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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VIII
3.
Martedì 20 dicembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Margiotta Salvatore, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 2 INIZIATIVA POPOLARE, C. 1951 MESSINA E C. 3865 BERSANI, RECANTI «PRINCIPI PER LA TUTELA, IL GOVERNO E LA GESTIONE PUBBLICA DELLE ACQUE E DISPOSIZIONI PER LA RIPUBBLICIZZAZIONE DEL SERVIZIO IDRICO»

Audizione di rappresentanti dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture:

Margiotta Salvatore, Presidente ... 3 6 8 10
Bratti Alessandro (PD) ... 6
Camanzi Andrea, Consigliere dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ... 3 8 10
Mariani Raffaella (PD) ... 8 10
Realacci Ermete (PD) ... 7 8 10

Audizione di rappresentanti del Gruppo 183 Onlus:

Margiotta Salvatore, Presidente ... 10 14 16 18
Gavioli Giuseppe, Membro del Comitato direttivo del Gruppo 183 Onlus ... 10 12
Lettera Francesco, Membro del Comitato direttivo del Gruppo 183 Onlus ... 16 18
Libè Mauro (UdCpTP) ... 12
Mariani Raffaella (PD) ... 15
Miccio Bruno, Membro del Comitato direttivo del Gruppo 183 Onlus ... 13 15 18
Realacci Ermete (PD) ... 14 15 18
Piffari Sergio Michele (IdV) ... 12
Viola Rodolfo Giuliano (PD) ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud): Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 20 dicembre 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SALVATORE MARGIOTTA

La seduta comincia alle 12,50.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle proposte di legge C. 2 Iniziativa popolare, C. 1951 Messina e C. 3865 Bersani, recanti «Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico», l'audizione di rappresentanti dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
L'Autorità è qui rappresentata dal consigliere dottor Andrea Camanzi, dalla dottoressa Lorenza Ponzone, dirigente dell'ufficio studi, legislazione e regolazione del mercato, dal dottor Ettore Peretti, dirigente relazioni istituzionali, e dalla dottoressa Luisa Perrotti, funzionario.
Do la parola al dottor Camanzi per la relazione.

ANDREA CAMANZI, Consigliere dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Grazie, presidente, e buongiorno. Non abbiamo preparato materiale da lasciare in seduta questa mattina, ma ve lo faremo avere nella seconda metà del pomeriggio, in modo da poter includere eventuali risposte o informazioni che vogliate conoscere durante questa audizione.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture si è occupata dell'affidamento e della gestione dei servizi pubblici locali fin dal 2007 e ha formulato due segnalazioni specifiche. Abbiamo avviato un'attività di vigilanza nel settore dell'affidamento e della gestione dei servizi idrici integrati su poco meno di un centinaio di soggetti affidatari. Le valutazioni che proverò a esporvi sono, quindi, basate anche su un'esperienza concreta maturata sul campo.
Oltre a queste segnalazioni, che invieremo questa sera in allegato alla nostra nota, abbiamo preso una posizione sugli effetti dell'esito referendario in materia di servizi pubblici locali nel contesto di un parere richiesto dal Ministero dello sviluppo economico a proposito del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza.
In quest'ultima sede, abbiamo richiamato due principi, che voglio qui riprendere perché ci sembrano importanti, riaffermati peraltro dalla sentenza dalla Corte costituzionale del 2011 in merito all'ammissibilità del quesito referendario sull'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008.
Il primo principio del quale siamo sostenitori è l'impossibilità di ipotizzare che all'abrogazione dell'articolo 23-bis (e del regolamento di attuazione contenuto


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nel decreto del Presidente della Repubblica n. 168 del 2010) possa conseguire una reviviscenza delle disposizioni del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL) precedentemente abrogate dallo stesso articolo 23-bis.
Il secondo principio è quello dell'applicazione immediata nell'ordinamento italiano della normativa comunitaria, che come sapete è meno restrittiva rispetto a quella oggetto del referendum, con riferimento alle regole concorrenziali minime in tema di gare a evidenza pubblica per l'affidamento della gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica.
Questi sono i due principi che abbiamo ribadito ad agosto 2011, dopo il referendum, e che desideravo qui richiamare. Per quanto riguarda i punti critici, ne solleverò tre per poi passare ad alcune considerazioni finali.
Il primo punto critico riguarda l'articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011 (convertito nella legge n. 148 del 2011), che a nostro modo di vedere introduce un regime che abbiamo definito multiplo. Infatti, come voi sapete, l'articolo 4 ha ridisciplinato in parte la materia, introducendo un doppio regime. Da un lato, c'è il regime dei servizi pubblici locali, oggetto dell'articolo 4 medesimo, per i quali è stata almeno in parte ripresa la disciplina abrogata, e cioè un sostanziale disfavore per gli affidamenti in house, la preferenza per il coinvolgimento del settore privato nell'affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, il divieto per le società in house di partecipare alle gare e la soglia del 40 per cento della partecipazione privata, al di sotto della quale non sarebbe possibile costituire società miste.
Il secondo regime, invece, è quello che, ai sensi del comma 34 dello stesso articolo 4, riguarda i settori esclusi. Come voi sapete, sono esclusi in modo particolare i servizi della distribuzione di gas naturale ed energia elettrica, i servizi di trasporto ferroviario regionale, la gestione delle farmacie comunali e ovviamente i servizi idrici integrati. Veniamo di fatto ad avere due classi di servizi pubblici locali, una oggetto dell'articolo 4 e l'altra, invece, esclusa dall'applicazione di tale articolo.
L'articolo 9 della legge di stabilità per il 2012, che pure ha modificato l'articolo 4, non pare scardinare questo impianto. Pertanto, la conclusione a cui arriviamo è che servizi idrici integrati restano fuori dalla disciplina dell'articolo 4. Da questo punto di vista vi sono alcuni aspetti da sottolineare. Il primo aspetto problematico è che l'articolo 4 sul piano formale crea un solco fra due sistemi di disciplina applicabili ai servizi pubblici locali. Sul piano sostanziale tale separazione rischia di produrre conseguenze significative per i mercati esposti ad attività multiutility.
Immaginate un gestore che opera o intende operare contemporaneamente sia nell'erogazione di un servizio pubblico locale oggetto dell'articolo 4 sia nell'erogazione di un servizio pubblico locale che non rientra nel regime previsto all'articolo 4. Verremmo ad avere regole diverse in ambiti contigui estremamente sensibili.
Penso, ad esempio, al problema dei servizi idrici e dei servizi integrati dei rifiuti: i servizi idrici sono esclusi, mentre i servizi integrati dei rifiuti sembrano essere inclusi nell'ambito di applicazione dell'articolo 4. Allo stesso modo, la possibilità di ricorso al modello in house è limitata ad affidamenti inferiori a 900.000 euro annui.
Tutto questo crea ovviamente inconsistenze e incoerenze. Nel complesso, tentando di formulare un primo giudizio, a noi sembra che l'articolo 4 abbia aggravato il quadro di incertezza già più volte evidenziato nella situazione pre-referendaria.
Questa è la sommaria analisi giuridica che abbiamo compiuto. Chiedo scusa per la rapidità, ma credo che siano i punti più rilevanti. Ve ne sarebbero altri, ma preferiamo concentrarci su questi.
Le criticità principali che ne discendono, secondo noi, sono tre e sono molto vicine a ciò di cui si occupa l'Autorità.
Il primo aspetto critico che discende da questo quadro di incertezza riguarda natura e dimensione dell'ente affidante, cioè del soggetto contraente. Come è noto, il DPCM del 25 marzo 2011 ha prorogato al


