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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VII
1.
Mercoledì 28 marzo 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Paola Frassinetti, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROPOSTA DI LEGGE C. 1294 SILIQUINI RECANTE «ORDINAMENTO DELLA PROFESSIONE DI STATISTICO E ISTITUZIONE DELL'ORDINE E DELL'ALBO DEGLI STATISTICI»

Audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT):

Paola Frassinetti, Presidente ... 3 9 12
Barbieri Emerenzio (PdL) ... 10
Giovannini Enrico, Presidente dell'ISTAT ... 3 12
Levi Ricardo Franco (PD) ... 9 12
Ghizzoni Manuela (PD) ... 11
Gianni Giuseppe (PT) ... 11
Scalera Giuseppe (PdL) ... 10
Zazzera Pierfelice (IdV) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 28 marzo 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PAOLA FRASSINETTI

La seduta comincia alle 9.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla proposta di legge C. 1294 Siliquini, recante «Ordinamento della professione di statistico e istituzione dell'Ordine e dell'albo degli statistici», l'audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT).
È con noi il presidente dell'ISTAT, professor Enrico Giovannini, accompagnato dalla dottoressa Patrizia Cacioli, capo dell'ufficio stampa e direttore centrale per la diffusione e la comunicazione dell'informazione statistica.
Salutiamo anche i parlamentari presenti, il capogruppo del PdL, onorevole Barbieri, l'onorevole Levi del Partito Democratico, l'onorevole Scalera, relatore della proposta di legge Siliquini, A.C. 1294, e l'onorevole Zazzera, capogruppo dell'Italia dei Valori.
Do la parola al presidente Giovannini per lo svolgimento della relazione.

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. Grazie, presidente. È un piacere essere qui oggi per discutere del futuro di una professione che, come cercherò di argomentare, è sempre più importante per la vita delle nostre società e anche per la democrazia.
Gli obiettivi della proposta di legge citata sono fondamentalmente quattro: tutelare gli esperti in campo statistico da chi si dichiara esperto, ma non lo è; individuare professionisti qualificati a svolgere l'attività statistica; esercitare una tutela degli utilizzatori dei risultati delle attività statistiche, svolte sia da enti pubblici, sia da soggetti privati; creare lavoro, soprattutto negli uffici di statistica, gli organi in cui il Sistema statistico nazionale si articola.
Sono certamente obiettivi condivisibili, tant'è vero che il Sistema statistico nazionale si è già attivato per fronteggiare alcuni di questi problemi. Ricordo, a tale proposito, che il Sistema statistico nazionale, di cui l'ISTAT è l'organo apicale, attualmente comprende più di 3.000 uffici di statistica, che sono stati realizzati e istituiti negli enti pubblici centrali e locali.
I 3.000 enti che hanno istituito l'ufficio di statistica sono in realtà una parte minima degli oltre 10.000 enti che teoricamente avrebbero dovuto, secondo la legge, istituire tali uffici, anche se in gran parte parliamo soprattutto di comuni piccoli. Il disegno organizzativo del Sistema statistico nazionale contenuto nel decreto legislativo n. 322 del 1989, che prevedeva proprio in ogni ufficio pubblico la creazione di un ufficio di statistica, si è, dunque, solo parzialmente realizzato.
Ciò non significa che il Sistema statistico nazionale non funzioni. Posso tornare successivamente su questo tema, se volete,


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ma le nuove tecnologie stanno cambiando profondamente il modo con cui gli uffici di statistica sono concepiti.
Svolgo solo un riferimento a tale proposito. Una volta gran parte dell'attività statistica era svolta attraverso indagini campionarie, cioè indagini sul campo in cui l'ISTAT disegnava un campione di soggetti - pensiamo alle famiglie o alle imprese - che dovevano essere intervistati sul territorio e, quindi, gli uffici di statistica comunali coordinavano i rilevatori che materialmente si recavano a raccogliere i dati.
Sempre di più, oggi, l'attività statistica è basata, invece, su dati amministrativi, per esempio quelli dell'INPS, dell'INAIL, delle Camere di commercio, dell'Agenzia delle entrate, che vengono direttamente accorpati al centro, trattati a fini statistici dall'ISTAT e poi restituiti ai soggetti sul territorio.
Si è realizzata un'inversione del flusso dei dati, che prima andava dalla periferia al centro, mentre oggi, invece, è il centro che alimenta più che altro la periferia e, quindi, le professionalità statistiche necessarie negli enti decentrati non sono più incentrate sulla raccolta dei dati, ma sull'analisi dei dati stesse: questo, a mio parere, è uno degli elementi da tenere in considerazione.
Naturalmente la qualità dei dati deve essere assicurata indipendentemente dal soggetto che eroga il servizio ed è per questo motivo che il Sistema statistico nazionale si è dotato di un Codice italiano delle statistiche ufficiali, analogo a quello sviluppato a livello europeo, proprio per assicurare che la diffusione dei dati dagli uffici di statistica, sia centrali, sia locali, sia realizzata secondo i princìpi della statistica ufficiale, che sono basati su qualità, tempestività e precisione.
Uno degli obiettivi che la proposta di legge citata tende a realizzare, cioè la tutela degli utilizzatori, per ciò che riguarda il settore pubblico, è già oggetto di alcune azioni. Va, però, notato come, mentre il settore pubblico è fortemente regolamentato attraverso questi princìpi e chi produce sondaggi, per esempio sulle intenzioni di voto o di acquisto, è vigilato dall'Agcom - la quale ha fissato alcuni standard di qualità per i sondaggi -, i privati - penso alle imprese, ma anche ad associazioni di categoria che producono dati statistici, magari raccogliendoli attraverso una società di ricerche di mercato - non sono soggetti ad alcuna regolamentazione e ad alcuna vigilanza.
In altre parole, il sistema pubblico è pienamente regolamentato con standard di qualità e con la vigilanza dell'ISTAT, chi effettua sondaggi è soggetto all'Agcom, mentre chi produce statistiche che non sono sondaggi, essendo soggetto privato, non ha alcuna regolamentazione e non vi è alcuna autorità che supervisiona le attività svolte. Questa è una lacuna della legislazione che vorrei sottolineare.
Gli obiettivi sono condivisibili, ma bisogna anche notare che la statistica sta attraversando una fase di profondo mutamento. In parte, questo mutamento è discusso nella relazione che vi ho fatto distribuire, che si chiama «Statistica 2.0:The Next Level».
Si tratta della relazione che ho svolto nel dicembre del 2010 in occasione della decima Conferenza nazionale di statistica, alla presenza del Presidente della Repubblica, proprio per prefigurare il cambiamento profondo che la statistica sta vivendo, al punto tale che ho scelto di usare questo titolo, che proviene dal cosiddetto Web 2.0, che è stato considerato un cambiamento epocale nel funzionamento del web, per significare il cambiamento epocale che la statistica sta affrontando.
Ciò è rilevante perché questi cambiamenti rendono, a mio parere, particolarmente importante una riflessione approfondita sul testo che la Commissione sta esaminando, che, come cercherò di argomentare, descrive una situazione forse valida nel passato, ma non necessariamente nel futuro.
Riporto alcuni riferimenti specifici. In primo luogo, va notato che l'Italia è l'unico Paese al mondo in cui esiste un corso di laurea in statistica. In nessun altro Paese del mondo esiste una facoltà di statistica o una laurea in statistica. Ciò non significa,


