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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VII
2.
Martedì 2 ottobre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Ghizzoni Manuela, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROPOSTA DI LEGGE C. 2367 ARGENTIN, IN MATERIA DI NORME PER L'INSERIMENTO DELLO STUDIO DELLA TECNICA E DELLA TECNOLOGIA ATTE AL SUPERAMENTO DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE NEGLI EDIFICI PUBBLICI E PRIVATI NEI PROGRAMMI DIDATTICI

Audizione di esperti del settore:

Ghizzoni Manuela, Presidente ... 3 5 6 8 11 12
Argentin Ileana (PD) ... 7
Clemente Matteo, Architetto presso MT Studio - Roma ... 10
Del Zanna Giovanni, Architetto presso Studio GDZ - Milano ... 5 11
De Torre Maria Letizia (PD) ... 8
Empler Tommaso, Architettopresso MT Studio - Roma ... 5 10
Palmieri Antonio (PdL) ... 7
Vescovo Fabrizio, Architetto ... 3 9 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 2 ottobre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MANUELA GHIZZONI

La seduta comincia alle 15,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di esperti del settore.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla proposta di legge C. 2367 Argentin, in materia di norme per l'inserimento dello studio della tecnica e della tecnologia atte al superamento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici e privati nei programmi didattici, l'audizione di esperti del settore.
Cedo quindi la parola ai nostri ospiti, ricordando che i colleghi potranno formulare osservazioni e rivolgere agli auditi, al termine dei loro interventi, ulteriori domande.

FABRIZIO VESCOVO, Architetto. Ringrazio per la possibilità che mi è stata concessa di esprimere qualche osservazione circa il provvedimento il cui esame è in itinere. Per il momento, mi limiterei ad alcune osservazioni di carattere generale. In seguito, se possibile, potremo svolgere considerazioni più specifiche per formulare eventuali ipotesi di modifica, laddove possibile.
Innanzitutto, credo che nel testo dell'articolo 1 sia necessario fare riferimento alla legge 3 marzo 2009, n. 18, recante «Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità». Riteniamo che occorra conferire maggiore forza a tale provvedimento, giustamente citato, ma che al momento in cui il testo è stato elaborato non era ancora divenuto legge e che in questo modo potrebbe divenire più efficace.
Prima, con l'onorevole Argentin, parlavamo di terminologia, ossia di cosa si intenda per Design for all ed espressioni simili: anche in questo caso suggerirei di fare riferimento alla Convenzione, approvata dalle Nazioni Unite, in cui si definisce con molta chiarezza cosa si intenda per progettazione universale, espressione italiana forse un po' più trasparente, che contiene la definizione ufficiale riportata nella legge n. 18 del 2009.
Inoltre, vi è una serie di novità riguardanti l'ipotesi di inserimento di tali tematiche nei percorsi universitari di studio, in particolare, per le facoltà di architettura e di ingegneria. Il discorso, ahimè, diventa molto complicato. Da quanto leggo, infatti, l'istanza è precisa e sacrosanta. Io mi sono laureato nel 1965 e da allora ho quasi sempre insegnato all'università: sotto il profilo dell'accessibilità, abbiamo realizzato da 19 anni un master che si svolge nell'ambito dei percorsi formativi della facoltà di architettura,


