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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
16.
Mercoledì 13 luglio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MERCATI DEGLI STRUMENTI FINANZIARI

Esame del documento conclusivo:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

ALLEGATO: Proposta di documento conclusivo ... 4
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 13 luglio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 14.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Esame del documento conclusivo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari, l'esame del documento conclusivo.
Avverto che, in esito allo svolgimento del programma dell'indagine conoscitiva, ho predisposto una proposta di documento conclusivo (vedi allegato), nella quale si dà conto delle risultanze delle audizioni svolte e si formulano numerose proposte in merito alle problematiche affrontate. Credo che essa possa costituire un'utile base di lavoro per le iniziative parlamentari che si intenderà assumere al riguardo.
Invito i componenti della Commissione a esaminare il testo della proposta, alla quale potranno presentare eventuali richieste di integrazione o modifica, ai fini di una sua prossima approvazione.
Nessuno chiedendo di intervenire, rinvio il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14,05.


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ALLEGATO

Indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari.

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

1. L'OGGETTO DELL'INDAGINE

I mercati degli strumenti finanziari costituiscono uno snodo essenziale delle moderne economie di mercato, ed hanno conosciuto, nel corso degli ultimi anni, una notevole evoluzione, che ha interessato sia il quadro normativo, sia il contesto economico-finanziario, sia, infine, le modalità operative.
In quest'ottica la Commissione ha ritenuto opportuno svolgere una indagine conoscitiva con l'obiettivo di analizzare le evoluzioni storiche, l'attuale condizione e le prospettive di questo settore, per quanto riguarda gli aspetti quantitativi ed i profili macroeconomici, verificando in tale contesto anche l'efficacia e l'adeguatezza del quadro normativo nazionale, comunitario ed internazionale, nonché degli assetti regolamentari e di vigilanza sussistenti in materia.
Sotto un primo profilo si sono volute approfondire le ragioni dello sviluppo, storicamente limitato, in Italia, di tali mercati, e le ricadute che tale condizione ha avuto sugli assetti complessivi del sistema imprenditoriale nazionale, sui suoi rapporti con il settore finanziario e creditizio, nonché sui modelli di sviluppo del capitalismo italiano.
Da un ulteriore punto di vista si è ritenuto utile considerare i principali fenomeni che hanno interessato il settore, a partire dalle conseguenze della crisi in atto a livello globale, in particolare per quanto riguarda il fallimento di alcuni grandi operatori internazionali, nonché le vicende relative a Borsa Italiana Spa, alla luce della sua recente fusione con il London Stock Exchange.
Inoltre, l'indagine conoscitiva ha analizzato nel dettaglio, privilegiando naturalmente gli aspetti di rilievo nazionale, la struttura dei mercati degli strumenti finanziari, sia per quanto riguarda i mercati regolamentati sia per quel che concerne i mercati non regolamentati, sotto il profilo dei relativi costi di accesso e di permanenza, con particolare attenzione alle problematiche relative alle piccole e medie imprese, nonché della regolamentazione e degli assetti proprietari. Particolare attenzione è stata dedicata, in tale ambito, alle problematiche relative alla tutela dei piccoli risparmiatori, nonché al ruolo svolto dalle società di gestione del mercato, segnatamente per quanto attiene all'attività di ammissione alla negoziazione ed alle loro competenze regolatorie.
Nel corso dell'indagine, che è stata deliberata il 29 luglio 2010, sono stati ascoltati il Presidente della CONSOB, il Vice Direttore generale della Banca d'Italia, il Presidente dell'ABI, il Presidente di ASSONIME, l'Amministratore delegato di Borsa Italiana Spa, esponenti del settore finanziario e creditizio, nonché esperti e studiosi della materia.

2. IL QUADRO NORMATIVO

Prima di passare ad illustrare gli elementi emersi nel corso dell'indagine conoscitiva, è utile compiere una breve rassegna del panorama normativo vigente in materia di mercati degli strumenti finanziari, anche per rendere maggiormente intellegibili le problematiche affrontate durante l'indagine.


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2.1. Il processo di privatizzazione dei mercati finanziari.

L'assetto normativo dei mercati finanziari in Italia può essere definito come il prodotto di due fattori concomitanti: il processo di graduale privatizzazione del sistema e la complessità delle fonti normative che disciplinano il settore, dai principi costituzionali (in particolare gli articoli 41 e 47 della Costituzione) fino all'autonomia privata (come si vedrà in seguito, i regolamenti di Borsa).
Sotto il primo profilo è opportuno ricordare che il mercato è stato a lungo sottoposto a norme di stampo pubblicistico, con accesso in origine riservato agli intermediari abilitati (gli agenti di cambio) ed il cui controllo, nel tempo, è passato dalle Camere di commercio (e relative articolazioni locali) alla CONSOB.
La privatizzazione sostanziale, finalizzata all'adeguamento del panorama italiano alla realtà finanziaria globale, è stata operata dapprima con la legge n. 1 del 1991, recante disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare, e poi con il decreto legislativo n. 415 del 1996 (cosiddetto decreto «Eurosim»), recante il recepimento della direttiva 93/22/CEE, relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari, e della direttiva 93/6/CEE, relativa all'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi. Tale ultimo provvedimento ha sostanzialmente privatizzato i mercati finanziari, dettando una disciplina apposita per la trasformazione di quelli già esistenti, al fine di giungere all'attuale assetto disciplinato dal Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 (TUF).
Il TUF ha operato una razionalizzazione del quadro normativo esistente in un contesto unitario, apportandovi al contempo alcune modifiche (in particolare alla disciplina della liquidazione e delle gestioni centralizzate di strumenti finanziari). Nel corso del tempo, il TUF è stato oggetto di numerosi interventi, che hanno recepito le disposizioni dettate in materia in sede europea.
L'esito del processo di privatizzazione dei mercati si sostanzia nella formulazione dell'articolo 61, comma 1, del TUF, il quale qualifica l'attività di organizzazione e gestione del mercato come attività di impresa (intesa come attività economica organizzata al fine di produrre o scambiare beni o servizi, ai sensi dell'articolo 2082 del Codice civile) affidandone l'esercizio ad una società per azioni ad hoc, anche senza scopo di lucro (società di gestione del mercato).

2.2. La disciplina comunitaria.

Non può inoltre trascurarsi l'impatto sostanziale della disciplina comunitaria sul vigente assetto normativo dei mercati finanziari.
Un ruolo chiave in tal senso è rivestito dalla direttiva MiFID (direttiva 2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari), recepita nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo n. 164 del 2007. Tale direttiva ha avuto, tra gli obiettivi principali, quello di creare un ambiente finanziario competitivo e armonizzato per i mercati regolamentati e le imprese di investimento, nonché quello di rafforzare la protezione degli investitori, l'efficienza e l'integrità dei mercati stessi.
In particolare, la direttiva MiFID ha eliminato l'obbligo di concentrare gli scambi sui mercati regolamentati, aprendo a nuovi circuiti di negoziazione, quali i sistemi multilaterali di scambio (multilateral trading facilities o MTF) e gli internalizzatori. Sono state inoltre previste regole di trasparenza nella fase di pre-negoziazione e post-negoziazione, sono state introdotte specifiche previsioni per l'ammissione degli strumenti finanziari sui mercati regolamentati e sono state dettate regole per l'ammissione degli operatori ai mercati regolamentati ed agli MTF.
La recente crisi finanziaria ha altresì sollecitato le autorità sovranazionali a intervenire sotto il più ampio profilo della vigilanza sui mercati: dal 1o gennaio 2011


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è entrata in vigore la normativa che definisce il nuovo assetto istituzionale europeo della vigilanza finanziaria, con una complessa architettura fondata sull'istituzione del Consiglio Europeo per i rischi sistemici (European Systemic Risk Board - ESRB) e di tre Autorità europee con competenze settoriali, rispettivamente, per i mercati finanziari (ESMA), per le banche (EBA) e per le assicurazioni (EIOPA).
Queste ultime potranno emanare standard tecnici giuridicamente vincolanti per le Autorità nazionali in materia di modalità interpretative e applicative della disciplina comunitaria (limitatamente, tuttavia, alle aree espressamente previste dalla normativa comunitaria di rango primario e dopo una procedura di endorsement da parte della Commissione europea), al fine di definire un quadro regolamentare effettivamente armonizzato e vincolante per le Autorità di vigilanza domestiche e assicurarne un'applicazione uniforme e coerente.
Ai cambiamenti di natura istituzionale si va affiancando un ampio processo di revisione della disciplina comunitaria in materia di valori mobiliari.
La Commissione europea ha infatti recentemente avviato un processo di revisione delle principali direttive del settore dei mercati mobiliari (in particolare, la MiFID e la direttiva sugli abusi di mercato) e sono in corso di definizione (o da poco emanate) le misure attuative di altre direttive recentemente riviste nel loro impianto di fondo.
Il 31 dicembre 2010 è entrata in vigore la direttiva 2010/73/UE, recante modifica delle direttive 2003/71/CE, relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari (cosiddetta direttiva prospetto) e 2004/109/CE, sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato (cosiddetta direttiva transparency). Gli Stati membri hanno tempo fino al 1o luglio 2012 per adeguare la normativa nazionale alle nuove disposizioni comunitarie.
In questa sede occorre inoltre richiamare l'entrata in vigore delle direttive «UCITS IV», acronimo col quale si identificano complessivamente le direttive cosiddette di «primo livello» (2009/65/CE) e di «secondo livello» (2010/42/UE e 2010/43/UE), che sostituiranno, abrogandola espressamente, la disciplina già contenuta nella direttiva 85/611/CEE in tema di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) armonizzati. Tali direttive disegnano un rinnovato quadro normativo della disciplina comunitaria preesistente, introducendo misure volte a promuovere una migliore integrazione europea del mercato gestito; esse incidono sia sugli obblighi di condotta, sui requisiti organizzativi e sui conflitti di interessi degli intermediari gestori - in relazione ai quali il legislatore sovranazionale ha inteso mutuare le disposizioni di derivazione MiFID - sia per quanto concerne le procedure di notifica della commercializzazione transfrontaliera degli OICR e la struttura e i contenuti della documentazione d'offerta da consegnare o da porre a disposizione degli investitori.
Inoltre, i due regolamenti approvati dalla Commissione europea n. 583/2010 e n. 584/2010 - direttamente applicabili senza necessità di recepimento a livello nazionale - recano modalità di esecuzione della direttiva 2009/65/CE in tema, rispettivamente, di informazioni chiave per gli investitori e di procedure di notificazione per l'offerta transfrontaliera di OICR. Su un livello di ulteriore dettaglio si pongono le linee-guida interpretativo-applicative elaborate dal CESR (Committee of European securities regulators).
Le direttive UCITS IV avrebbero dovuto essere completamente recepite dagli Stati membri entro il 1o luglio 2011. Al riguardo, il Ministero dell'economia e delle finanze ha avviato, in data 7 aprile 2011, una pubblica consultazione sulle modifiche che verrebbero apportate al TUF. Quanto alle attività di recepimento a livello regolamentare, esse hanno interessato diverse norme elaborate dalla CONSOB (tra cui il Regolamento emittenti, approvato dalla CONSOB con delibera


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n. 11971 del 14 maggio 1999). Per il recepimento regolamentare delle direttive prospetto e UCITS-IV è stato avviato dalla CONSOB un procedimento di consultazione, mediante pubblicazione delle proposte di modifica sul sito internet dell'Autorità di vigilanza.
A questo processo di revisione si affiancano due iniziative legislative nuove, in materia di vendite allo scoperto e di derivati over-the-counter (OTC), che riflettono il dibattito emerso dopo la crisi finanziaria e quella del debito sovrano e le proposte avanzate da organismi internazionali quali il Financial Stability Board (FSB).
Nel lungo periodo, un ruolo importante sui mercati finanziari sarà svolto dal processo di revisione della governance economica europea, avviato sulla scia della crisi del debito sovrano di alcuni paesi dell'Europa periferica e che, da marzo 2010, coinvolge i Paesi e gli organismi istituzionali dell'Unione europea. Tale processo mira a realizzare una maggiore salvaguardia della stabilità sistemica dell'area euro, da un lato attraverso un rafforzamento del Patto di stabilità e crescita, dall'altro attraverso l'istituzione di un meccanismo permanente di gestione delle crisi (European Stability Mechanism-ESM) che sostituirà, dal 2013, lo European Financial Stability Facility (EFSF) quale fonte di sostegno finanziario agli Stati membri in difficoltà.

2.3. Le autorità di vigilanza.

L'ordinamento italiano prevede diversi livelli di controllo sul rispetto della disciplina dei mercati finanziari.
Il mercato è infatti regolato in primo luogo dal regolamento adottato dalle società di gestione, che pongono le regole di svolgimento dell'attività, verificandone il rispetto da parte degli operatori di mercato.
Su un piano più generale si collocano i compiti delle Autorità di vigilanza, cui è demandato di vigilare e garantire la tutela degli interessi pubblici inerenti al corretto svolgimento dell'organizzazione e gestione dei mercati. Su tali aspetti interviene la disciplina di legge, integrata da norme secondarie emanate da un complesso di autorità ed organi, competenti secondo il tipo di interesse pubblico di volta in volta coinvolto.
Per quanto concerne i mercati regolamentati di diritto italiano, la CONSOB vi esercita il potere di vigilanza (ai sensi dell'articolo 74, comma 1, del TUF) al fine di assicurare la trasparenza, l'ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori. Essa vigila altresì (in base all'articolo 73 del TUF) sulle società di gestione iscritte in apposito albo.
In attuazione delle disposizioni del TUF concernenti i compiti di vigilanza sui mercati e sugli emittenti di strumenti finanziari, la CONSOB ha adottato, tra gli altri, il Regolamento mercati (Regolamento recante norme di attuazione del TUF in materia di mercati) con delibera n. 16191 del 29 ottobre 2007 (successivamente modificato, da ultimo, con delibera 23 giugno 2010) e il citato Regolamento emittenti (anch'esso modificato, da ultimo, con delibera n. 17731 del 5 aprile 2011).
Quanto al Ministero dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 61 del TUF, esso individua i requisiti degli esponenti e dei partecipanti al capitale delle società di gestione dei mercati e disciplina la materia dei titoli di stato.
Il TUF affida poi specifiche competenze alla Banca d'Italia per quanto concerne l'esercizio e la gestione dei mercati regolamentati all'ingrosso di titoli obbligazionari privati e pubblici diversi da titoli di Stato, di società di gestione di mercati regolamentati di strumenti finanziari derivati su titoli pubblici, su tassi di interesse e su valute, nonché di strumenti del mercato monetario.
Tutte le autorità coinvolte nella gestione e sorveglianza dei mercati devono esercitare, per esplicita previsione di legge (articolo 2 del TUF) i poteri loro attribuiti in armonia con le disposizioni comunitarie; esse applicano inoltre i regolamenti e le decisioni dell'Unione Europea e provvedono


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in merito alle raccomandazioni concernenti le materie disciplinate dal medesimo Testo Unico.
L'esercizio dei mercati regolamentati è autorizzato dalla CONSOB (in base all'articolo 63 del TUF) in presenza di specifiche condizioni che riguardano sia la struttura, le risorse e l'amministrazione della società di gestione del mercato, sia il regolamento del mercato. I mercati autorizzati sono iscritti in un apposito elenco. L'autorizzazione può essere revocata in presenza di specifiche condizioni (articolo 75 del TUF).

