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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione IX
1.
Mercoledì 10 settembre 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Valducci Mario, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ASSETTO E SULLE PROSPETTIVE DELLE NUOVE RETI DEL SISTEMA DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE

Audizione del sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, con delega alle comunicazioni, Paolo Romani:

Valducci Mario, Presidente ... 2 8 14 15
Barbareschi Luca Giorgio (PdL) ... 13
Biasotti Sandro (PdL) ... 14
Gentiloni Silveri Paolo (PD) ... 8
Misiti Aurelio Salvatore (IdV) ... 12 15
Romani Paolo, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico ... 2 14 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE IX
TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 10 settembre 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO VALDUCCI

La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, con delega alle comunicazioni, Paolo Romani.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'assetto e sulle prospettive delle nuove reti del sistema delle comunicazioni elettroniche, l'audizione del sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, con delega alle comunicazioni, Paolo Romani.
Ricordo che il seguito dell'audizione del sottosegretario Romani relativamente alle linee programmatiche di questa legislatura, avviata con l'audizione tenuta lo scorso 17 luglio, avverrà martedì 16 settembre, alle ore 15,30, presso la Sala del Mappamondo, congiuntamente con la VII Commissione (Cultura) della Camera e con l'8a Commissione (Lavori pubblici, comunicazioni) del Senato.
Do la parola al sottosegretario Romani.

PAOLO ROMANI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor presidente, la mia presenza oggi è giustificata dalla necessità di rispondere sostanzialmente a tre quesiti che l'indagine conoscitiva sulla banda larga ci ha prospettato. La relazione è quindi divisa in tre parti, sicuramente affini tra di loro, ma che affrontano tre tematiche differenti.
Il primo quesito riguarda gli andamenti dell'industria, i principali nodi dell'attuale assetto regolamentare del mercato delle comunicazioni elettroniche e la sua compatibilità con l'evoluzione tecnologica, in particolare per l'incentivazione alla creazione di reti a banda larga, fissa e mobile, anche in relazione all'evoluzione del quadro normativo europeo. A tal riguardo, vi ho anche portato delle tracce scritte affinché possiate seguirmi più agevolmente.
Le telecomunicazioni hanno conosciuto un notevole sviluppo negli ultimi quindici anni. L'evoluzione tecnologica e il processo di liberalizzazione e apertura alla concorrenza hanno stimolato un circuito virtuoso per imprese e consumatori, raggiungendo risultati importanti, che hanno ripercussioni di grande rilevanza sociale e costituiscono un motore per lo sviluppo produttivo del Paese. Tuttavia, il settore sta vivendo ora il momento più difficile dal punto di vista industriale. I mercati, compreso il mobile, sono saturi e i margini sono in contrazione. I nuovi servizi, in particolare quelli legati alla banda larga, stentano a coprire il calo dei ricavi di quelli tradizionali.
L'industry impone di agire sulla leva della razionalizzazione dei costi e sull'economia di scala. La dimensione dell'impresa assume quindi un'importanza fondamentale. Da qui il processo di ulteriore concentrazione del mercato, parzialmente frenato dalla crisi mondiale del credito.


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Tale concentrazione però diverrà un processo ineluttabile sia in Europa, che nel resto del mondo.
C'è però una notevole differenza fra il mercato della telefonia fissa e quello del mobile, a livello industriale innanzitutto, ma anche di gestione del business e di approccio alla clientela. I due mercati sono tuttavia convergenti per ragioni finanziarie. Le aziende che non sono presenti in uno dei due tendono a estendersi all'altro per cercare ulteriori margini di crescita in un mercato continuo.
Il mercato e le due piattaforme più che convergere tendono a sostituirsi l'uno all'altro, praticamente a fagocitarsi, in particolare quello del mobile rispetto al fisso, come dimostra anche l'andamento di mercato profondamente diverso, positivo nel caso del mobile, problematico nel caso del fisso.
Nel settore della telefonia mobile, infatti, abbiamo un mercato molto competitivo, fatto di reti proprietarie concorrenti, dove il grimaldello di mercato si colloca soprattutto nella capacità dell'operatore di avere una rete sempre più aggiornata. Si tratta dunque di un mercato che si autoalimenta per ciò che concerne sviluppo della rete, competizione e avanguardia tecnologica. Lo dimostrano i dati, giacché oggi l'Italia è uno dei mercati più liberalizzati d'Europa, il quinto mercato nel mondo delle comunicazioni e telecomunicazioni in termini di fatturato pro capite e il secondo per quanto riguarda i servizi voce della telefonia mobile.
Nell'ultimo anno, inoltre, abbiamo assistito alla nascita e alla crescita di nuovi operatori mobili virtuali (PosteMobile, Coop, Conad e alcuni operatori di rete fissa), che garantendo ai consumatori una scelta più ampia in termini di offerte economiche e di servizi possono vantare oltre 800 mila clienti in pochi mesi. Si tratta dunque di un mercato sano, competitivo, che non vede più lo straordinario livello di crescita del passato, ma appare comunque in salute.
Il mercato della telefonia fissa vive invece una situazione diversa. Quel che più deve interessare il punto di vista del Governo è la rete di telefonia fissa, che rimane il settore strategico fondamentale delle comunicazioni di ogni Paese, delle sue possibilità di crescita economica, tecnologica e infrastrutturale, quella oggi maggiormente bisognosa di essere stimolata nel suo sviluppo.
Oggi, sul fisso l'erosione continua di clienti e marginalità non riesce a essere compensata dai nuovi servizi permessi dalla banda larga. I limiti tecnici delle reti attuali, le perdite di ricavi nei servizi vocali, il core business tradizionale e la forte spinta competitiva del mercato hanno sollecitato la ricerca di nuove strategie di crescita, conducendo gli operatori di telecomunicazioni del fisso di quasi tutto il mondo a un rinnovato interesse per le nuove infrastrutture a larghissima banda, in grado di trasportare servizi di accesso con capacità trasmissiva superiore ai 20 megabit al secondo, perché lo scopo è quello di supportare nuovi servizi integrati (voce, video, quantità di dati, always on degli utenti, ovvero la possibilità di essere sempre attaccati alla rete).
Il mercato registra dunque una notevole spinta innovativa in termini di ampliamento della capacità di banda delle reti esistenti, quindi verso le next generation network, le reti di nuova generazione, ovvero la fibra ottica portata sino alla casa dei cittadini.
Come sappiamo, la concorrenza infrastrutturale in Italia si è sviluppata in un ambito piuttosto limitato. L'unbundling local loop ha dato buoni risultati per lo sviluppo di reti alternative rispetto a quelle dell'ex monopolista, ma non nella misura che ci si aspettava e non nell'accesso. Sappiamo che senza interventi pubblici, almeno per i prossimi dieci anni la rete in rame (quella di Telecom è oggi di 300 mila chilometri), che arriva nelle case degli italiani, non sarà sostituita dalla fibra, se non parzialmente, dalle reti di nuova generazione. È proprio lì che un Governo lungimirante deve saper guardare, aspirare e agire, affinché questi tempi di sviluppo tecnologico della rete realisticamente si accorcino.