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naturalmente, che la statistica non sia importante, anzi, in molti Paesi è molto più importante che in Italia, ma lì esistono dipartimenti di statistica inseriti in facoltà molto più articolate, come quelle di economia, di scienze politiche, di sociologia e via elencando.
Va poi notato come, rispetto ad alcuni anni fa, in Italia si sia verificata una riduzione drastica del numero di studenti che si sono iscritti alle facoltà di statistica. La facoltà di statistica è nata a metà degli anni Venti, quando è nato l'ISTAT, e per molti anni ha rappresentato - pensiamo alla facoltà di statistica di Roma - veramente una palestra fondamentale per la formazione di persone qualificate. Vi ricordo che l'origine della parola statistica è «scienza dello Stato».
Ormai, negli ultimi dieci anni, la quantità di nuovi iscritti nelle facoltà di statistica - ce n'erano quattro in Italia: Roma, Bologna, Padova e Milano - si è ridotta drasticamente a poco più di 200 unità all'anno nel caso di Roma.
La riforma dell'università adottata dal Ministro Gelmini, che ha indotto gli atenei a riorganizzarsi, riducendo drasticamente il numero delle facoltà, ha fatto sì che in questi mesi tutte le università stiano procedendo alla soppressione delle facoltà di statistica e alla nascita di dipartimenti di statistica, spesso integrati con altri dipartimenti.
A Roma, ad esempio, vista la numerosità dei docenti, si è dovuto procedere all'unificazione dell'ex facoltà di statistica, ridotta a dipartimento, con altri dipartimenti, per poter raggiungere i limiti minimi stabiliti dalla riforma dell'università: dopo una lunga discussione sull'opportunità di unificazione con la facoltà di economia o con altre discipline, ha scelto di unirsi con informatica e scienze dell'informazione. Oggi esiste, quindi, un dipartimento a Roma che eroga naturalmente anche i corsi triennali o specialistici di statistica, ma che riunisce gli esperti di statistica in senso stretto con gli esperti di informatica e di tecnologia dell'informazione.
Anche altre sedi universitarie stanno procedendo in questa direzione e la grande discussione che si è tenuta Roma in merito alla scelta di unificarsi con le discipline più applicate o con quelle, invece, più legate al trattamento dell'informazione, denota il bivio e la contraddizione, da un certo punto di vista, che la statistica sembra vivere. In realtà, ci avvicina alla situazione degli altri Paesi, in cui, come accennavo, i dipartimenti di statistica sono inseriti all'interno di facoltà molto più complesse.
Paradossalmente, a fronte di una cancellazione delle facoltà di statistica, la statistica come scienza, come tecnica, è diventata ormai pervasiva e ha toccato molte altre discipline, dalla fisica, all'economia, alla sociologia, alla psicologia. Pensiamo allo sviluppo della cosiddetta economia comportamentale. Possiamo affermare che la statistica è ovunque, ma, proprio essendo ovunque, ha perso la connotazione restrittiva che, invece, era nella mente dei padri fondatori delle facoltà attuali.
Ricordiamo che indicatori statistici sulla performance, ad esempio, delle strutture organizzative, vengono da sempre utilizzati nelle imprese private e adesso anche nel settore pubblico. Con la riforma Brunetta tutti gli indicatori di performance che le amministrazioni pubbliche devono sviluppare sono basati su elaborazioni statistiche.
L'uso dei dati amministrativi, dei miliardi di dati che ognuno di noi produce quotidianamente usando carte di credito, accedendo ad un sito oppure compilando un questionario di natura amministrativa, è sempre più destinato a crescere, sia nel settore pubblico, sia in quello privato in senso statistico, al punto tale che si parla di un cosiddetto diluvio di dati.
La società odierna e, addirittura, la scienza devono cambiare approccio, proprio perché hanno a disposizione una quantità di dati infinita, al punto tale che il chief economist di Google ha indicato come per il secolo in corso il lavoro più sexy del mondo sia esattamente quello dello statistico, perché la domanda di


