Sulla pubblicità dei lavori:
Alessandri Angelo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SUL MERCATO IMMOBILIARE
Audizione di rappresentanti della Federazione italiana per la casa (Federcasa) e della Confederazione nazionale inquilini associati (CONIA):
Alessandri Angelo, Presidente ... 3 5 7 9 11
Bertacche Giovanni, Vicepresidente nazionale di CONIA ... 6 10
Cecchi Luciano, Presidente nazionale di Federcasa ... 3 9
Gibiino Vincenzo (PdL) ... 7
Isacchini Emidio Ettore, Vicepresidente nazionale di Federcasa ... 10
Maramotti Tiziano, Presidente nazionale di CONIA ... 5
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,05.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul mercato immobiliare, l'audizione di rappresentanti della Federazione italiana per la casa (Federcasa) e della Confederazione nazionale inquilini associati (CONIA).
Ringrazio tutti per la presenza e do subito la parola al dottor Luciano Cecchi, presidente di Federcasa.
LUCIANO CECCHI, Presidente nazionale di Federcasa. Ringrazio per la convocazione di questa audizione. Tengo subito a dire che ciò che sinteticamente illustreremo è scritto in un brevissimo documento che abbiamo consegnato ai vostri collaboratori.
Noi siamo certamente una sorta di anomalia se ci riferiamo, in astratto, al tema dell'indagine in corso, vale a dire al mercato immobiliare. Tuttavia, possiamo dire che nell'arco dell'ultimo ventennio il nostro settore ha trasformato circa 200.000 inquilini in 200.000 proprietari di casa. Questo è sicuramente un fenomeno inerente il mercato immobiliare che va considerato. Si può dire, quindi, che dal settore pubblico, il cui compito inizia col cercare di fornire un alloggio a chi ha redditi bassissimi, si può nel tempo offrire a queste famiglie dal reddito appunto bassissimo la possibilità di diventare proprietarie di casa nel momento in cui la loro condizione, fortunatamente, si è in qualche modo trasformata nel tempo.
Oggi possiamo affermare che il patrimonio di edilizia residenziale pubblica resta una risorsa importante se utilizzata, anche tramite la sua alienazione, per nuovi investimenti e per politiche nel campo del settore abitativo. Va da sé che le condizioni di oggi non sono identiche a quelle di diciassette anni fa, a quelle che portarono all'approvazione della legge n. 560 del 1993.
Le condizioni che hanno favorito un'alienazione di massa, e quindi anche una fornitura di liquidità ai nostri enti associati (quindi ai gestori di edilizia residenziale pubblica) non sono ovviamente oggi quelle di allora. All'epoca, a un risparmio consistente delle famiglie, accumulato in BOT e simili, si aggiungevano le condizioni dei figli in fase lavorativa, che non erano precari, e che quindi contribuivano alla possibilità di raggiungere il loro sogno di acquisto della casa.
Credo che oggi questo fenomeno nel nostro inquilinato non esista più oppure sia fortemente marginale rispetto a quel periodo. L'alienazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica resta dunque una risorsa sicuramente utilizzabile, ma resta il fatto che forse lo è difficilmente in questo momento.
La mia considerazione non è frutto di uno studio appropriato e dettagliato, ma scaturisce alla luce dei dati di esperienza, a partire da quello relativo all'entità degli insolventi mutuatari, che è molto elevata, al punto che è difficile per le banche fare operazioni di recupero attraverso le aste perché non vi sono partecipanti in quanto non c'è denaro in circolazione.
Rispetto a quegli anni, nei quali vendere significava creare le condizioni per fare ripartire un settore importante dell'economia o anche solo per fare interventi positivi nel settore come l'edilizia residenziale pubblica, oggi bisogna trovare altre soluzioni. Possiamo riprendere un'attività positiva, quindi anche contribuire al rilancio dell'economia attraverso il settore edilizio, nella misura in cui veniamo posti nella condizione di ripristinare una capacità autonoma di investimento.