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31 dicembre di quest'anno la scadenza per l'abolizione delle autorità di ambito territoriale ottimale (AATO) e il trasferimento alle regioni delle funzioni ad esse attribuite, come del resto già disposto dalla legge 26 marzo 2010, n. 42 sul federalismo fiscale.
Assai variegato è il quadro risultante da queste innovazioni e dalle diverse soluzioni fin qui individuate dalle regioni. Immagino che voi abbiate contezza del fatto che questa norma è stata applicata non da tutte le regioni e mediante leggi regionali che meriterebbero un attento esame. Ritengo che l'abbiate fatto o che siate nelle condizioni di farlo.
Quali che siano i soggetti ritenuti più adeguati ad assumere decisioni organizzative e operative riguardo alla gestione dei servizi idrici e i relativi ambiti territoriali di attività, assicurare la mera continuità dell'erogazione dei servizi è necessario, ma non sufficiente, perché occorre immaginare anche progetti di sviluppo sia dei piani di investimento esistenti sia di altre iniziative che si vogliano intraprendere.
Occorre, secondo noi, creare dunque le condizioni per una gestione strategica di lungo periodo del settore. Non basta, in altri termini, garantire la continuità delle concessioni in essere e, sotto questo profilo, a noi sembra che i presupposti giuridici per una gestione strategica e di lungo periodo del settore dei servizi idrici poggino su basi non particolarmente solide.
La seconda criticità sulla quale attiriamo la vostra attenzione riguarda la formazione delle tariffe. Come voi sapete, l'articolo 21 del decreto-legge n. 201 del 2011 che avete approvato alcuni giorni fa, il cosiddetto «decreto salva Italia», ha trasferito dall'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua all'Autorità per l'energia elettrica e il gas, le funzioni attinenti alla regolazione e alla vigilanza sulle tariffe relative ai servizi idrici, funzioni da individuarsi con un successivo DPCM, che al momento non è stato ancora adottato.
È evidente che questa è un'area di grande interesse. La fissazione della tariffa è infatti rilevante sia ai fini della gestione e degli affidamenti in essere, sia soprattutto ai fini di eventuali o auspicate, come emerge dal referendum, modifiche dei sistemi di gestione, anche allo scopo di garantire la sostenibilità strategica delle concessioni in essere (e della loro evoluzione) o di quelle future.
Aggiungo un piccolo passaggio che può sembrare scollegato, ma che, secondo me, non lo è. Mi riferisco alla valutazione dello stock del debito delle società di gestione nel Patto di stabilità. Come voi sapete, questo problema è stato posto dalla legge finanziaria del 2008 e poi ripreso dall'articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011, che rinvia a un decreto ministeriale da adottare di concerto con la Conferenza Stato-regioni.
È abbastanza evidente che, se non viene stabilita la modalità con la quale la parte passiva del patrimonio, cioè lo stock di debito, entra nel Patto di stabilità, questo inciderà sulla sostenibilità dei piani di investimento e su qualsiasi proiezione strategica del settore, in ciò sposandosi al problema dell'applicazione del modello di fissazione della tariffa che vede protagonista l'Autorità per l'energia elettrica e il gas.
Il terzo e ultimo punto critico sul quale voglio attirare la vostra attenzione prima di passare alle considerazioni conclusive è il rapporto giuridico fra l'ente affidante e il gestore del servizio, intendendo per ente affidante l'ex autorità d'ambito (AATO), responsabile dello svolgimento delle gare. Noi riteniamo che tale rapporto sia estremamente importante, anche ai fini della definizione e dell'individuazione delle procedure di gara.
All'esito del referendum, il quadro della disciplina applicabile ci sembra essere, in estrema sintesi, il seguente. Nel caso di gestione diretta tramite società in house, la procedura per l'individuazione del soggetto gestore dovrebbe rispettare i requisiti comunitari, senza limiti di importo. Ove vi sia una concessione, invece, dovrebbe essere applicato l'articolo 30 del Codice degli appalti (decreto legislativo n. 163 del 2006), che riguarda le concessioni nel


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settore dei servizi. Per gli altri casi dovrebbero valere i principi generali di trasparenza, di non discriminazione eccetera, contenuti all'articolo 2 dello stesso Codice degli appalti.
Siamo convinti che l'applicazione dell'articolo 30 del Codice degli appalti sia importante anche alla luce della modifica del regime delle concessioni che l'Unione europea ha avviato e della proposta di direttiva che la Commissione europea approverà nel giro di qualche settimana - circolano già alcune bozze - e che riguarderà l'armonizzazione del regime delle concessioni di servizi nei settori speciali.
La Commissione parla di un intervento light, di un'armonizzazione minima, ma trattandosi di regimi speciali, quali l'elettrico e l'idrico, è ovvio che una qualsiasi modifica del regime vigente in materia che dovesse nascere a Bruxelles - è fuor di dubbio che dovrà essere approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio - inciderebbe sulle prospettive del rapporto fra affidante e gestore dei servizi idrici.
In conclusione, il quadro che abbiamo davanti ci appare caratterizzato da problemi di coerenza del sistema. Siamo soprattutto molto preoccupati, da un lato, per questo duplice regime, quello derivante dall'applicazione del più volte citato articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011 e quello per i settori esclusi dalla sua applicazione, in forza delle disposizioni dettate dall'articolo 4 medesimo, e, dall'altro, per l'incrocio con l'applicazione diretta della normativa comunitaria in materia di affidamento a società in house e tramite di concessioni.
Ci sembra, quindi, quanto mai urgente tentare una stabilizzazione dell'assetto istituzionale, assicurando in ogni caso condizioni per una gestione efficiente dei servizi idrici, condizioni che sembrano incompatibili con un'eccessiva frammentazione dei centri decisionali, in particolare a livello di ciascun comune.
Questo è un altro aspetto importante. Riteniamo, infatti, che debba essere preservato l'ambito territoriale ottimale (ATO) come momento aggregativo e di espressione di volontà, senza ritornare a una decisione del singolo soggetto che aderisce all'ATO e che ha i titoli di proprietà della risorsa idrica o delle infrastrutture di distribuzione che insistono sul proprio territorio. Mantenere la gestione a livello di ambiti territoriali ottimali, ancorché ridefiniti o ridefinibili, è a nostro avviso una condizione essenziale per poter raggiungere gli obiettivi di efficienza sia nella scelta delle modalità operative dell'affidatario sia nell'uso della risorsa idrica.
Da ultimo, è altresì importante affrontare il tema delle tariffe perché ad esso si lega la questione di stabilire quanta parte dei costi debba essere coperta con entrate da fiscalità generale e quanta parte debba invece essere inglobata nella tariffa e quindi remunerata dall'utente, tenendo conto che la volontà popolare - che si è espressa nel referendum del giugno 2011 nel senso della parziale abrogazione dell'articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006 - ha ritenuto non accettabile la remunerazione del capitale investito. In quanto tale, però, il capitale deve essere remunerato o per lo meno il problema si pone nelle situazioni esistenti di transizione.
Questi sono i commenti principali che abbiamo ritenuto di sottoporvi. Tutto questo sarà contenuto in un documento che vi faremo avere nel primo pomeriggio.
Saremo, inoltre, lieti di rispondere alle vostre domande per approfondimenti o chiarimenti.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Camanzi e do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ALESSANDRO BRATTI. Ringrazio il dottor Camanzi. Quanto ci è stato detto è ciò su cui ci stiamo arrovellando anche noi in questo periodo.
Le tre criticità che lei ci ricordava sono le stesse dalle quali stiamo cercando di capire come uscire. La discussione di questi progetti di legge potrebbe essere un'opportunità per trovare l'omogeneità necessaria, fermo restando che, come ha già