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«Progettare per tutti senza barriere», che attiene, quindi, proprio al tema di cui stiamo parlando oggi.
Conosco bene le difficoltà che si incontrano nell'ambito delle università e quanto, purtroppo sia duro - bisogna dirlo con molta chiarezza - far capire a coloro che gestiscono questo importante aspetto della nostra società come formare, in particolare, architetti e ingegneri. La normativa cui si fa riferimento anche nel testo del provvedimento non è un optional, ma un fatto essenziale per chiunque voglia svolgere la professione di architetto o ingegnere.
Da questo punto di vista, occorrerebbe, a mio avviso, capire un po' meglio quali possano essere i meccanismi - mi rendo conto che quello che sto dicendo è molto difficile - nell'ambito del concetto molto ampio di indipendenza dei programmi universitari. Ho avuto, infatti, difficoltà ogni volta che ho avanzato proposte di questo genere. Ogni facoltà ha la sua autonomia e, quindi, bisogna capire come suggerire con forza provvedimenti di questo tipo.
Suggerisco anche di riflettere ancora un po' sui soggetti che dovrebbero tenere eventuali corsi di questo tipo. Anche da questo punto di vista, infatti, le ricadute possono essere positive o meno. Bisognerebbe offrire maggiori garanzie che tali docenti sappiano di cosa parlano e a tal proposito forse bisognerebbe dare qualche suggerimento in più.
Un suggerimento che, all'inverso, desidererei ricevere da chi sta lavorando su questo tema riguarda la parte «sanzionatoria». Io vivo il problema delle barriere architettoniche da quando sono nato, lo conosco molto bene anche perché me ne occupo da circa 46 anni. So cosa significhi anche il contatto con gli enti pubblici.
Sono stato, infatti, quasi sempre un professionista dipendente, prima dell'allora Ministero dei lavori pubblici, poi della regione, e so con quanta difficoltà i provvedimenti cogenti risultino applicabili e come, in realtà, non siano applicati. Forse sarebbe importante riuscire a capire proprio come «imporre» che questa disciplina cominci veramente a far parte dell'insieme del pacchetto delle notizie e delle descrizioni di quello che, secondo la legge, è utile per tutti, non solo per le persone disabili: su tale argomento si nutrono ancora moltissimi dubbi, nonostante si utilizzino correntemente termini più o meno insignificanti, come nel caso dell'espressione «diversamente abile», che non ho capito cosa significhi.
Bisognerebbe individuare, specialmente negli articoli 3 e 4, il discorso delle responsabilità. Essendo stato un burocrate per decine e decine di anni, mi chiedo chi sia l'amministratore pubblico: è il dirigente? È l'addetto ai lavori di quella pratica? Bisogna capirlo.
Nel caso in cui fosse approvato un provvedimento con istanze estremamente positive e, naturalmente, tali che dovrebbero ricevere la spinta da parte di tutti noi, ma inefficace, avremmo aggiunto un altro provvedimento ai numerosissimi già in vigore. Le sanzioni ci sono sempre state, sono previste addirittura da vent'anni dalla legge n. 104 del 1992, che ha individuato in termini concreti le penalità, come nel caso, addirittura, dell'arresto. Che mi risulti, tuttavia, in vent'anni è stata condannata una persona in Toscana, perché aveva progettato un cinema di nuova edificazione in cui una delle due sale era accessibile e l'altra non lo era. Se a voi risulta altro, sarei lieto di sapere qualcosa relativamente all'efficacia di queste misure.
Forse, quindi, nel provvedimento, che comunque ritengo di fondamentale importanza - le mie sono solo osservazioni che provengono dal vissuto, da tutti i punti di vista -, riterrei opportuno non tanto modificare l'ammenda da 10.000 ai 50.000 euro o prevedere una modifica dei tempi dell'arresto da 6 mesi a 2 anni - risultato che mi sembrerebbe meraviglioso, ma abbastanza difficile da concretizzarsi -, quanto forse ricordare che bisogna rispettare la legge, per le violazioni della quale esistono le sanzioni.


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Resto a disposizione per qualunque tipo di precisazione su quanto ho cercato illustrare.

PRESIDENTE. Prima di ridare la parola agli auditi, presento i commissari presenti all'audizione: per il Popolo della Libertà, l'onorevole Lainati, l'onorevole Di Centa e il capogruppo Palmieri; per Futuro e Libertà, l'onorevole Granata; per la Lega Nord Padania, l'onorevole Goisis; per l'UdC, l'onorevole Capitanio Santolini; per il Partito Democratico, l'onorevole Bachelet, l'onorevole Pes, l'onorevole Rossa, l'onorevole De Torre, l'onorevole Mazzarella e la capogruppo Coscia; per l'Italia dei Valori, l'onorevole Zazzera.