Individuiamo nelle proposte che avanziamo alcuni punti fondamentali. In primo luogo, rivendichiamo una sorta di parità di trattamento sul piano fiscale tra il settore privato e il settore pubblico. Non riusciamo a comprendere una legislazione che sul fronte fiscale vede incentivare il settore privato attraverso la detrazione di imposta sugli interventi di manutenzione straordinaria o di riqualificazione, o garantire incentivi per politiche di risparmio energetico per gli interventi sui propri immobili, mentre esclude da questa politica incentivante il patrimonio di edilizia residenziale pubblica.
A questo proposito - riferendomi agli ordini del giorno che questa Commissione ha già fatto propri in molte occasioni, sono sicuro che da parte vostra ci sia molta sensibilità, che mi piace sottolineare - devo segnalare che c'è una contraddizione di fondo nel differente trattamento sul piano fiscale. Infatti, in ragione delle vendite cui ho fatto cenno, si sono costituiti ben 27.000 condomini circa, dove si trovano ancora quantità consistenti di alloggi pubblici, non venduti. Spesso questi condomini sono gestiti da soggetti privati (ad esempio ragionieri amministratori condominiali), che curano anche la parte non venduta, quindi il patrimonio pubblico. Ora, laddove le assemblee condominiali decidono - siamo felici che i nostri ex inquilini divenuti proprietari possano finalmente farlo - di avviare interventi di riqualificazione o di risparmio energetico, l'ex inquilino divenuto proprietario godrà degli incentivi fissati dalla legge mentre
noi, rimasti proprietari della parte invenduta, non godiamo di questo trattamento. Siamo costretti, quindi, a seguire le decisioni nel campo privato distogliendo risorse da programmi che miravano a interventi di altra natura.
Credo che questa discriminante non possa più rimanere a lungo tale. Diciamo questo anche per una ragione molto elementare: specialmente laddove si vuole ridurre i consumi energetici e rientrare tutti nell'ambito dell'obiettivo 20/20/20, per cui dovremo comunque tutti intervenire sugli immobili esistenti, riesce difficile immaginare che non ci siano risorse, incentivi o promozioni di qualsiasi natura per far sì che anche noi possiamo collaborare al raggiungimento di questo obiettivo.
A questo proposito aggiungiamo alle nostre proposte una dimostrazione pratica che, se venisse ripristinato l'incentivo del 55 per cento, che mi pare il punto di partenza indispensabile, e ci venisse concesso il recupero in un arco di tempo di dieci anni, lo Stato non subirebbe alcuna ripercussione in termini di aumento del peso dell'intervento.
Naturalmente, enti come i nostri, pur godendo - l'auspicio è questo - dell'incentivo del 55 per cento, avrebbero comunque il problema di coprire l'autofinanziamento del 45 per cento che rimane. Sotto questo profilo - so che la
vostra Commissione ha avuto già modo di affrontare questo argomento, cosa che abbiamo valutato con forte interesse, esprimendo un giudizio estremamente positivo nei confronti del lavoro della VIII Commissione della Camera - siamo convinti di richiedere il sostegno a un'iniziativa, sulla quale stiamo lavorando anche in forma diretta con la Cassa depositi e prestiti, per avere un fondo di rotazione che ci consenta di decollare per la parte di autofinanziamento che ci compete. Non possiamo, infatti, chiedere la copertura complessiva dell'intervento, ma riteniamo che sulla base del risparmio che potremmo ottenere a mano a mano con gli interventi, saremmo in grado di restituire al fondo quanto ci viene concesso in partenza.
In tal senso, rivolgo un appello al presidente, in primo luogo, e a tutti gli onorevoli deputati della VIII Commissione e chiedo loro di farsene promotori nei confronti di colleghi di altre Commissioni, ovviamente coinvolgibili. La materia fiscale, infatti, ci darebbe risorse per poter svolgere la nostra parte, ma di per sé non sarebbe sufficiente.
