il trade-off tra la necessità di rispettare le regole concordate a livello globale e quella di riflettere, laddove necessario e consentito, le specificità dei singoli ordinamenti.
In questa fase congiunturale, particolarmente delicata, risulta davvero cruciale che le regole concordate a livello globale siano attuate in maniera coerente nelle diverse giurisdizioni.
In Europa questa sfida è ancora più difficile. La crisi ha dimostrato quanto pericolose siano le divergenze regolamentari in aree chiave dell'operatività bancaria, a cominciare dalla definizione del capitale bancario: assetti normativi e di controllo meno prudenti possono determinare, infatti, effetti dirompenti anche nelle giurisdizioni più severe.
Il progetto europeo del single rulebook - che nasce dall'esigenza, particolarmente sostenuta dalla Banca d'Italia, di eliminare all'interno dell'Unione condizioni di disparità di trattamento - va a nostro avviso realizzato, senza perdere di vista gli aspetti che potranno essere mantenuti sul piano nazionale, essendovi la necessità di una pragmatica declinazione del principio di proporzionalità.
Un ruolo fondamentale, nel definire l'insieme delle regole che dovranno essere rispettate dagli intermediari che operano nel Mercato unico, sarà svolto dalle nuove autorità di vigilanza europee, che hanno cominciato a operare all'inizio del 2011.
Negli ultimi quattro anni sono state poste in dubbio, nel mondo della finanza, certezze che sembravano incrollabili e inattaccabili sino a poco tempo prima. Infatti, i meccanismi di mercato e gli assetti di governo del sistema finanziario si sono dimostrati incapaci di prevenire e di contrastare squilibri di portata sistemica. Gli strumenti di controllo sono risultati spesso inefficaci nel garantire l'adozione di comportamenti prudenti. Sia in singoli Paesi, sia a livello internazionale, gli assetti istituzionali e l'azione di alcune autorità di vigilanza - non tutte - hanno mostrato forti limiti nell'intercettare i rischi rilevanti e nel fornire risposte adeguate e tempestive. Nemmeno la regolamentazione è stata esente da responsabilità, anche gravi: in alcuni casi, essa ha sostenuto i fattori all'origine dell'instabilità; in altri, si è mostrata poco capace di limitarne gli effetti.
La risposta, come dicevo, è stata molto forte, e le proposte di intervento formulate dal Financial Stability Board sono state approvate dai Capi di Stato a livello di G-20.
Il processo di riforma è, ormai, quasi definito: alcune importanti iniziative sono state portate a termine, e altre sono in via di completamento.
Se non abuso troppo della vostra pazienza, vorrei ricordare gli aspetti fondamentali delle regole di Basilea 3, anche perché la revisione del framework prudenziale per le banche costituisce senza dubbio l'intervento di maggiore portata. Le nuove regole entreranno in vigore all'inizio del prossimo anno, ma andranno a regime con molta gradualità.
La nuova disciplina prudenziale tocca tutti i principali tasselli della regolamentazione finanziaria: il capitale; l'operatività nella finanza strutturata; la leva finanziaria, o leverage; l'interazione tra regole prudenziali e ciclo economico; il rischio di liquidità.
L'intervento sulla definizione del capitale utilizzato a fini di vigilanza rappresenta, forse, l'aspetto più significativo. L'insufficienza quantitativa e qualitativa del patrimonio degli intermediari rispetto alle perdite sostenute è stata uno dei


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problemi più gravi emersi durante la crisi. La definizione di patrimonio di vigilanza non era, infatti, sufficientemente armonizzata a livello internazionale. Purtroppo, molti degli strumenti riconosciuti nel capitale regolamentare hanno dimostrato, alla prova dei fatti, di non possedere una qualità sufficiente per assorbire le perdite.
È stato innanzitutto definito un concetto armonizzato di capitale bancario di primaria qualità, il cosiddetto common equity tier 1 (CET 1), corrispondente, nella sostanza, alle azioni ordinarie e alle riserve di utili. Sono stati previsti, inoltre, criteri molto più rigorosi per dedurre dal capitale le attività immateriali e le partecipazioni finanziarie e assicurative. Il requisito minimo, peraltro, rimarrà fissato all'8 per cento delle attività ponderate per il rischio, ma dovrà essere soddisfatto per più della metà - 4,5 per cento - con common equity (attualmente, il requisito implicito è del 2 per cento). Inoltre, per far fronte a periodi di stress, è previsto un cuscinetto di capitale aggiuntivo (capital conservation buffer) pari al 2,5 per cento, portando, quindi, al 7 per cento il totale di common equity in rapporto all'attivo a rischio. Questo cuscinetto di capitale aggiuntivo non comporta un vero e proprio innalzamento del livello minimo: esso non è, infatti, obbligatorio, ma le banche che non ne disporranno dovranno rispettare una serie di vincoli e di limiti, segnatamente nella distribuzione dei dividendi e nell'attribuzione di bonus. Tali limiti diventeranno tanto più stringenti quanto più si ridurrà il buffer. Si usa lo strumento dell'incentivo per accrescere l'ammontare di capitale.
Nell'ambito della riforma, una particolare attenzione è stata posta anche al denominatore del solvency ratio, ossia delle attività ponderate per il rischio. Nell'architettura di Basilea 3 è infatti confermato, pur con diversi correttivi, il paradigma fondamentale fondato sull'adeguatezza del capitale bancario rispetto ai rischi assunti. La crisi ha mostrato che alcune tipologie di rischio, in special modo quelli di mercato e di controparte, erano stati sensibilmente sottostimati. Si tratta, quindi, di interventi che riguarderanno, in misura maggiore, i modelli di business incentrati sulla finanza e, in misura minore, quelli più tradizionali, tipici delle banche italiane.
Una terza area di intervento è quella della leva finanziaria.
L'esigenza di evitare un eccesso di indebitamento nei bilanci delle banche ha portato i regolatori a prevedere l'introduzione, a partire dal 2018, di un livello massimo di leva finanziaria (leverage ratio) con cui le banche potranno operare. Tale strumento avrà anche la funzione di supplire alle eventuali carenze nei modelli interni di valutazione del rischio adottati dalle banche - cosiddetto rischio-modello -, specialmente nei comparti finanziari più complessi.
Le banche dovranno detenere un patrimonio di base (tier 1) almeno pari al 3 per cento delle attività non ponderate per il rischio (in bilancio e fuori bilancio, inclusi - questo è un aspetto importante - i derivati). Anche il leverage ratio mira a colpire maggiormente il modello di business tipico delle banche di investimento, che operano tradizionalmente con una leva più alta, come dimostrano anche le statistiche europee.
Un altro tema importante è quello della prociclicità delle norme prudenziali. Già ampiamente dibattuto durante i lavori di predisposizione delle norme di Basilea 2, l'argomento è tornato prepotentemente all'attenzione negli anni più recenti. Il Comitato di Basilea ha ritenuto necessario integrare le norme vigenti con specifici correttivi, volti a contenere meglio i rischi derivanti da un'eccessiva dinamica del credito nei periodi di maggiore espansione economica, alla quale segue generalmente, quando il ciclo si inverte, una contrazione della disponibilità di finanza, che può essere anche molto brusca. Mi riferisco al countercyclical capital buffer, che potrà raggiungere il 2,5 per cento delle attività ponderate per il rischio.
Un altro aspetto fondamentale è quello della liquidità. In passato, la convinzione che le esigenze di liquidità degli intermediari potessero essere fronteggiate facendo


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ricorso a mercati all'ingrosso ben sviluppati e integrati, che si riteneva potessero fornire risorse in modo illimitato, aveva disincentivato i regolatori dal prevedere una disciplina comune. La crisi ha dimostrato, invece, quanto fossero fallaci le ipotesi di partenza, e quali effetti il rischio di liquidità possa determinare sulla stabilità degli intermediari e del sistema nel suo complesso. L'esperienza ci dice che anche una banca solvibile può entrare severamente in crisi a causa dell'incapacità di rifinanziare le proprie passività.
Sono state quindi previste, per la prima volta su scala internazionale, norme armonizzate concernenti il rischio di liquidità. In particolare, le banche dovranno osservare due distinte regole connesse con la trasformazione delle scadenze: la prima (liquidity coverage ratio) è volta ad assicurare che le banche dispongano di un ammontare di attività liquide di elevata qualità, che consenta loro di affrontare condizione particolarmente avverse sul mercato della raccolta con un orizzonte temporale di trenta giorni; la seconda (net stable funding ratio) mira a garantire un equilibrio strutturale del bilancio bancario e a incentivare il ricorso a fonti di finanziamento stabili. Entrambe le regole entreranno in vigore dopo un periodo di monitoraggio (la prima nel 2015, la seconda nel 2018).
Sono previste anche altre aree di intervento, definite dai Leader del G20 all'indomani della crisi.
Un primo tema assai rilevante è quello del trattamento da riservare agli intermediari finanziari sistemicamente rilevanti (SIFIs), comunemente noti nella teoria bancaria come too big to fail. Si tratta di operatori - spesso caratterizzati da un'operatività cross-border e da dimensioni particolarmente elevate - che hanno contribuito a rendere più gravi gli effetti della crisi e a complicarne la gestione e la risoluzione. L'obiettivo dei lavori di riforma è quello di definire un framework nel quale sia rafforzata la capacità di tali intermediari di assorbire perdite ingenti, rendendo possibile e credibile ciò che, in alcuni casi, è stato molto difficile gestire, cioè l'opzione di una loro ordinata liquidazione. È necessario ridurre la probabilità di fallimento di tali intermediari, per una serie di ragioni abbastanza intuibili, tra le quali i costi per i contribuenti che potrebbero essere associati a un loro default. Per questa categoria di intermediari è stata prevista una dotazione di capitale più elevata, che può variare tra l'1 e il 2,5 per cento (o addirittura il 3,5 per cento, in relazione a intermediari che, attualmente, non esistono sul mercato con le previste caratteristiche di complessità). A ciò si aggiungerà un pacchetto di regole relative ai controlli più severo rispetto a quello riguardante le altre banche.
Come dicevo poc'anzi, uno dei problemi che abbiamo dovuto affrontare, per fortuna non in questo Paese, è stato l'assenza di strumenti efficaci per la gestione e la risoluzione delle crisi di gruppi finanziari complessi. Il Financial Stability Board si è adoperato, con i suoi principi e raccomandazioni, affinché ogni Paese si doti di un quadro istituzionale tale da consentire la liquidazione ordinata di una SIFI, per evitare possibili ripercussioni sul sistema finanziario, per garantire la continuità dei servizi bancari e finanziari di base e per scongiurare il ricorso a iniezioni di denaro pubblico.
Sono in corso diverse iniziative relative a un altro tema «caldo»: il ruolo dei rating esterni (assegnati dalle agenzie specializzate) nella regolamentazione finanziaria. L'obiettivo è duplice: migliorare l'operato delle agenzie di rating; evitare che gli intermediari facciano eccessivo affidamento sui loro giudizi, rinunciando a sviluppare, al proprio interno, adeguati processi di due diligence.
Un ultimo argomento compreso nelle aree di intervento definite dai Leader del G20 - il cosiddetto shadow banking - è poco sentito in questo Paese, ma piuttosto rilevante a livello internazionale. Il fenomeno è oggetto di importanti lavori, concernenti sia la definizione di questo sfuggente comparto dell'attività finanziaria sia, in particolare, le modalità per attuare una sorveglianza efficace su intermediari che sono fonte di rischi per il sistema bancario


