Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione VI
3.
Mercoledì 19 gennaio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MERCATI DEGLI STRUMENTI FINANZIARI Audizione di esperti del settore:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 5 8 10 11 13 15 16
Barbato Francesco (IdV) ... 8
Ceccuzzi Franco (PD) ... 9 14
Fogliardi Giampaolo (PD) ... 8 15 16
Giannotta Luigi, Direttore generale di Integrae SIM ... 5 11 13
Tognoli Antonio, Vicepresidente di Integrae SIM ... 3 14 16

ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti di Integrae SIM ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani: Misto-Noi Sud-PID; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 19 gennaio 2011


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 15,25.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di esperti del settore.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari, l'audizione di esperti del settore.
Do la parola al dottor Antonio Tognoli, vicepresidente esecutivo di Integrae SIM, per la relazione.

ANTONIO TOGNOLI, Vicepresidente esecutivo di Integrae SIM. Innanzitutto, rivolgo alla Commissione un saluto e un ringraziamento per averci dato la possibilità di illustrare le nostre posizioni in merito all'oggetto dell'indagine conoscitiva.
Partirò da Basilea 3, di cui si sentirà parlare spesso nel corso dei prossimi due o tre anni. I nuovi standard globali elaborati dal Comitato di Basilea entreranno in vigore gradualmente, a partire dal 2013, e saranno pienamente operativi nel 2019. Le banche, dunque, avranno il tempo per adeguarsi alla riforma, che imporrà loro una disciplina più stringente, rispetto a quella attuale, in materia di adeguamento del patrimonio netto agli effettivi rischi dell'attività.
Elemento centrale di Basilea 3 è la revisione della definizione di capitale, in funzione degli effettivi rischi degli investimenti.
Ovviamente, un conto è concedere credito alle imprese, altra cosa è concedere mutui alle famiglie: poiché i rischi sono completamente diversi, occorrerà accantonare patrimonio in funzione del grado di rischiosità degli impieghi.
È stata definita, a livello comunitario, una lista di quattordici criteri - non sono pochi -, che dovranno essere rispettati tutti, e congiuntamente, affinché uno strumento possa essere incluso nel common equity, vale a dire nel patrimonio di migliore qualità. Ricordo che gli Stati Uniti, il Paese nel quale, sostanzialmente, si è originata la crisi finanziaria che stiamo vivendo, non hanno mai aderito a Basilea 2. L'auspicio è che aderiscano a Basilea 3.
È stato calcolato che le nuove regole prudenziali imporranno alle banche italiane ulteriori accantonamenti dell'ordine di 60 miliardi di euro, mentre è valutabile in circa 450 miliardi di euro l'impatto che la loro applicazione avrà su tutte le banche europee. Insomma, le banche italiane dovranno far fronte, sia pure entro il 2019, a un impegno cospicuo.
Ci preme sottolineare che il senso complessivo della riforma non va nella direzione auspicata dal mondo delle piccole e medie imprese, le quali già invocavano una sospensione o, comunque, una revisione delle regole di Basilea 2, in modo da rendere più agevole l'erogazione del credito da parte delle banche.


Pag. 4


Con Basilea 3, la situazione diventa ancora più sfavorevole per le piccole e medie imprese: è possibile prevedere che già dal 2011, e dal 2013 in maniera più accentuata, le banche italiane concederanno sempre meno credito al mondo delle imprese in generale (60 miliardi, lo ripeto, non sono poca cosa), ma in particolare a quelle piccole e medie, comportando l'erogazione di credito a queste ultime maggiori rischi e, di conseguenza, maggiori accantonamenti di capitale in relazione ai nuovi parametri.
Ciò significa che nei confronti delle piccole e medie imprese sarà attuata una restrizione del credito, il cosiddetto credit crunch. In altre parole, le banche, essendo costrette ad accantonare una quantità maggiore di capitale, verranno progressivamente meno a una delle loro funzioni primarie, ossia quella di agire da cinghia di trasmissione degli effetti della politica monetaria, nel senso che la politica monetaria, a causa della ritrosia delle banche, avrà minori possibilità di stimolare l'economia.
Dall'altra parte, non è facile, per le piccole e medie imprese, accedere ad altre possibili fonti di finanziamento, vale a dire al mercato dei capitali, per diverse ragioni.
In primo luogo, non esiste un mercato dei capitali efficiente, nel quale le piccole e medie imprese abbiano la possibilità di scambiare un certo quantitativo di titoli a un determinato prezzo.
In secondo luogo, sono ancora pochi gli attori indipendenti, quindi non bancari, che valutano le società, verificando se le stesse possiedano le caratteristiche per accedere al mercato dei capitali e per raccogliere denaro presso il pubblico dei risparmiatori.
Inoltre, non esistono neppure gestori dedicati di portafogli di piccole e medie imprese.
Tuttavia, è sicuramente possibile creare un sistema agevolato di scambi o, in altre parole, un mercato di riferimento per le piccole e medie imprese, che consenta alle stesse di reperire risorse non bancarie.
Perché arriviamo alla conclusione di non fare riferimento alle banche? In sostanza, le banche controllano il mercato regolamentato (sono proprietarie di una parte del capitale di Borsa Italiana Spa), i mercati non regolamentati (AIM Italia e MAC), il risparmio gestito. Inoltre, decidono se concedere o meno credito alle imprese.
È sotto gli occhi di tutti che questo sistema «bancocentrico» non ha funzionato e non funziona.
D'altro canto, però, è sotto gli occhi di tutti che il nostro Paese, tra le prime potenze economiche mondiali, non ha un mercato finanziario efficiente e adeguato alla propria dimensione, in grado di svolgere la funzione di raccogliere capitale di rischio per la crescita economico-industriale dell'intero Paese.
Il numero di società quotate domestiche è di circa trecento. Negli ultimi quindici anni, è rimasto sostanzialmente invariato, al netto delle OPA, delle uscite e dei nuovi ingressi. In Germania, le società quotate sono settecento, e in Francia mille: una quantità decisamente diversa.
Quali sono le imprese che trainano l'economia industriale nel nostro Paese? Di grandi ne abbiamo poche, al di là di ENI, ENEL, forse FIAT, fornitori di servizi. Le imprese industriali che trainano l'economia del nostro Paese sono proprio quelle medio-piccole, il cui valore aggiunto spinge il PIL del nostro Paese.
Se, dunque, il mercato finanziario ha la funzione primaria di raccogliere il capitale di rischio per le imprese del Paese, e queste sono in larghissima parte medio-piccole, è curioso che, nel mercato finanziario italiano, le piccole e medie imprese non siano rappresentate, ovvero siano rappresentate in scarsa misura. È ancora più curioso che tali imprese siano poco considerate anche dagli investitori finali.
Cito un dato per chiarire meglio la situazione: in Italia, le piccole e medie imprese rappresentano il 99,9 per cento del totale delle imprese non finanziarie, ma industriali, e impiegano l'80 per cento della forza lavoro totale; ciò nonostante, meno dello 0,5 per cento di esse ha fatto ricorso al risparmio pubblico.