TOMMASO EMPLER, Architetto presso MT Studio - Roma. Buon pomeriggio a tutti. Vorrei ringraziarvi per averci offerto la possibilità di esprimere un giudizio sul provvedimento in esame presso la Commissione che, come già anticipato dall'architetto Vescovo, è sicuramente molto importante in quanto pietra miliare in un settore che forse ha fin troppo dimenticato di formare i colleghi architetti, ossia i tecnici. La direzione è quella di cominciare a capire che progettare con una determinata qualità ha ricadute positive su tutti.
Leggendo il testo del provvedimento, mi concentrerei, più che altro, sulla terminologia utilizzata. All'articolo 1, per esempio, sono riportati tre termini di fatto tra loro sinonimi, ma che, introducendo l'espressione universal design, forse sarebbe il caso di iniziare ad eliminare. Mi riferisco, in particolar modo, al periodo secondo il quale «La Repubblica promuove lo studio e la conoscenza della cultura dell'accessibilità quale elemento fondamentale dell'universal design»: eliminerei il termine «accessibilità» e lascerei solamente universal design.
Allo stesso modo, l'espressione «superamento delle barriere architettoniche» conferisce ancora un'accezione negativa di questo settore rispetto, invece, alla connotazione positiva conferita dall'espressione universal design. In questo modo, si sposta, sostanzialmente, l'attenzione dalle caratteristiche negative possedute dai luoghi per cercare, invece, di definire le qualità che possono possedere gli oggetti per essere effettivamente utilizzati da tutti. A mio avviso, quindi, è soprattutto un discorso collegato alla nuova terminologia che dovrebbe essere inserita, eliminando i vecchi termini finora utilizzati.
Non so se sia il caso di proporre anche in questa sede proprio la definizione di universal design benché, come ricordato in precedenza, l'espressione sia già stata definita ad opera della legge n. 18 del 2009. Probabilmente, tuttavia, è il caso di riproporla anche in questa sede, trattandosi di un disposto normativo nuovo che si occupa di un settore completamente diverso.
Si tratterà di lavorare su questa definizione, lunga quattro righe, ma che di fatto include sette princìpi: uso equo degli oggetti e delle componenti; uso flessibile; uso semplice e intuitivo; percepibilità delle informazioni; tolleranza all'errore; contenimento dello sforzo fisico; misure e spazi per l'avvicinamento e l'uso. Tali princìpi fanno capire come si perda completamente la connotazione negativa avuta finora.

GIOVANNI DEL ZANNA, Architetto presso Studio GDZ - Milano. Buongiorno a tutti. Ho accettato con molto piacere l'invito a quest'incontro. Vengo da Milano, da cui porto un po' la dimensione anche su queste tematiche - ho meno anni dell'architetto Fabrizio Vescovo, che conosco da quando ho iniziato a interessarmi di queste tematiche e che è uno dei miei maestri in quest'ambito - e, oltre a ribadire la mia perfetta concordanza con quanto illustrato, vorrei sottolineare alcuni aspetti e aggiungere piccole indicazioni.
Ero anch'io all'università nel 1989, nel momento dell'entrata in vigore della normativa recata dalla legge n. 13: allora si era pensato che la tematica dell'accessibilità in senso positivo non dovesse essere oggetto di uno studio specifico, ma di fatto l'università non ha fatto niente su


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questo fronte, salvo le eccezioni, che sono tali proprio perché confermano la regola.
Proprio su queste tematiche svolgo, tra l'altro, alcuni seminari presso la facoltà di Design del Politecnico di Milano e quella di Medicina e Chirurgia - dove è attivo un corso di laurea breve per terapisti occupazionali -, oltre a seguire delle tesi di laurea come correlatore esterno. La carenza accademica, infatti, è maggiore rispetto all'interesse da parte dei giovani, i quali, al contrario, dimostrano sensibilità. Trovo, quindi, veramente importante questa normativa, che sottolinea ciò che probabilmente è condiviso da tutti, ma che ha bisogno di essere sottolineato perché diventi concretezza nei fatti.
In relazione all'espressione universal design vi sono state tante correnti culturali. Ho lavorato con Gianni Arduini, creatore dell'idea, che lavorava per l'Istituto europeo di Design al Progetto per l'utenza ampliata, nato in parallelo, quando ancora in Italia non si parlava di universal design. Molte volte parliamo di progettazione per utenza ampliata ma, proprio alla luce della Convenzione ONU, che richiama e definisce una terminologia, sottolineerei l'importanza di fare chiarezza. Mi sembra che i colleghi prima di me l'abbiano segnalato molto bene.
Ormai l'espressione «universal design», nella dicitura in inglese, ossia «progettazione universale», nella dicitura italiana, è il principio di riferimento. Possiamo anche andare a individuare le sfumature che possono essere presenti, ma si tratta di una questione da addetti ai lavori.
Peraltro, voglio proprio sottolineare quanto segnalava l'architetto Empler circa l'importanza di questa visione positiva. Purtroppo, in Italia abbiamo ancora - posso constatarlo, dal momento che tengo corsi anche per gli architetti - una visione delle barriere architettoniche come problema da rimuovere: si fa un progetto e poi si pensa alle barriere architettoniche. L'impostazione della progettazione universale rappresenta un cambiamento radicale. Nella cultura progettuale è già passata perché i manuali, i testi, a volte anche le progettazioni iniziano a contenere questi aspetti, quindi ben venga che anche la normativa lo richiami.
Sui richiami, invece, più puntuali rispetto agli articolati, a qualcosa ho già accennato. Mi fa piacere che ci sia un riferimento alla domotica, poiché mi occupo anche di domotica a uso sociale, così definita. Sappiamo tutti che la problematica dell'accessibilità è legata anche alla popolazione anziana, che va a invecchiare. È importante superare una terminologia come quella individuata dal diversamente abile e capire che una progettazione universale va a favore di tutte le fasce della popolazione. Anche la tecnologia diventa una, non l'unica - non lasciamoci ingannare dagli effetti speciali - e dobbiamo sperimentare tale possibilità. Ben venga, dunque, questo riferimento alla domotica.
A questo punto, sottolineerei l'importanza, quando si parla di scuole di secondo grado a indirizzo tecnico, con particolare riguardo alla specializzazione in edilizia, di richiamare anche le specializzazioni nei campi informatici, elettrotecnici ed elettronici, che da queste tecnologie sono fortemente coinvolti.
Infine, in relazione all'articolo 3, dove si richiamano le varie facoltà, anche in questo caso riferite all'edilizia, ricorderei le facoltà di design. I corsi di laurea in design degli interni, infatti, toccano comunque, a partire dal mondo alberghiero, una dimensione della progettazione. Peraltro, anche se non progettisti nell'ambito del costruito, restano i nostri dirimpettai, quelli che guardano le cose dall'altra parte, i terapisti occupazionali, figure del mondo sanitario che si occupano, conoscendo la persona, dell'adeguamento dell'ambiente. Io tengo un corso all'interno del percorso di studi presso la facoltà di Milano e penso sia importante non che coloro che vi studiano diventino progettisti, ma che acquisiscano anche loro certe conoscenze.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.