2.4. I mercati regolamentati.

L'articolo 4, paragrafo 1, n. 14), della direttiva MiFID definisce come «mercato regolamentato» un sistema multilaterale, amministrato e/o gestito dal gestore del mercato, che consente o facilita l'incontro - al suo interno ed in base alle sue regole non discrezionali - di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti relativi a strumenti finanziari ammessi alla negoziazione conformemente alle sue regole e/o ai suoi sistemi, e che è autorizzato e funziona regolarmente e ai sensi delle disposizioni del titolo III della direttiva medesima. L'articolo 47 della direttiva impone a ciascuno Stato membro di compilare l'elenco dei mercati regolamentati di cui è lo Stato membro d'origine, con obbligo di comunicare all'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati ogni modifica del predetto elenco.
I mercati regolamentati riconosciuti ai sensi dell'ordinamento comunitario sono iscritti (ai sensi dell'articolo 67, comma 1, del TUF) dalla CONSOB in un'apposita sezione del citato elenco previsto dall'articolo 63, comma 2, del TUF.
Accanto ai mercati italiani e a quelli riconosciuti ai sensi dell'ordinamento comunitario, è data facoltà alla CONSOB, previa stipula di accordi con le corrispondenti autorità, di riconoscere mercati esteri di strumenti finanziari diversi da quelli riconosciuti dall'ordinamento comunitario (articolo 67, comma 2, del TUF), al fine di estenderne l'operatività sul territorio della Repubblica. Per quanto riguarda la richiesta di riconoscimento presso Stati extracomunitari di mercati gestiti da società italiane, è obbligatorio il previo nulla osta della CONSOB e la stipula di accordi con le corrispondenti autorità estere (articolo 67, comma 3, del TUF).

2.5. L'organizzazione e il funzionamento del mercato e delle società di gestione: il regolamento del mercato.

Nel contesto dei mercati regolamentati la normativa nazionale pone diverse incombenze a capo della società di gestione (in base all'articolo 64 del TUF): tra di esse vi è la predisposizione delle strutture e la fornitura dei servizi del mercato, ma precipuamente il compito di disporre l'ammissione, l'esclusione e la sospensione degli strumenti finanziari e degli operatori dalle negoziazioni, comunicando immediatamente le proprie decisioni alla CONSOB.
Inoltre, la società di gestione comunica alla CONSOB le violazioni del regolamento del mercato, segnalando le iniziative assunte e provvede agli altri compiti a essa eventualmente affidati dalla CONSOB stessa. La CONSOB ha invece il potere di ammettere, escludere e sospendere le negoziazioni degli strumenti finanziari emessi da una società di gestione.
L'esecuzione delle decisioni di ammissione alle negoziazioni di azioni ordinarie, di obbligazioni e di altri strumenti finanziari emessi da soggetti diversi dagli Stati membri dell'Unione europea, dalle banche comunitarie e dalle società con azioni quotate in un mercato regolamentato, nonché delle decisioni di esclusione di azioni dalle negoziazioni è sospesa finché non siano trascorsi cinque giorni dal ricevimento della relativa comunicazione da parte della CONSOB, che può esercitare il potere di veto (ai sensi del già citato articolo 64 del TUF) sull'esecuzione delle decisioni di ammissione e di esclusione, ovvero può ordinare la revoca di una decisione di sospensione degli strumenti


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finanziari. In rapporto ai predetti poteri l'Autorità ha un generale potere di richiesta di informazioni alla società di gestione. Sono previste regole parzialmente diverse per i mercati armonizzati: la CONSOB rende pubbliche le proprie decisioni di chiedere alla società di gestione l'esclusione o la sospensione degli strumenti finanziari e degli operatori dalle negoziazioni, informandone le autorità competenti degli Stati membri dei mercati regolamentati nei quali lo strumento finanziario oggetto della decisione è ammesso a negoziazione.
Nello specifico, in Italia, Borsa Italiana S.p.A. opera dal 2 gennaio 1998 in qualità di società di gestione dei mercati. L'articolazione dei mercati di Borsa italiana - incluse le rispettive regole di partecipazione - è effettuata in relazione a classi di strumenti finanziari. Ciò si è tradotto nella seguente articolazione:
Mercato telematico azionario, o MTA;
Mercato telematico dei cosiddetti Securitised Derivative Exchange, SeDeX, dedicato agli strumenti finanziari cartolarizzati, come i certificate e i covered warrant;
Mercato telematico degli OICR aperti, cosiddetto ETF-plus;
Mercato telematico delle obbligazioni - MOT (dedicato prevalentemente alla negoziazione di obbligazioni e di titoli di Stato, ma anche di obbligazioni corporate e principalmente rivolto alla clientela retail);
Mercato telematico degli Investment vehicles - MIV, dedicato alla negoziazione di società di investimento mobiliare a fondi chiusi;
Mercato degli strumenti derivati - IDEM, dedicato alla negoziazione di strumenti finanziari, ma anche di derivati sull'energia elettrica - IDEX.

Borsa Italiana SpA ha progressivamente integrato l'intera filiera dei servizi di negoziazione attraverso l'acquisizione della Cassa di compensazione e garanzia e successivamente della Monte Titoli. Essa ha anche acquisito il Mercato telematico dei titoli di Stato - MTS, dove si negoziano titoli di Stato italiani, ma anche di altri Paesi europei.
Il 1o ottobre 2007 Borsa Italiana SpA si è integrata con il London Stock Exchange. Dalla fusione è nato il London Stock Exchange Group, che è quotato sulla Borsa di Londra, con azionariato diffuso.
Per quanto concerne il regolamento del mercato, esso è deliberato dagli organi della società di gestione (ai sensi dell'articolo 62 del TUF). La formulazione vigente del Regolamento dei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.A è stata deliberata dall'Assemblea di Borsa Italiana del 16 luglio 2010 ed è stata approvata dalla CONSOB con delibera n. 17467 del 7 settembre 2010.
Esso determina:
a) le condizioni e le modalità di ammissione, di esclusione e di sospensione degli operatori e degli strumenti finanziari dalle negoziazioni;
b) le condizioni e le modalità per lo svolgimento delle negoziazioni e gli eventuali obblighi degli operatori e degli emittenti;
c) le modalità di accertamento, pubblicazione e diffusione dei prezzi;
d) i tipi di contratti ammessi alle negoziazioni, nonché i criteri per la determinazione dei quantitativi minimi negoziabili;
e) le condizioni e le modalità per la compensazione, liquidazione e garanzia delle operazioni concluse sui mercati.

I criteri generali ai quali il regolamento del mercato deve adeguarsi in tema di ammissione di strumenti finanziari alle negoziazioni, sospensione ed esclusione di strumenti finanziari dalle negoziazioni, nonché di modalità per assicurare la pubblicità del regolamento del mercato, sono individuati dalla CONSOB: in particolare, le regole adottate devono essere chiare e trasparenti, e tali da assicurare una negoziazione sui mercati regolamentati che


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avvenga in modo equo, ordinato ed efficiente e, nel caso dei valori mobiliari, in modo che questi ultimi siano liberamente negoziabili.

2.6. I sistemi di negoziazione diversi dai mercati regolamentati.

Il decreto legislativo n. 164 del 2007 ha introdotto nel TUF la disciplina dei sistemi multilaterali di negoziazione (cosiddetti MTF), in ottemperanza a quanto previsto dalla direttiva MiFID, che li definisce (all'articolo 4, paragrafo 1, n. 15) come sistemi multilaterali gestiti da un'impresa di investimento o da un gestore del mercato che consentono l'incontro - al proprio interno ed in base a regole non discrezionali - di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari. Si tratta di sistemi di negoziazione alternativi ai mercati regolamentati di tipo multilaterale, il cui esercizio è riservato ad imprese di investimento, banche e gestori dei mercati regolamentati.
L'articolo 77-bis del TUF affida al potere regolamentare della CONSOB l'individuazione dei requisiti minimi di funzionamento dei sistemi multilaterali di negoziazione.
Il Titolo III del Regolamento mercati affida ai soggetti abilitati e alle società che gestiscono un sistema multilaterale di negoziazione il compito di predisporre e mantenere regole e procedure trasparenti e non discrezionali, atte a garantire un processo di negoziazione equo ed ordinato e criteri obiettivi per un'esecuzione efficace degli ordini. Devono altresì essere garantiti livelli sufficienti di informazione agli utenti e devono essere eseguite le istruzioni della CONSOB in merito alla sospensione o esclusione di strumenti finanziari dalla negoziazione. Il Regolamento mercati prevede altresì (all'articolo 20) specifici obblighi di comunicazione alla CONSOB da parte dei sistemi multilaterali di negoziazione.
La CONSOB, per quanto concerne i sistemi multilaterali di negoziazione, esercita poteri analoghi (articolo 77-bis, comma 2, del TUF) a quelli previsti per i mercati regolamentati, ancorché meno stringenti.
A seguito dell'emanazione della MiFID in Italia sono stati avviati due mercati, il MAC (Mercato alternativo del capitale), attivo dal settembre 2007, e l'AIM - (Alternative investment market) Italia, attivo dal maggio 2009. Anch'essi sono organizzati e gestiti da Borsa Italiana, con lo scopo di consentire un avvio a quotazione semplificata per le piccole e medie imprese. Il MAC è destinato ai soli investitori istituzionali, mentre l'AIM consente l'accesso anche agli investitori retail, ed ha l'obiettivo di mettere a disposizione delle imprese italiane un modello di mercato che si ispirasse all'esperienza dell'AIM britannico, il quale ha avuto la capacità di portare a quotazione oltre 2.500 imprese negli ultimi dodici anni.
Gli «internalizzatori sistematici» costituiscono sistemi di negoziazione alternativi ai mercati regolamentati, di tipo bilaterale, in contropartita diretta dell'intermediario con il cliente, il cui esercizio è riservato ad imprese di investimento, banche e gestori di mercati regolamentati. La direttiva MiFID (all'articolo 4, paragrafo 1, n. 7) li definisce come imprese di investimento che in modo organizzato, frequente e sistematico negoziano per conto proprio, eseguendo gli ordini del cliente al di fuori di un mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione.
L'avvio dell'attività di internalizzatore sistematico (ai sensi dell'articolo 21 del Regolamento mercati) obbliga i soggetti a comunicare tempestivamente alla CONSOB una serie di elementi: tra di essi, i documenti da cui emerga con chiarezza che l'attività riveste un ruolo commerciale importante ed è condotta in base a regole e procedure non discrezionali; gli strumenti finanziari sui quali si intende svolgere l'attività; la data di avvio dell'attività per ciascuno strumento finanziario. Sono comunicati tempestivamente alla CONSOB i cambiamenti nelle informazioni trasmesse. È previsto il mantenimento e la pubblicazione di un elenco, a cura della


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CONSOB, degli internalizzatori sistematici sulle azioni ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato.

2.7. La disciplina sulla quotazione.

L'ammissione a quotazione e alla negoziazione può essere assegnata alla società di gestione del mercato (secondo uno schema seguito da tutti i Paesi dell'Europa continentale), oppure fare capo rispettivamente all'Autorità di vigilanza e alla società di gestione del mercato (secondo lo schema adottato dal Regno Unito). In entrambi i casi è richiesta l'approvazione del prospetto informativo da parte dell'Autorità di vigilanza.
La scelta del legislatore del TUF è stata quella di affidare la funzione del listing alla società di gestione del mercato, separandola dalla funzione di controllo del prospetto, affidata invece alla CONSOB.
Il Regolamento dei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.A (che, come ricordato in precedenza, è stato deliberato dall'Assemblea di Borsa Italiana del 16 luglio 2010 e approvato dalla Consob con delibera n. 17467 del 7 settembre 2010) disciplina la partecipazione degli operatori ai mercati da essa gestiti, definendo i soggetti che possono partecipare direttamente alle negoziazioni e le condizioni minime che gli stessi devono soddisfare in termini di requisiti di partecipazione e di capacità di gestire i processi di liquidazione e clearing dei contratti conclusi sui mercati, nonché la quotazione degli strumenti finanziari. Tali condizioni sono verificate sia ai fini dell'ammissione (in sede di domanda) sia ai fini della permanenza alle negoziazioni (in via continuativa). Le imprese, infatti, possono chiedere l'ammissione alla negoziazione sia su mercati regolamentati, sia su mercati non regolamentati (Sistemi multilaterali di negoziazione - MTF).
La disciplina dell'ammissione alla quotazione nei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana SpA è recata dal predetto Regolamento dei mercati (all'articolo 2).
Come accennato in precedenza, l'accesso ad un mercato regolamentato presuppone il possesso di una serie di requisiti, concernenti, tra l'altro, la presenza di adeguati meccanismi di governo societario e di disclosure dell'informazione societaria. Taluni di essi hanno carattere generale, mentre sussistono anche requisiti specifici che valgono per ogni mercato regolamentato e per ogni strumento finanziario.
Per quanto riguarda il mercato azionario, possono essere ammesse alla quotazione le azioni rappresentative del capitale di emittenti che abbiano pubblicato e depositato i bilanci, anche consolidati, degli ultimi tre esercizi annuali, di cui almeno l'ultimo corredato da un giudizio della società di revisione. L'ammissione alla quotazione non può essere disposta se la società di revisione ha espresso un giudizio negativo, ovvero si è dichiarata impossibilitata a esprimere un giudizio.
Ai fini dell'ammissione alla quotazione, le azioni devono avere una capitalizzazione di mercato prevedibile pari almeno a 40 milioni di euro, salva la possibilità di Borsa Italiana di ammettere azioni con capitalizzazione inferiore, ove reputi che per tali azioni si formerà un mercato sufficiente. Esse devono avere altresì una sufficiente diffusione, che si presume realizzata quando le azioni siano ripartite tra il pubblico per almeno il 25 per cento del capitale rappresentato dalla categoria di appartenenza, salvo che Borsa Italiana reputi sussistente tale requisito quando il valore di mercato delle azioni possedute dal pubblico faccia ritenere che le esigenze di regolare funzionamento del mercato possano essere soddisfatte anche con una percentuale inferiore alla predetta.
L'ammissione di uno strumento finanziario alla quotazione è costituita dall'inserimento per la prima volta di un titolo nel listino di una borsa valori.
La quotazione avviene su domanda, presentata dall'emittente, previa delibera dei competenti organi, ma anche in assenza di una richiesta da parte del soggetto emittente (ad esempio, su domanda di un operatore aderente al mercato).
Entro due mesi dal giorno in cui è stata completata la documentazione da produrre