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È stato calcolato che a regime il completamento dell'NGN comporterà un valore annuale di incremento del PIL pari a 1,5-2 punti percentuali. Questa è la ragione che ha indotto un Paese come il Giappone a finanziare completamente le reti di nuova generazione. Lo slogan dei giapponesi recita «100 Mb per il 100 per cento della popolazione». Il costo complessivo dell'operazione ammonta a 50 miliardi di dollari, dimensione purtroppo molto lontana dalla nostra.
Le prestazioni tipicamente offerte dalla banda larga in Italia sono carenti. Anche in relazione all'evoluzione appena descritta, le istituzioni europee stanno portando avanti la revisione del quadro regolamentare delle comunicazioni elettroniche: direttive-quadro, accesso e autorizzazione. Il dibattito in corso divide chi vuole ridurre il ruolo delle autorità nazionali nella parte di regolamentazione ex ante del mercato, arrivando alla deregolamentazione della banda larga, in particolare dell'NGN, e chi, come noi, difende invece il ruolo delle autorità nazionali e spinge affinché sia ridotta la loro disomogeneità di ruolo e di incisività nei vari Paesi.
Con sorpresa ho scoperto che dei 27 Paesi europei molti, soprattutto quelli di nuovo ingresso, non hanno neppure un'autorità nazionale. Spesso, quindi, ci si trova in difficoltà confrontandosi con il commissario Reading, che vorrebbe creare un organismo super partes europeo, trovandoci invece in alcuni casi in totale assenza di un organismo nazionale di autorità.
La nostra autorità ha infatti svolto un'efficace regolamentazione e controllo del mercato, che la pongono all'avanguardia in Europa. Non altrettanto è accaduto in molti altri Paesi, dove i vincoli regolamentari proconcorrenziali sono molto più morbidi e hanno favorito maggiormente l'incumbent di quei Paesi. Chiediamo all'Europa reciprocità di diritti e omogeneità delle regolamentazioni nazionali; altrimenti continuerebbe per alcuni incumbent un'incomprensibile situazione di vantaggio operativo.
Ad esempio, in alcuni Paesi europei come Spagna e Germania è stato stabilito per legge di garantire una situazione di vacanza regolatoria delle reti di banda larga, che ha prodotto sicuramente vantaggi rispetto all'iniziativa degli investimenti - ieri, il presidente di Telefonica, Cesar Alierta, mi ha comunicato che stanno investendo 1 miliardo di euro l'anno sulla banda larga con un immediato ricavo, perché privi di una regolamentazione in grado di penalizzare gli investimenti - ma anche difficoltà sul tema della competizione e della concorrenza, non sempre a vantaggio dei consumatori. Vogliamo che sia salvaguardata una misurata e intelligente competitività dei mercati europei a tutto beneficio dei cittadini.
Il tema della concorrenza e della sua tutela e promozione viene affrontato anche in relazione alla separazione funzionale della rete degli incumbent. Abbiamo proposto che la misura sia da definire come rimedio eccezionale, qualora gli strumenti di regolamentazione ordinaria del mercato non si fossero rivelati efficaci.
Alla luce di tutte queste esigenze e delle nuove necessità di regolamentazione che scaturiscono dallo sviluppo delle reti a banda larga, vediamo con favore il rafforzamento del board europeo delle autorità, al fine di ottenere quel livellamento e coordinamento della regolamentazione dei mercati nazionali oggi assente, nel tentativo di evitare che il board si trasformi però in una vera e propria autorità europea di regolamentazione.
L'ultima proposta di revisione della direttiva accesso prevede, inoltre, che gli investimenti fatti dagli operatori, specialmente nelle reti di futura generazione, siano condivisi dalle imprese che usufruiscono dell'accesso. Su questo punto è necessario lavorare per trovare il meccanismo di condivisione più virtuoso per lo sviluppo di queste reti.
Quel che è vero è che assistiamo a un rallentamento globale in Europa degli investimenti in nuovi servizi e nelle reti Telecom, e che, per questa ragione, è necessario stimolare il mercato intervenendo con competenza e puntualità. Osserviamo


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un trend preoccupante per la competitività dell'Europa, già deficitaria nella realizzazione delle reti a banda larga ad alta velocità e nell'offerta ai consumatori di servizi fissi, mobili e Internet, qualitativamente elevati e realmente concorrenziali.
L'intervento del Governo italiano contenuto nel disegno di legge n. 1441 - quello che sarà presentato alle Camere verso il 15 ottobre e che vi illustrerò nella risposta al prossimo quesito - si pone come riconosciuto senza indugio all'avanguardia in Europa, recependo nel modello della public private partnership i princìpi finanziari più evoluti in materia di sostegno agli investimenti infrastrutturali di settore.
La seconda domanda che ci avevate posto riguarda i modelli di investimento, anche in relazione al ruolo ricoperto dal settore pubblico, che potranno sostenere il mercato verso lo sviluppo di reti di nuova generazione, la collaborazione tra operatori di telefonia, i rapporti di partnership con fornitori di apparati e fornitori di contenuti, e via elencando.
Il nostro modello di investimento dovrà tenere conto delle seguenti variabili. Innanzitutto, in Italia il livello di penetrazione di infrastrutture a banda larga varia da regione a regione e persino all'interno dei singoli comuni si registrano disomogeneità. Si tratta di un dato che non sorprende: il mercato evolve naturalmente verso soluzioni sempre più avanzate che richiedono, d'altra parte, investimenti che ne circoscrivono la reale disponibilità alle aree più remunerative. Si creano, in tal modo, delle zone che rimangono ancorate alla generazione tecnologica precedente, definendo di volta in volta nuovi parametri di classificazione del divario digitale.
In secondo luogo, il tasso di incremento di tale penetrazione è basso. Secondo l'ultimo rapporto OCSE, del dicembre 2007, con 15,9 connessioni a banda larga ogni cento abitanti, su una media europea a 27 membri del 18,2 per cento, l'Italia si colloca al ventunesimo posto nella classifica OCSE, che vede ai primi posti, in termini di penetrazione, Danimarca, Paese Bassi, Svizzera, Corea del sud, Norvegia, Islanda, Finlandia e Svezia. L'Italia, appunto, paga lo scotto della mancanza di infrastrutture alternative alla ADSL.
La penetrazione della fibra ottica è ferma allo 0,4 contro il 4,7 della Svizzera, il 9,2 della Corea, il 7,6 del Giappone, ed è lenta la crescita della banda larga che nel 2007 è aumentata del solo 2,73, calcolato sul 16 per cento di cui sopra, su una media OCSE del 3,75. Inoltre, Paesi come Finlandia, Germania e Svezia dimostrano una capacità di crescita almeno doppia.
Lo sviluppo della rete in fibra è frenato, poi, dal costo di implementazione, che nel caso delle reti di nuova generazione è decisamente troppo alto perché possa essere affrontato da un solo operatore o solo mediante interventi diretti da parte dello Stato. La stima più attendibile del costo di una rete NGN è di circa 10 miliardi di euro, per completare i collegamenti in fibra ottica fra dorsale e gli stadi di linea, e fra questi e la stragrande maggioranza delle case degli italiani.
La rivoluzione tecnologica che vogliamo mettere in atto è imponente e per questo abbiamo definito un modello di investimento solido e moderno, almeno così crediamo noi. Lo Stato finanzierà come punto di partenza circa il 10 per cento del capitale necessario per tale impresa, ma auspichiamo che sia solamente l'inizio. Questo 10 per cento verrà speso secondo il modello di gara su reti aperte nell'ottica della public private partnership, definita come il meccanismo più virtuoso per innescare, produrre e moltiplicare il valore di progetti di investimento di tipo infrastrutturale. Questo modello è contenuto nell'articolo 14 del disegno di legge n. 1441, che è stato presentato il 2 luglio 2008, per attuare il programma di interventi infrastrutturali nelle aree sottoutilizzate. Si tratta dello sviluppo di un sistema aperto, di reti di comunicazione elettronica pubbliche e private volte alla fornitura di servizi avanzati di informazione e comunicazione in tutto il Paese. Ci si avvarrà della tecnica del project financing con una dotazione di 800 milioni di euro