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ANTONIO PALMIERI. Ringrazio i nostri ospiti per quanto ho sentito. Non sto seguendo, in particolare, il provvedimento di cui si discute, ma dal 2002 seguo il tema collegato dell'accessibilità per i siti Internet e due sono le osservazioni che vorrei sottoporvi.
Innanzitutto, è evidente che io sia totalmente d'accordo sul fatto che si tratti, essenzialmente, di un dato di cultura e della necessità di comprendere che un servizio accessibile è preferibile per tutti, non solo per i diversamente abili - usciamo dal politicamente scorretto, di questo si tratta -, ma è un dato di cultura che necessita di un intervento preciso.
La legge sull'accessibilità in vigore per i siti Internet delle pubbliche amministrazioni da gennaio 2004, approvata dall'intero Parlamento, originata da una proposta di legge parlamentare Campa-Palmieri - lo ricordo per l'onorevole Campa, temporaneamente non più in Parlamento - oggi è attuata solamente dal 3 per cento delle pubbliche amministrazioni. Il tema è che mancava una sanzione cogente. Stiamo cercando di rimediare con la proposta di legge sull'Agenda digitale, novellandola, ma vale il principio di metodo che avete evidenziato.
Con riferimento alla seconda questione, ritengo che, da architetti, siete venuti in audizione puntualmente indicando ciò che deve essere cambiato e io credo che questo sia un aiuto importante. Io mi comporto normalmente così: quando cerco di costruire un provvedimento, ovviamente, non essendo - per fortuna - onnisciente, mi avvalgo dell'aiuto di persone che sanno molto più di me e chiedo loro un contributo puntuale.
Sta alla nostra responsabilità, evidentemente, tenere totalmente conto dell'aiuto, non tenerne conto, verificare, ma ho apprezzato il fatto che siate venuti mettendo i puntini sulle «i» e ricordandoci fatti come la ratifica nel marzo 2009 della Convenzione dell'ONU, che prima è già stata citata, ma che è sempre bene ricordare e puntualizzare. Tra le difficoltà che si incontrano nel redigere le leggi, infatti, - credo che lo stesso dicasi per i progetti che redigete - vi è la necessità di renderle comprensibili, nel vostro caso al cliente, nel nostro caso a tutti i cittadini.
Vi ringrazio, quindi, e faremo in modo che coloro che seguono nello specifico il provvedimento lavorino alacremente.

