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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VII
3.
Giovedì 29 novembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Ghizzoni Manuela, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROPOSTA DI LEGGE C. 2367 ARGENTIN, IN MATERIA DI NORME PER L'INSERIMENTO DELLO STUDIO DELLA TECNICA E DELLA TECNOLOGIA ATTE AL SUPERAMENTO DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE NEGLI EDIFICI PUBBLICI E PRIVATI NEI PROGRAMMI DIDATTICI

Audizione di esperti del settore:

Ghizzoni Manuela, Presidente ... 3 6 7 9 10 12 13 14
Anesi Graziella, Presidente della cooperativa HandiCREA ... 3 13
Argentin Ileana (PD) ... 6
Brusa Pasqué Elena, Architetto ... 7 13
Capitanio Santolini Luisa (UdCpTP) ... 12
De Torre Maria Letizia (PD) ... 12
Porcu Carmelo (PdL) ... 10
Rusconi Giuseppe, Avvocato ... 10 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Intesa Popolare): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL; Misto-Diritti e Libertà: Misto-DL.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 29 novembre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MANUELA GHIZZONI

La seduta comincia alle 14,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di esperti del settore.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla proposta di legge C. 2367 Argentin, in materia di norme per l'inserimento dello studio della tecnica e della tecnologia atte al superamento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici e privati nei programmi didattici, l'audizione di esperti del settore.
Nel dare il benvenuto a Graziella Anesi, presidente della cooperativa HandiCREA (Handicap ricerche e attività), l'avvocato Elena Brusa Pasqué e l'avvocato Giuseppe Rusconi, do la parola a Graziella Anesi per lo svolgimento della sua relazione.

GRAZIELLA ANESI, Presidente della cooperativa HandiCREA. Nell'iniziare il mio breve intervento, che mi vede emozionata e con una sensazione quasi di «spaesamento», desidero ringraziare per l'opportunità data non tanto alla mia persona quanto alla cooperativa che rappresento.
Dal materiale che ho consegnato, si può vedere che HandiCREA è una cooperativa sociale con sede a Trento - fondata nel 1995 da undici persone - impegnata nell'offrire informazioni, studi e ricerche alle persone con disabilità, ai famigliari, agli operatori, agli enti e alle istituzioni con una marcata percezione che i mezzi discriminanti per le persone disabili vanno dall'esclusione intenzionale diretta a quella determinata dalle barriere architettoniche e comunicative, dal non accesso ai servizi alle informazioni e alla conseguente impossibilità di partecipazione.
Tali mezzi discriminatori si trovano - come abbiamo anche visto nella premessa della normativa - sul lavoro, nella casa, nei locali pubblici, nella ricreazione e nella sanità, nell'accesso ai servizi, nella cultura e nelle relazioni sociali.
L'obiettivo di HandiCREA è quello di cercare di eliminare o, almeno, di contribuire alla demolizione delle emarginazioni tuttora presenti, che portano le persone con disabilità a subire, oltre a quella derivante dalla patologia che le colpisce, l'ulteriore mortificazione indotta dall'inadeguatezza delle strutture e dei servizi esistenti.
Attraverso l'attività di sportello, da anni forniamo quotidianamente informazioni a Trento in due uffici e, per due giorni al mese, nei comuni di Tione, Riva del Garda, Tonadico, Primiero e Rovereto. Le richieste che ci arrivano sono a tutto tondo e riguardano le leggi, le procedure, gli ausili e le barriere architettoniche. Fin dall'inizio, tali richieste ci hanno indotti a proporre nuove modalità di approccio ai problemi e ci hanno fatto interloquire


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anche attraverso le diverse istituzioni del territorio. Rispondevamo gli utenti e, al contempo, portavamo avanti le richieste dei loro bisogni, anche assieme ad altre realtà.
È nata così la prima collaborazione con il comune di Trento per realizzare una mappatura dei luoghi a uso pubblico che portasse alla stampa di una guida - poi denominata «Trento senza barriere», che realizza una mappatura dei luoghi a uso pubblico - e di un opuscolo. La proposta è stata accolta e realizzata, ed ha rappresentato anche la prima esperienza di formazione diretta, con la collaborazione dei docenti e degli studenti dell'istituto tecnico Andrea Pozzo, la scuola per geometri più affermata di Trento.
Il progetto è stato attuato in momenti distinti: nella prima fase sono state elaborate le schede di rilevazione, i simboli, la legenda nonché i criteri di selezione dei luoghi, mentre, nel secondo momento, studenti formati e affiancati da persone con disabilità hanno eseguito la rilevazione vera e propria sul territorio. Infine, si è proceduto alla trascrizione dei dati, che ha permesso di creare una fotografia informativa del grado di accessibilità dei luoghi rilevati.
Questo è stato il primo di una serie di lavori che ho appena accennato; chi fosse interessato ad approfondire, potrà trovarli tutti nel curriculum e nel materiale che abbiamo consegnato. Vorrei soltanto aggiungere che si tratta di lavori che hanno sempre comportato il confronto sia con le scuole e con chi affiancava le rilevazioni, sia con le istituzioni, alle quali abbiamo poi proposto delle soluzioni per le criticità che siamo riusciti a individuare.
Credo opportuno saltare la parte relativa ai summenzionati lavori e passerei subito al motivo dell'incontro di oggi. Mi preme sottolineare che, in tutte le attività che abbiamo svolto, con particolare riferimento alla mobilità e all'accessibilità nel senso più esteso, vi è stata una grossa componente di attenzione e di necessaria considerazione nei confronti della normativa e delle barriere architettoniche, della progettazione e della realizzazione di ambienti in cui la persona si possa muovere in sicurezza e con quanta più autonomia possibile.
Per quel che concerne la storia della normativa, bisogna accennare alla realtà della provincia di Trento, che, come molti di voi sapranno, è autonoma e, pertanto, ha la possibilità di deliberare e di legiferare in modo anche più avanzato della normativa nazionale. La storia comincia con una legge approvata dalla provincia di Trento nel 1981, in concomitanza con quello che l'ONU aveva proclamato «Anno internazionale dell'handicappato»; Trento non usò tale espressione e preferì intitolare la legge «Norme per il superamento di situazioni emarginanti sopportate da persone con difficoltà psichiche e fisiche e sensoriali». In essa, vennero stabiliti alcuni criteri, tuttora attuali, ma non si previdero sanzioni perché non si atteneva ad essa; pertanto, la legge risultò bella, ma inefficace.
Dieci anni più tardi, nel 1991 - grazie anche ad alcune proteste da parte di disabili e alla mobilitazione che essi suscitarono - il consiglio provinciale approvò una nuova e più articolata legge per l'eliminazione delle barriere (legge provinciale 7 gennaio 1991, n. 1). In essa, per esempio, all'articolo 7, si dice che «il sindaco, per poter rilasciare la licenza di abitabilità o di agibilità, deve accertare che le opere siano state realizzate nel rispetto della legge e, a tal fine, può richiedere al proprietario degli immobili una dichiarazione resa sotto forma di perizia giurata e redatta da un tecnico e, qualora risulti la difformità anche parziale da quanto previsto, il sindaco stesso può non rilasciare la licenza e mettere in atto delle sanzioni».
Nella stessa legge, all'articolo 8, si dispone che «gli enti pubblici assicurano, nell'ambito dei propri programmi, la priorità agli interventi di rimozione delle barriere negli edifici di loro proprietà e per gli spazi aperti al pubblico» e, inoltre, che «la giunta definisce le modalità e i termini per la ricognizione degli edifici che richiedono la rimozione delle barriere». Quest'ultimo è stato un punto molto discusso,