Pag. 5


Ci rendiamo immediatamente conto, quindi, degli effetti che il sostegno alle piccole e medie imprese potrebbe produrre in termini di PIL, di occupazione e, ovviamente, di gettito fiscale.
Ancora una volta, però, il sistema di scambi «bancocentrico» - aggiungo «italo-inglese» perché, in realtà, Borsa Italiana Spa è controllata dal London Stock Exchange - mostra tutta la sua debolezza (o forza, a seconda del punto di vista).
Che fare, dunque, per creare un mercato non controllato dalle banche, nel quale le banche agiscano soltanto come uno degli attori più importanti sulla scena (perché così è)?
Occorre creare una disciplina normativa proporzionata alla dimensione delle piccole e medie imprese, che comporti minori costi ed oneri.
Oggi, le piccole e medie imprese sono soggette alla stessa disciplina delle large cap e hanno esattamente gli stessi costi, sebbene non siano portatrici di un rischio di mercato proprio o di un rischio sistemico particolare.
Di fatto, le piccole e medie imprese che potrebbero fruire di un regime agevolato rappresenterebbero circa il 7 per cento degli scambi e della capitalizzazione di mercato. Dunque, mentre, da un lato, si può escludere che la creazione del predetto regime agevolato comporti forti rischi, dall'altro, bisogna considerare il grande sostegno che un simile intervento apporterebbe alla nostra economia in termini di PIL, di occupazione e di gettito fiscale.
In altre parole, mutuando anche dagli studi e dall'esperienza di altri Paesi europei, come la Francia, che in tale campo è piuttosto avanti - esiste un rapporto di Fabrice Demarigny, da cui si può sicuramente attingere -, si tratta di definire una disciplina che, diventando un punto di riferimento fondamentale per le piccole e medie imprese, ne eviti la fuga dal mercato dei capitali italiano (sappiamo, infatti, che tante imprese medio-piccole esprimono la volontà di quotarsi all'AIM di Londra, a New York o in Francia).
Creare un regime agevolato non significa in alcun modo scalfire la protezione che la legge e i regolamenti in vigore garantiscono agli investitori, i quali, ovviamente, devono essere tutelati.
Siamo convinti che la definizione, all'interno della disciplina generale vigente (direttiva relativa ai market abuse e direttiva MIFID, appunto), di regole nuove e più snelle, condivise e rispettate da tutti gli attori del mercato, sia in grado di assicurare il corretto ed efficiente funzionamento di un sistema governato di scambi, ovvero di un mercato.
Abbiamo elaborato alcune proposte in materia. Se lo consente, signor presidente, il dottor Giannotta potrebbe illustrarle.

PRESIDENTE. Prego, dottor Giannotta.

LUIGI GIANNOTTA, Direttore generale di Integrae SIM. Partendo dall'esperienza, da quelli che riteniamo essere stati gli errori del passato, di cui vogliamo fare tesoro, abbiamo provato a capire quali iniziative di riforma dei mercati per le piccole e medie aziende potrebbero far crescere, finalmente, quel numero di trecento società quotate - riferito dal dottor Tognoli - che ormai ci portiamo dietro da oltre quindici anni.
Si era cominciato a intravedere qualcosa con la creazione del Mercato alternativo del capitale (MAC), pensato appositamente per le piccole e medie aziende. Tuttavia, in più di due anni di attività, il MAC non ha funzionato come ci si aspettava. Si trattava di un mercato controllato dalle banche, che risentiva, quindi, di tutte le anomalie che, nel sistema bancario, caratterizzano la gestione della finanza nei confronti delle piccole e medie aziende. Il MAC non ha funzionato anche perché, a volte, le stesse banche non disponevano delle professionalità adeguate per farlo funzionare. Ora che il Mercato alternativo del capitale è stato assorbito da Borsa Italiana Spa, stiamo alla finestra, nel senso che aspettiamo di capire se potrà davvero funzionare.
In ogni caso, indipendentemente dalle vicende degli ultimi anni, per essere efficiente,


