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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VII
8.
Martedì 26 gennaio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Aprea Valentina, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLO STATO DELLA RICERCA IN ITALIA

Audizione di rappresentanti di INFN (Istituto nazionale di fisica nucleare), CIVR (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) e CNVSU (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario):

Aprea Valentina, Presidente ... 3 8 10 11 12 13 17
Nicolais Luigi, Presidente ... 8 18 20
Bachelet Giovanni Battista (PD) ... 7 9 11 18 20
Barbieri Emerenzio (PdL) ... 12
Cuccurullo Franco, Presidente del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca ... 5 7 11 12
Fiegna Guido, Componente del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario ... 3 13
Ghizzoni Manuela (PD) ... 11
Petronzio Roberto, Presidente dell'Istituto nazionale di fisica nucleare ... 14 18 20

ALLEGATO: Relazione consegnata dal professor Franco Cuccurullo, presidente del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca ... 21
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

[Avanti]
COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 26 gennaio 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VALENTINA APREA

La seduta comincia alle 13.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di INFN (Istituto nazionale di fisica nucleare), CIVR (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) e CNVSU (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo stato della ricerca in Italia, l'audizione di rappresentanti di INFN (Istituto nazionale di fisica nucleare), CIVR (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) e CNVSU (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario).
All'audizione di rappresentanti del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca e del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario seguirà quella di rappresentanti dell'Istituto nazionale di fisica nucleare.
Diamo un benvenuto non formale, per aver tutti lavorato con le personalità che oggi audiamo, al professor Franco Cuccurullo del CIVR e al dottor Guido Fiegna del CNVSU.
Do loro la parola per lo svolgimento della relazione.

GUIDO FIEGNA, Componente del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario. Buongiorno. Sono già stato presentato, sono Guido Fiegna e, assieme al professor Biggeri, sono uno dei membri anziani del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, che prima era Osservatorio, a partire dal 1996.
Circa il quadro conoscitivo dell'attività di ricerca delle università, il comitato ha cercato di costruire in tutti questi anni una base informativa che fosse di supporto alle decisioni non solo dei singoli atenei, ma anche a livello decisionale politico.
Per tradizione oramai decennale, nel mese di dicembre il comitato ha presentato, presso il CNR, il suo rapporto annuale per il 2009.
Tale relazione raccoglie tutti i dati, generalmente provenienti dai nuclei di valutazione, che riguardano la situazione delle singole università. Si tratta di dati relativi all'offerta formativa, agli studenti, al personale in servizio, all'attività di ricerca scientifica, agli esiti dei processi formativi.
Limitando l'attenzione alla parte che riguarda più da vicino l'argomento di questa audizione, ho presentato una documentazione che potete consultare sia nelle parti relative al rapporto annuale, sia in una sintesi delle basi informative che sono disponibili via internet per gli argomenti di interesse.
Relativamente all'attività di ricerca scientifica, annualmente vengono censiti tutti i dati riguardanti il dottorato di


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ricerca che è il percorso di formazione all'attività di ricerca scientifica. Molti di questi dati sono già stati commentati.
La situazione del dottorato di ricerca in Italia non può essere certamente definita entusiasmante, se la si paragona a quella di altri Paesi. La percentuale di popolazione impegnata in questa attività, infatti, è molto modesta.
Inoltre, a parere del comitato, non sono mai stati definiti con chiarezza i profili formativi, per cui molto spesso la si è ritenuta un'attività di formazione all'attività accademica più che all'attività di ricerca scientifica.
Francamente - lo dico a livello personale -, il numero di dottorati attivi in tutta Italia è sconsolante. Credo che siano 1.500; numero ben più scandaloso di quello dei corsi di laurea.
Peraltro, si tratta di dottorati che hanno caratteristiche prevalentemente domestiche. Vale a dire che la mobilità degli studenti che hanno conseguito una laurea in un ateneo, per poi scegliere un corso di dottorato in un'altra sede, è molto modesta. Inoltre, anche laddove questi candidati si presentano hanno una possibilità di successo più bassa dei candidati locali.
Un ulteriore dato che dovrebbe essere oggetto di meditazione è relativo al fatto che solo poco più del 50 per cento degli studenti iscritti ai corsi di dottorato è coperto da una borsa di studio. Gli altri seguono i corsi di dottorato, ma in assenza di copertura finanziaria.
Abbastanza modesta, anche se fortemente in crescita negli ultimi anni e in particolare in qualche ateneo, è la presenza di studenti stranieri iscritti ai corsi di dottorato.
Complessivamente, gli iscritti al dottorato sono circa 30-35 mila. Il numero di dottori che annualmente viene prodotto dal sistema è nell'ordine di 10-13 mila soggetti.
Accanto agli iscritti al dottorato - molto spesso le due posizioni sono contemporanee -, troviamo la presenza degli assegnisti di ricerca. Tale figura, che crea molte preoccupazioni attualmente alle varie università, è stata istituita nel 1998 come seguito del famoso pacchetto Treu e oramai conta circa 13 mila unità in servizio. Rispetto a tale componente, tuttavia, occorre esprimere una preoccupazione minore, in quanto una discreta percentuale, circa il 40 per cento dei soggetti che sono passati da un assegno di ricerca, li ritroviamo all'interno del personale delle università, prevalentemente come ricercatori, ma anche tra il personale tecnico amministrativo. Una esigua percentuale, nell'ordine del 3-4 per cento, è passata direttamente dal ruolo di assegnista a quello di professore ordinario.
Questo è il quadro del personale cosiddetto «non strutturato», direttamente impegnato nelle attività di ricerca scientifica.
Le attività di ricerca scientifica vengono censite - il CIVR ne misura i risultati - dal comitato attraverso un monitoraggio molto attento, che oramai viene effettuato da dieci anni, dei programmi di ricerca di interesse nazionale.
Tutti i progetti sono gestiti informaticamente, quindi è possibile ricostruirne la storia a partire dalla situazione dei singoli partecipanti.
Il comitato ha usato spesso - anche il ministero vi ha fatto ricorso - come indicatore, sia per il modello di finanziamento, sia per gli incentivi del 7 per cento, due rapporti: la percentuale di partecipazione, ossia quanti soggetti partecipano in rapporto al totale degli individui che potrebbero farlo e quanti dei soggetti che hanno partecipato hanno avuto un giudizio positivo dalla commissione di referee.
Questo indicatore, riportato a livello di singolo dipartimento e di singolo ateneo, permette di effettuare una radiografia della situazione del finanziamento - ahimè - molto esiguo, ma forse l'unico che per la ricerca scientifica ha caratteristiche veramente universitarie, nel senso che non ci sono preclusioni o indicazioni tematiche, così come avviene sui programmi quadro o sui programmi per la ricerca.
Pertanto, è un indicatore molto importante.


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A questo proposito, al comitato è stata spesso mossa la critica di svolgere un'attività di valutazione meramente quantitativa.
Certamente, tuttavia, questa base informativa ci permette di capire qualcosa circa i non partecipanti.
Se il numero dei partecipanti è pari a zero, infatti, una qualsiasi percentuale è pari a zero.
Francamente, è preoccupante il dato complessivo che vede, negli ultimi 7-8 anni, una percentuale prossima al 20 per cento di personale strutturato che non ha mai partecipato a un progetto di ricerca di interesse nazionale.
Di recente, su sollecitazione del comitato, è stata messa a disposizione del ministero - che l'ha utilizzata nella ripartizione del 7 per cento - anche un'analisi dettagliata sul successo di università italiane nei bandi relativi al sesto programma quadro dell'Unione europea.
Anche in questo caso, credo che convenga puntualizzare un aspetto. Il tasso di successo delle università italiane è stato ragguardevole ed è quello - è bene ribadirlo - che ha permesso di sollevare le percentuali nazionali.
Intendo dire che, a fronte di un versamento all'Unione europea di circa il 14 per cento dell'Italia, sul sesto programma quadro, l'Italia ha riportato l'11 per cento.
Tale percentuale, che in altri Paesi è prelevata da attività di ricerca di tipo privato, quindi non universitario, vede l'Italia fortemente deficitaria in termini di presenza di strutture non universitarie.
Pertanto, se l'Italia è riuscita conquistare un 11 per cento di finanziamenti, lo si deve soprattutto all'università, contrariamente a quello che avviene in altri Paesi.
L'impegno principale del comitato in tutti questi anni è stato quello di manutenere, tenere attivo un sistema informativo che in larga misura è assolutamente pubblico e disponibile. Il sito del comitato è assolutamente libero e da esso possono essere ricavate tutte le informazioni che in sintesi vi ho riportato nelle varie tabelle.
L'elemento che preoccupa riguarda il fatto che, svolgendo un monitoraggio degli accessi a questo sito e a quello del ministero, si è rilevato che oramai da circa un anno sono diventate più scarse le visite da siti italiani che non quelle da siti stranieri.
In particolare, sono molto ridotte le visite al sito provenienti da enti preposti alla valutazione.
Il comitato prorogato intende continuare la propria attività su questo versante, anche perché tutti noi riteniamo che questo sia il patrimonio più significativo da tramandare al prossimo futuro ANVUR.