Esiste, infatti un ulteriore problema di parità di trattamento - uso un termine terra terra - tra pubblico e privato per superare il quale bisognerebbe, a nostro avviso, fissare una norma di indirizzo - poiché la materia è competenza esclusiva delle regioni bisogna stare attenti a possibili ricorsi - che indichi la necessità che per il settore dell'edilizia pubblica ci sia un canone di locazione di equilibrio.
Oggi il canone medio è di 80 euro, che vanno depurati di 34 euro di imposte. Non mi si dica che con la cifra restante si può gestire bene un alloggio dal punto di vista della sicurezza, della salubrità e del decoro! Questo non è pensabile e credo che siano ormai fuori dal tempo quelle organizzazioni sindacali che ci chiedono di abbassare questi canoni.
Il problema è istituire un canone di equilibrio. Stabilito che con 150 euro, da depurare delle imposte, si può gestire bene un alloggio, questa media sarà raggiunta anche grazie ad un meccanismo di solidarietà interna: l'inquilino che avuto accesso all'alloggio da povero, con un canone al minimo, quando migliora la sua condizione di vita sarà chiamato a pagare un canone via via più superiore, anche al canone di equilibrio, contribuendo così alla stabilità del sistema.
Quello che manca deve essere compensato da un fondo pari a quello di sostegno all'affitto per il settore della locazione privata fissato dalla legge n. 431 del 1998, che all'articolo 11, se non sbaglio, già destina il fondo all'edilizia residenziale pubblica, laddove parla di edilizia residenziale pubblica e privata.
Bisognerebbe, quindi, ragionare su questa questione e noi riteniamo che una norma di indirizzo potrebbe aiutare a far capire alle regioni e, a mano a mano, agli enti locali che contribuiscono a incrementare il fondo di cui all'articolo 11, che esso è indirizzato a sostenere il canone non solo nelle locazioni private, ma anche nel settore pubblico.
In conclusione, riconoscere l'uguaglianza di trattamento fiscale e degli incentivi tra pubblico e privato è elemento di per sé sufficiente a farci decollare e a essere soggetti attivi nelle politiche di investimento, di cambiamento, di ricostruzione sul costruito eccetera. Inoltre, forse questo può dare una mano consistente anche al rilancio dell'economia, in particolare nel settore che più ci riguarda, l'edilizia, con tutto l'indotto che ne deriva.
PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Tiziano Maramotti, presidente di CONIA.
TIZIANO MARAMOTTI, Presidente nazionale di CONIA. Signor presidente, saluto e ringrazio lei e la Commissione per questa audizione. CONIA è un'associazione di inquilini e porta all'interno di questa audizione l'esperienza che ha maturato nel contatto diretto con le persone. Abbiamo preparato e consegnato un documento, in modo che possa rimanere traccia del nostro intervento.
Molto brevemente - lascerò poi il compito di un'illustrazione più specifica
all'avvocato Bertacche - tenevamo a segnalare la drammaticità del momento sotto il profilo delle locazioni, degli affittuari e degli inquilini. Abbiamo avuto nell'ultimo anno, in tutti i nostri sportelli, un po' in tutte le regioni, un'esplosione di situazioni di grandissima difficoltà, con un'incapacità di rispondere da parte del settore immobiliare in determinati casi.
Non mi riferisco agli ultimi, perché alle situazioni più drammatiche si riesce a recuperare in qualche modo una soluzione, grazie soprattutto alla Federcasa e alle agenzie presenti sul territorio. Esistono, però, molte persone che non riescono più a sopportare il canone libero, di 700, 800, 900 euro al mese, che non hanno punteggio e requisiti sufficienti per accedere a un'assegnazione e si trovano in strada. Trovarsi in strada significa disgregare un nucleo familiare, con un coniuge da una parte e i figli da un'altra, nell'attesa di qualcosa che non si sa quando arriverà, con problematiche a catena a carico dei servizi sociali e via discorrendo.
Quello che vogliamo rappresentare, nel nostro piccolo, è un contributo rispetto ad azioni che potrebbero alleggerire questa situazione. Lascio all'avvocato Bertacche il compito di illustrarlo.