ILEANA ARGENTIN. Anch'io vi ringrazio per la vostra presenza e per aver da sempre lavorato in questo settore. Posso permettermi di dire che vi conosco sufficientemente bene per sapere che la vera risposta non poteva che venire da voi, oltre che dall'associazionismo e dalle federazioni di sostegno all'handicap, che abbiamo già audito.
Ovviamente terremo presenti tutti i vostri campanelli d'allarme su alcuni aspetti, ma credo di poter asserire, da prima firmataria della proposta di legge C. 2367, che i tempi della politica, in qualche modo, l'hanno resa anche un po' più difficile da comprendere.
Quando l'abbiamo presentata, la legge n. 18 del 2009, ad esempio, non c'era. Allo stesso modo, quando parliamo di sanzioni, lo facciamo con l'idea non di metter paura né, tanto meno, di costruire una nuova barriera culturale, ma di far capire che un diritto non è un privilegio. A mio avviso, la forma sanzionatoria dovrebbe avere quell'idea. In ogni caso, sono d'accordissimo con l'architetto Vescovo che dovremo pensare a come far applicare queste sanzioni, che però, innanzitutto, devono essere previste.
La legge quadro n. 104 del 1992, infatti, ha sempre dettato norme di indirizzo e di controllo. Si sono poi susseguiti vari regolamenti, recanti normative di dettaglio: questa legge vuole avere l'ambizione di non essere una atto d'indirizzo e di controllo, ma ha le caratteristiche proprie di un atto normativo.
Io ho frequentato la facoltà di giurisprudenza e mi permetto di ricordare che la norma è norma quando prevede una sanzione, altrimenti non c'è legge. Dove non c'è sanzione, infatti, non c'è legge, in base al diritto oggettivo.


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Il provvedimento in esame si propone non di eliminare le barriere architettoniche, ma di costruire senza barriere architettoniche. Personalmente, non avevo pensato agli istituti informatici, ma penso che questo sia uno dei primi punti che vi includeremo.
Quanto alla terminologia, quando abbiamo ascoltato i rappresentanti delle federazioni del settore, alcuni in qualche modo creavano un falso problema, nel senso che addirittura negavano l'importanza dell'espressione universal design e sostenevano che questo fosse limitativo. Lo ripeto oggi davanti a voi per avere una certezza, ma l'universal design, a mio avviso, vuole ampliare il contesto, non ridurlo. Nella precedente audizione, invece, alcuni architetti hanno sostenuto il contrario e per me era molto importante che oggi qualcuno dicesse che così è. Non riuscire come Commissione a dare una risposta a tutti e non solo ad alcuni, sarebbe un errore che non potrei assolutamente perdonarmi. Chiedo, quindi, esplicitamente se quest'espressione abbia effettivamente un senso oggi con l'entrata in vigore della legge n. 18 del 2009 e se non l'avesse, invece, anche prima, come io ritengo; chiedo, quindi, se sia corretto o limitativo all'interno di questa norma.
Sono d'accordissimo con quanto affermato sulle questioni relative alla difficoltà e all'autonomia di ogni università, ma mi piacerebbe molto l'idea che qualsiasi corso di laurea in architettura in qualsiasi parte d'Italia cominciasse a insegnare che si può costruire senza, e non necessariamente eliminare.

MARIA LETIZIA DE TORRE. Anch'io ringrazio gli intervenuti. A quanto già illustrato dai colleghi aggiungo, per non dilungarmi, solamente alcune domande.
L'architetto Vescovo ha lasciato trapelare che esistono enormi difficoltà o, almeno, per come le ho intese, resistenze da parte delle università. Negli istituti superiori tecnici forse basta inserire la materia nel percorso di studi. Ovviamente, questo può essere vero per tutto quanto ha già spiegato, perché bisogna anche capire chi insegna, se conosce la materia ma, se mai si comincia, mai si instaura una certa logica.
Chiederei, allora, a tutti i relatori se hanno qualche suggerimento da dare, perché questo processo possa risultar più efficace. Cosa, nell'articolato della legge, non è abbastanza efficace per superare questa difficoltà?
Inoltre, era ancora l'architetto Vescovo ad affermare, riguardo alle sanzioni, che quelle tante già in vigore non sono applicabili: cosa significa che non sono applicabili? Che, per esempio, se si chiede che siano «sbarrierati» tutti gli edifici pubblici antichi, non sono «sbarrierabili»? Lei parlava di applicabilità e di disapplicazione.
Riguardo all'articolato della proposta di legge, vorrei chiedere se, tecnicamente, è abbastanza efficace quanto proponiamo. Ovviamente, nuove costruzioni concepite secondo l'universal design, predisposte per la domotica, con l'interruttore della luce a un'altezza che vada bene per tutti e così via hanno un costo minore, perché domani quell'edificio sarà adatto a chiunque lo userà. Bisognerebbe mettere in moto una vera e propria economia, proprio perché non si debba intervenire ex post, con ovvi costi altissimi. Vorrei sapere se, affinché questo avvenga - separerei l'esistente, il seminuovo, dalle nuove costruzioni, in quanto è soprattutto lì che dobbiamo agire - il documento vi risulta efficace dal punto di vista tecnico.