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e che hanno largamente contribuito a innescare la crisi finanziaria, almeno in alcune giurisdizioni. Occorre accrescere il livello di conoscenza e contenere i rischi che possono derivare da questo comparto del mondo finanziario.
Inoltre, bisogna assicurare che siano applicate regole uniformi, affinché il piano di gioco sia livellato e non si verifichino quei frequenti arbitraggi regolamentari che, in passato, hanno creato molteplici problemi.
Dopo questo lungo preambolo, vengo al processo di recepimento in Europa.
Come sappiamo, la Commissione europea ha adottato, il 20 luglio 2011, le proposte legislative per recepire nell'Unione europea il pacchetto di Basilea 3. Il negoziato sta entrando nelle sue fasi conclusive. La pubblicazione degli atti legislativi, che permetterà di recepire l'accordo di Basilea 3 negli ordinamenti nazionali, è prevista per l'estate. Siamo, ormai, alle battute finali.
L'attuale fase del negoziato, nel quale devono ancora trovare definizione alcuni snodi importanti, è particolarmente delicata. La Banca d'Italia sostiene l'importanza di un'attuazione rigorosa delle regole di Basilea 3 in tutte le giurisdizioni, nonché la necessità di mettere a punto, in ambito europeo, una legislazione coerente con gli accordi conclusi a livello globale. Il grado di armonizzazione della nuova legislazione europea rappresenta, a nostro avviso, un elemento centrale, da tenere sotto controllo.
Il testo dei documenti in esame prefigura, come sapete, una legislazione primaria di massima armonizzazione: viene fortemente limitata, infatti, la possibilità per gli Stati membri di adottare, a livello nazionale, regole diverse o anche più stringenti di quelle concordate in sede europea. La scelta della Commissione trae origine dall'intento di realizzare il single rulebook, cioè un insieme di regole armonizzato da applicare alla generalità degli intermediari operanti nel Mercato unico.
La Banca d'Italia ha più volte sottolineato come l'armonizzazione massima e il single rulebook debbano essere collegati all'obiettivo di avere regole rigorose su tutti i profili cruciali per la vigilanza bancaria. Non sarebbe accettabile, a nostro avviso, un livello di convergenza su norme che non consentissero di intercettare in tempo i rischi rilevanti.
Il principio dell'armonizzazione massima prevede specifiche eccezioni. Nel caso in cui, per motivazioni di carattere macroprudenziale ben argomentate e motivate, dovesse emergere la necessità di requisiti prudenziali più severi a livello di Unione europea, la Commissione potrebbe consentire, attraverso un atto delegato da adottare anche sulla base di una raccomandazione o di un'opinione del Comitato europeo per il rischio sistemico (ESRB), oppure dell'Autorità bancaria europea (EBA), un aumento dei requisiti di capitale, in tutti gli Stati membri, per il periodo di un anno. Inoltre, le singole autorità competenti potranno imporre, a livello nazionale, requisiti di capitale più stringenti, ma soltanto in ambiti molto limitati, quali, ad esempio, gli impieghi garantiti da immobili.
Il parere emesso lo scorso gennaio dalla Banca centrale europea (BCE) contiene una richiesta di modificare la proposta di regolamento, al fine di consentire agli Stati membri, oltre che alla Commissione, di adottare a livello nazionale requisiti più stringenti in caso di rischi sistemici, nonché un ampliamento del novero degli istituti prudenziali che possono essere oggetto di una calibrazione più severa per ragioni di stabilità, includendo anche i requisiti in materia di liquidità, leverage e concentrazione dei rischi. Al fine di evitare conseguenze indesiderate sulla stabilità cross-border, derivanti dall'adozione di decisioni unilaterali, la BCE invoca un forte ruolo dell'ESRB, per assicurare il coordinamento, anche in via preventiva, delle decisioni che possono essere assunte a livello nazionale.
Le richieste della BCE sono condivise dalla Banca d'Italia. A nostro avviso, l'introduzione nella legislazione dell'Unione europea di un maggior grado di flessibilità nell'uso degli strumenti microprudenziali per finalità di stabilità potrebbe consentire


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una risposta più tempestiva e adeguata a situazioni di crisi che coinvolgano singoli Paesi. È importante, tuttavia, che ciò avvenga nell'ambito di appropriate tutele e con una procedura definita dall'ESRB.
Per quanto riguarda la definizione del capitale, la proposta in discussione considera ammissibili nel capitale di migliore qualità delle banche organizzate in forma societaria gli strumenti che rispettano i criteri stabiliti da Basilea 3, in termini di capacità di assorbimento delle perdite, permanenza e flessibilità nei pagamenti. Si tratta di un'impostazione che privilegia la sostanza economica rispetto alla forma giuridica dello strumento, basata sulla considerazione che negli ordinamenti degli Stati membri non sarebbe rinvenibile una definizione uniforme di «azioni ordinarie».
Basilea 3, che si prefigge di raggiungere una definizione di capitale davvero armonizzata, prevede, invece, che siano computati nel common equity tier 1 gli strumenti di capitale che rispettano sia la forma giuridica (common shares) sia la sostanza economica (rispetto dei criteri).
Diventa cruciale, quindi, il ruolo dell'EBA nella redazione della lista degli strumenti computabili nel common equity tier 1. Il testo in esame prevede che la lista sia redatta e pubblicata dall'EBA unicamente sulla base delle decisioni delle autorità competenti dei singoli Stati membri. In linea con quanto proposto dalla BCE, la Banca d'Italia ritiene, invece, che la lista dell'EBA debba avere carattere vincolante ed esaustivo, al fine di assicurare la parità di trattamento delle banche che operano nel Mercato unico.
Vorrei svolgere qualche considerazione anche sul tema, importante per il nostro Paese, delle deferred tax asset (DTA). Gli interventi normativi realizzati in Italia, da ultimo con l'articolo 9 del decreto-legge n. 201 del 2011, rendono certa la trasformazione delle cosiddette DTA in attività disponibili nei confronti dell'erario quando si verificano perdite di esercizio. Nello scorso dicembre il Comitato di Basilea ha riconosciuto che tali attività non devono essere dedotte dal capitale, bensì incluse tra le attività ponderate per il rischio, con un peso pari al 100 per cento.
Si tratta di un aspetto sul quale l'azione negoziale della Banca d'Italia è stata particolarmente intensa e, credo, anche incisiva. Com'è noto, l'ammontare delle DTA è assolutamente rilevante per le nostre banche, poiché la normativa fiscale italiana consente di dedurre ogni anno dall'utile di esercizio una quota molto contenuta delle rettifiche su crediti, che vanno spalmate su diciotto esercizi.
Nella negoziazione europea la delegazione italiana ha presentato un emendamento, affinché il testo finale rispecchi le decisioni adottate sul punto dal Comitato di Basilea. La Presidenza danese, sostenuta dalla Commissione, ha dichiarato, da ultimo, il proprio impegno ad accogliere l'emendamento. In questo modo, le DTA contabilizzate dalle banche italiane non dovranno essere dedotte dal capitale. Questa sembra una notizia positiva.
In merito alle regole per la gestione del rischio di liquidità e, in particolare, all'indicatore di breve termine, il cosiddetto liquidity coverage ratio, il testo in esame si differenzia da quello pubblicato dal Comitato di Basilea, con particolare riferimento all'individuazione delle attività computabili nel buffer. Senza entrare troppo nel dettaglio, la proposta di regolamento prevede soltanto due categorie e, per stabilire quali attività siano da considerare appartenenti all'una o all'altra categoria, definisce esclusivamente criteri generali. Sono, inoltre, considerate ammissibili anche attività escluse da Basilea 3.
È previsto che la Commissione emani la normativa di dettaglio entro la fine del 2015, sulla base di un rapporto dell'Autorità bancaria europea, la quale dovrà valutare gli effetti indesiderati dell'indicatore e specificare i criteri oggettivi per la determinazione del buffer di liquidità. Nel periodo di monitoraggio regolamentare saranno gli stessi intermediari a identificare le attività computabili nel buffer, sulla base di linee-guida fornite dalle autorità di vigilanza, ovvero sulla base dei modelli interni. Il Comitato di Basilea aveva stabilito criteri puntuali in merito alle caratteristiche