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per il periodo 2008-2013 a valere sui fondi FAS. Questi 800 sono stati già deliberati il 2 aprile del 2008.
Appare qui utile riepilogare e precisare che le modalità di intervento pubblico previsto dal disegno di legge rispetteranno i princìpi regolamentari e normativi che la Commissione europea ha enunciato ed in seguito richiamato: gara aperta; accesso facilitato in modalità wholesale; effetti sui fornitori e sugli operatori delle strutture esistenti; limitazione delle distorsioni di concorrenza e degli effetti sugli scambi, in modo tale che il bilancio globale sia positivo; limitazione della discrezionalità a livello tariffario; neutralità tecnologica e previsione di un meccanismo di recupero da parte dello Stato degli utili in eccesso (clawback).
L'idea che lo Stato italiano, come ha fatto nel passato, possa intervenire direttamente sul mercato avvalendosi di società come Infratel, che costruiscono tratti di rete poi affittati, appartiene ad un modello che non sempre può riuscire ad ottimizzare le risorse disponibili. La logica di intervento deve essere diversa, se vogliamo realizzare una rete all'avanguardia che comporti un valore aggiunto per tutti i consumatori finali in termini di servizi, possibilità di utilizzo e prezzi.
Il piano di intervento attuato nella precedente legislatura era di modesta entità, disomogeneo e non rispondente alle ben più urgenti e complesse esigenze dello sviluppo delle reti di nuova generazione. Ci tengo a sottolineare che comunque garantiremo l'utilizzo delle risorse già stanziate per Infratel - sono confermati gli stanziamenti di 80 milioni di euro della legge finanziaria e dei 175 milioni del CIPE - e la continuità con gli accordi di programma stipulati tra novembre 2007 e aprile 2008 con alcune regioni italiane, che saranno portati a termine entro due anni, come indicato dai relativi bandi.
Il nostro impegno anche in questo caso sarà massimo affinché questi progetti siano realizzati al meglio, valorizzandoli ed integrandoli nel nostro piano di intervento.
Non dimentichiamo, inoltre, il recente e decisivo intervento del Governo sulla possibilità di posa delle fibre ottiche nel Paese. Il Governo infatti, come ricorderete, ha definito nel decreto-legge, poi convertito in legge, un intervento organico che va dalla semplificazione della disciplina generale della concessione dei diritti di passaggio, abolendo qualsiasi diritto speciale ed esclusivo, fino alla previsione delle opportune modifiche al codice civile che favoriscano la posa di cavi e di infrastrutture avanzate di comunicazione all'interno dei condomìni, anche attraverso specifiche agevolazioni tributarie.
L'intervento individuato prevede anche l'istituzione di un regime agevolato per l'utilizzo del suolo pubblico che non ostacoli gli investimenti in reti a banda larga, prevedendo nelle aree sottoutilizzate la gratuità per un congruo periodo di tempo dell'utilizzo del suolo pubblico per la posa di cavi e infrastrutture a banda larga. Abbiamo dovuto anche difendere a lungo questo provvedimento che è stato attaccato da più parti, perché molti avrebbero voluto che non fosse limitato solamente alla messa in opera della fibra.
Oggi, dunque, è molto più facile posare fibra nel Paese, dagli interventi in strada fino alle case dei cittadini. Crediamo che ciò sarà un elemento decisivo nello sviluppo di questo settore, come il mercato e la stessa autorità avevano più volte sottolineato.
Le nostre intenzioni sono quelle di ampliare ulteriormente le risorse dedicate alle infrastrutture di rete a banda larga; ci stiamo lavorando, seguendo la logica di investimento indicata e avvalendoci della costituenda task force per lo sviluppo di reti di nuova generazione. Avevo già dato questo annuncio in occasione dell'audizione del 17 luglio scorso presso le Commissioni riunite, anche se poi durante l'estate non è stato possibile formalizzarlo; lo faremo nei prossimi giorni.
Sarà il gruppo di lavoro che detterà gli indirizzi tecnici ed economici relativi a tutte le attività finalizzate allo sviluppo dell'NGN nel territorio nazionale. Inoltre, terrà conto del monitoraggio e della rilevazione