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informazione e di conoscenze è talmente radicata e i dati sono talmente diffusi che, così come gli sviluppatori di videogiochi nel decennio degli anni Novanta erano considerati veramente all'avanguardia, riuscendo a gestire software complessi, nel ventunesimo secolo saranno gli statistici i soggetti in grado di estrarre l'informazione rilevante da questa nuvola complessiva di dati e di soddisfare le esigenze conoscitive di tutti.
Veniamo adesso alla situazione italiana. Svolgerò poi alcune osservazioni sul testo specifico del provvedimento. L'ISTAT ha un bilancio di funzionamento che è pari a circa la metà di quello disponibile, per esempio, in Francia, dove l'output è sostanzialmente armonizzato a livello comunitario.
Impiega oltre 2.000 persone con contratti a tempo indeterminato e ne ha assunte circa 400 con contratti a tempo determinato, per il censimento e altre attività. L'Istituto non richiede semplicemente laureati in statistica, in quanto molti nostri ricercatori sono laureati in economia, in scienze politiche, in sociologia. Stiamo assumendo anche medici per la classificazione delle cause di morte e laureati in scienze della comunicazione per il settore relativo alla diffusione.
Lo rilevo perché è importante rendersi conto che, a causa della pervasività della statistica nelle diverse discipline, noi non possiamo pensare agli statistici come semplicemente a coloro i quali provengono dalla facoltà di statistica, perché oggi fare statistica significa essere anche economisti, sociologi, medici e via elencando.
È un cambiamento epocale, perché, come accennavo prima, la standardizzazione dei metodi statistici consente anche a non specialisti di produrre statistiche e, soprattutto, di produrre conoscenza, non numeri. Questo è l'altro grande cambiamento epocale che la nostra società sta vivendo: siamo invasi da numeri. Il problema non è produrre altri numeri, ma trasformare questi numeri in una conoscenza comprensibile alla società e agli utenti.
Le caratteristiche della domanda di statistici devono essere tenute presenti nel momento in cui si discute un provvedimento come la proposta di legge Siliquini A.C. 1294, ma il cambiamento nelle caratteristiche della domanda di statistici in senso lato sta avvenendo anche nel Sistema statistico nazionale, nei 3.000 uffici di cui vi ho parlato. Se pensiamo, per esempio, agli uffici di alcuni enti pubblici - penso all'INPS, all'INAIL o anche ad altri ministeri - appare del tutto evidente che la dirigenza di un ufficio cosiddetto di statistica è di fatto la dirigenza di uffici molto più complessi, perché si trattano dati amministrativi complessi, si devono diffondere i dati e si deve gestire il personale.
Per questo motivo, nei casi più interessanti, a capo di questi uffici non sono necessariamente posti laureati in statistica, ma laureati in scienze applicate, che peraltro hanno una conoscenza anche di aspetti gestionali. Oggi sappiamo che gestire un ufficio pubblico non è soltanto un problema tecnico, ma richiede anche capacità gestionali che vanno ben al di là degli elementi puramente statistici.
Infine, aggiungo un commento di carattere generale, nel momento in cui si discute molto sull'eventuale abolizione degli albi e sul superamento di questo strumento. Da questo punto di vista, la discussione sull'istituzione di un albo degli statistici deve tener conto anche di questa più generale riflessione sulla funzione degli albi.
Concludo il mio intervento con alcuni riferimenti specifici al testo della proposta citata, che non appaiono del tutto convincenti.
In primo luogo, l'articolo 1, al comma 5, dispone che per l'esercizio della professione di statistico, nel settore pubblico e in quello privato, è obbligatoria l'iscrizione all'albo degli statistici. In seguito, si afferma che per l'iscrizione all'albo degli statistici bisogna necessariamente essere laureati in statistica oppure che vi possono essere iscritti, indipendentemente dal possesso del requisito di cui alla lettera a) del comma 1, i professori universitari di ruolo


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delle università statali o equiparate e i liberi docenti confermati nelle materie del gruppo statistico-metodologico o applicativo.
Questo elemento è in contrasto con la norma che prevede che il presidente dell'ISTAT possa essere un economista, come nel mio caso, o uno statistico economico, come avviene sempre nel mio caso, visto che insegno statistica economica. Se fosse in vigore una restrizione di questo tipo, sarebbe un po' strano che il presidente dell'Istituto di statistica non sia iscritto all'albo degli statistici. Per essere iscritto all'albo, deve essere un docente di statistica o un laureato in statistica, mentre la legge italiana prevede che possa essere anche un docente di economia.
Uso questo come strumento di riflessione per capire che la scelta di un albo con queste caratteristiche può introdurre alcune rigidità, alla luce dei cambiamenti che ho illustrato precedentemente, che producono risultati non necessariamente desiderati.
Il secondo punto su cui richiamo la vostra attenzione è l'articolo 2, in particolare il comma 2, che definisce il contenuto dell'attività di uno statistico e, quindi, l'approntamento del piano delle ricerche, la rilevazione totale e campionaria dei dati, la verifica, la certificazione, la qualità, lo spoglio e la classificazione delle informazioni statistiche raccolte.
Questo modo di descrivere l'attività statistica, per esempio, non considera proprio l'uso di quei dati amministrativi di cui parlavo in precedenza, che sono, invece, il core business fondamentale dell'attività di qualsiasi istituto di statistica e soprattutto degli uffici di statistica a livello decentrato.
Da questo punto di vista, una descrizione troppo dettagliata del modo con cui una produzione statistica si realizza rischia di diventare obsoleta nel breve termine, proprio perché il cambiamento delle tecniche è così forte.
D'altra parte, quando si afferma che rientra nell'attività dello statistico ogni analisi metodologica su collettivi di qualsiasi natura, comunque rappresentati, relativi ad aggregati totali o parziali, ciò significa, di fatto, non considerare che gran parte di queste analisi vengono svolte da esperti tematici del mercato del lavoro, del funzionamento delle famiglie, del funzionamento delle imprese e via elencando, che non sono necessariamente statistici puri.
In terzo luogo, l'articolo 3 stabilisce che le attività indicate nell'articolo 2, ossia quelle che ho appena richiamato, sono attribuite alla competenza esclusiva dello statistico specialista. Quando le operazioni da seguire attengono a perizie ordinate dalla magistratura, comportano la raccolta e l'elaborazione di informazione statistica sulla cui fonte è prescritta per legge o da Regolamento la tutela del segreto (comunque, questa tutela è assicurata dall'ente pubblico e privato che promuove la raccolta dei dati).
Ciò di fatto, significa che le attività di cui abbiamo parlato, per esempio tutte quelle realizzate dall'ISTAT, come disporrebbe la legge, sono di competenza soltanto degli statistici in modo esclusivo. Per le ragioni che vi ho descritto, ciò sarebbe contrario al modo in cui sono organizzati gli istituti di statistica moderni.
D'altra parte, deve essere riconosciuta l'importanza della qualità di una perizia; la mancanza di un albo rende maggiormente difficile riuscire a individuare lo specialista del caso.
Capisco che esista un'esigenza, ma il modo con cui quest'attività viene descritta e, soprattutto, la competenza esclusiva, anche in questo caso, rischiano di produrre risultati paradossali.
Ricordo, da questo punto di vista, un caso concreto che ho dovuto affrontare nei mesi scorsi con riferimento al censimento dell'agricoltura: per realizzarlo, erano necessari circa 10.000 rilevatori. Uno degli esperti agrotecnici ha invocato l'errore nel Regolamento e nel bando di selezione dei rilevatori, sostenendo che il fatto che nella legge istitutiva fosse prevista anche l'attività statistica dovesse essere considerato come una riserva di legge a titolo esclusivo, con la conseguenza che l'ISTAT o le regioni, nel caso particolare, dovessero