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qualitative e quantitative che le attività devono avere per essere considerate ammissibili nel buffer di liquidità. Tuttavia, bisogna ricordare che una decisione definitiva sulle componenti ammesse nel buffer sarà presa dal Comitato di Basilea soltanto alla fine del periodo di osservazione.
Desidero segnalare alla vostra attenzione che l'assenza di criteri uniformi per definire le attività ammissibili nel buffer di liquidità, unitamente alla possibilità per le banche di utilizzare i modelli interni, potrebbe alterare le condizioni di parità concorrenziale tra i diversi istituti nella gestione della liquidità, indebolendo l'efficacia dell'impianto normativo.
A nostro avviso, sarà necessario, da un lato, monitorare attentamente il processo legislativo, al fine di assicurarne la piena coerenza con gli sviluppi nell'ambito del Comitato di Basilea e, dall'altro, fare in modo che le due nuove regole, quella di breve periodo e quella di medio-lungo termine, entrino in vigore come misure di primo pilastro nei tempi stabiliti e sulla base di calibrazioni coerenti degli aggregati, tali da riflettere in modo adeguato le determinanti basilari del rischio di liquidità.
Anche la proposta di disciplina europea sul leverage ratio presenta alcune divergenze rispetto a quanto definito dal Comitato di Basilea, con riferimento sia alla natura dell'indicatore, sia alla disclosure da assicurare al mercato nel corso del periodo transitorio.
Per quanto riguarda la natura del leverage ratio, la Commissione europea non ha ritenuto opportuno prevederne l'introduzione a regime come strumento vincolante, preferendolo piuttosto come ulteriore strumento di vigilanza applicabile alle singole banche nell'ambito del secondo pilastro. L'eventuale migrazione all'interno dei requisiti di primo pilastro sarà subordinata agli esiti di una relazione che la Commissione europea presenterà al Parlamento e al Consiglio Ecofin entro il 2016.
Il Comitato di Basilea attribuiva al coefficiente di leva finanziaria natura vincolante (primo pilastro) a partire dal 1o gennaio 2018, seppure dopo un riesame e una calibrazione adeguati. La Banca d'Italia ritiene necessario allineare il testo della proposta di regolamento a quello di Basilea 3. La mancata introduzione del coefficiente di leva finanziaria come misura vincolante e uniforme per tutti gli intermediari potrebbe indebolire l'efficacia complessiva della riforma, privando le autorità di uno strumento importante per fare fronte a una delle cause più rilevanti della crisi finanziaria. Teniamo anche conto - ciò è particolarmente importante per un Paese come l'Italia - che dall'assenza o da un'attenuazione del limite alla leva trarrebbero vantaggio le banche di investimento, molto rilevanti in giurisdizioni diverse dalla nostra.
Un altro aspetto riguarda la disclosure durante il periodo transitorio. È previsto che gli intermediari forniscano al mercato informazioni sul livello di leva finanziaria e su altri elementi alla stessa attinenti. Tuttavia, è conferita agli intermediari la facoltà di stabilire le modalità di calcolo dell'indicatore, scegliendo tra la configurazione di tier 1 definita quando tutte le nuove previsioni sul capitale entreranno in vigore, quella vigente nel momento in cui è eseguito il calcolo, oppure entrambe.
In proposito, la Banca d'Italia ha sempre sostenuto la necessità di stabilire regole uniformi, che garantiscano al mercato un'informativa adeguata, accurata e confrontabile fra i vari Paesi. Se la disciplina della disclosure fosse confermata nella sua formulazione attuale, le banche potrebbero adottare, a seconda dei momenti, la configurazione di tier 1 più idonea a far emergere una leva finanziaria più contenuta. In tal modo, ai mercati sarebbero fornite informazioni non comparabili, e lo strumento della disclosure perderebbe efficacia.
Per quanto riguarda il trattamento delle esposizioni verso le piccole e medie imprese (PMI), tema importante e molto sentito nel nostro Paese, il testo attualmente in discussione prevede che la Commissione sottoponga al Consiglio e al Parlamento europeo, entro la fine del 2013, un rapporto sull'impatto della nuova disciplina prudenziale sui crediti erogati


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dalle banche alle piccole e medie imprese. A questo fine sarà richiesto all'EBA, da un lato, di effettuare un raffronto tra le perdite effettivamente registrate sui crediti alle piccole e medie imprese lungo un intero ciclo economico e quelle implicite nelle ponderazioni di rischio per tali esposizioni e, dall'altro, di analizzare l'efficacia del limite regolamentare attualmente previsto per la classificazione delle piccole e medie imprese nel portafoglio retail (un milione di euro di esposizione), al quale sono associate ponderazioni più contenute rispetto al portafoglio di crediti corporate.
Si fa riferimento alla possibilità di ridurre le attuali ponderazioni di rischio associate a esposizioni verso le piccole e medie imprese nell'ordine di circa un terzo, sulla base di evidenze empiriche fornite dall'EBA.
L'attuale formulazione ci sembra condivisibile. Il tema del trattamento dei crediti alle piccole e medie imprese nelle regole bancarie è stato da sempre all'attenzione della Banca d'Italia, considerata la rilevanza che tali operatori hanno nell'economia del Paese. Già nei lavori di Basilea 2, la delegazione italiana era stata tra quelle maggiormente attive nel sostenere opportuni meccanismi, poi effettivamente introdotti, per garantire un trattamento prudenziale più favorevole su questi portafogli, tale da riflettere il grado di rischio effettivo. Basilea 3 conferma integralmente questo trattamento. È opportuno che qualsiasi proposta di modifica dell'attuale disciplina sia affiancata da adeguate analisi empiriche. Su questo fronte, la Banca d'Italia si ripromette di fornire un contributo analitico entro pochi mesi.
Prima di arrivare alle conclusioni, vorrei affrontare il tema dell'impatto che l'introduzione della nuova normativa avrà sulle banche italiane.
Nel disegnare le nuove regole prudenziali, sia il Financial Stability Board sia il Comitato di Basilea hanno cercato di contemperare due necessità: da un lato, arrivare a una riforma rigorosa e capace di promuovere un sistema finanziario più stabile; dall'altro, minimizzare i potenziali effetti negativi della riforma sulla crescita economica, soprattutto in una fase, come quella attuale, ancora molto incerta.
L'analisi dell'impatto delle nuove norme prudenziali sulle banche e sull'economia ha rappresentato, sin dall'inizio dei lavori, un elemento fondamentale del processo di riforma. Gli studi d'impatto macroeconomico e sugli intermediari (cosiddetti quantitative impact studies - QIS) hanno consentito di rivedere alcune delle proposte sottoposte a una prima consultazione e di tarare meglio le scelte finali.
Le evidenze finora raccolte costituiscono un punto di riferimento essenziale per delineare sin da ora il presumibile impatto del nuovo framework prudenziale. Tuttavia, non possiamo nascondere l'esistenza di numerosi elementi di incertezza, che suggeriscono di interpretare i risultati di queste analisi con una certa cautela. Come ho già detto, il quadro normativo non è ancora pienamente definito, il monitoraggio in corso potrà suggerire altri aggiustamenti e anche l'evoluzione della crisi del rischio sovrano potrà influire sul grado di robustezza delle stime.
Le analisi finora condotte hanno mostrato che l'impatto derivante dalla nuova disciplina, sia su scala internazionale sia in Italia, sarebbe nel complesso positivo, tenuto conto degli oneri, dei costi e dei benefici a regime. A fronte di una contrazione del PIL, complessivamente di entità contenuta, i potenziali benefici che si otterrebbero in termini di riduzione della probabilità di crisi sistemiche supererebbero ampiamente i costi.
Gli esercizi QIS di monitoraggio consentono di ricavare, sulla base dei dati forniti dagli stessi operatori, indicazioni quantitative circa gli effetti delle nuove regole sui bilanci delle banche e, in particolare, sui profili di capitale e di liquidità.
Per quanto riguarda l'Italia, gli esercizi periodici coinvolgono tredici gruppi, che rappresentano oltre il 70 per cento dell'attivo di sistema (la copertura è, quindi, molto ampia). Per tali intermediari, l'evidenza a giugno 2011 conferma che il percorso di aggiustamento verso Basilea 3 procede con regolarità. Alla predetta data,