FRANCO CUCCURULLO, Presidente del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca. Signor presidente, ho preparato una serie di relazioni da consegnare alla Commissione. Vi pregherei di soffermare la vostra attenzione sulle ultime pagine che sono riferite alle immagini, in modo da farmi comprendere meglio.
È inutile dire che questa audizione si colloca in un momento veramente particolare della storia dell'università italiana, oggetto di un profondo processo di riforma che coinvolge gli organi di governo, gli ordinamenti didattici, il reclutamento e le modalità di finanziamento.
Tuttavia, mentre la politica di altri Paesi è orientata ad aumentare le risorse destinate al sistema universitario, in Italia ciò non avviene, in particolare per la ricerca cui è destinato un impegno finanziario di gran lunga inferiore a quello dei nostri competitori.
Parliamo, dunque, di ricerca. Ma di quale ricerca? Quella di cui parlano i mass-media, rappresentandone uno stereotipo negativo che vede l'Italia regolarmente collocata come Paese di retroguardia, o invece della ricerca che emerge dall'analisi di dati oggettivi, trasparenti e riproducibili?
I contenuti della mia analisi si fondano ovviamente sul secondo approccio.
A questo fine, abbiamo utilizzato Scopus, il potentissimo database dell'Elsevier,


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per analizzare in termini di quantità e qualità la produzione scientifica mondiale nelle varie categorie di valutazione.
La prima figura, Scopus categories, riporta le diverse categorie esaminate, indicate dalle frecce azzurre. Come potete vedere, si passa dalle life sciences, alle scienze dell'agricoltura, alle scienze biologiche, biochimiche, alle scienze fisiche, fino alla medicina rappresentata sulla destra.
L'immagine successiva indica la metodologia di approccio. Per ciascuna delle categorie, è stato valutato il numero degli articoli e, successivamente, la qualità degli stessi.
Inoltre, è stato fatto un confronto con la qualità espressa dagli Stati Uniti che, comunque, in ogni categoria, si collocano sempre per primi.
Passando alla terza figura, vedete che la prima categoria esaminata è quella delle agricultural and biological sciences. L'Italia, per numero, si colloca in undicesima posizione rispetto agli Stati Uniti.
Quando passiamo all'analisi della qualità, tuttavia, notiamo - figura successiva - che recupera una posizione.
Per tutte le figure a seguire riferirò della posizione dell'Italia in termini di quantità e della collocazione del nostro Paese rispetto agli Stati Uniti, e in confronto con tutti gli altri Paesi presi in esame, per qualità.
La quinta figura riguarda la biochimica, la genetica e la biologia molecolare. L'Italia si colloca settima per numero e per qualità. La diapositiva numero 5 esprime il numero; la numero 6 esprime la nostra qualità rispetto a quella degli Stati Uniti.
Per quanto riguarda le biotecnologie - figura 7 - l'Italia come numero è decima. Passando all'analisi della qualità, si sposta al dodicesimo posto, perché queste sono tecnologie innovative. Mentre l'Italia si posiziona bene per ciò che concerne le tecnologie, i dati e la ricerca tradizionale, si colloca meno bene nelle tecnologie innovative.
La figura 9 si riferisce alla chimica. L'Italia ha una grande tradizione in questo settore e si colloca per numero in decima posizione e per qualità ne risale tre e si colloca in settima posizione.
La figura numero 11 si riferisce ad una tecnologia innovativa, la computer science.
Come vedete, l'Italia si colloca in ottava posizione per numero; mentre la figura successiva, la numero 12, vede l'Italia spostarsi in nona posizione, calando di un posto.
Per quanto riguarda le scienze della terra e planetarie, l'Italia è nona per quantità e addirittura quinta per qualità. Siamo molto forti in questo settore rispetto agli altri Paesi.
La figura numero 16 riguarda l'ingegneria. L'Italia è decima per quantità - figura 15 - e sesta per qualità, quindi è forte in tale campo.
La figura 17 è relativa all'immunologia e alla microbiologia. L'Italia si colloca sesta per quantità e settima per qualità.
La figura 19 riguarda la scienza dei materiali, la scienza innovativa. L'Italia si posiziona nona per quantità e undicesima per qualità. Perde due posizioni. Questo è il nostro andamento nelle scienze innovative.
Passiamo alla matematica, figura 21, l'Italia è sesta per numero e per qualità. Quindi, ha una posizione brillante.
Per quanto riguarda la medicina - figura 23 - l'Italia è quinta per numero e sesta per qualità. Il confronto lo facciamo sempre - ripeto - rispetto agli Stati Uniti.
Nelle neuroscienze - figura 25 - l'Italia è settima per numero e per qualità.
Passiamo alla figura 27, relativa a farmacologia, tossicologia e farmaceutica. L'Italia si posiziona ottava per numero e settima - recuperiamo una posizione - per qualità.
Veniamo ora alla figura 29, relativa alla fisica e all'astronomia. L'Italia è ottava per numero e settima per qualità.
Come si posiziona, allora, l'Italia nel contesto internazionale? Qual è il posizionamento complessivo?
Passando ad esaminare la figura numero 31, potete vedere un classico diagramma a torta dal quale emerge che gli Stati Uniti, in termini di qualità, coprono


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addirittura il 51,6 per cento della ricerca mondiale; mentre l'Italia - lo spicchio azzurro indicato dalla freccia - occupa il 3,3 per cento.
Questa percentuale è alta o bassa?
Vi invito a guardare la figura 32 che riporta i finanziamenti a livello mondiale. Come potete vedere, al primo posto vi sono gli Stati Uniti che producono di più in termini di qualità e finanziano la ricerca con ben - questi sono dati ufficiali dell'Unione europea, relativi al 2006 - 273 miliardi di euro.
Vengono poi la Cina - la cui performance, come vedrete, è tutt'altro che buona - che investe 115 miliardi di euro e il Canada con 16,832 miliardi di euro.
Fino ad ora abbiamo parlato di Paesi extraeuropei. In Europa, al primo posto abbiamo la Germania che investe 58,848 miliardi di euro, poi la Francia con 37,844 miliardi di euro, il Regno Unito con 34,037 miliardi di euro e l'Italia con 15,599 miliardi di euro.
Per finanziamento, quindi, l'Italia è in ottava posizione.
Passando alla figura 33, potete vedere rapportati la qualità (in percentuale rispetto al totale) e l'investimento.
Gli Stati Uniti investono il 39,39 per cento del globale e producono il 51,6 della qualità; il Regno Unito investe il 4,77 per cento e produce l'11 per cento della qualità. Quindi, il Regno Unito è eccezionale, perché investe relativamente poco rispetto agli Stati Uniti, ma ha una componente percentuale decisamente superiore a quella dell'investimento.
Poi viene la Germania, che dovrebbe essere brillantissima - nello stereotipo si vuole che lo sia -, la quale investe l'8,25 per cento e vi ricava l'8,7 per cento di qualità. Allo stesso modo, la Francia ha un valore di 5,30 di investimento percentuale e, fa poco meglio, un dato del 5,5 per cento in termini di qualità.
Il Giappone è veramente fallimentare, perché investe il 16,59 per cento del globale e produce il 5,2 per cento in termini di qualità. Poi viene il Canada, ma voglio farvi notare la posizione dell'Italia.
Il nostro Paese investe solo il 2,18 per cento e, in termini di qualità, assorbe il 3,3 per cento. Quindi, ha una posizione che - mi permetto di dire - è decisamente brillante rispetto all'investimento.
Vi faccio notare come la Cina, in undicesima posizione, investa il 16,15 per cento del globale con 115,196 miliardi di euro e copra soltanto l'1,5 per cento della produzione di qualità del mondo.
Credo che queste osservazioni siano state riportate per la prima volta.
Analizziamo adesso il numero dei ricercatori, figura 42, rapportati a mille unità di forza lavoro.
Il cerchio rosso esprime la posizione dell'Italia.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Investimenti complessivi di tutti?