Pag. 6

un mercato per le piccole e medie imprese dovrebbe essere di tipo non regolamentato, ad accesso autorizzato da un ente super partes - l'attuale autorità di vigilanza, ovvero un ente creato ad hoc -, il quale verifichi, insieme all'intermediario (un soggetto specializzato, oppure un particolare ufficio specializzato all'interno di una grossa banca), il possesso dei requisiti per la quotazione.
La figura dell'intermediario è assimilabile agli attuali sponsor o nominated advisor (Nomad), consulenti qualificati in operazioni di finanza straordinaria che assistono le società ai fini dell'ammissione alla quotazione e durante il periodo di permanenza sul mercato.
Il mercato potrebbe annoverare tra i propri soci anche istituti di credito di minori dimensioni, magari quelli di riferimento, sul territorio, delle piccole e medie aziende.
Tra i promotori dovrebbero figurare - questo è un aspetto innovativo della nostra proposta - istituzioni pubbliche. Potrebbe trattarsi di Cassa depositi e prestiti Spa, del sistema delle camere di commercio, ovvero di un fondo appositamente costituito, sulla falsariga del Fondo italiano di investimento per le PMI.
Essendo un fondo di private equity, quest'ultimo investe in società che non si quotano. Noi, invece, vogliamo che il mercato di borsa assuma il ruolo di motore della crescita delle piccole e medie aziende.
Le istituzioni pubbliche promotrici dovrebbero avere la capacità di garantire il collegamento con il mondo delle imprese, la sostenibilità degli investimenti e la liquidità del mercato nella fase iniziale di collocamento.
Il sistema di trading potrebbe essere appoggiato sulla piattaforma di Borsa Italiana Spa o su una diversa.
La figura dell'intermediario che assume la funzione di Nomad o sponsor dovrebbe essere regolamentata - sulla falsariga di quanto già avviene per il MAC -, in modo che esso sia realmente responsabile delle aziende proposte al mercato. Riteniamo che il regolamento debba essere molto rigido al riguardo, prevedendo una responsabilità non soltanto di tipo reputazionale, ma anche patrimoniale in capo agli intermediari che assistono l'azienda nella procedura di quotazione. Deve trattarsi di soggetti ad alta specializzazione, con elevati contenuti di professionalità. Bisogna porre fine ai rimpalli di responsabilità, che inducono le banche, soprattutto le più grandi, a non quotare le piccole e medie aziende. Questo è stato, negli anni passati, uno dei principali ostacoli allo sviluppo del sistema.
Eventualmente, si potrebbe affidare al sistema camerale il compito di effettuare uno screening delle opportunità, consistente nell'individuazione delle società da veicolare verso gli intermediari ai fini di una loro quotazione.
Infine, dal mercato per le piccole e medie imprese, congegnato nel modo in cui abbiamo proposto, occorrerebbe escludere le start-up e le investment company.
Un elemento basilare per il funzionamento corretto ed efficiente del mercato - lo ripeto - è la responsabilità di chi gestisce il listing, che deve essere un ente super partes, e degli intermediari (Nomad, advisor, sponsor).
Ovviamente, tutto ciò dovrebbe essere accompagnato dall'introduzione di un sistema di incentivi fiscali, a vantaggio non soltanto delle aziende che si quotano, in termini di detraibilità dei costi di quotazione, ma soprattutto degli investitori, sul modello dei mercati esteri, in particolare di quello londinese. Occorre individuare le modalità per ridurre, o addirittura per eliminare, la tassazione sui capital gain. Infatti, un altro problema è costituito dal fatto che gli investitori professionali, così come identificati dalla MIFID, non investono nelle società a piccola e media capitalizzazione.
Per quanto riguarda le dimensioni che potrebbe assumere, nella fase iniziale, il nuovo mercato dedicato alle PMI, abbiamo formulato alcune ipotesi.
Ovviamente, nessuno può pensare di portare alla quotazione in borsa gli oltre 4 milioni di piccole e medie aziende italiane. Studi recenti hanno individuato un


Pag. 7

numero di società quotabili compreso tra 2.000 e 3.000 (per società quotabili intendiamo società con più di 10 milioni di euro di fatturato e con un margine operativo lordo positivo).
Quindi, ci si potrebbe rivolgere, in prima battuta, ad aziende con una valutazione di capitalizzazione minima di 10 milioni di euro e massima di 200 milioni di euro.
Il mercato dovrebbe caratterizzarsi per i bassi costi di ingresso e di permanenza e per la rapidità di accesso. Dovrebbero essere ammesse esclusivamente operazioni di aumento di capitale - non anche di vendita -, finalizzate a raccogliere risorse per far crescere le aziende.
Si possono prevedere, inoltre: l'impegno alla stabilizzazione dei contratti dei lavoratori delle aziende che accedono al collocamento agevolato; una dichiarazione preventiva su eventuali piani di stock option e sul sistema di remunerazione degli amministratori esecutivi e dei dirigenti strategici; un impegno a reinvestire una parte rilevante degli utili aziendali nei primi tre anni di collocamento; la possibilità, per le società che restano sul mercato per le PMI per un certo numero di anni, una volta cresciute, di accedere al mercato regolamentato a condizioni agevolate.
Inutile aggiungere che un progetto come quello esposto avrebbe impatti sicuramente importanti, com'è avvenuto nel caso dell'AIM UK, in termini sia occupazionali sia di crescita del PIL.
Abbiamo formulato due ipotesi: nella prima, il fondo, creato ad hoc per investire in questa tipologia di aziende, avrebbe una funzione sostanzialmente passiva, vale a dire quella di intervenire al momento del collocamento, affiancando gli investitori professionali reperiti dall'intermediario; nella seconda, un po' più complessa, il fondo ha anche una funzione di screening e valutazione delle imprese da avviare alla quotazione.
Partendo dal predetto dato di 2.000-3.000 aziende quotabili, immaginiamo prudenzialmente di portarne alla quotazione circa 300 nei primi tre anni di vita del fondo. Supponendo che tali aziende abbiano 50 milioni di euro di capitalizzazione media e un 30 per cento di flottante minimo, si può ipotizzare una raccolta media, per ciascuna operazione, di 15 milioni di euro. Ciò genererebbe una raccolta media complessiva, in tre anni, di 4,5 miliardi di euro (corrispondenti al prodotto di 15 milioni di euro per 300 operazioni). Il 20 per cento circa di tale raccolta dovrebbe essere garantito dal fondo di nuova creazione, che farebbe fronte, in tre anni, a un impegno di circa 900 milioni di euro.
Avere uno strumento che, sulla falsariga del Fondo italiano di investimento per le PMI, operante nell'ambito del private equity, si impegni a sottoscrivere il 20 per cento della raccolta potenziale, significherebbe avere, da un lato, la garanzia di portare le società alla quotazione e, dall'altro, un volano fondamentale in grado di attrarre altri investitori istituzionali o professionali.
A nostro avviso, la combinazione dei suddetti fattori - gestione efficiente del mercato, investitore di emanazione pubblica che garantisca una parte del collocamento e intervento di investitori istituzionali o professionali - potrebbe essere la chiave di volta per dare finalmente avvio a un mercato dedicato alla quotazione delle piccole e medie imprese.
Nella seconda ipotesi, come ho accennato, il fondo non interverrebbe soltanto dopo che investitori professionali e istituzionali abbiano sottoscritto una parte del collocamento, ma acquisterebbe, tramite aumenti di capitale, quote di partecipazione minoritaria. A tale scopo, potrebbe essere costituita una newco ad hoc, quotata sul mercato regolamentato (MTA). Al momento dell'ingresso della newco nel capitale, la piccola o media impresa partecipata otterrebbe un codice ISIN e sarebbe quotata nel nuovo mercato, sul quale collocherebbe un'ulteriore quota del proprio capitale presso investitori istituzionali o professionali.
Ovviamente, si tratta di mettersi a studiare con attenzione le caratteristiche del


Pag. 8

mercato, che, però, non dovrebbero essere molto diverse da quelle pensate per il MAC.
Noi riteniamo - lo ripeto - che la combinazione dei suddetti elementi di semplificazione con l'impegno e l'intervento di un organismo pubblico possa davvero rappresentare la base di partenza per la creazione di un efficiente mercato delle piccole e medie aziende: sarebbe il primo passo verso l'approdo a mercati più strutturati e regolamentati.