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le esigenze di rafforzamento patrimoniale necessarie a soddisfare a regime - quindi entro il 2019 - il requisito patrimoniale del 7 per cento in termini di common equity ammonterebbero a circa 24 miliardi di euro, pressappoco la metà di quelle stimate a fine 2009. Gran parte del miglioramento è ascrivibile agli aumenti di capitale realizzati negli ultimi mesi da alcuni fra i principali gruppi. Se consideriamo la ponderazione al 100 per cento delle DTA, che non dipendono dalla profittabilità futura, le esigenze complessive di capitale per le banche del campione considerato scenderebbero a circa 8 miliardi di euro, ammontare che possiamo ritenere non difficile da reperire nei prossimi anni.
Le evidenze raccolte sull'attivo ponderato per il rischio confermano, inoltre, che l'inasprimento dei requisiti per fare fronte ai rischi di controparte e di mercato, già in vigore dalla fine dello scorso anno, determinerebbe un aggravio di capitale per l'Italia nel complesso trascurabile, a differenza di quanto si osserva, invece, per le banche di altri Paesi.
Per quanto riguarda il leverage ratio, le evidenze mostrano che, anche grazie ai recenti rafforzamenti patrimoniali e al grado di leva finanziaria delle banche italiane, strutturalmente modesto, il valore del requisito sarebbe significativamente superiore al minimo regolamentare del 3 per cento.
Sul fronte della liquidità, le banche italiane hanno ancora una situazione di non piena aderenza ai due indicatori introdotti da Basilea 3. Peraltro, le recenti operazioni di rifinanziamento presso l'Eurosistema hanno sensibilmente attenuato le tensioni, dando modo alle banche italiane di affrontare in forma strutturale il rafforzamento della situazione di liquidità e di avvicinarsi all'appuntamento previsto dalla emananda normativa in modo sostanzialmente corretto e non troppo complesso.
In conclusione, la risposta regolamentare alla prima fase della crisi finanziaria globale ci sembra sia stata ampiamente condivisa a livello sia politico, sia tecnico. La riforma di Basilea 3, in particolare la normativa sul rafforzamento del capitale, mira a ridurre le probabilità di crisi sistemiche e a rendere più robusto il sistema.
L'evoluzione del mercato e le difficoltà sul fronte dei mercati internazionali all'ingrosso hanno determinato quasi il blocco della raccolta di fondi. Ciò dimostra che queste iniziative sono importanti in tutti i Paesi, compreso il nostro, non direttamente coinvolto nella prima fase della crisi e dotato di impianti di vigilanza robusti, come ci viene riconosciuto anche a livello internazionale.
Il recepimento in Europa dei principi definiti su scala globale è una tappa fondamentale per garantire la loro piena e omogenea attuazione in tutti i Paesi dell'Unione. La natura di norme direttamente vincolanti per le banche europee rende questo passaggio ancora più delicato. Il processo non è ancora concluso, e alcune giurisdizioni, in particolare, mostrano la tendenza a introdurre disallineamenti, a nostro avviso non sempre giustificati, dal framework di Basilea. La Banca d'Italia è convinta che questo non sia nell'interesse dell'Italia. Si contribuirebbe, infatti, a indebolire il sistema bancario europeo.
Come abbiamo visto, la crisi che si può determinare in alcune giurisdizioni tende, attraverso un processo di contagio, a estendersi anche ad altre giurisdizioni che non hanno contribuito a determinarne l'esplosione.
La posizione della Banca d'Italia è nel senso che si contribuisca a un recepimento il più possibile fedele a livello europeo, lavorando a quel single rulebook che potrà garantire un effettivo livellamento del terreno di gioco per le banche europee, soprattutto quelle con significativa operatività cross-border. Sarà importante mantenere margini di flessibilità, laddove strettamente necessario, in modo da non scardinare l'impianto internazionale. La flessibilità non deve essere un modo per allentare il sistema. La Banca d'Italia ha lavorato, e continuerà a lavorare, affinché questo obiettivo sia realizzato.


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Dobbiamo considerare, d'altra parte, che qualsiasi impianto normativo necessita di un rigoroso e credibile processo di enforcement. Anche in questo campo l'esperienza degli ultimi anni ci ha mostrato quanto possano essere inefficaci le regole in assenza di adeguati strumenti di verifica e controllo da parte dei supervisori. In Italia, una vigilanza che è stata definita da alcuni intrusiva ha consentito di mantenere condizioni di stabilità finanziaria: a differenza di quanto avvenuto in altri Paesi, gli interventi pubblici di sostegno sono stati assai limitati. Anche su questo fronte, se sarà richiesto, la Banca d'Italia è pronta a contribuire, in sede europea, per favorire la convergenza delle prassi di vigilanza, attraverso l'affermazione di un modello di supervisione robusto, che consenta di non rinunciare alle prassi e al modello finora seguiti e, eventualmente, di migliorarli. Un primo risultato, da questo punto di vista, è rappresentato dai lavori per assicurare la convergenza dei criteri per il calcolo dei risk-weighted asset, che avevano costituito, in passato, uno dei problemi di disomogeneità tra i vari Paesi.
Le banche si troveranno a operare, nei prossimi anni, in un contesto diverso e molto più articolato. Più capitale e di migliore qualità, minore grado di leva e struttura più equilibrata per scadenze di bilancio: sono questi i capisaldi del nuovo quadro regolamentare.
Gli intermediari italiani sono caratterizzati da un modello tradizionale di attività, che è un punto di forza per affrontare i cambiamenti nelle regole. Si presenta l'opportunità di migliorare ulteriormente la capacità di selezionare gli imprenditori e i progetti più meritevoli, di rafforzare il legame con i clienti ampliando l'offerta di prodotti e servizi e di rendere più efficienti i processi.
Progressi sono stati già realizzati, sia sul fronte della ricapitalizzazione sia sul contenimento dei costi. Recentemente, un grande intermediario italiano ha realizzato un aumento di capitale molto significativo. Il rafforzamento del capitale e una più accurata misurazione dei rischi sono tra le condizioni necessarie affinché il sistema bancario italiano continui a fornire a famiglie e imprese, specie in una fase congiunturale così difficile, il necessario supporto finanziario.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE COSIMO VENTUCCI

PRESIDENTE. Grazie, professor Mieli.
Lei ha affermato che nel mondo della finanza sono state poste in dubbio, negli ultimi quattro anni, certezze che sembravano incrollabili sino a poco tempo prima. Attraverso la nuova normativa di Basilea 3, l'Europa sta cercando di darsi, come lei auspica, regole che possano essere valide per tutti. Com'è possibile che noi italiani, e l'Europa stessa, ancora non possiamo confrontarci, da questo punto di vista, con gli altri Paesi? L'Unione europea ha poco più di 500 milioni di abitanti, la Cina ne ha un miliardo e duecento milioni, gli Stati Uniti poco più di trecento milioni. Inoltre, c'è da tenere conto anche di India e Pakistan. Ebbene, come può l'Europa pensare di organizzarsi se gli altri Paesi non rispettano certe regole?
La crisi, come lei ha rilevato, professore, ha dimostrato che le debolezze originatesi in una giurisdizione possono rapidamente estendersi alle altre. Possiamo fronteggiare con regole interne gli effetti che esse producono? La domanda non sarà, forse, politically correct dal punto di vista della vigilanza della Banca d'Italia; tuttavia, credo sia appropriato rivolgerla all'istituzione Banca d'Italia.
Nelle sue conclusioni, professore, lei sostiene che l'Italia non è stata direttamente coinvolta nella prima fase della crisi e che il nostro Paese è dotato di un robusto impianto di vigilanza. Afferma, inoltre, che una vigilanza «intrusiva» ha consentito di preservare la stabilità del sistema bancario italiano. Come altri colleghi della Commissione, ritengo che noi italiani siamo molto ligi nell'osservare le regole dell'Unione europea. Facendo riferimento a un comparto che conosco bene per motivi professionali, cioè quello fiscale,


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per quanto attiene al commercio con l'estero e ai rapporti con gli uffici doganali, penso di poter affermare che siamo i più scrupolosi nel rispettare quelle regole, fino al punto da imporre praeter legem, con circolari e altri provvedimenti di prassi, innumerevoli lacci e lacciuoli. Gli operatori del comparto cui mi sto riferendo conoscono bene questa realtà. Non vorrei, insomma, che creassimo ostacoli alla crescita del prodotto interno per fare i primi della classe.
È chiaro che, se non aumenta il PIL, non ci saranno nuovi posti di lavoro, né sarà possibile superare la crisi. Tuttavia, la crescita del prodotto interno lordo non sarà sufficiente ad assicurare uno sviluppo solido, se saranno compiute scelte in contrasto con le leggi economiche. Il problema non riguarda l'oggi, ma il domani, perché le nuove regole entreranno in funzione gradualmente. Alcuni studi economici prevedono che, fra vent'anni, il 40 per cento dei cinesi possiederà un'autovettura. Mi domando come ciò possa conciliarsi con la prospettiva della riduzione delle risorse petrolifere, che anche un Paese come il nostro sembra ignorare, giacché non si riesce a far decollare il nucleare.
Le chiedo scusa, professore, per avere ampliato il discorso; d'altra parte, se ci limitiamo a un'analisi per comparti, non riusciamo a cogliere la reale portata delle questioni.
Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