FRANCO CUCCURULLO, Presidente del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca. Sì, investimenti complessivi di tutti, inclusi i privati. Il discorso riguarda tutto l'investimento, non la sola università.
Come dicevamo - figura 34 - abbiamo 3,4 ricercatori equivalenti a tempo pieno su mille unità di forza lavoro. La freccia rossa indica la posizione dell'Italia.
Al primo posto, vediamo la Finlandia che ne inserisce 15,3 ogni mille unità di forza lavoro. Il valore percentuale medio in Europa è di 5,6 unità e quello dell'Italia è di 3,4.
Non dobbiamo comunque dimenticare che un altro importante driver di spese è rappresentato dal costo delle tecnologie, particolarmente rilevante per quelle innovative, penalizzate dall'esiguità dei finanziamenti, come dimostra, ad esempio, la posizione di retroguardia del nostro Paese nel settore delle biotecnologie.
Uno dei principali elementi di successo della ricerca è rappresentato dalla sua dimensione internazionale - dato riportato nella figura 35 - relativa ai network scientifici.
Quelli rappresentati nell'immagine in esame sono i cento lavori più citati della produzione scientifica che riguarda la medicina


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e che vedono la presenza di ricercatori italiani.
Come vedete, la rete di collaborazioni è pazzesca. Inoltre, collaboriamo proprio con i paesi leader nel mondo, ossia gli Stati Uniti, la Francia, la Germania e il Regno Unito.
Svolgiamo, quindi, un'attività di ricerca molto internazionalizzata, almeno nel settore medico, e collaboriamo con i Paesi più forti a livello mondiale.
Nell'ultima immagine che vi presento, figura 36, vi è un ulteriore componente fondamentale della ricerca di successo che è rappresentata dalla sua dimensione interdisciplinare.
Dobbiamo immaginare la ricerca come un fiume, il cui corso si arricchisce sempre più per gli affluenti che vi convergono.
L'immagine riportata sembra tessuto cerebrale. Vengono presentati tutti i gruppi che collaborano tra loro nella ricerca espressa nell'area biomedica, dai gruppi che producono i migliori cento lavori scientifici della ricerca biomedica.
Oggi le tecnologie informatiche ci danno queste possibilità. Quindi, non dobbiamo più parlare in modo approssimativo, ma dobbiamo riferirci rigorosamente ai dati: quattrini, ricercatori, gruppi di ricerca, ranking mondiale.
In sostanza, credo che emerga abbastanza chiaramente il fatto che l'Italia non è il materasso della ricerca mondiale. L'Italia, ottava per finanziamento, si posiziona come settima nel contesto mondiale della ricerca, superando Paesi che sono stratosfericamente più finanziati di lei.
A questo proposito, svolgo alcune riflessioni fondamentali.
In primo luogo, è necessario non mortificare le aspirazioni dei tanti giovani capaci che, con grande impegno e notevoli sacrifici, si preparano a fare ricerca conseguendo il dottorato nelle nostre università.
Ho ascoltato e apprezzato enormemente la relazione del dottor Fiegna sul dottorato. Oggi, in Italia stanno nascendo le scuole di dottorato, che accorpano tutti i dottorati, i quali si stanno progressivamente riducendo di numero.
Ovviamente, esistono delle variegature. Vi sono dottorati buoni e dottorati pessimi.
In secondo luogo, non dobbiamo ferire le giuste aspettative di progressione verticale di ricercatori ed associati di grande valore che, ormai da troppo tempo, attendono la loro occasione. Ebbene, il nostro Paese produce tantissimi ricercatori, ma se non offriamo loro la possibilità di progredire in senso verticale, ne facciamo dei disperati.
Infine, non dobbiamo assolutamente ritenere che una rivoluzione copernicana del sistema università, ancorché indispensabile - lo sottolineo -, possa essere realizzata con le magre risorse che investe il nostro Paese.
Da ultimo - questa è una considerazione importante, a mio parere -, occorre rilanciare con vigore ora più che mai la funzione degli atenei nella percezione pubblica e far emergere il ruolo nevralgico della formazione e della ricerca nella costruzione del futuro dei giovani, che è anche il futuro del nostro Paese.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LUIGI NICOLAIS. Ringrazio i nostri ospiti per essere riusciti ad esporre in breve tempo argomenti così importanti. Ciò dimostra, ancora una volta, che quanto si legge generalmente sulla stampa, ossia che i nostri ricercatori siano piuttosto incapaci o che molti professori universitari non abbiano la capacità di costruire scuole, non è vero.
In effetti, abbiamo bisogno di investimenti più forti. Abbiamo una struttura Paese in cui la presenza massiccia di piccole e medie imprese non permette una grande ricerca industriale.
Di conseguenza, l'università e gli enti pubblici di ricerca molto spesso hanno il compito di portare avanti una ricerca che poi viene trasferita al sistema delle piccole e medie imprese.


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Ritengo che il risultato di questi studi abbia dimostrato che la capacità dei nostri ricercatori è sicuramente molto valida. Oltretutto, molti dei nostri ricercatori fanno parte di un network internazionale importante, lavorando o collaborando con l'estero.
Il problema è quello di avere delle valutazioni attente dei gruppi di ricercatori o dei dottorati di ricerca, perché sicuramente è necessaria una valutazione e quindi una premialità per coloro i quali riescono veramente a portare avanti una ricerca, anche in difficoltà economiche molto spesso gravi.
Penso che il Governo dovrebbe stabilire delle priorità, proprio nei momenti di difficoltà.
Per un Paese che vuole competere in un sistema globale, la ricerca, l'innovazione, la scuola, la formazione sono elementi essenziali.
Questi dati ci confortano circa il fatto che esiste una base per investire. Abbiamo bisogno di investire di più e di rendere sempre più competitivo il Paese, attraverso la ricerca e la collaborazione tra la ricerca accademica e le imprese, specialmente quelle medio-piccole.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Ringrazio anche io moltissimo, e vorrei formulare diverse domande.
Il professor Fiegna ha affermato che il ritorno è quasi tutto ricerca universitaria. Chiedo quindi se non sono privati e neanche enti di ricerca pubblici a fare ricerca.
La mia curiosità è la seguente. In che modo è distribuito il contributo - lasciando stare i privati che abbiamo capito essere poco presenti - tra enti di ricerca pubblici e università?
La domanda è legata al fatto che, circa un anno e mezzo fa, è stata condotta una campagna - orchestrata anche da grandi quotidiani nazionali -, propedeutica a giustificare la distruzione dell'università pubblica, secondo la quale nell'università italiana vi sono solo parenti e fannulloni. Sembrerebbe invece che il problema sia più negli enti di ricerca che nell'università. Vorrei una conferma in tal senso.
È stato detto, inoltre, che vi sono troppi dottorati. In proposito, chiedo se il CNVSU ha fatto un'analisi dei motivi di tale situazione, oltre che della loro qualità e struttura.
Come docente - ho svolto tale professione fino a due anni fa presso La Sapienza -, ho l'impressione che i dottorati non somiglino in nessun modo a quelli degli altri Paesi esteri.
Intendo dire che anzitutto è inconcepibile avere dottorati senza borsa. In alcuni dipartimenti virtuosi, ciò è interpretato nel senso che la borsa viene attribuita da enti di ricerca privati; in altri meno virtuosi vi è semplicemente un poveretto che continua a lavorare gratis nella speranza che ciò un giorno serva a qualcosa.
Situazioni simili all'estero non capitano. Si considera che il dottorato sia già un contributo alla ricerca del Paese e che quindi debba essere pagato da qualcuno, anche se non sempre dall'università.
In secondo luogo, la struttura dei corsi è sghemba rispetto a qualunque realtà abbia visto all'estero, come in Germania o negli Stati Uniti dove ho lavorato.
Vi sono corsi tenuti da persone non pagate, né incaricate di farlo, che se ne occupano nei ritagli di tempo - alcuni lo fanno al meglio delle loro possibilità; altri molto male -, sostanzialmente con una struttura leonardesca, in cui si continua, nella maggioranza delle facoltà, ad insegnare tutto.
Mi domando, dunque, se sia stata condotta un'analisi specifica su tale aspetto, perché sarebbe interessante conoscerla.
Vengo ora al tema degli accessi sempre più scarsi. A mio parere, uno dei motivi di questa situazione - l'argomento è anche oggetto di un'ulteriore domanda - è che fra le attività dei due comitati, che i nostri ospiti rappresentano, e l'azione dei Governi (non mi riferisco solo all'ultimo che non mi sta simpatico, perché ne sono oppositore, ma anche ai precedenti) non vi è quasi alcuna conseguenza fra evidenti risultati ottimi di critica e di appoggio in diversi modi, forme e luoghi in cui si svolge la ricerca e ciò che avviene circa la distribuzione dei finanziamenti.