PRESIDENTE. Vi ringrazio per l'esposizione.
Dottor Giannotta, il ruolo che lei ha proposto di attribuire a un soggetto pubblico non potrebbe, invece, essere assunto da un fondo sovrano?
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCESCO BARBATO. Ringrazio, a nome del gruppo parlamentare Italia dei Valori, il dottor Antonio Tognoli, vicepresidente di Integrae SIM, e il dottor Giannotta, direttore generale della società, per la relazione dettagliata, puntuale e utile, che ci permette di percepire, ancora una volta, quale importanza abbiano, in Italia, le piccole e medie imprese. Vedere che la politica non fa quanto le compete per dare risposte concrete a un comparto così importante della nostra economia - che da solo dà lavoro all'80 per cento degli occupati - ci fa rabbrividire.
Qualche mese fa, il mio gruppo ha presentato un'interpellanza urgente relativa all'OPS lanciata da Il Sole 24 Ore nel secondo semestre del 2007: all'epoca, le azioni furono collocate al prezzo unitario di 5,75 euro, ma oggi valgono poco più di 1,3 euro.
La vicenda, una tra le tante, ci insegna che non dobbiamo farci incantare dai grandi mostri dell'economia e del mondo delle imprese, perché in questo modo perdiamo di vista quanto possa essere importante - come avete detto bene voi oggi - aprire il mercato borsistico alle piccole e medie imprese.
Invece, tutto sembra incentrato sull'esigenza de Il Sole 24 Ore, o di qualche altro grande gruppo, di riuscire a rastrellare risorse dai risparmiatori, dagli investitori, senza che questi ultimi ricevano il benché minimo beneficio dall'investimento effettuato. Eppure, i risparmiatori che investono in borsa lo fanno mettendo a rischio i propri soldi e i propri beni, dietro i quali c'è la passione con la quale lavorano, la storia della loro vita e, volendo usare una cruda ma efficace metafora, il loro sangue.
È fin troppo evidente, quindi, la necessità di esplorare i mercati degli strumenti finanziari - avremmo dovuto farlo da ieri -, al fine di comprenderne meglio il funzionamento e le prospettive, in merito ai quali ci avete offerto, e ve ne siamo grati, un'esposizione molto chiara.
Noi di Italia dei Valori esamineremo con attenzione il materiale che ci avete consegnato, e lavoreremo per dare risposte utili, positive e immediate.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Anch'io mi unisco ai ringraziamenti già formulati dai miei colleghi per l'esposizione molto chiara e, per certi versi, drammatica: apprendere di certe situazioni da esperti della materia, anziché dalla stampa, desta maggiore preoccupazione.
Signor presidente, più che porre domande, mi piacerebbe avviare uno scambio di riflessioni con i nostri ospiti, che ringrazio anche per la documentazione consegnata, la quale sarà oggetto di approfondita valutazione da parte nostra.
Durante l'audizione sono stato interrotto da due telefonate - e di ciò mi scuso - il cui contenuto ha qualche attinenza, purtroppo, con le questioni che stiamo trattando. Poiché sono, tra l'altro, consulente fiscale e societario, dico sempre ai miei collaboratori, i quali sono più che autosufficienti, di chiamarmi soltanto in caso di urgenza. Ebbene, entrambe le telefonate riguardavano casi di finanziamenti cui le imprese interessate faticano a fare fronte. Sono clienti del mio studio medie e piccole imprese operanti nella zona del Lago di Garda, e credo che il mio bagaglio di esperienze professionali sia


Pag. 9

importante anche per assolvere meglio il mio impegno di parlamentare. Credo che voi operiate, invece, principalmente sulla piazza di Milano, dalla quale espandete la vostra attività anche in altre zone del Paese.
Venendo più direttamente al tema dell'audizione, viene da chiedersi come potrà essere l'avvenire del nostro Paese se il quadro è quello che è emerso anche nell'incontro odierno. Non so quanto possano attecchire, nella realtà nazionale, le ipotesi di lavoro, le nuove strategie, le nuove impostazioni che ci avete esposto.
A volte, ci si trova in difficoltà anche nel portare avanti iniziative basate sull'impegno comune: c'è sempre molta riluttanza da questo punto di vista. A mio giudizio, manca, a monte, una cultura adeguata.
I grandi mercati, quello di Milano e della Lombardia, sono diversi. Quando penso al mio Veneto, credo che gli intermediari dovrebbero offrire forme di investimento che siano in grado di produrre benefici per le piccole attività, per le piccole e medie imprese. Come ho detto, manca innanzitutto la base culturale per poter operare. Penso agli artigiani, alle piccole aziende meccaniche, ai produttori di mobili artistici rimasti nella Bassa veronese, agli stessi operatori economici della zona del Lago di Garda, tutti molto riluttanti nei confronti di iniziative di apertura al mercato delle proprie imprese.
D'altra parte, accade che imprese con fatturati di 1-2 milioni di euro ottengano dalle banche affidamenti di 20.000 euro: è un dato drammatico. Nonostante lamentino di essere in affanno, di avere bisogno di maggiore liquidità, le imprese riescono a farsi accordare dagli istituti di credito fidi di appena 20.000 euro! Quando ascolto le lamentele degli imprenditori, manifesto tutta la mia meraviglia, anche perché so che le aziende di cui sto parlando, in molti casi, sono in salute. Cito la mia esperienza personale per dare l'idea di quanto sia importante e urgente apprestare interventi a favore delle piccole e medie imprese.
Alla luce del contesto che ho descritto, quali possibilità concrete ritenete che abbiano le predette imprese?
Voi realizzate le vostre operazioni, ma tantissimi soggetti rimangono fuori dalla porta del mercato. Ciò lascia prevedere che la situazione diventerà sempre più drammatica, perché il dato occupazionale, avendo riguardo al lavoro subordinato, va peggiorando, mentre l'iniziativa della piccola impresa - che pure avrebbe voglia di fare, perché il popolo delle partite IVA è un popolo che avrebbe voglia di impegnarsi - manca del minimo vitale per esprimere appieno le proprie potenzialità.

