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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VIII
3.
Giovedì 13 settembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Tortoli Roberto, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLO STATO DELLA SICUREZZA SISMICA IN ITALIA

Audizione di rappresentanti dell'ENEA:

Tortoli Roberto, Presidente ... 3 10 11 14
Benamati Gianluca (PD) ... 10 11 12
Clemente Paolo, Responsabile del Laboratorio ENEA prevenzione e mitigazione effetti rischi naturali ... 4 8 10 11 12
Martelli Alessandro, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna ... 3 4 5 9 11 12 13
Motta Carmen (PD) ... 10
Misiti Aurelio Salvatore (Misto-G.Sud-PPA) ... 11 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 13 settembre 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO TORTOLI

La seduta comincia alle 14,35.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'ENEA.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza sismica in Italia, l'audizione di rappresentanti dell'ENEA.
Ringraziandoli per la presenza, do subito la parola ai nostri ospiti.

ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Buongiorno a tutti. Rispetto all'audizione che tenemmo il 30 maggio scorso credo che tutti abbiate ricevuto le risposte dell'ENEA ai quesiti che ci sono pervenuti dai deputati, e che, peraltro, sono gli stessi posti all'Università di Trieste e all'Università dell'Aquila.
Se sono ben informato, e credo di esserlo, sia l'Università di Trieste, sia l'Università dell'Aquila erano state invitate a presentarsi insieme a noi oggi. Il professor Panza, dell'Università di Trieste, ha comunicato di essere impossibilitato a intervenire, ma, avendo risposto per iscritto agli stessi quesiti che sono stati posti a noi, ha delegato il sottoscritto a rispondere a eventuali richieste di chiarimenti.
C'è anche una mail, che non so se sia stata acquisita, ma che è stata inviata alla Presidenza della Commissione.
Quanto al professor Salvatori dell'Università dell'Aquila, era all'estero. Abbiamo appurato proprio stamattina che non aveva ricevuto, non so se per colpa sua o per motivi elettronici, la convocazione. Oggi era in Italia, ma, essendo troppo tardi, non è stato possibile per lui intervenire alla riunione. Anche nelle sue risposte il professor Salvatori, con riferimento alle domande ricevute, dichiarava di essere in sostanziale accordo con quanto già risposto dall'ENEA.
Io credo che valga la pena, dal momento che questa riunione, se non sbaglio, è stata convocata per dare spazio a un eventuale dibattito, che era stato minimo nella scorsa occasione, nonché a eventuali richieste di chiarimento, da parte mia e, a turno, dell'ingegner Clemente citare in modo estremamente breve le domande ricevute, a cui abbiamo fornito una risposta.
Desidero poi presentare alcuni aggiornamenti in base a quanto sviluppatosi quest'estate.
Il primo quesito dell'onorevole Benamati riguardava il fatto che noi avevamo dichiarato che il 70 per cento del costruito italiano non è in grado di resistere ai terremoti a cui potrebbe venire soggetto. Io credo che abbiamo risposto in maniera esaustiva e, peraltro, ritengo che questo sia un dato ottimistico, nel senso che si basa semplicemente sulle evoluzioni della classificazione sismica del territorio italiano.


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Tenete conto che, per esempio, in Emilia la normativa nuova è diventata di uso obbligatorio grazie al Milleproroghe solo nel 2009, pur essendo risultata facoltativa già dal 2003, e che la nuova classificazione sismica data dal 2003. Ciò che è stato costruito nel 2002 non avrebbe dovuto, dunque, in gran parte della regione, essere considerato sismico. C'è stata poi un'evoluzione della normativa sempre più stringente.
Inoltre, sostengo che il dato è ottimistico perché in realtà ci sarebbe da aggiungere la pessima costruzione di edifici anche ben progettati, che però sono stati realizzati malissimo. Ciò è dovuto all'assenza di un corretto controllo in fase di costruzione, questione che credo sia stata anche sottolineata in una risoluzione approvata dalla vostra Commissione già nel 2011. Si tratta di un dato molto preoccupante, che pone anche alcuni interrogativi su quello che deve essere il ruolo del collaudatore e anche la sua caratterizzazione a livello di specializzazione.
In primo luogo, un ingegnere (lo affermo perché sono ingegnere chimico, anche se mi occupo di terremoti da diversi anni), anche un ingegnere edile, non sa neanche che cosa sia un terremoto. Per realizzare un circuito antincendio bisogna avere un patentino. È possibile che per progettare in maniera antisismica basti essere ingegnere? La risposta dovrebbe essere no. Gli ingegneri classici, ivi compresi quelli edili, non sanno che cosa significhi progettare in modo antisismico.
In secondo luogo, era specificato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2003 che il collaudatore dovesse essere un esperto del settore, soprattutto quando si applicano sistemi antisismici. Tale limitazione è sparita e ora può essere un qualsiasi ingegnere. Che cosa controlla chi non capisce un accidente - scusate la parola - di resistenza sismica? Bisogna dunque stabilire una specializzazione, un ruolo, perché almeno chi controlla sia capace di verificare che le strutture stiano effettivamente in piedi in caso di terremoto.
Mi fermo qui su questo punto e passo la parola all'ingegner Clemente, che si è occupato del tema dell'assicurazione, che credo sia un tema piuttosto rilevante.