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Ad esempio, la lodevole idea di distribuire il 7 per cento secondo un criterio di merito non mi risulta abbia avuto, come prevalente peso, i voti che sono stati dati dal CNVSU e dal CIVR.
Ho provato a capire come sono composti quegli indicatori, ma non essendo rettore, non avevo alcun accesso al database, quindi non sono riuscito a capire come potevano capitare alcune cose strane. Ad esempio, alcune università, che notoriamente non sono considerate di qualità, si trovavano verso la cima; mentre altre erano messe nel fondo.
Credo che avere una valutazione sia meglio di non averne alcuna, quindi ritengo che sia bene cominciare a procedere in tale direzione. Tuttavia, sarebbe interessante conoscere il peso che la valutazione specifica della vostra istituzione ha avuto nell'indicatore globale che ha poi determinato il ranking delle università.
Vorrei rivolgere una domanda tecnica, da specialista, al professor Cuccurullo. Perché è stato scelto Scopus e non l'Institute of scientific information che è usato da molte più persone all'estero?
Lo dico perché, paradossalmente, si potrebbe usare perfino Google Scholar. Un mio collega di Tor Vergata ha dimostrato che molti dei risultati ottenuti dal CIVR si potevano correlare.
Google Scholar è gratuito, impreciso e, secondo la mia esperienza, correla meglio con i dati ISI. Non so quale sia la ragione di questa situazione, ma credo che alla fine il risultato sia simile, ossia che i dati siano tutti correlati.
Ho visto con interesse i risultati di scienza dei materiali. Per ragioni legate alla mia esperienza, essendomi trovato in passato nell'Istituto nazionale per la fisica della materia, finché esso è esistito, mi domando quale sia il trend pluriennale.
In questo campo, infatti, vi è stato un definanziamento deliberato con il Governo Berlusconi precedente e il riaccorpamento dell'INFM all'interno del CNR.
Mi domando se sia possibile vedere l'impatto sulla posizione dell'Italia nella scienza dei materiali rispetto al tempo.
Dico questo, perché l'Istituto nazionale per la fisica della materia era stato valutato dal CIVR fra i primi due o tre istituti nazionali di ricerca nel campo della fisica.
Il dato percentuale di 3,4 ricercatori per mille dipendenti corrisponde al problema di cui ho parlato in precedenza.
La domanda che vorrei porre è legata anche a quanto ho sentito dire dal professor Maiani, non ricordo se in questa o in altra sede, in cui si parlava della ricerca. Vorrei sapere se disponete dell'altro numero, quello della massa damnationis che qualcuno ha rievocato e che non sa, o forse sa già, che quasi certamente non avrà possibilità di assorbimento in Italia.
In questo senso, chiedo ancora: dopo che un comitato di valutazione riferisce un simile numero, quale è la risposta del Governo? È forse quella del blocco del turn-over e del calo dei finanziamenti per l'università, nella misura che abbiamo visto con il decreto ICI del 2008 che entrerà in funzione adesso e anche altri provvedimenti simili? Perché non si vanno a visitare questi siti?
Quando tenevo i corsi di fisica, i miei studenti mi davano buoni voti (dal 2000, si faceva una valutazione). Tuttavia, non mi è accaduto niente di meglio rispetto ai miei colleghi per il fatto di essere stato valutato bene nell'arco di dieci anni. Alla fine, non le guardavo neanche più.
L'impressione è che abbiamo acquisito una capacità che non avevamo, quella di valutare, ma non abbiamo ancora acquisito, a livello di Paese - e non accuso un singolo Governo o una singola istituzione -, la capacità di mettere in relazione le valutazioni con concreti provvedimenti finanziari ed amministrativi.
Rivolgo un'ultima domanda, per curiosità ed invidia dei medici, da fisico. Da Annozero, abbiamo imparato che i medici sono tutti parenti, però un pochino anche la nostra esperienza quotidiana di medici parenti tra loro...

PRESIDENTE. Intende la trasmissione Annozero?


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GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Nell'autunno del 2008, una parte della trasmissione è stata dedicata alla ricerca. In cui nella facoltà di medicina dell'Università di Bari, se non ricordo male, si poteva disegnare un albero genealogico con scopi più umoristici che scientifici.
Ad ogni modo, in alcune professioni - tra i notai, i medici o nel settore della ricerca - si nota una certa ricorrenza di cognomi. Lo stesso accade anche in ambito politico, meno in ambito della fisica. Nella fisica teorica e in quella sperimentale questo avviene in minor misura. Lo posso dire con cognizione di causa.
Evidentemente, o il nepotismo che in altri Paesi è combattuto strenuamente non è veramente un problema; oppure, c'è un'esagerazione anche in questo caso mediatica su un problema che forse è più ridotto di quanto non ci venga fatto credere dai media.

MANUELA GHIZZONI. La mia domanda è sintetica e politica, quindi valutate se rispondere o meno. Mi ha sollecitato l'intervento del professor Cuccurullo.
Mi riferisco alla seconda riflessione finale - che condivido, come credo tutti i colleghi presenti - che invitava a non ferire le aspettative di progressione verticale dei ricercatori e degli associati.
Ci troviamo tuttavia in una situazione di stallo dei concorsi da molti anni. È intervenuto, con l'idea di migliorare la situazione, il decreto-legge n. 180 del 2008 che ha rallentato e congelato per un altro anno questa possibilità di progressione in carriera. Ora, in Parlamento ha preso il via la discussione sul disegno di legge Gelmini; una parte centrale del quale riguarda le modalità concorsuali.
Come valutereste un'accelerazione su quella parte relativa ai concorsi da far procedere in via preferenziale rispetto invece ad una riflessione ponderata, più attenta di tutto il resto?
Come sappiamo, il disegno di legge Gelmini ha molti nodi e contiene molti provvedimenti, quindi chiedo una valutazione su questo passaggio.

PRESIDENTE. La mia è una domanda secca. Avete mai pensato di spostare i finanziamenti, in particolare quelli pubblici, ma meglio ancora se privati, direttamente ai ricercatori come si fa negli Stati Uniti?
Dico questo, perché spesso i dipartimenti non hanno interesse a raccogliere finanziamenti, o perlomeno lo fanno stancamente. Invece i singoli ricercatori, specie se giovani, hanno un interesse personale. Negli Stati Uniti, questo sistema funziona molto. È stato mai valutato dai vostri organismi?
Do la parola al professor Franco Cuccurullo e al dottor Guido Fiegna per la replica.

FRANCO CUCCURULLO, Presidente del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca. Vorrei precisare che i dati economici si riferiscono al 2006. Quindi, traete voi le vostre conclusioni sulle responsabilità del finanziamento. Non so se ultimamente le cose siano migliorate o meno. Questa è la prima considerazione. Quanto a Scopus, è un database a dir poco mostruoso. Contiene molti più dati di ISI Thomson-Reuters ed è estremamente più duttile. Consente la consultazione per nomi, per istituzioni, per riviste e via dicendo.
Chi ci ha messo le mani - e io ci lavoro quotidianamente - ha capito di avere a disposizione qualcosa di formidabile che, chiaramente, ha dei costi.
Oggi, tuttavia, una istituzione come può essere quella di Chieti-Pescara che ha 30.000 studenti ha messo a disposizione l'accesso a Scopus a tutti, attraverso gli indirizzi Internet Protocol (IP) dei singoli docenti.
Quindi, ognuno può verificare la propria produzione scientifica censita e può fare il confronto con altri ricercatori, altri gruppi di ricerca e altri Paesi.
Potendo disporre di questo strumento, ho messi a punto i dati che ho inserito in pochissimo tempo, non ho impiegato sei mesi per svolgere questa operazione.
Per quanto riguarda Google Scholar, devo dire di esserne un grande estimatore.