FRANCO CECCUZZI. Anch'io ringrazio i nostri ospiti per il contributo che hanno offerto ai nostri lavori. In particolare, desidero esprimere condivisione rispetto alle due ipotesi che hanno formulato, nonché la disponibilità ad approfondirle. Ritengo, infatti, che esse vadano nella direzione giusta, sia perché sono volte a semplificare le procedure amministrative e burocratiche per l'ammissione alla quotazione, le quali costituiscono, attualmente, un elemento altamente disincentivante per l'imprenditore, sia in quanto prevedono incentivi fiscali che possono abbattere i costi connessi all'ingresso e alla permanenza nel mercato.
Le nostre piccole e medie imprese certamente soffrono a causa di quello che è stato definito il sistema «bancocentrico». A ciò si può ovviare con un'adeguata capitalizzazione, con l'accesso a processi di autofinanziamento, con la crescita dimensionale e, infine, anche con la separazione dei patrimoni personali dei titolari da quelli delle aziende (la commistione dei due patrimoni rappresenta tuttora un problema molto serio per gli imprenditori).
Insomma, c'è sicuramente materia sulla quale lavorare. Noi parlamentari del Partito Democratico siamo interessati ad approfondire ogni ipotesi di lavoro e, considerate le non illimitate disponibilità della finanza pubblica, a verificare quali e quante risorse possano essere investite in un settore fondamentale non soltanto per le società che si devono quotare, ma anche


Pag. 10

per il mercato azionario, che deve diventare più redditizio e meno rischioso. È chiaro, infatti, che la situazione di forte sofferenza della borsa penalizza anche i risparmiatori, i quali, per integrare i propri redditi, sono costretti a investire in titoli di Stato e in pochi altri strumenti, considerato che anche i fondi attraversano un momento di forte crisi.
Ciò premesso, desidero porre una domanda relativa alla prima parte della relazione, nella quale si fa riferimento alle ulteriori difficoltà che potranno derivare dall'applicazione della nuova regolamentazione prudenziale. Sessanta miliardi di euro rappresentano una cifra ragguardevole e, forse, calcolata per difetto, se si pensa ai parametri cui le banche dovranno uniformarsi da qui al 2019.
Considerato il trattamento che è stato riservato a Profumo, che ha utilizzato i fondi sovrani, se escludiamo questi ultimi e le fondazioni, le quali non sono certamente in condizioni tanto brillanti da far fronte da sole a un impegno così rilevante, quali sono, a vostro avviso, le altre fonti da cui le banche potrebbero attingere per adeguare i propri patrimoni alle regole di Basilea 3? Peraltro, il problema dell'adeguamento a Basilea 3 non sarà l'unico: poiché le banche usciranno da due o tre anni in cui le sofferenze sono notevolmente aumentate, se non ci sarà una crescita significativa nel 2011, la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente.

PRESIDENTE. In un passo della relazione si propone di attribuire maggiori responsabilità agli intermediari che assumono la funzione di Nomad o sponsor nelle operazioni di quotazione. Incidentalmente, si può rilevare come quello della responsabilità sia, ahinoi, un tema ricorrente, ove si consideri che le agenzie di rating e le società di revisione contabile tendono tutte a deresponsabilizzarsi.
Comunque, non ritenete che l'introduzione di criteri più rigorosi di responsabilità potrebbe disincentivare gli intermediari? Infatti, tanto più si caricano di responsabilità gli intermediari, in relazione all'assunzione delle funzioni di Nomad o sponsor, tanto meno essi tenderanno a incaricarsi della gestione del processo di quotazione delle società, salvo che non si tratti di casi particolari.
Venendo al tema centrale, ho appreso che il Ministro Frattini ha parlato, con i rappresentanti istituzionali degli Emirati Arabi, della possibilità di un intervento a sostegno delle piccole e medie imprese del fondo sovrano di tale Paese, che sembra interessato all'operazione. Peraltro, mi risulta che Deutsche Bank, insieme a un fondo del Qatar, abbia intenzione di investire 700 milioni di euro nel settore delle PMI in Italia. Per non parlare, poi, della possibilità di far intervenire i cinesi...
Insomma, dovremmo porci il problema di cosa faremo del nostro patrimonio aziendale, dal momento che sembriamo in preda a una sindrome schizofrenica: da un lato, si sostiene che è necessario aumentare la capitalizzazione delle imprese; dall'altro, quando il fondo Aabar, di Abu Dhabi, ha acquisito il 4,99 per cento di Unicredit, molti hanno manifestato perplessità, senza domandarsi per quali ragioni nessun'altro avesse realizzato quella o altre operazioni simili (le fondazioni se ne guardano bene, come ha rilevato il collega Ceccuzzi). In sostanza, i soggetti con disponibilità finanziarie ci sono, ma quando decidono di impiegarle nel nostro Paese non ricevono, in generale, una buona accoglienza.
Ci dobbiamo porre il problema di individuare le strategie giuste per rendere appetibile un nuovo mercato per le piccole e medie imprese.
Per quanto riguarda le ipotesi formulate nella relazione, mi domando se possa risultare convincente la costituzione di un fantomatico fondo, che dovrebbe garantire la sottoscrizione di una determinata percentuale della raccolta potenziale. Voi contate molto sugli incentivi di carattere fiscale. Io non sono convinto che questi possano essere funzionali, soprattutto perché la nostra legislazione ne è piena: i tavoli per la riforma fiscale insediati presso il Ministero dell'economia e delle


Pag. 11

finanze hanno catalogato più di 240 agevolazioni, dalle quali non sono derivati effetti apprezzabili.
Quale potrebbe essere un incentivo vero? Un'idea interessante potrebbe essere quella di ridurre o addirittura di eliminare l'imposizione sui capital gain, come propone la relazione. Effettivamente, nell'ottica dell'incremento del prodotto interno lordo, se l'apporto di denaro da parte di terzi permette alle aziende di crescere, agli investitori si potrebbe anche consentire di trattenere tutto ciò che la crescita dell'azienda genera a sua volta (o quasi tutto, perché qualcosa bisognerà pure lasciarla allo Stato).
In quale modo, dunque, bisognerebbe intervenire per favorire l'accesso delle nostre aziende al mercato dei capitali?
L'ABI sostiene - ma per loro il sistema «bancocentrico» è molto più di un dato della nostra realtà economica - che le difficoltà sono innanzitutto di ordine culturale: i proprietari delle nostre piccole e medie imprese non si rivolgono al mercato perché non vogliono rendere conto ad altri soci del proprio operato, anche a costo di affrontare qualche problema di erogazione del credito da parte delle banche.
Riguardo ai costi - voi prevedete una permanenza iniziale nel mercato delle PMI e un eventuale accesso agevolato al mercato regolamentato -, potete dirci quanto costa quotare una PMI? Poiché tutte le forme di agevolazione hanno un costo per lo Stato, bisognerebbe capire quanto costerebbero, in termini di investimento iniziale, le operazioni che suggerite di mettere in piedi.
Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