FRANCESCO BARBATO. Innanzitutto, ringrazio il direttore Mieli anche a nome del gruppo parlamentare Italia dei Valori.
Un'elefantiaca impalcatura costituita da autorità nazionali, europee e internazionali e una giungla intricatissima di norme non hanno impedito che la crisi finanziaria si ripercuotesse sull'economia reale e - ahimè - sui cittadini, i quali saranno i cosiddetti pagatori di ultima istanza.
Ricordo che l'attività delle banche d'affari ha fatto da detonatore dell'attuale crisi economica: dalla crisi finanziaria è scaturita quella economica, la quale interessa anche l'Italia.
La Banca d'Italia è sufficientemente organizzata per controllare il sistema delle banche italiane? Disponete di strumenti adeguati? Siete in grado, cioè, di controllare in modo capillare tutto il sistema bancario e finanziario italiano?
A naso percepisco, ad esempio, che alcune banche del salernitano compiono strane operazioni con imprenditori legati al calcio, agevolati da politici. Dobbiamo aspettare sempre che si muova la magistratura affinché emergano certi fatti? Chi svolge attività di vigilanza potrebbe operare in modo preventivo, evitando che si intervenga quando, come si suole dire, i buoi sono già scappati dalla stalla.
Vorrei che si abbandonasse, in questo Paese, l'abitudine di scaricare sempre sugli altri le responsabilità, dando vita a una sorta di ping-pong: ciascuno cominci ad assumersi le proprie, a partire dagli organi preposti alla vigilanza! Tra l'altro, pare che la Banca d'Italia sia tra gli enti che pagano le retribuzioni più alte ai propri dipendenti. Lo dico perché attribuiamo grande rilievo alla vigilanza: per noi, le authority sono molto importanti.
Le porrò, direttore, una domanda precisa, alla quale vorrei che desse una risposta non meramente formale e cortese, ma da direttore centrale dell'area vigilanza della Banca d'Italia.
Assistiamo spesso a quelli che potremmo definire flussi migratori, tanto è costante l'interscambio tra le autorità di vigilanza, la politica e i vari livelli istituzionali: può capitare, ad esempio, che generali dei carabinieri diventino amministratori di ASL e che uomini della Banca d'Italia vadano al Governo. Questo interscambio continuo fa bene o male alla terzietà, all'autonomia, all'indipendenza di un istituto di vigilanza? In questo Paese si incorre sempre di più in un nuovo vizio: l'abuso di relazioni. Abusando di status e posizione, si intrecciano relazioni, riuscendo a condizionare in maniera negativa


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settori anche importanti della pubblica amministrazione. Sarebbe giusto, invece, che un istituto come la Banca d'Italia evitasse mescolanze con la politica e con gli altri livelli istituzionali.
Il Governatore Visco ha dichiarato, alcuni giorni fa, che le banche non concedono credito. Ieri, intervenendo in audizione, i rappresentanti di Confindustria hanno lamentato che, per effetto delle nuove regole, le imprese non ricevono credito. Poiché ci accingiamo a predisporre un documento da sottoporre all'Unione europea, cosa ci suggerisce, direttore, per dare concretezza al nostro lavoro e, in particolare, per evitare che, la prossima volta, siano ancora i cittadini a pagare? Cosa deve fare il legislatore per fare in modo che abbia un senso la presenza della Banca d'Italia in questa megagalattica impalcatura finanziaria europea e internazionale? O, forse, non c'è più bisogno di una struttura come la Banca d'Italia? Vorrei, direttore, che ci fornisse alcune indicazioni, affinché la vigilanza sul sistema bancario e finanziario italiano funzioni meglio e la Banca d'Italia possa trovare gli strumenti e le modalità giuste per evitare che a pagare per tutti sia sempre l'incolpevole collettività.

ALBERTO FLUVI. Desidero, in primo luogo, ringraziare il professore Mieli per la sua illustrazione e anche per l'attività che svolge la Banca d'Italia. Se, nel nostro Paese, non si sono registrati fallimenti di istituti finanziari, in parte ciò è merito della vigilanza della nostra banca centrale.
Lei ha insistito molto, professore, sulla necessità di applicare l'accordo di Basilea 3 in modo - mi pare di poter tradurre così il suo pensiero - integrale. Questa ricorrente sottolineatura, che costituisce una sorta di filo rosso della relazione, nasconde evidentemente qualche preoccupazione. Lo si percepisce con riferimento alla definizione del capitale di qualità, alla leva finanziaria e ad altre questioni tecniche trattate nella relazione, le quali incidono direttamente sui cittadini e sulle imprese, in quanto si traducono in maggiore o minore accesso al credito, in maggiori o minori garanzie di tutela del risparmio. Vorrei un ulteriore approfondimento, perché mi è sembrata forte questa preoccupazione. Probabilmente, tra i Paesi membri dell'Unione europea, alcuni spingono per una maggiore flessibilità della normativa.
Prima di ascoltare la sua relazione, professore, avevo scritto alcuni appunti in merito a una contraddizione apparente, su cui lei ha già in parte risposto nel suo intervento. Da una parte, c'è una richiesta di incremento di capitale quasi immediata, anche se graduata nel tempo; dall'altra, si rinviano i provvedimenti relativi alla leva finanziaria al 2018. Si crea, quindi, una distanza fra i due pilastri del requisito di capitale e della leva finanziaria. Poiché, come si suole ripetere in questi casi, due più due fa quattro, anche lei ha tratto da ciò le mie stesse conclusioni, in particolare quando ha sostenuto, con riferimento alla leva finanziaria, che spostare troppo in là, o essere troppo flessibili, significa dimenticare che Lehman Brothers aveva un capitale più che sufficiente, e che il problema era, semmai, un altro.
Noi abbiamo svolto una serie di audizioni molto interessanti e, per la prima volta, almeno secondo la mia esperienza, su un argomento di grandissima rilevanza per il nostro Paese, e non solo, abbiamo constatato identità di vedute in tutti i soggetti che abbiamo ascoltato, fossero essi grandi banche, banche popolari o di credito cooperativo, imprenditori aderenti a Confindustria o rappresentanti delle imprese, anche piccole e piccolissime.
Più specificamente, le richieste di tali soggetti si sono concentrate su pochi punti. Uno riguarda proprio le piccole e medie imprese. Lei sicuramente conoscerà le proposte che sono sul tavolo a proposito dell'introduzione di un fattore correttivo per gli accantonamenti di capitale a fronte delle esposizioni nei confronti delle PMI. Come ha già fatto il Governatore Visco a Parma, la scorsa settimana, lei ha affermato che, per quanto riguarda le PMI, Basilea 3 è sostanzialmente uguale a Basilea 2. Perché, allora, il mondo dell'impresa


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esprime la preoccupazione che ho riferito, se l'assorbimento di capitale relativo alle predette esposizioni non cambia in Basilea 3 rispetto a Basilea 2?
Sempre con riferimento alle piccole e medie imprese, come lei sa, nel nostro Paese è fortemente sviluppato un sistema di consorzi di garanzia collettiva dei fidi. È in corso una trasformazione dei consorzi, e sarebbe auspicabile un'accelerazione nel passaggio dal registro generale a quello speciale. Ebbene, gli esperti che abbiamo ascoltato hanno sottolineato come l'assorbimento di capitale che la prestazione della garanzia determina per il confidi garante non sostituisca l'assorbimento di capitale della banca, ma si sommi ad esso: paradossalmente, in caso di finanziamento garantito da un confidi, il capitale da accantonare complessivamente supera quello che la banca sarebbe stata tenuta a mettere da parte se avesse erogato il finanziamento senza l'intervento del consorzio. Le chiederei, quindi, un chiarimento in proposito.
L'ultima considerazione è di carattere più generale e riguarda il rapporto tra banche centrali dei Paesi dell'Unione e Autorità bancaria europea (EBA). Il regolamento dovrebbe spingere nella direzione del livellamento del campo di gioco, senza lasciare libertà di interpretazione ai singoli Paesi. Prima di trattare questo argomento, vorrei, però, premettere qualcosa riguardo al rapporto tra Comitato di Basilea, Commissione europea, Parlamento europeo e Parlamenti nazionali.
Il presidente dell'ABI ci ha riferito che le nostre banche sono già in linea con quanto prevede Basilea 3 fino al 2016. Ciò significa che, a prescindere dalle proposte di regolamento e di direttiva presentate dalla Commissione europea, quando il processo democratico di recepimento si concluderà - forse nel 2013, o forse più avanti -, il mercato avrà già introiettato le regole di Basilea 3. C'è una sorta di distonia, di distanza fra le decisioni di un comitato tecnico, qual è quello di Basilea, e il recepimento negli ordinamenti nazionali da parte dei Parlamenti, che riguarda il principio democratico. Capisco che le reazioni dei mercati non vadano di pari passo con i tempi del processo democratico, ma su Paesi come il nostro hanno avuto un'influenza non di poco conto. Il cumulo tra le decisioni del Comitato di Basilea e l'esercizio dell'EBA ha creato non pochi problemi al nostro sistema bancario, cui è stato chiesto di raccogliere un capitale aggiuntivo di circa 15 miliardi nel giro di poco tempo. In un momento in cui l'economia del nostro Paese era già in grave difficoltà, ciò ha prodotto un effetto prociclico, mentre Basilea 3, almeno in teoria, dovrebbe avere un effetto anticiclico, chiedendo alle istituzioni finanziarie di costituire buffer aggiuntivi nei momenti positivi, per utilizzarli in quelli negativi. Mi sembra che, a Parma, il Governatore Visco abbia espresso, credo in linea con la Banca centrale europea, una valutazione chiara in merito. Anzi, sembra che la stessa EBA sia disponibile, alla luce della piena operatività del fondo «salva Stati», a riconsiderare i tempi di attuazione dell'esercizio e i criteri di contabilizzazione dei titoli di Stato.
Tornando ai rapporti tra Banca d'Italia ed EBA, quando abbiamo discusso della costruzione del sistema di authority a livello europeo, pervasi da uno spirito europeista, abbiamo insistito molto sulla necessità di una separazione tra politica e apparati tecnici, volta a garantire l'autonomia delle autorità di vigilanza e di regolazione. Tuttavia, l'EBA non è autonoma al 100 per cento, perché le decisioni finali sono degli organi politici, i quali, anziché prendere per intero il «pacchetto» dell'EBA, hanno adottato soltanto l'incremento del capitale. È forte la sensazione che le decisioni siano ispirate più alla politica che alla tecnica, per privilegiare alcuni sistemi rispetto ad altri. La proposta di regolamento spinge verso la creazione del single rulebook, eliminando la possibilità di attuare in modo flessibile le previsioni normative. Secondo lei, professore, sarebbe preferibile lasciare un margine di autonomia alle singole banche centrali?