PAOLO CLEMENTE, Responsabile del Laboratorio ENEA prevenzione e mitigazione effetti rischi naturali. Il quesito posto sotto l'aspetto dell'assicurazione antisismica sui fabbricati riguarda la quantificazione e il modo in cui si pensa di organizzare la questione. Ricordo rapidissimamente che insieme a URIA (Unione romana ingegneri e architetti), Ordine degli ingegneri di Roma e Federproprietà abbiamo avanzato una proposta per un'assicurazione obbligatoria sui fabbricati.
Le unità immobiliari in Italia sono poco più di 30 milioni, secondo la stima che nasce dai dati ISTAT del 2001, tenendo conto anche di un ragionevole incremento negli ultimi dieci anni. Un'assicurazione di 100 euro a unità immobiliare coprirebbe già, quindi, la spesa media a seguito di disastri ambientali, come terremoti e alluvioni, che è di poco meno di 3 miliardi di euro all'anno.
Se questo premio di 100 euro all'anno per unità immobiliare venisse raddoppiato, ci sarebbe anche la possibilità di finanziare un fondo per la messa in sicurezza preventiva dei fabbricati. La nostra proposta, oltre che sollevare lo Stato dalle spese di ricostruzione, tende anche e soprattutto a istituire un fondo per mettere in sicurezza i fabbricati stessi, in modo tale che si riducano nel corso del tempo - noi pensiamo ad alcuni decenni - i costi di ricostruzione.

ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Esattamente, quale è il periodo da tenere presente?

PAOLO CLEMENTE, Responsabile del Laboratorio ENEA prevenzione e mitigazione effetti rischi naturali. Quando diciamo «alcuni decenni» intendiamo riferirci ad un periodo di circa venticinque/trenta anni. Chiaramente, più si va avanti, più si può mettere in sicurezza e, quindi,


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migliorare sismicamente il patrimonio edilizio e ridurre il rischio sismico. Lo stesso premio di assicurazione non dovrebbe aumentare nel corso del tempo, anzi.
Ci sono esperienze precedenti già compiute, ma è chiaro che vi sono problemi assicurativi importanti in termini di franchigia, di massimali e di ciò che può accadere quando si supera un dato massimale. In altri Paesi interviene sicuramente lo Stato, il pubblico. Sono tutte problematiche che noi siamo discutendo con le assicurazioni di categoria, come l'ANIA e anche l'ANCE. Stiamo allargando il nostro tavolo di lavoro e speriamo di poter concludere con una proposta più concreta e operativa a breve.
Riteniamo, però, opportuno affrontare questo discorso e soprattutto pensiamo che questa non debba essere intesa, come purtroppo viene vista, come una nuova tassa. L'idea dell'assicurazione viene, infatti, bocciata in partenza se intesa o presentata come l'introduzione di una nuova tassa.
Non è così. Si tratta, invece, di un modo diverso di pagare tasse che noi già paghiamo, perché la ricostruzione dell'Aquila, dell'Emilia e delle zone colpite dagli eventi sismici precedenti è già pagata, comunque, da noi, attraverso tasse palesi od occulte. Questo dell'assicurazione è, invece, un modo corretto e pulito di pagare una tassa in maniera preventiva, in modo tale che al momento opportuno non si debba più chiedere nulla al cittadino.
Sul punto successivo, passo nuovamente la parola all'ingegner Martelli.

ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Parliamo di sismologia, premettendo, come ormai faccio ogni volta in tutti gli ambiti possibili, che io sono ingegnere e non sismologo, che è una figura diversa. L'ingegnere è colui che parte dai risultati dei sismologi per compiere le valutazioni di rischio. In questo caso, però, un ingegnere serio conosce anche la parte a monte, cioè la parte sismologica, tema che, purtroppo, molti ingegneri non conoscono.
È da tempo che noi, come ENEA, abbiamo all'interno dell'ente un gruppo con competenze consistenti di sismologia e collaboriamo anche con diversi istituti nazionali ed esteri. In particolare, sui nuovi metodi sismologici collaboriamo con l'Università di Trieste, con l'International Center of Theoretical Physics, sempre di Trieste, e, a livello internazionale, con numerosi enti californiani e russi, quali l'Accademia russa delle scienze.
Svolta questa premessa, poiché questi temi riguardano le nuove tecnologie, mi rendo portavoce conscio di quanto affermo. Non sto raccontando quanto qualcuno mi ha riferito, ma ciò di cui sono convinto in base alle informazioni e alle dimostrazioni ricevute dai sismologi che ho appena nominato.
Il primo punto riguarda le mappature di pericolosità sismica. Le attuali mappature di pericolosità sismica sono effettuate in gran parte dei Paesi, anche se non in tutti, per la verità, con un cosiddetto metodo probabilistico, che non è altro che un'analisi statistica dei dati. Si determina cioè la probabilità che un evento avvenga in un dato numero di anni.
Tipicamente, nella mappatura italiana per gli edifici normali si fa riferimento alla probabilità del 10 per cento che un evento avvenga in cinquant'anni, il che significa un evento ogni 475 anni.
Se pensate solo all'Emilia, l'ultimo evento dello stesso livello avvenne nel 1570. È piuttosto ovvio il fatto che è risultato che tale evento raro non era previsto dalla normativa. La normativa in Emilia faceva riferimento, infatti, a un terremoto di entità inferiore a quello che si è poi verificato.
Ciò non giustifica certo il crollo dei capannoni, che in molti casi sono crollati a causa di ingegneri a cui bisognerebbe togliere la laurea e che forse dipende in parte anche dalle modalità di evoluzione della normativa (la mappatura sismica del territorio è diventata obbligatoria nel 2003, e la normativa è stata adeguata del 2009).
In ogni caso, il dato importante è questo, che l'attuale mappatura sismica