GIOVANNI BERTACCHE, Vicepresidente nazionale di CONIA. Avevamo preparato un documento che è agli atti, ma mi riallaccio a quanto detto dal presidente, modificando in qualche modo quanto abbiamo già depositato.
Sentiamo che le aziende territoriali si sentono isolate dai comuni, da un lato, e dalle regioni, dall'altro. I comuni non mettono a disposizione le aree sufficienti per le costruzioni e via dicendo. Il presidente dell'ATER di Vicenza, Marco Tolettini, che è qui presente, può testimoniare a questo proposito. Dall'altra parte, le regioni pretendono dalle aziende territoriali bilanci in ordine e che quadrino. È l'esigenza di un'azienda. Si tratta, tuttavia, di aziende che hanno perduto quel poco di buono che c'era negli ex IACP (Istituti autonomi case popolari) diventando, quindi, aziende che devono far quadrare i bilanci, praticamente delle agenzie, sia pure a canone controllato.
Oggi, come è stato già giustamente sottolineato, per chi si trova sotto la soglia cosiddetta della povertà, se vogliamo chiamarla così, il confine tra il pubblico e il privato si è ormai disciolto. C'è necessità, quindi, di un intervento ulteriore, non tanto attraverso le aziende territoriali, quanto - insistiamo - attraverso gli enti locali.
Gli enti locali devono farsi portatori delle esigenze vecchie e nuove. Parlo di esigenze vecchie perché già a partire dalla legge n. 431 del 1998 sono nati i problemi. Adesso sono ulteriormente accentuati dalla crisi attuale, ma non è detto che prima non ci fossero forti tensioni in questo settore. Con la legge n. 431 del 1998, infatti, si è liquidato completamente un certo mondo di controllo, di dirigismo, di statalismo o come preferite chiamarlo, e improvvisamente si è liberalizzato senza alcun incentivo, né dalla parte dell'offerta né dalla parte della domanda. Per questo si è costretti continuamente, ancora oggi, alle proroghe degli sfratti, ripetendo un'antica tradizione che risale addirittura al 1936. Si va avanti di proroga in proroga perché - modestamente, l'avevamo anche detto nella Sala Rossa qui vicino, prima del varo della legge n. 431 del 1998 - non si risolvono in questo modo i problemi.
In che maniera questi problemi potrebbero essere risolti? Anzitutto rivedendo la legge n. 431 del 1998, che dovrebbe essere esclusivamente una legge di princìpi, la cui attuazione dovrebbe rimandare agli enti locali e alle associazioni di categoria. Tutte le associazioni devono partecipare a una contrattazione collettiva non a livello centrale, ma a livello territoriale, neanche regionale, al massimo provinciale - noi suggeriremmo addirittura a livello comunale, perché il piccolo comune di montagna e il comune di pianura hanno esigenze diverse - lasciando alle parti di modulare le diverse situazioni locatizie. Questa è vera libertà, ma è soprattutto un andare incontro,
ovviamente inserendo incentivi sia per chi offre in locazione i propri appartamenti sia per chi ha necessità di prendere in locazione.
Questo è il momento giusto per intervenire sulla legge n. 431 del 1998, che ha di punto in bianco cancellato tutto il mondo della legge n. 392 del 1978, che forse esagerava e certamente non era una legge perfetta. Tuttavia, si può tornare non dico a ricalcare la strada della legge n. 392 del 1978, ma certamente a percorrere una via di equilibrio, la cui ricerca va lasciata alle parti, non allo Stato e nemmeno alla regione, ma alle parti.
Quante volte sentiamo, per esempio, di locatori disponibili a cedere in locazione i propri alloggi, purché alle spalle ci sia qualcuno - e questo qualcuno lo si individua nelle associazioni di categoria - che garantisca anche moralmente che un inquilino è serio, eccetera? Allora, il secondo punto importante, oltre alla legge di principio, è che l'inquilino abbia un'assistenza. Le assistenze ormai sono dappertutto, le si regalano; perché soltanto in questo campo non deve esserci assistenza?