PRESIDENTE. Vorrei rivolgere anch'io una domanda, che potrebbe sembrare di piccolo spessore, ma che non lo è, a proposito di accessibilità della comprensione delle leggi in generale. Teoricamente, noi dovremmo astenerci dall'inserire termini non in lingua italiana in una nostra legge, ma diventa difficile tradurre efficacemente la definizione di universal design. Dovremmo, ad esempio, dettagliare quanto in lingua inglese riusciamo a definire molto più efficacemente, anche se potremmo cavarcela più semplicemente con una cultura dell'accesso universale, ma comunque parziale.


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Vorrei, anche alla luce delle considerazioni svolte dall'architetto Empler, che, attraverso una precisazione, una scelta di linguaggio, perpetuata nei vari articoli, ci aiutaste a trovare una definizione coerente e universalmente valida.
Do la parola agli auditi per la replica.

FABRIZIO VESCOVO, Architetto. Inizio dall'ultima domanda. Per la definizione, non dobbiamo far nulla. Esiste la legge n. 18 del 2009, che recepisce il documento ONU: all'articolo 2 è scritto «Progettazione universale». Si tratta di quattro righe, ma è definito, non c'è da inventare nulla. Questo assorbe anche tutto il discorso di Gianni Del Zanna.
Per quanto riguarda le osservazioni e le domande dell'onorevole De Torre, credo che il discorso sia parecchio più complicato di come appare. Manca, purtroppo, l'assimilazione delle meravigliose leggi in vigore, specialmente dal 1989 - alludo alla legge n. 13 del gennaio 1989 e al decreto del Ministero dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236 -, invidiateci da tutto il mondo civile. Gli altri, tuttavia, le rispettano e noi non lo facciamo perché non le leggiamo.
Il problema è che non c'è formazione sulle leggi esistenti. È molto difficile, quindi, risolvere il problema emanando un'altra legge. Crediamo e abbiamo fortemente creduto in questo con l'azione che cerchiamo di condurre da svariati decenni: a piccole dosi - è una rivoluzione culturale e le rivoluzioni non si risolvono quasi mai con la bacchetta magica - bisogna formare coloro che devono assimilare questi concetti.
Ahimè, invece, l'abitudine generale è quella di emanare sempre nuovi provvedimenti, ma più se ne fanno di nuovi, più è difficile redigere i testi unici - siete voi i primi a saperlo, da questo punto di vista, ma anch'io ne so qualcosa - ed è sempre più difficile ricordare le leggi madre, che hanno generato ulteriori precisazioni.
In questo provvedimento - che, lo ripeto ancora una volta, a mio avviso, ricorderebbe aspetti fondamentali, che praticamente già esistono - dovremmo porre ulteriori paletti perché possa essere obbligatorio non solo per coloro che devono studiare, ma per quelli che dovrebbero già aver studiato, e quindi conoscere le norme in essi contenute.
Alludo ai docenti universitari, ai miei colleghi. Vi sono persone che lavorano all'università da ormai molto tempo e che - lo dico con un pizzico di orgoglio - mi sono state vicine in questi corsi vent'anni fa circa: bisognerebbe far capire anche ai rettori e ai presidi che non si tratta di un optional, ma della legge italiana. Non si possono formare architetti o ingegneri che non conoscono le norme fondamentali, come il fatto, cui prima si accennava, che un edificio o una piazza senza barriere costa come una piazza con barriere e forse anche meno, mentre «sbarrierare» - permettetemi il termine - costa molto di più e molto spesso non si fa.
Tutto è sempre basato sulla mancanza di conoscenza dei provvedimenti che ormai esistono, a partire dall'articolo 3 della Costituzione. Esiste, inoltre, la legge n. 118 del 1971, che recava esattamente tutti gli argomenti di cui parliamo oggi, con più o meno sottolineature in rosso, ma il concetto era quello.
Qui la formazione dei docenti è ancora più dura, per non dire impossibile, perché sappiamo bene, purtroppo, che spesso le discipline si scelgono in funzione del caso specifico di una persona esperta in ragnatele. Proprio per l'autonomia, ahimè forse eccessiva, si costruiscono, così, programmi di un certo tipo e magari si insegnano cose un po' meno importanti, tralasciando le prescrizioni esistenti.
Il fatto gravissimo è che gli architetti, una volta formati nell'università e iscritti all'ordine, firmano progetti e questi sono tutti contrari alla legge, perché essi non si sono attenuti alle prescrizioni, che non sono consigli generici, e di quanto sin dal 1971 è previsto si dovrebbe fare (il discorso adesso è molto più articolato).
È, dunque, un discorso complesso, che certo non possiamo essere noi a risolvere definitivamente, ma forse anche coloro che sono in questo ambiente possono dare un loro contributo per rendere meno vago