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(sono previsti termini inferiori per il mercato AIM Italia), Borsa Italiana delibera e comunica all'emittente l'accoglimento o il rigetto della domanda, con contestuale comunicazione alla CONSOB.
Lo sponsor (secondo l'articolo 2.3.1 del Regolamento dei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana) è l'intermediario autorizzato avente il compito seguire l'emittente nel processo di quotazione, con lo scopo di collaborare con l'emittente nella procedura di ammissione degli strumenti finanziari, ai fini di un ordinato svolgimento della stessa (articolo 2.3.4 del Regolamento), ne garantisce l'affidabilità del business plan e agevola i contatti con analisti e investitori. La presenza dello sponsor è obbligatoria qualora l'emittente non abbia altri strumenti già quotati e intenda presentare a Borsa Italiana domanda di ammissione di alcuni specifici strumenti finanziari (di cui all'articolo 2.1.1, paragrafo 1, lettere a), c), d) del predetto Regolamento): azioni e titoli analoghi, warrant e assimilabili, quote di fondi chiusi, comprese le azioni di investment companies, di real estate investment companies e di SIV) ovvero quando, a seguito di gravi infrazioni a norme del Regolamento o di altri regolamenti o discipline applicabili, Borsa Italiana richieda che sia nominato uno sponsor per assistere l'emittente negli adempimenti dovuti.
Possono svolgere attività di sponsor (ai sensi dell'articolo 2.3.2 del Regolamento) le banche, le SIM, le imprese di investimento e gli intermediari finanziari iscritti negli appositi elenchi. Lo sponsor, che non può far parte del gruppo cui l'emittente appartiene o che fa capo all'emittente, svolge anche alcune funzioni successive all'ammissione a quotazione; tra l'altro (ai sensi dell'articolo 2.3.4, punto 3, del Regolamento) esso si deve impegnare a pubblicare almeno due analisi finanziarie all'anno sulla società e brevi analisi in occasione di eventi di rilievo straordinario per la società, nonché ad organizzare incontri tra il management della società e la comunità finanziaria almeno due volte l'anno.
Nel Mercato alternativo del capitale (MAC) è previsto che l'avvio in quotazione sia garantito da uno sponsor, che deve assistere l'emittente per almeno un triennio. Nell'AIM, invece, è presente la figura del Nomad (Nominated Advisor), soggetto avente il compito di controllare e sostenere le aziende quotate per quanto riguarda la governance, la compliance e la comunicazione verso il mercato.
Il prospetto di quotazione è il documento, redatto dall'emittente o dalla persona che chiede l'ammissione alle negoziazioni, che deve essere approvato dalla CONSOB e pubblicato prima della data stabilita per l'avvio delle negoziazioni (ai sensi dell'articolo 113 del TUF).
I contenuti e la struttura del prospetto sono disciplinati dal Regolamento 809/2004/CE, direttamente applicabile in tutti i Paesi membri. La disciplina comunitaria prevede che le Autorità debbano compiere controlli relativamente alla completezza, coerenza e comprensibilità delle informazioni. Esso deve comprendere alcuni elementi fondamentali, tra cui le informazioni relative ai proventi raccolti a fronte dell'emissione ed al loro utilizzo, la consistenza dei fondi propri e dell'indebitamento finanziario, l'attività dell'emittente ed eventualmente del gruppo di appartenenza, gli organi di gestione, di controllo e supervisione, i bilanci, il regime fiscale applicabile agli strumenti finanziari da quotare.
In tale contesto merita segnalare come, in attesa dell'adozione delle necessarie norme di recepimento della citata direttiva prospetto (elencata nell'Allegato A al disegno di legge comunitaria 2010, A.C. 4059), la CONSOB abbia posto in consultazione una bozza di modifica al Regolamento emittenti. L'Autorità reputa infatti che, attraverso le deleghe regolamentari attualmente contenute nel TUF, sia possibile recepire nel Regolamento la maggior parte delle nuove disposizioni. Le principali modifiche adottate dal legislatore comunitario, da un lato, hanno lo scopo di semplificare e migliorare l'applicazione delle norme sul prospetto in modo da accrescere l'efficienza e la competitività


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internazionale delle imprese dell'Unione europea, mediante una riduzione degli oneri amministrativi a carico degli emittenti e degli altri operatori, nel rispetto della tutela degli investitori; dall'altro lato, sono volte a fornire chiarimenti interpretativi e a favorire il coordinamento tra le varie disposizioni comunitarie.

2.8. La disciplina sulla negoziazione.

Alla CONSOB è attribuito un generale potere di vigilanza sulla negoziazione dei titoli, finalizzato a garantire l'effettiva integrazione di tutti mercati e il rafforzamento dell'efficacia del processo di formazione dei prezzi.
In tal senso, essa ha un potere di regolamentazione della fase di pre-negoziazione, in particolare disciplinando il regime di trasparenza per le operazioni aventi ad oggetto azioni ammesse alla negoziazione nei mercati regolamentati, effettuate nei mercati medesimi, nei sistemi multilaterali di negoziazione e dagli internalizzatori sistematici. Per quanto concerne la fase post-negoziale, essa disciplina il regime di trasparenza delle operazioni aventi ad oggetto azioni ammesse alla negoziazione nei mercati regolamentati, effettuate nei mercati medesimi, nei sistemi multilaterali di negoziazione e dai soggetti abilitati. Tale potere è esercitato sentita la Banca d'Italia, per i mercati che ne richiedono la competenza. Il regime di trasparenza può essere esteso, ove necessario per assicurare l'ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela dell'investitore, anche alle operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari diversi dalle azioni ammesse a negoziazione nei mercati regolamentati.
Di conseguenza, la fase della negoziazione dei titoli sui mercati gestiti da Borsa Italiana è disciplinata dalla normativa primaria (TUF), dai regolamenti delle Autorità preposte alla vigilanza e, operativamente, dal Regolamento della società di gestione del mercato.
In particolare, la parte 4 del Regolamento di Borsa Italiana si occupa sia degli strumenti ammessi, sia delle modalità di negoziazione sul mercato. Tali modalità risultano sostanzialmente omogenee, pur presentando specifiche peculiarità a seconda della tipologia di strumenti trattati e della fascia di mercato.

3. SINTESI DELLE AUDIZIONI

L'analisi delle audizioni svolte consente, oltre che di fornire un quadro di dati generali sulla situazione dei mercati degli strumenti finanziari in Italia, di enucleare due principali ordini di tematiche, distinte ma in parte connesse tra loro:
1) quelle relative al rapporto tra le caratteristiche dei mercati degli strumenti finanziari e le modalità di finanziamento delle imprese, in particolare di piccole e medie dimensioni;
2) quelle attinenti alle criticità presenti nell'attuale assetto normativo e di vigilanza, con particolare riferimento alle esigenze di armonizzazione e coordinamento, a livello quantomeno europeo, del quadro regolatorio, di miglioramento delle tutele a favore degli investitori e di semplificazione degli oneri a carico degli emittenti, anche in questo caso con particolare riferimento ai soggetti di dimensioni minori.

3.1. Gli elementi quantitativi di contesto.

Il primo elemento di contesto riguarda il fatto che il sistema finanziario italiano appare strutturalmente caratterizzato dal ruolo dominante delle società bancarie nei flussi di intermediazione, dal momento che i canali di finanziamento non bancario, a causa della struttura storica dell'economia nazionale, risultano poco sviluppati, sia nella componente di finanziamento fornita dalla Borsa, sia in quella dei canali di finanziamento mobiliari indipendenti dalle banche.
Questo elemento di arretratezza del sistema finanziario italiano stride con alcune caratteristiche del Paese evidenziate nel corso dell'indagine. Infatti il risparmio italiano, secondo quanto rilevato da Assogestioni,


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è il più ampio nell'area G7, essendo pari ad otto volte il prodotto interno lordo, laddove negli altri Paesi più ricchi dell'area G7 tale rapporto è pari solo a cinque volte. Il 60 per cento di questo risparmio è investito in immobili e il 40 per cento, pari a tre trilioni e mezzo di euro, è investito in strumenti di carattere finanziario.
Nonostante tale ricchezza potenziale di risorse, la Borsa italiana appare limitata sia in valore assoluto, sia in relazione al PIL: mentre a Francoforte - secondo i dati forniti da Assonime - ci sono 931 imprese domestiche quotate, a Parigi 765 e a Londra 656, in Italia a fine 2010 le società quotate erano 286, di cui 19 negoziate sui segmenti specializzati per le piccole e medie imprese, lo stesso numero del 2000. Nel decennio sono state ammesse a quotazione 160 società e altrettante sono uscite.
La capitalizzazione di Borsa in rapporto al PIL, a fine 2010, era pari al 27 per cento, ma è molto variabile in relazione agli andamenti complessivi dei mercati: essa era infatti pari al 70 per cento del 2000, ma al 17-18 per cento del 1995. Essa resta comunque molto bassa nel confronto con gli altri Paesi: 157 per cento nel Regno Unito, 90 per cento in Francia e 50 per cento in Germania. In valori assoluti, nel 2010, la capitalizzazione complessiva delle società quotate sui mercati gestiti da Borsa italiana Spa è di 430 miliardi di euro, contro i 4.400 miliardi di euro delle società quotate sul London Stock Exchange.
Fra il 2001 e il 2010 il numero delle società quotate domestiche è rimasto sostanzialmente invariato (appena al di sotto delle 300 unità) e il peso della capitalizzazione sul PIL si è quasi dimezzato; i dividendi (e i riacquisti di azioni proprie) hanno sopravanzato gli aumenti di capitale e ogni anno agli azionisti sono state restituite risorse pari in media al 2,6 per cento della capitalizzazione.
Tale andamento poco soddisfacente risulta ancora più negativo se posto a confronto con la realtà europea, in quanto, nonostante il forte rallentamento che si è registrato nel corso del 2009, nel solo primo trimestre del 2010, le borse europee hanno visto 77 initial public offer (IPO), per un valore pari a 4.671 milioni di euro, e la sola Borsa di Londra ha registrato nel medesimo trimestre ben 20 IPO, per un controvalore raccolto di 2.092 milioni di euro.
Il limitato sviluppo in Italia della finanza non bancaria incide evidentemente anche sulle modalità di finanziamento del sistema imprenditoriale. Mentre in Europa la percentuale degli strumenti di finanziamento diretto sui mercati (obbligazioni e azioni quotate), sul complesso delle risorse finanziarie utilizzate dalle imprese, è inferiore alla metà di quella raggiunta dai prestiti (le due fonti di finanziamento tendono invece ad equivalersi se si ha riguardo alla Gran Bretagna), al contrario, in Italia la somma di obbligazioni e azioni quotate supera di poco il 12 per cento delle passività totali, contro un valore dei prestiti prossimo al 50 per cento. Le modalità di finanziamento delle piccole e medie imprese si connotano pertanto per la prevalenza del ricorso all'autofinanziamento e al credito bancario. Nell'ambito dei debiti finanziari complessivi, in particolare, è significativa l'incidenza dei debiti finanziari a breve, attestatasi nel periodo 1998-2007 intorno al 60 per cento.
La prevalenza del ricorso al finanziamento bancario è certamente connessa con le caratteristiche dimensionali del tessuto imprenditoriale italiano, il quale risulta estremamente frammentato, con 85.000 aziende con più di 20 dipendenti e soltanto 3.500 con più di 250 dipendenti, ed è connotato da assetti proprietari concentrati. Questa condizione incide evidentemente sulla cultura imprenditoriale del Paese, nella quale prevale ancora il timore che la presenza di soci estranei possa condurre gradualmente alla perdita del controllo sulla società. A testimonianza di ciò basti rilevare come nel periodo 1998-2010 il numero di società controllate di diritto o di fatto sia aumentato da 156 a 178, sebbene il peso in termini di capitalizzazione sia calato di 8 punti percentuali,


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mentre la quota media detenuta dal primo azionista è rimasta pressoché stabile, passando dal 47 al 45 per cento.
In particolare, nell'ambito delle piccole e medie imprese, che rappresentano il 99,9 per cento del totale delle imprese non finanziarie e impiegano l'80 per cento della forza lavoro, solo lo 0,5 per cento fa ricorso alla raccolta di risparmio presso il pubblico.
Per altro verso, la debolezza dei canali di finanziamento non bancari presenta alcune componenti strutturali, tra cui, in primo luogo, il basso peso degli investitori istituzionali, segnatamente dei fondi pensione, la cui crescita è stata storicamente ostacolata dal peso preponderante della previdenza pubblica e dal trattamento fiscale sfavorevole del risparmio pensionistico privato.
La quota di capitalizzazione di Borsa detenuta da investitori istituzionali (banche incluse), rispetto alla capitalizzazione totale del mercato, è infatti pari solo al 28 per cento, mentre negli Stati Uniti e nell'Unione europea tale rapporto è pari al 65 per cento e nel Regno Unito raggiunge l'81 per cento. Secondo l'ABI, tale situazione sarebbe determinata in parte dall'assenza di armonizzazione fiscale.
Gli altri investitori istituzionali sono prevalentemente all'interno di istituzioni bancarie, il che ne limita la capacità di collocamento nelle fasi di crisi.
D'altra parte, è emerso come un ulteriore elemento di interferenza sullo sviluppo dei mercati dei capitali di rischio sia dato dal fatto che il sistema bancario è anch'esso un collocatore di obbligazioni proprie presso la clientela, la metà delle quali viene collocata presso i clienti cosiddetti retail (talvolta anche con rendimenti inferiori a quelli dei titoli di Stato), anche perché le regole sul capitale di Basilea, che tuttora consentono accantonamenti ridotti di capitale su questa forma di impiego, conducono in questa direzione.
Si registra inoltre una scarsa propensione del sistema bancario a promuovere canali «diretti» di raccolta finanziaria, anche in considerazione dei molteplici ruoli che le banche rivestono in questo settore: esse infatti intervengono i tutti i passaggi del processo di quotazione delle imprese, dal collocamento alla gestione dei titoli sul mercato.
In tale quadro piuttosto statico, un elemento di novità che è stato segnalato riguarda il relativo risveglio del comparto del private equity. Complessivamente, secondo i dati forniti dalla Banca d'Italia, il numero di operatori di private equity fra il 2000 e il 2010 è passato da 84 a 188. Nello stesso decennio l'attività dei fondi di private equity gestiti da società di gestione del risparmio (SGR) è cresciuto da 580 milioni a 5,8 miliardi di euro.
Un altro elemento che certamente condiziona l'accesso alla quotazione di borsa è costituito dai costi di quotazione. A tale riguardo occorre evidenziare tuttavia come nel corso delle audizioni sia emersa la difficoltà di determinarli con esattezza, dato che essi dipendono in modo rilevante dalla natura dell'intermediario.
In linea generale, secondo i dati forniti in audizione da alcuni esperti, i costi fissi per la quotazione sul mercato MAC si possano agevolmente contenere tra 100.000 e 200.000 euro per le piccole operazioni, più una percentuale sul controvalore collocato. Per «costi fissi» si intende il totale dei costi, compresi i corrispettivi per l'intermediario, i consulenti legali e i revisori. Per la quotazione sul mercato AIM Italia, i costi salgono, collocandosi tra 200.000 e 300.000 euro, più una percentuale sul controvalore collocato. Ovviamente, se il capitale è già collocato tra una pluralità di investitori, i costi sono più contenuti, perché non si pagano le commissioni sul collocamento. Passando ai mercati regolamentati, i costi sono ancora superiori, a seconda della complessità del collocamento, e possono giungere, nel caso di operazioni particolarmente articolate, nelle quali è necessario ricorrere in maniera più ampia a professionalità particolarmente qualificate, anche a milioni di euro.


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3.2. I mercati dei capitali ed i canali di finanziamento delle imprese.