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della domanda di servizi da parte dell'utenza, e in particolare dei cittadini, singoli e associati, delle famiglie, delle imprese, delle pubbliche amministrazioni. In questa sede sarà decisivo il contributo di tutti gli operatori del settore, che saranno chiamati a dare un contributo fattivo per la riuscita di questo grande progetto.
Vogliamo ampliare decisamente il numero dei soggetti coinvolti e non solo gli operatori di settore, il cui ruolo è ovviamente decisivo, ma anche i manifatturieri della ICT, i broadcaster, le grandi aziende di servizi del Paese, come Poste e Ferrovie dello Stato che già hanno dato un assenso a questo tipo di progetto e hanno anche degli asset molto importanti che possono dedicare a questo obiettivo. Dobbiamo, infatti, individuare insieme i termini e le modalità del contributo di ciascuno al progetto di investimenti illustrato.
Quello di public private partnership è un modello flessibile. L'obiettivo è quello di svilupparne la portata in modo da innescare una remunerazione degli investimenti tale da facilitare l'intervento degli operatori nella costruzione delle nuove reti. Il compito del Governo non è quello di sostituirsi agli operatori, bensì quello di creare condizioni politiche ed industriali che massimizzino le opportunità per i cittadini e per le imprese.
Il terzo quesito che il presidente ci aveva posto riguardava il ruolo che potrà giocare lo sviluppo di reti di nuova generazione in relazione al problema del cosiddetto digital divide e l'analisi di come i piani di investimenti in NGN, siano essi fissi o mobili, potranno far fronte al divario di connettività di alcune aree del Paese.
Per indirizzare al meglio i piani di investimento in NGN, è necessario innanzitutto comprendere puntualmente cosa sia il digital divide. Sappiamo che il tema è legato all'indisponibilità di infrastruttura a banda larga e deriva da una molteplicità di fattori, in particolare dalla morfologia del territorio e dalla ridotta densità di popolazione, che spesso si riscontra nelle zone rurali e marginali del Paese. Tali condizioni influenzano investimenti in infrastrutture di telecomunicazione a banda larga da parte degli operatori del settore non solo nel breve, ma anche nel medio e lungo periodo, compromettendo la sostenibilità degli investimenti a causa della mancanza di massa critica in termini di mercato potenziale e di mercato aggredibile. Sono le cosiddette zone a market failure, a fallimento di mercato, sulle quali siamo costretti a intervenire.
Occorre però approfondire ulteriormente il concetto di divario digitale, che non è immobile nel tempo. Ciò che oggi per molti utenti costituisce una soddisfacente velocità di accesso alla rete si rivelerà insufficiente con l'evoluzione dei servizi. Il divario digitale è dunque un concetto dinamico, strettamente collegato alla diffusione del processo tecnologico. Convenzionalmente, dunque, si parla di generazioni di tecnologie: l'ADSL fino a 2 Mb è la prima generazione; l'ADSL fino a 7 è la seconda; la terza è la banda larga fino a 20 Mb, la quarta è la fibra ottica nelle case, le famose NGN network, con capacità fino a 100 Mb (quelle giapponesi, per intendersi).
Il mondo evoluto è già proiettato verso la quarta generazione e prima o dopo dovremo arrivarci. Lo scenario appena descritto appalesa come per risolvere definitivamente il problema del digital divide sia necessario arrivare allo sviluppo delle reti di nuova generazione. Nella pratica, i fondi residui assegnati a Infratel saranno concentrati su due punti del divario digitale: nelle aree di prima generazione sprovviste anche dell'accesso di base a 2 Mb, nei collegamenti di reti intermedi, ossia il collegamento in fibra tra la dorsale e gli stadi di linea propedeutico allo sviluppo delle NGN, realizzabile anche ricorrendo a tecnologie wireless. Il Wi-Max, per esempio, rappresenta un valido strumento più economico della fibra in alcune realtà periferiche a bassa densità abitativa.
L'altro obiettivo intermedio sul quale stiamo lavorando riguarda il divario digitale di prima generazione. Secondo i dati comunicati da Telecom Italia, gli interventi necessari a colmare il primo digital divide


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che permetta a quasi tutta la popolazione di essere raggiunta dall'ADSL di prima generazione e che sono già stati pianificati, hanno come traguardo il 2010, attrezzando con dispositivi a banda larga circa 9.700 delle 10.400 centrali esistenti, pari al 98,5 per cento della popolazione.
Questa percentuale sembra in contraddizione con quella del 15,9 degli italiani agganciati alla banda larga, laddove nel 2010 si raggiungerebbe già la banda larga di prima generazione per il 98 per cento della popolazione. Questo significa che c'è una scarsa comunicazione di questa tecnologia, per cui non tutti gli italiani si collegano, e una scarsissima alfabetizzazione informatica della popolazione italiana, per cui, pur avendone la possibilità, spesso questo non accade. Il problema quindi non consiste solo nella necessità di investire sulle NGN, che consentono di arrivare ai famosi 50 Mb, ma anche di alfabetizzare il Paese rispetto alle possibilità. È ovvio che, se tutti si collegassero alle reti di prima generazione di basso livello, l'affollamento creerebbe un ingorgo che ci obbligherebbe a passare immediatamente alla generazione successiva.
Si comprende quindi come le strategie di intervento che questo Governo sta attuando abbiano una duplice valenza nel breve e lungo periodo. Un progetto così ambizioso come la realizzazione di reti di nuova generazione e un utilizzo più efficace ed efficiente di quelle esistenti non può che far parte di un progetto di intervento articolato e complesso, al quale contribuiscono le migliori competenze del Paese.
È interesse del Paese non rompere il circolo virtuoso competizione-investimenti-innovazione, che si è sviluppato all'inizio del decennio e che deve essere incentivato attraverso un intervento flessibile, che elegga a protagonista la tecnologia a fibra ottica.
L'ambizione di questo Governo, come vedete, è elevata: arrivare a uno sviluppo rapido dell'NGN significa cogliere le opportunità offerte dalla banda larghissima per le nuove reti - altrimenti rischieremmo di essere tagliati fuori dal mondo - fare innovazione, essere all'avanguardia, difendere e potenziare le nostra capacità e le nostre presunte virtù. Sappiamo dunque che, qualunque sia il modello di business vincente, esso avrà comunque bisogno di grandi capacità trasmissive. Le reti NGN garantiranno la convergenza di tutte le reti su protocollo Internet, ponendo i protagonisti del mondo ICT di fronte a sfide nuove, a beneficio dei cittadini che si sentiranno parte della società dell'informazione.
Fra le nuove opportunità offerte saranno presenti i servizi per le aziende e le pubbliche amministrazioni, il cui ruolo e impegno sarà vitale per lo sviluppo di queste reti (scaricare modulistica, inviare documenti, sfruttare la telemedicina, ottimizzare il traffico automobilistico, controllare e limitare gli accessi nei centri storici, gestire i parcheggi, pagare in mobilità, ottimizzare i costi delle chiamate telefoniche fisse e mobili, usare la telepresenza favorendo il telelavoro o il lavoro collaborativo).
L'obiettivo finale è dunque quello di incidere in modo definitivo sullo sviluppo di banda larga in Italia e sul digital divide, concertare un'azione che preveda un importante dispiegamento di risorse pubbliche in concorso con le risorse di tutti gli operatori privati che intervengono nel settore, in modo da portare entro il 2013 tutto il Paese ad avere la possibilità di un collegamento alla rete di terza o quarta generazione collocandolo probabilmente all'avanguardia dell'innovazione della tecnologia di tutto il mondo.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PAOLO GENTILONI SILVERI. Vorrei innanzitutto ringraziare il sottosegretario Romani per averci fornito un quadro su uno dei temi prioritari della modernizzazione dell'Italia e in generale dei Paesi più avanzati e industrializzati, tema cruciale su cui vorrei evitare equivoci. Vedo infatti il rischio di qualche equivoco nell'impostazione che ho ascoltato dal Governo.