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ricordato lei, la questione degli ATO solleva problemi di non poco conto. Le regioni non si stanno muovendo infatti come un unico corpo e le situazioni sono molto differenti: c'è chi sta andando verso ambiti regionali, c'è chi invece preferisce rimanere in ambiti provinciali, c'è chi sta optando per soluzioni intermedie e c'è chi non ha fatto assolutamente nulla. La situazione è davvero complicata.
In ogni caso, volevo porle un paio di domande relativamente al doppio regime da lei giustamente posto all'attenzione della Commissione. In particolare, poiché il primo quesito referendario non ha riguardato solo l'acqua, come si configura ad esempio il tema della gestione integrata dei rifiuti? Credo che questa sia una domanda lecita, nel senso che, se anche si potesse sostenere che tale servizio rientra tra quelli che hanno un mercato, rimarrebbe comunque il fatto che il primo quesito referendario non riguardava solo l'acqua.
La seconda domanda concerne sempre la fascia di servizi in regime di mercato, e quindi i rifiuti. La vigente normativa prevede che per poter mantenere in regime provvisorio le concessioni in essere occorra vendere il 40 per cento delle azioni, altrimenti bisogna procedere alla gara. La mia domanda è semplice: laddove il soggetto pubblico decida - e poniamo il caso che a decidere sia un consorzio pubblico - di procedere alla vendita di azioni, chi concretamente promuove e pone in essere questa vendita di azioni, il soggetto gestore o l'organismo affidante, cioè l'autorità di ambito territoriale ottimale (AATO)?
La schizofrenia normativa di cui lei parlava riguarda anche le multiutility quotate in borsa. Pur essendo sottoposte a un regime diverso, questo problema ce l'hanno in casa anche loro perché lo scorporo dell'acqua rispetto al resto, in ossequio all'esito referendario, in teoria dovrebbe riguardarle pesantemente.
In questo caso, le chiedo: secondo lei, quali sarebbero le criticità maggiori che le multiutility dovrebbero affrontare?

ERMETE REALACCI. Poiché le questioni chiave le ha già poste il collega Bratti, mi limiterò a due battute.
Dato per scontato, come diceva il collega Bratti, che il quesito referendario coinvolgeva anche la gestione di altri servizi pubblici locali oltre quello idrico, non ho capito francamente quale turbativa rappresenterebbe la presenza di forme giuridiche differenti per la gestione del servizio idrico e di quello relativo ai rifiuti. Non ho capito onestamente quale sarebbe il problema.
La seconda questione, a cui peraltro cerchiamo di dare in parte risposta in questo percorso legislativo, riguarda l'attuazione dell'indirizzo referendario. A me pare chiaro, per come lo abbiamo interpretato noi, che l'esito del referendum non prevede automaticamente che gli investimenti strategici per la manutenzione del bene siano a carico della fiscalità generale, pur eliminando la quota fissa di remunerazione del capitale, peraltro anche discutibile visti gli andamenti dei mercati e le vicende finanziarie che ci troviamo ad affrontare.
Il problema chiave su cui siamo chiamati a rispondere è dunque quello di capire come calcolare la tariffa, tenendo conto che i cittadini si sono espressi perché non vi sia «profitto» nella gestione del bene acqua, ma al tempo stesso tenendo conto che nella tariffa devono essere remunerati anche gli investimenti necessari alla manutenzione del bene. Dico questo anche perché io credo che pensare che la fiscalità generale si faccia carico di questi investimenti sia, al di là di ogni considerazione generale, scarsamente realistico nelle condizioni in cui ci troviamo a operare.
Mi pare che nell'ambito della normativa europea ci siano questi spazi. Come sa meglio di noi, in Europa esistono infatti modalità molto diverse di gestione della risorsa acqua dalla Francia alla Germania, tanto per citare due esempi di grandi Paesi.
Come calcolare nella tariffa, nel rispetto della normativa europea in vigore, gli investimenti necessari per la manutenzione


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della risorsa idrica è dunque uno dei problemi che dobbiamo affrontare per dare certezze a questo settore strategico.

RAFFAELLA MARIANI. Anch'io desidero ringraziare i rappresentanti dell'Autorità. L'analisi che avete compiuto evidenzia una serie di questioni sulle quali abbiamo più volte invitato il precedente Governo ad agire. Alla fine si è prodotta una legislazione ingarbugliata e l'interpretazione post referendum contribuisce ad aumentare le difficoltà di lettura delle norme esistenti.
Noi stiamo elaborando un testo unico a partire da tre proposte di legge presentate nella fase pre-referendaria. Alla luce delle criticità che avete sottolineato, pur con la consapevolezza che lo strumento economico-finanziario non può gravare interamente sulla finanza pubblica, come è stato inteso in passato, ritenete che vi sia la possibilità di utilizzare la finanza pubblica con modalità diverse dal tradizionale stanziamento di risorse dello Stato? Esistono, in altre parole, strumenti di finanza pubblica che possano ovviare alla paralisi denunciata - dal mio punto di vista anche strumentalmente - dai gestori del servizio idrico? Ovvero, in altri termini, attraverso quali strumenti anche innovativi possono essere riattivati i finanziamenti delle banche in questo settore? Solo attraverso le utility private o secondo voi possono provenire aiuti anche dal settore pubblico in senso lato?

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Camanzi per la replica.

ANDREA CAMANZI, Consigliere dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Grazie, presidente. Proverò a rispondere ai quesiti nei limiti delle mie capacità e sulla base dell'esperienza che abbiamo maturato dal 2007 al 2008. Mi scuso se non soddisferò al cento per cento le attese.
Mi sembra che tre o quattro temi di fondo sottendano i quesiti che avete posto. Per comodità di ragionamento parto da una delle questioni sollevate dall'onorevole Realacci, il quale si chiedeva quali problemi ci sarebbero qualora la gestione di acque e rifiuti fossero in capo a uno stesso soggetto gestore.

ERMETE REALACCI. Veramente la questione posta era riferita al fatto che lei aveva segnalato una criticità nell'ipotesi che venissero gestiti con modalità diverse l'acqua e i rifiuti non da uno stesso soggetto gestore, ma da due soggetti diversi.

ANDREA CAMANZI, Consigliere dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Allora riprendo da un'altra parte, seguendo l'ordine cronologico delle domande.
A nostro avviso, la gestione integrata dei rifiuti è inserita nell'ambito dall'articolo 4. In base alla nostra lettura dell'articolo, compiuta partendo dalla documentazione e dalle informazioni esistenti, crediamo che i servizi integrati dei rifiuti e i servizi pubblici locali - con qualche nuance perché altri articoli precisano questo concetto - siano probabilmente i due settori oggetto del regime ex articolo 4. Da questo punto di vista, tutte le scadenze previste nell'articolo 4, come ad esempio il rinnovo fino a marzo 2012, dovrebbero valere sicuramente per la gestione integrata dei rifiuti.
Prendiamo ad ipotesi un concessionario che gestisca il servizio integrato di rifiuti sulla base di un affidamento in house realizzato secondo le norme nazionali e comunitarie o che era stato costruito in deroga ad alcuni obblighi, ma ha poi modificato lo statuto, la composizione, l'ambito o i soci ed è quindi diventato, in termini atecnici, un in house legittimo. Se tale concessionario è anche concessionario di servizi idrici integrati e se la società è unica, si pone il problema individuato dall'onorevole Realacci.
Una delle strade per affrontare questa eventualità sono le tecniche di divisione societaria, quali carve out e spin off, in modo da avere società separate per la gestione dei rifiuti e per la gestione dei servizi idrici. È facile da dire, ma è