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a Trento, perché si voleva capire quanti fossero gli edifici con barriere e quali fossero le strutture che potevano essere «sbarrierate» in breve o in medio tempo; di queste, è stata prevista una mappatura, anch'essa realizzata dai tecnici delle barriere.
L'elemento interessante arriva all'articolo 22, quando il sindaco ordina «in caso di difformità dalla legge, la demolizione delle opere eseguite in contrasto con le disposizioni e la restituzione in pristino in conformità al progetto a cui la concessione si riferisce» e, ancora «nel caso di mancata realizzazione delle opere stesse, il sindaco può ritirare la concessione e ordinare l'esecuzione dei lavori per conto dell'ente pubblico, che poi si rivale sul proprietario per le spese».
Quanto appena descritto si è verificato a Trento un paio di volte (non di più) ma ha creato molto movimento in alcuni settori del commercio, del turismo e anche negli enti privati che avevano in carico tali edifici; in ogni caso, ciò ha rappresentato un messaggio per chi era inadempiente. Anche nella legge che stiamo trattando si prevedono delle sanzioni e, secondo me, queste sono davvero determinanti ai fini di una sua applicazione coerente.
Infine, anche la nostra legge prevede la formazione di tecnici e la promozione, l'organizzazione e il finanziamento di corsi di formazione rivolti a quanti operano nel settore nonché agli insegnanti e agli studenti, sulla base di convenzioni con le istituzioni scolastiche ed enti pubblici interessati all'eliminazione delle barriere.
In qualità di rappresentante di una cooperativa che sulle barriere si sta molto impegnando, devo dire che l'applicazione della legge provinciale n. 1 del 1991 non è, a tutt'oggi, né completa, né lineare. Laddove si è trovata attenzione e capacità di andare oltre rigidità e schemi mentali, vi sono esempi di applicazione davvero positivi, che, però, ancora troppo di frequente si affiancano a errori banali ma condizionanti, quali, ad esempio, scivoli di marciapiedi con troppo dislivello o pendenze insormontabili.
Come sappiamo, invece, la progettazione di ambienti - aperti o chiusi che siano - deve passare attraverso la previsione, quindi prevedere con gli occhi (in questo caso, della mente) delle persone con disabilità o, ancor più, di tutti. Se questo messaggio non è ancora passato, crediamo che ciò sia dovuto anche al fatto che nelle menti di tanti (troppi, vorrei dire) progettisti, il disabile è sempre «l'altro», ossia qualcuno di diverso. Per tali ragioni, il nostro parere è positivo sia con riguardo alla promozione della cultura dell'accessibilità, sia a ciò che nel testo in esame viene definita «punibilità dell'inadempiente». Relativamente alla finalità che la proposta di legge si propone, non possiamo che giudicarla positivamente e auspicare che essa venga approvata in tempi brevi.
In merito alla formazione, prevista all'articolo 2, ci piacerebbe una specializzazione che preveda, in qualsiasi ordinamento scolastico o universitario, momenti pratici con esempi di buona prassi, simulazioni e filmati, da confrontare, per esempio, su singole situazioni. Negli incontri di questo tipo che ci capita di organizzare con le scuole, sovente ci sentiamo porre domande (meno male, aggiungerei) su come una persona in sedia a rotelle si approcci ai servizi igienici o si sposti per andare a letto. In queste domande abbiamo sempre trovato attenzione e rispetto, e quando lo studente, che è diventato architetto, viene a mostrarci un suo progetto, troviamo una grande volontà di realizzare qualcosa di funzionale.
Per quanto riguarda la domotica, mi preme dire che, rispetto alla disabilità, essa sta avendo un'applicazione davvero lenta, anche a causa dei costi troppo elevati e della limitata conoscenza non solo dei progettisti ma anche dei tecnici e degli operai sulle possibili soluzioni esistenti.
Per quanto riguarda ciò che è previsto all'articolo 4, riteniamo che esso sia fondamentale. Anche nella nostra esperienza abbiamo visto costruzioni e ristrutturazioni in cui si è avuto un rimpallo delle