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Il sottosegretario Romani ha descritto l'attuale situazione dell'Italia in questa vicenda. Abbiamo una discreta rete di rame e nel mondo degli addetti ai lavori si rileva una profonda divergenza di opinioni, laddove alcuni prefigurano un gran futuro per la rete in rame ritenendo che questa sia rafforzata dall'ADSL Plus e che si possa andare ancora parecchio avanti.
Il livello di collegamenti a banda larga da telefonia fissa è invece ancora piuttosto arretrato. Questo dato deriva però anche dal modo in cui l'Unione europea finora ha raccolto le statistiche in questo campo, considerando solo i collegamenti a banda larga fissa. Dal prossimo anno l'Unione europea comincerà a esaminare anche i collegamenti a banda larga mobile e allora ci accorgeremo non solo che il nostro divario non esiste, ma che siamo fra i Paesi più avanzati in Europa per quanto riguarda i collegamenti alla banda larga non da rete fissa, ma da rete mobile, come sperimentiamo collegandoci con il computer o il telefonino alla banda larga in assenza di un collegamento attraverso la rete fissa.
Non è un problema solo italiano. Sull'ultimo numero pubblicato da The Economist si cita un dato che riguarda la Cina, che da sei mesi ha superato gli Stati Uniti come Paese con più collegamenti ad Internet. Il 37 per cento di questi collegamenti in Cina sono da banda larga mobile.
In merito alla banda larga, quindi, per quanto riguarda i collegamenti da rete fissa, la situazione non è positiva. La fibra ottica è presente solo in poche zone del Paese. Una rete non sostituisce l'altra, perché la possibilità di usare i collegamenti da rete mobile dipende dalla densità degli utilizzatori. In alcune aree del Paese, almeno per ora è indispensabile la fibra, che non viene sostituita né dal mobile né dal Wi-Max.
Abbiamo un elevato livello di digital divide, ovvero l'impossibilità di collegarsi a Internet, esperienza che credo sia capitata a molti di noi, per esempio, in una seconda casa. Parlo di seconda casa da romano, ma in molte zone del Paese, ahimè, la condizione permanente è quella in cui non vi è copertura e - attenzione - questo accade più al nord che al sud; è una delle poche materie in cui non c'è il classico divario nord-sud. La regione più in difficoltà nel nostro Paese, in termini di digital divide, è il Piemonte, per ragioni ovvie: la dispersione del segnale, l'elevato numero di piccoli comuni, le centrali Telecom che non arrivano ovunque. Quindi noi abbiamo, tutto sommato, una buona rete di rame, anche se non ci garantisce il futuro; siamo indietro con la fibra ottica e con i collegamenti alla rete fissa; abbiamo un buon mercato di telefonia mobile, anche dal punto di vista tecnologico, che quindi ci consente di recuperare un po' di quel ritardo, grazie alla rete mobile; abbiamo grossi problemi di digital divide, legati anche alla conformazione del nostro territorio.
La ragione per la quale, ad esempio, la Puglia sta molto meglio, in termini di digital divide, del Veneto e del Piemonte, non è data dal fatto che improvvisamente la Puglia è più ricca di quelle due regioni, ma perché, come diceva il deputato Barbareschi, è più piatta, quindi ha dorsali e collegamenti molto più facili.
Sottosegretario Romani, noi dobbiamo fare molta attenzione a non confondere due temi che pure, ovviamente, hanno elementi in comune. C'è una questione che chiamiamo digital divide e c'è un'altra questione che chiamiamo rete di prossima generazione. Un conto è assicurare a tutte le zone del Paese la possibilità di entrare in rete; altro - anche se, come ho detto, ci sono dei punti tecnici e di contatto tra le due questioni - è la scommessa sulle reti di prossima generazione, da quelle da 100 mega in su.
La sfida che coinvolge i Paesi più ricchi e industrializzati riguarda queste due partite. Ho visto, lo devo dire sinceramente, nell'esposizione del Governo, il rischio di una confusione che sintetizzo estremizzandola come segue: cosa raccontiamo a quel 35 per cento di comuni italiani - perché non si tratta solo di tre comuni; certo, tra gli 8 mila comuni italiani ve ne sono tantissimi di molto piccoli e questo


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35 per cento riguarda in gran parte questi ultimi - nei quali non ci si collega a Internet, né col rame, né con altro?
È vero che questo riguarda meno del 10 per cento della popolazione, ma più di un terzo del territorio. Che cosa raccontiamo, quindi? Che al centro di Milano o di Roma supereremo i 100 mega? Io penso che - e da qui anche la nostra critica alle prime decisioni assunte, che sono state purtroppo di definanziamento, anche se ho apprezzato, nelle parole del sottosegretario Romani, l'impegno a rimediare a questa operazione - siano necessari degli interventi più urgenti che riguardino la copertura elementare dell'accesso alla banda larga, nelle situazioni di digital divide.
Colleghi, noi, come Paese, abbiamo due priorità. Innanzitutto, dobbiamo considerare l'accesso alla rete come un servizio universale, discorso che ci siamo ripetuti più volte e che io richiamo in questa sede. Non è possibile in un Paese come l'Italia, nel 2008 e negli anni a seguire - il Governo precedente si era dato come obiettivo il 2011 - che una comunità non abbia l'accesso alla rete Internet. Ci possono essere delle microeccezioni, ma in generale, così come nel secolo scorso abbiamo conosciuto dei servizi universali, ed era inconcepibile che una comunità non avesse l'acqua potabile, o la luce elettrica, nel nuovo secolo il servizio universale è l'accesso ad Internet. Oggi, infatti, la popolazione di un comune del cuneese o del bellunese, che non ha in alcun modo la possibilità di accedere ad Internet, soffre di un divario economico, sociale e culturale inaccettabile. Questo, dunque, è il primo obiettivo che dobbiamo avere, ed è il primo perché dipende effettivamente da noi. Qui non c'è regolamentazione europea che tenga e i soldi pubblici - e non stiamo parlando di miliardi di euro da investire - sono in grado di colmare questo digital divide in tempi realistici.
Non bisogna agire, come purtroppo ha fatto il Governo appena insediato, mosso dalla necessità di trovare delle coperture al decreto-legge di abolizione dell'ICI. Voi sapete, infatti, che i 50 milioni previsti per questo obiettivo, cioè l'eliminazione del digital divide nei comuni e nelle aree cosiddette a fallimento di mercato, ovvero quelle totalmente scoperte, sono stati tolti per contribuire alla copertura del decreto sull'abolizione dell'ICI. Questo ha bloccato gli accordi con alcune regioni. Ho sentito l'onorevole Romani - e mi fa piacere - dire che, invece, il Governo intende mantenere questi impegni, anche perché si tratta di accordi sottoscritti che non possono saltare col cambio di Governo.
Quel modello per me era importante, perché attraverso quegli accordi il Governo in un certo senso svolgeva una determinata funzione - giustamente l'onorevole Romani la rivendicava anche in relazione alla misura di semplificazione della posa della fibra - ossia quella di fare da cabina di regìa. Da quando, infatti, il tema della banda larga, giustamente, è diventato un'esigenza avvertita dalla nostra comunità, soprattutto dai giovani e da molti residenti, noi abbiamo un proliferare di iniziative: province, regioni e addirittura comuni fanno piani di copertura in banda larga. Alcune città, come Reggio Calabria, hanno una rete in fibra ottica, tendente a due, generalmente non molto utilizzate e magari realizzate in passato con investimenti pubblici. Adesso vengono utilizzate per telecamere, video, tutti servizi comunque utili. Con quegli accordi il Governo fungeva da cabina di regia.
Il primo punto, quindi, è quello di rimettere al centro - e mi auguro che il Governo lo recuperi - l'obiettivo del Governo precedente, ovvero quello di dare alle regioni (che a loro volta davano il loro contributo) una somma per realizzare entro il 2011 la banda larga e rendere l'accesso ad Internet un servizio universale. È un diritto, non è un optional. Si deve poter avere il diritto di accedere alla rete.
C'è, poi, la seconda questione, sulla quale concludo, che riguarda la prospettiva di una connessione molto più forte. Vi risparmio il dibattito mondiale - vi faceva cenno l'onorevole Romani - che è molto articolato. Chi ha preso la situazione più di petto sono stati i giapponesi, con il