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IGNAZIO MESSINA. Ringrazio il professor Mieli.
La mia sensazione è che si stia contribuendo a costruire un'Europa a due velocità, nella quale i Paesi ricchi fagociteranno quelli poveri (e non so, ahimè, in quale delle due categorie sia da collocare l'Italia in questo momento).
Avendo riguardo alle regole di Basilea 3 e a quanto è emerso dalle audizioni svolte dalla Commissione, alle quali hanno partecipato i principali attori del contesto economico nazionale - nella relazione si fa riferimento alla specifica questione relativa alle piccole e medie imprese, che rappresentano il fulcro della nostra economia -, è sostenibile che regole estremamente rigorose, come sono quelle di Basilea 3, siano applicate in maniera indistinta in tutti i Paesi? Se non si creano, a monte, i presupposti per un'applicazione della medesima normativa a economie differenziate, gli effetti di Basilea 3 risulteranno virtuosi per i Paesi che già partono da condizioni economiche di forza e devastanti per i Paesi che, invece, sono già in grande difficoltà.
La seconda domanda riguarda il ruolo delle banche italiane e la vigilanza. Si percepisce quotidianamente una contrazione fortissima del credito erogato dalle banche italiane. I dati sono abbastanza eloquenti, ma non so se anche la Banca d'Italia confermi l'entità del fenomeno. Sembra quasi che le regole di Basilea siano utilizzate come alibi dagli istituti finanziari. A mio modo di vedere, la migliore conferma di ciò è offerta dal fatto che, pur avendo ricevuto dalla BCE liquidità per oltre 110 miliardi di euro, le banche italiane hanno lasciato in deposito tali somme, praticamente in perdita, presso la Banca centrale europea. Insomma, alle banche italiane interessa poco fare credito, tanto che preferiscono perderci piuttosto che rimettere in moto l'economia.
Credo che le banche abbiano anche una funzione sociale e che la vigilanza, quindi, dovrebbe verificare i motivi delle disfunzioni che ne determinano l'intervento e proporre, eventualmente, misure mirate. Anche se il tema non attiene direttamente alla discussione, se la Banca centrale europea, anziché finanziare direttamente le banche, potesse finanziare gli Stati, il problema al quale accennavo sarebbe risolto. Al limite, uno Stato sarebbe in grado di porre condizioni alle banche, cosa che, invece, non sta avvenendo in questo momento: la moral suasion lascia il tempo che trova, com'è evidente a tutti.
La sua relazione, professore, indica come tema importante quello dell'analisi dell'efficacia del limite regolamentare attualmente previsto per la classificazione delle PMI nel portafoglio retail. Al riguardo, penso che occorra analizzare non soltanto le classificazioni, ma anche le condizioni poste dalle banche per l'erogazione del credito alle piccole e medie imprese.
Come posto in luce nella parte conclusiva della relazione, le banche avranno l'opportunità di migliorare la propria capacità di selezionare i prenditori e i progetti più meritevoli e di rafforzare i legami con i propri clienti, ampliando l'offerta di prodotti e servizi. Spero che questa selezione non sia tale da deprimere ulteriormente la nostra economia.
In questo momento, le banche hanno avviato iniziative straordinarie per aumentare la raccolta: telefonano anche a casa dei clienti per promuovere piccoli investimenti, offrendo condizioni eccellenti. Invece, un piccolo o medio imprenditore trova le porte chiuse o si vede rivolgere richieste di rientro. Credo che la vigilanza dovrebbe intervenire. È giusto mettere in sicurezza il sistema bancario, ma è altrettanto giusto mettere in sicurezza l'economia reale rispetto a quella virtuale.
Poiché sono anche componente della Commissione antimafia, colgo l'occasione per sottolineare come da una recente audizione del direttore dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, dottor Giuseppe Caruso, sia emerso che la maggior parte dei beni confiscati è gravata da ipoteca per debiti verso banche. Il tema è serio. Abbiamo scoperto che, mentre un imprenditore non mafioso non riesce a ottenere


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credito, le imprese mafiose sono indebitate con le banche (a mio parere, ad arte, perché così risulta più difficile venderne i beni o destinarli ad attività sociali). Credo che la vigilanza dovrebbe fare qualcosa in proposito.
Intanto, ho avanzato una proposta sulla quale il dottor Caruso si è dichiarato d'accordo (all'interno del gruppo Italia dei Valori stiamo lavorando per perfezionarla). Si tratterebbe, in sostanza, di introdurre il reato di incauto affidamento, volto a sanzionare gli istituti di credito che abbiano concesso il credito, e acceso le relative ipoteche, in mala fede. Se, nel nostro Paese, il sistema bancario preferisce finanziare aziende discutibili e aggravare le difficoltà di quelle oneste, le quali possono trovarsi in una situazione di temporanea carenza di liquidità, a causa, ad esempio, di mancati pagamenti da parte di amministrazioni pubbliche, credo che l'unica soluzione sia quella di condizionare l'attività delle banche, affinché non operino soltanto come meri salvadanai, ma possano, invece, contribuire a garantire lo sviluppo economico del Paese.

PRESIDENTE. Professor Mieli, ricollegandomi alle considerazioni svolte dal collega Messina in relazione agli affidamenti concessi a imprese coinvolte in indagini antimafia, penso che, se fossi dedito a riciclare denaro di provenienza illecita, anch'io mi farei ipotecare i beni, in modo da renderne più difficile la vendita in caso di confisca. Credo che il fenomeno segnalato dall'onorevole Messina sia anche l'effetto di normative troppo complesse, calate dall'alto, che non tengono conto di alcune specificità.
Personalmente, sono convinto che la richiesta di una maggiore capitalizzazione delle banche sia stata positiva, perché, se non altro, ha rimescolato la composizione dell'azionariato e degli organi di gestione. D'altro canto, se le banche italiane avessero attinto a piene mani ai cosiddetti «Tremonti bond», qualche anno fa, a quest'ora sarebbero in altre condizioni. Evidentemente, hanno ritenuto questi ultimi strumenti costosi e, sotto certi profili, pericolosi per gli assetti consolidati.
Il caso del Monte dei Paschi di Siena ha indotto a rivedere quella logica.

ALBERTO FLUVI. Il Monte dei Paschi li ha presi i «Tremonti bond».

PRESIDENTE. Sì, ma pochi rispetto alle necessità.
Le chiedo, professore, se non sia meglio lasciare una più ampia discrezionalità alle istituzioni nazionali. L'idea che le esposizioni verso le PMI siano assoggettate a una ponderazione ridotta, entro il limite di un milione di euro, potrebbe essere accettabile per alcuni Paesi. Tuttavia, le nostre piccole imprese sono, in realtà, microimprese. Ragionare in termini così complessi sulle ponderazioni di rischio da associare agli attivi, come fa Basilea 3, significa non capire quale sia l'assetto imprenditoriale del Paese. Al di là del correttivo relativo alle PMI, non sarebbe opportuno fissare criteri più elastici, che tengano conto della diversità del tessuto imprenditoriale del Paese?
Prospettare l'esistenza di rischi sistemici, da attenuare mediante l'applicazione di rigorosi requisiti prudenziali, come previsti da Basilea 3, ha senso in relazione a imprese effettivamente in grado di creare problemi a una banca, attraverso la concentrazione del credito. Quando, invece, si ha riguardo a centinaia di migliaia di piccoli imprenditori, si dovrebbe tenere conto del fatto che il rischio diminuisce in modo sostanziale. Mi interessa conoscere la posizione della Banca d'Italia a questo proposito, perché temo che le banche utilizzeranno le nuove regole, in generale molto rigide, come alibi per non fare il proprio mestiere, cioè concedere crediti (naturalmente, con la capacità di discernere tra un buon cliente e uno che, invece, non è in grado di rimborsare quanto ricevuto).
Insomma, sarebbe bene spingere le banche a svolgere bene la propria funzione, invece di permettere loro di nascondersi dietro criteri troppo stringenti. Basilea 3


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impone talune rigidità, e questo ha portato, soprattutto nell'ultimo periodo, a un credit crunch, dovuto anche al fatto che, per aumentare il proprio capitale, le banche hanno dovuto chiedere un immediato rientro ai soggetti esposti. Se è ragionevole chiedere a un'impresa di rientrare dalla propria esposizione in un periodo medio-lungo, pretendere che lo faccia a breve crea inevitabilmente problemi.
Vorrei una sua opinione più precisa su questo aspetto, professore, in considerazione del fatto che, in un passaggio della relazione, ha affermato che la richiesta formulata nel proprio parere dalla Banca centrale europea, di consentire anche agli Stati membri la possibilità di adottare requisiti più stringenti, è condivisa dalla Banca d'Italia. A mio avviso, non si tratta di creare requisiti più stringenti, ma di adattare i requisiti alla situazione di un Paese. Trovo risibile, ad esempio, che i mutui edilizi siano considerati in un certo modo in alcuni Paesi e da noi in un altro: così viene a mancare il level playing field.
Credo che sarebbe più utile, per il nostro Paese, se ci si limitasse a stabilire poche regole chiare, ad esempio concernenti il leverage ratio o i requisiti di capitale, lasciando alle istituzioni nazionali una più ampia possibilità di definire requisiti secondari.
Lei ammetterà, professore, che le scelte compiute dall'EBA hanno creato non pochi problemi, soprattutto per quanto riguarda la valutazione a prezzi di mercato (cosiddetto mark-to-market) dell'esposizione delle banche verso titoli del debito pubblico.
I criteri per la definizione del capitale sono stati stabiliti o sono ancora in corso negoziati? Considerando alcuni asset del Monte Paschi di Siena, istituto che abbiamo già menzionato, sono stati definiti alcuni limiti, a livello europeo, oppure la Banca d'Italia avrà libertà di determinazione per quanto riguarda gli asset computabili?
Do la parola al professor Mieli per la replica.