LUIGI GIANNOTTA, Direttore generale di Integrae SIM. Proverò a rispondere a tutte le interessantissime domande che sono state poste. Peraltro, alcune delle vostre giustissime e correttissime osservazioni trovano risposta già nella relazione.
Noi siamo partiti, come ho accennato, dall'analisi di qualcosa che è stato creato di recente e che, a nostro avviso, avrebbe anche potuto funzionare, ossia il MAC, il Mercato alternativo del capitale.
Questo ...

PRESIDENTE. A beneficio dei colleghi che non ne fossero già informati, faccio presente che alla relazione è allegato l'Economic impact of AIM and the role of fiscal incentives, un ponderoso studio redatto dalla famosa Grant Thornton, contro la quale Parmalat ha proposto azione per danni davanti ai giudici statunitensi.

LUIGI GIANNOTTA, Direttore generale di Integrae SIM. Si tratta di uno dei tanti studi...

PRESIDENTE. Dovremmo chiederci quanto siano credibili soggetti i quali non si erano accorti che Parmalat stava per fallire.

LUIGI GIANNOTTA, Direttore generale di Integrae SIM. Se n'erano accorti in tanti, signor presidente, ma non le persone giuste, quelle che avrebbero dovuto accorgersene (mi si perdoni la battuta).
Nel Mercato alternativo del capitale la funzione di volano del collocamento, che noi auspichiamo possa essere esercitata a livello centrale, doveva essere svolta dalle banche, le quali ne erano originariamente azioniste. Ebbene, non vi è stata un'operazione - salvo una o due eccezioni, forse - in cui le banche abbiano effettivamente svolto la predetta funzione, a garanzia del collocamento.
Si suole ripetere, molto spesso, che le imprese devono imparare a svilupparsi, accrescendo la propria cultura finanziaria e avvicinandosi alle tematiche della quotazione. Probabilmente, però, il sistema bancario stesso non è del tutto pronto da questo punto di vista. Se, infatti, il MAC avesse davvero funzionato come ci si attendeva - ma ciò presupponeva che le banche garantissero, pro quota, una parte dei collocamenti - tutto il sistema sarebbe decollato molto più rapidamente.
Per questo motivo, adesso, auspichiamo che la funzione di garantire la liquidità del


Pag. 12

mercato nella fase iniziale del collocamento sia svolta da promotori pubblici, l'individuazione dei quali può essere oggetto di discussione (potrebbe trattarsi di un fondo creato appositamente, del sistema delle camere di commercio, della Cassa depositi e prestiti e via discorrendo). La presenza di un soggetto che funga da volano per rendere efficiente la fase del collocamento è fondamentale. Se le banche, come ha dimostrato l'esperienza del MAC, non sono in grado di svolgere tale compito, qualcuno deve sostituirsi a loro, perché soltanto in questo modo può sprigionarsi la scintilla necessaria per far partire il mercato.
Le banche non hanno mostrato molto interesse perché, banalmente, il mercato delle PMI fa guadagnare poco agli intermediari. Le grandi banche guadagnano sui collocamenti di maggiore rilievo: ad esempio, quando hanno gestito una o due grosse privatizzazioni, sono a posto con il budget; non hanno convenienza a occuparsi di cinque, dieci o venti piccoli collocamenti, perché possono realizzare gli stessi profitti con una sola grossa operazione.
Per poter gestire il mercato delle piccole e medie imprese, gli intermediari devono essere piccoli e specializzati. Se si vuole che le grosse banche continuino a partecipare, anch'esse devono creare al loro interno piccoli uffici specializzati. Quotare una piccola e media azienda non è come portare in borsa una grossa azienda o privatizzare Comit, Credito Italiano, INA, ENEL o ENI: si tratta di operazioni completamente diverse.
È soprattutto il mercato degli intermediari che deve crescere - consentitemi questa provocazione - e non, come si suole dire, il sistema delle aziende. Le aziende si stanno avvicinando - eccome! - alle tematiche dei mercati dei capitali. Venti anni fa, quando andavamo in giro per l'Italia a parlare di quotazione, erano pochissimi gli imprenditori in grado di comprenderci; ora, invece, gli stessi imprenditori vengono da noi a chiederci come si fa, quanto costa, quali passi devono compiere, come devono organizzarsi e strutturarsi.
Sono le banche che, molto spesso, non danno risposte alle domande degli imprenditori, perché non possono occuparsene, o perché, probabilmente, non ritengono profittevole dedicarsi a tale attività. Fare intermediazione per la quotazione in borsa delle piccole e medie aziende non consente di realizzare grossi profitti, ma richiede comunque una professionalità di livello elevatissimo.
Ecco perché, signor presidente, noi riteniamo che la responsabilità degli intermediari debba essere disciplinata in maniera più rigorosa. Chi accompagna in borsa una società deve farsi carico della bontà dell'investimento che propone, non soltanto nella fase del collocamento, ma anche dopo, preoccupandosi, eventualmente, di avvisare per tempo gli investitori se qualcosa non dovesse andare per il verso giusto.
Abbiamo visto casi di aziende, anche piccole e medie, che sono state quotate e che, dopo qualche anno, non andavano bene. Qualcuno ha mai chiesto chi si era occupato della loro ammissione alla quotazione e in quale modo le aveva seguite dopo l'ammissione? Non l'ha fatto nessuno.
Per questo motivo, a nostro avviso, bisognerebbe organizzare anche un sistema di identificazione degli intermediari e di monitoraggio della loro attività. È stato giustamente citato l'esempio dell'azienda le cui azioni sono passate da 5,75 euro a poco più di un euro. Ebbene, viene da chiedersi cos'abbia fatto per avvisare gli investitori chi ha garantito la bontà dell'investimento.
Noi andiamo nella direzione opposta: vogliamo la responsabilizzazione degli intermediari, i quali, al limite, per le operazioni più complesse, possono anche richiedere l'opera di professionisti esterni, quali revisori, fiscalisti o avvocati. È chiaro che un intermediario non può essere onnisciente. Tuttavia, egli deve assumersi la