Ricordate la sentenza della Corte costituzionale, la quale non ha detto che le associazioni non hanno diritto e voce in capitolo, ma soltanto che mancavano loro i criteri di legittimità a convalidare i patti in deroga. Da quel momento non se n'è più parlato. Diamo vita alle associazioni, non solo nella contrattazione, che ripeto deve essere territoriale e non centrale. Del resto, a Roma cosa ne sanno di quello che succede in Calabria o nel Veneto? Diamo alle associazioni peso e funzioni!
Abbiamo individuato, tra le altre cose, anche la conciliazione. Liberiamo i tribunali dalle cause e, soprattutto, diamo forza e voce anche agli inquilini, i quali non potrebbero sostenere cause, che non finiscono mai, davanti a un tribunale. Introduciamo la conciliazione e valorizziamo le associazioni. I comuni se ne servono, ma le associazioni sono chiamate di volta in volta, periodicamente, e poi sfuggono. Esse hanno bisogno, invece, di essere presenti, di essere sensibilizzate e di portare la propria esperienza agli enti territoriali. Servirà anche al legislatore, se è il caso.
Due punti, dunque, sono importanti: in primo luogo, definire una legge cornice, demandandone l'attuazione all'autonomia più vicina possibile a dove essa si esplica; inoltre, valorizzare l'associazionismo, provando così a superare il momento difficile, che non è nato - ripeto - con la crisi, ma già esisteva con la legge n. 431 del 1998.
PRESIDENTE. Do la parola agli onorevoli deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
VINCENZO GIBIINO. Rileggendo la sintesi del lavoro di questa Commissione sull'indagine del mercato immobiliare, a distanza di un anno notiamo una riduzione delle vendite del parco immobili, una criticità nell'erogazione dei finanziamenti, quindi della parte mutuabile a favore di chi vuole acquistare, che scende dal 90 all'80, al 70, al 60 per cento fino alla mancata erogazione, un trasferimento di fatto delle richieste dal mercato della compravendita al mercato della locazione, evidenziando così lo stato di difficoltà delle famiglie, uno stock di immobili attualmente invenduti e costruiti o dalle cooperative o dall'edilizia privata che ammonta a circa 120.000 unità. Inoltre, un dato che volevo segnalare è quello relativo a 800.000 immobili attualmente non utilizzati o inagibili di proprietà pubblica o privata.
A fronte di questi elementi, l'indagine evidenzia il dato relativo alla richiesta di 600.000 immobili a favore delle persone meno abbienti da collocare sul mercato, e una serie di difficoltà e di criticità mostrate dai vari comparti, ognuno in ragione della rappresentanza di specifici interessi.
Riguardo alla sollecitazione di Federcasa, a mio giudizio appare assolutamente condivisibile la proposta che oggi
viene enunciata. Mi riferisco alla parità pubblico-privato nel «mercato» degli incentivi: 36 per cento per le ristrutturazioni e 55 per cento per l'efficientamento energetico.
Appare un po' in controtendenza lo Stato che, da una parte, decide di raggiungere gli obiettivi di Kyoto o di Copenaghen (cosiddetto «pacchetto 20/20/20»), e dall'altra parte, avendo di fronte un mercato immobiliare in cui gli immobili pubblici di proprietà degli IACP e dei comuni raggiungono circa il milione di appartamenti, deve mostrare maggiore disponibilità a dialogare con gli enti pubblici, piuttosto che con decine di migliaia di singoli conduttori o proprietari. Questo potrebbe significare la realizzazione immediata dell'efficientamento energetico di tutte questi immobili. Mi sembra un grande dispendio di tempo non accedere a questa richiesta.