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responsabilità per la mancata applicazione della legge; se l'articolo verrà approvato così com'è - come mi auguro - esso potrà procurare un vero cambiamento nel metodo e nella sostanza, che deve cambiare anch'essa.
L'articolo mette in evidenza la responsabilità dell'amministratore, che, finalmente, deve prendere atto di un obbligo: è una grossa responsabilità limitare o impedire l'accessibilità e la fruizione delle strutture, ma finora non ha mai trovato sanzioni adeguate. Crediamo che ciò significherebbe rendere dignità e concretezza ai diritti delle persone con disabilità, che spesso vengono dichiarate solennemente ma, poi, per niente applicate.
Se è vero che le conoscenze tecnologiche e le possibilità di intervento attualmente esistenti - quando opportunamente utilizzate - permettono di apportare concreti miglioramenti alla qualità della vita delle persone con disabilità, è anche vero che se non c'è una «cultura» con l'iniziale maiuscola altrettanto attrezzata o radicata che le realizzi, tali miglioramenti non vi saranno mai.
Anni fa, in un breve articolo pubblicato su DM, ho scritto che il tempo è prezioso per tutti: nessuno può permettersi di perderlo, tutti hanno fretta e sono irritati quando qualcosa li blocca. Mi chiedevo, allora, se il valore del tempo per i disabili fosse diverso, visto che essi possono, anzi devono aspettare anni per potersi recare al lavoro su un mezzo pubblico, per accedere a un museo, per girare la città o vivere in abitazioni adatte. Chi paga le loro opportunità perse, e quanto valgono tali opportunità? Anche grazie a questa legge, mi piacerebbe che il valore del tempo diventasse uguale per tutti, perché tutti hanno soltanto questa vita e non c'è o non dovrebbe esserci differenza di valore.
Concordiamo quando, nella premessa del disegno di legge, si dice che «rendere un ambiente accessibile vuol dire renderlo sicuro, confortevole e qualitativamente migliore per tutti» e aggiungiamo che ciò vuol dire, per noi, rendere libere le persone che lo vivono e che lo vivranno, qualunque sia il loro stato, e che per farlo si devono mettere in campo numerosi componenti.
Realizzare almeno una parte di questi obiettivi non è facile, perché ognuno di essi contempla volontà, conoscenza e coinvolgimento notevole, anche da parte di forze esterne apparentemente lontane dal tema della disabilità, dal punto di vista professionale e culturale; non è facile, anche perché muove ambiti complessi ma è necessario, a maggior ragione se le risorse saranno minori. Crediamo che «Progettare per tutti» non sia solo uno slogan, e non vorremmo che, per giustificare inadempienze, d'ora in poi si desse la colpa anche alla situazione economica, che, al contrario, da progettazioni «accessibili», nel significato più ampio del termine, trarrebbe solo vantaggi.
Non sarà facile per noi, nel nostro piccolo, né lo è mai stato, ma faremo di tutto per continuare e per fare in modo che i concetti e gli obiettivi di questa legge, quando verrà approvata, siano compresi e fatti propri dappertutto.

PRESIDENTE. Presidente Anesi, la ringraziamo; poiché la relatrice deve lasciare la seduta, vorrei cederle subito la parola, non prima, però, di averle presentato anche i colleghi presenti: l'onorevole Pes, l'onorevole De Torre, la capogruppo Coscia, l'onorevole Mazzarella, del PD, e l'onorevole Porcu, del PdL, oltre alla relatrice e presentatrice della proposta di legge, Ileana Argentin.

ILEANA ARGENTIN. Mi scuso, ho fatto i salti mortali per essere qui almeno nella prima mezz'ora perché ho un impegno familiare improrogabile a cui devo far fronte. Mi dispiace non poter ascoltare gli altri ospiti ma mi documenterò attraverso gli atti che verranno pubblicati.
Questa legge è importante per noi ma, credo, per il Paese in generale perché, invece di diventare dei «costi» - perché assistiti sempre e comunque soltanto dalla società - diventiamo protagonisti di un meccanismo in cui, prima di costruire barriere da eliminare poi, vogliamo costruire senza barriere architettoniche.