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progetto di 50 miliardi di dollari. All'estremo opposto c'è il modello anglo-americano, anzi prevalentemente americano, in base al quale tutto il problema è lasciato al mercato, senza che lo Stato ci metta un soldo. La competizione avviene tra diversi operatori privati, alcuni dei quali sono anche impegnati nella TV via cavo e quindi interessati allo sviluppo della fibra anche per questa ragione. Infine, c'è il modello europeo che è storicamente una via di mezzo, il che significa che noi non facciamo crash program come quelli giapponesi, anche perché l'Unione europea non lo consente. L'Unione europea consente l'utilizzo di fondi pubblici soltanto in due casi: verso aree a fallimento di mercato, quelle in cui nessun operatore telefonico arriverebbe mai a mettere la fibra, oppure, attraverso i fondi tipo FAS, verso aree a minor tasso di sviluppo.
Noi ci muoviamo all'interno di questo modello e credo che non possiamo illuderci di poter «fare i giapponesi» (una volta si cantava: «Tu vuo' fa' l'americano»): innanzitutto perché il Paese non ha i fondi necessari e poi perché le regole europee non lo consentono. Dobbiamo essere consapevoli di come questo sia un obiettivo industriale strategico per il Paese e non abbia la stessa natura dell'altro obiettivo, che riguarda un diritto, un servizio universale, cui tutti devono poter accedere. Avere almeno in alcune aree fondamentali del Paese e potenzialmente dappertutto - questo è naturalmente più difficile - connessioni sopra i 50 o addirittura fino a 100 Mb costituisce un obiettivo su cui l'Europa è ovunque piuttosto indietro, giacché nessun Paese europeo ha raggiunto l'obiettivo sull'NGN (non dobbiamo confondere il collegamento in banda larga con le reti da 100 Mb ed oltre).
L'uso dei fondi FAS era previsto dal Governo precedente (si consideri che oggi il Ministero per lo sviluppo economico e quello delle comunicazioni sono la meme chose). Tuttavia quei fondi possono essere utilizzati da una parte tenendo conto della regola europea (aree a fallimento di mercato) e dall'altra parte per le aree meno avvantaggiate del Paese. Non è quindi immediato il collegamento tra la possibilità di usare quei fondi nelle aree meno avvantaggiate e l'utilizzo per obiettivi industriali tipici delle aree più sviluppate.
Oggi, infatti, hanno bisogno di un collegamento a banda larga con più di 100 mega le aree più ricche, più avanzate e più industrializzate. Non ci si deve illudere quindi di poter dare al problema dell'NGN una soluzione di tipo «giapponese». Dobbiamo percorrere il modello europeo, che si basa sulla capacità del Governo di dare un indirizzo e sul protagonismo delle imprese.
Lo stesso sottosegretario Romani cita cifre - che poi sottostanno a quei vincoli di destinazione europei e propri dei fondi FAS - che a suo dire corrispondono a circa il 6-7 per cento di quelle che servirebbero per realizzare l'operazione. Ebbene, dobbiamo sapere che il restante 90-92 per cento dipende da alcuni soggetti, il principale dei quali è Telecom, che ha qualche difficoltà.
A tale proposito ho trovato carente, sottosegretario Romani, la sua esposizione circa l'altro nodo. La via europea si basa fondamentalmente su forze di mercato e regolazione, ovvero le regole che le authority danno per consentire alle imprese di avere un ritorno dei propri investimenti e quindi rendere conveniente un investimento ingente come questo da 10-15 miliardi nei prossimi anni.
Questo riguarda il tema del destino della rete Telecom, della sua eventuale separazione funzionale, sulla quale il precedente Governo, per le sue competenze che sono puramente di indirizzo su questa materia, si era mosso, della dialettica tra Authority e Telecom, che mi sembra abbia subìto un ridimensionamento, giacché gli impegni assunti dalla Telecom sono piuttosto riduttivi rispetto alla «fanfara» con cui si era cominciato a discutere in merito a questa vicenda.
Ho letto che il Presidente della nostra Commissione ha fatto riferimento alla necessità di rilanciare il tema dell'autonomia della rete, ma nelle nostre mani, colleghi,


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abbiamo certamente la lotta al digital divide e l'accesso ad un servizio universale. Da questo punto di vista critico il primo passo indietro fatto dal Governo, augurandomi che non ne seguano altri e che si recuperi l'obiettivo di eliminazione del digital divide entro il 2011.
Il tema del destino della rete, invece, non è del tutto nelle nostre mani, perché dipende dalle dinamiche del mercato. Rispetto ad esso, però, il regolatore deve compiere la scelta fondamentale sul destino della rete, piuttosto che quella sull'opportunità di investire o meno alcune centinaia di milioni di fondi FAS.