Pag. 13

responsabilità del collocamento, altrimenti non si risolverà mai il problema della responsabilità.
Accenno brevemente anche al tema degli incentivi fiscali. Noi abbiamo un'esperienza ultraventennale nel settore, in gran parte maturata presso grandi gruppi bancari. Conoscendo il mercato, abbiamo cercato di capire quali interventi potrebbero migliorarne il funzionamento.
Per quanto riguarda gli incentivi alle aziende che si quotano, abbiamo visto che, in passato, soprattutto a metà degli anni Novanta, essi hanno prodotto effetti notevoli. Tuttavia, gli incentivi fiscali li chiedono soprattutto gli investitori professionali o istituzionali, i quali ci dicono che l'esistenza di forme di incentivazione li indurrebbe a considerare con maggior favore la possibilità di investire nelle piccole o medie aziende.
Del resto, ciò è comprovato da quanto è avvenuto nel Regno Unito, dove, a fronte di effettivi benefici fiscali, si sono quotate sull'AIM UK oltre 2.000 aziende, le quali, tra l'altro, si sono avvalse di intermediari piccoli, non delle grandi banche. Tra le centinaia di intermediari che lavorano a Londra, vi sono pochissime banche. A nostro avviso, in Italia dovremmo ricalcare la medesima struttura.
Senza incentivi fiscali, gli investitori professionali o istituzionali non sono attratti dai mercati dedicati alle piccole e medie imprese, che finiscono per essere non liquidi.
Rispondo alla domanda sui costi di quotazione, che variano moltissimo a seconda del mercato...

PRESIDENTE. Quale potrebbe essere un livello di tassazione adeguato?

LUIGI GIANNOTTA, Direttore generale di Integrae SIM. Per i fondi o per i soggetti...

PRESIDENTE. Per gli investitori.

LUIGI GIANNOTTA, Direttore generale di Integrae SIM. Noi riterremmo ideale la quasi eliminazione - o addirittura l'eliminazione totale - della tassazione sui capital gain. Si può discutere se collegare il beneficio al periodo di detenzione delle azioni, ma la tassazione andrebbe eliminata. Peraltro, gli introiti che verrebbero a mancare sarebbero compensati da quelli derivanti dallo sviluppo delle aziende, le quali verserebbero maggiori imposte.

PRESIDENTE. Com'è noto, agli interessi relativi a obbligazioni e passività esplicitamente indirizzate a finanziare le piccole e medie imprese che investono nel Mezzogiorno, emesse dalla Banca del Mezzogiorno, si applica, ai sensi dell'articolo 2, commi 169, lettera a), e 178, lettera a), della legge n. 191 del 2009, la tassazione al 5 per cento.
Ridurre o eliminare la tassazione dei capital gain significherebbe andare in controtendenza, in una fase in cui molti propongono, invece, di aumentare l'imposizione sulle rendite finanziarie.

LUIGI GIANNOTTA, Direttore generale di Integrae SIM. L'ultimo tema era quello dei costi di quotazione.
Attualmente, il mercato offre un ventaglio di possibilità a chi decide di quotarsi: l'approccio più semplice è rappresentato dal MAC, di proprietà di Borsa Italiana Spa (qualche mese fa era di proprietà delle banche); è già più strutturato l'AIM Italia; tra i mercati regolamentati, vi sono il segmento Standard e quelli che comprendono le società più capitalizzate e con maggiore grado di liquidità, vale a dire STAR e Blue chip.
Come potete capire, c'è un'estrema gradualità nell'approccio alla quotazione. A seconda delle esigenze e della tipologia di azienda che intende quotarsi, vi sono diversi modi di procedere alla quotazione e, di conseguenza, differenti costi.
Il costo minimo è quello per l'ammissione al MAC. Al riguardo, premesso che non tutti gli intermediari vi diranno la stessa cosa (dipende, banalmente, da quanto vogliono guadagnare), abbiamo constatato che i costi fissi per la quotazione sul MAC si possano agevolmente contenere tra 100.000 e 200.000 euro per


Pag. 14

le piccole operazioni, più una percentuale sul controvalore collocato. Per «costi fissi» intendo il totale dei costi, compresi i corrispettivi per l'intermediario, i consulenti legali e i revisori, senza sorprese ulteriori.
Per la quotazione sull'AIM Italia, un po' più evoluto, i costi salgono, collocandosi tra 200.000 e 300.000 euro, più una percentuale sul controvalore collocato. Ovviamente, se il capitale è già collocato tra una pluralità di investitori, i costi sono più contenuti, perché non si pagano le commissioni sul collocamento.
Passando ai mercati regolamentati, i costi vanno dai 250.000 euro in su, a seconda della complessità del collocamento: se l'operazione è estremamente complessa, il costo può arrivare anche a milioni di euro. Abbiamo visto anche piccole e medie aziende sborsare milioni di euro, ma perché hanno pagato due, tre o quattro studi legali. Il costo dipende anche dalla complessità che l'intermediario intende dare alla struttura che deve occuparsi della procedura di quotazione. In generale, tanto più è professionale l'intermediario, tanto meno sarà necessario avvalersi di consulenti esterni.
È difficile determinare con esattezza i costi di quotazione, perché questi dipendono molto anche dalla natura dell'intermediario. Tuttavia, gli ordini di grandezza sono, più o meno, quelli cui ho fatto riferimento poc'anzi.