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adottata in Italia, così come in tanti altri Paesi, fa riferimento a un'analisi statistica e trascura gli eventi rari.
Io parlo da utilizzatore interessato, da ingegnere, anche se i giornali mi hanno fatto affermare di tutto e di più, e mi interessa valutare il rischio dal punto di vista del discorso finale. Se il terreno si muove di più o di meno mi importa fino a un certo punto. A me interessa che la struttura stia in piedi.
Il problema degli eventi rari è da considerare. Accettiamo che, se un evento è raro, si abbiano i morti e i danni, oppure vogliamo spendere un po' di più anche in funzione dell'evento raro e, quindi, imponiamo termini più stringenti? Questo è il problema.
Io ho sottoscritto un documento, che è già stato divulgato da alcuni giornali e che vi depositerei, un position statement firmato da quattordici esperti internazionali, di cui cinque italiani. Non siamo tutti italiani. Io sono stato designato presidente, pur non essendo un sismologo, mentre la maggior parte dei firmatari sono sismologi, proprio per fungere da trait d'union nei riguardi dell'utilizzazione di questi risultati. Si tratta di un documento che propone l'affiancamento al metodo probabilistico, attualmente in uso, del metodo deterministico, quello che è stato spiegato nella scorsa riunione dal professor Panza, un metodo basato su un approccio totalmente diverso.
Io ho combattuto anche i sismologi «estremisti». Purtroppo, i sismologi litigano molto tra di loro, forse ve ne sarete resi conto anche nell'ultima audizione. Io ho combattuto chi voleva sostituire un metodo con l'altro.
Sostituire non ha senso. Ci sono alcuni difetti e limiti in un metodo e nell'altro. È assolutamente necessario, però, tenere conto degli sviluppi e delle metodologie della conoscenza e applicare questi metodi verificando per le diverse zone del territorio italiano quale sia opportuno applicare in funzione di alcuni obiettivi che il Paese si deve porre: si spende di più subito per evitare poi un danno o ci si accontenta di resistere fino a un dato evento?
Credo che questo sia il primo punto di risposta dell'Università di Ferrara, del CTP, che perfettamente condivido, avendo firmato questo documento, di cui, su quattordici firmatari cinque sono italiani: il sottoscritto, il professor Panza di Trieste, il professor De Vivo di Napoli, il professor Stoppa di Chieti e la professoressa Peresan di Trieste. Gli altri sono esperti di altri Paesi, personalità comunque conosciute nel mondo della sismologia. La proposta che noi facciamo, quindi, è quella di un affiancamento dei due metodi.
L'altro punto, che affronto sempre io, a cui abbiamo risposto riguarda i cosiddetti esperimenti di previsione, sui quali sono state svolte diverse elucubrazioni, dalla magia nera ad altro. Stiamo parlando di studi, di esperimenti di previsione, valutazioni, sempre sviluppate dai sismologi che ho prima nominato, in termini dinamici. Gli studi di cui ho parlato prima sono una fotografia statica, mentre adesso stiamo parlando di quella che può essere, secondo questi sismologi, l'evoluzione nel tempo dei dati di pericolosità sismica.
Che cosa fanno questi sismologi? È come se qualcuno si misurasse di continuo la temperatura corporea. Si registrano fluttuazioni normali e, a un dato punto, arriva un picco strano. Bisogna analizzare se questo picco strano è un raffreddore o una polmonite.
Che cosa fanno i sismologi, portando questo paragone? Analizzano alcuni terremoti un po' inferiori a quello che si teme, come minimo in una determinata zona, però in numero sufficiente da riuscire a elaborare una buona statistica, per offrire un risultato con una discreta affidabilità, e, in caso di fluttuazioni, determinano (in base ad alcuni algoritmi, che è inutile spiegare, e che poi bisogna chiedere ai sismologi che cosa sono esattamente) se c'è da preoccuparsi o no.
Fu già dichiarato dal professor Panza che il 1o gennaio del 2012 scattò un cosiddetto «allarme» - utilizzo sempre le virgolette; si tratta di considerare fortemente aumentata la probabilità nel medio termine di avere un evento di un dato tipo, ossia superiore a una determinata magnitudo per gli