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Questo è il nostro scopo e, per farlo, il vero limite con il quale ci scontriamo ogni giorno è quello dell'ignoranza nel vero senso della parola. Siamo in fase di primarie, dalle quali sono reduce e in cui ho sentito una serie di frasi che, ormai, mi sono entrate nel cervello; nel parlare di scuola, Bersani dice - giustamente - che chi insegna riempie dei piccoli scaffali. Si ha bisogno di questi scaffali e si ha bisogno di riempirli ma, per farlo, serve gente in grado di farlo, nel momento giusto e al posto giusto, cioè a scuola, all'interno delle università ma, soprattutto, nei licei professionali e, perché no, cominciando anche dalle scuole di primo grado, elementari e così via, per far capire anche a mamma e papà che alcune cose non si devono fare, come, ad esempio, occupare un parcheggio disabili. Analogamente, non si deve mettere una rampa storta, perché potrebbe essere pericolosa non solo per i disabili ma per molti altri e così via.
L'idea di questa legge, che ho condiviso con quella che allora era la maggioranza (oggi non lo so, siamo tutti in maggioranza e non si capisce più niente), con il PdL e con il FLI, nasceva proprio dalla volontà di insegnare a progettare e costruire senza barriere per rendere il Paese veramente di tutti, non in modo negativo ma bello. La nostra idea è quella di utilizzare strumenti anche estetici che abbiano un senso, non come quei maniglioni che continuiamo a usare per arricchire alcune aziende, realizzati in materiali che continuiamo a usare per arricchirne altre, con i grandi movimenti associazionistici che ci sono dietro e che cercano di utilizzare materiali strutturali che hanno soltanto il senso di arricchire qualcuno a discapito del mondo della disabilità.
Mi assumo tutte le responsabilità per questa proposta di legge, perché potrebbe portare a una situazione di immobilità o di caccia alle streghe; tuttavia, dandole un senso reale, quello, cioè, di fare realmente cultura e dare a tutti la possibilità di vivere il Paese pienamente; ho scritto questa proposta di legge e l'ho condivisa con tanti altri colleghi appunto con questo scopo. Mi auguro che, attraverso di voi, possiamo avere delucidazioni e indicazioni, come quelle che la presidente Anesi ci ha poc'anzi fornito nel modo migliore, e, soprattutto, chiedo all'avvocato, che so essere presente oggi, se individua in essa eventuali difformità anche rispetto alla normativa nazionale; credo che questo sia l'elemento più importante.
Come vi avevo anticipato, devo lasciare la seduta perché mio padre deve ricoverarsi; mi scuso ancora e vi auguro buona prosecuzione dei lavori.

PRESIDENTE. Credo che possiamo senz'altro scusare la relatrice; peraltro, immagino che i nostri ospiti abbiano provveduto a portare delle memorie, che distribuiremo anche agli altri colleghi.
Do ora la parola all'architetto Brusa Pasqué.

ELENA BRUSA PASQUÉ, Architetto. Buongiorno a tutti, vi ringrazio di avermi invitato all'audizione di oggi. Vorrei ringraziare Graziella Anesi per quello che ha detto e per i contenuti della sua relazione, che ho condiviso; quindi, non ripeterò molte delle cose che ha già anticipato.
Ritengo molto interessante la normativa in oggetto perché, finalmente, coinvolge il mondo della scuola; sono qui perché, al liceo, ero compagna di banco di una ragazza tetraplegica e, pertanto, quello che sono oggi lo devo proprio al mondo della scuola e al mondo della condivisione. Sono d'accordo con l'onorevole Argentin quando dice che il mondo della condivisione deve nascere non alle superiori, ma nelle scuole primarie: creare sin da subito dei momenti di incontro è molto importante.
Sono architetto progettista e mi sono sempre occupata di questo tema proprio perché l'ho vissuto sulla mia pelle e su quella della mia amica, quindi ho imparato tante cose. Credo che il ruolo dell'architetto sia quello di porsi dei problemi, ascoltare molto, anticipare i bisogni e imparare ad anticiparli progettando cose giuste. Questo, tuttavia, non viene insegnato; si insegna solo a fare cose belle, mentre si possano fare cose belle, sicure e anche accessibili.


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Nel mondo dell'accessibilità bisogna rovesciare il problema e cambiare anche il modo di parlarne; per me, infatti, occorrono parole nuove per una nuova crescita culturale. Per esempio, nel titolo si potrebbero sostituire i termini «superamento delle barriere architettoniche» perché ritengo che se ci sono barriere gravi, si tratta di quelle psicologiche, più che architettoniche; per quelle architettoniche da abbattere, invece, è meglio dire che bisogna compiere azioni atte a realizzare progetti accessibili e inclusivi al servizio dell'uomo. Bisogna far capire a tutti che questo modo di progettare non serve soltanto a pochi, ma a tutta l'umanità.
In materia di eliminazione delle barriere architettoniche, suggerirei di introdurre i princìpi dell'universal design, una nuova cultura di progetto che migliora la qualità della vita nel maggior numero di utenti possibile. Le parole hanno un peso: quando ho insegnato al Politecnico, dove ho tenuto dei corsi, o nella mia città, ho usato anche io parole quali «progettazioni per la disabilità» o «progettazioni per un'utenza ampliata», ma ritengo, tuttavia, che siano superate e che sia giusto parlare di un maggior numero di utenti possibile.
Inoltre, ritengo importante introdurre anche il concetto di inclusività, che all'inizio non comprendevo, ma che, nella sua interpretazione anglosassone, trovo molto importante, perché supera anche quello di accessibilità. Un progetto accessibile che si occupa di aprire le porte è importante, ma un progetto inclusivo si propone di gestire tutto quello che accade quando le porte sono aperte e una persona si trova in un luogo, in un ambiente esterno o interno. Infatti, è la permanenza in un posto che deve diventare uguale per tutti, su un pullman o in treno.
A questo punto, cosa si può fare per superare le incomprensioni e il numero incredibile di normative che abbiamo in Italia? Sono una migliore dell'altra, come ha detto prima il presidente Anesi, e anche la legge regionale lombarda è molto buona; il problema consiste nel far capire, perché se le norme non si applicano è solo perché non vengono comprese. Bisogna introdurre concetti positivi, riportando ogni uomo, con le sue diverse abilità o diversità, all'interno del progetto di un nuovo umanesimo, un universal design il cui sottotitolo potrebbe essere «Progetto umano». Se, a partire dalla scuola, lavorando con i ragazzi più giovani, riusciamo a cambiare tale mentalità, riusciremo a introdurre concetti nuovi, a far pensare e a fare ascoltare i progettisti e a farli progettare meglio.
A questo punto, occorrono aiuti a livello scolastico: suggerirei di introdurre materie come l'ergonomia olistica, ossia l'ergonomica del tutto e dell'intero, una scienza che studia non solo diversità dimensionali ma anche quelle di natura fisica, psichica e sensoriale. Ne nascerà un design olistico (dal greco, «tutto, intero»), perché è importante che il progetto venga ripensato.
In sintesi, occorre esprimere, a chi studia e a chi è scuola, concetti di vantaggio, non di obbligo. Si tratta di concetti di vantaggio perché si può dire che progettare e costruire in modo accessibile è vantaggioso, oltre che conveniente, da un punto di vista economico; infatti, migliora la sicurezza e questa dovrebbe andare a braccetto con l'accessibilità, perché ciò diminuisce i costi di gestione. Pensiamo solo alle pulizie di un albergo, di un impianto sportivo o di un edificio pubblico: occorrono i carrelli, la fruibilità e la facilità d'uso, e un luogo accessibile diventa tale anche per la sua manutenzione.
Inoltre, il concetto di accessibilità deve coniugarsi anche con quello di «sostenibilità»: quando tenevo dei corsi nella mia città, invitavo Serena Omodeo Salè, un bioarchitetto lombardo molto valido, che, circa dieci anni fa, ha scritto un libro, Architettura, Design e Natura. Durante le mie lezioni, nella prima slide inserivo sempre una frase tratta dal suo libro: «Progettare e costruire sono atti che comportano l'implicita responsabilità di non innescare meccanismi che si ritorcano contro le esigenze umane». Ciò implica il senso di responsabilità che occorre avere