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un ulteriore provvedimento e andare un po' di più nella direzione del comfort per tutti.

TOMMASO EMPLER, Architetto presso MT Studio - Roma. Svolgo una velocissima precisazione. In realtà, il termine inglese design è molto più ampio di quanto si possa pensare. Con la traduzione italiana, purtroppo, esso diventa eccessivamente riduttivo.
Non bisogna dimenticare, rispetto a tutti i discorsi affrontati, che molto spesso le norme attuali, annoverate come «norme di eliminazione delle barriere architettoniche», rappresentano anche normativa di sicurezza. Quando un progettista deve capire quanto è alto un parapetto, non lo trova da nessuna parte se non nel disposto normativo dell'eliminazione delle barriere architettoniche, che quindi si rivela un disposto molto trasversale.
Insisto sulla necessità di eliminare la connotazione negativa, perché anche l'insegnamento di una materia con connotazioni positive risulta molto più facile da acquisire da parte di persone che finora hanno fatto resistenza. È questo il vero problema. Finora c'è sempre stata resistenza al fatto che si possa denunciare che coloro che sono usciti dall'università hanno commesso degli errori, e anche questa potrebbe essere considerata una parte della resistenza fatta a monte.

MATTEO CLEMENTE, Architetto presso MT Studio - Roma. Intervengo per qualche brevissima riflessione. Credo che stiamo girando intorno alla questione della denominazione, universal design, progettazione per tutti e così via. Noi ci intendiamo un po' di fatti tecnici, molto meno di leggi e ricordo anche che Croce affermava che è molto difficile fare le leggi perché bisogna imbrigliare in uno schema astratto la vita reale.
La vita reale, quella che conosciamo, che descriviamo sui manuali, è molto complessa: la mia paura è che quando scriviamo di edifici pubblici e privati magari abbiamo dimenticato gli spazi esterni, gli oggetti. Ci siamo occupati spesso nella vita reale di questioni di barriere architettoniche e abbiamo visto che anche progetti eccelsi per i disabili motori erano fatti bene anche dal punto di vista dei disabili visivi, ma dimenticavano le persone che hanno problemi cognitivi. Quando ci siamo occupati del restyling della stazione abbiamo inciso evitando il vetro, che crea il riflesso, e quindi un disagio, per i non udenti, che leggono il labiale. Esistono un milione di casi che magari noi, che siamo qui e svolgiamo professioni tecniche, conosciamo: il mio timore è che questo milione di casi non passi.
Le premesse della proposta di legge sono bellissime, ma temo che siano troppo brevi per contenere tutte queste considerazioni. Mi permetto, allora, di suggerire di ampliare tali concetti, a costo di essere ridondanti. Oltretutto, c'è una questione ermeneutica: l'espressione universal design, che per noi oggi significa qualcosa, come ci ha insegnato Gadamer, tra qualche anno significherà qualcos'altro.
Credo siamo tutti d'accordo oggi che sicuramente intendiamo incidere in questa legge in maniera propositiva e ottimistica. Design vuol dire progetto e allude ad un concetto futuro; abbattimento delle barriere architettoniche, invece, vuol dire riparare un danno già fatto. Vorremmo che il provvedimento in esame nascesse nello spirito di cui parlava l'onorevole Argentin, ossia di un mondo realmente migliore e proiettato al futuro, ma dobbiamo stare attenti perché, se nella legge non è previsto tutto, ci sarà sempre il tecnico che cercherà di farla franca.
Un caso frequente, ad esempio, era quello di chi, con una casa a due piani, rivendicava che la legge gli consentisse, abitandovi un nucleo familiare, la realizzazione del servoscala. Bisogna stare attenti a certi escamotage e, al di là dell'arresto, probabilmente si dovrebbe cercare di trovare un modo per esplicitare al massimo i concetti, a costo di dilungarsi. Possiamo impegnarci su questo fronte e includere nel provvedimento una quantità di norme tale da fare in modo che esso diventi anche un veicolo per non limitarsi a leggere un manuale.