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italiani oppure compreso in un dato range per altre scuole, nei prossimi mesi fino a uno o due anni - scattò per il Sud.
Sud non significa Messina e Catania, ma, per la scuola italiana, l'area dalla Campania in giù e, per la scuola russa, una regione concentrata tra la Calabria meridionale e la Sicilia orientale.
Il 1o marzo scattò poi un allarme per il Nord Italia, che non significa l'Emilia, ma una zona dall'ex Jugoslavia, con una fascia che non è proprio quella della cartina geografica, e arriva fino al centro dell'Italia, a metà Abruzzo. L'Emilia chiaramente era l'area più preoccupante, perché c'erano stati gli eventi di Verona, del Garda e di Parma, però non si indicava Bondeno o il territorio vicino. Tale allarme scattò il 1o marzo e si è verificato.
Quello che era scattato era un allarme per un'aumentata probabilità nei mesi successivi, a partire da quella data, del verificarsi di un terremoto di magnitudo maggiore a 5.4. Noi italiani non abbiamo l'esperienza dei terremoti giapponesi e, quindi, in base a dati di magnitudo 4, non possiamo inventarci quelli di livello 7. Leggiamo, dunque, maggiore di 5.4, così come per il Sud era scattato un allarme per un sisma maggiore di 5.6, secondo gli esperti italiani. Anche coi numeri bisogna stare attenti.
Per i sismologi russi, invece che compiere un'analisi a livello planetario, l'allarme è scattato per sismi di magnitudo tra 7.5 e 7.9, che rappresentano una situazione molto diversa, ossia il terremoto di Messina e Reggio Calabria, il terremoto della piana di Catania del 1693, se mai si verificasse.
Checché abbiano scritto alcuni giornalisti, questi esperimenti non sono numeri del lotto che ci azzeccano una volta su venti. L'attuale riuscita - scusate la parola, perché la parola «riuscita» si utilizza generalmente in termini positivi - dal punto di vista scientifico è del 70 per cento. Ovviamente, c'è una probabilità di falso allarme.
Vi riferisco subito, perché ho controllato ieri i dati su questi esperimenti di previsione, qual è la situazione: al Nord l'allarme è cessato, il che significa che, essendo successo ciò che è accaduto all'Aquila, secondo questi studi, che non sono la Bibbia, un terremoto maggiore di 5.4 non è più prevedibile, il che non significa, però, che non ci siano scosse di assestamento che possono arrivare anche fino a 5. Non dovrebbero, però, verificarsi eventi maggiori. Questo è il quadro per quanto riguarda il Nord.
Tenete conto che gli esperimenti di previsione della scuola italiana sono verificati ogni due mesi e che questa è una valutazione del 1o settembre. Avrete con voi, credo, il 20 settembre prossimo, la dottoressa Peresan dell'Università di Trieste, che è colei che svolge questi studi, e che vi fornirà maggiori dettagli. Per quanto mi riguarda, relata refero.
Per quanto riguarda il Sud, invece, l'allarme permane, sia sul lato italiano, con la conferma del 1o settembre come ultima verifica, in relazione a un terremoto maggiore di 5.6 in una zona che comincia da metà Campania e va in giù, inutile riferire dove, sia sul lato russo, in base a quanto ho illustrato prima. La verifica per i russi viene svolta ogni sei mesi e il dato è del 1o luglio.
Questi sono i dati che riporto molto crudamente. È chiaro che tutti speriamo che non avvenga nulla, però ricordiamoci sempre, e questo è importante da sottolineare, che è possibile.
Io ho risposto a decine di lettere di gente che mi dava del terrorista, e non si tratta solo di privati cittadini. Tenete conto del fatto che noi stiamo parlando non di eventi inventati, ma di eventi già verificatisi nella storia e che prima o poi si verificheranno di nuovo. L'unica differenza rispetto al ragionamento che compiono questi studi è di indicare che - attenzione - secondo i nostri studi, è molto probabile che il poi non sia tanto un poi ma un prima.
Perché la gente si spaventa e si scatena il panico? Io, volutamente, e l'ho spiegato in tutte le salse, a tutti e in tutti i settori, non sono stato zitto, anche dopo il terremoto dell'Emilia. La gente si spaventa


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perché si rende conto che probabilmente casa sua e la scuola dei suoi figli non sono sicure e, quindi, c'è, per esprimersi bonariamente, un po' di coda di paglia da parte di tutti. C'è la coscienza che il numero che ho citato prima, per cui almeno il 70 per cento del costruito italiano non è in grado di reggere un terremoto, viene capito dalla gente quando lo tocca con mano.
Secondo me, dunque, è inutile dare del terrorista a chi continua a lanciare questo messaggio e a mantenerlo anche in un momento di paura. Metà delle lettere che ho ricevuto, cui ho risposto a tutte, comprese quelle che mi insultavano - c'era anche qualcuno che mi voleva fare santo e a cui ho spiegato che prima bisognava essere un martire - vertevano su questo tema. Metà della gente ha capito. La loro controrisposta chiedeva come poter essere sicuri della propria casa e della mia scuola.
C'è una gran voglia di prevenzione. Bisogna trasformare questa paura. Io credo che il Giornale della Protezione civile, che ha una bravissima giornalista, che ha scritto su questo tema, sia correttissimo nel titolo: bisogna trasformare la paura in voglia di prevenzione, non bisogna stare zitti. Questo Paese deve cambiare. Bisogna cominciare a spendere.
Si è parlato di assicurazioni dei fabbricati. Noi abbiamo il 70 per cento del costruito italiano che non è in grado di reggere le azioni sismiche, a cui potrebbe prima o poi, e sarà prima o poi, probabilmente soggetto. È chiaro che il problema è enorme dal punto di vista economico, però se non cominciamo mai, non lo risolveremo.
Cominciamo, dunque. Bisogna cominciare stabilendo le priorità. Per esempio, i metodi sismologici e le strutture strategiche si pongono alcune priorità. Cominciamo a spendere. All'inizio non recupereremo nulla, ci vorranno sessant'anni per recuperare. Ci vorranno sessant'anni, ma, se noi non cominciamo a spendere nulla, a parte i morti, spenderemo tre volte di più dopo, perché il costo medio del recupero e della ricostruzione è tre volte superiore del costo della prevenzione.
Scusate, ma mi viene anche un dubbio malevolo che qualcuno ci sguazzi in queste «tre volte». Che ci siano queste «tre volte», con tutto realizzato in emergenza e senza regole, ho l'impressione che a qualcuno faccia molto comodo.
È un discorso a lungo termine, ma, se non cominciamo, non ne verremo mai a capo e avremo sempre i morti. Poi arriveremo al Sud.
Scusatemi, mi sono un po' dilungato, ma me la prendo un po' su queste questioni.