STEFANO MIELI, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia. Devo rispondere a una mole di domande interessanti, ma piuttosto impegnative. Se necessario, mi farò aiutare dai miei colleghi.
Molti quesiti sono simili, poiché alcuni temi sono ricorrenti.
Una prima risposta la devo all'onorevole Ventucci, il quale ha fatto riferimento a una mia notazione, secondo la quale sarebbero venute meno alcune certezze, in precedenza ritenute incrollabili. Mi riferivo all'approccio ai problemi economici prevalente nel mondo, a un assetto quasi legato a fattori ideologici: poiché si supponeva che il mercato fosse in grado di risolvere tutti i problemi, vi era la tendenza a lasciar fare al mercato e, conseguentemente, a non prevedere lacci e lacciuoli.
Si tratta di un fenomeno ciclico: in alcuni periodi, si ritiene non opportuna la previsione di misure troppo stringenti, e si tende a rilasciare le briglie; poi, succede qualcosa, e si torna a una fase improntata a maggiore severità.
Prima della crisi, per quanto riguarda, in particolare, la liquidità, predominava l'opinione che non servissero regole volte a imbrigliare gli intermediari. I mercati internazionali sembravano tanto profondi e vasti da rendere impossibile un problema di liquidità. Quando è intervenuta la crisi, la liquidità nel sistema è scomparsa da un giorno all'altro, e le banche hanno cominciato a incontrare difficoltà.
Un'altra affermazione che ha attirato l'attenzione dell'onorevole Ventucci è quella secondo la quale una vigilanza di tipo intrusivo, caratteristica di questo Paese, ha contribuito a mantenere la stabilità del sistema finanziario. Ad avviso dell'onorevole Ventucci, tale peculiare atteggiamento potrebbe causare effetti negativi: il fatto che siamo sempre i primi della classe, i più precisi, mentre altri sono più disinvolti, potrebbe danneggiare le banche e l'economia italiana.
A me pare che la crisi abbia mostrato un'evidenza: nei Paesi in cui la sorveglianza sulle banche era esercitata in


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modo molto light, in base alla suddetta concezione dei mercati, i risultati non sono stati buoni. La crisi ha colpito duramente alcuni Paesi. Forse lo ricordiamo poco, ma alcuni Paesi europei, nobili e quotati, hanno un sistema bancario praticamente nazionalizzato. Ciò non è avvenuto da noi, dove, pur pagando probabilmente un prezzo, a causa della nostra tendenza a fare i primi della classe, abbiamo evitato quello che è avvenuto altrove.
Il problema di fondo è che viviamo in un mondo globale. Per fare un paragone, un Paese che ha ritenuto di non adottare una politica energetica basata sul nucleare non è al riparo da un eventuale disastro che interessasse le centrali nucleari di un altro Paese prossime al confine.

ALBERTO FLUVI. Non c'è un firewall.

STEFANO MIELI, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia. Esatto. Un problema analogo si pone anche nel mondo finanziario. Nonostante una serie di circostanze strutturali e culturali, quali il grado di arretratezza del sistema bancario italiano, come dicono alcuni, o la particolare cattiveria delle autorità di vigilanza, che guardano con il sopracciglio alzato le operazioni apparentemente più innovative, ma anche più strane (tipico è stato il caso dei prodotti finanziari complessi, che hanno creato una serie di problemi), non possiamo evitare del tutto gli effetti dei disastri che si producono altrove. Se si è lontani dall'epicentro di un terremoto, si è al riparo dai suoi effetti diretti, ma poi può arrivare uno tsunami. In Italia abbiamo avuto proprio questo problema. Non c'è stato un impatto immediato, perché le banche hanno retto bene, ma siamo stati colpiti dalla recessione, determinata dal fatto che le banche sono entrate in crisi.
È vero, onorevole Barbato, che la crisi è nata nel mondo bancario: non in questo Paese, però, bensì in un altro abbastanza lontano. La crisi di quelle banche ha determinato una diminuzione del livello di attività produttiva, ancora più drammatica in Paesi come il nostro. Da questo effetto non possiamo difenderci più di tanto.
L'impalcatura della vigilanza europea è stata definita «elefantiaca». Essa è anche molto costosa, oltre che difficile da gestire: ventisette Paesi intorno a un tavolo hanno difficoltà a trovare punti di convergenza.
Secondo l'onorevole Barbato, tale impalcatura non ha impedito la crisi. Sicuramente, l'impalcatura precedente non l'ha evitata. Tuttavia, Basilea 2 era nata in quello stesso contesto, anche culturale, in cui l'idea di un mercato non in grado di risolvere i problemi era accettata a fatica. Si erano, quindi, verificati due fatti: da un lato, era stata frenata la regolamentazione di determinati aspetti, come la liquidità, perché non si voleva disturbare i «manovratori»; dall'altro, l'attuazione nei diversi Paesi era molto elastica.
Tale elasticità celava, a nostro avviso, l'atteggiamento opportunistico di alcuni Paesi, i quali, più che tenere conto delle tipicità nazionali, hanno creato i presupposti per arbitraggi regolamentari, smontando la severità delle norme e riducendole a qualcosa di piuttosto innocuo.
Venendo a quanto osservato dall'onorevole Fluvi a proposito del filo rosso che attraversa la relazione, l'esperienza degli ultimi anni è stata frustrante. Si è capito che molti Paesi utilizzavano la predetta elasticità per finalità non del tutto commendevoli, ma per rendere più facile la vita ai loro intermediari. Ne è derivata una grave crisi, che si è ripercossa anche sui Paesi più virtuosi.
In questo campo è difficile raggiungere un equilibrio. Noi riteniamo che, se tutti convenissero sull'applicazione di regole serie e rigorose, e non tentassero, invece, di aggirarle con norme localistiche poco ortodosse, staremmo tutti meglio. Se ciò non dovesse avvenire, potremmo ritornare nella situazione degli ultimi anni di crisi. È per questo che insistiamo molto su questo aspetto.
Le specificità nazionali sono importanti; tuttavia, per rispondere al presidente Conte, riteniamo che esse debbano essere discusse a livello europeo, proprio per


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evitare forme di opportunismo potenzialmente deleterie, capaci di vanificare tutto. Rischiamo, altrimenti, di creare una macchina gigantesca e molto complessa, che chiunque potrebbe rendere poco funzionante semplicemente allentando qualche bullone, con il duplice effetto di dover gestire una macchina complessa e costosa e, ciò nonostante, comunque incapace di garantire i risultati perseguiti.
L'onorevole Barbato si è soffermato sui controlli della Banca d'Italia. Probabilmente, il tema travalica l'oggetto specifico dell'audizione; tuttavia, gli rispondo volentieri.
Egli ha fatto riferimento a banche che porrebbero in essere operazioni «strane», lamentando che le autorità di controllo sono solite attivarsi, in simili casi, soltanto dopo l'intervento della magistratura.
Mi permetto di osservare, innanzitutto, che la Banca d'Italia non svolge funzioni analoghe a quelle della magistratura o della polizia giudiziaria, ma ha competenze diverse: in primis, essa deve salvaguardare la stabilità del sistema finanziario, obiettivo non di poco conto (se si determinano cadute del PIL a causa di situazioni come quella che abbiamo vissuto, vale la pena, forse, di dedicare la dovuta attenzione anche a questo aspetto).
Ciò nondimeno, quando la Banca d'Italia, nello svolgimento della propria attività istituzionale, rileva fenomeni che ritiene di competenza di altre autorità, invia una segnalazione a queste ultime; in particolare, in presenza di fatti delicati e gravi, nei quali è possibile ravvisare il fumus di un reato, informa l'autorità giudiziaria. Naturalmente, la nostra analisi si limita ai fatti nella loro oggettività e non si estende a profili la cui considerazione spetta, per competenza e professionalità, ad altri organi.
Anche nello svolgimento delle nostre attribuzioni prestiamo attenzione alle operazioni «strane», che possono non essere ortodosse anche dal punto di vista della sana e prudente gestione. Non è vero, quindi, che non ce ne occupiamo, ovviamente per quanto riguarda i profili di nostra competenza. Ritengo che ci siamo sempre assunti la responsabilità delle azioni svolte.
Quanto ai cosiddetti «flussi migratori» tra la Banca d'Italia e altri organi istituzionali, non vedo grandi problemi. Peraltro, abbiamo norme che disciplinano i conflitti d'interessi ai vari livelli: vigono, infatti, un Codice etico per il personale e uno per i membri del direttorio.
Per quanto riguarda i confidi, cui ha fatto cenno l'onorevole Fluvi, abbiamo un particolare interesse per tale settore. Abbiamo sempre cercato di appoggiare i consorzi di garanzia collettiva dei fidi, molto utili per il sostegno delle piccole e medie imprese, ma riteniamo che anch'essi debbano operare in modo sano e prudente.
Siamo favorevoli all'utilizzo di questi strumenti, come al sostegno dell'economia, in particolare delle piccole e medie imprese, da parte degli istituti di credito, ma ribadiamo che l'equilibrio finanziario degli intermediari va salvaguardato, perché, altrimenti, ci troveremmo a fronteggiare un danno rilevante.
Faccio notare che, mentre il sistema bancario italiano ha retto bene, nel complesso, si è registrato qualche fenomeno patologico a livello di micro-banche, che finanziavano le componenti di più modeste dimensioni dell'economia. Finanziare la piccola e media impresa non esenta, quindi, dal rischio di crisi bancarie: per questo chiediamo molta attenzione.