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difficile da fare. Le ragioni che portano un gruppo dirigente territoriale a decidere di gestire congiuntamente i due servizi sono ragioni politico-economiche di convenienza. Vi sono, quindi, a monte progetti di investimento congiunti, economie di scala, costi comuni e congiunti. Qualora si tornasse a una separazione, probabilmente la validità industriale del progetto non reggerebbe.
Questo, inoltre, porrebbe anche problemi di diritto amministrativo sui quali dovremmo intervenire. Se la concessione fosse unica, ad esempio, dovrebbe essere spacchettata e riaffilata? Ma come: con gara o senza gara? Entreremmo in un loop che sicuramente comporterebbe ritardi e incertezze. I piani di investimento, che erano stati concepiti per sviluppare le infrastrutture o le capacità operative o per migliorare la qualità di erogazione dei servizi, potrebbero subire rallentamenti significativi.
La nostra risposta in merito al fatto che la gestione integrata dei rifiuti è compresa nell'alveo dell'articolo 4 non ci aiuta dunque a risolvere il problema, anzi molto probabilmente lo complica. Io mi sentirei di dire quindi che tutto ciò che è multiutility impatta pesante contro la creazione di questi due regimi. O prima, a monte, o durante o a valle, l'impatto vi è comunque.
Il secondo quesito riguardava la responsabilità dell'esecuzione della previsione normativa ove nelle concessioni in essere vi siano obblighi di dismissioni o di riduzione delle partecipazioni. Io credo che sicuramente l'obbligo a fare, e quindi a preparare le operazioni per rientrare nei nuovi vincoli della norma, sia in capo al soggetto gestore. Tuttavia, la nuova autorità d'ambito, la regione o chi per lei, dovrà assicurare e garantire che questo avvenga.
Assumendo di avere in parte risposto all'onorevole Realacci attraverso la risposta data al primo intervento, resta da capire se gli investimenti strategici debbano essere o meno oggetto di fiscalità generale. Il commento dell'onorevole Mariani è assolutamente pertinente. Io me la cavo dicendo che è un problema che dovranno affrontare i colleghi dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas.
Vorrei, però, approfittare dell'occasione per entrare nel meccanismo. È una delle ragioni per le quali ho attirato la vostra attenzione sull'opportunità che il DPCM per la messa in esecuzione di quella norma sia adottato quanto prima.
Io immagino, infatti, una divisione dei compiti di questa natura. In primo luogo, l'Autorità che acquisisce la responsabilità tariffaria dovrà stabilire l'algoritmo, cioè la modalità generale con la quale calcolare la tariffa. Dovrà quindi stabilire se, per esempio, la mancata remunerazione del capitale, che il referendum impone, possa essere compensata e se sì come, se debba essere inglobata totalmente o parzialmente nella tariffa o se debba essere demandata alla fiscalità generale. Questa metodologia, a mio parere, andrà poi calata all'autorità d'ambito e ai soggetti gestori o al soggetto gestore che la dovranno applicare modificando le tariffe esistenti. Dopo di che le tariffe esistenti dovrebbero ritornare all'Autorità per la validazione.
Si realizza, quindi, una specie di ascensore, nel cui percorso occorrerà inserire anche le modalità di trattamento dello stock del debito dei soggetti gestori: un conto è, infatti, che questo sia ammortizzato dalla tariffa, un altro è che debba rientrare o essere evidenziato come tale nel Patto di stabilità.
A mio avviso questo è il nodo centrale da sciogliere ai fini di garantire una gestione economica dei servizi in essere, ma sopratutto un piano di sviluppo. Ho esaminato sommariamente i dati forniti da Federutility, che parla di 65 miliardi di euro di investimenti pianificati per i prossimi trent'anni. Anche supponendo che la cifra sia stimata in eccesso, rimane comunque una cifra significativa. È l'equivalente di due manovre finanziarie. Gli investimenti sono il fronte di un patrimonio e il patrimonio ha bisogno di essere remunerato. Credo che su questo punto il vostro intervento potrebbe essere alquanto utile.


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Per quanto concerne l'ultima domanda posta dall'onorevole Mariani, ne comprendo la ratio, ma senza scantonare nella finanza creativa, credo che talune forme di partecipazione popolare o degli utenti al finanziamento...

RAFFAELLA MARIANI. ...O anche, ad esempio, l'attivazione di risorse da parte della Cassa depositi e prestiti.

ANDREA CAMANZI, Consigliere dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Certo, anche la Cassa depositi e prestiti potrebbe intervenire oppure si potrebbe pensare a titoli partecipativi remunerati senza diritto di voto.
Tutto questo, però, a patto che il concessionario non sia una società in house. Laddove nel regime idrico il concessionario è in house, vedo infatti molto difficile che possa intervenire una fonte di finanziamento di mercato che non sia legata al singolo progetto, all'opera da realizzare. In particolare, a meno di innovazioni normative significative, non riesco a immaginare che i cittadini possano partecipare all'equity, cioè al capitale, di una società in house.

ERMETE REALACCI. Chiedo scusa, so che la questione è delicata, ma credo che all'estero esistano sistemi in base ai quali quella che noi chiamiamo remunerazione del capitale diventa una quota per gli investimenti prevista in tariffa. Bisogna trovare le dinamiche che rendano possibile questa soluzione. Come ho già detto, infatti, al fatto che la fiscalità generale intervenga negli investimenti io non credo.

ANDREA CAMANZI, Consigliere dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. L'ha detto lei e io mi associo. Non mi permetterei mai di dirlo, ma lo condivido.
Andare in questa direzione, secondo me, presuppone però che si lavori sul concetto di soggetto gestore che beneficia di un affidamento diretto, trovando forme di partecipazione popolare o di partecipazione degli utenti finali del servizio. Prima l'ho chiamata scherzosamente finanza creativa, ma non lo è. È un modello sociale di partecipazione che rientra negli strumenti tipici del terzo settore, strumenti che potrebbero essere tenuti in considerazione.
È vero, ad esempio, che altri Paesi dell'Unione europea, come l'Inghilterra, hanno fatto qualche passo in avanti. In merito, gli inglesi stanno sperimentando. Conosco un po' la loro esperienza, ma sono in grado di valutare l'impatto o il risultato finale raggiunto.
Spero di aver risposto a tutti i quesiti.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti del Gruppo 183 Onlus.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle proposte di legge C. 2 Iniziativa popolare, C. 1951 Messina e C. 3865 Bersani, recanti «Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico, l'audizione di rappresentanti del Gruppo 183 Onlus».
Do la parola agli auditi per la loro relazione.