PAOLO CLEMENTE, Responsabile del Laboratorio ENEA prevenzione e mitigazione effetti rischi naturali. Recupero io, accennando rapidamente all'early warning, con alcune conclusioni molto sintetiche.
Per l'early warning in Italia non abbiamo sistemi funzionanti a livello nazionale, ma solo un sistema sperimentale nel Meridione. Non si tratta di sistemi che possano mettere in sicurezza o modificare in maniera significativa la sicurezza sismica delle costruzioni e delle infrastrutture. Possono, però, essere utili per spegnere alcuni impianti a rischio di incidente rilevante con alcuni secondi di anticipo, fermare i treni ad alta velocità o comunque attivare i sistemi di sicurezza. Sicuramente sono utili e possono essere implementati e diffusi sul territorio nazionale, però non è certamente delegato ai sistemi di early warning il compito di salvare vite o di migliorare la sicurezza delle costruzioni.
In conclusione, credo che abbiamo battuto molto sulla necessita di elevare il livello di sicurezza sismica. Abbiamo parlato di migliorare la valutazione della pericolosità sismica utilizzando tutto ciò che la scienza oggi ci mette a disposizione, senza trascurare nulla.
Per esempio, uno dei punti su cui ragionare è il fatto che l'attuale livello di sicurezza dettato dalle nostre norme può anche essere soddisfacente per le costruzioni normali, ma certamente non lo è per quelle strategiche, soprattutto, come abbiamo visto in Emilia, per gli edifici industriali, perché si rischia di mettere in


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ginocchio un'economia per molti anni, se non si attribuisce a queste strutture un'adeguata sicurezza.
Tutto ciò è facilmente traducibile nelle costruzioni nuove, ma il problema, in realtà, a nostro avviso, è quello patrimonio edilizio esistente, che è la maggioranza. Noi dobbiamo imparare a compiere più manutenzione e a realizzare meno nuove costruzioni. Ne abbiamo già tante. Dobbiamo vedere e capire che cosa fare sulle costruzioni esistenti.
In merito cito una problematica cui abbiamo accennato nella precedente audizione. Anche nelle fasi di ricostruzione, per esempio quelle in corso adesso all'Aquila, non si adeguano gli edifici, ma si migliorano dal 60 all'80 per cento. Il cittadino può andare anche oltre, ma paga di tasca propria e non è incentivato.
A mio avviso, è poco. Queste disgrazie devono essere almeno occasioni per chiudere definitivamente il problema del rischio sismico, almeno nelle zone dove comunque dobbiamo spendere i soldi dei cittadini per ricostruire.
Dal punto di vista, invece, dell'input, sottolineo ancora una volta l'importanza di indagini specifiche locali, quali quelle di microzonazione sismica, che sono realtà già ben avviate. Noi collaboriamo su questo fronte con la Protezione civile nazionale, nell'ambito di una Commissione nazionale, e credo che questa sia una delle iniziative da portare avanti e su cui spingere per un miglioramento della sicurezza in Italia. Vi ringrazio.

ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Aggiungo solo alcune considerazioni riguardo alla questione degli impianti chimici. Ho dimenticato di consegnare il documento firmato dai quattordici esperti di cui parlavo prima, a cui fa riferimento la nota del professor Panza, che comunque è su Internet, sul sito dell'associazione GLISSA - Isolamento e altre strategie di progettazione antisismica, che è presieduta da me. Posso fornire gli estremi del sito.
Spendo ora due parole sulla questione degli impianti chimici. A me interessa culturalmente il discorso dei sismologi sul movimento del terreno, ma ciò che mi interessa specificamente, e che interessa alla comunità, è la resistenza alle strutture e il fatto che stiano in piedi e non creino morti e danni, ossia il rischio.
La pericolosità che valutano i sismologi è solo una delle tre componenti del rischio. Il rischio consta della pericolosità, cioè nel movimento del terreno atteso, della vulnerabilità, che è la capacità della struttura di reggere a un terremoto più o meno elevato, e dell'esposizione, che è molto importante (e qui arriviamo alla questione degli impianti chimici), che rappresenta il valore della struttura. Può essere un valore l'ospedale, che deve funzionare anche durante il terremoto: non ci si può permettere, come ci permettiamo, purtroppo, di avere un ospedale che magari sta in piedi e che non funziona, quando invece serve che curi i feriti dopo il terremoto, se rimane in piedi.
Allo stesso modo, occorre un museo dove non si distruggano le opere d'arte, come è successo al Museo dell'Aquila, dove tutte le statue sono crollate.
Può trattarsi anche, per esempio, di un impianto chimico in cui non collassino i serbatoi contenenti sostanze venefiche o incendiabili, che facciano morire la gente non per il crollo di strutture, ma per esalazioni e incendi.
Tutte le polemiche che sono emerse sulla questione Sicilia soprattutto, ma vi è coinvolta anche la Calabria, perché fa parte della zona, sono partite proprio dallo stato di assoluta ignoranza (e io non ho mai affermato che sono strutture che crollano) sulla situazione di rischio degli impianti chimici italiani su tutto il territorio nazionale. In alcune zone magari il rischio può essere meno rilevante, anche se, per esempio, ho avuto a che fare con una società di Ravenna che si è posta il problema e, anzi, l'ha anche segnalato. Se la Federchimica si farà viva, forse vi interesserà sentirla.
Ci sono, però, Milazzo e Priolo, che sono esposte a elevata pericolosità sismica o da effetti di sisma, perché Priolo è nell'area che nel 1693 fu rasa al suolo dal