Rispetto alla tematica del finanziamento delle imprese, che è stata affrontata dalla totalità degli auditi, alcuni hanno messo in evidenza come raramente la quotazione in Borsa sia utilizzata come canale di finanziamento per nuove iniziative o per operazioni di aggregazione, ma sia spesso utilizzata per rafforzare le strutture finanziarie delle imprese dopo periodi di forte indebitamento, anche legati a progetti di sviluppo, ovvero in occasione di passaggi intergenerazionali o di trasferimenti di proprietà, soprattutto nel caso di assetti di controllo di tipo familiare. Molto spesso tali interventi sono realizzati, in una prima fase, facendo ricorso all'indebitamento e, in una seconda fase, attraverso operazioni sul capitale.
A tali questioni si aggiunge un'altra problematica di fondo: ancora non esiste un ambiente economico, sociale e culturale favorevole al capitale privato, e paradossalmente mostrare un'elevata capitalizzazione, soprattutto per le medie o piccole imprese, espone a rischi psicologici di confisca, sia essa normativa o fiscale, che inducono gli imprenditori a una maggiore prudenza e generano maggiore riluttanza a quotarsi.
Alcuni esperti hanno inoltre segnalato come un'ulteriore remora alla quotazione sia costituita dalle caratteristiche del sistema tributario italiano, sia per quel che riguarda la tassazione sulle imprese, sia per quel che riguarda la tassazione degli investitori, in particolare per quanto attiene al trattamento delle minusvalenze. È stato infatti evidenziato come uno degli elementi che possono maggiormente scoraggiare l'investitore rispetto ad un investimento in titoli quotati di un'impresa, soprattutto di medie dimensioni, è costituito dai limiti alla deducibilità delle eventuali minusvalenze che emergessero su quel titolo.
D'altra parte, anche il ruolo delle borse sui mercati internazionali sta cambiando: negli ultimi dieci anni il sistema si è indebolito rispetto all'evoluzione dei mercati, in parte perché non sussiste più una simmetria tra andamenti dell'economia reale ed andamento dei corsi borsistici. Dall'altro lato, le oscillazioni e le instabilità dei mercati finanziari sono talmente rilevanti, soprattutto sotto le ondate di natura speculativa, che per le imprese medie e piccole aumenta il rischio che, in ragione della minore liquidità dei loro titoli sul mercato, essi possano essere più facilmente oggetto di tensioni speculative al rialzo o al ribasso.
Peraltro, come sottolineato dall'amministratore delegato di Borsa italiana Spa, i mercati azionari hanno confermato la centralità del proprio pool di liquidità, mantenendo una quota di mercato superiore all'80 per cento. Inoltre, Borsa italiana è la società che ha mantenuto la quota di mercato più elevata all'interno del mercato europeo. Le 267 società che sono state ammesse a quotazione sui mercati di Borsa italiana nei suoi 12 anni di attività hanno potuto raccogliere circa 53 miliardi di euro, nonché altri 116 miliardi attraverso aumenti di capitale. Il maggior contributo alla crescita in questo settore è venuto dalle piccole e medie imprese, 189 delle quali si sono quotate in Borsa in tale periodo per finanziare progetti imprenditoriali con capitale di rischio.
Contestualmente, molte imprese hanno cominciato a scoprire i benefici degli aumenti privati di capitale, che evitano il ricorso alla Borsa e i relativi costi di quotazione: a tale riguardo è stato evidenziato come per le aziende italiane, che devono essere rafforzate sotto il profilo patrimoniale e crescere dimensionalmente, tale aspetto appaia essenziale.
In sintesi, sul piano dell'offerta di titoli, la borsa italiana presenta una parte «alta» del listino (cioè quella composta dalle società a più elevata capitalizzazione) - con pochissime grandi imprese manifatturiere, le grandi banche e le assicurazioni e le cosiddette imprese privatizzate, per lo più utilities - che resta alquanto chiusa all'apporto di capitale da parte del mercato, anche per l'esigenza di mantenere stabili gli assetti di controllo: la


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stabilità è considerata un fattore dominante in termini di utilità marginale rispetto alla contendibilità, anche a scapito della capacità di attrazione di investitori internazionali.
La parte «bassa» del listino (cioè quella costituita da società a capitalizzazione minore) è composta invece dai principali protagonisti del made in Italy, vale a dire da quelle medie imprese che sono riuscite ad internazionalizzarsi con successo, e che costituiscono il patrimonio essenziale di competitività del sistema nazionale.
A questo proposito molti dei soggetti auditi hanno messo in evidenza come esistano almeno ulteriori 1.000 imprese che potrebbero essere quotate con ottimi risultati, ma che non entrano nel listino, ovvero, se accedono alla quotazione, a volte ne escono o sono oggetto esse stesse di operazioni sul capitale.
In mancanza di un listino aperto, mobile e incentivante, le imprese quotate rischiano paradossalmente di valere meno di ciò che varrebbero se non fossero quotate: pertanto, molte società che potrebbero aspirare alla quotazione preferiscono presidiare la propria nicchia di mercato, sfruttando l'abilità artigianale che loro consente di realizzare prezzi di vendita mediamente superiori del 6 per cento a quelli dei concorrenti meno qualificati. Del resto, secondo una recente indagine svolta da Mediobanca-Unioncamere, le PMI sembrano in grado con il proprio patrimonio di far fronte interamente agli investimenti in beni durevoli e anche a quelli finanziari. Fatto cento il valore del totale dell'attivo «tangibile» (marchi, avviamenti e altre attività immateriali escluse), i mezzi propri delle medie imprese italiane sono infatti pari al 46,8 per cento, e risultano dunque superiori all'ammontare degli attivi immobilizzati, che sono il 44,1 per cento (rispetto al 29 per cento dell'attivo tangibile e al 55 per cento delle immobilizzazioni nelle grandi imprese).
La mancanza di elementi di attrattività nel mercato borsistico, nonché alcuni limiti di natura fiscale e regolamentare impediscono di elevare la dimensione delle imprese medie.
In tale ambito la maggior parte degli auditi ha sottolineato l'esigenza di far crescere il ruolo del mercato azionario, in modo da bilanciare la centralità del credito bancario nel modello di finanziamento delle imprese italiane, con la consapevolezza che la soluzione preferibile risiede nella combinazione, piuttosto che nella contrapposizione, del sistema di finanziamento che fa perno sulle banche e del sistema di finanziamento di mercato.
È stato inoltre rilevato come tale evoluzione appaia quasi obbligata, alla luce della recente normativa in materia di requisiti patrimoniali delle banche (Basilea 3), che verosimilmente comporterà un irrigidimento dei criteri di erogazione del credito e un razionamento per le imprese più rischiose ma potenzialmente più innovative e impegnate nei settori tecnologicamente avanzati. Ciò comporta, nei confronti delle piccole e medie imprese, una restrizione del credito (cosiddetto credit crunch).
In altre parole, le banche, essendo costrette ad accantonare una quantità maggiore di capitale, potrebbero venire progressivamente meno a una delle loro funzioni primarie, ossia quella di fungere da cinghia di trasmissione della politica monetaria, nel senso che quest'ultima, a causa della ritrosia delle banche ad erogare credito, avrà minori possibilità di stimolare l'economia. È dunque sempre più difficile pensare che le banche possano soddisfare completamente l'esigenza delle imprese di finanziare investimenti a medio e lungo termine, anche in quanto i ritorni a medio e lungo termine degli investimenti industriali non sono compatibili con quelli a breve richiesti dalle banche.
In questo contesto l'indagine conoscitiva è stata utile anche per esplorare alcune delle possibilità alternative di finanziamento delle imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni.
A tale riguardo particolare attenzione è stata dedicata al nuovo ruolo che può essere svolto in questo campo da soggetti


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pubblici, segnatamente dalla Cassa depositi e prestiti (CDP), sia in considerazione del ruolo strategico che essa storicamente svolge ai fini del finanziamento allo sviluppo del Paese attraverso la raccolta del risparmio postale (basti pensare, per quanto riguarda le PMI, al plafond PMI, volto a facilitare l'accesso al credito bancario, nonché ai fondi rotativi gestiti dalla stessa CDP destinati a sostenere la capitalizzazione delle PMI), sia alla luce degli interventi legislativi che ne hanno ampliato l'operatività a sostegno dell'economia.
Un ulteriore segmento del mercato dei capitali che ha suscitato l'attenzione della Commissione è stato quello del private equity, il quale, come ricordato in precedenza, ha mostrato alcuni interessanti segnali di risveglio negli ultimi anni.
In questo senso è stata segnalata l'opportunità di sfruttare maggiormente le potenzialità insite nel settore del private equity, che ha il pregio, per quanto riguarda le PMI, di intervenire nel capitale di rischio di aziende non quotate e di privilegiare, a differenza ad esempio dei fondi di investimento e degli hedge fund, un'ottica di medio periodo (dai quattro ai sei anni). È stato infatti evidenziato come l'intervento dei fondi di private equity sia particolarmente adatto alle PMI, in quanto tali fondi non puntano ad una crescita speculativa dei titoli, ma sono interessati a realizzare la valorizzazione dell'investimento perseguendo la crescita industriale dell'impresa, attraverso una partecipazione giornaliera alla gestione della stessa.

3.3. I problemi di regolamentazione e vigilanza.

Un elemento di debolezza del mercato italiano dei capitali è stato altresì individuato nell'eccessiva complessità e nella conseguente onerosità della disciplina giuridica e regolamentare delle società quotate, che deriva in larga misura da normative comunitarie (direttiva prospetto, direttiva transparency e direttiva sugli abusi di mercato), le quali generano costi di compliance alle predette normative insostenibili per le imprese di minori dimensioni, senza che queste ultime possano avvalersi di alcuna effettiva semplificazione, nonostante la recente approvazione dello Small business act da parte dell'Unione europea.
Secondo molti auditi, l'eccessiva complessità delle regole pregiudica infatti lo sviluppo del sistema finanziario e può risultare dannosa per la tutela del risparmiatore, laddove sarebbe invece necessario un sistema di norme chiare e di semplice applicazione, supportato da un sistema sanzionatorio inflessibile.
Sotto questo profilo, la più parte degli auditi ha segnalato in termini negativi come le piccole e medie imprese quotate siano soggette alla stessa disciplina di quelle a più ampia capitalizzazione (cosiddette large cap) e abbiano esattamente gli stessi costi, sebbene non siano portatrici di un rischio di mercato proprio o di un rischio sistemico particolare.
Inoltre è stata criticata la tendenza dei soggetti regolatori a innovare troppo frequentemente la disciplina, nonché a lasciare in vigore le normative precedenti, a fronte di modifiche nella normativa comunitaria e nazionale, pregiudicando in tal modo la certezza del diritto e determinando un ulteriore gap competitivo rispetto ad altri ordinamenti.
È stato altresì evidenziato come le disomogeneità di regolazione possano penalizzare il nostro sistema finanziario, incentivando gli emittenti domestici a scegliere giurisdizioni più permissive; abbassando in tal modo il livello di tutela degli investitori italiani, ai quali gli emittenti (spesso «estero-vestiti») possono comunque continuare a rivolgersi utilizzando lo strumento del cosiddetto «passaporto europeo».
Sotto un profilo più specifico, sono state espresse critiche alla disciplina a livello europeo in tema di prospetti informativi, i quali non solo contengono informazioni non adeguate rispetto alle esigenze conoscitive e alla cultura finanziaria media degli investitori al dettaglio, ma sono sottoposti a prassi di vigilanza molto diverse in ambito nazionale, che vanno


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dalla semplice verifica della presenza delle informazioni richieste dalla disciplina (cosiddetto box ticking) fino a controlli molto pervasivi, che hanno creato opportunità per arbitraggi fra ordinamenti, con il rischio di determinare fenomeni di concorrenza sleale.
Ulteriori aspetti di criticità sono stati evidenziati nella normativa sulla pubblicazione dei documenti relativi alle operazioni straordinarie, nella disciplina delle operazioni con parti correlate e nella normativa in materia di trasparenza, che dovrebbero essere maggiormente coordinate con la normativa europea.
A titolo di esempio, alcuni auditi hanno richiamato le difficoltà di compliance nell'applicazione degli obblighi relativi ai flussi informativi infragruppo per emittenti italiani che possiedono società controllate in altri Paesi europei e che applicano, quindi, criteri diversi. È stato infatti evidenziato come la soglia di comunicazione delle partecipazioni rilevanti, che in Italia è fissata al 2 per cento, risulti diversa da quella prevista dalla normativa comunitaria, che la stabilisce al 5 per cento, e da quella dei principali Paesi, che la stanno innalzando al 3 per cento, con l'effetto incentivare la fuoriuscita di risorse finanziarie verso altri mercati.
Sotto un ulteriore profilo è stata da più parti ribadita la necessità di realizzare piattaforme di negoziazione più trasparenti e continue possibili, di porre rimedio alla frammentazione negli scambi e di istituire, accanto al mercato primario, mercati secondari, trasparenti ed efficienti.
Molti ritengono infatti che la trasparenza dei mercati e nei mercati costituisca lo strumento di tutela più efficace per gli investitori, in quanto rappresenta l'elemento che consente al mercato di introdurre i correttivi necessari, laddove si siano verificati comportamenti irregolari o impropri, oltre a costituire il mezzo più efficiente per favorire la canalizzazione del risparmio privato verso questo settore.
Con specifico riferimento ai costi di quotazione, alcuni auditi hanno rilevato come l'integrazione di Borsa Italiana nel gruppo LSE non abbia sinora generato i ritorni positivi sperati.
Un profilo di possibile criticità, connesso con la predetta integrazione, riguarda anche il ruolo degli azionisti italiani, che potrebbero vedere la propria partecipazione diluita e il numero dei propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione del nuovo gruppo diminuire. La progressiva riduzione del peso degli intermediari italiani nell'azionariato del gruppo potrebbe infatti ridurre la possibilità di valorizzare al meglio le competenze e le infrastrutture del mercato italiano.
Passando quindi ai temi della tutela degli azionisti di minoranza in rapporto allo sviluppo dei mercati di borsa, alcuni auditi hanno messo in evidenza come la corporate governance e i meccanismi cosiddetti endo-societari di tutela delle minoranze rivestono un ruolo assai rilevante per lo sviluppo dei mercati azionari.
Secondo quanto emerso nel corso delle audizioni, se il diritto societario protegge adeguatamente gli azionisti di minoranza, il mercato azionario si sviluppa, il risparmio affluisce alle imprese attraverso la borsa e la proprietà azionaria si estende. Al contrario, mercati azionari poco sviluppati ed un'alta concentrazione degli assetti proprietari possono essere sintomi di una loro insufficiente tutela. Al tempo stesso, in un mercato dei capitali integrato, un eccesso di protezione che aumenta i costi della regolazione può portare a uno spostamento delle attività di intermediazione mobiliare verso ordinamenti più permissivi, attraverso il meccanismo del cosiddetto «passaporto europeo», che consente a imprese e intermediari di raccogliere l'ingentissimo ammontare di risparmio nel nostro Paese per utilizzarlo altrove, rimanendo sottoposti agli standard di vigilanza di altri ordinamenti.
A questo scopo, dall'entrata in vigore del TUF, le regole poste a tutela degli azionisti di minoranza hanno conosciuto innovazioni di rilievo.
È stata aumentata la contendibilità del controllo attraverso una nuova disciplina


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dell'offerta pubblica di acquisto (OPA); sono stati mutuati dai sistemi più avanzati di common law alcuni istituti relativi alla tutela delle minoranze, come la possibilità di esercitare l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori; è stata agevolata la partecipazione alla vita societaria, intervenendo sulle norme per la convocazione dell'assemblea e per l'esercizio del diritto di voto. Inoltre, il regolamento sulle operazioni con parti correlate e gli interventi normativi in materia di remunerazione degli amministratori hanno costituito ulteriori tasselli per potenziare la trasparenza delle società quotate e disciplinarne i conflitti di interessi.
Per quanto attiene alle tematiche relative al sistema di vigilanza sui mercati dei capitali, la diffusione del fenomeno degli arbitraggi fra ordinamenti ha indotto il legislatore comunitario ad assegnare alle nuove Autorità europee recentemente istituite un ruolo importante per garantire l'effettivo allineamento del sistema di regolazione dei mercati finanziari in ambito europeo.
Peraltro, le linee evolutive del quadro regolamentare europeo sembrerebbero indicare un crescente «livellamento del campo di gioco» e una progressiva compressione degli spazi per arbitraggi regolamentari.
Sempre con riferimento alle problematiche di vigilanza, è stato osservato come prevalga a volte, da parte delle autorità competenti e della stessa Borsa, un approccio di carattere eminentemente formale, causando spesso fenomeni di iper-regolamentazione i quali rendono molto difficile, per le società quotate, gestire l'attività quotidiana, soprattutto per quanto riguarda gli adempimenti in materia di comunicazione.
Riguardo all'ammissione a quotazione (il cosiddetto listing), fermi restando i requisiti di trasparenza, organizzativi e di vigilanza, la scelta, operata dal legislatore, di istituire un sistema misto, con competenze in parte attribuite alla CONSOB e in parte a Borsa italiana, porta, di fatto, secondo alcuni, a un potenziale conflitto di interessi, in quanto mancherebbe un'effettiva verifica, al momento della quotazione, circa le potenzialità effettive delle società. A tale riguardo è stata dunque prospettata la possibilità di distinguere l'attività di listing dall'attività di trading, assegnando ad un soggetto diverso da Borsa Italiana le competenze in materia di listing.
Altri hanno invece messo in evidenza il ruolo positivo svolto da Borsa Italiana in questi anni nel delicato passaggio da un modello basato su mercati di natura pubblica a un modello, più moderno e in linea con le principali esperienze estere, di mercati gestiti da soggetti imprenditoriali, concludendo che l'attuale ripartizione dei compiti non ha mostrato, in questi anni, particolari criticità.
A prescindere dalla soluzione adottata, è comunque emersa tra gli auditi l'esigenza che non aumentino i costi e che non si riduca l'efficienza e la rapidità nello svolgimento degli adempimenti propedeutici all'ammissione a quotazione.