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Tale sistema tuttavia fornisce dati grezzi che non possono essere puliti.
Se voglio sapere quale è il mio lavoro più citato, non accedo neanche a Scopus, ma a Scholar.
D'altra parte, se voglio sapere che cosa hanno prodotto le varie istituzioni, che cosa si produce in ambito cardiologico o voglio fare una ricerca per parola chiave e categorie, con Scholar purtroppo non lo posso fare.
Questa è la motivazione per cui utilizzo Scholar per il dato grezzo e ricorro invece a Scopus e altrettanto validamente a ISI Thomson per avere altre informazioni.
Scopus costa leggermente meno, è un database europeo dell'Elsevier e non è americanocentrico, altra considerazione importante per i ricercatori che operano nel contesto europeo.
Il numero dei ricercatori italiani - al di là dello stereotipo che vuole che siano un quantitativo industriale - rapportato a quello degli altri Paesi è sostanzialmente basso.
Questa è una riflessione sulla quale dovrò tornare in coda per svolgere una considerazione sui rimedi.
Quanto alle scienze della materia, abbiamo un istituto di fisica della materia formidabile. Lo ha valutato il CIVR e lo ha trovato di livello altissimo.
Tuttavia, la forza di tiro di questo istituto è quella di un ente valido, ma che ovviamente comporta una qualità superiore che si diluisce in una qualità media più bassa.
Pertanto, non possiamo assumere la struttura migliore come indice della produttività del Paese. È chiaro che la produttività globale è media. Nell'ambito di questa produttività medio bassa, c'è una struttura che ha uno spike qualitativo buono.
Quanto al tema del nepotismo, devo sparare a zero su tale argomento e sulla trasmissione Annozero, che ha riportato delle solenni porcherie e delle menzogne terrificanti che rifiuto e respingo con forza. Ci sono porcaccioni in ambito universitario come in tutte le categorie della nostra società, a partire dalle meno scrutate dai giornali per arrivare alle più scrutate. Ogni giorno se ne leggono di tutti colori, quindi non va demonizzato il mondo universitario.

PRESIDENTE. Qualcosa è successo...

FRANCO CUCCURULLO, Presidente del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca. Nel vostro mondo della politica, che cosa succede? Ogni giorno si legge qualcosa.
Non voglio santificare l'università...

EMERENZIO BARBIERI. Non sopportate l'idea che un vostro figlio faccia il calzolaio...

FRANCO CUCCURULLO, Presidente del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca. Ho una figlia precaria che ha studiato sei anni al Tchajkovskij di Mosca e ha vinto il Mozart di Salisburgo. Dopo Mosca, è stata a Dallas per tre anni, poi è tornata in Italia, dove insegna in una scuola privata e guadagna 400 euro al mese.
Se avesse fatto il mestiere di calzolaio, avrebbe guadagnato di più. Voglio vedere i vostri figli. Io ho detto che cosa fa mia figlia, adesso vorrei sentire qualcosa da parte sua. Suo figlio fa il calzolaio?

PRESIDENTE. Colleghi, per favore. Non provochiamo, così non abbiamo problemi.

FRANCO CUCCURULLO, Presidente del Comitato di indirizzo per la Valutazione della Ricerca. Mi dice se suo figlio fa il calzolaio e se guadagna più o meno di 400 euro. Qui bisogna rispondere con forza.
È importante la domanda che lei ha fatto, presidente. Certo, i finanziamenti devono andare ai ricercatori. Non le posso dire se in tutte le università accada questo. Certamente nella mia sì.
Noi investiamo sul nostro magro fondo ordinario di funzionamento. Investiamo, direttamente per la ricerca, 4, milioni e 600 mila euro. È una delle più alte cifre nazionali.


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Non mi riferisco ai PRIN, che vanno alle persone.

GUIDO FIEGNA, Componente del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario. Riallacciandomi al discorso generale, esprimo la mia posizione. A mio parere, complessivamente, nel nostro Paese mancano una cultura e una valorizzazione dei risultati. Se queste fossero effettivamente radicate - e gli elementi per decidere, a nostro parere, ci sono - molte delle questioni riportate, a partire dal nepotismo, verrebbero superate, una volta valutati i risultati.
Questo è uno dei passaggi più difficili. Pensate all'esperienza dei PRIN, che è una delle più importanti. Il ministero non è mai stato in grado di valutarne i risultati. Peraltro, sarebbe stata un'operazione semplice.
Allo stesso modo, perché non sono mai stati valutati, anche attraverso gli strumenti dei referee, gli elaborati finali dei dottori di ricerca? Non per valutare i dottori, ma le strutture che li hanno rilasciati.
In proposito, credo che non si possa tacere il fatto che i dipartimenti sono più di 2.000 in questo Paese e che quindi, anche per svolgere determinate attività di ricerca, occorrono delle aggregazioni, occorre un humus. Non è più il ricercatore singolo che in qualche modo riesce a fare cose molto innovative.
Occorrerebbe una sessione apposita, indipendentemente dall'uso che è stato fatto, per gli indicatori del 7 per cento, per comprendere che cosa possono significare quegli indicatori.
Francamente, c'è una certa resistenza da parte del ministero, nonostante le sollecitazioni del comitato, a renderli assolutamente pubblici. Ugualmente, c'è una batteria di circa 20 indicatori, di cui vi ho riportato i vari elementi, che sono disponibili, università per università, e che sono relativi alla programmazione 2007-2009.
Sulla base di questi elementi conoscitivi e delle valutazioni, sarebbe possibile avere delle indicazioni. Perché il CIVR e la valutazione triennale della ricerca (VTR) sono stati di fatto stoppati, anche se formalmente nessuno lo ha mai detto? Del resto, siamo al 2010 e il VTR non è ancora ripartito. Parimenti, siamo al 2010 e non si sa ancora quale sia stata la fine dei finanziamenti del PRIN 2008.
Sono questi i segnali che rendono difficilmente governabile il sistema universitario.
Da ultimo, starei molto attento a non far prendere il sopravvento a questioni certamente di forte pressione quali le aspirazioni alla promozione del personale.
Se in questo Paese non si riesce a far capire che il personale, alle qualifiche più alte, è una variabile dipendente dal servizio che si presta, vincono le aspettative, seppure legittime, di tutti i singoli. Quindi, la questione non si risolve attraverso una corsa o una contrapposizione tra le varie istituzioni, ma con una ricerca dei risultati migliori per attribuire le risorse. Solo in questo modo credo che sia possibile modificare la governance degli atenei che molto spesso dà luogo a situazioni di non completa trasparenza.
A proposito degli indicatori, dico che il CNVSU aveva predisposto un modello che non è stato riapplicato se non in parte, creando a mio parere, ulteriore confusione.
Il modello del CNVSU, infatti, garantiva alle università una più ampia autonomia. Vale a dire che università con maggiore vocazione didattica potevano competere su un versante e altre, con maggiore vocazione scientifica, su un altro.
Credo che nei finanziamenti degli anni futuri sia possibile superare tale aspetto.
Tuttavia - e mi riallaccio a quanto diceva il professor Cuccurullo -, è impensabile che riforme strutturali di questo tipo possano essere fatte a risorse zero.
Nel momento in cui un Paese sente l'esigenza per il proprio futuro di modificare strutturalmente il sistema, deve anche capire che il transitorio costa necessariamente di più.

PRESIDENTE. Ringrazio i partecipanti e autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta


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odierna della documentazione fornita dal professor Cuccurullo (vedi allegato).
Naturalmente, il materiale fornito dal professor Fiegna verrà allegato direttamente al volume a stampa dell'indagine.
Do ora la parola a Roberto Petronzio, presidente dell'Istituto nazionale di fisica nucleare.