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più devastante terremoto noto in Italia; Milazzo sta in una parte un po' meno sismica, pur se vicina a Messina, però ha davanti il Marsili, in relazione al quale alcuni geometri sono alquanto preoccupati per un possibile crollo sottomarino. Esso potrebbe dar luogo a un'onda di tsunami che potrebbe spazzare via tutto, se arrivasse.
Senza voler fare terrorismo, questi sono scenari forse apocalittici, però non infondati, contro i quali questi insediamenti sono totalmente impreparati a resistere. Sul terremoto non sappiamo nulla, se non questioni minimali, che attuammo noi e altri alla fine degli anni Novanta e che ci dimostravano che la situazione non era tanto bella.
Il problema è che nessuno conosce la vulnerabilità di questi impianti. Non esiste sulla sicurezza degli impianti chimici una normativa specifica, come invece esiste per i ponti, per gli edifici e anche per gli impianti nucleari, che pure non abbiamo. Per gli impianti chimici non esiste una specifica normativa, non esiste un quadro della vulnerabilità di questi impianti, non esiste nulla che indichi come intervenire sull'esistente, nulla di equivalente dell'AIA.
Io sono Commissario al Ministero dell'ambiente per l'AIA e tutte le volte che provo a parlare di terremoto, mi rispondono che non c'entra e non è mio compito: in quella sede parliamo di emissioni di NO2 e NOx in condizioni non sicure!
Per questo, dico che se esiste una proposta di risoluzione nella vostra Commissione che riguarda gli impianti chimici, secondo me va portata avanti e attuata sia per il medio termine, cioè per risolvere il problema normativa e stato della vulnerabilità, sia per eventuali azioni che occorresse svolgere in tempi rapidi.
Supponiamo che i russi abbiano ragione, mi chiedo: come agisce il sistema di Protezione civile a fronte di un evento di questo genere? È preparato? Non credo. Io vi lascio un articolo molto dettagliato che ho pubblicato su questo problema, pubblicato sul Giornale dell'ingegnere, che credo sia tecnico e che non si lascia andare ad elucubrazioni politiche.

PAOLO CLEMENTE, Responsabile del Laboratorio ENEA prevenzione e mitigazione effetti rischi naturali. C'è un quesito dell'onorevole Motta sulla questione di Rivara. Noi abbiamo riportato alcuni esempi, magari anche poco conosciuti. Il problema esiste in questi casi, sia quando si estrae, sia quando si immette a deposito gas o anche petrolio in profondità. È chiaro che in una zona sismica già nota, con la presenza di una fagliazione complessa, bisogna valutare bene quelle che possono essere le conseguenze. Non lo considero un intervento impossibile, ma sicuramente non si può compiere tanto allegramente.

CARMEN MOTTA. Fortunatamente il problema è stato risolto.

PAOLO CLEMENTE, Responsabile del Laboratorio ENEA prevenzione e mitigazione effetti rischi naturali. A questo punto, anche il quesito è superato. Meglio così.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIANLUCA BENAMATI. Grazie per la presenza e per l'illustrazione delle risposte ai quesiti che erano stati posti nell'audizione iniziale dell'ENEA.
Io ho solo due questioni veloci da porre, perché ormai il tema è chiaro. Mi pare di capire che questa valutazione di circa 100 euro, che rappresenterebbe il costo del premio assicurativo per una protezione contro il danno per ogni fabbricato, ovviamente con un determinato massimale. Le chiedo: questa sarebbe già una valutazione che si sta compiendo con alcune compagnie assicuratrici? Non è una valutazione vostra di ENEA, come caso di studio, ma una valutazione che coinvolge anche gli eventuali attori di mercato che dovrebbero poi fornire l'assicurazione? Glielo chiedo perché cento euro sono una cifra consistente (per un appartamento possono esser la metà dell'IMU, in alcuni casi), ma non esorbitante: è un ordine di grandezza interessante.


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Passo alla seconda questione, molto brevemente. Personalmente, ma anche come Gruppo, stiamo predisponendo una proposta di legge delega (che, ovviamente, essendo in fine legislatura, sarà solo una bandiera) in materia di attività antisismiche e di prevenzione nel nostro Paese.
Nel tema che voi sollevate - dobbiamo renderci conto che siamo in una sede estremamente significativa, in Parlamento - ci riferite di un'elevata possibilità di un sisma, al di là delle valutazioni tecniche di merito, con gli accorgimenti sul grado possibile o meno del sisma stesso, in una parte importante del nostro Paese, ossia nel Meridione, in un futuro non precisamente definito, ma nemmeno non immaginabile...

ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Si parla di due anni. Lo affermano i sismologi.

GIANLUCA BENAMATI. Non nomino gli anni, siete voi gli esperti, parliamo di un periodo relativamente concentrato. Ciò pone un quesito, però, perché un conto è la razionalizzazione del patrimonio edilizio in maniera antisismica nel tempo, un conto sono gli interventi e le misure che di fronte alla cognizione di avere un problema di questo tipo si possono adottare.
So che questa è una domanda forse mal posta a voi, perché non siete gli esperti, e infatti la porremo anche ad altri, ma quali possono essere le misure per mitigare gli effetti? Due anni non sono certamente un periodo nel quale si possa immaginare di scardinare un sistema o di compiere opere rivoluzionarie.
Queste sono le mie due domande.

AURELIO SALVATORE MISITI. Ho sentito che il 70 per cento del costruito italiano non è resistente a eventuali terremoti di una data entità.

PAOLO CLEMENTE, Responsabile del Laboratorio ENEA prevenzione e mitigazione effetti rischi naturali. Al terremoto che la norma prevede attualmente al sito di ciascun edificio.