AURELIO SALVATORE MISITI. Non posso che ringraziare il sottosegretario Romani per l'esposizione e le risposte che ha dato ai tre quesiti posti dalla Commissione. Sono anche convinto che la questione, come posta in queste risposte, sia trattata nel senso di una comunità di intenti già presente anche con i precedenti Governi.
Ritengo che la volontà di ripristinare le somme per gli investimenti sottratti con il provvedimento sull'ICI sia un punto estremamente importante, come quello di voler attuare gli accordi di programma sottoscritti in precedenza con varie Regioni.
Le osservazioni formulate dal rappresentante del gruppo del Partito Democratico Gentiloni sono del tutto condivisibili, soprattutto per quanto riguarda la necessità di dotare tutto il Paese dell'accesso a Internet. Mi sembra, infatti, che questa rappresenti una delle cause di arretratezza di alcune zone del nostro Paese. Pertanto, sono assolutamente d'accordo.
Ritengo però che il nostro territorio abbia bisogno di un approfondimento su queste materie. Bisogna superare le discussioni propagandistiche e capire perché anche le zone più avanzate dal punto di vista del PIL e dello sviluppo presentino queste difficoltà. Ciò dipende dalla conformazione, dalle piccole dimensioni di alcuni comuni ubicati soprattutto in alcune regioni anche del Nord. Questo spiega anche perché la banda larga da rete mobile si sia sviluppata maggiormente.
Temo però che in quei casi ci sia scarsa possibilità di regolazione. Abbiamo infatti constatato come qualunque servizio in quel settore sia più oneroso rispetto alla media dei costi europei, nonostante che la nostra Authority sia abbastanza vigile. Non ho ben compreso l'affermazione, resa nel rispondere ad uno dei punti posti, secondo cui il pericolo relativamente alle varie authority, anche laddove taluni Paesi non hanno un'autorità, sarebbe costituito dalla possibilità che il board europeo, che potrebbe nascere e che forse è già nato, si trasformi in una vera e propria autorità europea di regolamentazione. Vorrei capire la ragione per cui la regolamentazione di carattere europeo nel campo dell'authority costituirebbe un pericolo. Mi sembra strano voler privilegiare la differenziazione delle authority, laddove ormai è in atto un'effettiva globalizzazione in materia non solo in Europa, ma anche nel mondo.
Il board si dovrebbe realizzare tra quella del Giappone, degli Stati Uniti e dell'Europa. L'Europa, secondo me, dovrebbe agire in termini omogenei, quindi non vedo questo grande pericolo in un'autorità europea di regolamentazione. Probabilmente, però, ci sono ragioni non esposte e che non conosco. In tal caso, se l'onorevole Romani riferisse in proposito, potrei anche convincermi.
L'ampio intervento del rappresentante del gruppo del Partito Democratico, che condivido, può rappresentare anche un aiuto e una spiegazione di alcune parti di questa relazione. Voglio solo aggiungere che probabilmente converrebbe ascoltare - forse tali audizioni sono già in programma - l'Authority, gli operatori principali, in modo da scavare in questo mondo e vedere se effettivamente si può arrivare all'obiettivo di rendere il nostro Paese, nonostante l'orografia e le difficoltà di alcune zone svantaggiate, in grado di affrontare questo secolo ad armi pari e con gli stessi strumenti degli altri Paesi.
Penso che andando avanti in questa direzione, lavorando al di sopra delle fazioni politiche e delle strumentalizzazioni, possiamo portare un contributo effettivo al nostro Paese.


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LUCA GIORGIO BARBARESCHI. Innanzitutto devo fare i complimenti all'onorevole Romani per la sua presentazione. Nell'ultimo incontro avevo posto delle domande relative ai contenuti, che non sono fuori tema, ma sono la conseguenza di tutto questo operato. Noi continuiamo ad avere un fortissimo ritardo, soprattutto nella RAI, su tutto il lavoro riguardante i contenuti, ossia ciò che andrà sulle strade della comunicazione. È una preoccupazione grandissima perché, se non aiutiamo il Paese a sviluppare l'industria dei contenuti, ci troveremo, in futuro, a vedere veicolati - così come lungo le autostrade vediamo solo veicoli stranieri - sulle info highway solo prodotti stranieri, con un impatto culturale devastante per la storia di questo Paese.
Questo significherà, non solo nel cinema o nella fiction, ma anche nel campo dell'infotainment, dell'edutainment e di qualsiasi forma di commistione e di condivisione di prodotti, che agiranno solo le lobby straniere con dietro grossi gruppi religiosi diversi. Basti pensare che oggi le più grandi società di software sono in India e in Giappone. I contenuti, come tutti sappiamo, sono pieni di messaggi subliminali molto forti: basti pensare all'impatto che i cartoni animati giapponesi hanno sui nostri figli.
Nessuno parla mai dei contenuti. Mi sembra che il progetto sia straordinario e, come osservava anche l'ex Ministro Gentiloni, tenga anche conto delle possibilità del Paese. Abbiamo avuto un incontro con i parlamentari della Dieta giapponese che hanno prospettato cose straordinarie, da noi non ripetibili. Vedo, però, una totale assenza sui contenuti; vedo un totale ritardo sulla riforma della RAI, e questo fa sì che l'azienda pubblica, quella più importante di questo Paese nel settore - checché se ne dica, il ruolo della televisione pubblica sta avendo, anche nel resto d'Europa, una funzione determinante - sia lasciata completamente allo sbando. La crescita dei produttori di contenuti italiani è inibita da questo stallo.
D'altra parte, lasciamo ampio spazio, spesso non rispettando neppure le regole europee, a gruppi stranieri importanti, che entrano in questo Paese e creano situazioni ambigue, con una distribuzione di prodotti imbarazzanti dal punto di vista dei contenuti. Penso che questo Governo, in generale, abbia una responsabilità non solo tecnologica, ma anche morale ed etica rispetto a quello che sarà il futuro di questo Paese nei prossimi venti-trenta anni. Sicuramente gli effetti della demenza di ciò che passa in televisione o su Internet non lo vedremo noi, ma i nostri figli. E qualsiasi azione dei ministeri che si occupano dell'educazione dei nostri figli e dell'innovazione culturale - penso, ad esempio, ai Ministri Bondi e Gelmini - sarà vanificata dal numero di ore che i nostri ragazzi passeranno guardando i prodotti sui nuovi media, su tutte le piattaforme, ad esempio l'IPTv. Del resto, conosciamo tutti quali saranno i nuovi meccanismi distributivi.
La volta scorsa avevo chiesto al sottosegretario Romani di essere sensibile su questo tema. Se noi non ci riappropriamo dei contenuti, saremo «produttori di nulla», casellanti delle strade della comunicazione, con ricadute molto negative.
Recentemente il Papa ha espresso osservazioni a questo proposito. Naturalmente qualcuno ne ha subito approfittato - ad esempio Casini - cercando di ricavare un piccolo fatturato politico, leggendo in queste considerazioni un attacco ad personam a Berlusconi. Il vero problema è quello dei contenuti. Qualsiasi legge sulla riforma universitaria è vanificata. I ragazzi stanno a casa a navigare per ore su Internet, a guardare la televisione, ancora quella generalista (checché se ne dica, ha un margine molto grande, anche nell'età di 14 anni), e la responsabilità è enorme.
Ai fini di una riforma dinamica ed economica, se il nostro modello è degradato, non possiamo sperare di avere una nuova classe dirigente che, dal punto di vista etico, formale e della conoscenza, sia capace di tenere in mano le redini di questo Paese. Diventa difficile il lavoro delle famiglie quando a casa si trovano a combattere contro una iper-comunicazione devastante. Non pensiamo alle élite,


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ai grandi centri come Milano e Roma, alle famiglie di fascia medio-alta, bensì alla gente meno preparata, più indifesa a questi attacchi.
Credo che il Governo abbia questa grandissima responsabilità. Tanti anni fa qualcuno - si chiamava McLuhan - ha detto che la televisione avrebbe trasformato il mondo in un gruppo di scimpanzé aggressivi e privi di coscienza. Questo sta lentamente avvenendo, basta osservare la gestione dell'informazione. Noi dobbiamo sviluppare anche l'aspetto critico, perché la democrazia può funzionare solo se sviluppiamo l'analisi critica delle nuove generazioni. L'illusione di poter creare una generazione di «fessi», che subiranno questi contenuti, creerà grandissimi problemi nel futuro.
Il Ministro dell'interno tedesco qualche mese fa ha dichiarato che nei Paesi dove c'è teatro, dove funzionano le istituzioni alte dal punto di vista culturale si è abbassato il livello di criminalità. Vi prego di tener conto di queste cose.