4. CONSIDERAZIONI FINALI E PROPOSTE

4.1. I mercati degli strumenti finanziari ed il finanziamento in equity delle imprese.

Lo scarso sviluppo che storicamente contraddistingue il mercato italiano dei capitali di rischio segnala la necessità di svolgere una riflessione approfondita sulle modalità di finanziamento del sistema produttivo, e segnatamente delle piccole e medie imprese, al fine di individuare iniziative e proposte che consentano di ampliare e diversificare i canali attraverso cui le risorse finanziarie affluiscono al sistema delle imprese, affiancando al tradizionale canale bancario altri strumenti che valorizzino maggiormente il ricorso al mercato dei capitali.
Sebbene non sia possibile affermare in termini univoci e definitivi se sia preferibile una struttura finanziaria centrata essenzialmente sul ruolo delle banche (cosiddetto bancocentrismo) ovvero sul ruolo dei mercati dei capitali di rischio, è infatti


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fondata la correlazione positiva tra grado di sviluppo del sistema finanziario nel suo complesso, risultante dalla combinazione di un settore bancario concorrenziale e un mercato azionario liquido, e crescita delle imprese.
Le risultanze emerse nel corso dell'indagine permettono di circoscrivere a due profili principali l'argomento trattato:
I) il mercato dell'equity, ovvero il ricorso al mercato dei capitali di rischio, attraverso interventi di natura normativa, regolamentare e fiscale volti alla realizzazione delle condizioni perché questo si possa sviluppare;
II) il mercato del debito, ovvero il ricorso a strumenti di indebitamento, per le PMI, diversi dal canale bancario, attraverso interventi di natura normativa, regolamentare e fiscale volti a perequare questi strumenti con gli altri strumenti finanziari disponibili.

In relazione a questi due aspetti, si evidenzia come il sovrapporsi nel tempo di una serie di interventi normativi, sia di rango legislativo, sia di rango secondario o regolamentare, tanto di matrice nazionale, quanto, soprattutto, di matrice comunitaria, abbia determinato la necessità di una rivisitazione, o quanto meno di un attento intervento di manutenzione del quadro normativo vigente sui mercati degli strumenti finanziari, nella prospettiva di una maggiore apertura e flessibilità degli stessi.
Occorre innanzitutto partire dalla considerazione che i mercati degli strumenti finanziari costituiscono un'infrastruttura fondamentale delle moderne economie dei Paesi sviluppati, condizionando ed orientando le modalità di finanziamento delle attività imprenditoriali e le stesse prospettive di crescita del sistema produttivo.
Nello specifico della realtà italiana, la nascita e la crescita del sistema imprenditoriale nazionale è storicamente legato al ruolo svolto dalle banche, sia per quanto riguarda il finanziamento degli investimenti, sia per quel che concerne il finanziamento del funzionamento ordinario delle imprese, mentre resta marginale il ruolo dei mercati dei capitali. Tale «bancocentrismo», che per alcuni aspetti ha messo al riparo l'economia italiana dalle conseguenze nefaste degli eccessi di finanziarizzazione che hanno invece caratterizzato altri sistemi economici, in particolare quelli di tradizione anglosassone, comporta tuttavia alcuni limiti alle prospettive di crescita ed alla stessa operatività delle imprese. Inoltre, indagini recenti mostrano come i sistemi finanziari più sviluppati abbiano la tendenza ad allontanarsi da tale struttura «bancocentrica».
Infatti, dal momento che un'ampia percentuale delle imprese italiane risulta scarsamente patrimonializzata, ogni restrizione della disponibilità di credito da parte delle banche, legata, come nel caso attuale, alle incertezze delle prospettive economiche globali, al cambiamento sfavorevole delle condizioni di finanziamento, e alla contemporanea esigenza delle stesse banche di migliorare i propri coefficienti patrimoniali, in vista degli stress test relativi all'adeguatezza del proprio patrimonio di vigilanza e sulla base delle più stringenti regole di Basilea 3, determina gravi difficoltà sia a sostenere quei meccanismi di innovazione di processo e di prodotto che sono ormai condizione essenziale per poter operare nel contesto della competizione globale, sia a far fronte alle esigenze finanziarie connesse con il semplice funzionamento ordinario delle imprese, le quali fanno ancora in larga parte ricorso a forme di provvista finanziaria molto tradizionali, quali, ad esempio, il finanziamento «a breve», caratterizzato dalle linee di credito bancario, e «l'autoliquidante», tipicamente rappresentato dal meccanismo di anticipazione su fattura.
Questa struttura finanziaria, basata sull'autofinanziamento e sul ricorso al credito bancario, sovraespone le PMI alla variabilità dei tassi a breve e alle fluttuazioni del ciclo economico, con inevitabili conseguenze di instabilità del sistema.
È dunque importante aumentare per le imprese la disponibilità di finanziamenti obbligazionari dal mercato dei capitali per progetti di investimento a medio e lungo


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termine e per il circolante, ed occorre pertanto creare un quadro normativo nel quale i diversi canali di finanziamento possano competere liberamente a parità di condizioni, offrendo il massimo di opportunità a emittenti e investitori.
A tale proposito, dal punto di vista della domanda di equity e di altri titoli emessi da imprese, le condizioni di base sarebbero favorevoli alla realizzazione di questo obiettivo, anche se molte banche hanno scarso interesse a sviluppare il mercato azionario e obbligazionario corporate.
La presa d'atto dei ritardi e delle arretratezze che in quest'ambito si registrano nel nostro Paese comporta dunque l'esigenza di avviare una serie articolata di interventi di natura regolamentare, economica e finanche culturale, orientati ai seguenti obiettivi prioritari:
1) rimuovere, in un quadro di piena trasparenza ed adeguata tutela degli investitori, gli ostacoli, di natura normativa, economica e tributaria, che attualmente disincentivano il ricorso al capitale di rischio;
2) rimuovere gli ostacoli di natura normativa, economica e tributaria, che attualmente disincentivano il ricorso al capitale di debito, attraverso canali diversi dall'autofinanziamento e dall'indebitamento bancario;
3) favorire un maggiore sviluppo degli investitori istituzionali;
4) individuare forme innovative di supporto dei soggetti pubblici allo sviluppo dei mercati dei capitali di rischio e di debito;
5) ridurre le asimmetrie informative che, nel quadro dell'estrema frammentazione della struttura imprenditoriale italiana, rendono difficile, per gli investitori potenzialmente interessati ad entrare nel capitale delle imprese, conoscere le imprese stesse e disporre delle informazioni indispensabili per realizzare l'investimento;
6) superare le resistenze, legate anche alla cultura ed alla struttura imprenditoriale del nostro Paese, che inibiscono molti imprenditori rispetto all'ipotesi di aprire il capitale delle proprie imprese al mercato dei capitali.

In relazione al delineato assetto normativo, si tratta principalmente di porre maggiore ordine e chiarezza in un tessuto legislativo e regolamentare il quale ha dovuto rincorrere l'evoluzione tumultuosa di un settore, quello finanziario, che ha conosciuto nell'ultimo ventennio una rivoluzione, in termini di innovazioni organizzative e di prodotto, di integrazione dei mercati, nonché di crescita dei volumi e della velocità delle transazioni, in precedenza inimmaginabile, e che ha altresì subito le conseguenze degli shock determinati dal susseguirsi, nel corso di pochi anni, di una serie di crisi finanziarie, singole o di sistema, che hanno messo a dura prova la stessa tenuta del sistema finanziario mondiale.
In tale contesto appare fondamentale:
a) operare un'adeguata semplificazione del quadro legislativo vigente in materia, in particolare contemperando l'esigenza di alleggerire gli oneri organizzativi e burocratici a carico dei soggetti di minori dimensioni che non presentino profili di rischio sistemico con quella di realizzare un'effettiva trasparenza informativa ed un'efficace tutela dei piccoli azionisti e dei piccoli investitori non professionali;
b) giungere alla più ampia armonizzazione delle normative vigenti in materia, quantomeno a livello europeo e, auspicabilmente, a livello di G20, al fine di eliminare asimmetrie regolamentari, evitare l'instaurarsi di pericolosi sistemi finanziari «ombra» e assicurare un «pari piano di gioco» (level playing field) nella competizione tra i diversi mercati finanziari mondiali;
c) valutare se l'attuale assetto dei poteri in materia di ammissione alla quotazione determini una rendita di posizione


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per gli attuali attori del mercato, costituendo una barriera all'ingresso di nuovi protagonisti, e se esso risulti ancora adeguato rispetto all'opportunità di ampliare le dimensioni e la liquidità del mercato borsistico, anche alla luce della normativa europea in materia;
d) favorire, sulla falsariga dei passi in avanti compiuti con la recente istituzione del sistema di vigilanza finanziaria a livello europeo, la massima integrazione e collaborazione tra le autorità di vigilanza nazionali, nonché definire sistemi ed approcci comuni rispetto ai fenomeni di crisi finanziaria.

4.1.1. L'organizzazione dei mercati.

Per favorire la maggiore capitalizzazione delle imprese e il loro ingresso nei mercati finanziari occorre migliorare la competitività delle borse, semplificando le procedure di ammissione e riducendo i costi di quotazione, nonché eliminando quegli elementi relativi all'organizzazione dei mercati che determinano effetti di spiazzamento dell'investimento di borsa rispetto ad altre forme di investimento o che inibiscono le imprese di medie dimensioni ad accedere alla quotazione.
Sotto questo profilo occorre innanzitutto ripensare la disciplina che presiede alla quotazione delle imprese, affrontando il tema concernente la ripartizione di compiti fra CONSOB e Borsa Italiana nel processo di accesso al mercato (listing), rispetto al quale il TUF, nella discrezionalità lasciata ai legislatori nazionali dalla normativa comunitaria, ha ritenuto di affidare la funzione di listing alla società di gestione del mercato (Borsa Italiana), separandola dalla funzione di controllo del prospetto e di ammissione al trading, affidata invece alla CONSOB.
Si tratta, evidentemente, di una problematica particolarmente delicata, atteso che la predetta funzione di listing comporta il bilanciamento tra l'esigenza di sviluppo del mercato e quella di protezione degli investitori, ed è propedeutica, e profondamente differente, dalla funzione di ammissione al trading, che deve essere nelle mani della società di gestione del mercato.
A questo proposito appaiono certamente condivisibili le indicazioni fornite nel corso della sua audizione dal Presidente della CONSOB, il quale ha segnalato innanzitutto come un'eventuale riallocazione in capo alla CONSOB dell'attività di listing richieda un'attenta valutazione del rapporto costi/benefici.
In questa prospettiva la riattribuzione del listing alla CONSOB potrebbe rendere più agevole il processo di quotazione, in quanto consentirebbe di sfruttare le sinergie informative fra tale funzione e quella del controllo del prospetto, unificando la doppia istruttoria che attualmente viene svolta durante il processo di collocamento, ed evitando conseguentemente all'emittente di svolgere una duplice interlocuzione con CONSOB e Borsa Italiana (CONSOB interviene sui profili di mera trasparenza per quanto riguarda il prospetto di quotazione, mentre Borsa Italiana interviene sui profili sostanziali e di merito).
Inoltre, l'attribuzione del listing alla CONSOB potrebbe contribuire a rendere più equilibrata la competizione fra mercati regolamentati e MTF. Infatti, gli MTF cosiddetti passivi (cioè quelli che offrono servizi di negoziazione su titoli quotati su mercati regolamentati senza il consenso dell'emittente) tengono un comportamento di free riding rispetto agli investimenti che le società di gestione del mercato effettuano per selezionare e valutare le imprese (cioè sfruttano i benefici di tali investimenti senza dover sostenere per questo alcun costo).
Sotto un profilo più squisitamente economico, occorre altresì considerare come l'attività di listing determini esternalità positive per il sistema finanziario nel suo complesso, mentre le società di gestione del mercato non sono sempre in grado di internalizzarne completamente i benefici, in quanto i costi del listing possono superare i ricavi derivanti da tale attività: ciò può a sua volta alterare la struttura degli incentivi delle società di gestione del mercato, inducendole, ad esempio, a stabilire


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requisiti di ammissione più blandi di quanto sarebbe necessario o ad investire meno risorse nelle attività di scrutinio e di analisi propedeutiche alla quotazione.
L'assegnazione del listing alla CONSOB potrebbe eliminare tale meccanismo di selezione avversa, nonché superare in radice il connesso problema dei conflitti di interesse che condizionano le società di gestione, le quali sono soggetti necessariamente volti, per il loro statuto giuridico privatistico, alla ricerca del profitto, nonché largamente partecipati, nella loro compagine sociale, da istituti bancari.
Per converso, occorre valutare se un approccio di tipo almeno parzialmente privatistico alla funzione di listing, e la conseguente pressione competitiva sulle società di gestione del mercato, non comporti effetti virtuosi, migliorando la qualità nello svolgimento della funzione di listing, in ragione del fatto che gli emittenti potrebbero essere disposti a sostenere costi di listing più elevati, sapendo che l'ammissione a quotazione da parte di una borsa offrirà in seguito maggiore liquidità anche presso altri sistemi di negoziazione, nonché in quanto le stesse società di gestione dovrebbero preservare il proprio capitale reputazionale e aumentare la liquidità.
Inoltre, occorre verificare se l'assegnazione della predetta funzione ad un soggetto orientato al profitto non favorisca un approccio più attento alle esigenze dei mercati e contribuisca alla necessaria flessibilità nella definizione dei requisiti minimi richiesti alle società che si candidano alla quotazione, tale da tenere conto del tessuto produttivo e della tipologia di imprese potenzialmente quotabili.
In tale contesto la scelta in merito ad un'eventuale riallocazione in capo alla CONSOB della funzione di listing implica valutazioni complesse, che non potrebbero certo tradursi in una semplice modifica del TUF, ma che dovrebbero essere inserite in una prospettiva più ampia.
In secondo luogo, si dovrebbe verificare l'eventuale esistenza di aree di sovrapposizione nelle competenze assegnate all'Autorità di vigilanza e alla società di gestione del mercato, al fine di conseguire una maggiore efficienza ed efficacia del processo di ammissione a quotazione/negoziazione.
In terzo luogo, occorrerebbe tenere conto delle richieste provenienti dalle società di gestione dei mercati regolamentati, che potrebbero voler operare con maggiore «flessibilità», anche in tema di ammissione degli strumenti finanziari alle negoziazioni, al pari degli MTF.
In sostanza, l'idea fondamentale potrebbe essere quella di delineare un sistema dei mercati equity organizzato, in estrema sintesi, su tre livelli, in cui le regole ed il grado di trasparenza siano misurati in base alla dimensione ed alle aspettative della società che intende quotarsi.
In tale contesto si avrebbero:
1) un mercato standard semplificato, che rispetti comunque la disciplina comunitaria;
2) un mercato di eccellenza, con adesione volontaria da parte di quelle imprese che siano in grado di sopportare requisiti disciplinari più rigorosi in termini di governance (ad esempio per quanto riguarda il ruolo degli amministratori indipendenti nei consigli di amministrazione), di rapporti con le parti correlate (si pensi agli obblighi alla trasparenza e ai limiti di tali operazioni), di dimensioni minime del flottante e di frequenza dell'informazione contabile;
3) un mercato non regolamentato (MTF) in cui siano trattati i titoli di imprese non quotate sul mercato regolamentato, non accessibile a investitori retail ma aperto soltanto a investitori professionali, con requisiti di trasparenza adeguati e senza ingerenze da parte del legislatore/regolatore.