ROBERTO PETRONZIO, Presidente dell'Istituto nazionale di fisica nucleare. Ringrazio la Commissione per l'occasione di questo incontro. Ho portato una breve documentazione scritta che cercherò di seguire, in modo che possiate avere un riscontro alle mie parole.
L'INFN è un istituto creato circa una cinquantina di anni fa. Sin dall'inizio, ha avuto vari campi di attività.
È uno di quegli istituti che sviluppa ricerca mossa dalla curiosità, ossia ricerca di base, anche se la parola di base spesso è usata in modo inappropriato.
I filoni di azione sono tre: quello tradizionale delle particelle, quello della fisica nucleare, il più antico, che ha dato il nome all'istituto e che quando venne creato era la fisica di frontiera, e quello delle cosiddette «astro particelle».
Quest'ultimo è più recente. Le particelle, studiate dall'istituto negli anni, si sono rivelate messaggeri importanti dell'evoluzione del cosmo. Chi ha accesso e ha esperienza nella rilevazione e osservazione di queste particelle può avere informazioni sul cosmo che non sono legato semplicemente alla luce vista nei telescopi.
L'istituto è nato in una forma confederale. In altre parole, alcune università, inizialmente erano quattro e oggi sono molte di più, si sono aggregate cercando di creare un istituto nazionale con lo scopo di ottenere grosse infrastrutture di ricerca che, a livello universitario, era difficile coordinare e realizzare.
Nel tempo, un elemento che ha caratterizzato l'istituto è stata l'internazionalizzazione. L'istituto, infatti, lavora e opera unicamente in campo internazionale. Anche le attività italiane si inquadrano su programmi internazionali, di cui alcuni sono ben noti, come il CERN di Ginevra, nato sulla base di grosse iniziative italiane promosse da persone che lavoravano in questo settore, ed è strettamente collegato alla nascita dell'INFN.
Oggi, ha una grossa competitività sia rispetto ai Paesi europei che non europei, come gli Stati Uniti e il Giappone. Dico con chiarezza - ed è riscontrabile dalle documentazioni scientifiche - che il nostro livello di competitività non è inferiore rispetto ad istituti stranieri, sempre per quanto riguarda il nostro settore.
Attualmente, abbiamo vari motivi di soddisfazione. È sotto gli occhi di tutti nel primo settore, quello delle particelle, la partenza di un grosso acceleratore del CERN, LHC, di cui si parla molto, anche perché è stato fermo per un certo tempo.
Per questo acceleratore vi sono state delle enormi collaborazioni internazionali che hanno coinvolto 2-3.000 mila persone.
Una testimonianza dell'eccellenza dell'istituto è che le due maggiori collaborazioni hanno spokesman, capi della collaborazione, che sono italiani in questo momento. A queste collaborazioni partecipano ottanta Paesi, quindi nominare un italiano significa riconoscere una eccellenza specifica.
In altri settori, sempre con gli Stati Uniti, uno dei due condirettori del maggior esperimento americano è italiano. Pertanto, non siamo solo in Europa, ma abbiamo riconoscimenti anche negli Stati Uniti dove siamo stati direttori di esperimenti americani, sempre in ambito di collaborazione.
Abbiamo realizzato delle attività per primi, come la collaborazione italo-cinese e siamo l'unico istituto internazionale ad avere un laboratorio congiunto con i cinesi sul Tibet. Tale laboratorio si chiama Argo ed è dedicato allo studio dei raggi cosmici.
I cinesi ci tengono molto, perché è l'unica esperienza di collaborazione diretta tra scienziati, e non realizzata attraverso protocolli strani, che adesso si sta allargando anche ad altri Paesi.
Tra le altre iniziative importanti presenti in Italia abbiamo un osservatorio per le onde gravitazionali. Parliamo di una radiazione molto difficile da osservare.


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La struttura si trova a Cascina vicino Pisa e consiste in un laboratorio internazionale congiunto italo-francese.
Le frontiere del settore nucleare sono lo studio di nuclei ricchi di neutroni, ossia nuclei instabili che sono fuori dalla valle di stabilità che produce la natura e potrebbero essere interessanti sia per studiare la struttura nucleare, sia per esaminare eventualmente nuove forme di salti tra livelli nucleari.
Un'altra attività importante è quella che si realizza al CERN di Ginevra, dove c'è un settore dedicato alla fisica nucleare che vuole studiare come i nuclei si sciolgono nei loro costituenti fondamentali, creando quello che si chiama un plasma di quark e gluoni.
Parlerò molto brevemente delle parti scientifiche, ma non posso non dire che l'istituto ha quattro laboratori nazionali in Italia e che ciascuno di questi ha un'eccellenza specifica.
Ho già citato il laboratorio nucleare. Vi è poi quello di Legnaro che si occupa degli ioni radioattivi, che è frutto di una collaborazione con il maggiore istituto francese di fisica nucleare che si chiama Ganil e che ha un laboratorio associato europeo.
Al sud, vi è un altro caposaldo della fisica nucleare, il laboratorio di Catania che, oltre ad avere una caratterizzazione specifica nucleare, recentemente si sta imbarcando nel progetto di un osservatorio sottomarino, denominato Nemo, a 3.500 metri di profondità, che prevede l'installazione di enormi torri di 800 metri nell'acqua.
Lo scopo è sempre quello di osservare particelle, ma il valore aggiunto di questo progetto è che con tale operazione abbiamo costruito una grossa collaborazione per esempio con l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV).
La nostra stazione sottomarina, infatti, a questo punto è importante anche per motivi sismici. Quindi, abbiamo un modo di rilevare dati importanti anche per l'istituto di geofisica e vulcanologia.
Spostandoci verso il centro, c'è il laboratorio del Gran Sasso, del quale tutti avrete sentito parlare e che per fortuna non è stato toccato dal terremoto.
D'altra parte, la galleria normalmente subisce minori effetti da un terremoto rispetto alla superficie. È l'unico laboratorio mondiale di quelle dimensioni. Quindi, ancora oggi siamo totalmente competitivi, abbiamo frontiere importanti e ospitiamo anche esperimenti fatti sotto la guida e con i finanziamenti stranieri.
Infine, c'è Frascati - l'INFN è nato intorno ai laboratori di questa zona -, dove è stata inventata la prima struttura di collisione di un acceleratore, di quelli moderni. Quindi, è stato inventato se vogliamo con AdA, prima funzione di acceleratori.
Oggi, stiamo proponendo un grosso progetto che si chiama SuperB, che sfrutta un'idea italiana e che speriamo venga finanziato.
Gli aspetti cruciali sono due. È un progetto ad altissima luminosità, vale a dire che l'acceleratore è in grado di vedere effetti rarissimi e - fattore interessante - può essere complementare all'acceleratore di Ginevra.
Si tratta di un'eccellenza italiana, perché l'idea di fondo è italiana ed è stata riconosciuta in tutto il mondo.
Sono quattro anni che se ne parla e si sono tenuti dieci, venti workshop sull'argomento.
L'iniziativa importante che recentemente stiamo sviluppando è un collegamento anche con altri utilizzi. Ad esempio, la luce di sincrotrone che può nascere da questo acceleratore, ovviamente opportunamente estratta, può essere la più brillante - in termini tecnici - che esiste oggi in Europa e può servire quindi a scopi che riguardano sia la struttura della materia, che la biotecnologia.
L'INFN naturalmente non è solo un produttore di ricerca dettata dalla curiosità, ma maneggia una quantità enorme di tecnologia associata.
Nell'ultimo decennio, è stata considerata una responsabilità importante quella di verificare le applicazioni di questa tecnologia.