GIUSEPPE GAVIOLI, Membro del Comitato direttivo del Gruppo 183 Onlus. Abbiamo preparato un documento, ricco di analisi, che vi abbiamo trasmesso. Nel tempo che mi è concesso - nel merito specifico parleranno l'ingegner Miccio e l'avvocato Lettera - vorrei dire che parliamo di una materia in rapida evoluzione. Mi limito a segnalare la vicenda dell'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua che, ai sensi dell'articolo 10 del decreto-legge n. 70 del 2011, succede alla Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, di cui all'articolo 161 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, a sua volta succeduta al Comitato per la vigilanza sull'uso delle


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risorse idriche, che era succeduto alla originaria Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti. Bene, si sceglie infine l'Agenzia, ma tutto poi si ferma perché interessava anche la magistratura per dei candidati e con l'ultima manovra finanziaria c'è la chiusura definitiva della Commissione e la scelta dell'assorbimento: non c'è più la Commissione, non c'è più l'Agenzia e non ci sarà l'Autorità per l'acqua, ma c'è l'assorbimento delle funzioni regolatorie nell'Authority per l'energia elettrica e il gas delle altre funzioni (già della Commissione) nel Ministero per l'ambiente, mentre per l'attuazione della nuova disciplina si richiede un DPCM.
A questo proposito resta, comunque, un «interrogativo»: la presenza dell'Authority indica un regime di mercato, per cui questa ha una funzione regolatrice. Tuttavia, l'acqua non vi rientra prima del referendum e, a maggior ragione, dopo.
In secondo luogo, c'è stato il referendum e il nostro documento cerca di analizzare quello che sta avvenendo sommariamente alla luce di due criteri.
Il primo è quello delle direttive comunitarie vincolanti. Una volta tanto l'Italia ha partecipato a definirle, non è commissariata, per cui a maggior ragione sono impegnative, dato sull'acqua particolarmente importante.
Il secondo criterio è, invece, la costante giurisprudenza, di cui è tra i massimi esperti l'avvocato Lettera, della Corte costituzionale e anche degli organi di giustizia in sede comunitaria, di fronte alle continue oscillazioni normative di questi anni in materia di gestione dei servizi idrici.
Noi abbiamo scelto di ragionare con riferimento agli esiti dei referendum perché il loro esito è vincolante. In realtà così non sembra, non sembra cioè che gli esiti referendari siano vincolanti, a leggere la discussione che c'è sulla stampa. Ciò che colpisce di più è che, subito dopo i referendum, nella manovra finanziaria di agosto (decreto-legge n. 138 del 2011) sono stati inseriti gli articoli 4 e 5, che sono finalizzati in maniera esplicita ad azioni contrastanti con gli esiti referendari. Vi risparmio i dettagli perché questa è una sede esperta.
La nuova disciplina recata dal decreto-legge n. 138 del 2011 segue, inoltre, un provvedimento del 2010 che ha disposto l'abolizione entro il 31 dicembre di quest'anno delle Autorità di ambito territoriale ottimale (AATO), cioè dei soggetti che stabiliscono le tariffe.
C'è, insomma, una situazione caotica, senza normativa e difficile.
Mi soffermo, allora, solo su due punti. Il primo riguarda il significato dell'assumere, e credo che sia doveroso, gli indirizzi comunitari, che sono vincolanti e innovativi, non totalmente per l'Italia, che li aveva largamente anticipati con la legge n. 183 del 1989, da cui il nome «Gruppo 183», e l'innovazione di un governo per ecosistemi, per i quali non si parla solo dei servizi idrici a uso civile, ma, come esprime un parere recente della Commissione europea, di tutti i servizi che utilizzano l'acqua, dagli usi irrigui a quelli industriali, ambientali, energetici e così via.
Quest'interpretazione autentica, espressa in sede comunitaria, è un elemento vincolante per noi molto importante, che fornisce una prima risposta al modo con cui tener conto degli esiti del referendum e degli indirizzi comunitari e che comporta come conseguenza fondamentale (che in Italia già scritta nella legge Galli, adesso, come è noto, non più in vigore, ma che comunque rimane valida) la necessità di governare tutti gli utilizzi delle acque, non uno solo, attraverso il criterio ordinatore del bilancio idrico quali/quantitativo fra pressione della domanda e dell'offerta, ma anche come condizione per avere la regolazione dell'uso dei canoni di concessione e delle tariffe, contribuzioni e così via, in maniera da regolare anche in termini economici e delle entrate, (comprese le tariffe, di cui solo si parla) l'utilizzo complessivo delle acque ai fini della costruzione di una sorta di economia idrica.
La discussione pubblico-privato sembra sia la sola che interessa ed è diventata


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ideologica, laddove si isola solo il servizio idrico a usi civili, prescindendo dal resto, e quindi guidando una battaglia delle bandiere, non una battaglia funzionale ad applicare le direttive comunitarie e a tener conto degli esiti dei due referendum.
A questo proposito, proprio recentemente, il 24 novembre, c'è stato un pronunciamento della Corte costituzionale in ordine a una legge regionale della Lombardia che ha portato a considerare incedibili i beni demaniali, e quindi le acque e gli acquedotti, ai privati. Questa cedibilità comporterebbe, infatti, anche il passaggio di proprietà e questo è un altro elemento di chiarificazione in ordine non solo all'esecuzione dei provvedimenti, ma anche alla individuazione dei criteri con cui affrontare l'esito dei referendum, che bisognerà decidersi ad affrontare, non per elusione, ma per applicazione, con senso della realtà.
Vorrei, infine, richiamare che nella discussione in atto bisogna anche tener conto di quello che sta avvenendo a livello di distretti idrografici, che sono il solo elemento di unificazione e di governo, anche se i piani di distretto non sono ancora stati approvati con DPCM, come avrebbero dovuto essere dopo la loro adozione avvenuta il 24 febbraio 2010. Voglio richiamare il solo caso del piano di gestione del distretto idrografico dell'Appennino meridionale, a prima vista paradossale, che non si è limitato alla scrittura del piano di gestione ma ha provveduto a coordinare i piani di bacino di tutte le regioni dell'Appennino meridionale. Questa è una novità importante. Il piano è stato, inoltre, costruito col voto di tutte le regioni e domani c'è una Conferenza Stato-regioni proprio per dare seguito all'attuazione di questo piano. In questo modo si rovescia la visione del Mezzogiorno perché, in fondo, si è dentro una logica federata, che addirittura parte dal Mezzogiorno ed è un'iniziativa seria.
Resta da apprezzare, almeno secondo noi, che il Governo attuale ha cominciato a investire nel Mezzogiorno con il recente provvedimento adottato dal CIPE, sulla base del lavoro coordinato dai Ministri Passera e Barca. Ci sono, però, nella delibera del CIPE infrastrutture autostradali, ferroviarie e così via, ma manca anche solo un accenno alle acque e questo è incredibile. Se esiste, infatti, un fronte che non solo ha bisogno, ma che porta occupazione, qualificazione, miglioramento delle condizioni di vita, rilancio economico, e quindi una risposta vero anche al reperimento delle risorse necessarie statali, comunitarie e locali, questo è il fronte dell'acqua.
Voglio richiamare questo paradosso non solo perché da questa sede venga una sottolineatura della conoscenza, ma anche perché ci sia una sollecitazione che ritengo più che matura. Non è giustificato, infatti, che l'acqua sia tagliata fuori per i fondi esistenti a livello comunitario, nazionale e regionale e anche per la disponibilità della Cassa depositi e prestiti, che però si sta occupando di tutt'altro.

MAURO LIBÈ. Ringrazio gli auditi per la relazione, ai quali vorrei solo rivolgere una domanda con una premessa. Io non credo che i referendum siano vincolanti. I referendum vincolano su piccole parti su cui si svolge l'azione amministrativa, ma è la politica a doversi porre l'obiettivo.

GIUSEPPE GAVIOLI, Membro del Comitato direttivo del Gruppo 183 Onlus. Questo, però, mi sorprende! Le leggi si applicano.

MAURO LIBÈ. I referendum si applicano, ma non vincolano sulla direzione che si deve prendere.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Questo è il pensiero del solo Mauro Libè.