Quanto al fondo di rotazione, come ha evidenziato il presidente di Federcasa Cecchi, mi sembra un suggerimento sostenibile. Esso consentirebbe di andare incontro agli enti che stanno sopportando bilanci in perdita o sociali (se vogliamo tradurli come servizio da parte dello Stato alle famiglie meno abbienti); di fatto, essi non possono realizzare un utile in quanto ai già bassi canoni di affitto che vengono corrisposti sono applicate le imposte, il che comporta un rendimento locativo inevitabilmente più basso dei costi sostenuti.
Condivido inoltre il suggerimento di considerare un'idea di immobile pubblico o privato che presenti almeno degli standard e quindi abbia un costo locativo. Se però gli enti non riescono a fornire questo servizio che non può che essere qualificato come un servizio sociale perché in effetti il canone di locazione è fissato a un valore troppo basso da leggi statali e regionali, è ovvio che occorra una specifica struttura, un fondo di sostegno o di solidarietà, da individuare nelle disposizioni della legge n. 431 del 1998 o in altri strumenti che il Parlamento o il Governo possono trovare. In questo modo, si potrebbe arrivare a uno standard di qualità, modulabile in funzione del pubblico, del privato e della capacità reddituale della famiglia che abita nell'immobile, oggi con un certo parametro, domani - speriamo - con un reddito più alto, che possa consentire a chi abita questi appartamenti di
contribuire in misura maggiore al canone di locazione.
Per quanto riguarda le considerazioni dei rappresentanti di CONIA, credo che sia auspicabile l'intervento degli enti locali, ma a me sembra che da quando è stata emanata la legge sul piano casa, nell'agosto del 2008, a fronte di una presenza degli IACP o degli enti sociali a vario titolo impegnati prima nella costruzione e nel servizio che viene reso alle famiglie meno abbienti, regioni, province e comuni siano invece assolutamente latitanti.
Devo inoltre segnalare che la possibilità di costruire anche a riscatto, pensando a una premialità nella costruzione per quanti, privati, vogliano utilizzare la finanza di progetto oppure i diritti edificatori, in realtà è venuta meno perché i comuni in difficoltà economica non hanno voluto rendere disponibili le aree, quindi consentire una costruzione a basso prezzo, ma in realtà sono diventati imprenditori di se stessi, hanno acquisito le aree, modificato la destinazione urbanistica e rivenduto sul mercato per pareggiare con i servizi resi e con il Patto di stabilità.
Occorre fare quindi un ragionamento complessivo: gli enti locali certamente devono fare la loro parte, ma lo Stato deve anche capire che con questa crisi economica la coperta è corta, quindi non è facile imputare le responsabilità all'uno o all'altro.
La sollecitazione relativa alla legge n. 431 del 1998, affinché diventi legge di principio, e al trasferimento a livello locale della contrattazione, con l'impegno da parte dell'associazionismo, è certamente una sollecitazione importante. Il principio di sussidiarietà sicuramente porta a una maggiore conoscenza sul territorio. Non ho letto la vostra documentazione,
ho solamente ascoltato la vostra relazione, però sarei curioso di comprendere meglio - probabilmente dalla documentazione lo capirò - quale può essere un sistema di funzionamento valido: a volte, infatti, delegando troppo sul territorio, e non sapendo a chi, si rischia di non far più funzionare il sistema.
PRESIDENTE. Do la parola ai rappresentanti di Federcasa e di CONIA per la replica.
LUCIANO CECCHI, Presidente nazionale di Federcasa. Vorrei ringraziare l'onorevole Gibiino per la condivisione di alcune proposte che abbiamo avanzato come Federcasa e segnalare, a maggior sostegno di quanto abbiamo scritto, alcuni elementi.
A Milano - cito un dato preciso - abbiamo più di 13.000 alloggi che incassano dai canoni di affitto meno di quanto versino di imposte. Voglio ricordare che 13.000 alloggi sono il complesso di una decina di nostre aziende; Milano è una grande città, per questi alloggi si versano 33,5-34 euro di imposte e si ricavano 20 euro di canone. Pertanto, quando parliamo di un canone di equilibrio che ci consente di mettere le cose a posto esponiamo una prima questione.