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nei confronti della terra che ci ospita e dell'uomo che la abita, ma è un concetto trasversale, che ben si adatta a spiegare il motivo per cui occorre progettare in modo che il mondo progettato non si ritorca un giorno contro chi lo ha costruito.
Diventeremo tutti più anziani e avremo una serie di problemi, in un'età guadagnata alla vita, visto che la vita media è aumentata di venticinque anni e in tale età i sensi si diluiscono, la capacità percettiva si smaterializza e anche la capacità motoria viene meno. Per tali ragioni, progettare con i criteri dell'universal design deve diventare conveniente.
Detto questo, vorrei procedere con il mio commento agli articoli della proposta di legge. Innanzitutto, all'articolo 1, suggerirei di introdurre tutte le regole dell'universal design, vale a dire equità nell'utilizzo, flessibilità nell'uso, uso semplice e intuitivo, informazione percepibile, tolleranza nell'errore, poco sforzo fisico, spazio e dimensione per l'approccio eluso. Chiederei, inoltre, che tali princìpi venissero inseriti in tutti i concorsi di progettazione, pubblici o pubblico-privati, affinché le giovani generazioni - che sono quelle che partecipano ai concorsi - possano interrogarsi sul significato delle qualità di progetto e progettare in base a esso.
Nell'articolo 2, allargherei il coinvolgimento a tutte le scuole di primo e di secondo grado, con particolare riferimento ai licei, perché è da lì che provengono quasi tutti i professionisti, architetti e ingegneri; è importante che, in ogni ordine e grado, sia previsto l'insegnamento, esattamente come nel caso dell'educazione civica, dell'ergonomia olistica. Cominciamo a conoscerci: così facendo, forse riusciremo anche a capire perché occorre progettare in un determinato modo. La questione, tra l'altro, non si limita solo al progetto ma anche, come ho detto prima, ai piani della sicurezza: anche in un cantiere bisogna utilizzare sistemi accessibili per rendere meno pericoloso l'ambiente.
In ordine all'articolo 3, suggerirei (anche se credo che qualcuno lo abbia già fatto prima di me) scuole di design e di architettura degli interni, che forse sono state dimenticate o incluse nell'elenco ma sono definite in modo poco chiaro. A queste vorrei poi aggiungere le scuole di restauro: in Italia sono tante le università in cui si parla di restauro ma il grosso problema è dovuto al fatto che quasi tutti i nostri edifici aperti al pubblico sono vincolati. È importante istituire dei corsi in cui non si costruisce ex novo - dove è difficile che si vada a progettare delle barriere; sarebbe davvero stupido - ma si insegna a prendere esempio da esperienze di conservazione del monumento che vadano a braccetto con l'accessibilità. Credo sia un importante fattore da sottolineare.
Nell'ambito di questa proposta di legge, suggerirei di parlare anche del concetto di e-learning (l'apprendimento on line) e di teleconferenze: anche nell'assenza fisica di una persona, infatti, attraverso questi strumenti si può interagire tranquillamente per una crescita comune.
Infine, quanto all'articolo 4, le sanzioni sono molto importanti. Io e l'avvocato Rusconi ne sappiamo qualcosa da anni, perché per esse abbiamo fatto battaglie incredibili - di cui, magari, vi parlerà lui - benché, nonostante l'entrata in vigore della legge n. 503/96, siano state applicate solo poche volte. Tuttavia, sempre parlando in positivo, suggerirei di revocare o negare i finanziamenti ai progetti non certificati dal punto di vista del rispetto di tutte le normative; infatti, credo che quando si punta e si ha paura di perdere un finanziamento, si guarda alla legge sulle barriere con un occhio di maggiore riguardo.
Abbiamo leggi meravigliose, quindi ritengo necessario attivare precise responsabilità quando il non rispetto di tali norme costituisce un danno, che non interessa solo poche persone ma tutte, ed è proprio questo che sarebbe giusto comunicare.

PRESIDENTE. Ringraziamo l'architetto Brusa Pasqué. Poiché anche l'onorevole Porcu ha un problema oggettivo e deve


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lasciare la seduta a causa di un altro impegno impellente, gli cedo subito la parola.