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Quanto all'insegnamento nelle scuole, in realtà, se ci pensiamo, il provvedimento ammette un po' una sconfitta. Che debba, infatti, esistere l'expertise, che debba esister un «barrierologo», è come ammettere che esiste l'esperto del progetto dell'ascensore. Qualunque progetto d'architettura, invece, oltre ad avere problemi di complessità legati alle competenze dei Vigili del fuoco, agli aspetti igienico-sanitari, ai rapporti d'aerazione, nonché problemi per l'uso, per le funzioni, gli spazi, i fatti percettivi, morfologici, storici e così via, deve contemplare questo requisito.
Va benissimo, quindi, lo strumento della legge: questo insegnamento è necessario nelle scuole, perché i nostri figli non hanno bisogno di un insegnante specifico per questa materia o di un insegnante di sostegno sulle barriere architettoniche. Per tutti i corsi deve essere prevista la figura di un docente che, nell'insegnare urbanistica, dovrà insegnare come si realizzano i marciapiedi accessibili. Per insegnare come si progettano i musei - questa costituisce una parte dell'esame - non esiste un corso a parte.
Procediamo, dunque, con l'elaborazione del testo del provvedimento e, magari, i nostri figli ne penseranno un altro.

GIOVANNI DEL ZANNA, Architetto presso Studio GDZ - Milano. Interverrò molto brevemente, anche perché mi hanno tolto le parole di bocca. In effetti, noi pensiamo sempre che design e architettura siano due cose diverse: nel nostro linguaggio, design è progetto e universal design è progettazione universale.
Come si può intervenire? Da progettista, che con le leggi ci lavora, meno esperto dell'università, non ho grossa fiducia che basti una legge, ma penso che, al di là di certi possibili ostracismi, a volte manchi l'attenzione verso determinate questioni. Se si organizza un convegno, il preside di facoltà si congratula, ma se ne dimentica nella redazione del programma di studi. Credo che questo possa incidere perché costringe a inserire la tematica nel percorso di studi. Siamo, infatti, d'accordo che debba essere di tutti, ma deve esserci.
Porto la testimonianza a voi, che elaborate le leggi, di un ritorno. Realizzando adeguamenti per persone con disabilità, mi occupo di calcolo dei costi e posso testimoniare che le case costruite dopo l'emanazione della legge n. 13 del 1989 sono molto più accessibili. Parliamo sempre male della normativa, facciamo fatica ad applicarla, in quanto essa è fonte di contenziosi e di tanto altro, ma nel territorio su cui lavoro questa normativa ha inciso positivamente.
A volte, il vantaggio non è evidente, perché la persona disabile che deve solo modificare il bagno, e quindi spende 10.000 euro anziché 50.000, non si rende conto della miglioria, ma con la normativa del 1989 abbiamo avuto un grosso cambiamento.
Nei miei corsi affermo che gli architetti costruiscono da 4.000 anni. Di accessibilità parliamo da 40 anni: dateci tempo. Anche in questo discorso ha senso la formazione in termini positivi. Non si tratta solo di eliminare il gradino, ma di trovare anche soluzioni nuove per migliorare la progettazione.

FABRIZIO VESCOVO, Architetto. Avrei ancora un suggerimento. Rileggendo la relazione mi sono accorto che al primo capoverso si parla - non capisco perché - del fatto che in Italia più recenti dati stimano la presenza di 2 milioni 800.000 persone con disabilità: non si capisce da dove venga fuori questo numero, se non da una valutazione parzialissima.
Innanzitutto, la definizione di persone con disabilità ha un'accezione talmente ampia che i soggetti con disabilità sono molti di più.

PRESIDENTE. La parte della relazione introduttiva, al di là del numero, non rileva, però, ovviamente sull'articolato.

FABRIZIO VESCOVO, Architetto. Il concetto è un altro: le persone con disabilità


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non sono quelle descritte in quel l'elenco di «sfigati», come alcuni dicono con un lungo giro di parole, ma tutti in certi momenti della loro vita. Anche questo insegna. Se fosse possibile, quindi, eliminerei questo riferimento, anche perché a livello europeo si stima che le persone con disabilità temporanea o permanente siano oltre il 22 per cento della popolazione, quindi è chiaro che questo numero forse sottovaluta un po' l'importanza di una legge come questa.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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