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Sono stati seguiti vari progetti chiamati strategici. Tre sono i più importanti.
Uno di essi si chiama Nuove tecniche di accelerazione. Questo progetto è dedicato alla fisica degli acceleratori. Gli acceleratori in realtà sono diffusi ormai in molti altri campi sia di scienza che nei campi applicati. In scienza basta citare l'XFEL, ossia i laser di Amburgo, il più grosso progetto; oppure la sorgente europea di spallazione, l'ESS, al cui proposito recentemente è stato deciso che andrà in Svezia.
In entrambi i casi, quando l'Italia si accinge a entrare in un circuito europeo di sovvenzioni o comunque di collaborazione su queste grosse imprese, l'INFN fa da riferimento per la parte costruttiva, perché appunto lì risiede il know-how e quindi serve se vogliamo in questo campo per altre scienze.
Altri progetti strategici riguardano l'energia. L'INFN ha nel nome il termine nucleare, ma ovviamente non realizza centrali, anche se si occupa di questioni legate sia alla fusione, dove collaboriamo con RFX, CNR ed ENEA, sia alla costruzione di un nuovo acceleratore che opera test di materiali.
Uno dei problemi della fusione è con quali materiali si realizzano le pareti di questi tokamak che dovranno avere un flusso di neutroni elevato.
Nel settore della fissione, invece, è stato stabilito un accordo con Ansaldo Nucleare per individuare tematiche che non sono tanto la fisica del reattore, quanto la protezione ai varchi, il monitoraggio dei reattori e un centro di addestramento.
Legnaro, che recentemente ha acquistato un grosso ciclotrone, infatti, potrebbe fare anche ricerca e sviluppo della generazione futura di reattori, quelli chiamati di quarta generazione, di poca potenza. Questo servirebbe per cominciare a fare ricerca in modo attivo in tale campo.
Il secondo progetto strategico riguarda l'energia; mentre il terzo è quello del medicale, dove abbiamo molte attività, sia nell'imaging, cioè la capacità, anche attraverso i computer e con grosse risorse di calcolo, di analizzare immagini in modo diagnostico, per poter fare scanning della popolazione a largo raggio e anche costruire macchine per il trattamento dei tumori.
Siamo stati i primi in Italia, a Catania, a occuparci di questo aspetto.
Il 15 febbraio vi sarà l'inaugurazione, al Centro nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO) di Pavia, del centro di tumori in cui l'INFN ha rappresentato la mano attuatrice del progetto.
Parlando in generale dell'organizzazione, l'INFN è organizzato in 20 sezioni, ognuna delle quali si trova presso un'università, e 11 gruppi collegati che sono altrettanti capisaldi nelle università.
Si tratta di una simbiosi stretta, nel senso che vive in dipartimenti è il modello che si voleva fare per l' Istituto nazionale per la fisica della materia (INFM) a suo tempo, poi naufragato nella scia delle vicende italiane.
L'ente ha 4 laboratori nazionali e vari laboratori specifici, come quelli che ho citato sulle onde gravitazionali e un centro di calcolo.
Quanto alla struttura di governance, l'INFN ha una peculiarità che è stata rispettata negli anni - credo anche dall'ultima legge delega, anche se deve ancora apparire in Gazzetta Ufficiale -, ossia quella di una forte autonomia; intendendo con ciò la capacità di gestire l'istituto attraverso persone in qualche modo rappresentative della comunità scientifica.
A mio parere, è giusto dare tale autonomia, così come è giusto riscontrarne l'efficacia attraverso un controllo, di cui il CIVR o la futura ANVUR dovrà farsi carico.
L'autonomia viene barattata con il controllo. Autonomia e controllo devono andare insieme, altrimenti può nascere un'anarchia.
Inoltre, autonomia significa che le commissioni che fanno consulenza scientifica per l'INFN riferiscono nel consiglio direttivo che ha, come componenti, i rappresentanti di tutte le sezioni presenti nelle università.
Tutto ciò dovrebbe assolvere a due funzioni. Innanzitutto, fare un grosso


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esperimento è come costruire un puzzle: occorre mettere insieme tanti pezzi. Se i pezzi del puzzle non vanno a posto, l'esperimento non riesce. Le sezioni corrispondono ai pezzi del puzzle. Quindi, la presenza di tutti all'interno dell'organo decisionale permette di assicurare la coerenza del progetto.
In secondo luogo, si va instaurando sempre più un rapporto forte con le regioni e i direttori di sezione, ossia coloro che hanno i rapporti più frequenti e raccolgono le iniziative regionali a cui l'ente può dare seguito.
Finisco il mio intervento esponendo le criticità, che sono di due tipi. Una di esse è nota a tutti, è una piaga della ricerca italiana e riguarda l'aspetto finanziario.
Vi voglio solo riferire un dato in proposito che mi sembra rilevante.
Una parte del denaro dell'ente è destinata agli stipendi - non è la sezione preponderante, ma circa la metà - ; mentre un'altra quota viene usata per le strutture di ricerca e la capacità di fare ricerche. Quindi, parliamo di denaro fresco da investire in ricerca.
Negli ultimi cinque anni, questo denaro si è ridotto del 40 per cento. Abbiamo perso circa 50 milioni di euro all'anno. Tenete presente che parliamo di un ente che ha una gestione globale nell'ordine di 280 milioni di euro e un involucro di 5-6.000 persone che vi ruota intorno.
È chiaro che, dimezzando la capacità finanziaria dell'ente, questo ha un grosso problema, ha un metabolismo, proprio con un corpo umano, più veloce del livello finanziario odierno.
I successi che ho citato sono frutto degli investimenti dal passato. In questo settore, infatti, i finanziamenti vanno avanti su scala di dieci anni. L'LHC, ad esempio, è nato quando i livelli di finanziamento erano più alti.
Questo è preoccupante perché l'ente potrebbe trovarsi letteralmente a vivere un'implosione. Sotto un certo livello, il suo metabolismo lo uccide, tanto per essere semplici, nel senso che ci troveremmo in una situazione in cui la progettualità si spegne.
Credo che - sono un teorico quindi parlo da esterno, pur essendo il presidente dell'ente - sarebbe un peccato perdere in Italia la potenzialità di costruire grosse infrastrutture di ricerca.
Quando si parla dei cervelli, infatti, ovviamente occorre tener presente il discorso finanziario degli stipendi, ma ci si deve riferire anche alle infrastrutture di ricerca.
I Paesi che vogliono attrarre cervelli si dotano di infrastrutture forti di ricerca, per cui il ricercatore torna in Italia non tanto perché lo stipendio è decente, ma soprattutto perché ha opportunità di ricerca migliori che altrove.
Quindi, è importante mantenere le eccellenze italiane attraverso istituti come questo che hanno il focus sulle infrastrutture di ricerca. Parliamo di infrastrutture non solo dedicate all'INFN, ma anche ad altri settori scientifici.
L'INFN, infatti, sta allargando i suoi orizzonti e li pone spesso al servizio di altri settori scientifici.
Un secondo punto abbastanza dolente è quello relativo al personale. La pianta organica dell'ente è fissata da una legge di tantissimi anni fa ed è stata ridotta del 5 per cento.
Conosciamo tutti benissimo le vicende dei blocchi del personale. Noi abbiamo una programmazione che permette una pianta organica che non si espanda indefinitamente. Del resto, sarebbe una follia.
Espandersi indefinitamente, infatti, vuol dire prendere sempre più terreno ai fondi per la ricerca, per spese di salari, a volte, non necessari.
In questo momento, con un ordine di grandezza del 5 per cento, se non verremo sbloccati, avremo un problema nel creare di fatto un tappo dalle leve attuali ai futuri ricercatori. Pertanto, il famoso blocco delle assunzioni, benché sia stato levato, può avere ripercussioni a lungo termine, perché non abbiamo capacità. Siamo arrivati al tetto della nostra pianta organica. Abbiamo 1.900 dipendenti.