CARMELO PORCU. Nonostante le mie diverse abilità, raggiungere la Sardegna a nuoto è un po' complicato; pertanto, devo scusarmi con gli amici presenti ma devo correre a prendere l'aereo.
Ringrazio per quello che ho sentito oggi dalla presidente Anesi e dall'architetto Brusa Pasqué; in seguito, leggerò anche il resoconto stenografico relativo all'intervento dell'avvocato. L'abbattimento delle barriere architettoniche è inclusivo per tutti i cittadini e rappresenta un obiettivo di civiltà. Pertanto, speriamo che i tempi tecnici di questa convulsa fine legislatura ci consentano di portare a termine questo lavoro.
È una cosa molto importante e vi ringraziamo per la partecipazione; penso che parlerò con l'onorevole Argentin, che ne è la relatrice, per migliorare il progetto di legge attraverso il vostro essenziale contributo.

PRESIDENTE. Vi informo che ci ha raggiunti l'onorevole Santolini, dell'UdC.
Do ora la parola allora all'avvocato Rusconi per il suo intervento.

GIUSEPPE RUSCONI, Avvocato. Desidero ringraziare il presidente e tutti i presenti per l'invito e per l'occasione che è stata data a me e agli altri relatori che mi hanno preceduto di esprimere il nostro parere su questa importante proposta di legge.
Vorrei entrare subito negli argomenti più tecnici, anche vista la mia formazione professionale. La legge ha due obiettivi evidenti: introdurre lo studio dell'universal design e adeguare edifici e spazi pubblici esistenti; per la verità, già il decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 96 interviene per raggiungere il secondo obiettivo ma forse ne stiamo nuovamente parlando perché, a tutta evidenza, il suddetto decreto del Presidente della Repubblica non è stato tanto efficace come si credeva.
Si tratta di un obiettivo condivisibile perché, tra l'altro, è dal 1968 che in Italia abbiamo legislazioni in materia di superamento delle barriere architettoniche. A tale proposito, vorrei leggere l'interessante epigrafe di una circolare del Ministero dei lavori pubblici, «norme per assicurare l'utilizzazione degli edifici sociali da parte dei minorati fisici e per migliorarne la godibilità generale». Ora, a parte alcune espressioni decisamente superate, mi sembra importante sottolinearne la chiusura perché migliorare la godibilità generale degli edifici sociali significa introdurre concetti dell'universal design. Come ho già detto, è dal 1968 che ne parliamo.
Per entrare nel merito di qualche osservazione più tecnica, come dicevo, sul contenuto della proposta di legge, l'epigrafe parla di «norme per l'inserimento dello studio della tecnica e della tecnologia per superare le barriere architettoniche negli edifici pubblici e privati»; forse andrebbe un po' ridotta e concentrata, tenendo presente, tuttavia, che, all'articolo 2, si parla anche di urbanistica e di domotica, mentre nell'epigrafe ci limitiamo solo agli edifici intesi come involucro edilizio.
Quanto al Capo I, articolo 1, occorre aggiornarlo con i riferimenti alla legge n. 18 del 2009 (in vigore dal 15 marzo 2009), che ha ratificato la Convenzione dell'ONU. Inoltre, si segnala un errore: la legge n. 13 del 1985 è del 9 gennaio.
Il primo comma dell'articolo 1 promuove «lo studio e la conoscenza della cultura dell'accessibilità quale elemento fondamentale dell'universal design» definito ai sensi delle linee guida del decreto ministeriale che tutti conosciamo. A mio avviso, potrebbe essere opportuno concentrare le definizioni su ciò che è già esistente: abbiamo la Convenzione ONU - trasfusa, per l'appunto, nel nostro ordinamento sin dal 2009 - che, all'articolo 2, definisce cosa si intende per universal design. Non è più necessario riferirci a un decreto ministeriale, che, sotto il profilo legislativo, è norma di rango inferiore; pertanto, possiamo concentrarci su una Convenzione ONU che già contiene la definizione di nostro interesse.