Tale visione permetterebbe di superare il concetto di «mercato per le PMI», eliminando la necessità di creare uno specifico segmento di quotazione, e corrisponde sostanzialmente alla considerazione, formulata da alcuni dei soggetti


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auditi, secondo cui, per essere efficiente, un mercato dei capitali effettivamente accessibile alle medie imprese dovrebbe:
essere caratterizzato da un minore livello di regolamentazione e da un minore livello di costi per l'accesso ed il mantenimento alla quotazione ed alla negoziazione dei titoli di tali imprese;
disciplinare in termini più rigorosi il coinvolgimento degli intermediari («Nomad»/«Sponsor», consulenti qualificati in operazioni di finanza straordinaria che assistono la società in sede di ammissione in quotazione e durante il periodo di permanenza sul mercato) che accompagnano in borsa una società rispetto alle responsabilità connesse con il riscontro dei requisiti per l'ammissione alla quotazione, innescando in tal modo un meccanismo di trasparenza che tuteli, ed al tempo stesso incentivi, gli investitori non professionali, i quali potrebbero comunque agire attraverso la sottoscrizione di fondi;
essere meno strettamente legato al sistema bancario, onde evitare i rischi di eventuali conflitti di interesse tra l'esercizio del credito e l'accompagnamento alla quotazione di soggetti affidati: in tale ambito è emersa anche la proposta di incentivare lo sviluppo di agenzie di rating a livello regionale/locale, al fine di consentire anche alle PMI di essere oggetto di rating, incrementando in tal modo la possibilità, per queste ultime, di accedere ai mercati finanziari in condizioni di maggiore trasparenza.

Per quanto riguarda i processi di concentrazione in corso tra le società di gestione del mercato, che hanno coinvolto anche Borsa Italia, attraverso la sua fusione con London Stock Exchange, non è opportuno in questa sede esprimere giudizi o valutazioni su scelte che attengono alla libertà imprenditoriale di soggetti privati, anche in considerazione del fatto che tale processo risulta, almeno in una certa misura, una conseguenza necessitata del più vasto fenomeno di integrazione dei mercati finanziari e delle esigenze di ingenti investimenti che il funzionamento dei moderni mercati telematici impone.
In ogni caso, è certamente legittimo segnalare l'esigenza che, in tale contesto dato, siano salvaguardate il ruolo e le prospettive di sviluppo della piazza finanziaria italiana, valorizzando le competenze, professionali ed imprenditoriali, nonché le infrastrutture del mercato italiano e gli attuali punti di forza dell'industria nazionale dei servizi di negoziazione. In particolare, appare necessario assicurare che il mercato italiano resti centro di scambi azionari, potenziare la piattaforma di negoziazione dei titoli a reddito fisso (mercato MTS), che costituisce uno degli elementi di eccellenza del mercato azionario nazionale, e le strutture di post-trading italiane.

4.1.2. Gli aspetti tributari.

Sotto il profilo tributario, occorre ridurre alcune distorsioni nelle scelte di finanziamento delle imprese, motivate dall'esistenza, nell'ordinamento vigente, di un regime tributario di maggior favore per le forme di finanziamento realizzate mediante indebitamento rispetto a quelle effettuate mediante ricorso al capitale.
Le agevolazioni tributarie in questo campo devono essere distinte tra quelle destinate direttamente alle imprese che si quotano o che intendano farlo e quelle destinate invece ai soggetti che investano propri capitali nei titoli quotati.
Nel primo ambito si potrebbero prevedere - in un'ottica di stabilità dei conti pubblici, presupposto fondamentale per formulare qualsivoglia ipotesi di crescita - forme di fiscalità di vantaggio per la quota di utili che sia destinata alla crescita patrimoniale dell'impresa, incentivando in tal modo la crescita del capitale proprio dell'impresa e rendendo meno favorevole il ricorso al finanziamento mediante debito, nonché l'introduzione di forme di detraibilità o deducibilità dei costi sostenuti per la quotazione.
In tale prospettiva appare importante che le predette agevolazioni tributarie si


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caratterizzino per la loro stabilità nel tempo, abbiano una durata adeguata, non minore di 5-10 anni, siano prevalentemente circoscritte alle PMI, e siano condizionate all'effettiva immissione di nuovi mezzi finanziari nella società. A questo scopo sarebbe opportuno agevolare fiscalmente in via prioritaria le quotazioni realizzate mediante offerte pubbliche di sottoscrizione, che determinano un'effettiva crescita del capitale, e non quelle realizzate solo con offerte pubbliche di vendita, che comportano sostanzialmente una sostituzione tra i capitali apportati dal precedente azionista e quelli apportati dai nuovi azionisti aderenti all'offerta.
Nel secondo ambito devono invece essere annoverati gli incentivi fiscali a vantaggio degli investitori, soprattutto degli investitori professionali e istituzionali, sul modello dei mercati esteri, in particolare di quello londinese.
A tale proposito un'ipotesi potrebbe essere quella di ridurre o addirittura di eliminare l'imposizione sui capital gain, ovvero prevedere un credito di imposta, in forma di deduzione figurativa del reddito generato dall'investimento. Se l'apporto di risorse da parte di terzi permette alle aziende di crescere e, quindi, di incrementare il prodotto interno lordo, appare infatti razionale, sia in termini di logica economica, sia sul piano del ritorno complessivo per le entrate erariali, consentire a tali investitori di escludere dall'imponibile il rendimento, in termini di reddito d'impresa, generato dai capitali investiti.
Particolare attenzione al riguardo dovrebbe essere dedicata all'introduzione della possibilità di dedurre senza limiti le minusvalenze emergenti sui titoli acquistati. Infatti, la tendenziale maggiore rischiosità dei titoli di imprese di minori dimensioni, e la più scarsa liquidità di tali strumenti, fa sì che una delle variabili decisive rispetto alla scelta di investimento in tali titoli sia rappresentata dalla possibilità di ammortizzare le eventuali minusvalenze che dovessero emergere rispetto ai valori di acquisto dei titoli stessi.
Inoltre, per ovviare all'attuale doppia imposizione sugli utili delle azioni comprese nell'attivo di OICVM italiani ed esteri, ed incentivare le imprese a utilizzare tale strumento per effettuare investimenti azionari, si potrebbe estendere il regime fiscale previsto per le azioni alle quote di partecipazione in OICVM di tipo azionario sottoscritte dalle imprese. Tale regime dovrebbe esser applicato solo con riferimento alle quote detenute in OICVM il cui attivo sia prevalentemente investito in azioni e strumenti finanziari similari (soddisfacendo tale requisito attraverso l'introduzione di una percentuale prestabilita del valore dell'attivo per più di un numero prestabilito di giorni di valorizzazione delle quote).
Un'altra proposta riguarda la possibilità di riconoscere un vantaggio fiscale ai risparmiatori che sottoscrivano quote di fondi comuni di investimento o di fondi chiusi che investano in piccole e medie imprese. La ratio di tale proposta è che, ragionevolmente, tale vantaggio fiscale può indurre il risparmiatore a scegliere il fondo che investe nelle piccole e medie imprese, le quali, a loro volta, disporranno in tal modo di maggiori risorse per realizzare i propri progetti di sviluppo.
Alcuni auditi hanno inoltre proposto l'istituzione di uno specifico regime fiscale di favore per investimenti a lungo termine (ad esempio i piani individuali di risparmio a lungo termine), sia che essi abbiano natura prevalentemente previdenziale, sia che siano rivolti ad altre finalità altrettanto meritevoli (acquisto della casa o educazione dei figli): in tale ambito si potrebbe ad esempio consentire l'applicazione di aliquote agevolate ai depositi in conto corrente superiori ai cinque anni, che potrebbero eventualmente aumentare a scadenze determinate (dieci o quindici anni).

4.1.3. Il ruolo degli investitori istituzionali e dei soggetti pubblici.

Un ulteriore elemento sul quale concordano tutte le analisi riguarda le conseguenze in termini negativi, rispetto allo sviluppo dei mercati degli strumenti finanziari, derivanti dall'assenza, o dallo scarso


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rilievo, che ancora hanno in Italia gli investitori istituzionali, in primo luogo i fondi pensione.
Gli investitori istituzionali specializzati nell'investimento in capitale di rischio svolgono infatti, nei moderni mercati dei capitali, un ruolo strategico, sia per la crescita e l'equilibrio dei mercati stessi, sia per quanto riguarda i meccanismi di allocazione delle risorse tra i diversi impieghi produttivi, sia, infine, sul piano della distribuzione temporale dei redditi.
Sotto il primo profilo è infatti indiscusso che la presenza sul mercato di una quota rilevante di investitori istituzionali, i quali dispongono di risorse superiori alla generalità degli investitori sia in riferimento alla massa di risparmio raccolta sia sotto il profilo della capacità di analisi dei titoli e degli andamenti di mercato, contribuisca, direttamente o indirettamente, ad aumentare la liquidità dei mercati stessi, a stabilizzarne gli andamenti e ad incrementare la dimensione e lo «spessore» dei listini.
Sotto il secondo profilo, l'operatività degli investitori istituzionali può facilitare l'ampliamento dei canali tra risparmio e investimento. Infatti, l'approccio di lungo termine, prevalentemente non speculativo, che caratterizza le strategie di investimento di tale categoria di investitori può favorire una maggiore allocazione di risorse presso imprese di medie e piccole dimensioni, le cui caratteristiche produttive ed i cui modelli di business non consentono ritorni nel breve periodo, ma necessitano di una prospettiva di medio - lungo periodo.
Sotto il terzo punto di vista, la presenza di investitori istituzionali è da più parti ritenuta uno snodo decisivo per assicurare che i redditi da capitale, integrando i redditi da lavoro e da pensione, svolgano la funzione di «ammortizzatore sociale privato», supplendo, in una fase di crisi come quella attuale, alle carenze del sistema di welfare pubblico. Anche in questo senso il risparmio, correttamente gestito dagli investitori istituzionali, svolge una funzione indispensabile ai fini dello sviluppo: esso costituisce infatti un ponte fra generazioni, poiché i suoi frutti possono contribuire ad assicurare ai giovani un futuro meno incerto di quello che altrimenti si prospetterebbe loro.
Oltre al ruolo degli investitori istituzionali, nel corso dell'indagine è stato anche sollevato e dibattuto il tema del nuovo ruolo che lo Stato, altre entità pubbliche o forme di partnership tra soggetti privati e pubblici, possono svolgere nello sviluppare mercati finanziari maggiormente orientati a rispondere alle esigenze di finanziamento dell'economia reale.
Tali strumenti potrebbero infatti rappresentare elementi importanti per la capitalizzazione delle PMI, ad esempio intervenendo nella forma della joint venture, ovvero attraverso partecipazioni dirette, temporanee, nel capitale delle imprese, ovvero ancora assumendo il compito di accompagnare le imprese stesse alla quotazione.
In tale modello il soggetto pubblico, oltre a fungere da catalizzatore dell'iniziativa, potrebbe offrire garanzie verso i soggetti privati in termini di limitazione delle perdite massime in fase di disinvestimento (cosiddetta down-side protection), in modo da incentivare la partecipazione dei privati stessi.
Si tratta in realtà di un dibattito iniziato già da alcuni anni, anche sulla scia della nascita e dello sviluppo, sul panorama internazionale, della nuova figura dei Fondi sovrani, e che ha già portato negli ultimi anni all'introduzione nell'ordinamento di strumenti che, soprattutto facendo leva sul ruolo della Cassa depositi e prestiti, intendono consentire la partecipazione dello Stato in iniziative finanziarie di capitalizzazione delle imprese, segnatamente di piccole e medie dimensioni.
È il caso innanzitutto delle previsioni dell'articolo 2, comma 225, della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010) che hanno autorizzato la CDP a sottoscrivere, anche con le risorse provenienti dalla raccolta del risparmio postale, fondi comuni di investimento gestiti da una società di gestione collettiva del risparmio,


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il cui oggetto sociale realizzi uno o più fini istituzionali della stessa CDP.
Sulla scorta di tali previsioni si è proceduto, nel marzo del 2010, all'istituzione della Società di gestione del risparmio Fondo italiano di investimento (FII), partecipata dal Dipartimento del Tesoro, dalla CDP, dalla Confindustria, dall'ABI e da alcune banche, la quale ha il compito di realizzare forme di investimento diretto, di coinvestimento, di finanziamenti subordinati o di prestiti convertibili, per supportare le imprese italiane con fatturato compreso tra 10 e 100 milioni di euro che siano in fase di sviluppo e che perseguano obiettivi di crescita.
A tale proposito è emerso come la possibilità, per il predetto Fondo italiano di investimento (FII), di partecipare al capitale delle imprese sia in via diretta sia in via indiretta, tramite sottoscrizione di quote di altri fondi (agendo in tal caso come fondo di fondi), costituisca un ulteriore elemento positivo, in quanto può determinare un effetto di leva finanziaria che può portare benefici effetti anche sull'attività e lo sviluppo dei fondi specializzati in imprese a limitata capitalizzazione (small cap).
Inoltre, occorre ricordare l'articolata disciplina (contenuta nell'articolo 2, commi da 161 a 182 della già citata legge n. 191 del 2009) relativa alla costituzione, attraverso una società partecipata dallo Stato e da altri soggetti privati, della Banca del Mezzogiorno S.p.A., la quale, agendo attraverso la rete delle banche e delle istituzioni che vi aderiscono, ha la finalità precipua di sostenere progetti di investimento nel Mezzogiorno, promuovendo in particolare il credito alle PMI anche con il supporto di intermediari finanziari.
Ulteriormente, possono essere richiamate le norme dell'articolo 8 del decreto-legge n. 78 del 2009 e dell'articolo 13 della legge n. 99 del 2009, che hanno istituito un meccanismo di fondi rotativi, anche a livello regionale, per favorire le start-up di progetti di internazionalizzazione, i cui interventi sono destinati ad investimenti, transitori e di minoranza, nella forma del venture capital, nel capitale di rischio di società costituite appositamente da parte di piccole e medie imprese e di loro raggruppamenti, finalizzati alla realizzazione di progetti di internazionalizzazione.
Da ultimo, devono essere segnalate le innovative previsioni dell'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011, le quali, ampliando ancora l'operatività di CDP, autorizzano quest'ultima ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese, e che risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività. Tali partecipazioni possono essere acquisite anche attraverso veicoli societari o fondi di investimento partecipati da CDP S.p.A. ed eventualmente da società private o controllate dallo Stato o enti pubblici.
In tale contesto sono state proposte due ipotesi riguardo alle modalità di intervento pubblico nel capitale delle PMI.
In una prima ipotesi è stato prospettato uno strumento che intervenga a posteriori della manifestata volontà da parte dell'imprenditore di accedere al mercato, e delle valutazioni svolte dagli advisor e dagli enti di controllo con l'ammissione al listing.
Al momento del collocamento il fondo interverrebbe sottoscrivendo una quota del capitale offerto in IPO, che sarebbe mantenuta per un periodo da determinare, ma comunque non inferiore ai tre anni: il fondo non necessiterebbe di alcuna struttura di valutazione e gestione, limitandosi ad acquisire quote di società già ammesse al mercato.
In una seconda ipotesi si è prospettata la costituzione di una nuova società (Newco), nella forma di un fondo di investimento che, opportunamente capitalizzata, sarebbe quotata al mercato MTA, ed avrebbe come finalità l'acquisto di quote di partecipazione, minoritaria, in PMI (sulla falsariga del Fondo italiano di investimento).