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rivolgersi in primo luogo agli associati a questo albo e, successivamente, ad altri soggetti eventualmente qualificati.
Questo contenzioso ha rischiato di bloccare il censimento dell'agricoltura. In seguito, il giudice amministrativo ha riconosciuto che effettivamente l'ISTAT aveva operato correttamente e che non operava alcuna riserva specifica.
Pensate a che cosa sarebbe successo per il censimento della popolazione, per il quale avevamo bisogno di circa 60-70.000 rilevatori, se fosse stato presente un albo degli statistici. Questo elemento, a mio parere, deve essere tenuto presente nel momento in cui si decide l'istituzione di questo albo.
Come osservavo, in ogni caso, l'articolo 2 contiene una descrizione troppo restrittiva delle attività che possono essere considerate statistiche: non parla, ad esempio, della demografia.
All'articolo 4 si rafforza la prescrizione di cui al decreto legislativo 6 settembre 1989 n. 322 sulla riforma statistica, vigente ormai da più di vent'anni, in cui si dispone che i capi degli uffici di statistica previsti dal medesimo decreto legislativo debbano essere iscritti all'albo professionale degli statistici: si rafforza l'idea che debbano essere non solo statistici, ma addirittura iscritti obbligatoriamente all'albo.
Come accennavo precedentemente, ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001 e del più recente decreto legislativo n. 150 del 2009, di riforma della pubblica amministrazione, lo svolgimento della funzione di dirigente di un ufficio pubblico richiede una professionalità molto complessa. Un vincolo di questo tipo renderebbe estremamente complessa, a mio parere, la gestione di una situazione come la presente da parte delle amministrazioni.
Il rischio sarebbe, quindi, avere una previsione di legge che non potrebbe essere applicata, soprattutto visto l'esiguo numero di persone che possiede la laurea in statistica, soprattutto nel contesto nuovo di cui ho parlato: tale previsione, quindi, diventerebbe una norma non applicata, mentre non verrebbe favorita la presenza negli uffici di statistica di esperti di statistica, che, invece, è assolutamente indispensabile.
Dobbiamo riconoscere che in alcuni casi, soprattutto nelle amministrazioni di più ridotte dimensioni, all'ufficio di statistica è stato preposto un soggetto che effettivamente con la statistica non ha nulla a che fare. Bisogna distinguere, quindi, tra la responsabilità di un ufficio e la presenza all'interno dell'ufficio di professionalità statistiche che sono assolutamente indispensabili.
Infine, l'articolo 5, comma 1, lettera c), dispone che non sono ammesse equipollenze di lauree, ma fa riferimento soltanto, se non sbaglio, alla necessità, ai fini dell'iscrizione nell'albo degli statistici, di essere cittadini italiani o italiani appartenenti a territori non politicamente uniti all'Italia, ovvero cittadini di uno Stato che ammetta condizioni di reciprocità.
Forse, da questo punto di vista, la norma dovrebbe essere rivista, soprattutto alla luce della normativa europea, che consente il libero spostamento delle persone all'interno dell'Unione.
Naturalmente, tutto ciò va legato anche alla discussione appena avviata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sull'eliminazione del valore legale del titolo di studio. Da questo punto di vista, inviterei la Commissione a riflettere su cosa succederebbe se fosse approvata la riforma volta all'eliminazione del valore legale del titolo di studio.
La stessa situazione si può applicare al tema delle tariffe, ma questo, come riferivo, è un problema più generale legato al ruolo degli albi.
In conclusione, l'albo può aiutare a risolvere forse alcuni dei problemi citati, non necessariamente tutti: in ogni caso, il testo del provvedimento dovrebbe essere modificato, almeno in alcune parti, proprio per tener conto sia del cambiamento epocale del funzionamento della statistica, che ho descritto, sia del raccordo con altre norme, sia nazionali, sia comunitarie.
In ogni caso, è di grande rilievo il fatto che il Parlamento si stia occupando di questo mondo affascinante della statistica


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e, quindi, non posso che ringraziare il Parlamento di questa opportunità e forse suggerire, se posso permettermi, di tenere altre audizioni, ad esempio con i presidenti della Società italiana di statistica o della Società italiana di economia, demografia e statistica, ossia con i soggetti che rappresentano questo mondo così variegato. In proposito, sarebbe anche opportuno audire, ad esempio, il presidente della Società italiana degli economisti o della Società italiana di sociologia, proprio per ascoltare il punto di vista degli altri soggetti che ormai trattano a pieno titolo le informazioni statistiche, ma che non sono statistici in senso stretto.
Vi ringrazio molto e naturalmente sono a disposizione per domande e quesiti.