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Quanto al discorso sull'accessibilità, esso mi sembra ancora altamente riduttivo perché torniamo ai soliti tre concetti - accessibilità, visitabilità e adattabilità - che, nel bene o nel male, ci hanno guidato per vent'anni. Approfittando di questa norma di ampio respiro, forse è il caso di superare finalmente il concetto di «barriera architettonica» e di parlare, per l'appunto, di progettazione per tutti, riprendendo, paradossalmente, il vecchio concetto introdotto dalla circolare del 1968.
Per quanto riguarda il primo comma dell'articolo 2, anch'esso si limita a focalizzare la propria attenzione su aspetti edilizi e urbanistici - che vengono, come ho detto prima, introdotti nonostante l'epigrafe della legge - relativi all'universal design e al superamento delle barriere architettoniche. Anche in questo caso, se ci limitassimo a recepire il concetto di universal design sostituendo quella che, ormai, è una brutta espressione, ossia «superamento delle barriere architettoniche», riusciremmo anche a fare formazione. Visto che la norma va a favore dei ragazzi, forse riusciremmo a fare formazione con l'obiettivo di far crescere questi ultimi anche culturalmente.
Per quanto riguarda l'articolo 4, al Capo II vengono introdotte, come sappiamo, delle sanzioni penali. A tale riguardo, occorre la massima attenzione nell'individuare i soggetti destinatari di tale obbligo, sanzionato penalmente e, pertanto, in maniera molto pesante; diversamente, potremmo ritrovarci l'ennesima disposizione che rischia di essere non solo non applicata, ma anche non applicabile (e ciò sarebbe la cosa peggiore).
Tutti ricordiamo l'articolo 24 della legge quadro n. 104 sull'handicap, che ha introdotto le sanzioni di carattere penale ma, da allora a oggi, soltanto un progettista è stato condannato per aver violato l'articolo. Nell'immaginario collettivo del nostro «Pantheon» ideale, accanto alla casalinga di Voghera c'è l'architetto di Verbania, che è l'unico condannato; il poverino ha portato la croce per tutti ma, probabilmente, la norma non ha funzionato. Basta fare un giro nei nostri paesi e nelle nostre città per renderci conto che non tutto è stato costruito rispettando la norma.
Vorrei svolgere due rapide riflessioni sul contenuto dell'articolo 4. Innanzitutto, già nell'epigrafe, l'articolo introduce la nozione di «amministratore pubblico», che non esiste nel nostro ordinamento. Occorre prestare molta attenzione perché se parliamo di «amministratore pubblico», dobbiamo anche definirlo, anche perché il secondo comma lo identifica nella persona del dirigente, al quale spettano i poteri di gestione, oppure nel funzionario (se il dirigente non c'è). Di solito, la nozione è riferita a un contenuto politico della carica amministrativa - mi riferisco, in questo caso, all'articolo 77 del testo unico degli enti locali, che contiene la definizione di «amministratore locale» - non certo a un amministratore pubblico quale dipendente dell'amministrazione, quindi né a un dirigente, né a un funzionario.
A mio avviso, ciò che non funziona è il terzo comma, nel punto in cui dice che «in caso di omessa individuazione di chi è l'amministratore pubblico, questi coincide con l'organo di vertice dell'amministrazione pubblica competente». Si tratta di un organo politico o tecnico? Qual è l'organo di vertice, il sindaco, il presidente della provincia (nel caso di quelle che sono rimaste) o della regione? Non si sa. Come ho già detto, se introduciamo la nozione di «amministratore pubblico», dobbiamo anche definirla.
La mia secondo osservazione, invece, riguarda il comma 1, nel punto in cui parla di interventi sugli edifici esistenti. La sanzione penale incide sull'omessa applicazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 503 sugli edifici esistenti, perché, per quelli nuovi, provvede già il summenzionato decreto; a questo punto, vi è un problema di raccordo perché l'articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 503 parlava di interventi sull'esistente: «agli edifici e spazi pubblici esistenti, anche se non soggetti a recupero o riorganizzazione funzionale,


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devono essere apportati tutti quegli accorgimenti che possono migliorarne la fruibilità sulla base delle norme contenute nel decreto».
Nella proposta legge, invece, il comma 1 dispone che dove la normativa in materia di accessibilità e di eliminazione delle barriere architettoniche non venga rispettata, scatta la sanzione penale. Il concetto di accessibilità è definito dal DM 236 del 1989, mentre quello di fruibilità non è definito da nessuna parte. Punendo con norme di carattere penale chi viola i criteri di accessibilità e di eliminazione delle barriere architettoniche sull'esistente, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 503 - ossia edifici e spazi pubblici - dobbiamo raccordarci con la norma esistente, altrimenti rischiamo di non renderla applicabile.
Ho consegnato qualche appunto sulle cose che ho detto, che ho chiuso con una battuta sui lillipuziani, che definivano gli inglesi «deficienti nell'arte di governare» perché facevano leggi solo con la comminazione del castigo senza mai far menzione di ricompensa. Nel caso in questione, anche noi rischiamo di introdurre l'ennesimo castigo, che resta di difficile applicazione e «digestione» per i destinatari.
Nella norma si parla addirittura di sei mesi per adeguare gli edifici esistenti; se non lo hanno fatto in sedici anni, sarà dura riuscirci in sei mesi. Ad ogni modo, speriamo che si diano da fare e che, in quei sei mesi, riescano a presentare un piano concreto; sarebbe già un buon risultato.
A mio avviso, l'incentivo premiante potrebbe essere quello di far uscire dal Patto di stabilità tutti gli interventi relativi all'adeguamento degli edifici pubblici esistenti in materia di barriere architettoniche. Infatti, adeguare gli edifici esistenti significa realizzare opere pubbliche. Conosciamo lo stato dell'arte degli enti locali sui mancati pagamenti alle imprese che realizzano opere pubbliche, i quali, il più delle volte, sono causati dal blocco del Patto di stabilità. Sarebbe auspicabile una normativa premiante che esuli gli interventi di abbattimento delle barriere architettoniche dal Patto di stabilità.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
Avverto, altresì, di avere un altro impegno istituzionale, non convocato da me, nel mio ufficio; non avendo un vice presidente che possa sostituirmi, mi appello alla vostra capacità di sintesi, almeno in questa fase. Naturalmente, i colleghi e i nostri ospiti potranno trattenersi - la sale è a loro disposizione - ma nel mio ufficio accumulano ritardo e senza di me non possono iniziare.

MARIA LETIZIA DE TORRE. Voglio ringraziare per gli interventi competenti, oltre che carichi di esperienze e di visione sulla materia. Raccogliendo i vostri preziosi suggerimenti, quando il Comitato ristretto si riunirà sulla proposta di legge, vorrei chiedervi un'ulteriore interlocuzione perché, come avete dimostrato con i vostri interventi, sono proprio le piccole cose e le parole di una legge che possono renderla applicabile ed efficace o meno.
Se è possibile, vorrei chiedere a tutti i nostri ospiti qualche notizia in più in ordine alla domotica e sapere se, secondo loro, tale aspetto è sufficientemente compreso nella proposta di legge; come è stato efficacemente illustrato, esso non riguarda solo l'involucro ma anche ciò che occorre per stare bene al suo interno.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Le vostre obiezioni sono molto chiare; tuttavia, il problema consiste nel fare i conti con i tempi della legislatura, che sta finendo, la mancanza di soldi, che è il solito nodo, e il passaggio al Senato. Non uso illudere nessuno: siamo tutti convinti della necessità di questa legge - altrimenti non saremmo qui a svolgere audizioni e a darvi ragione - ma vedremo quello che realisticamente potremo fare. In tutta onestà, questo è tutto quello che sento di potervi dire.