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In questo caso l'investimento passerebbe attraverso un'attività di screening e valutazione delle imprese da avviare al collocamento, ma l'ottenimento del codice ISIN (ovvero il collocamento sul nuovo mercato) sarebbe contestuale all'investimento da parte della Newco ed all'aumento di capitale per la quotazione.
In tale ambito occorre in primo luogo chiarire come tali ipotesi di intervento pubblico prescindano da una politica di incentivi e contributi intesa in senso tradizionale, ma siano casomai volte ad attribuire al soggetto pubblico o misto un ruolo innovativo di fornitore di equity alle imprese e di liquidità al mercato, rientrando, pertanto, non nella fattispecie di concessione di aiuti ma in quella di apporto di capitale di rischio.
Nel medesimo contesto è stato inoltre rilevato come la creazione di fondi pubblici di sostegno alla quotazione o al finanziamento «via mercato» delle imprese può risultare utile, ma solo in combinato disposto con un'intelligente politica tributaria di sostegno, con una politica normativa di attrazione, nonché una politica «culturale» nei confronti degli imprenditori, che valorizzino i vantaggi derivanti dall'apertura dei mercati alle imprese e di queste ultime ai mercati.
Tra gli aspetti di maggiore dettaglio, le problematiche più delicate che occorre affrontare in tale contesto riguardano evidentemente le scelte di investimento e le modalità di uscita dal capitale della società, attraverso una sorta di «accompagnamento progressivo» alla quotazione o ad altre forme di collocamento del capitale.
Per quanto attiene al primo aspetto è innanzitutto necessario garantire la massima trasparenza nella selezione delle iniziative imprenditoriali che si intende sostenere con l'ingresso nel capitale, assicurando allo stesso tempo la massima conoscibilità di tali strumenti da parte dei soggetti privati interessati e stabilendo criteri e procedure snelle ed oggettive per l'individuazione degli interventi, nonché regole che disciplinino chiaramente condizioni e tempi della partecipazione al capitale.
Sotto il secondo profilo, è necessario garantire che la partecipazione abbia effettivamente carattere temporaneo e non si trasformi in alcun modo in una forma di sostegno permanente di imprese decotte o comunque prive di reali possibilità di crescita nel medio periodo, ma rappresenti il primo passo per una progressiva crescita della società, mettendola nelle condizioni di competere autonomamente sul mercato e di raccogliere i capitali privati necessari al suo sviluppo.
Occorre dunque individuare meccanismi di fuoriuscita dal capitale che non risultino traumatici per l'impresa partecipata, ma che, al tempo stesso, non determinino l'immobilizzazione definitiva o, peggio, la dispersione delle risorse pubbliche, le quali, appunto, non devono sostituire gli investimenti privati, ma fungere da propellente iniziale per il lancio di start up o di progetti di crescita.
A tal fine è possibile ipotizzare che, dopo l'uscita dal fondo, la partecipazione azionaria possa essere acquisita da SGR, le quali si sostituiscano ai soggetti pubblici e garantiscano l'accompagnamento verso il mercato della società per un periodo medio-lungo, dai tre ai cinque anni. In tal modo si potrebbero coinvolgere, anche attraverso agevolazioni di natura fiscale, condizionate al mantenimento della partecipazione per un determinato periodo di tempo, categorie di investitori non istituzionali, aprendo in tal modo il capitale al mercato.
Anche in questa prospettiva è comunque necessario, per innescare un circuito virtuoso stabile, disporre di mercati dei capitali liquidi e ben sviluppati, atteso che la strategia di exit principale per i fondi di private equity rimane quella della quotazione della società sul mercato mediante initial pubblic offer (IPO) e della conseguente cessione della partecipazione nella fase di quotazione dell'impresa.


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4.1.4. Il mercato del debito.

Sempre nella prospettiva di una strategia integrata, volta ad ampliare i canali di finanziamento delle imprese attraverso un più ampio ricorso ai mercati dei capitali, alcuni auditi hanno richiamato l'esigenza di rilanciare lo strumento delle cosiddette «carte commerciali» (commercial papers), uno strumento di finanziamento mediante il quale anche aziende molto piccole devono poter tornare a soddisfare le loro necessità di finanziamento a breve termine, creando anche le condizioni per un mercato specifico sul quale negoziare titoli di debito, che sia in grado di assicurare la conoscenza e la trasparenza degli emittenti.
Il ricorso a tale tipologia di titoli, i quali dovrebbero incorporare un livello di rischio mediamente limitato, consentirebbe di assicurare finanza aggiuntiva, soprattutto per le società che non possono aspirare alla quotazione, e potrebbe essere coniugato al processo di collocamento, reperendo ulteriori risorse finanziarie, con costi ed oneri relativamente contenuti.
A tal fine sarebbe opportuna una revisione della legge n. 43 del 1994, recante la disciplina delle cambiali finanziarie, introducendovi alcuni elementi innovativi che facilitino, a certe condizioni, un più agevole ricorso a tali strumenti di finanziamento.
In particolare, è auspicabile rivedere la previsione, probabilmente eccessiva, della stessa legge n. 43, che subordina l'emissione dei titoli al requisito di 3 bilanci in utile, stabilendo invece requisiti più consoni all'attuale contesto economico, legati ad esempio alla patrimonializzazione, ai volumi di fatturato, al portafoglio ordini, nonché richiedendo la garanzia da parte di un consorzio di garanzia collettiva fidi, o altro strumento equivalente, che a sua volta può essere controgarantito da strumenti ad hoc nazionale e comunitari (quali il Fondo europeo di investimento - FEI).
Questi strumenti di debito devono ovviamente sottostare alla disciplina attuale riguardo gli emittenti di strumenti finanziari, ma la stessa potrebbe essere semplificata, prevedendo una responsabilità per la figura dell'advisor, che fungerebbe quindi da garante circa il merito dell'azienda emittente, nonché attraverso la richiesta e l'assegnazione di un rating ai titoli da parte di agenzie internazionali o locali.
Inoltre è necessario ridurre, attraverso un intervento in tal senso sulla direttiva prospetto, i costi fissi legati alla predisposizione del prospetto informativo, che fanno lievitare il costo dell'emissione a livelli insostenibili.
Quanto alla durata dei titoli, essa dovrebbe essere relativamente breve per la carta commerciale, o con un orizzonte temporale che potrebbe essere più esteso per strumenti obbligazionari, prevedendo un collegamento tra la performance dell'azienda e il premio pagato all'investitore.
Lo sviluppo di tali titoli potrebbe inoltre essere incentivato applicando loro un'aliquota unica del 12,5 per cento, o comunque pari a quella applicabile agli altri strumenti finanziari.

4.2. Gli assetti regolamentari e di vigilanza.

Per quanto riguarda i problemi attinenti agli assetti regolamentari e di vigilanza, occorre ribadire anche in questa sede l'esigenza prioritaria di proseguire nel processo di armonizzazione delle regole sui mercati degli strumenti finanziari, sia a livello europeo, sia a livello di G20.
A questo riguardo occorre innanzitutto sottolineare come l'armonizzazione delle regole e delle prassi di vigilanza in questo settore con corrisponda ad un'astratta esigenza di geometrica perfezione del sistema, ma rappresenti un concreto interesse del mercato finanziario italiano e del Paese nel suo complesso, fortemente penalizzato dalla presenza di arbitraggi normativi, i quali hanno contribuito in maniera decisiva a delocalizzare presso intermediari con sede, ad esempio, in Irlanda e nel Lussemburgo, circa metà del patrimonio dell'industria nazionale del risparmio gestito.
In tale prospettiva occorre operare una generale semplificazione delle regole, in


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particolare riducendo la complessità degli adempimenti amministrativi e regolamentari richiesti in sede di ammissione alla quotazione, e, soprattutto, evitare effetti di duplicazione tra la normativa europea e la normativa nazionale previgente, nonché assicurare maggiore stabilità delle regole nel tempo, ad esempio riprendendo l'obiettivo, già dichiarato in passato dalla CONSOB, di programmare la revisione annuale o periodica dei propri regolamenti, eccetto in casi eccezionali, in modo tale da indicare preventivamente ai soggetti interessati tempi e modi del processo di evoluzione normativa.
Passando ad alcuni aspetti specifici, una prima tematica di rilevanza strategica su cui è opportuno riaprire la riflessione riguarda la disciplina delle offerte pubbliche di acquisto (OPA), che ha costituito oggetto di uno dei dibattiti più accesi degli ultimi anni in ambito UE, e la cui disciplina appare estremamente frammentata a livello europeo, a causa degli spazi di discrezionalità estremamente ampi lasciati dalla normativa dell'Unione europea ai singoli legislatori nazionali.
Non c'è dubbio che, al di là delle diverse opinioni al riguardo, l'assetto regolatorio sul punto non possa essere considerato del tutto soddisfacente, anche per il fatto che non si è riusciti a definire una normativa uniforme, che ponga nelle medesime condizioni giuridiche tutti gli operatori economici, relativamente ad iniziative di acquisizione di cui essi siano promotori o bersagli.
In termini economici occorre rilevare, in linea generale, come la contendibilità delle imprese costituisca un elemento potenzialmente positivo, in quanto può consentire di attrarre capitali aggiuntivi, e di apportare quindi benefici significativi all'economia del Paese in termini di crescita dell'occupazione, formazione del capitale umano, innovazione tecnologica e organizzativa.
A questo riguardo merita ricordare che la legislazione italiana ha tradizionalmente privilegiato le esigenze della contendibilità, limitando le possibilità di difesa delle società a fronte di scalate ostili. L'effetto indesiderato di tale impostazione è stato quello di accentuare la chiusura degli assetti proprietari delle società, attraverso forme di controllo molto articolate ed opache, quali le catene societarie (le cosiddette «scatole cinesi») e le partecipazioni incrociate, che hanno favorito la cristallizzazione degli assetti proprietari e consentito agli azionisti di controllo di estrarre benefici superiori alle risorse finanziarie impegnate, spesso a scapito degli azionisti di minoranza.
In altri ordinamenti si è data invece una risposta più complessa e articolata a questi temi, consentendo una maggiore disponibilità di strumenti di rafforzamento del controllo (si pensi alle azioni a voto multiplo utilizzate ampiamente in gran parte dell'Europa continentale e nei paesi anglosassoni), oppure in termini di maggiori possibilità di difesa (si pensi alle poison pills che la giurisprudenza americana - dove non esiste l'istituto dell'OPA obbligatoria - ha consentito, proprio in seguito alla grande ondata di acquisizioni ostili dei primi anni '80). Anche nel Regno Unito, Paese che è stato costantemente preso a riferimento per le normative italiane in questa materia, recenti vicende societarie hanno riaperto il dibattito sulla necessità di definire regole meno asimmetriche a favore delle scalate ostili.
Occorre dunque fare in modo che la disciplina in materia salvaguardi il più possibile la trasparenza delle condizioni e degli obiettivi di tali acquisizioni, scongiurando il rischio che queste ultime, invece di incrementare il valore dell'impresa, siano piuttosto volte a depauperare il patrimonio sociale, allo sfruttamento di benefici privati, ovvero alla creazione di posizioni dominanti sul mercato. Risulta pertanto cruciale definire norme in materia di OPA in grado di contrastare il rischio di distruzione di valore, pur garantendo l'efficienza del mercato del controllo societario, nonché tutelare l'interesse del mercato affinché le operazioni di acquisizione non incidano negativamente sulla governance della società-obiettivo successivamente all'effettuazione dell'OPA stessa.


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Ricercare un efficace bilanciamento tra i diversi interessi coinvolti nell'allocazione statica e dinamica del controllo appare il punto critico della regolazione su questi aspetti.
A tale riguardo l'introduzione di strumenti di separazione tra proprietà e controllo è un tema che richiede approfondite riflessioni, mentre l'ampliamento delle possibilità di difesa delle società quotate è una strada immediatamente percorribile.
In particolare, si potrebbe sviluppare l'orientamento, già adottato in occasione di alcune recenti modifiche al TUF, che ha permesso alle società quotate di derogare in via statutaria alla disciplina della passivity rule, in quanto tale approccio preserverebbe l'azione disciplinante del mercato, che sarebbe selettiva e legata alle caratteristiche specifiche della singola società.
Un'altra tematica di respiro generale riguarda la manutenzione della disciplina sulla corporate governance delle imprese quotate, segnatamente per quanto attiene alla protezione dei piccoli azionisti e dei creditori.
Tale problematica, che non può naturalmente essere approfondita adeguatamente in questa sede, assume un rilievo diretto per il funzionamento dei mercati degli strumenti finanziari, in quanto un più efficace livello di protezione degli investitori non professionali può consentire di eliminare alcune delle remore che (per taluni aspetti legittimamente) ancora esistono nella cultura del risparmiatore italiano rispetto all'investimento di borsa, e di favorire anche per questa via l'ampliamento e la migliore efficienza di tali mercati.
Anche in questo caso occorre evidentemente operare un bilanciamento tra esigenze di protezione ed esigenze di efficienza gestionale, tenendo inoltre presente che, nei mercati degli strumenti finanziari diffusi, la separazione tra proprietà e controllo è inevitabile. In tale contesto occorre operare facendo in modo che gli amministratori indipendenti siano in grado di migliorare la governance societaria, instaurando un più corretto ed equilibrato rapporto tra azionisti di maggioranza e minoranza e una più corretta interlocuzione tra gli organi di governo societario, in particolare tra assemblea dei soci e consiglio d'amministrazione.
Passando a temi più specifici o di carattere tecnico, sono inoltre emerse, nel corso dell'indagine, una serie di proposte, che potranno essere valutate nell'ambito del predetto processo di armonizzazione.
Un primo aspetto attiene alla disciplina dei prospetti informativi, che dovrebbe puntare maggiormente a semplificare e standardizzare i documenti di tutte le categorie di prodotti consegnati ai risparmiatori per raggiungere una trasparenza reale, e ridurre i costi di consulenza. La predetta semplificazione potrebbe inoltre rendere più attrattiva la piazza finanziaria italiana.
A tale proposito occorre rilevare due aspetti fondamentali: da un lato, le prassi di vigilanza in materia di prospetti risultano estremamente diversificate a livello europeo, variando da un approccio meramente formale ad un approccio che prevede invece controlli di merito che possono portare le autorità ad avanzare richieste di supplementi e integrazioni dell'informativa. Ciò incide direttamente sui tempi di approvazione del prospetto stesso, elemento, questo, che è considerato dall'industria finanziaria uno dei fattori critici per incentivare l'accesso al mercato di borsa.
Dall'altro lato, l'informativa contenuta nei prospetti è divenuta sempre più sofisticata e complessa rispetto alle competenze e alla cultura finanziaria media degli investitori al dettaglio: pertanto il prospetto informativo è ormai formulato in termini pletorici, a svantaggio della sua chiarezza e comprensibilità da parte degli investitori non professionali.
In tale contesto potrebbe essere utile rinnovare, nel quadro di un consenso europeo, la logica che presiede alla disciplina sui prospetti e sulla trasparenza dei prodotti finanziari. Si può infatti ritenere che la tutela degli investitori al dettaglio debba essere realizzata, più che attraverso l'informativa contenuta nel prospetto, attraverso