In secondo luogo, l'onorevole Gibiino ha citato il piano casa dell'agosto 2008. Il piano, all'articolo 1, lettera b), pone l'obiettivo dell'incremento dell'edilizia residenziale pubblica attraverso risorse dello Stato, incrementate da risorse della regione, degli enti locali e di altri enti pubblici, compresa l'alienazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica. Questa ultima parte è stata cancellata dalla sentenza della Corte costituzionale dello scorso marzo.
Su questo obiettivo, tuttavia, non c'è nemmeno un euro. Lo segnaliamo anche perché, all'opposto, sono previsti 140 milioni per incentivare la nascita di fondi immobiliari locali ai fini dell'housing sociale. Al riguardo, poi, sarebbe importante definire cosa è un alloggio sociale, io, per ora, rimango fermo alla definizione di cui al decreto ministeriale del 22 aprile 2008, secondo cui si tratta di alloggi destinati ad offrire un alloggio alle famiglie che non sono in grado di affrontare il pagamento di un canone nel settore della locazione privata. Questa definizione, a mio avviso, indica dunque uno strumento per la gestione della famiglia e dei suoi bisogni, non per la costruzione degli immobili, che è altra cosa.
Non so se sotto sotto si sta cercando di perfezionare la definizione di alloggio sociale, tuttavia registro che nel piano casa è previsto un finanziamento che va verso questo settore, che ha come obiettivo canoni di locazione da 400 euro al mese. Ciò significa 800 euro al mese di costo dell'abitare, quindi un reddito di 30.000 euro all'anno; un conto è il canone, infatti, un conto è il costo dell'abitare.
Ora, stando agli ultimi dati statistici, pare che oltre la metà dei contribuenti dichiari meno di 14.000 euro all'anno di reddito. C'è qualcosa, quindi, nella scelta di finanziare parte del piano casa dell'agosto 2008, che non quadra. E vi diciamo subito che cosa lo può far quadrare: la nascita dei fondi immobiliari locali da parte di Cassa depositi e prestiti significa finanziare il 40 per cento dell'intervento ipotizzato con un prestito di trent'anni. Non capisco, però, perché non sia possibile, da parte di Cassa depositi e prestiti, concedere un mutuo per trent'anni anche a noi. Spero che non ci siano concezioni di classe dentro il piano casa.
Inoltre, perché i comuni che hanno pochi terreni dovrebbero conferirli al fondo? Conferiscano al fondo il 70 per cento delle aree, ma il 30 per cento lo diano a noi. Mettendo insieme queste aree e un mutuo di Cassa depositi e prestiti torniamo a costruire alloggi con canoni di affitto non superiori ai 220-230 euro al mese, ben inferiori a 400. Questa è una garanzia. Non si capisce perché non sia possibile fare per il pubblico ciò che è stato pensato per il privato.
Questa è una delle ragioni forti a sostegno delle nostre richieste. Sono convinto che questa Commissione - l'avete più volte dimostrato - abbia grosse sensibilità nei nostri confronti. Ne sono una prova quei due o tre ordini del giorno che, grazie a voi, sono stati presentati in Aula e sono diventati patrimonio di condivisione. Vorremmo passare dalla carta a qualche elemento operativo.
EMIDIO ETTORE ISACCHINI, Vicepresidente nazionale di Federcasa. Vorrei rapidamente ringraziare anch'io la Commissione, il suo presidente, l'onorevole Gibiino e tutti gli altri componenti.
Vorrei integrare questo incontro richiamando una situazione che credo debba essere posta all'attenzione di tutti. Vengo da Brescia, una città sicuramente non tra quelle considerate depresse, dove però quello della casa e degli sfratti sta diventando un problema da tenere sotto controllo.
Con cadenza settimanale teniamo un tavolo con la prefettura, che si sta muovendo in modo assolutamente egregio. Vorrei sottolineare che questo tema può diventare nel prossimo futuro dirompente, non tanto per gli sfratti all'interno dell'edilizia residenziale pubblica, ma all'interno del settore privato, dove i casi di morosità stanno aumentando in modo esponenziale. Le morosità sono per il 60 per cento assolutamente involontarie, nel senso che derivano da condizioni economiche e sociali molto diverse rispetto a quelle dell'anno scorso.