AURELIO SALVATORE MISITI. Bene, ma io vi chiedo: avete distinto i territori? Io credo infatti che l'Italia non sia tutta uguale. Se pensiamo, per esempio, a Messina e Reggio Calabria e dintorni, al di là dei due siti chimici - sono d'accordo sulla questione di Priolo e Milazzo - vediamo che quelle zone sono state ricostruite con le norme che sono state emanate nel 1911 e che, sostanzialmente, gli edifici (la maggior parte degli edifici lì erano in mattoni e non in calcestruzzo) sono stati realizzati con regole che, a mio avviso, garantiscono un'elevata resistenza antisismica. Secondo me, in tali zone noi siamo molto cautelati. È ovvio che c'è una parte abusiva, ma anche la parte abusiva, prestiamo attenzione, è realizzata in un dato modo.
Io credo, invece, che ci sia una percentuale molto più alta di edifici a rischio in zone, di cui l'Emilia Romagna è un esempio, che non erano considerate sismiche e che, invece, lo sono. In tali zone siamo quasi al 100 per cento.
È evidente, quindi, che c'è e bisogna fare una differenziazione tra i territori per arrivare a parlare di questo 70 per cento medio. Le zone colpite, per esempio, nel 1693 e nel 1783 e poi ancora nel 1905 e nel 1908 sono quelle meglio costruite. Pensiamo, per tornare al caso dell'Emilia, a tutti i campanili, che sono crollati quasi tutti, così come a tutte le chiese. Dodici chiese in Emilia sono state distrutte.
Questo fatto bisognerebbe che ci guidasse anche nell'intervento sugli edifici strategici, per esempio gli edifici scolastici. La messa in sicurezza di questi ultimi dovrebbe essere finanziata subito, anche per la ripresa economica. Un investimento su questo fronte mi pare prioritario rispetto a qualunque altro tipo di investimento in infrastrutture, anche rispetto a una grande opera, che può essere realizzata fra quattro o cinque anni. La messa in sicurezza delle scuole deve essere fatta subito, oltre al fatto che ha un impatto occupazionale dieci volte superiore.

PRESIDENTE. Do la parola ai rappresentanti dell'ENEA per la replica.


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ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Partirei da quest'ultimo tema, molto brevemente. Quello del 70 per cento è un dato molto freddo. Ricavato semplicemente «utilizzando» l'evoluzione della classificazione sismica del territorio nazionale. Se lei pensa che nel 1980 era classificato sismico solo il 25 per cento del territorio e che nel 2002, prima del terremoto del Molise e della Puglia, la percentuale era del 43 per cento, mentre adesso è del 70, allora basta utilizzare questi dati, aggiungerci l'inasprimento della normativa sismica e salta fuori il dato 70 per cento. È un dato freddo, che peraltro non tiene conto della cattiva costruzione.
Quanto agli esempi che lei ha portato, io conosco molto bene Messina, dove sto realizzando alcune opere di collaudo. Effettivamente, dopo il 1908 fu ricostruita bene, ma poi si è sopraelevato male, perché è stato raddoppiato il numero di piani a parità di fondazioni. Voglio dire che se a Messina fosse capitato di nuovo, nel 1909 o nel 1910, il terremoto che aveva subìto nel 1908 certamente gli sarebbe andata bene, ma se gli capita adesso gli va molto male.
Ribadisco comunque che il dato del 70 per cento è molto freddo. Non abbiamo inserito valutazioni sulla cattiva costruzione che, per esempio, chiunque ha visitato edifici danneggiati all'Aquila ha osservato.
Aggiungo un'ultima notazione sulle scuole. Bisogna veramente lanciare un segnale. In Italia purtroppo tutto ciò che ha cinquant'anni diventa antico, mentre molte volte è solo vecchio e bisogna demolirlo. Bisogna smettere di considerare tutto uguale al Colosseo.
Io dovrò recarmi nei prossimi giorni - sono stato chiamato sessanta volte e dovrò andarci, finalmente - nelle Marche, in un ex convento di suore che ospita una scuola, la quale è assolutamente incapace di reggere il terremoto che può avvenire in quell'area. Non si può far nulla, però, perché il Ministero dei beni culturali non vuole. Si lascino le suore nel convento e si mettano i ragazzi in una scuola nuova. Bisogna privilegiare la sicurezza rispetto ad altri aspetti.

PAOLO CLEMENTE, Responsabile del Laboratorio ENEA prevenzione e mitigazione effetti rischi naturali. Sono d'accordo con l'onorevole Misiti. È chiaro che, in teoria, c'è da aspettarsi che, laddove esiste una normativa antisismica da tempo, si sia costruito negli ultimi cent'anni in maniera sicuramente migliore a fronte di azioni sismiche che non in aree dove, invece, fino a pochi anni fa il terremoto non era considerato, né conosciuto. Sicuramente è vero.
Per quanto riguarda, invece, il discorso delle assicurazioni, sono numeri che noi non abbiamo tirato fuori a caso. Ci abbiamo ragionato anche con le associazioni di categoria. Prima ho nominato l'ANIA, l'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici, con la quale siamo in contatto per portare avanti insieme questa proposta.
Colgo anche l'occasione per comunicare che la proposta «più manutenzione, meno nuove costruzioni», con l'istituzione di un fondo per la messa in sicurezza può essere anche un modo molto pulito, trasparente e valido per rimettere in moto un settore, quello edile, che in questo momento certamente vive, come tanti altri, un momento di difficoltà.

ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Intervengo sull'ultimo punto che ha sollevato l'onorevole Benamati.
Con riferimenti agli esperimenti di previsione, ovviamente nessuno pretende che, in base a valutazioni di aumentata probabilità che un terremoto possa avvenire in un'area molto vasta, un terzo dell'Italia, in un periodo che va da pochi mesi a due anni, sia evacuata di tutta la popolazione.