MAURO LIBÈ. No, non è un mio pensiero. Un referendum vincola su quella parte normativa. È ovvio che la politica deve capire e trovare le soluzioni.
Nella legislatura precedente e nel confronto col Governo precedente io ho chiesto sempre con emendamenti risorse pubbliche per la tutela degli acquedotti, per la messa in sicurezza dei bacini idrografici,


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per l'ammodernamento delle infrastrutture idriche: nessuno, però, anche coloro che continuano a sostenere la tesi della gestione pubblica, ha mai messo un euro o poco di più.
Anche in relazione, allora, a tutte le prediche che sentiamo sempre, vorrei capire se qualcuno sa come si possono trovare risorse per la tutela dell'acqua, che ritengo, come tutti, essere il bene più importante. Tutti intervengono sul tema, tuttavia queste risorse non ci sono mai, ormai basta andare a vedere quello che non è stato fatto né dagli uni né dagli altri. Vorrei capire se avete qualche idea in proposito.
Le multiutility investono sull'energia e sul gas perché portano ritorni economici importanti; fanno pochissimi investimenti per quanto riguarda la parte acqua. Se avete qualche proposta e qualche idea, saremo ben felici di accoglierla.

BRUNO MICCIO, Membro del Comitato direttivo del Gruppo 183 Onlus. Mi consenta di fare un richiamo ai numeri magici: 60 miliardi di euro di investimenti richiesti per trent'anni. Questa è più o meno la stima. A naso sono 2 miliardi l'anno, e quindi sembra che il problema sia trovare qualcuno che metta a disposizione questa cifra.
Mi permetto di sottolineare che questi soldi escono dalle tariffe dei cittadini. Il problema è esclusivamente finanziario. Sono cioè necessari investimenti per realizzare opere che hanno periodi di ammortamento molto lunghi, 30-35 anni. Capirete che questo è il problema che ci siamo trovati come italiani. Le banche, normalmente, non finanziano a trent'anni. Anche dai pregevoli studi effettuati dall'Associazione nazionale autorità e enti di ambito (ANEA) emerge che il vero problema è questo. Una volta c'era il meccanismo classico dalla Cassa depositi e prestiti. Ora questo meccanismo si è un poco, diciamo, arrugginito!
Permettetemi di parlare solo di un tema specifico, quello delle tariffe, con un annuncio. L'annuncio è che il comitato referendario ha ricevuto i rimborsi elettorali, quindi ha le risorse finanziarie anche per il dopo referendum. Sulle tariffe, dunque, si aprirà un conflitto durissimo, con un titolo che non sarà quello dell'autoriduzione, ma della corretta applicazione dell'esito referendario, che mi permetto di ricordare non era solo sull'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, ma anche sulla questione del 7 per cento di remuneratività del capitale, per capirci. A questo punto, ci troviamo nella possibilità di portare avanti una guerriglia guerreggiata, fatta di contestazioni, su cui piombano i meteoriti.
Mi spiego con esempi concreti. Il giudice di pace di Gragnano, un tranquillo paese della costiera amalfitano-sorrentina, ha portato alla Corte costituzionale la questione della debenza della tariffa di depurazione in caso di mancato servizio. E la sentenza della Corte costituzionale - perché il legislatore è sì libero di fare quello che vuole, ma le leggi si possono anche impugnare presso la Corte costituzionale, anche dalle regioni, come nel caso della Puglia o altro - ha stabilito la non debenza, a cui si è tentato di far fronte da parte del Governo precedente con un decreto che vi confesso la mia intelligenza non è riuscita a capire bene come si applica, ma forse non l'hanno capito neanche gli altri. Mi risulta, infatti, che tutte le AATO non sono riuscite ad applicarlo perché è molto complicato tecnicamente realizzare la tariffa per stati di avanzamento.
Una prospettiva, quindi, è chiara. Si può ignorare quello che è successo - è più che legittimo, per carità - ma Baggiani, presidente dell'ANEA, in un intervento su Il Sole 24 Ore del 19 afferma che così andiamo a sbattere e prevede che per i prossimi anni non ci saranno investimenti nel settore idrico.
Badate bene, inoltre, che siamo in presenza di alcune procedure d'infrazione comunitarie, come quelle sulla depurazione per i comuni, che incombono con gravissime multe che arriveranno. Non parliamo dell'avviso di procedura di infrazione, a cui faceva riferimento Gavioli prima, all'Irlanda per non aver considerato


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l'insieme dell'economia idrica. No, questa procedura di infrazione è in essere. Abbiamo, allora, un'urgenza: dobbiamo finanziare - è quello che vi proponiamo nel documento - un piano straordinario per metterci in regola da questo punto di vista. Diversamente, pagheremo molto caro. Il punto centrale non risiede tanto nelle risorse pubbliche, che sappiamo benissimo non esserci a oggi, ma nelle garanzie per attivare i crediti.
Concludo con una sola riflessione tra le tantissime - il resto è nel documento - poiché qua siamo di fronte a una crisi del rapporto cittadini-gestori, che dà luogo alla guerriglia tariffaria. Questo è il problema. Sulla tariffa si è consumata una mancanza di fiducia. Avrei capito spostare le competenze verso l'Autorità di vigilanza sugli appalti, che avete audito poco prima di noi, perché il 95 per cento dei costi nel settore idrico riguarda opere pubbliche.
Non siamo di fronte a un mercato liberalizzato, per cui si compra il petrolio in Armenia piuttosto che in Afghanistan, si tratta di realizzare numerosissimi appalti. In realtà, il piano d'ambito non è altro che un grande appalto costituito da tante opere.
Avrei capito, quindi, se qualcuno avesse parlato di Autorità di vigilanza sugli appalti; anche se, in questo caso, però, si sposterebbe la sede delle competenze, il luogo della decisione sulle tariffe, molto in alto e i cittadini, invece, devono vedere sul territorio le opere, con un approccio non tipico della nostra tradizione. È nella direttiva europea - intendiamoci - addirittura in quella del 2001.
Noi siamo per l'apertura di una fase di esplicitazione del seguente tipo: noi vogliamo realizzare queste opere, che costano tanto, vi rendiamo conto degli stati di avanzamento, che hanno dei costi, che vanno inseriti nella tariffa. Questa è l'unica possibile uscita a una mancanza di fiducia ormai conclamata.
L'alternativa è quella che vediamo, che produce sentenze come quelle recentissime e note della Toscana, i casi di Latina e così via. Allora noi chiediamo: intendiamo bloccare ancora il nostro settore nei prossimi anni ignorando che cos'è successo? Possiamo anche farlo. Credo che chi lo farà, debba si assuma una gravissima responsabilità nei confronti del Paese. Oppure si può tentare di capire che la crisi è crisi finanziaria, cioè crisi di un rapporto fiduciario per l'assunzione di un mutuo molto lungo che deve essere garantito da un'accettazione di tariffe.
Credo che il metodo della condivisione e della discussione sia un approccio innovativo, ma che a questo punto sia l'unica novità. In alternativa, si ripeterà ciò che è successo nel corso degli ultimi 6-7 anni, e quindi gli operatori del settore dovrebbero essere i primi a rendersi conto di questo.
Ci sono state forzature, l'ultima è stato il Ronchi, con l'articolo 15, che ha provocato la catastrofe. Ignorare quello che è successo ci fa pensare che andremo incontro a un periodo di almeno cinque anni in cui succederanno le cose peggiori a livello locale.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ERMETE REALACCI. Ho una sola considerazione, sviluppata anche nell'audizione precedente. Noi abbiamo tanti problemi, ovviamente il risultato referendario va rispettato, non è un sondaggio d'opinione né un referendum consultivo. Sono d'accordo che, da questo punto di vista, il rischio di un'autorità distante c'è e, soprattutto, della capacità di quest'autorità di interfacciarsi con il territorio. Sotto questo profilo, rilevo che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas è abituata ad avere a che fare, sostanzialmente, con un numero di soggetti limitato, mentre qui siamo di fronte a una varietà e numerosità dei soggetti molto più estesa.
Il problema centrale che abbiamo davanti è capire come in maniera trasparente e con i criteri che sono stati descritti - non ho avuto tempo di leggere il vostro documento, ma vi ringraziamo per averlo portato e ne terremo sicuramente conto nell'evoluzione della discussione su queste proposte di legge - riusciremo a far arrivare in tariffa il costo degli investimenti.