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una chiara ed esaustiva informativa sul singolo prodotto, che gli intermediari collocatori sono tenuti a fornire alla clientela nell'ambito dei doveri di trasparenza e correttezza previsti dalla disciplina sulla prestazione di servizi di investimento, ai sensi della direttiva MiFID.
Secondo questa impostazione, sarebbe possibile rimodulare la pervasività dei controlli preventivi sul prospetto informativo, con una conseguente forte riduzione dei tempi di approvazione, ed al tempo stesso migliorare il livello di effettiva tutela per i risparmiatori al dettaglio.
In questa prospettiva il Presidente della CONSOB, nel corso della sua audizione, è giunto ad ipotizzare l'eliminazione del nulla-osta preventivo alla pubblicazione del prospetto da parte della CONSOB, mutuando l'approccio adottato dalla disciplina attualmente in vigore per i fondi comuni di investimento.
In ambito comunitario appare inoltre opportuno estendere ai vari prodotti finanziari l'approccio già adottato per i fondi comuni di investimento con l'introduzione del cosiddetto key investor information document (KIID), un documento snello e di facile comprensibilità che fornisce al risparmiatore le informazioni essenziali di cui ha effettivamente bisogno per acquisire piena consapevolezza dell'investimento che sta effettuando. In tal senso la revisione della cosiddetta direttiva prospetto e il progetto di armonizzazione della disciplina dei prodotti complessi (cosiddetti packaged retail investment products o PRIPs) costituiscono importanti occasioni per riscrivere regole che, in un rovesciamento di prospettiva, siano calibrate sui bisogni reali dei risparmiatori piuttosto che su un'astratta esigenza di coerenza con i principi del quadro normativo di riferimento.
Un secondo profilo riguarda l'esigenza, segnalata da Borsa italiana, di rivedere la disciplina degli emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante (cosiddetti «emittenti diffusi»), come definiti dall'articolo 2-bis del Regolamento CONSOB n. 11971/1999 (Regolamento emittenti), i quali sono tenuti, tra l'altro, a fornire al pubblico e alla CONSOB informazioni su fatti rilevanti o idonei a influenzare sensibilmente il prezzo dei titoli, a mettere a disposizione la documentazione contabile e a informare il mercato circa l'attribuzione di strumenti finanziari a esponenti aziendali, dipendenti o collaboratori.
In proposito è stato infatti evidenziato come tale disciplina determini, per le società ammesse nei sistemi multilaterali di negoziazione (MTF), fenomeni di sovrapposizione regolamentare, pregiudicando l'unitarietà della disciplina in materia di MTF e condizionando inoltre il gestore del mercato nelle sue scelte in materia di requisiti per l'accesso e la permanenza sul mercato stesso. In tale quadro è stata avanzata la proposta di escludere dall'ambito di applicazione della disciplina sugli emittenti diffusi le società ammesse su domanda in MTF, oppure, più drasticamente, di eliminare detta disciplina per tutte le società.
Per quanto riguarda la disciplina di trasparenza è stata segnalata l'esigenza di rivedere la normativa concernente la pubblicità a mezzo stampa delle informative societarie, che non trova peraltro diretta corrispondenza nella normativa comunitaria, individuando modalità di pubblicità più efficaci, meno pletoriche e meno costose, ad esempio circoscrivendo gli obblighi di comunicazione al pubblico ai casi maggiormente significativi.
Taluni hanno inoltre segnalato l'esigenza di intervenire sul tema del conflitto di interesse insito nell'operatività potenzialmente universale delle banche, le quali, da un lato, svolgono il ruolo di fornitori di credito delle imprese, e, dall'altro si pongono come consulenti o sponsor per la quotazione delle medesime imprese affidate, portando ad esempio il caso italiano, dove le maggiori banche sono anche tra i principali azionisti della società di gestione del mercato.
A tale riguardo è emersa la proposta di introdurre una più puntuale definizione dei limiti di intervento di un unico istituto di credito nell'ambito della vita di una società, prevedendo che la banca erogatrice


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del credito non possa intervenire nel processo di ammissione alla quotazione.
Altri hanno proposto, nella medesima ottica, ma in un ambito diverso, di imporre una separazione proprietaria netta fra le società emittenti di prodotti finanziari (nello specifico le banche) e le società di gestione del risparmio (in larga parte controllate da gruppi bancari) che distribuiscono al pubblico tali prodotti, ovvero di prevedere, in forma più sfumata, una separazione di natura soltanto regolamentare, ad esempio attraverso la previsione obbligatoria di protocolli, o altre forme analoghe (le cosiddette «muraglie cinesi»), che garantiscano l'indipendenza nelle scelte delle SGR controllate da banche.
Si tratta, evidentemente, di una questione molto complessa, sia in quanto incide direttamente sulle modalità di svolgimento di un'attività economica e sulle scelte imprenditoriali di soggetti privati, sia per le ricadute molteplici che tali scelte normative potrebbero avere, ad esempio, sulla conformazione della rete distributiva, che costituisce a sua volta uno snodo essenziale per il funzionamento dei mercati degli strumenti finanziari.
Ritornando a considerazioni di carattere generale, occorre inoltre che all'armonizzazione della normativa corrisponda anche una maggiore omogeneità nelle prassi di vigilanza da parte delle singole Autorità di vigilanza, le quali sono ancora troppo difformi, nonché l'eliminazione di sovrapposizioni sulla medesima materia delle competenze di più Autorità.
Un esempio di tale esigenza di maggiore coordinamento è stata segnalata ad esempio con riferimento agli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), sui quali insiste la competenza di due autorità, la Banca d'Italia e la CONSOB, entrambe deputate a vigilare sui predetti OICR.
Rispetto alle questioni di assetto e prassi di vigilanza risulterà evidentemente cruciale l'effettiva operatività del nuovo sistema di vigilanza finanziaria europea istituita l'anno scorso, ed in particolare l'azione dell'ESMA, che dovrà adoperarsi per realizzare un'effettiva convergenza nelle prassi di vigilanza e nei sistemi sanzionatori, oltre che nelle modalità di interpretazione e applicazione della disciplina comunitaria.
Tale sfida per l'uniformazione delle normative e della vigilanza potrà essere vinta solo se le nuove autorità europee saranno effettivamente in grado, anche con l'indispensabile supporto delle autorità nazionali, di svolgere appieno il ruolo per le quali sono state istituite, elaborando standard tecnici e linee guida, nonché verificandone l'effettiva applicazione a livello nazionale, che portino ad un effettivo livellamento del campo di gioco e a un'armonizzazione delle prassi di vigilanza, rimuovendo quei fattori che hanno incentivato gli arbitraggi fra ordinamenti.
Per quel che concerne specificamente i profili sanzionatori, appare importante modulare l'attività di vigilanza sulla base di un principio di priorità, al fine di colpire con rapidità e severità i comportamenti più gravi.
A tale proposito alcune misure per migliorare l'azione di accertamento e rendere più rapida ed efficiente l'eventuale applicazione delle sanzioni, anche attraverso la valorizzazione dello strumento della vigilanza ispettiva, potrebbero essere adottate dalla CONSOB nell'esercizio dei proprio poteri regolamentari, mentre altre misure richiedono invece una riconsiderazione dell'impianto sanzionatorio del TUF, secondo un approccio che dedichi più attenzione alle violazioni sostanziali rispetto a quelle solo formali. In alcuni casi occorrerebbe graduare la punizione all'importanza dell'illecito, mentre in altri bisognerebbe aumentare la flessibilità dell'intervento, consentendo l'interruzione del procedimento sanzionatorio quando è possibile rimuovere tempestivamente i comportamenti sanzionabili.

4.3. Conclusione: alcune ipotesi di intervento.

La panoramica svolta nel corso dell'indagine conoscitiva ha consentito alla Commissione di evidenziare le potenzialità e le arretratezze dei mercati degli strumenti


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finanziari in Italia, che attengono principalmente alla debolezza dei mercati dei capitali ed alla scarsità dei canali a disposizione delle imprese per alimentare finanziariamente la propria capitalizzazione e le proprie prospettive di crescita.
In quest'ambito è emersa l'esigenza di promuovere taluni interventi correttivi, che dovranno essere realizzati sia attraverso misure di carattere normativo, sia mediante l'attività di vigilanza svolta sul settore dalle autorità competenti.
Tali interventi dovrebbero in particolare orientarsi, ad avviso della Commissione, secondo alcune linee guida, che essa intende proporre al dibattito politico ed alla discussione pubblica:
estendere e diversificare maggiormente i canali e gli strumenti attraverso cui le risorse finanziarie affluiscono al sistema delle imprese, affiancando al finanziamento bancario altri meccanismi che prevedano un più ampio ricorso al mercato dei capitali;
favorire la liquidità, ampiezza e trasparenza dei mercati dei capitali, al fine di consentire a questi ultimi di esprimere appieno tutte le loro potenzialità di creazione di valore e di sostegno alla crescita del sistema imprenditoriale, garantendo, al contempo, la tutela dei risparmiatori;
innovare, sia pure nel rispetto e nella valorizzazione delle caratteristiche storiche che hanno consentito la crescita del Paese, la cultura dell'imprenditoria e della finanza italiana, nel senso di superare quelle resistenze che si oppongono in maniera ingiustificata ad una maggiore apertura del capitale delle imprese;
aprire una riflessione relativamente alla revisione della disciplina sulla quotazione, in particolare per quanto riguarda la ripartizione di compiti fra CONSOB e Borsa Italiana rispetto alle funzioni di listing, assicurando in tale contesto un adeguato contemperamento tra l'esigenza di sviluppo del mercato e quella di tutela degli investitori e della clientela retail;
riorganizzare il sistema dei mercati degli strumenti di equity su più livelli, nei quali le regole ed il grado di trasparenza siano commisurati adeguatamente alle dimensioni, alle caratteristiche ed agli obiettivi delle società quotate, e superando il concetto di mercato dedicato alle piccole e medie imprese, che non si è rivelato produttivo nel contesto italiano;
seguire, nel pieno rispetto della libertà delle scelte imprenditoriali, i processi di concentrazione che stanno riguardando le società di gestione del mercato, promuovendo in tale contesto la salvaguardia del ruolo e delle prospettive di sviluppo della piazza finanziaria italiana, nonché le competenze e le infrastrutture dell'industria nazionale dei servizi di negoziazione;
eliminare dall'ordinamento tributario quegli elementi che possono indurre distorsioni nelle scelte di finanziamento delle imprese, introducendo, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, meccanismi fiscali agevolativi che favoriscano gli investimenti nel capitale delle imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni;
favorire la crescita dimensionale e l'ampliamento del ruolo degli investitori istituzionali italiani sui mercati degli strumenti finanziari, con particolare riferimento ai fondi pensione;
valorizzare e potenziare nuovi strumenti, aggiuntivi e non sostitutivi del capitale privato, di sostegno pubblico o misto pubblico-privato alla capitalizzazione delle imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, garantendo a tal fine: criteri che disciplinino chiaramente condizioni e tempi della partecipazione al capitale; piena trasparenza nella selezione delle iniziative imprenditoriali che si intende sostenere; massima conoscibilità di tali strumenti da parte dei soggetti privati interessati; temporaneità della partecipazione al capitale; meccanismi di fuoriuscita dal capitale che non risultino traumatici per l'impresa partecipata;
ampliare il panorama del mercato del debito, ad esempio rilanciando lo strumento delle cosiddette «carte commerciali»


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(commercial papers), anche attraverso la revisione della legge n. 43 del 1994, definendo le condizioni per rilanciare un mercato specifico sul quale negoziare tali titoli di debito, che sia in grado di assicurare la rigorosa tutela degli investitori, di consentire la conoscenza e trasparenza degli emittenti e di ridurre i costi di emissione;
semplificare le regole e gli adempimenti amministrativi e regolamentari in sede di ammissione alla quotazione, evitare duplicazioni e sovrapposizioni normative, sia a livello europeo sia a livello nazionale, nonché assicurare maggiore stabilità nel tempo delle regole vigenti in materia;
rivedere ed uniformare a livello europeo la disciplina delle offerte pubbliche di acquisto (OPA), al fine di: porre tutti gli operatori economici nelle medesime condizioni giuridiche; bilanciare l'esigenza di contendibilità delle imprese con quella di non indurre il ricorso a forme di controllo articolate ed opache; assicurare la trasparenza delle condizioni e degli obiettivi di tali acquisizioni; salvaguardare il patrimonio sociale e tutelare gli azionisti di minoranza;
ripensare la disciplina sui prospetti e sulla trasparenza dei prodotti finanziari, che non dovrebbe essere più basata prioritariamente sui contenuti informativi del prospetto, sottolineando invece maggiormente la responsabilità, per gli intermediari che collocano presso il pubblico i prodotti, di fornire alla clientela retail un'efficace informativa sul singolo strumento finanziario;
implementare appieno l'operatività del sistema di vigilanza finanziaria europea recentemente istituito, in particolare facendo in modo che l'ESMA sia in grado realizzare un'effettiva convergenza della normativa sui mercati, delle prassi di vigilanza e dei sistemi sanzionatori.

Si tratta, evidentemente, di un complesso di interventi riformatori molto articolato, che potrà essere realizzato nel medio periodo con il coinvolgimento di tutti i soggetti pubblici competenti nel settore ed attraverso iniziative da svolgere a più livelli, a partire dai consessi internazionali, per proseguire nelle sedi legislative europee, e passare quindi al livello dei singoli Stati e delle singole Autorità di vigilanza nazionale.
Al di là delle questioni specifiche, appare importante segnalare l'esigenza che la politica si riappropri della capacità di governare i processi di evoluzione che stanno interessando il settore finanziario, in particolare migliorando la capacità di definire un quadro normativo armonizzato e stabile.
Il dato più preoccupante che emerge dalle vicende di questi anni, anche alla luce delle turbolenze che stanno caratterizzando gli ultimi mesi, sta infatti nella condizione di subalternità in cui i decisori politici versano rispetto alle istanze dei mercati finanziari, che sembrano ormai in grado di dettare l'intonazione delle variabili macroeconomiche e di fissare gli obiettivi, i contenuti e la tempistica della politica economica perseguita dagli Stati.
Vista l'estrema rilevanza di tali problematiche, è dunque quanto mai auspicabile che tutte le forze politiche riescano a compiere su di essi un'analisi comune, che porti a definire un ordine di priorità, le quali dovranno poi tradursi in un insieme di interventi normativi il più possibile tempestivi ed efficaci.

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