GIANLUCA BENAMATI. Si riferisce alla previsione dei sismologi russi?

ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Dei russi,


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ma anche degli italiani, con aree che si intersecano un po'. I sismologi arrivano fino al punto di fare queste previsioni, e già sono contestati quelli che tirano fuori questi numeri, però, secondo me, questi stessi numeri vanno considerati in maniera fredda, se possibile.
Per quali motivi? Che cosa si può fare? Si possono stabilire, per esempio, le famose priorità per intervenire sull'esistente. Noi dobbiamo intervenire sul 70 per cento del costruito, almeno, che non è in grado di reggere? Utilizziamo questi dati, nel senso di cominciare a capire speditivamente qual è la situazione di rischio degli impianti che si trovano in questi territori, perché il sistema di protezione civile attualmente non ha la minima idea di come si interviene, nel caso di un incidente del genere.
Secondo me, il Ministro dell'interno, che è in indirizzo alla proposta di risoluzione presentata in questa Commissione, dovrebbe compiere due azioni: una a medio termine, per mettere in piedi una normativa, studiare la vulnerabilità, stabilire regole di intervento, l'altra con un intervento immediato, o almeno che io ritenevo dovesse essere immediato, con cui si chiariscano quali sono le situazioni più a rischio per porre in grado il sistema di protezione civile di capire che cosa fare, se tutto ciò avviene.
Non è tempo perso, perché, anche se speriamo che il sisma non avvenga nel breve termine, quando avverrà, avremo un sistema di protezione civile che saprà come intervenire su situazioni mai presentatesi prima in Italia.

AURELIO SALVATORE MISITI. Ci sono all'interno di questa impiantistica chimica punti critici e altri meno importanti. Nei punti critici l'isolamento sismico può essere una delle soluzioni, nel senso anche immediato.
Se ci sono serbatoi di gas naturale liquefatto, ma anche liquido di qualunque tipo, lei sa che con l'oscillazione tale materiale può uscire e incendiarsi. I serbatoi possono essere messi in condizione di essere isolati sismicamente con i sistemi di isolamento sismico che sono stati realizzati recentemente.
Lei che ne pensa, se si procede a uno screening interno e a interventi immediati che possono essere indicati come indicazioni dal Ministero dell'ambiente o da quello delle infrastrutture ai gestori di tali grandi impianti?
L'Autorizzazione integrata ambientale, senza la parte dei terremoti, secondo me, è monca.

ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Noi abbiamo un'esperienza specifica, come ENEA, nel settore, perché tra la fine degli anni Novanta e l'inizio degli anni Duemila analizzammo, tramite un progetto finanziato dal CNR, un serbatoio dell'EniChem a Priolo, un serbatoio sferico classico, supportato da undici colonne. Esso risultò, in base all'analisi, aver sopportato al pelo il terremoto del 1990, che era di modesta entità. Si trattava, quindi, di un serbatoio destinato a crollare in caso di un terremoto molto inferiore a quello del 1693.
In merito avanzammo una proposta di progetto pilota con l'isolamento sismico molto semplice da applicare, perché allora lo prevedemmo alla base delle colonne, con una cintura per irrigidire, una soluzione molto semplice. Finì, però, nel dimenticatoio. Attualmente, a Priolo esistono tre applicazioni su tre serbatoi, di isolamento sismico. Sono state effettuate, ma sono tre su centinaia.
Sicuramente questa è una tecnologia che, applicata a tappeto sui serbatoi esistenti, sarebbe piuttosto semplice da utilizzare. Il problema è che uno stabilimento chimico va visto in maniera complessiva, perché un incidente da una parte può avere riflessi dall'altra.
Ci sono esempi in Giappone. Nel 2004 scoppiò un incendio in un serbatoio e si propagò a quarantacinque altri. Fu un incendio causato dal terremoto.
C'è tutta una polemica che è scoppiata sul rigassificatore di Priolo e che non so se la questione sia già stata chiusa. I rigassificatori sopra un dato livello di pericolosità sismica si possono realizzare, ma


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occorre l'isolamento sismico, tipicamente sopra il 25 per cento di accelerazione di gravità in orizzontale.
A Priolo non risulta l'isolamento sismico sia stato applicato agli impianti, però qui rientriamo nel discorso dei sismologi, ossia dei dati ufficiali di pericolosità sismica che in Sicilia prevedono un livello inferiore di rischio e sul fatto che, se ci si basa su quei dati, allora è vero che uno non è tenuto ad applicare l'isolamento sismico.
Al di là di questo caso, un rigassificatore che contiene i serbatoi di gas naturale liquefatto si può realizzare dovunque: lo realizzano anche in Cina e in Giappone, però nei Paesi sviluppati, o anche in quelli non tanto sviluppati, come il Perù, si mette l'isolamento sismico, quando l'area è fortemente sismica.
Bisogna, inoltre, che anche il contorno sia tranquillo.
Il dubbio su Priolo è di costruire benissimo l'impianto, ma ciò che c'è attorno non si sa come funziona e quanto sia vulnerabile.
In ogni caso, il sistema di isolamento sismico è sicuramente un sistema che presenta alcuni problemi, perché, essendoci spostamenti notevoli, le tubazioni devono avere i giunti, ecc.. Non è come un edificio, è una struttura un po' più complessa, però, a mio avviso, si può tranquillamente intervenire con quello o con altri sistemi antisismici.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi a nome dell'intera Commissione e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,30.

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