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Bisogna cercare di capire come sia possibile oggi attivare quel percorso virtuoso.
Non so se siano necessari 60 miliardi di euro e quanti, soprattutto, vadano avviati da subito perché sono investimenti con tempi di rientro molto lunghi. Parliamo, in ogni caso, di opere veramente strategiche per il Paese. Il punto è come facciamo in maniera trasparente a far rientrare in tariffa non il profitto del soggetto «X», ma la remunerazione di un investimento visibile al cittadino.

BRUNO MICCIO, Membro del Comitato direttivo del Gruppo 183 Onlus. Questo è però il costo dell'investimento.

ERMETE REALACCI. Certo, mi riferisco al costo dell'investimento, che è anche finanziario. Su questo, peraltro, l'Europa ci dà delle indicazioni, tant'è vero che in Europa - lo sapete meglio di me - esistono maniere molto diverse di gestire questa partita. In alcuni posti è gestita da istituzioni pubbliche che applicano criteri di questa natura.
Come facciamo a costruire dei criteri trasparenti, verificabili e comunicabili al cittadino per cui il costo dell'investimento finisce in tariffa? Questa è la partita, oltre alle altre, intorno a cui dobbiamo cercare di applicarci.
Onestamente, infatti, sappiamo già che, con la situazione della fiscalità pubblica e delle istituzioni locali, non ci sarà la possibilità di trovare nella fiscalità generale alcuni miliardi di euro all'anno e forse anche più di alcuni perché i primi anni va fatto uno sforzo maggiore di quanto accadrà tra un quarto di secolo. Su questo vi chiediamo anche un aiuto. Vedremo il vostro documento, vedremo l'evoluzione della normativa, ma questa è una delle partite più importanti che abbiamo in materia.

RODOLFO GIULIANO VIOLA. Aggiungo a questo un altro elemento. Sono d'accordo con l'ingegner Gavioli sulla questione del ciclo completo delle acque, che però sposta la cifra delle risorse necessarie da 60 a 100 miliardi di euro. Siccome li facciamo sempre pagare agli stessi cittadini, questo è un elemento di preoccupazione. Lo dico perché mi pare che qui stiamo cercando di costruire un percorso costruttivo. È altrettanto vero, del resto, che quello del rischio idraulico è un tema oggi molto sentito dai cittadini. Penso, paradossalmente, al di là delle ideologie e delle cose dette, su cui sono assolutamente d'accordo, che dovremmo sgombrare il campo in maniera molto pratica e indicare gli strumenti con cui risolvere il problema.
Ripeto che la cifra è molto importante, certo spalmata nel tempo, ma alcuni interventi sono, a mio avviso, più urgenti di altri. Qualcuno ha pensato, ad esempio, che, tra i tanti mali che affliggono l'Italia, il problema sia il debito gigantesco, che va abbattuto almeno per una parte consistente in modo da ridurre gli oneri finanziari. Anche nel nostro settore, pensare a interventi una tantum, che permettano intanto di abbattere subito quei 100 miliardi di un 30 per cento, per realizzare opere di messa in sicurezza per il sistema idrico e per la prevenzione rischio idrologico dall'alto potrebbe essere una soluzione. Su questo vi chiedo: qual è la vostra opinione e quali potrebbero essere altri eventuali strumenti da mettere in campo, tenendo presente che il nostro comunque è un Paese in cui, in qualche misura, dopo la riforma Bassanini le regioni svolgono un ruolo importante su questo tema?

RAFFAELLA MARIANI. Intervengo solo per completare un ragionamento sul dopo referendum. Noi abbiamo avviato quest'indagine e anche accelerato l'attività della Commissione dopo il referendum perché le proposte di legge, ovviamente, non avevano né potevano tenere conto dell'esito referendario. Non credo - lo dico amichevolmente - che l'interpretazione data dal collega Libè sia corretta, tanto è vero che dal giorno dopo il referendum, in forza di un decreto del Presidente della Repubblica, alcune leggi non sono più vigenti. Certo, il legislatore sarà libero - entro certi limiti - nella ridefinizione della normativa, ma il fatto, però, che


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alcune leggi siano state abrogate significa anche che quel referendum un affetto l'ha avuto e anche molto pesante tant'è che oggi ci troviamo in un vero e proprio caos normativo (che viene ogni giorno denunciato dagli operatori del settore, dalle istituzioni regionali, dagli enti gestori degli ATO) aggravato dalla ormai imminente abolizione delle AATO, salvo proroghe dell'ultimo minuto.
Il punto centrale, tuttavia, che è emerso anche nell'audizione precedente, è quello del reperimento delle risorse necessarie per un efficace funzionamento del sistema. A me non piace neanche parlare di 60 miliardi di euro complessivi perché in realtà dovremmo parlare di 1 o 2 miliardi l'anno, ammesso che li avessimo. Oltre ad interrogarci su come reperire le risorse, bisogna, infatti, cercare di capire anche se la nostra macchina pubblica, la macchina che si interessa dei settori più ampi dell'acqua e della difesa del suolo, è in grado di spendere queste eventuali risorse. Dico questo perché nella realtà capita anche di leggere di alcune autorità di bacino che hanno risorse disponibili ma non le spendono perché per motivi vari, anche burocratici, non sono in grado di farlo.
Dovremmo costruire dunque anche una capacità di spesa, e quindi non solo una capacità di rastrellare risorse (circa 2 miliardi l'anno, ma forse anche con uno cominceremmo ad avviare un percorso) se davvero vogliamo fare tutte le cose che diceva Gavioli e anche per garantire nuova occupazione.
Riguardo al reperimento delle risorse e a quali strumenti finanziari sia possibile individuare - domanda che ci stiamo ponendo anche per aggiornare la nostra proposta di legge e adattarla - vi chiedo se secondo voi ve ne siano di ulteriori rispetto a quelli che abbiamo visto o indicato fino ad oggi? Sotto questo profilo, quando ci si riferisce all'uso di strumenti pubblici, che l'istanza politica più forte che viene dal referendum, mi chiedo - e vorrei sentire la vostra opinione in proposito - se possiamo intendere che, tra gli strumenti finanziari esistenti, anche una rivisitazione degli aiuti della Cassa depositi e prestiti possa essere considerata?
La chiosa più politica che vorrei fare è che altrimenti mi domando perché qualche buon samaritano del sistema privato dovrebbe trovare una convenienza in investimenti laddove il sistema pubblico si strappa i capelli perché non trova le risorse da nessuna parte.
Ovviamente, a mio giudizio, per la durata delle concessioni c'è una convenienza anche del sistema privato ad occuparsi di questo, altrimenti sarebbe già stato abbandonato a se stesso. Mi domando, allora, se può esserci, a vostro avviso, una convenienza anche per il pubblico e attraverso quali strumenti finanziari.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