PRESIDENTE. Grazie per l'esaustiva e dettagliata relazione. Prima di dare la parola ai deputati presenti, saluto i parlamentari che ci hanno raggiunto: l'onorevole Goisis, capogruppo della Lega Nord, l'onorevole Gianni, capogruppo di Popolo e Territorio, l'onorevole Ghizzoni, capogruppo del Partito Democratico, e l'onorevole Carlucci dell'UdC.

RICARDO FRANCO LEVI. Grazie, presidente. Mi fa piacere salutare il professor Giovannini. Svolgo alcune riflessioni generali che traggono spunto proprio dall'ampiezza della relazione che ci ha reso.
Il professor Giovannini non ha usato un termine come «bene comune» per i dati statistici, ma io ritengo che questa sia la direzione nella quale si è ormai andati: così come la solidità della moneta è considerata un bene comune e, come tale, è doverosamente assistita da una protezione oggi garantita costituzionalmente su scala europea, la medesima questione vale per la certezza dei dati statistici, attraversi i quali si legge la realtà e, dunque, attraverso i quali si può operare, governando su una base solida di conoscenza.
Ricordo con grande puntualità le riflessioni, svolte negli anni in cui lavoravo a Bruxelles presso la Commissione europea, sul fatto che sarebbe stato opportuno dare veste conseguentemente istituzionale e nobile a questo principio, immaginando che anche il sistema delle statistiche avesse un'organizzazione analoga a quella che ha il sistema delle banche centrali in Europa, proprio per assicurare al complesso dell'Unione europea una sicurezza di dati.
Il caso delle statistiche finanziarie e di finanza pubblica è un caso un po' specifico, ma abbiamo visto tutti, in casi come quello della Grecia, come e quanto la non affidabilità dei dati pubblici porti a conseguenze molto pesanti nella vita collettiva.
Vorrei anche ricordare, sempre passando da un argomento all'altro, la grande scuola statistica di Roma: ci tengo a farlo personalmente, con affetto. Vorrei ricordare che proprio in termini di valutazione e di considerazione negli ambienti accademici internazionali, la facoltà di statistica di Roma è sempre stata ai primissimi posti nel mondo universitario italiano. Vorrei ricordare, infine, il caro amico Luigi Spaventa, che di questa scuola è uno degli esponenti più giustamente celebrati.
Il professor Giovannini, parlando della complessità, dell'ampiezza e della profondità delle discipline e dei saperi che oggi sono coinvolti nell'analisi statistica, mi ricordava quel grande banchiere, avanti negli anni, di una delle grandi merchant bank inglesi, il quale, alla richiesta di un parere su quali fossero i criteri e le qualità che cercava nei giovani destinati ad occupare le prime fila della sua banca, rispondeva che andava a cercare i suoi primi studenti nell'Università di Oxford di storia antica e di lettere antiche, perché erano coloro che gli potevano dare una comprensione della realtà che magari gli sfuggiva. Solo quando non trovava nessuno, si recava in una facoltà di economia, perché da questi ultimi soggetti era difficile che imparasse qualche cosa che già non sapesse.
Intendo rilevare che l'ampiezza della sapienza, della conoscenza e dello spessore culturale che si richiede per la professione dello statistico è il filo rosso che ha sotteso tutta l'analisi del professor Giovannini, il quale, con garbo, ha evitato di trarre da tutto questo un giudizio definitivo sulla


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proposta di legge che ci stiamo apprestando a esaminare. Onestamente, non ricordo audizioni nelle quali un testo di legge sia stato, con garbo, ma con puntualità, sottoposto a una critica così ampia e, se posso permettermi - sono parole mie e non del professor Giovannini - distruttiva.

GIUSEPPE SCALERA. Vorrei ringraziare innanzitutto il professor Giovannini per la sua relazione, ampia, articolata e di indiscutibile interesse, che naturalmente sottende ulteriori interrogativi da parte nostra legati a squarci di innovazione che lui stesso ci ha posto nell'ambito della relazione stessa, i quali ci inducono ad alcune domande, più che ad alcune riflessioni di tipo più generale, posto che naturalmente concordo con le puntuali affermazioni del collega Levi.
Nell'ambito della sua relazione, il professor Giovannini ci ha parlato di nuove tecnologie che finiscono inevitabilmente per cambiare l'atteggiamento dell'ISTAT e la professionalità che viene richiesta. Vorrei sapere, su questo piano, che cosa si intenda oggi, nel 2012, quando si parla delle nuove tecnologie e come queste tecnologie vadano a mutare la realtà di natura professionale.
Passo alla seconda domanda e chiedo scusa per il gioco di parole. Si ha spesso la sensazione - per noi che, tra le altre cose, oltre che parlamentari, siamo anche costantemente utenti di processi di natura statistica - che troppo spesso sia il tipo di domanda a condizionare il rilevamento di natura statistica. Sostanzialmente, la forma di controllo che viene oggi esercitata per quanto riguarda, ad esempio, l'Agcom, è una forma di controllo collegata alla veridicità del risultato più che alla qualità della domanda che viene posta.
Qual è, sotto questo aspetto, il modo attraverso il quale una società moderna come la nostra, sempre più orientata verso modelli di natura europea, può sviluppare anche nell'ambito di questo settore delicatissimo e, al tempo stesso, condizionante rispetto alle scelte che si vanno a sviluppare?
Infine, si è parlato, giustamente, di una poliedricità di impegno collegata a questo mondo, non legato solo, ovviamente, ai laureati in statistica, ma anche a professionalità più ampie che sviluppano interconnessioni con le scienze economiche, con la psicologia e con la matematica stessa.
Mi pongo questa domanda perché siamo all'interno di una profonda riflessione collegata anche ai progetti di riforma delle Accademie di belle arti. Per quanto riguarda gli aspetti direttamente connessi al graphic design, cioè alla costruzione anche di tipo visivo della statistica stessa, all'Accademia di belle arti possono essere utili anche alcuni diplomati con specifiche funzioni collegate al graphic design e alla graphic art, che rappresenta una delle realtà nuove di questo settore?
Avrei naturalmente molte altre domande da porre, ma mi fermo e mi riservo di poterle formulare in altre occasioni.