PRESIDENTE. Desidera aggiungere qualcosa in merito a quest'ultimo argomento, dottor Pilati?

ANDREA PILATI, Direttore superiore del Servizio normativa e politiche di vigilanza della Banca d'Italia. Mi sembra che l'onorevole Fluvi intendesse capire meglio come funziona il meccanismo di calcolo del requisito patrimoniale nel caso di esposizioni assistite dai consorzi di garanzia collettiva dei fidi. Più specificamente, egli evidenziava possibili effetti non desiderabili derivanti dalla somma degli assorbimenti del garante e della banca.


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I confidi che superano certe dimensioni sono considerati intermediari ex articolo 107 del TUB, soggetti alla cosiddetta vigilanza equivalente. Per il fatto di essere soggetti a tale forma di vigilanza, di essere considerati soggetti «stabili», è prevista una ponderazione delle garanzie da essi fornite equivalente a quella delle banche. Un credito verso una piccola o media impresa assistito dalla garanzia di un confidi rientrante nell'ambito della vigilanza equivalente è sottoposto a una ponderazione preferenziale. Questo schema è pienamente operativo, e sicuramente sarà esportato anche nel nuovo contesto derivante dall'applicazione della quarta direttiva sui requisiti patrimoniali (CRD IV).
Da questo punto di vista, non abbiamo rilevato particolari problemi.

PRESIDENTE. Quindi, le due ponderazioni non si sommano?

ANDREA PILATI, Direttore superiore del Servizio normativa e politiche di vigilanza della Banca d'Italia. Le pertinenti regole di Basilea e della CRD IV prevedono che le esposizioni verso le piccole e medie imprese possano beneficiare della cosiddetta credit risk mitigation nel caso di garanzie prestate da soggetti che presentino caratteristiche di elevata qualità e solidità, accanto a requisiti di carattere specifico e generale, che le banche devono soddisfare. I confidi rientranti nell'ambito della vigilanza equivalente, iscritti nell'elenco ex articolo 107 del TUB, sono assimilati alle banche per quanto riguarda il coefficiente di ponderazione. Di conseguenza, un credito a una piccola o media impresa può beneficiare del predetto vantaggio.
Ciò vale se il credito verso l'impresa non è soggetto a un trattamento di favore. Nel caso, ad esempio, dell'esposizione verso un'impresa che rientra nella categoria retail, che ha una ponderazione del 75, anziché del 100 per cento, il beneficio è implicito.

PRESIDENTE. Se posso permettermi, mi pare che la materia degli intermediari finanziari - mi riferisco agli intermediari ex articoli 106 e 107 - attenda ancora qualche chiarimento da parte della Banca d'Italia. In particolare, mi sembra che non siano state ancora definite alcune modalità attuative della nuova disciplina, nonostante il termine per provvedere sia ampiamente scaduto.

ANDREA PILATI, Direttore superiore del Servizio normativa e politiche di vigilanza della Banca d'Italia. Abbiamo fatto quanto ci competeva. Come sa, signor presidente, gli atti regolamentari della Banca d'Italia presuppongono un'attività di legislazione primaria, e talvolta, come nel caso di specie, si inseriscono nel procedimento di formazione di atti di normazione secondaria, segnatamente di un regolamento del Ministero dell'economia e delle finanze.
Per quanto riguarda la legislazione primaria, è in fase di completamento l'iter del decreto legislativo recante ulteriori modifiche e integrazioni al decreto legislativo n. 141 del 2010.
Per quanto attiene alla normativa secondaria, all'emanazione dei regolamenti di attuazione della disciplina recata dal predetto decreto legislativo, e dai susseguenti decreti modificativi e integrativi, provvederà il Ministro dell'economia e delle finanze, dopo che gli operatori avranno espresso il proprio punto di vista nell'ambito della procedura di consultazione.
Per parte nostra, abbiamo già predisposto lo schema delle disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari, in attuazione delle disposizioni contenute nel Titolo V del Testo Unico Bancario, come modificato dal menzionato decreto legislativo. La consultazione pubblica terminerà a marzo, ma dovremo comunque attendere che si perfezioni l'iter di approvazione dei provvedimenti citati in precedenza. A quel punto, un processo normativo piuttosto complesso e difficile dovrebbe vedere la propria conclusione. Come la Commissione sa bene, si è trattato di un intervento a 360 gradi, che ha riguardato gli intermediari ex articolo 106,


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gli agenti in attività finanziaria, i mediatori creditizi e via discorrendo. Il «pacchetto» era piuttosto corposo.

PRESIDENTE. Solleciteremo l'emanazione dei regolamenti ministeriali.

STEFANO MIELI, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia. Signor presidente, lei ha espresso qualche preoccupazione a proposito della richiesta di modificare la proposta di regolamento, contenuta nel parere della BCE, al fine di consentire anche agli Stati membri, oltre che alla Commissione, di adottare a livello nazionale requisiti più stringenti in caso di rischi sistemici.
In proposito, vorrei soltanto evidenziare che si fa riferimento a casi molto particolari. Si vuol dare la possibilità a un singolo Paese di prendere le opportune decisioni qualora si determinasse, in casi eccezionali, una situazione particolarmente delicata. Secondo la posizione della BCE, e anche della Banca d'Italia, tali decisioni dovrebbero essere prese previo accordo, per evitare i soliti fenomeni di arbitraggio regolamentare o, al contrario, spinte eccessive, che obblighino altri Paesi a prendere le misure di cui stiamo parlando. In altre parole, affinché si arrivi all'adozione di tali misure, dovrebbe essere dimostrata una situazione di grave instabilità di un Paese.

PRESIDENTE. Cosa può dirci, professore, in merito alla qualità degli asset del Monte dei Paschi?

STEFANO MIELI, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia. Mi consenta, signor presidente, di non parlare del singolo caso. Possiamo parlare, se lo desidera, della qualità degli asset del piano dell'EBA, argomento sul quale passerei la parola al mio collega.

PRESIDENTE. Prego, dottor Pilati.

ANDREA PILATI, Direttore superiore del Servizio normativa e politiche di vigilanza della Banca d'Italia. Gli shortfall sono stati calcolati dall'EBA tenendo conto sia della temporaneità del buffer, sia del fatto che l'esercizio non muta il trattamento prudenziale e contabile delle poste prese in considerazione. Lo shortfall è, quindi, quello determinato dall'EBA e reso pubblico per tutte le banche europee che hanno partecipato all'esercizio. Stiamo esaminando i piani di copertura dello shortfall: entro il mese di marzo dovremmo elaborare le nostre valutazioni e discuterne i risultati nell'ambito dell'EBA.
Non esiste un problema di determinazione della ponderazione degli asset a livello nazionale. Quei 15 miliardi di euro complessivi calcolati dall'EBA sono un dato ormai acquisito, fermo restando che, come accennato dagli esponenti del direttorio, stiamo cercando, insieme al Governo, di sponsorizzare un impact assessment per il mese di marzo, in maniera tale da analizzare le possibili conseguenze dell'esercizio in termini di deleveraging e di finanziamento del credito all'economia.

STEFANO MIELI, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia. Forse non ho risposto in modo esaustivo all'onorevole Messina.
Credo che la problematica più importante da lui indicata fosse quella della contrazione dei finanziamenti all'economia, richiamata anche dal Governatore Visco in un suo recente intervento; in quel caso, però, si faceva riferimento ai dati rilevati a dicembre dell'anno scorso. Di sicuro c'è stato un forte calo del finanziamento all'economia. Tuttavia, una valutazione al riguardo va effettuata alla luce delle operazioni di immissione di liquidità decise dalla BCE, che rispetto a quei dati non avevano ancora prodotto alcun effetto.
Le disposizioni relative al rifinanziamento da parte della BCE, e il collegato sistema di erogazione di garanzie pubbliche all'emissione di obbligazioni bancarie, sono volti a limitare il fenomeno del crollo del credito all'economia, fornendo alle


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banche i mezzi venuti meno a causa dell'inaridimento delle fonti internazionali. Da Paesi come gli Stati Uniti non arrivava più un euro di finanziamento non soltanto alle banche italiane, ma a quelle europee in generale. Senza un flusso straordinario di finanziamento le banche erano limitate anche nell'erogazione del credito. Bisognerà vedere se con questa misura eccezionale decisa dalla BCE il credito all'economia riprenderà il suo corso normale.
Si sente spesso affermare che una parte dei predetti finanziamenti affluirebbe nuovamente alla BCE. Tale assunto va preso con molta attenzione. Infatti, come sanno i banchieri centrali, se si immette liquidità nel sistema, questa, alla fine della giornata, ritorna presso la BCE. Quello che, invece, bisogna considerare è il percorso, cioè se la predetta liquidità sia passata per le imprese e per le famiglie, oppure no. Il solo dato contabile dice molto poco.
È vero che la richiesta di depositi è molto forte, e che i tassi sono schizzati in alto, ma ciò indica che le banche non avevano più raccolta, soprattutto sul fronte internazionale, e si vedevano costrette a chiedere alle imprese e ai privati di fornire i mezzi finanziari. Le banche hanno smesso di erogare finanziamenti alle imprese e alle famiglie non perché non avessero voglia di farlo, ma perché erano in difficoltà sul fronte della liquidità. La misura decisa dalla BCE, a mio avviso molto valida, almeno per un certo periodo, ha rimediato alla evidenziata criticità.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti, anche per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato), e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,15.

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