SANDRO BIASOTTI. Signor presidente, intervengo brevemente per complimentarmi con l'onorevole Romani per la sua relazione che ha chiarito molti punti di una materia per me difficile. Mi sembra, peraltro, che sia stata abbastanza condivisa anche negli interventi del Ministro Gentiloni e del collega Misiti. Le uniche obiezioni mosse, che condividiamo anche noi, riguardano il taglio di una parte del finanziamento.
Tuttavia, sottolineerei anche un altro aspetto ben evidenziato nella relazione, ossia che nell'ultimo provvedimento in materia finanziaria approvato ad agosto sono stati sanciti l'abolizione di qualunque diritto speciale esclusivo, la facilità di poter posare cavi e fibre ottiche, l'utilizzo del suolo pubblico, il superamento di vincoli che qualsiasi condominio poteva porre. Credo che questo passo sia molto più importante dei 50 milioni di euro in meno e indichi la chiarissima volontà del Governo di proseguire verso l'indispensabile alfabetizzazione informatica in tutto il nostro territorio, importante non solo per lo sviluppo economico, ma per la vita quotidiana in generale.
Signor Ministro, nel rinnovarle i complimenti, ribadisco che siamo al suo fianco.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al sottosegretario Romani per una breve risposta, soprattutto al quesito posto dall'onorevole Misiti, ricordo che domani è prevista l'audizione del Ministro Matteoli e a seguire l'ufficio di presidenza, per valutare insieme il calendario, che ricalcherà l'impostazione data nel programma presentato e votato in Commissione. Audiremo quindi tutti i protagonisti del mercato delle telecomunicazioni e anche i fornitori, non solo di reti e di apparati, ma anche di contenuti.
Do la parola al sottosegretario Romani per una breve replica.

PAOLO ROMANI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor presidente, considero importante il tema posto dall'onorevole Misiti, perché non c'è mai molta chiarezza sul problema della regolazione dei mercati. Le cito un esempio. Il monte del fatturato degli operatori italiani del mobile su SMS e MMS è pari a 2,5 miliardi di euro. È il mercato più forte di tutto il mondo per questo tipo di sistema, che evidentemente ha incontrato il favore del pubblico italiano. In America inviano pochissimi SMS e questa pratica non ha incontrato il favore della popolazione. Si tratta di 5 mila miliardi di vecchie lire.
La Commissaria Reding si è «fissata» - uso questo termine - e intende ridurre il costo, che oggi, al di là di piani speciali di pagamento, ammonta a circa 13 centesimi per ogni SMS. Lei vuole ridurlo a 11 centesimi. Capisco che si tratta di un'operazione a vantaggio del consumatore, ma nella realtà italiana gli operatori mobili realizzano grandi profitti che possono garantire anche grandi investimenti. Ha ragione l'onorevole Gentiloni. Nella mia relazione, nell'intento di parlare della fibra e della rete che rappresentano il problema di questo Paese, non ho citato questo dato,


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ma è vero che gli operatori mobili hanno cercato di far inserire nel provvedimento facilitazioni anche per i mobili; tuttavia l'ADSL sul mobile non è il futuro del Paese. È sempre complicato collegarsi, per cui il futuro non è nella ADSL del mobile.
Tuttavia, rappresenta una possibilità. Penalizzare il nostro Paese nel campo degli SMS come intende fare l'Europa, laddove l'Italia è atipica rispetto a questo settore, significa togliere 500 miliardi di lire con il passaggio da 13 ad 11 centesimi solo per un eccesso di volontà regolatrice. Ritengo che questo non abbia senso. Non lo capisco.

AURELIO SALVATORE MISITI. Chi ha detto che l'Authority europea non correggerà il Commissario?

PAOLO ROMANI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. L'Authority europea risente dello stesso tipo di problema. Considero francamente pericolose l'unificazione e la centralizzazione della volontà regolatrice in un'Europa così diversa, soprattutto in un'Europa a 27 membri. C'è un progetto in Europa che si chiama ERG, stranissimo acronimo che indica la volontà di trasformare l'autorità europea in un coordinamento fra le autorità.
Personalmente, mi sono dichiarato favorevole a un migliore coordinamento delle autorità, affinché si conoscano fra di loro, si confrontino e concorrano a individuare la diversità e l'anomalia di ogni mercato nazionale, impedendo quindi al Commissario e alla futura autorità europea di centralizzare decisioni anche più perniciose. Non sempre è un vantaggio.
Riporto un altro esempio. C'è una procedura di infrazione contro la Germania relativa a Deutsche Telekom. Da mesi, i tedeschi ribadiscono che su questo argomento non vogliono interferenze della Commissione europea. Lo affermano con una brutalità sorprendente per la terminologia utilizzata. Il ministro Neumann ha ribadito per la terza volta che la Commissione non deve entrare in Germania perché la Germania fa quello che vuole. Hanno ragione?

AURELIO SALVATORE MISITI. Hanno torto.

PAOLO ROMANI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Non so se abbiano torto. In Spagna, il non eccesso di regolazione ha consentito di risolvere quasi immediatamente il problema dell'NGN. In una condizione di privilegio per chi investiva, con reddito immediato rispetto a un forte investimento, non sul lungo periodo in presenza di eccessiva regolazione, la Spagna si doterà probabilmente prima dell'Italia di una rete NGN. È un vantaggio maggiore per il sistema Paese avere la NGN non regolata o una maggiore regolazione e un investimento che va per le lunghe, per cui l'asset di quel Paese va più lontano?
Sono temi complicati e non ho un'idea precisa su quale sia la soluzione migliore. Ho l'impressione che l'Europa, con la volontà di trattare tutti i Paesi allo stesso modo, sia talvolta largamente penalizzante per quelli che potrebbero essere più avanti. Anche in una classe, infatti, si aspetta sempre che anche l'ultimo impari l'italiano, adeguandosi quindi alla velocità inferiore.
Esprimiamo dunque grande cautela. Come Governo, abbiamo rappresentato questo problema ed espresso tali perplessità, non con i modi scomposti usati dai tedeschi, ma con quelli più garbati che appartengono alla cultura mediterranea.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Romani e tutti i presenti.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,10.

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