EMERENZIO BARBIERI. Anch'io la ringrazio, presidente, come ha già fatto il relatore. Lei sa che lei è stato molto popolare tra i parlamentari alla fine dello scorso anno, quando ci ha radiografato le indennità. Immagino che uno schizzo le sia arrivato all'orecchio.
Voglio solo porle una domanda secca. Lei ci ha informato di un fatto che io non conoscevo - non so se i colleghi lo conoscessero -, ossia che l'unico Paese in cui esiste una facoltà di statistica è l'Italia. Ci ha anche riferito, però, che con la riforma Gelmini, di fatto, si va all'abolizione delle facoltà di statistica.
È corretto ciò che ho capito? Lei, nella sostanza, ci invita a fare come vogliamo, perché il potere legislativo è nostro, ma ci avverte che, se istituiamo l'ordine degli statistici, corriamo il rischio di arrivare, come al Tour de France, fuori tempo massimo, FTM.
Se è così, credo che una riflessione sia necessaria. Per questo motivo abbiamo voluto tutti, dall'onorevole Levi, all'onorevole


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Zazzera, all'intera Commissione, partire con l'audizione del presidente dell'ISTAT in questa indagine conoscitiva, perché, alla luce delle considerazioni che lei ha svolto, avvertiamo la necessità di svolgere una riflessione. Vorrei capire se è corretto interpretare le sue considerazioni nel senso che adesso ho riassunto.

GIUSEPPE GIANNI. Ricordo che la collega Siliquini ha presentato la proposta di legge in questione nel 2008, molto tempo fa. Quattro anni fa rappresentano un secolo, per ciò che avviene. Dal momento che non esiste più la facoltà di statistica, credo che anche questa proposta di legge possa essere messa da parte, onorevole relatore: o noi abbiamo chi si laurea in statistica e, quindi, istituiamo l'albo, o è inutile che sia istituito l'albo.

MANUELA GHIZZONI. Le facoltà sono state abolite secondo la legge n. 240 del 2010, ma noi continuiamo ad avere i laureati in statistica. Si sta ingenerando - è imbarazzante che ciò avvenga nella nostra Commissione - una discussione sul fatto che non ci siano più laureati in statistica. Continueranno a esserci, se gli atenei continueranno ad attivare corsi di laurea, e potranno esserci nella tradizione italiana. Credo che il presidente Giovannini intendesse altro.

GIUSEPPE GIANNI. Mi stavo rivolgendo al relatore, non al professore Giovannini. Non so se il collega relatore Scalera abbia svolto un approfondimento in ordine a questi problemi, che io non conosco, ragion per cui chiedo a lui, al professor Giovannini e alla collega Ghizzoni, che sono più preparati. Essendo arrivato in ritardo oggi, ma anche all'interno della Commissione, in quanto ne faccio parte da pochi mesi, non ho ben chiaro il quadro.

PIERFELICE ZAZZERA. Ringrazio il presidente dell'ISTAT. Spero di non esprimere castronerie, considerato che non conosco l'argomento e che non ho competenza nel merito, però mi voglio soffermare sui quattro punti che lei ha individuato.
L'obiettivo della proposta di legge in questione e della istituzione della figura degli statistici è tutelare gli esperti, individuare gli esperti, tutelare gli utilizzatori e creare lavoro. Questo mi sembra l'obiettivo e io le pongo in merito una domanda. In un momento in cui si cerca di semplificare e di ridurre la creazione di ulteriori enti, tutto ciò si può raggiungere senza la creazione di un albo o di un ordine? Fondamentalmente, penso che, se dobbiamo interpretare la tutela di figure professionali, che io non so se siano bene comune, dobbiamo tenere presente che voi avete una grande responsabilità, quella di conoscere il Paese, ma anche quella per cui, attraverso le vostre conoscenze, orientare l'opinione pubblica. Avete, dunque, una grandissima responsabilità. Io credo poi che proprio lei, presidente, sia espressione della difficoltà che la statistica può incontrare. Proprio nella vicenda relativa alle indennità parlamentari, credo che abbia fallito non la persona che rappresenta e che guida l'ISTAT, ma gli indici di parametrizzazione, di statistica e di indagine su una tematica così complessa, che ha riguardato parametri che univoci non sono.
Poiché l'obiettivo del suo studio era quello di rendere più chiara la situazione e di essere più vicini ai cittadini, facendo capire che chi sta in politica deve ridurre spese e «pesantezze», credo che - parlo in nome del mio partito, anche se l'Italia dei Valori ha già espresso al riguardo alcune riserve - la creazione di ulteriori albi e ordini professionali sia tale da creare ulteriori carrozzoni.
Bisogna procedere verso una semplificazione. Si può ritrovare, ad esempio, nel modello francese la possibilità di raggiungere i quattro obiettivi attraverso la costituzione di associazioni. Ciò vale per gli statistici, ma deve valere anche per altri ordini professionali, di cui oggi non si sente più l'esigenza.