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PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

GRAZIELLA ANESI, Presidente della cooperativa HandiCREA. Anche io condivido tutto ciò che hanno detto gli altri relatori; vorrei aggiungere che sarebbe auspicabile che la norma in discussione non diventasse di belle intenzioni e poca consistenza - o, comunque, poca realizzabilità - perché, a mio dire, ciò rappresenterebbe l'ennesima presa in giro sull'argomento. Sarebbe davvero un peccato.
Rispetto alla domanda sulla domotica, si tratta di un concetto molto ampio e poco individuato, anche dal punto di vista tecnologico, come l'architetto Brusa Pasqué potrà eventualmente confermare. Anche tra i tecnici e le persone preposte all'installazione e alla progettazione di tali automatismi è in corso una discussione su cosa sia l'ausilio domotico: si tratta del pulsante, dell'apriporta, del comando vocale che aziona tutta la casa, del computer che, schiacciando un pulsante, illumina, accende, spegne, scalda, apre?
In una legge, questi elementi possono anche essere vaghi, ed è come dire tutto e niente. Immagino che ogni legge abbia dei criteri applicativi che li definiscano bene; ad ogni modo, l'universal design ha una propria struttura, per cui si sa cosa si intende per esso. Qualora si introduca la domotica in modo concreto all'interno della norma, sarebbe bene dire anche cosa si intende per essa, altrimenti rischiamo di avere persone non esperte che ne omettono l'applicazione proprio perché non è precisata.
L'avvocato Rusconi (ma anche l'architetto Brusa Pasqué) lo sa bene; chi è dall'altra parte (e con questo non intendo dire che è contrario allo sbarrieramento o alla progettazione accessibile), a cominciare dall'operaio o dall'elettricista, monta automaticamente i pulsanti per accendere la luce a un metro e quaranta perché fa così da quarant'anni. Bisogna essere il più chiari possibile anche su cosa si intende per domotica.
Condivido anche il discorso sugli incentivi. Ieri sera, riguardando la proposta di legge (mi scuso ma non conoscevo le modalità di svolgimento delle audizioni), avevo anche annotato che sarebbe auspicabile proporre la premiazione delle buone prassi. Bisogna prevedere non solo la sanzione in caso di omissione, di mancanza o di inadempienza, ma anche la valorizzazione di esempi positivi che possano incentivare, anche culturalmente. Diversamente, sentirò sempre il negoziante dirmi che gli «tocca» applicare la legge. Sarebbe bello se applicare la legge non fosse una punizione, ma qualcosa di positivo.

ELENA BRUSA PASQUÉ, Architetto. Vorrei rispondere innanzitutto alla prima sollecitazione sulla domotica. Cercherò di essere molto breve perché per parlare di domotica si apre un mondo, giacché se ne può parlare a tanti livelli, ma io mi limiterò a quello architettonico.
Le normative hanno sempre previsto l'accessibilità e l'adattabilità al livello dimensionale della vecchia ergonomia classica (misure, dimensioni e altezze) ma nessuno ha mai parlato di impianti. Vi è, a tale riguardo, una carenza normativa. Per esempio, quindici anni fa ho condotto una sperimentazione con la BTicino in cui avevamo dimostrato che disporre degli impianti in più a fianco a ogni finestra, porta e persiana per renderle assolutamente apribili, costa il 7 per cento di un impianto elettrico; si tratta di una cifra sopportabile, nel momento in cui la si impone come normale. Dopodiché, qualora se ne dovesse avere realmente bisogno, occorrerebbe solo aggiungere un bottone, senza i costi necessari a cambiare l'impianto o la certificazione.
Bisognerebbe far studiare un capitolo agli impiantisti, perché il problema è multidisciplinare; fino ad oggi è stato trattato solo a livello dimensionale ma, secondo me, bisognerebbe creare un regolamento e delle prescrizioni che coinvolgano anche gli impianti, perché, ormai, questi sono tutto: cambiano la qualità della vita delle persone.
In secondo luogo, mi riallaccio al discorso del presidente Anesi per dire che,


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nelle riflessioni conclusive della lettera che vi ho consegnato (e di cui ho fatto anche qualche copia), anche io avevo proposto l'introduzione di un nuovo logo come marchio di qualità per creare degli esempi; non si vedono esempi positivi e la gente non li capisce; pertanto, bisognerebbe creare un logo, come nel caso dei progetti LED, che riguardano il settore della progettazione ecocompatibile, di quelli BIO in altri settori.
Un logo positivo non deve essere, però, legato al pittogramma della sedia a rotelle stilizzata perché, pur essendo universalmente riconosciuto, esso esprime un limite e uno svantaggio; dal canto mio, proporrei il logo «freely» («liberamente»), raffigurante una farfalla - come quello che avevamo usato all'Abilexpo di quindici anni fa - oppure un logo che potrebbe essere oggetto di un concorso nelle scuole. Se queste potessero cominciare a interrogarsi sul tema, potrebbero iniziare a parlarne in senso positivo, anche solo per creare una grafica e ideare qualcosa di nuovo in tema di accessibilità.

GIUSEPPE RUSCONI, Avvocato. Sul punto specifico della domotica, mi hanno già preceduto le altri relatrici e non ho altro da aggiungere.

PRESIDENTE. Vi ringrazio per le sollecitazioni; credo che le note che ci avete lasciato saranno lette attentamente anche da chi ha dovuto lasciare i lavori prima della loro conclusione.
Dichiaro conclusa la seduta.

La seduta termina alle 15,10.

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