PRESIDENTE. Chiedo all'onorevole Nicolais di assumere la presidenza, dovendomi


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purtroppo assentare per impegni concomitanti. Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato a questa audizione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI NICOLAIS

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Un argomento di cui abbiamo parlato da poco in Commissione è stato il riordino degli enti di ricerca. In questo contesto, il parere della nostra Commissione è stato abbastanza diverso da quella della Commissione parallela del Senato, proprio a riguardo dell'INFN e della opportunità, o desiderio espresso in questa sede, anche se in modo implicito, di mantenere la sua specificità di governance, alla luce dei suoi ottimi risultati.
Ho letto il riordino nella versione finale e mi pare che alla fine l'INFN sia rimasto alla propria forma.
Mi domandavo se altri aspetti del riordino vi abbiano riguardato o se sostanzialmente l'idea che non convenisse riordinare le cose che funzionavano abbastanza bene - che era la nostra - sia stata realizzata.
La seconda domanda riguarda in particolare l'European Spallation Source (ESS), che alla fine non è stato realizzato in Italia. D'altra parte, non ci siamo candidati.
Dico questo, perché quando l'anno scorso, verso gennaio, il ministro aveva annunciato una grande infrastruttura europea capace di essere un polo d'attrazione, su mio impulso, l'onorevole Fioroni, che appunto era responsabile di università e ricerca, aveva lanciato, in una conferenza stampa, la proposta di candidarci.
Inoltre, si indicava uno specifico luogo, ossia Malpensa, che per qualche ragione poteva essere interessante per il Governo attuale e per il Paese nel suo complesso come zona da salvare da altri possibili declini legati alle aviolinee. Tuttavia, non è arrivata nessuna risposta.
Allora, si parlava soltanto di una grande infrastruttura di ricerca nell'ordine del miliardo di euro. Adesso, quattro o cinque giorni fa, il ministro ha detto che verranno stanziati 10 miliardi di euro, di cui 4 subito.
Siccome come diceva Frassica i milioni non sono bruscolini, come mai all'epoca, un annetto fa, di questa possibile candidatura non se ne è parlato? Lo dico perché immagino che l'INFN sarebbe comunque coinvolta, come infatti lo è, perfino facendo l'ESS a Lund. Chiedo inoltre se invece l'INFN ha altre grandi infrastrutture a cui tiene di più e che magari riuscirà a realizzare per davvero e non per finta nei prossimi mesi o anni.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Petronzio per la replica,

ROBERTO PETRONZIO, Presidente dell'Istituto nazionale di fisica nucleare. In primo luogo, vengo alla questione del riordino. In proposito, devo dare atto al ministro di aver attuato un'operazione coraggiosa rispetto al parere del Senato. Per fortuna, la Camera è stata più interlocutoria e ha accolto le specificità dell'ente.
Non credo che, circa il riordino, la legge oggi rappresenti un problema.
Francamente, tuttavia, sto cogliendo questa occasione per fare una adunata generale e svolgere una riflessione sul nostro modo di autogovernarci.
La questione è molto complicata. L'INFN adesso deve dimostrare di svolgere una riflessione in ogni caso.
Nei prossimi giorni, comincerò una fase non dico costituente - perché sarebbe troppo -, ma comunque di riflessione profonda, perché i tempi sono cambiati.
L'organizzazione dell'INFN risale ad un periodo in cui gli esperimenti effettuati erano molti e abbastanza disseminati; oggi, invece, sono pochi e molto globali.
Il consiglio direttivo, ad esempio, lentamente si è occupato sempre più di questioni strategiche, che di ordinaria amministrazione.
Pertanto, benché non siamo obbligati a fare grossi cambiamenti, certamente svolgeremo


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una riflessione profonda su quello che è necessario fare, partendo dalla funzionalità.
I prossimi giorni saranno dedicati alle criticità di gestione interne dell'ente. Cercheremo di capire dove sono le criticità e che cosa si può fare con un regolamento.
Dato che comunque dovremo esibire un rinnovo del regolamento - abbiamo alcune modifiche nel cassetto -, entreremo in dialogo con il ministero, perché è importante non sedersi e dire che non ci interroghiamo, dal momento che non siamo stati obbligati a farlo. Questo è un punto importante.
Sulla questione delle infrastrutture, dico che per l'ESS siamo presenti, perché siamo in grado di fare l'alta intensità. Queste macchine a protoni o neutroni hanno bisogno di grande intensità e l'INFN ha una filiera forte su questo argomento.
Non è un tema centrale rispetto alle ricerche dell'ente, nel senso che riguarda maggiormente le applicazioni per la struttura della materia.
Nelle nostre infrastrutture abbiamo una lista che stilammo tempo fa. La più importante è quella che ho citato, denominata SuperB.
A tal proposito, l'aspetto vantaggioso è il seguente. Abbiamo un grosso laboratorio che ha la possibilità di avere ancora un'eccellenza negli acceleratori. Tanto per citare un esempio, faccio presente che parte di questa macchina viene dagli Stati Uniti, i quali versano l'equivalente di 150 milioni di euro in questo progetto se noi partecipiamo.
Quindi, è un'occasione pratica, già concordata, di attirare risorse e su questo puntiamo.
Puntiamo anche per un altro motivo. Bisogna guardare più lontano. Dopo quattro anni di costruzione e sei di utilizzo di questa macchina per la fisica delle particelle, il problema diventa Frascati che, a mio parere, si può trasformare sempre più in un'infrastruttura per le biotecnologie o per la struttura della materia.
L'idea è quella di costruire qualcosa che sia, già nella sua concezione, e non con riadattamenti successivi - costosi e che lasciano dei gap enormi -, in coalizione con il land use che paradossalmente non è la ricerca fondamentale, ma è una ricerca applicata.
Ciò servirebbe anche a dare un destino a questi laboratori che sono, comunque, centri di competenza di infrastrutture, per travasare sempre più in altri settori la capacità di costruire infrastrutture; il che vuol dire realizzare non solo realtà singole, ma anche integrate e che funzionino. Non sembra, ma alcune volte l'integrazione è la cosa più difficile da realizzare.
Per il Gran Sasso, abbiamo l'idea di creare un grosso laboratorio che ci stanno soffiando, perché si stanno creando dieci progetti nel mondo.
Occorre capire come in un futuro potremo mantenere almeno l'eccellenza di questo laboratorio, non tanto con allagamenti, ma con catalizzazioni più precise.
Al sud, la regione Sicilia vorrebbe investire i propri soldi di ricerca regionali sul progetto che ho citato, ossia Nemo. Naturalmente, siamo ben contenti di questo.
Si tratta nuovamente di un progetto europeo - arrivano fondi dalla Francia - e stiamo cercando di incernierare in Italia alcune attività che possano rappresentare un vessillo per il nostro Paese.
Diversamente, quando si parla di infrastrutture europee, l'Italia finisce per essere l'ufficiale pagatore e i Paesi europei vanno in giro con il piattino. L'Italia siede al tavolo buono e paga.
La reciprocità interviene solo se si decide di realizzare attività in Italia.
Se non si opera in Italia, alla fine, avremo costruito le infrastrutture degli altri Paesi. Questo potrebbe anche andare bene, ma poi non ci dobbiamo lamentare se la ricerca si concentra altrove. Del resto, il flusso va dove ci sono le infrastrutture.
Bisogna avere un portafoglio concorrenziale, accettato dalla comunità internazionale e insistere perché su questo portafoglio si abbia la reciprocità di quello che l'Italia ha già speso.


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Sul Free Electron Laser (FEL), ad esempio, ha già impegnato 40 milioni. Per altri progetti, vale lo stesso discorso.
Questi devono tornare con un'attestazione di infrastrutture. L'INFN ha queste infrastrutture nel suo pacchetto.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. La mia domanda maligna di oppositore era se di questi 10 miliardi se ne parla soltanto sul giornale o se si hanno notizie che qualcuna delle grandi infrastrutture verrà davvero finanziata, almeno che lei sappia.

ROBERTO PETRONZIO, Presidente dell'Istituto nazionale di fisica nucleare. Sto lavorando per questo. Sono in discussione con il Ministero.
Come potete immaginare, è il Ministero dell'economia e delle finanze che bisogna convincere.
Questa infrastruttura doveva essere calendarizzata sul tavolo del CIPE. Questo è l'aspetto importante. Finché il Paese - il Governo dell'economia in particolare - non si accorge che, oltre a dotarsi di autostrade, dell'alta velocità e così via, le infrastrutture di ricerca sono strategiche rispetto alla sua competitività, il discorso non funziona.
Personalmente, sarei più per stabilire che esiste un metabolismo di fondo degli enti e che vi sono progetti specifici da collegare a fondi di finanziamento ad hoc, i quali tuttavia devono essere relativi a tutto il Paese e non avere un legame specifico solo con il Ministero della ricerca. Questa è la sfida che sto cercando di vincere. Devo dire, sinceramente, che il ministro mi appoggia.
Bisogna sfondare l'economia e io ci sto provando.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per la loro presentazione. Sicuramente, quanto ci hanno esposto e la documentazione che ci hanno lasciato entrerà negli atti dell'indagine che stiamo svolgendo.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,30.

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