FRANCESCO LETTERA, Membro del Comitato direttivo del Gruppo 183 Onlus. Ringrazio lei, signor presidente, e i signori onorevoli. In effetti, una domanda identica a questa ultima domanda mi fu posta quando ricevetti venti anni fa l'incarico dalla Commissione Ambiente di preparare uno schema normativo di quella che sarebbe diventata la legge Galli. Fui io a scriverla interamente, lo troverete negli atti della Commissione Ambiente.
Sono stato avvocato dello Stato, ho lavorato per oltre cinquant'anni nell'amministrazione dello Stato, non un giorno, e ho assistito al degenerare della gestione degli acquedotti del servizio pubblico. Per questo allora, quando si pose il problema del finanziamento, proposi sia la Cassa depositi e prestiti sia la quota dei fondi previdenziali - lo dico all'onorevole Mariani e all'onorevole Realacci -, che sono destinati alla capitalizzazione per pagare le pensioni. I fondi previdenziali possono ottenere un ritorno dalla tariffa e non il famigerato 7 per cento: anche il 5 per cento sarebbe stato ottimale!
Purtroppo, il decreto ministeriale del 1997 e la gestione in concreto hanno portato a una destabilizzazione del sistema


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in quanto gli enti locali hanno visto nel servizio idrico integrato una possibilità di fare cassa, e quindi una parte degli interessi sono dati a dei privati, un'altra è trasferita ai comuni quando sapevamo e sappiamo che la parte di comuni che fino a oggi non ha gestione pubblica ma privata è regolata dalle rigorose tariffe del CIPE e dall'obbligo del reinvestimento nella gestione del servizio idrico integrato locale.
Tutti gli utili trasferiti ai comuni, in realtà, non lo sono stati in quanto utili, ma semplicemente perché credo si è arrivati a un elemento devastante, quello della capitalizzazione degli acquedotti, delle fognature e degli impianti di depurazione, nel bilancio delle società, per cui il gestore entra come tale in un servizio e al termine dei trent'anni esce proprietario di tutte le strutture.
Credo che questa sia una distorsione dovuta all'attuazione e lo troviamo in tutte le grandi multiutility. Non è ipotizzabile che si possa distribuire un utile quando sappiamo che l'80 per cento dei depuratori non è all'altezza di depurare, con conseguenze devastanti, per esempio, sulla gestione dalla fascia costiera, dove abbiamo una grande concentrazione di domanda e di offerta turistica, o di qualità dell'acqua. Non è ipotizzabile che si ripiani la finanza locale con le tariffe del servizio idrico integrato. Questo è il limite che anche allora si pose quando illustrai per la prima volta alla Commissione Ambiente quella che sarebbe diventata la legge Galli.
Lei chiedeva, onorevole Mariani, al Gruppo 183 del rischio idraulico: nello schema di proposte operative forniamo un elenco degli interventi urgentissimi da realizzare. Ritengo che il decreto legislativo sia devastante per l'esercizio dalla funzione legislativa e per la sovranità del Parlamento, ma ancora più devastante perché la mediazione politica è trasferita dal Parlamento al livello del dirigente ministeriale, il quale progressivamente cessa di essere civil servant per divenire mediatore politico, fino ad arrivare a cattivi esempi come quello del decreto legislativo n. 152 del 2006, che io considero un'offesa per tutti, fra i cui decreti attuativi abbiamo trovato il copyright di un'organizzazione associativa di imprese. Credo, per questo, che lo strumento del decreto legislativo non possa essere utilizzato e che la legge La Pergola va rivista profondamente perché non si possono realizzare le riforme a costo zero.
Tornando al rischio idraulico, abbiamo la legge del 1904 (regio decreto), che ancora regge, sulle opere idrauliche, la quale prevede il concorso dei proprietari rivieraschi che beneficiano degli interventi. Ebbene, la realtà è che non c'è più assolutamente nessun intervento dei proprietari rivieraschi mentre abbiamo, invece, un'utilità crescente che questi traggono dall'urbanizzazione e dall'incremento di valore dei terreni più vicini ai fiumi senza nessuna contropartita. In tal senso, io credo che si debba recuperare il regio decreto n. 523 del 1904, che era una legge di bilancio e non soltanto una legge di disciplina delle opere idrauliche. Per il rischio idraulico le risorse, dunque, esistono, si possono fare anche per i terreni in cui il vincolo idrogeologico è stato abbandonato.
Io ho partecipato anche ai lavori per quella che sarebbe diventata la legge n. 183 del 1989: ritengo che giustamente l'onorevole Realacci ci chieda dove reperire le risorse. Le risorse ci sono, ma non è ipotizzabile che le società di gestione del servizio idrico in questo momento distribuiscano utili non solo ai comuni, ma anche ai privati. Non ci sono, infatti, utili da distribuire, ma opere da realizzare. C'è una inaccettabile latitanza. Faccio solo l'esempio del depuratore del Sarno, che oggi «gira» solo perché là dentro affluisce l'acqua di un torrente e credo che sia qualcosa di cui prendere atto nonostante le centinaia di miliardi che abbiamo speso.
Quanto ai fondi di previdenza, come allora ipotizzavo, vanno a mio avviso rivisti, ma l'INPS o le altre casse mutue dei professionisti ben possono anziché impiegare l'x per cento in derivati: possono offrire un loro investimento e trarre da obbligazioni il finanziamento per questi servizi. Abbiamo bisogno di dare al Paese


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questa riforma. Mi posi, quindi, allora il problema e ce lo poniamo ancora oggi.

BRUNO MICCIO, Membro del Comitato direttivo del Gruppo 183 Onlus. Consentitemi una battuta: «il diavolo veste Prada». Vuol dire che, se qualcuno chiede che le dighe demaniali paghino l'ICI, queste sono di proprietà di chi le gestisce? Non ho capito molto bene. È in questi particolari che dobbiamo stare molto attenti in questa fase perché sono particolari che producono sentenze come quella scaturita dalla legge lombarda.
Ora, abbiamo tentato un ragionamento in positivo, oltre che l'elenco che lei, presidente, ha avuto. L'avvocato Lettera, sostanzialmente, ha parlato di quello che normalmente si fa in Francia per finanziare il sistema idrico. In Francia per il sistema idrico c'è la tassazione di bacino. Significa - per capirci - che le multiutility non possono avere le tariffe del termoelettrico, ma lo producono con l'idroelettrico, senza che paghino concessioni adeguate. Insomma, gli spazi per finanziare la politica europea delle acque esistono senza dover svendere il patrimonio!
C'è, poi, a parte, il discorso dell'uso a fini civili della risorsa idrica. E qua, ripeto ancora una volta, il problema finanziario è semplicemente un problema di anticipazione di capitale.

ERMETE REALACCI. Scusatemi, ma intervengo visto che stiamo parlando di cose serie. Se si dice che possono esserci fondi dell'INPS, bisogna anche garantire a questi fondi una redditività.

BRUNO MICCIO, Membro del Comitato direttivo del Gruppo 183 Onlus. Ma certo! E quindi l'accordo da farsi sulle tariffe per i costi del capitale richiede necessariamente il superamento del conflitto che si è creato, altrimenti nessuno di noi ha la soluzione.

FRANCESCO LETTERA, Membro del Comitato direttivo del Gruppo 183 Onlus. Voglio precisare un punto toccato da Bruno Miccio. Io credo che l'acqua per l'idroelettrico vada ceduta ai gestori così come il petrolio e gli altri prodotti fossili sono ceduti per la produzione di energia elettrica. L'acqua, in quel caso, è materia prima e il costo del canone deve essere equiparato o parametrato sugli idrocarburi. Non è ipotizzabile diversamente. Poiché l'energia idroelettrica è venduta allo stesso prezzo dell'energia, un ragionamento va fatto.

PRESIDENTE. Ringrazio, a nome dell'intera Commissione, gli ospiti intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,15.

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