La valutazione che è stata fatta nel documento di questa Commissione sulla situazione del patrimonio immobiliare va completamente rivisitata. L'onorevole Gibiino ha fornito alcune indicazioni anche di tipo numerico che, a mio avviso, sono interessanti. Abbiamo un invenduto molto forte, quindi io sarei per provvedere a qualche intervento, che evidentemente deve essere finanziariamente sostenuto, che vada più nella direzione di un recupero dell'invenduto a favore delle famiglie. Anche perché il problema degli sfratti è contingente, non più rinviabile, e coinvolge in questo momento, in una situazione come quella del nostro Paese, sia gli inquilini sia i proprietari di case. Da una parte, infatti, ci sono gli inquilini che restano senza una casa; dall'altra i piccoli proprietari che dall'affitto ricavano un piccolo incremento di reddito che consente loro di vivere in modo decoroso. I problemi, pertanto, riguardano sia una parte che
l'altra.
In questa fase, valuterei la possibilità di un'acquisizione degli immobili invenduti; i piani di vendita che noi abbiamo predisposto stanno registrando risultati catastrofici, perché la gente non ha più un euro da investire e le banche non concedono più credito. Per il rilancio dell'economia del settore, dunque, porrei maggiore attenzione ad altri interventi, quali ad esempio il risparmio energetico, che può finanziare anche la ristrutturazione di ampie zone del nostro patrimonio abitativo, e ritornerei sulla questione di una parità tra pubblico e privato per quanto riguarda gli incentivi.
Vorrei, in particolare, sottolineare alla Commissione il problema degli sfratti, che diventerà veramente drammatico nei prossimi mesi.
GIOVANNI BERTACCHE, Vicepresidente nazionale di CONIA. Signor presidente, come si è sentito, non è l'azienda territoriale che risolve i problemi, né di ieri né di oggi.
L'azienda territoriale ha un suo preciso e limitato scopo, che non ci consente di superare le difficoltà passate e presenti, perché essa è obbligata prima di tutto al rispetto delle esigenze di bilancio e ne risponde alle regioni. Tutte le provvidenze che vengono invocate oggi dai rappresentanti delle aziende territoriali più che allo Stato dovrebbero essere richieste alle rispettive regioni; saranno queste ultime, poi, più che la Federcasa, che potranno esigere tali provvidenze dallo Stato attraverso i fondi di rotazione.
I comuni, come diceva prima l'onorevole Gibiino, sono più che latitanti; peggio ancora, essi hanno approfittato
della speculazione privata per fare a loro volta speculazione, lo abbiamo scritto a chiare lettere nel documento. Ma se forniamo ai comuni i fondi di rotazione per questo tipo di servizi, dal momento che a ogni taglio che viene praticato essi lamentano di non poter più offrire i servizi che già rendevano (bisognerebbe anche chiedersi quali servizi abbiano realmente fornito finora), la soluzione è responsabilizzarli una volta per tutte. Finché i comuni si limitano a chiedere l'elemosina o comunque a tirare la giacchetta a qualcuno, è chiaro che non sentono la responsabilità. L'ATER svolge dei compiti ben precisi, ma dal momento che è ormai difficile ravvisare il confine tra pubblico e privato, lasciamo ai sindaci la responsabilità nel settore della casa. Parliamo di autonomie e di federalismo, allora diamo ai sindaci gli strumenti necessari per operare, ma lasciamo che si assumano le loro
responsabilità.
Per quanto riguarda la delega, cioè l'attuazione in loco, è prevista dalla legge n. 431 del 1998, ma viene dopo quella a livello centrale. Considerando che sul piano sindacale generale si sta superando la contrattazione centrale a favore di quella locale, non riusciamo a fare altrettanto anche per la casa?
PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14,55.