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PRESIDENTE. Do la parola al professor Giovannini per la replica.

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. Intanto chiarisco quello che in realtà è già stato chiarito. Il fatto che non ci sarà più una facoltà di statistica non significa che non ci saranno i corsi di laurea in statistica: quindi, ci saranno laureati in statistica, nella misura in cui le università decideranno che questo sia coerente con il mercato e con quanto è necessario. Potrebbe darsi che ci siano corsi in statistica oppure in statistica e pittura: questa sarà una scelta delle università.
Faccio riferimento all'intervento dell'onorevole Levi e poi seguirò l'ordine degli altri interventi. Naturalmente non ne ho parlato, perché ho parlando della statistica in funzione della proposta di legge più volte citata, ma non c'è dubbio che oggi la statistica sia un elemento imprescindibile di democrazia.
Lei citava l'esperienza europea. Sempre di più i dati statistici vengono utilizzati per ripartire fondi, per prendere decisioni e spesso - su questo punto ho alcuni dubbi, ma possiamo parlarne in altra sede - per far scattare automaticamente alcuni effetti.
Ricordo che, quando si trattava di stabilire quali Paesi potessero entrare all'interno dell'Unione monetaria, si discuteva sul famoso dato del 3,5. In merito al fatto che il rapporto deficit pubblico/PIL non potesse essere superiore al 3 per cento, la Germania sostenne chiaramente che non poteva essere superiore al 3,0. Se fosse stato 3,1, che viene approssimato normalmente con il 3, ma che soprattutto indica una presunzione di precisione nelle stime talmente elevata da non essere realistica, il fatto di entrare o non entrare, secondo alcuni, derivava dall'essere così vicini a un numero oppure oltre un numero. Non è il modo con cui la statistica dovrebbe essere utilizzata, proprio perché, come in quel caso era evidente, era necessaria una decisione politica, sulla base dei dati, non una decisione automatica.

RICARDO FRANCO LEVI. Si tratta del famoso «patto stupido».

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. Che cosa ci stanno a fare i politici, se poi alla fine tutto viene demandato agli statistici, perché la numerosità o la diversa numerosità di un fenomeno determina effetti immediati?
Quello che lei è ha richiamato, onorevole Levi, è un elemento fondamentale, sul quale io personalmente mi sto battendo a livello europeo dal 1999. Il caso greco ha dimostrato che cosa succede se gli istituti di statistica non svolgono bene il loro mestiere. Vorrei ricordare che la crisi dell'euro nasce dal fatto che l'Istituto di statistica greco ha truccato i dati. Li aveva truccati nel 2001, consentendo l'entrata della Grecia nell'Unione monetaria, e poi li ha truccati nuovamente, determinando quello che conosciamo.
In Europa ci sono milioni di persone che stanno soffrendo una recessione e difficoltà legate al fatto che un istituto di statistica non ha svolto il suo mestiere. Questa è la realtà. Di fronte a questa situazione, l'indipendenza degli istituti di statistica diventa un bene che va tutelato al più alto livello istituzionale possibile.
Do atto al Parlamento italiano e al Governo che negli ultimi due anni sono state adottate, con la riforma anche dell'ISTAT, alcune decisioni che vanno in questa direzione, facendo dell'Italia, da un dato punto di vista, un caso di punta del panorama europeo, ma ricordo che, se non verranno cambiati la legge di stabilità e il bilancio, l'anno prossimo l'Istituto nazionale di statistica verrà commissariato e sciolto, perché i fondi assegnati dal Parlamento sono insufficienti a chiudere il bilancio dell'ISTAT, come i revisori dei conti ci hanno indicato in sede di approvazione del bilancio preventivo 2012, affermando che per il 2013-2014 non ci sono i fondi.
Le statistiche non crescono sugli alberi. Ciò significa che bisogna programmare nel medio termine la raccolta dei dati che servono a tutti, alla società. Come è possibile gestire un istituto così importante con questa spada di Damocle sulla testa?


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Ricordo, come ho già fatto prima, che i fondi dedicati in Italia alla statistica, rispetto al prodotto interno lordo o al numero di abitanti, sono i più bassi di tutta Europa. Ciò significa che siamo molto bravi, che i nostri colleghi - ciò è testimoniato - lavorano ben oltre l'orario di lavoro, il sabato, la domenica e talvolta la notte, per assicurare il dati al Parlamento, al Governo e al Paese, ma questa non è una situazione insostenibile.
Sempre in merito all'osservazione dell'onorevole Levi, sono assolutamente favorevole ad una trasformazione del Sistema statistico europeo a modello del Sistema europeo delle banche centrali e, soprattutto, al rafforzamento dell'ISTAT e di tutto il Sistema statistico nazionale. Se crediamo veramente di vivere in una società dell'informazione, questo è il bene pubblico più importante a disposizione della società.
L'onorevole Scalera mi chiedeva quali nuove tecnologie stiano cambiando il modo di produrre la statistica. Noi abbiamo avviato con l'Università di Roma una sperimentazione per utilizzare, ad esempio, le parole che emergono dal web al fine di identificare alcuni cambiamenti nei comportamenti sociali, come già Google sta facendo. Google ha sviluppato strumenti che si chiamano Google Trends e Google Correlate, dimostrando che la frequenza con la quale l'espressione «cerco lavoro» compare sul web ha una correlazione straordinaria con i sussidi di disoccupazione ufficialmente pubblicati dal Bureau of Labor Statistics. Il web non è più soltanto un luogo da cui si scarica un documento oppure in cui si interagisce su Facebook, ma diventa un alimentatore della produzione statistica.
Le porto un altro esempio sulle cosiddette neuroscienze, che attraverso l'applicazione delle tecnologie di scanning riescono a capire il funzionamento o l'attivazione diversa di parti del cervello. Ciò sta mostrando come nell'economia comportamentale determinati comportamenti umani non siano dettati da elementi psicologici incomprensibili, ma da comportamenti che vengono identificati non solo con la domanda «sei felice o no», ma anche in funzione del modo in cui il cervello attiva alcune sue parti.
L'uso in prospettiva di chip sotto la nostra pelle è immaginato per studiare la mobilità delle persone. Già oggi sappiamo che attraverso i nostri telefoni cellulari possiamo essere tracciati negli spostamenti, nella mobilità quotidiana. Naturalmente si pongono problemi di privacy enormi, che tralascio, in questo caso.
Vi è anche l'analisi di dati longitudinali, cioè la possibilità di ritrovare dove Enrico Giovannini è dopo cinque anni e, quindi, di porgli le stesse domande che gli sono state poste cinque anni fa, per capire come è cambiata la sua situazione e via elencando.
È vero, come lei sosteneva, che il modo con cui si formulano le domande condiziona profondamente le risposte. È per questo motivo che la cooperazione internazionale a livello Eurostat, ma anche a livello internazionale e a livello mondiale OCSE, tende sempre di più a standardizzare il modo con cui si pongono le domande attraverso analisi statistiche e psicometriche molto dettagliate, proprio per evitare l'arbitrio. Ciò avviene nell'ambito degli uffici di statistica degli Istituti nazionali di statistica, ma i sondaggi sono un'altra questione.
Sono assolutamente d'accordo con lei sul fatto che, nel momento in cui le chiedo cosa ne pensa di quell'onorevole alto, basso, brutto o bello, a seconda di come formulo la domanda, induco una risposta, soprattutto in coloro i quali in realtà, portando l'esempio di questo onorevole, non lo conoscono.
Anche la contabilità nazionale è basata su una particolare teoria economica. Il fatto di non includere, ad esempio, nel PIL il lavoro domestico svolto dalle donne o dagli uomini a casa non deriva semplicemente da una scelta statistica, ma da una scelta concettuale che trova le sue origini nel modo di concepire l'attività economica. Non c'è dubbio che gli elementi tecnologici, ma anche concettuali influenzano profondamente le risposte. Proprio per


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questo motivo, per evitare l'arbitrio, la statistica internazionale si è organizzata in modo tale da standardizzare questi aspetti.
Sulla visualizzazione lei sfonda assolutamente una porta aperta. Quand'ero chief statistician dell'OCSE a Parigi, ruolo che ho ricoperto per quasi nove anni, ho avviato un processo, che ormai continua anche ora che sono andato via, di riunioni internazionali periodiche con gli art designer, con coloro i quali usano il web per comunicare visivamente l'informazione, perché ormai anche questa è un'arte, che influenza l'opinione pubblica molto di più che una tavola statistica.
Talvolta scioccato rimango infastidito per il modo in cui alcuni giornali presentano i grafici. Come sappiamo tutti, a seconda del fatto che io scelga una scala più ampia o più ristretta, riesco a mostrare che un fenomeno cresce, è stabile o, invece, diminuisce: questo elemento della grafica dinamica, che noi in ISTAT abbiamo già introdotto, è fondamentale per produrre conoscenze.
Ho risposto, credo, all'onorevole Barbieri sulla differenza tra facoltà e lauree. Avremo comunque laureati in statistica, forse, se le università terranno corsi di laurea e se la domanda di statistici continuerà con questa dizione. Questo era il problema che ponevo.
Infine, per quanto riguarda le ultime domande dell'onorevole Zazzera, si può tutelare quello che occorre tutelare, senza un ordine? Non sono un giurista, anche se, da quando sono tornato in Italia, mi occupo molto di questi aspetti, e non conosco altre forme e altri ordinamenti, ragion per cui non so rispondere alla sua domanda. Credo che, d'altra parte, anche gli statistici professionisti - chiamiamoli così -, cioè coloro i quali esercitano attività professionale, non quelli presso l'ISTAT, sentano l'esigenza di essere tutelati nella loro professionalità, ma non so riferirle se la costituzione di un ordine sia l'unica soluzione o se ce ne siano altre.
Ricordo, da questo punto di vista, che, per esempio, la statistica forense negli Stati Uniti è molto avanzata. Spesso i giudici si rivolgono ad esperti di statistica per giudicare se il rischio che è stato inserito in un contratto è accettabile oppure totalmente inaccettabile. Forse, guardando al modo in cui si sono organizzati altri Paesi, possono derivare idee interessanti.
Svolgo un ultimo riferimento alla cosiddetta «Commissione Giovannini», che, peraltro, tra pochi giorni fornirà il suo rapporto finale, di cui non anticipo le conclusioni. Non posso non affermare, in risposta all'onorevole Zazzera, che quello non era uno studio. Il Parlamento ha votato una legge che impone un obbligo, prevedendo che quella Commissione sia necessariamente presieduta dal presidente dell'ISTAT. Mentre gli altri membri della Commissione possono eventualmente dimettersi, il presidente dell'ISTAT non può farlo, ma sottolineo che, se io, come presidente dell'ISTAT, chiedessi ai miei colleghi di effettuare uno studio sulla vita sulla luna, ciò non significa necessariamente sarebbe possibile da realizzare quello studio solo perché io l'ho deciso. Intendo dire che le condizioni tecniche per lo svolgimento di calcoli di quel tipo devono esistere nella realtà: se non esistono nella realtà, nessuno statistico può inventare i dati. Credo che questa sia stata esattamente la grande attenzione con cui la Commissione ha operato fino adesso, conoscendo l'impatto potenzialmente enorme di quei dati, rinunciando, nel rapporto di dicembre, a effettuare i calcoli previsti dalla legge e assumendosi una grande responsabilità in nome della deontologia professionale. Rinvio al rapporto che tra pochi giorni renderemo pubblico.

PRESIDENTE. Ringraziando il nostro ospite, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,10.

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