ANTONIO TOGNOLI, Vicepresidente di Integrae SIM. Per quanto riguarda il ruolo delle banche, che concedono sempre meno credito alle imprese, e l'individuazione dei soggetti che dovranno farsi carico della valutazione delle piccole e medie imprese, mi sembra che il filo conduttore del ragionamento sia rappresentato proprio dalle nuove regole di Basilea 3. Infatti, l'adeguamento ai nuovi livelli patrimoniali comporterà, fino al 2019, un impegno medio annuo di 7-8 miliardi di euro.
Cosa possono fare le banche?
Intanto, possono aumentare il proprio capitale sociale. Qualcuna ha già cominciato: il consiglio di gestione di Banco Popolare ha deliberato di aumentare il capitale sociale per un controvalore complessivo massimo di circa 2 miliardi di euro, di cui circa 1,5 a rimborso dei «Tremonti bond». L'operazione consentirà alla banca di portare il proprio patrimonio di base (tier 1) a un livello superiore al 6 per cento.
Gli aumenti di capitale sono, quindi, la prima misura da adottare. La seconda è la distribuzione di pochi dividendi: evidentemente, se l'utile è distribuito, non rimane in azienda, e non può essere utilizzato per adeguare il patrimonio.
In terzo luogo, le banche dovranno trovare il modo di rendere meno rischioso l'attivo. Potrebbero farlo indirizzando verso il mercato le imprese con maggiori problemi. Naturalmente, il mercato non ha alcun interesse a prendere le aziende rischiose. Proprio per questo motivo, la valutazione delle società da quotare non può essere lasciata alle banche.
Se le banche dovranno adeguare i propri requisiti patrimoniali ai nuovi livelli previsti da Basilea 3, agiranno sui seguenti parametri fondamentali: riduzione dei rischi dell'attivo, aumenti di capitale, minori dividendi. Quindi, le banche tenderanno a dare sempre meno credito a chi ne ha bisogno e, magari, andranno a bussare alla porta delle imprese che non ne hanno bisogno (e che ciò accada ce lo confermano tantissime imprese che noi stessi seguiamo).
Purtroppo, la riduzione media della rischiosità dell'attivo delle banche è un tema all'ordine del giorno: nei prossimi tre, quattro o cinque anni diventerà un tema cruciale.
D'altra parte, dovremo aspettarci aumenti di capitale cospicui, che dreneranno ulteriori risorse dalle poche disponibili sul mercato. Come ho detto, Banco Popolare ha cominciato, ma le altre si accoderanno.

FRANCO CECCUZZI. Quindi?

ANTONIO TOGNOLI, Vicepresidente di Integrae SIM. Da qui la nostra proposta di un nuovo mercato per le piccole e medie imprese «governato» in qualche modo


Pag. 15

dallo Stato, che concede incentivi fiscali e organizza l'intero sistema. Le banche rimarranno pur sempre tra gli attori principali del mercato, ma la valutazione delle imprese da quotare dovrà essere affidata a soggetti indipendenti da esse. Ciò significa, in sostanza, che le banche dovranno svolgere la funzione per la quale sono state create: gestire il circolante delle imprese.
È sempre più difficile pensare che le banche facciano investimenti per le imprese a medio e lungo termine. È chiaro, d'altra parte, che i ritorni a medio e lungo termine degli industriali non sono compatibili con quelli a breve delle banche. Per questo proponiamo la creazione di un mercato all'interno del quale sia forte il ruolo delle istituzioni pubbliche.

PRESIDENTE. Il tema è ben chiaro alla Commissione.
Durante l'audizione del presidente dell'ABI, svoltasi la scorsa settimana, ebbi a sottolineare come le banche trovino più conveniente erogare credito a breve alle imprese, anziché accompagnarle nel processo di quotazione sul mercato borsistico. Il presidente Mussari se la cavò affermando che, se le imprese fossero più capitalizzate e più autonome dal credito delle banche, queste ultime, dovendo essere più concorrenziali, dovrebbero concedere più credito.
Il vero problema è quello che lei ha prospettato, dottor Tognoli: se le banche dovranno andare sul mercato per capitalizzare se stesse, figuriamoci se pensano di sostenere la capitalizzazione delle imprese! Dalle banche, ragionevolmente, non ci si potrà aspettare molto.
L'idea potrebbe essere, allora, quella di chiedere allo Stato di farsi carico degli investimenti necessari per creare un mercato efficiente delle piccole e medie imprese: si tratta di un tema rilevante, del quale dovremo discutere.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Desidero svolgere un'ultima considerazione, sebbene l'argomento - che abbiamo affrontato anche la scorsa settimana con il presidente Mussari - esuli dalle questioni che stiamo trattando.
È all'esame dell'altro ramo del Parlamento il decreto-legge cosiddetto «milleproroghe», al quale è stata presentata una proposta emendativa volta a elevare il tetto massimo della partecipazione delle fondazioni nelle banche popolari dall'attuale 0,5 al 5 per cento.
Lei, dottor Tognoli, ha citato il caso del Banco Popolare, il cui consiglio di gestione ha da poco deliberato un aumento di capitale sociale, prevedendo condizioni abbastanza vantaggiose per gli azionisti.
A tale proposito, sembra che la Fondazione Cariverona stia valutando la possibilità, qualora la predetta proposta emendativa dovesse essere approvata, di ridimensionare la quota posseduta in Unicredit per sottoscrivere parte dell'aumento del Banco Popolare.
A mio avviso, l'operazione ipotizzata sarebbe estremamente spiacevole, principalmente per due motivi. In primo luogo, essa contrasterebbe con il principio, affermato nella legislazione vigente, della separazione delle funzioni imprenditoriali, tipiche delle banche, da quelle di interesse pubblico e di utilità sociale, proprie delle fondazioni. In secondo luogo, nel caso della Fondazione Cariverona, un conto è avere una partecipazione in Unicredit, un altro conto è acquisire una quota del 5 per cento del capitale del Banco Popolare.
A mio giudizio, quella che si sta tentando di realizzare - mi pare che l'iniziativa sia destinata a naufragare, in quanto anche il Ministro dell'economia e delle finanze è contrario all'elevazione del predetto tetto - è soltanto un'operazione di potere.
Come valutate, voi che operate sul mercato, l'ipotesi di un aumento fino al 5 per cento della partecipazione delle fondazioni nelle banche popolari?
Credo che operazioni simili a quella cui ho fatto riferimento si muovano nell'ottica dei grandi interventi, anziché in quella delle iniziative mirate e diffuse. Mi sembrano, in definitiva, operazioni fini a se stesse, senza alcuna valenza sul mercato reale.


Pag. 16

ANTONIO TOGNOLI, Vicepresidente di Integrae SIM. Più che l'aspetto economico, valorizzerei l'aspetto politico della vicenda.
Poiché si discute del Banco Popolare, qualunque socio avrà sempre un solo voto, anche acquisendo il 90 per cento del capitale. Quindi, operazioni come quella cui ha fatto riferimento lei, onorevole Fogliardi, potrebbero essere finalizzate a esercitare un controllo di tipo politico, non economico.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Quindi, il fine è quello di controllare il management.

ANTONIO TOGNOLI, Vicepresidente di Integrae SIM. Secondo me, è così.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti, anche per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta (vedi allegato), e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,25.

[Avanti]
Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive