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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione IX
2.
Martedì 16 settembre 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Valducci Mario, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ASSETTO E SULLE PROSPETTIVE DELLE NUOVE RETI DEL SISTEMA DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE

Audizione del presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Corrado Calabrò:

Valducci Mario, Presidente ... 3 14 16 17
Calabrò Corrado, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ... 3 17
Meta Michele Pompeo (PD) ... 14
Stracquadanio Giorgio Clelio (PdL) ... 16

Audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà:

Valducci Mario, Presidente ... 20 23 25 28
Barbareschi Luca Giorgio (PdL) ... 23 27
Catricalà Antonio, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ... 20 25 27
Favia David (IdV) ... 25
Melandri Giovanna (PD) ... 24
Misiti Aurelio Salvatore (IdV) ... 23

ALLEGATI:
1) Allegato 1:
Documentazione consegnata dal presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Corrado Calabrò ... 31
2) Allegato 2:Documentazione consegnata dal presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà ... 39
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

[Avanti]
COMMISSIONE IX
TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 16 settembre 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO VALDUCCI

La seduta comincia alle 9,35.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sul sito Internet della Camera dei deputati.

Audizione del presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Corrado Calabrò.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito indagine conoscitiva sull'assetto e sulle prospettive delle nuove reti del sistema delle comunicazioni elettroniche, l'audizione del presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Corrado Calabrò, che ringrazio e al quale do la parola.

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Signor presidente, onorevoli commissari, vi ringrazio per l'opportunità che mi viene offerta di esporre le valutazioni dell'Autorità per le garanzie nella comunicazione su un tema di così vitale attualità.
La liberalizzazione nel settore delle telecomunicazioni, iniziata a partire dal 1998, è stata fino ad ora una vicenda di straordinario successo, perché contraddistinta - fatto unico tra i settori liberalizzati - da una continua crescita economica, da una ininterrotta rincorsa deflazionistica e dall'incalzante introduzione di innovazioni di prodotto e di processo.
In un lungo periodo di ristagno prima e in una congiuntura economica non favorevole poi per il nostro Paese, le telecomunicazioni italiane rappresentano una sorprendente eccezione, con primati a livello mondiale. Nel settore delle telecomunicazioni, si sono registrati i più alti investimenti diretti di imprese estere. Questo è avvenuto grazie a una politica regolamentare che ha supportato il dispiegarsi di un contesto competitivo, almeno in buona parte dei segmenti di mercato che lo costituiscono, in cui operano e investono le più importanti società mondiali del settore.
Nella relazione al Parlamento dello scorso luglio, ho illustrato le cifre di questo indiscutibile successo del processo di liberalizzazione. E non mi ripeto, mi limito ad accennare che l'indice dei prezzi nelle telecomunicazioni, fatto uguale a 100 nel 1995, è sceso nel 2007 ad 82, mentre gli altri servizi pubblici sono saliti a 150.
La riduzione dei prezzi della telefonia c'è stata anche in altri Paesi europei, ma in Italia la discesa è stata più pronunciata, con una riduzione complessiva del 28 per cento nel decennio 1997-2007, a fronte di una riduzione media europea del 24 per cento.
Aggiungo che in questi ultimi mesi, in cui l'inflazione ha fatto registrare un livello record, superando per la prima volta dal 1996 la soglia del 4 per cento, solo il


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settore delle telecomunicazioni ha continuato, in controtendenza, il suo trend deflazionistico, facendo segnare nel primo semestre di quest'anno una riduzione delle tariffe di un ulteriore 0,4 per cento, che è anche maggiore, se si considera la discesa dei prezzi degli apparati fissi e mobili.
Va ricordato che il settore delle telecomunicazioni rappresenta oltre il 4 per cento del PIL nazionale e che il fatturato delle aziende di telecomunicazioni in Italia è di circa 40 miliardi di euro.
Il mercato televisivo ammonta complessivamente a poco più di 8 miliardi; 45 miliardi è invece quello delle telecomunicazioni.
Il ritmo di crescita dell'innovazione e degli investimenti nel settore rischia però ora di fermarsi. Esistono una serie di segnali che devono essere colti immediatamente, cercando di trovare le giuste risposte istituzionali al mutato contesto di mercato. Un primo campanello di allarme lo si avverte nel fatto che, per la prima volta nell'ultimo decennio, si è assistito, nel 2007, a una battuta di arresto del tasso di crescita in valore del settore, nonostante il traffico complessivamente sia aumentato.
Il fatturato derivante dalla vendita dei servizi di telecomunicazione ai consumatori è rimasto pressoché immutato. È vero che a questo risultato ha contribuito in maniera significativa la decisa contrazione dei prezzi che l'anno scorso ha fatto registrare un meno 8 per cento, ma vi sono fattori che segnalano che siamo entrati in una fase strutturalmente e non congiunturalmente caratterizzata da un minore trend di crescita del settore.
Il tasso di penetrazione dei servizi mobili è ormai prossimo alla saturazione, avendo raggiunto e superato il 150 per cento. Ciò vuol dire che in media ogni italiano possiede più di una linea telefonica mobile a testa; record mondiale.
Anche null'UMTS, la telefonia di terza generazione, abbiamo superato i 25 milioni di utenti; cosa quasi unica al mondo. Tuttavia, mentre nel mobile lo sviluppo procede, anche se a ritmi decrescenti, nel fisso i tradizionali servizi voce stanno segnando il passo ormai da alcuni anni. Non solo la pressione competitiva del mercato contribuisce a ridurne costantemente i prezzi, ma la crescente presenza di modalità alternative di effettuazione del servizio - cellulare, VoIP (telefono al computer) - ha determinato uno spostamento dei volumi, con una diminuzione netta del traffico voce da postazione fissa. È quindi naturale prevedere un assestamento depressivo del mercato, piuttosto che la continuazione del ritmo di crescita che ha caratterizzato lo scorso decennio; il che si riflette sulla dinamica dei prezzi al consumo, dove si avvertono i primi segnali di una certa inversione di tendenza, cioè, anche nel nostro settore, si avvertono segni minimi di stagflazione.
Il traffico dati, invece, è in crescita esponenziale. Tanto per darvi un'idea dell'incremento che ha fatto registrare il servizio, rilevo che il traffico dati da broadband mobile è aumentato di oltre il 400 per cento in poco più di 24 mesi e i nuovi servizi informativi, che gli utenti richiedono sempre più e che la convergenza mette a disposizione, offrono prospettive di sviluppo ancora poco esplorate che aggiungono significativamente valore ai servizi base.
Tutto questo pone in modo impellente l'esigenza di una rete di trasmissione strutturalmente adeguata alle funzioni richieste. È questo il presupposto imprescindibile, perché il settore delle telecomunicazioni prosegua il suo sviluppo. Fino ad ora, il nodo principale sottostante la crescita delle telecomunicazioni è stato l'utilizzazione, in modo sempre più efficiente e pro-concorrenziale, delle risorse esistenti e in particolare, nel segmento fisso, dell'unica rete di accesso esistente a livello nazionale, quella di proprietà dell'operatore incumbent.
Il problema ha due aspetti: uno regolatorio e uno tecnico. Sotto il primo aspetto, gli obiettivi della regolamentazione possono essere schematizzati così: promozione degli investimenti nelle reti e nelle infrastrutture e, al tempo stesso, promozione della concorrenza nei servizi e nei prodotti offerti ai cittadini e alle


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imprese; proporzionalità dell'impianto regolamentare, alleggerendo la regolazione nei casi in cui i benefici della concorrenza superano i costi della regolazione; capacità di favorire la pianificazione e il coordinamento degli sforzi delle imprese nella costruzione di nuove reti.
L'Autorità si è sempre battuta, e continuerà a battersi, per il giusto riconoscimento del ritorno del capitale investito nelle reti di comunicazione. Le tariffe regolate devono tenere conto di questo aspetto, altrimenti non ci saranno incentivi all'investimento. Questa è stata una delle chiavi del successo clamoroso del radiomobile in Italia. Intendiamo, con coerenza, mantenere lo stesso approccio per la larga banda. Abbiamo riconosciuto, soli in Europa, un premio di infrastrutturazione agli operatori alternativi fissi, premio che ha tangibilmente prodotto risultati positivi sull'assetto competitivo e sulla solidità delle imprese.
In questo contesto, non vi è dubbio che la questione nodale rimane la regolamentazione della rete di accesso di Telecom Italia. Il percorso regolamentare intrapreso ha puntato ad una accentuata forma di separazione organizzativa della rete di Telecom Italia, con la costituzione di un'apposita funzione aziendale, denominata Open Access, alla quale sono demandate tutte le operazioni di pianificazione tecnica, di engineering, di realizzazione delle reti di accesso e di trasmissione, nonché di fornitura dei relativi servizi all'ingrosso.
Su questo impianto di natura organizzativa, si innestano una serie di impegni comportamentali volti a garantire la piena parità di trattamento, interno ed esterno, nell'accesso alla rete, ossia tra le divisioni commerciali di Telecom Italia stessa e gli operatori concorrenti. Inoltre, Telecom - questo è uno degli aspetti più rilevanti degli impegni, in chiave di reti di nuova generazione - si è impegnata a far conoscere in anticipo agli altri operatori i propri programmi di evoluzione e innovazione della rete fissa di accesso.
La nuova organizzazione regolamentare dell'accesso alla rete fissa di Telecom Italia (Open Access e relativi impegni) si configura come una parente stretta, la versione italiana della più netta separazione funzionale realizzata da British Telecom con Openreach nel Regno Unito. Peraltro, è ugualmente previsto il controllo sulla nuova unità funzionale da parte di un board di garanzia che vigilerà sulla corretta esecuzione di obblighi di separazione. Alcune componenti di tale organo saranno nominate da questa Autorità a presidio della sua indipendenza.
Particolare importanza avrà l'efficienza nella fornitura dei servizi all'ingrosso, unbundling, dove l'Italia può vantare eccellenti risultati superiori all'Inghilterra; sia per quanto riguarda la sua diffusione, sia per quanto riguarda il prezzo, siamo rispettivamente al primo e al secondo posto in Europa.
Questo è lo scenario di riferimento, che assumerà i suoi contorni definitivi all'esito della consultazione pubblica in corso. Valuteremo, naturalmente con grande attenzione, i suggerimenti che arriveranno dal mercato. Vorrei, però, sottolineare fin da ora che l'Italia si sta dotando di strumenti di regolazione di avanguardia. Solo l'Italia e la Gran Bretagna hanno sviluppato una regolazione così avanzata della rete di accesso.
L'azione futura dell'Autorità non si fermerà alla regolazione della rete dell'incumbent. L'Autorità ha recentemente promosso un progetto di ricerca aperto a tutte le università italiane, forse il più sistematico mai intrapreso in Italia, sulla regolazione delle reti di nuova generazione che ci darà utili indicazioni per la messa a punto della nostra strategia. Sugli esiti di questo lavoro, che si prevede di completare entro il prossimo anno, riferirò a questa Commissione e al Parlamento nella relazione annuale.
Mi permetto di segnalare a questa Commissione che, anche in relazione a quello che dirò più oltre sul coinvolgimento degli enti locali territoriali, è opportuno, nel rispetto delle prerogative costituzionali delle regioni e degli enti territoriali locali, che i poteri dell'Autorità siano rafforzati per vigilare che anche a


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livello locale non si creino quei colli di bottiglia nell'accesso ai cavidotti e alle infrastrutture che, andando in controtendenza a quello che sta succedendo in Europa, limiterebbero gli spazi per un effettivo sviluppo concorrenziale delle reti di nuova generazione.
Ma se sul piano regolatorio dell'esistente l'impostazione appare soddisfacente; ben diversa è la situazione sul piano industriale dell'adeguamento tecnologico della rete alle nuove funzioni richieste dall'evoluzione del settore. Fino ad ora il problema tecnico ed economico è stato quello di potenziare la rete esistente, che è la rete in rame di Telecom, con il passaggio degli utenti da connessione tradizionale a banda stretta dial-up a connessioni a banda larga. Per il collegamento veloce a Internet possono distinguersi quattro fasi tecnologiche, coincidenti con quattro diverse tecnologie trasmissive. La prima fase è quella dell'ADSL tradizionale, con velocità teoriche fino a 7 megabit al secondo. La seconda fase è quella dell'ADSL di nuova generazione, cosiddetto ADSL2 , con velocità teoriche fino a circa 20 megabit al secondo. La terza fase è quella del VDSL, tecnologia mista fibra-rame, con velocità fino a 50 megabit. Infine, la quarta fase è quella della fibra fino all'utente, FTTH o FTTB, con velocità fino a 100 megabit o anche superiori.
Il primo obiettivo, quello di estendere la connessione veloce di prima generazione al numero più alto di utenti, risolvendo il digital divide, problema anch'esso giustamente oggetto di indagine di questa Commissione, può dirsi perseguito fruttuosamente. Oggi, circa il 95 per cento della popolazione è raggiunto dai servizi a larga banda tradizionale, l'ADSL (prima fase). Inoltre, nei prossimi due anni, gli investimenti programmati annunciati, anche attraverso reti wireless, ad esempio in modalità Wi-Max, inducono a ritenere che si arriverà a una copertura pressoché totale della popolazione. Rimane la preoccupazione sulla rete ADSL e sui «buchi» di copertura anche in area ad alta densità abitativa.
Sennonché, in una prospettiva abbastanza ravvicinata, rischia di crearsi un nuovo divario tecnologico, quello tra chi riceverà i servizi di connessione di seconda generazione, attualmente offerti in Italia attraverso il cosiddetto ADSL2 , e chi resterà fuori da questi servizi. Si pensi che in pochi anni il divario trasmissivo tra connessione tradizionale, il dial-up, e larga banda è passato da 5 a 160 volte (questo è un settore in cui l'evoluzione tecnologica è vertiginosa).
Tale scenario si ripropone su scala maggiore, in un futuro non lontano, per la larghissima banda di terza e quarta fase, ossia con velocità da 50 megabit in poi, con il divario tra chi potrà fruire di velocità sui 50 megabit e gli altri. Velocità siffatte possono essere fornite soltanto dalla fibra ottica. Risolto il digital divide di prima generazione, si propone quindi, nella nuova fase, un digital divide di seconda generazione.
Si potrebbe pensare che la larga banda mobile sovvenga alle insufficienze del collegamento fisso a larga banda. Indubbiamente il wireless costituisce un importante complemento sia per l'estensione territoriale di collegamento a larga banda, soprattutto nelle zone a rada utenza e difficilmente collegabili via filo, sia per l'applicazione della larga banda mobile. Nei fatti, tuttavia, almeno fino ad adesso, il broadband mobile si è rivelato solo marginalmente integrativo al collegamento di larga banda fissa. Ad oggi, del milione di utenti realmente collegato alla larga banda mobile, la maggior parte già fruisce del broadband fisso. Quindi, abbiamo in gran parte una sovrapposizione, non un'addizione di utenza.
L'Autorità, in ogni modo, intende assegnare nuove frequenze all'accesso radio fisso e al broadband mobile, avviando la consultazione per assegnare frequenze nella banda 2,6 gigahertz alle reti wireless e accelerando il refarming delle frequenze GSM.
Detto ciò, non va taciuto che le velocità della larga banda mobile, peraltro già inferiori a quelle della terza e quarta generazione a larga banda, sono teoriche,


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perché definite sulla prestazione massima che l'utente può raggiungere, la cosiddetta «banda di picco». La velocità effettiva, essendo lo spettro frequenziale una risorsa condivisa, declina velocemente all'aumentare del numero di utenti nello stesso bacino di servizio.
I nuovi servizi, con la correlativa integrazione, richiedono in prospettiva velocità trasmissive molto superiori a quella che la rete in rame e la rete mobile possono assicurare. Come dicevo, la saturazione tradizionale dei servizi vocali, sia fissi che mobili, sposta l'accento sull'offerta di pacchetti convergenti che integrano telefonia fissa, mobile, contenuti audio-video e accesso broadband. Questa integrazione di servizi richiede, da un lato, capacità di banda sempre maggiore, quale la rete in rame non può assicurare e, dall'altro, una domanda potenziale da soddisfare.
Da entrambi questi punti di vista, l'Italia presenta un ritardo strutturale. I dati a nostra disposizione indicano una situazione che, in prospettiva, appare sempre più preoccupante. Alla fine del primo semestre di quest'anno, la penetrazione della larga banda in Italia raggiunge appena il 18 per cento della popolazione. In Europa siamo mediamente al 24 per cento, con punte di oltre il 30 per cento nei Paesi del nord. Tale ritardo strutturale presenta caratteristiche di trasversalità: siamo infatti in ritardo sia nella diffusione del servizio tra i consumatori finali, sia nella penetrazione del broadband tra le imprese, sia, infine, nell'uso della larga banda presso le pubbliche amministrazioni.
Vi è di più. Un ulteriore elemento di criticità riguarda l'andamento nella diffusione del servizio. Negli ultimi mesi il mercato presenta una preoccupante decelerazione del relativo tasso di crescita. Nell'ultimo trimestre, la crescita delle linee a larga banda è stata del 2 per cento; un anno fa, sempre nello stesso periodo di riferimento, era del 4,2 per cento; nel 2006 del 6,6 per cento. E la decrescenza si riscontra sia per l'incumbent che per gli operatori strutturati concorrenti.
Siamo indietro e, invece di avvicinarci, ci stiamo allontanando dagli altri.
A testimonianza del fatto che il fenomeno appare di natura strutturale, va evidenziato che l'Italia presenta un livello di penetrazione molto al di sotto dei Paesi con prodotto interno lordo pro capite paragonabile al nostro. È infatti inferiore a quello della Corea del sud, della Francia, della Finlandia, del Giappone, della Germania, della Nuova Zelanda e della Spagna.
Se consideriamo il bacino potenziale di utenti, cioè la popolazione alfabetizzata dal punto di vista informatico, abbiamo per la verità una penetrazione del servizio elevata, che ci spinge fino al terzo posto in Europa, al pari dei Paesi più avanzati. Tuttavia, se rapportiamo tale dato alla popolazione totale, scendiamo inesorabilmente di molte posizioni.
Non si tratta, quindi, di un effetto dell'assetto competitivo (ossia di prezzo), né di reddito, quanto piuttosto di un nodo legato alle caratteristiche strutturali della domanda e dell'offerta: bassa alfabetizzazione informatica da un lato, assenza di reti di nuova generazione, dall'altro.
Per quanto riguarda l'offerta, scontiamo ritardi storici, determinati dall'assenza di infrastrutture in concorrenza con quelle in rame. Altrove, Paesi come l'Olanda, la Gran Bretagna, la Francia (non parliamo degli Stati Uniti) le reti degli operatori via cavo rappresentano un valido sostituto della rete di accesso dell'incumbent per la fornitura dei servizi in larga banda. In Inghilterra, ad esempio, Virgin Media ha annunciato un imponente piano per l'offerta della larghissima banda via cavo (e qui si innesta il rapporto Caio di cui parleremo e che naturalmente rappresenta la situazione di quel Paese).
L'Italia non ha mai avviato la realizzazione di reti di accesso alternative, o meglio, l'Italia è partita in anticipo su tutti, con il progetto Socrate nel 1991, quando gli altri non ci pensavano ancora, ma si è subito fermata, come avviene purtroppo spesso da noi. Gli altri sono partiti dopo, ma sono andati avanti sistematicamente.
Va soggiunto che anche le reti mobili non possono prescindere da una rete fissa a larghissima banda, nella sua componente


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core, alla quale le loro antenne sono collegate. Quanto all'accesso, cioè al collegamento della rete con l'abitazione dell'utente, è sì possibile realizzarlo senza filo, utilizzando lo spettro elettromagnetico, ma a parte la saturazione delle frequenze, si deve tener presente che la portata di tale collegamento è limitata e si sovraccarica rapidamente quando il telefono viene utilizzato non per i servizi in voce, ma contemporaneamente da numerosi utenti per la trasmissione dati e, in genere, per i nuovi servizi convergenti.
La fibra ottica, invece, ha potenzialità pressoché illimitate.
In Europa, e ancora più nei Paesi asiatici, stanno iniziando a realizzarsi, soprattutto a livello metropolitano, le prime infrastrutture di accesso completamente in fibra ottica: Londra, Parigi, Stoccolma, Vienna, Berlino, Amburgo, Amsterdam sono state totalmente cablate. In Italia, gli investimenti in fibra, che pure hanno cominciato un decennio fa grazie allo sfruttamento delle reti passive di Telecom Italia e delle aziende municipalizzate, sono ormai fermi da alcuni anni. Il numero delle linee attive in fibra è passato dalle 200 mila del 2005 alle 300 mila del luglio di quest'anno. È chiaro che con questi ritmi di crescita non si va da nessuna parte.
Dal punto di vista della domanda, tutte le analisi che abbiamo condotto dimostrano come sia la scarsa alfabetizzazione informatica della popolazione italiana a rappresentare il principale ostacolo alla diffusione del servizio. In Europa siamo avanti soltanto alla Grecia, per conoscenze informatiche della popolazione.
La situazione ha vari versanti: un versante di insufficiente istruzione scolastica, un versante generazionale, un versante di servizi offerti, uno di informazione sull'utilità della larghissima banda. Quando si sono costruite in Italia le autostrade, la percezione dell'utilità del valore aggiunto che queste fornivano è stata ovviamente immediata. Per quanto riguarda invece la larghissima banda, manca in genere la consapevolezza, tranne nelle fasce più giovani, dei vantaggi offerti dal collegamento veloce in Internet. Eppure, oltre alla trasmissione dati, alla fruizione dell'audiovisivo, ai videogiochi, che tanto interessano i più giovani, c'è tutta una serie di servizi transattivi: e-government, e-banking, e-commerce, e-learning, e-health, tele-lavoro, di interesse potenzialmente diffuso e di particolare rilevanza per le piccole e medie imprese.
Sul piano del fare, la responsabilità primaria dell'alfabetizzazione informatica risiede nelle politiche pubbliche. Finora, non è stato fatto abbastanza per avvicinare la popolazione all'informatica. La Germania, ad esempio, ha lanciato programmi mirati a fasce di popolazione anziana per promuovere l'offerta di nuovi servizi targhettizzati. La Commissione europea ha messo in piedi un'iniziativa, chiamata e-inclusion, che mira a rendere accessibile la società dell'informazione a tutte le classi di età. Sarebbe opportuno che un programma simile a quello europeo fosse promosso a livello nazionale, coinvolgendo gli enti locali e tutte le componenti della società civile.
In conclusione, mi pare di poter affermare che gli indiscutibili successi derivanti dalla liberalizzazione del settore rischiano di venire progressivamente meno se non si imbocca rapidamente un nuovo percorso a due facce: quella degli investimenti nelle reti di nuova generazione e quella del sostegno alla domanda. Insomma, serve un detonatore, un intervento che inneschi un percorso virtuoso capace poi di autoalimentarsi, sfruttando anche le esternalità, dirette e indirette, di rete che caratterizzano il settore.
Fino ad ora, si è trattato di regolare l'esistente, in maniera concorrenziale, favorendo l'evoluzione tecnologica e l'Autorità lo ha fatto compiutamente. Ora si tratta di promuovere il futuro. Questo è un altro versante e un'altra strategia.
L'Autorità farà anche a questo riguardo la sua parte, ispirando le sue regole a criteri che valorizzino gli investimenti nella reti di nuova generazione. Lo facciamo per gli investimenti in genere, figuriamoci se non lo faremo per gli investimenti nelle reti di nuova generazione.


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L'innesco di un circuito virtuoso di sviluppo richiede di garantire un progredito livello concorrenziale, ma nel contempo di assicurare un'adeguata remunerazione degli ingenti investimenti occorrenti per fare evolvere la rete di accesso, in linea con quello che sta accadendo nei principali Paesi industrializzati.
La leva del prezzo l'abbiamo già adoperata in Italia nelle sue potenzialità. La dinamica dei prezzi è stata assai virtuosa. Per il collegamento a larga banda, siamo passati dai 40 euro al mese, agli attuali 15-20 euro, a seconda delle offerte. I prezzi sono in linea, se non inferiori, a quelli di Paesi come Spagna, Gran Bretagna, Francia e Germania. Detto questo, e senza sottrarci minimamente al nostro compito di favorire l'evoluzione tecnologica, bisogna riconoscere che gli strumenti a disposizione del regolatore sono per lo più destinati a incentivare l'efficienza statica e dinamica delle risorse esistenti (reti e spettro frequenziale) e a regolarne in senso concorrenziale il loro uso.
Di fronte al nuovo scenario la nostra «cassetta degli attrezzi» si palesa non sufficientemente dotata.
Per questa ragione, a livello internazionale, poiché il problema non è solo italiano, ma di tutti i Paesi - e farò in proposito una rapida rassegna del panorama mondiale - si è distinto tra la missione regolamentare, volta ad assicurare anche nel nuovo contesto un level playing field per la competizione, e gli interventi di stimolo degli investimenti diretti alla realizzazione di reti di nuova generazione, che appartengono alle scelte di politica industriale di un Paese.
In tal senso, nella mia relazione di luglio al Parlamento ho rivolto un appello, affinché le forze politiche definiscano un piano strategico che individui una serie di interventi coordinati e coerenti, finalizzati a far compiere al sistema il necessario salto di qualità. Questa indagine conoscitiva rappresenta un'importante risposta a quell'appello e alle esigenze obiettive del Paese.
Si potrebbe pensare - e qualcuno lo dirà - che il mercato possa compiere da solo la propria parte, ma quando si tratta di investimenti strutturali di lungo periodo, il funzionamento dei meccanismi di mercato dipende dalla convenienza che gli operatori ravvisino in siffatte immobilizzazioni. I programmi di investimento industriale dell'incumbent e dei principali concorrenti per lo sviluppo della larghissima banda (terza e quarta generazione) si limitano, fino al 2010, alla infrastrutturazione di parti di grandi aggregati urbani, con una previsione di copertura marginale rispetto al totale della popolazione.
Evidentemente la realizzazione di una infrastruttura in fibra ottica distinta dalla rete in rame di Telecom, viene ritenuta oggi dall'imprenditore non adeguatamente remunerativa, in relazione agli imponenti investimenti finanziari correnti, dell'ordine di 8-15 miliardi di euro. Il che, comprensibilmente, frena anche l'ex monopolista, detentore della rete attuale, il quale non ha un cash flow sufficiente per destinare nella loro rete le somme necessarie. Non rivelo niente, sono dati che l'amministratore delegato Bernabè ha reso pubblici.
Né appare ipotizzabile che gli operatori concorrenti provvedano a installare una rete per conto loro; duplicare questa pur fondamentale struttura portante sarebbe antieconomico. L'interesse degli OLO è piuttosto di innestarsi in una rete aperta.
Il problema della nuova tecnologia tuttavia esiste e ad esso non si può sfuggire, a pena di iniziare una fase di declino in un settore che fino ad adesso è stato all'avanguardia.
Quali soluzioni si possono intravedere? Il rapporto presentato in questi giorni da Francesco Caio al Governo britannico suggerisce che le politiche governative di sostegno si concentrino su obiettivi di medio-lungo periodo, in quanto nel breve periodo la concorrenza fra le infrastrutture (cavo, rame) e l'alta penetrazione della larga banda in Gran Bretagna possono sostenere da sole gli investimenti.
Tuttavia, mentre nella Gran Bretagna c'è il cavo, oltre alla rete in rame, il caso italiano è purtroppo diverso. Il nostro deficit di infrastrutture alternative alla


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struttura della domanda richiede da subito la massima attenzione da parte dei pubblici poteri, da qui l'estrema attualità dell'indagine odierna.
Paesi ad economia dirigistica, come la Corea, il Giappone, la Cina, hanno già avviato o stanno per avviare imponenti programmi statali di infrastrutturazione del Paese con fibra ottica, tali da consentire velocità sui 100 megabit e oltre. Il Governo tedesco ha deciso di concedere una «vacanza regolatoria» a Deutsche Telecom, al fine di consentirgli di realizzare l'infrastruttura di cui il Paese ha bisogno, senza dover osservare le regole concorrenziali. Ciò ha comportato nei confronti della Germania l'apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea.
L'autorità spagnola per le telecomunicazioni ha deciso il mese scorso di concedere agli operatori alternativi di passare i propri cavi nelle canalizzazioni realizzate dalla società telefonica, ma non di condividere la rete in fibra ottica realizzata dall'incumbent. Anche Paesi di antica tradizione liberista hanno intrapreso percorsi verso lo stesso obiettivo, ma in forme diverse. Esiste una serie di piani strategici dei vari Governi nazionali finalizzata alla promozione di nuove reti e di nuovi servizi a larga banda. In proposito lascerò poi la documentazione relativa a disposizione della Commissione. Si tratta del Broadband challenging in Nuova Zelanda; del Broadband convergence network in Corea del sud, del Broadband for all in Norvegia; del Connect-Australia in Australia; del National broadband scheme in Irlanda; del Rural utilities service negli Stati Uniti e dell'Ubiquitous network society in Giappone. Sono stati inoltre recentemente annunciati piani in India, ma anche in Europa, Francia, Grecia e Spagna.
Questi piani prevedono una serie di azioni coordinate che possono essere divise in due grandi categorie: interventi dal lato dell'offerta, supply-side, volta a stimolare la realizzazione delle reti di nuova generazione, e quelli sul lato della domanda, demand-side, finalizzate ad incentivare l'uso di nuovi servizi di comunicazione. Tali azioni presentano un rapporto di stretta complementarità e non di sostituibilità e hanno l'obiettivo di sviluppare un sistema di feedback basato su meccanismi, da un lato, di spinta tecnologica e, dall'altro, di traino della domanda.
Un primo rilievo, che deriva dall'analisi di questi interventi, è quindi quello della necessità di definire un piano organico di interventi complementari, alcuni peraltro a costo zero, i cui effetti sono amplificati proprio dalla compresenza delle altre azioni. Le forme di incentivazione per la realizzazione delle infrastrutture di nuova generazione riguardano innanzitutto la fase di realizzazione delle opere civili che rappresenta la componente di costo maggiormente onerosa per gli operatori, arrivando a costituire fino all'80 per cento della spesa totale, anche per i tempi lenti dalla realizzazione, occorrenti per le autorizzazioni, per le concessioni e per tutti i permessi necessari.
In questo stadio altrove, soprattutto dei nei Paesi a nord Europa, le amministrazioni centrali e locali sono intervenute per coordinare le attività e per garantire la concessione in tempi rapidi e a titolo gratuito, o comunque poco oneroso, dei diritti di passaggio. Forme complementari di intervento hanno riguardato l'accesso a infrastrutture passive a cavidotti già esistenti. Basti pensare che in metropoli quali Parigi, Tokio, Amburgo, Vienna, Berlino, sono state appena realizzate nuove reti sfruttando infrastrutture quali il sistema di fognatura.
In alcuni casi, si è anche stabilito l'obbligo della posa dei tubi ogniqualvolta le amministrazioni o i privati procedano alla effettuazione di scavi stradali; così è in Svezia. Infine, sono state realizzate mappe interattive che forniscono agli operatori in rete informazioni aggiornate in tempo reale circa la situazione sul territorio delle infrastrutture di accesso; così è in Norvegia.
In Francia, si sta attivamente perseguendo il modello delle asimmetrie verticali e simmetrie orizzontali, vale a dire: la condivisione di cavidotti esistenti da parte di più imprese (asimmetria verticale) e, al


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tempo stesso, la possibilità per tutti gli operatori di utilizzare la cablatura interna agli edifici, simmetria orizzontale. Similare e incoraggiante è il recente accordo di condivisione tra Telecom Italia e Fastweb che, secondo quanto annunciato, è aperto a tutti gli operatori.
Vanno quindi decisamente nella direzione giusta le misure contenute nella recente manovra finanziaria del Governo che, valorizzando quanto questa Autorità da tempo va segnalando, tendono alla semplificazione della procedura per costruire le reti, alla razionalizzazione e semplificazione della disciplina della concessione dei diritti di passaggio e alla realizzazione di interventi infrastrutturali.
Circa i finanziamenti pubblici - come sapete, sono stati stanziati 800 milioni, rispetto ai quali il sottosegretario Romani ha preannunciato un aumento di altri 200 milioni, per una spesa complessiva che è nell'ordine di 8-15 miliardi nell'arco di sette-otto anni - volti alla realizzazione, in forma diretta o indiretta, delle infrastrutture di comunicazione, ricordo che la prassi della Commissione europea è di limitare tali interventi alle zone a fallimento di mercato, le cosiddette «aree bianche e grigie», non a quelle ad alta intensità di utenza. La Germania rappresenta un'eccezione che contraddice la regola, sanzionata dalla Commissione.
Peraltro, nella mia relazione al Parlamento, ho osservato che una via anche italiana, per lo sviluppo delle reti in fibra, è certamente quella della sinergia con le regioni e con le amministrazioni locali, specialmente con i comuni, sia per l'assetto costituzionale dell'Italia, sia per la realtà territoriale di cui bisogna tener conto. Prevedere il collocamento della fibra ottica nelle nuove organizzazioni, inserire la posa della fibra nella pianificazione della manutenzione ordinaria delle strade all'atto dello scavo di un tunnel per la metropolitana, o della posa di un cavo elettrico, o della realizzazione di una condotta idrica, o di una fognatura, significa ridurre i costi e i tempi in misura enorme. A questo proposito, ricordo che per la diffusione della larga banda tradizionale, ADSL1, si sono utilmente sviluppati progetti a livello regionale e provinciale che hanno implementato l'impegno di Telecom e di altri operatori.
È possibile prevedere e addirittura incoraggiare, come ha sottolineato il sottosegretario Romani nel suo intervento davanti a questa Commissione, forme di cooperazione tra pubblico e privato (project financing o public-private partnership) e tra gli operatori nella realizzazione delle reti di nuova generazione, nel rispetto della regola comunitaria. Sì, le regole comunitarie, che tanto intransigenti sono sulla concorrenza, consentono - articolo 41 del trattato europeo - forme di accordi tra imprese, in deroga alle regole antitrust, purché contribuiscano a promuovere il progresso tecnico ed economico o implichino tangibili benefici per gli utenti finali. Anche l'idea, come abbiamo letto in questi giorni, di un fondo europeo per stimolare gli investimenti tecnologici, va esplorata sino in fondo.
Di grande aiuto, in ordine a questo obiettivo, può essere la creazione di un catasto dinamico delle infrastrutture pubbliche e private utilizzabili per la larga banda e noi ci impegneremo in questo senso, insieme al Ministero.
Ma non si può fare di più? Qui, il mio discorso, per rispetto dell'autonomia imprenditoriale e degli assetti proprietari, si fa da concreto ad astratto, si traspone nel campo dell'astrazione. Sul piano dei modelli astratti, si può ipotizzare la costituzione di una società dedicata alla realizzazione e alla posa della rete in fibra ottica. Una siffatta ipotesi aprirebbe la strada alla partecipazione azionaria di investitori finanziari e industriali, pubblici e privati, e potrebbe realizzare quel salto di iniziativa di cui si avverte il bisogno per superare il gap che abbiamo di fronte. Un'iniziativa che sarebbe giustificata anche dalla presenza di rilevanti esternalità, ossia di ricadute sull'intero sistema economico e sociale del Paese, che rendono i benefici sociali derivanti dalla costruzione di nuove reti assai maggiori di quelli privati.


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Peraltro, si tratta di un'ipotesi di scuola, con costi e benefici ampiamente dibattuti in letteratura, ma che fino ad ora non è stata realizzata in concreto in nessun Paese d'Europa, eccetto il nord Europa a livello locale. Il rapporto Caio ipotizza piuttosto la realizzazione di una umbrella company, con compiti di coordinamento e indirizzo.
Comunque, come accennavo, ogni decisione al riguardo è rimessa esclusivamente alle aziende, non rientrando tra i poteri di questa Autorità quello di imporre alle società qualsiasi soluzione che incida sulla struttura societaria. Non posso però non osservare che è ormai prassi consolidata a livello internazionale quella di subordinare i finanziamenti pubblici all'obbligo in capo agli operatori di rete del principio di apertura delle infrastrutture e che questa è, appunto, la strada sulla quale si è apprezzabilmente avviata Telecom, con la ricordata costituzione dell'unità funzionale Open Access e con gli impegni, di cui ho detto, assunti per assicurare parità di trattamenti interni ed esterni nell'accesso alle sue reti.
I piani di intervento promossi nei vari Paesi non si limitano ad intervenire soltanto sulla realizzazione delle reti, ma, come accennavo, riguardano anche in modo complementare forme di sostegno alla domanda. Un intervento di questo genere è quello diretto a incentivare l'uso dei servizi di comunicazione attraverso il finanziamento, totale o parziale, della relativa apparecchiatura di accesso (decoder, modem, PC). Questo tipo di sostegno appare compatibile con le norme comunitarie, a condizione, ovviamente, che tali azioni siano svolte nel rispetto del principio, sancito a livello comunitario, di neutralità tecnologica.
Interventi complementari che stanno riscuotendo notevoli successi in alcuni Paesi europei riguardano l'informatizzazione della pubblica amministrazione. Queste azioni coniugano l'obiettivo di estendere l'uso del broadband al comparto pubblico, aumentandone l'efficienza, con quello di spostare sulla rete tutta una serie di servizi e informazioni al cittadino, incoraggiando in tal modo l'uso dei nuovi servizi presso i consumatori finali. In questo senso vanno, ad esempio le azioni volte ad incentivare il pagamento on line dei tributi, nonché forme avanzate di tele-sanità e tele-lavoro. Nel piano e-government della Commissione europea si chiede agli Stati membri di realizzare l'informatizzazione completa della pubblica amministrazione entro il 2010 e siamo alla fine del 2008.
Insomma, considerata la complessità del problema, servono ricette complesse, un menù di interventi coordinati e complementari che incida sulle strozzature strutturali che, sia dal lato della domanda che da quello dell'offerta, ostacolano i percorsi di sviluppo del settore.
Le considerazioni che vi ho sottoposto hanno sottesa un'assunzione di fondo: le nuove reti di comunicazione producono rilevanti effetti sul benessere sociale, tanto da meritare un piano di intervento di sostegno.
Se questo risulta del tutto evidente nel caso delle infrastrutture tradizionali (autostrade, ferrovie e fognature), potrebbe non apparire così scontato per le infrastrutture di telecomunicazioni. Ebbene, non solo è così, ma l'evidenza empirica internazionale ha ormai ampiamente dimostrato che gli investimenti nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione sono quelli che producono i maggiori effetti sul sistema economico nazionale.
Le infrastrutture di comunicazione elettronica sono l'asse portante di un'economia basata sui servizi, quale è in particolare quella italiana.
La dematerializzazione delle transazioni commerciali passa attraverso le reti di comunicazione. La rete Internet è la vetrina mondiale dei prodotti e dei servizi offerti dalle imprese italiane. Le possibilità offerte dalla rete a banda larga, soprattutto al sud, di creare un nuove forme di imprenditoria giovanile e di aumentare la qualità dei servizi offerti al turismo, sono in larga parte inesplorate. È stato rilevato come la produttività del lavoro sia più elevata, laddove il maggior numero di


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occupati è connesso a larga banda - lo ha rilevato l'OCSE - e che questo favorisce anche fortemente l'occupazione dei giovani, più propensi all'utilizzazione della tecnologia informatica. I servizi al cittadino, in primis la sanità e la scuola, possono fare un salto di qualità impressionante con l'utilizzo sistematico delle reti e dei servizi a larga banda. Tutti gli esperti concordano nel dire che la trasformazione dell'economia americana è avvenuta sotto la spinta degli investimenti nel settore dell'information and communication technology.
La Commissione europea ha stimato, per il decennio appena decorso, un notevole impatto degli investimenti nell'information and communication technology sulla produttività dei sistemi produttivi nazionali, con una media in Europa prossima allo 0,5 per cento di incremento annuo della produttività del lavoro, che, in taluni casi, arriva a superare l'1 per cento (in Giappone con 1,1 per cento, in Corea del sud con il 2,1 per cento). Secondo accreditate valutazioni, le comunicazioni elettroniche incidono per il 25 per cento sulla crescita globale e fino all'80 per cento sulla crescita della produttività di un'economia avanzata.
Ancora l'OCSE ha evidenziato come negli ultimi vent'anni, dal 1985 al 2006, gli investimenti in information and communication technology siano stati nei Paesi avanzati il più importante propulsore della crescita dei PIL nazionali. È stato stimato che questi investimenti sono arrivati a contribuire a una crescita annuale dello 0,5-0,6 per cento del prodotto interno lordo.
Per il futuro, le previsioni sono ancora più significative. In Giappone, il Governo, a fronte di un piano di intervento, attraverso cui vengono stanziati 50 miliardi di dollari per la realizzazione di reti in fibra ottica che copriranno l'intero Paese fino all'abitazione degli utenti, stima un ritorno, in termini di prodotto interno lordo aggiuntivo, di 1.500 miliardi di dollari entro il 2010. Studi europei confermano anche per il nostro continente effetti simili, arrivando a prevedere incrementi di PIL maggiori di quelli generati negli ultimi vent'anni nel settore, ossia superiori all'1 per cento.
Seguendo gli stessi criteri di valutazione, può calcolarsi che in Italia la crescita del PIL legata allo sviluppo di nuove reti, possa arrivare all'1,5 per cento. Se pensiamo che il PIL è in decrescita, l'importanza è di tutta evidenza.
Una diffusione ubiqua - non soltanto nel centro geografico - di queste infrastrutture potrebbe rappresentare un'occasione di rilancio per l'intero sistema economico italiano, che soffre di una cronica carenza di produttività, specialmente in questi ultimi anni.
Dati alla mano, questa sembra la via maestra, se non l'unica da percorrere. Quindi, è altamente auspicabile che si pervenga in tempi rapidi a un piano organico di interventi che, integrando significativamente l'azione regolamentare, incentivino la realizzazione di reti a larghissima banda e la diffusione tra la popolazione dei servizi integrati di comunicazione. Non uno o più sporadici interventi, ma un grande progetto nazionale che abbia riguardo al sistema Italia e che trasformi i nostri attuali limiti, anche di natura strutturale, in un'occasione di rilancio e di crescita per il settore e, più in generale, per l'intero sistema economico e sociale.
Le politiche di radicale rinnovo delle infrastrutture di telecomunicazione devono essere una delle priorità del Paese, come lo sono state negli anni Sessanta quelle relative alla costruzione delle grandi dorsali autostradali.
Le politiche pubbliche di supporto alla banda larga non sono e non devono essere aiuti a questa o a quell'impresa, ma un passaggio fondamentale dello sviluppo dell'economia nazionale. Qualcuno osserverà che è una ricetta complicata, ma la democrazia è complicata e l'Italia è uno Stato democratico particolarmente complicato.
Ad ogni modo, questa indagine verte su uno dei temi più fondamentali che il nostro Paese, il Governo e il Parlamento devono affrontare oggi. Oggi e non domani.


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Un tema al quale è rivolta anche l'attenzione della Commissione e del Parlamento europeo, presso il quale è in corso una non facile discussione sulla riforma del «pacchetto telecomunicazioni», alla ricerca del giusto equilibrio tra la necessità di incoraggiare gli investimenti di capitali di rischio e quella di determinare le condizioni di certezza e di equivalenza di condizioni per gli operatori.
Quanto alle nostre competenze in seno all'ERG e ai rapporti che abbiamo con la Commissione Europea, contribuiremo a porre l'accento ancora più fortemente sull'esigenza dell'evoluzione tecnologica.

PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Corrado Calabrò per la sua relazione ampia e allo stesso dettagliata, sul settore delle reti di comunicazione.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, raccomandando la sintesi e la formulazione di domande precise.

MICHELE POMPEO META. Signor presidente, ho un dono della sintesi paragonabile a quello degli altri colleghi, però la presenza del professor Calabrò mi permette di svolgere una riflessione di tipo metodologico.
Quando lei ci ha proposto di svolgere un'indagine conoscitiva per aiutare l'attività del Parlamento e del Governo in un settore strategico per il Paese, abbiamo salutato questa decisione con molta soddisfazione. Abbiamo condiviso la scelta di fondo, pur sapendo che nella precedente legislatura cambiavano formalmente gli ordini del giorno su questa materia, ma i temi in oggetto restavano i medesimi. Ebbene, abbiamo svolto decine di audizioni che sono rimaste patrimonio conoscitivo di questo organo. A quel lavoro hanno contribuito in tanti: istituzioni, associazioni, soggetti e in modo particolare le autorità, a partire dall'Agcom.
Nel mese di luglio abbiamo visto il Governo far capolino su queste materie e sappiamo di avere altri appuntamenti che ci attendono. Mi chiedo, dunque, senza voler rubare tempo, a chi mettiamo a disposizione questa indagine conoscitiva e a che cosa essa serva. Ritengo che sui dati, i numeri e le fonti dovremo regolarci, dal momento che cambiano da audizione ad audizione. Del resto, il pluralismo dell'informazione a volte comporta anche la flessibilità e l'incertezza delle fonti, ma non è questo il problema. Personalmente approfitterei della presenza dell'autorità massima e anche più indipendente in questo settore per svolgere una serie di riflessioni.
Come opposizione accettiamo la sfida e vogliamo dare il nostro contributo. Come dicevo, veniamo da un'esperienza molto faticosa nella quale provammo, sia in termini di iniziative legislative, che di sforzi finanziari, ad affrontare la questione. Adesso si delinea un nuovo cammino.
Ho preso atto delle varie posizioni del Governo in materia anche per bocca del sottosegretario Romani. Tuttavia, non mi è chiaro quello che si pensa in questa sede, così come non mi è chiaro il pensiero dell'Autorità in relazione ad alcuni aspetti. Mi riferisco alla rete unica e alla gestione. Non tantissimo tempo fa ci innamorammo e fummo convinti dell'esperienza britannica, alla quale spesso si fa riferimento. Tale questione, strategica per tante ragioni, oggi non viene ripresa e non è condivisa dal sottosegretario Romani.
Noi vogliamo raccogliere la sfida. Questo Governo ne ha lanciate tante, ma credo che quella legata alle reti e all'infrastrutturazione del Paese, per renderlo più moderno e competitivo, sia una delle più decisive. Purtroppo però, a differenza di altri Paesi, ci troviamo ancora in una posizione di svantaggio, a partire dalle infrastrutture fisse, ovvero quelle materiali che secondo questo tipo di approccio rendono poco credibile l'altra sfida, quella sulle reti immateriali.
È vero che il Governo ha stanziato 800 milioni e forse ne reperirà ancora 200, ma gli altri 400 che si ritiene di spendere sempre in quel settore da dove verranno presi? Inoltre, lo ripeto, saranno stati anche poca cosa, ma i 50 milioni che la precedente finanziaria aveva messo a disposizione


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per facilitare la diffusione di Internet sono stati depennati e non reintegrati.
Al di là di questo, vogliamo comunque collaborare. Mi auguro che questa Commissione possa al più presto pervenire ad una sintesi. Da questo punto di vista giustifico il programma stakanovista di lavoro voluto dal presidente della Commissione. Oggi sono previste quattro audizioni e domani altre due. Nel corso di questa settimana di avvio di lavori, il presidente intende affrontare velocemente il lavoro che in genere si svolge in 15-20 giorni. Tuttavia, auspico che lei, presidente, sappia poi trasferire sapientemente quanto è stato fatto e soprattutto che sappiano ascoltare i «dirimpettai» del Governo e quanti vorranno utilizzare questi materiali conoscitivi per corroborare la manovra finanziaria prossima sul terreno dei finanziamenti, ma anche per intervenire dal punto di vista legislativo.
Mi pare che il nostro Paese parta dalla situazione descritta in precedenza dal dottor Calabrò: in Italia vi sono 16 connessioni a banda larga per ogni 100 abitanti. La media dell'Europa a 27 Stati è superiore e conta 18,2 connessioni. L'Italia purtroppo si colloca al ventunesimo posto, mentre, come si diceva, ai primi posti di questa classifica vediamo i Paesi Bassi e quelli del nord Europa. Pertanto, se tale questione deve diventare una priorità, non dobbiamo sciupare le occasioni che abbiamo di fronte.
I Paesi occidentali hanno investito, hanno ritenuto prioritario e strategico ridurre il divario esistente nell'accesso alle nuove tecnologie per favorire, ovviamente, la diffusione delle nuove comunicazioni e quindi un miglioramento generale della fruizione dei servizi da parte di tutti i cittadini. A questo punto voglio svolgere alcune considerazioni. Ai fini dello sviluppo della banda larga sul territorio nazionale, penso che i lavori per la posa della fibra ottica vadano assimilati alle opere di pubblica utilità. In materia, vi sono normative da rispettare e altre da modificare. Occorre considerare strategiche queste infrastrutture al pari di quelle che la legge tutela, quali quelle idriche e quelle elettriche. Ciò deve essere fatto anche per aggirare quei banali veti e dinieghi che vengono dai condomìni, i quali, secondo i dati Telecom, nell' 80 per cento dei casi non danno l'autorizzazione ai lavori. L'80 per cento dei condomìni si oppone. Sotto questo profilo, dunque, si evidenzia un problema del legislatore. Per superare tale ostacolo, tuttavia, è sufficiente una semplice norma che riprenda la nozione di pubblica utilità applicata nell'esproprio di una strada, di una rete idrica, di una rete elettrica e così via.
Un ulteriore nodo del problema riguarda l'ottimizzazione degli investimenti. Di conseguenza, a mio avviso, si rende necessario evitare il moltiplicarsi delle infrastrutture - un vizio che spesso abbiamo -, perché nell'era della banda larga non è pensabile realizzare più reti in concorrenza tra loro. Una situazione del genere non sarebbe sostenibile, perché per avere un ritorno sugli investimenti secondo gli esperti e gli analisti bisogna avere almeno un 50 per cento di quota di mercato in quella zona, in quel quadrante o in quel settore. Telecom ha dichiarato che la concorrenza riguarderà esclusivamente i servizi e che basterà solo un operatore per gestire la rete a banda larga. Il dibattito attuale si divide tra chi vorrebbe una rete separata e indipendente da Telecom e chi ritiene di affittare dall'ex monopolista la gestione in esclusiva della rete di futura generazione. Mi pare che queste siano state le posizioni ribadite recentemente.
Il Governo in questa sede, per bocca del sottosegretario Romani, ha espresso la propria sostanziale contrarietà alla separazione funzionale della rete dell'ex monopolista. Questa scelta è stata motivata da un'opinione, secondo cui tale orientamento è necessario solo in casi straordinari ed eccezionali. Ricordo ai membri di questa Commissione che per separazione funzionale di rete si intende una gestione della medesima con una governance e regole tali da garantire una piena separazione delle altre attività di Telecom Italia. In questa maniera lo Stato consentirebbe una piena equivalenza di accesso ai concorrenti


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dell'ex monopolista, in modo tale da garantire più trasparenza e tutela agli utenti di telefonia concorrenti dell'ex azienda monopolista.
Ricordo che nella scorsa legislatura, l'allora maggioranza discuteva di quale modello fosse preferibile per la rete tradizionale e si concentrò su quello inglese di British Telecom. Lo facemmo nel corso di una audizione con il professor Calabrò. Gli inglesi, come si ricorda, di fatto hanno reso autonoma la rete funzionalmente e non attraverso una separazione societaria. La governance in questo caso è mista: nominata in parte da British, ma in maggioranza da Ofcom, ossia l'Agcom inglese. Sono stati alzati i cosiddetti «muri cinesi» tra l'ex monopolista inglese e la rete chiamata Openreach che hanno consentito di evitare commistioni gestionali o conflitti di interessi.
La via italiana, a nostro avviso, anche per lo sviluppo delle nuove reti, è quella di conferire oggi maggiori poteri all'Autorità di garanzia delle comunicazioni, che sarebbe il soggetto ideale garante di terzietà e trasparenza nella gestione della rete di telefonia fissa e della banda larga.
Nel Regno Unito, sono stati impiegati diciassette mesi per concludere questo processo per la rete tradizionale. Questo percorso, inoltre, coinciderebbe con l'orientamento comunitario palesatosi in più occasioni negli interventi svolti alla Commissione europea, la quale si è sempre dichiarata favorevole alla separazione funzionale della rete, a condizione che sia affidata a un'autorità indipendente. Non è una novità che auspichiamo un ruolo primario per l'Agcom nella gestione della rete attuale, nel presente e nel futuro, e anche della banda larga. Sosteniamo questo, lo auspichiamo e lo condividiamo.
Mi auguro che questo confronto e questo dibattito sappiano orientare le decisioni che dovranno essere assunte al più presto, senza lasciar passare tempi siderali, perché questo è anche un modo per rendere più competitivo il sistema Paese e per difendere alcune posizioni suggestive che anche l'esperienza italiana ha messo in campo.

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Meta. Vorrei aggiungere solo un inciso. Penso che la presente indagine conoscitiva, decisa all'unanimità, abbia luogo nel momento più propizio. Ho chiesto un'accelerazione dei lavori affinché siano contestuali agli eventi che seguiranno, a cominciare dal consiglio di amministrazione Telecom del 25 settembre, e per far sì che il Parlamento e la nostra Commissione siano in grado di dare suggerimenti, in termini normativi e di indirizzo strategico, per l'evoluzione di un'infrastruttura che, come ricordava il presidente Calabrò, è indubbiamente di grande rilevanza economica per tutti i Paesi, compreso il nostro.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Ringrazio il presidente Valducci e il presidente Calabrò. Prima di porre la mia domanda, vorrei fare una premessa. Non faccio parte di questa Commissione, ma sono presente all'audizione odierna, in quanto consigliere del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, proprio per porre attenzione ai temi dell'innovazione. Sono un consigliere non retribuito, quindi non mi troverete sul sito Internet del Ministero, in quanto parlamentare.
Presidente Calabrò, ho ascoltato la sua relazione e ho avuto modo adesso di rivedere alcuni aspetti del testo. Condivido molte delle considerazioni da lei espresse. Credo, inoltre, che lo scopo dell'indagine conoscitiva promossa da questa Commissione sia proprio quello di mettere in campo un confronto tra tutte le ipotesi possibili, per una migliore infrastrutturazione del Paese e per lo sviluppo di un'infrastruttura tecnologica oggi vitale per la crescita economica.
Quello che dobbiamo fare per il domani è importante, ma dobbiamo pensare anche a ciò che poniamo in essere oggi. Come lei ha ben illustrato, presidente, ci troviamo di fronte a due modelli di crescita del mercato delle telecomunicazioni totalmente diversi. Il primo è quello della telefonia mobile, partito subito come un modello di carattere competitivo, con la gara per le licenze e l'apertura successiva


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di nuove licenze. Tale modello in Italia vede sostanzialmente quattro operatori che dispongono di una rete infrastrutturale propria e numerosi operatori virtuali che si affacciano su questo mercato con una pressione competitiva molto elevata da parte del mercato.
Come lei ha accennato, il tasso di saturazione è del 150 per cento. Ciò dimostra proprio che il dominus, colui che ha in mano lo scettro in questo mercato, è oggi il consumatore, il quale, non soltanto sceglie l'operatore a cui legarsi in funzione della migliore offerta, ma addirittura, nel corso della giornata, decide se comprare connettività da un operatore o dall'altro, da chi acquistare voce e dati la mattina, da chi la sera e così via. Insomma, esiste un'attività che stimola una competizione molto elevata, tanto che l'evoluzione dei modelli tariffari e il calo tendenziale delle tariffe nel corso del tempo hanno dato misura del carattere competitivo di quel mercato.
Nel mercato del fisso, invece, abbiamo avuto un modello opposto: abbiamo prima privatizzato, e neanche tanto bene, e poi liberalizzato.
La domanda che vorrei formulare è la seguente. In vista di un modello competitivo che possa offrire tutto quello che serve in un Paese moderno, ossia investimenti infrastrutturali, prezzi bassi e possibilità di sviluppo dei servizi in base alla pressione competitiva del mercato, lei non crede che oggi sia necessario un intervento regolatorio molto più stringente sull'incumbent? Preciso la mia domanda. Se dal 1990 ad oggi la quota di mercato di Telecom è passata dal 100 per cento all'84 per cento (solo negli ultimi tre anni, siamo scesi dal 94 all'84 per cento); se si verificano paradossi secondo cui il modello attuale dell'unbundling è tale per cui, nonostante le attività regolatorie dell'Autorità da lei presieduta, le tariffe di interconnessione sono gestite da Telecom senza alcun contraddittorio e in aperta violazione delle indicazioni dell'Autorità; se si verifica il paradosso per cui, qualora si volesse cambiare operatore, è comunque necessario «passare dal via» come al gioco del Monopoli, ossia da Telecom, non crede che tutto questo costituisca un problema?
Mi permetta di evidenziare un ulteriore aspetto della questione. Come si dovrebbe agire, se nelle zone a minor densità di popolazione Telecom esercita il suo controllo sulla rete non dotando la zona di larga banda? Penso ad esempio ad alcune parti della provincia di Torino o ad alcune aree più periferiche del nostro Paese, come la Campania, dove è impossibile ottenere una accesso ADSL, perché Telecom ha un ritardo molto elevato nello sviluppo della sua rete.
Presidente Calabrò, proprio perché la neutralità tecnologica e lo sviluppo competitivo del mercato di domani possano ben funzionare, indipendentemente dal modello che l'Italia sceglierà, (quello di un operatore terzo sulla rete come Terna, un modello misto pubblico-privato, oppure il modello Openreach come quello inglese) non ritiene che già oggi la sua Autorità, con i poteri che ha e che pure non mancano, dovrebbe far sentire di più la propria voce sull'attuale normativa di regolazione nei confronti dell'incumbent?

PRESIDENTE. Do la parola al professor Calabrò per la replica.

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Onorevole Meta, nel ringraziarla per l'attenzione dedicata oggi ai problemi del settore delle telecomunicazioni, mi consenta anche di rivolgerle un ringraziamento suppletivo per l'attenzione e lo spazio riservati alle considerazioni di questa Autorità nella precedente legislatura.
Vengo ora al tema relativo ai dati diversi tra loro che vi sono stati offerti. Ebbene, le rilevazioni da me citate provengono tutte da fonti ufficiali, quali l'OCSE, la Commissione europea, la Banca d'Italia o la stessa Autorità, in seguito a indagini istruttorie con verifica compiuta. Peraltro, sono coerenti con i dati che avete a disposizione. Le lievi variazioni presenti in qualche numero di modesta entità o di qualche decimale dipendono dal fatto che i nostri dati sono più aggiornati, a volte di


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un trimestre, a volte di un semestre, a volte di un anno. Tuttavia, siamo nello stesso ordine di grandezza, come avete potuto cogliere.
Si chiedeva l'onorevole Meta, e poi ha riproposto la questione l'onorevole Stracquadanio, che cosa ne è stato della separazione funzionale. Ne abbiamo parlato nella scorsa legislatura e, recentemente, è stato avanzato qualche dubbio in proposito. Devo dire che tali dubbi sono stati sollevati anche nella Commissione europea e nello stesso ERG, il Gruppo dei regolatori europei, che abbiamo avuto l'onore di presiedere fino a qualche mese fa. In seno all'ERG abbiamo affermato fortemente l'esigenza della separazione funzionale. Questa nostra indicazione ha finito per prevalere, malgrado le resistenze dell'incumbent nei vari Paesi e anche di qualcuno all'interno della Commissione europea. Non è stato ancora definito un orientamento vincolante in sede europea, però la tendenza è quella.
Per quanto concerne l'Italia, non siamo rimasti fermi. In una certa fase di gestione di Telecom Italia, abbiamo avuto una contrapposizione, ma con l'attuale management siamo andati avanti. Questo spiega anche un qualche rallentamento dei tempi. Del resto, quando non si voleva proprio sentire parlare di questo argomento, era difficile portare avanti il discorso. Peraltro, come sapete, vi è una norma di legge che ci dà dei poteri, che comunque sono limitati. Si aspetta la direttiva europea per avere la sponda europea. Se dovessimo decidere di fare un'imposizione puramente autoritaria, non avremmo i poteri necessari e compiremmo un atto devastante. Meglio procedere, fino all'ultimo momento utile, d'accordo con l'incumbent.
Ebbene, questo accordo si profila, perché l'operazione Open Access è stata impostata seriamente. Attualmente, come è noto, essa è sottoposta a consultazione pubblica di tutti gli altri operatori. Noi raccoglieremo le opinioni di tutti. Tuttavia, la questione non «è acqua fresca». È stato detto che tale operazione non è paragonabile ad Openreach. In proposito, direi che essa può essere definita come una sorella che, a seconda che si veda il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, può essere definita gemella o sorellastra di Openreach. Manca la separazione, una divisione a sé stante. Tuttavia, vi sono tutti gli altri impegni e anche un board indipendente, preposto a garantire l'effettivo funzionamento della parità di trattamento tra operatori esterni e divisioni commerciali di Telecom. All'interno di questo board, due componenti su cinque sono nominati dall'Autorità (in Openreach sono leggermente più numerosi).
Ad ogni modo, siamo fiduciosi. Pensiamo di migliorare ancora lo schema - la consultazione non è finita, il dialogo con Telecom non è chiuso -, ma presumiamo di non essere lontani dalla meta. Infatti, sia nella prima proposta, che nella disponibilità ad accettare i nostri suggerimenti nelle fasi successive - fino a un certo punto, poi si è fermato, adesso aspettiamo la consultazione e vedremo il rush finale a che cosa porterà -, abbiamo riscontrato un'incoraggiante disponibilità da parte di Telecom.
Quindi, per quanto riguarda la separazione funzionale, non voglio dire che si tratti solo di un problema terminologico, ma poco ci manca. Altra cosa, invece, è la separazione societaria che sarebbe radicalmente risolutiva delle questioni relative alla nuova rete, ma - ripeto - questa non conosce esempi. Mentre la separazione funzionale, infatti, esiste soltanto in Gran Bretagna e in Italia (funzionale in Gran Bretagna e pseudo funzionale da noi), quella societaria non conosce precedenti. Pertanto, siamo ancora a un livello di studio.
Quella delineata è una soluzione cui si deve pensare in progress, congiuntamente a tanti altri elementi che devono essere valutati. Tra questi, ovviamente, vi è anche l'ipotesi di dare una spallata all'equiparazione della posa della fibra ottica rispetto alle opere di pubblica utilità, in ogni aspetto, anche per quanto riguarda la penetrazione nei condomìni. Esiste un precedente abbastanza funzionante, che credo possa essere adottato per questo servizio come è stato per quello televisivo;


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per esempio, si potrebbe abbassare nei condomini la maggioranza richiesta come si è fatto per le parabole (articolo 7 della legge n. 66 del 2001).
Lo svantaggio dell'infrastruttura italiana è grande e questo, onorevole Stracquadanio, spiega, se non giustifica, tante cose. L'Italia ha una rete unica in rame, perché il Paese così ha voluto. Infatti, quando nel 1991 il monopolista partì con il progetto in fibra ottica, chi lo aveva in mente e cercava di attuarlo «saltò». Questa è una situazione di sfavore rispetto agli altri Paesi, compresa la Gran Bretagna. Quindi, nel confrontare la nostra posizione a quella della Gran Bretagna, dobbiamo tener presente questo svantaggio di partenza. In quel Paese hanno il cavo e in altri luoghi esso è anche maggiormente diffuso. Negli Stati Uniti, inoltre, vi sono tre operatori in concorrenza tra di loro, ognuno di questi può realizzare il monopolio sulla propria rete, per cui - consentitemi la contraddizione in adiecto - vi è una concorrenza tra monopolisti. A chi non è soddisfatto è data la possibilità di cambiare operatore.
In Italia la rete è una sola, è di Telecom ed è in rame, con qualche pezzettino in fibra. Senza dubbio, tale rete può essere potenziata, specialmente nell'ultimo miglio. Può essere migliorata con collegamenti radioelettrici e in fibra, innestandosi sulla rete esistente, come propone Caio per la Gran Bretagna. Tuttavia, rimane fermo il problema relativo al fatto che gli armadi sono di Telecom. Abbiamo sentito che tale compagnia è disposta a rinunciare alle parabole, ma non credo che lo stesso possa dirsi per gli armadi, che sono quelli che garantiscono il possesso della rete. Dal momento che si tratta di una proprietà, se si intervenisse, si porrebbe in essere un'espropriazione. La nostra intenzione, invece, è quella di comprendere se sia possibile valorizzare l'innesto a questa unica rete, senza espropriare.
Onorevole Stracquadanio, è vero che la rete Telecom è passata dal 94 all'84 per cento negli ultimi tre anni. Consentitemi di dire che anche se si tratta solo di un 10 per cento, esso coincide con la presenza di questa Autorità. Sarà una coincidenza casuale, ma comunque è una forte diminuzione. Ad ogni modo, il nostro intervento si è concentrato particolarmente sull'unbundling, rispetto al quale registriamo il miglior funzionamento in Europa. Con il termine unbundling si intende che gli altri operatori si possono innestare, in maniera infrastrutturata sulla rete Telecom. Ecco perché c'è tanta concorrenza.
Ovviamente, nel settore del mobile la questione ha seguìto un percorso differente. In quel caso, infatti, si trattava di assegnare le frequenze; cosa che abbiamo fatto, rispettando la parità di condizioni. In questa circostanza, invece, dove la rete era unica, non avremmo potuto staccare pezzi di rame e consegnarli! Ovviamente, quindi, la situazione era ben diversa.
Tuttavia, con l'unbundling, abbiamo sopperito alle difficoltà. Come ho detto, infatti, tale meccanismo in Italia funziona meglio che in qualsiasi altro Paese, Gran Bretagna compresa. La Gran Bretagna ha realizzato Openreach, ma per quanto riguarda l'unbundling non è allo stesso livello dell'Italia. Peraltro, dopo l'operazione Openreach, tale Paese ha avuto anche altri problemi, che in Italia abbiamo affrontato preventivamente o stiamo per considerare nell'immediato.
Quindi, escludendo l'espropriazione della proprietà, un sistema di progressivo innesto esiste. Non a caso, nella larga banda la percentuale di Telecom è scesa al 64 per cento (ricordo che anche sotto questo profilo si registravano dati che si aggiravano intorno all'80 per cento). Insomma, in questi tre anni l'Autorità ha attuato qualche iniziativa.
Vengo ora al tema del passaggio da un operatore all'altro. In proposito, è stato detto che per effettuare tale cambiamento è sempre necessario passare attraverso Telecom. Ebbene, la rete è al servizio di tutti, di Telecom come degli operatori concorrenti. Questo assicurerà Open Access. Tale meccanismo funziona, infatti abbiamo il record europeo nei passaggi di numero. Nella sola Italia si verificano più passaggi di quanti non ne avvengano in Svezia, Danimarca e Norvegia messe insieme.


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Per quanto riguarda la tempistica, questa prevedeva dei mesi che, in seguito, sono scesi a settimane. Contiamo di arrivare a tre giorni. Quando realizzeremo questo obiettivo, potremo veramente dire che la circolazione è attivata e che il circuito funziona.
Quindi, mi pare di poter dire che qualche prospettiva per il presente sia già realtà. Giustamente, è stato detto che occorre occuparsi in primo luogo del presente, rispetto al quale abbiamo un potere e un dovere. Abbiamo una realtà esistente da regolamentare. Ce ne stiamo occupando, ce ne siamo occupati e ce ne occuperemo, perché continueremo a intervenire sui colli di bottiglia. In alcuni punti, infatti, il collegamento a larga banda non funziona e penso ad alcune zone vicino all'aeroporto di Milano, a determinate aree di Torino, i cosiddetti «punti ciechi» e così via. Per la verità, la nuova gestione di Telecom ha assicurato che si sta attivando. Non so se sia vero o meno, ma lo verificheremo. Le stiamo continuamente addosso con la nostra divisione tecnica. È un colloquio continuo e, quando necessario, si passa anche a qualche intervento sanzionatorio.
Tutto questo, però, non risolve il problema degli investimenti nella nuova rete. Come dicevo, non si tratta più di regolare l'esistente - rispetto al quale, con un po' di presunzione, ritengo di poter dire che ce la caviamo -, ma il futuro. Anzi, occorre creare il futuro, prima ancora di regolarlo. Detto questo, ricordo che noi possiamo fare tutto tranne che stanziare fondi. Del resto, non lo può fare neanche il Governo, se vuole rispettare le regole comunitarie, tranne che nelle «aree bianche e grigie». Quindi, il problema delle zone ad alta intensità di utenza non viene risolto nemmeno dall'intervento del Governo.
Tale difficoltà è stata superata nei Paesi ad economia dirigistica. Quanto ai Paesi ad economia di mercato, o questi avevano una situazione plurima, come in qualche misura la Gran Bretagna e in pieno gli Stati Uniti (nelle varie città del nord localmente, ma neanche in quel caso si può parlare dell'intero Paese), oppure si trovano ad affrontare tale questione. Il punto è che tutti si stanno misurando con questo problema. Del resto, o si prefigura oggi o sfumerà nell'indeterminatezza, condannando l'Italia a un recesso ineludibile.

PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione del testo integrale della relazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1).
Nel ringraziare il presidente Calabrò, i membri della Commissione e il commissario Enzo Savarese, un altro componente della Agcom che è stato presente nel corso dell'audizione, dichiaro conclusa l'audizione e sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 11, è ripresa alle 11,40.

Audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'assetto e sulle prospettive delle nuove reti del sistema delle comunicazioni elettroniche, l'audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà, al quale do la parola.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Onorevole presidente, onorevoli deputati, prima di tutto intendo ringraziare la Commissione a nome personale e del collegio che rappresento per l'iniziativa estremamente importante, maturata in un momento opportuno per la politica industriale italiana e per aver voluto invitare l'Autorità ad esprimere il proprio parere in questa sede così importante e su una materia così delicata. Sono con me il segretario generale, dottor Luigi Fiorentino, il capo di gabinetto dell'Autorità, consigliere Paolo Troiano, il capo dell'ufficio stampa, dottoressa Emanuela Goggiamani, e il dottor Angelo Lalli, il funzionario


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di gabinetto che ha curato la redazione del documento approvato dal collegio ed oggi posto all'attenzione della Commissione. Non intendo illustrarvi tutto il suo contenuto anche perché esso si compone di parti già a voi ampiamente illustrate dal collega Calabrò, presidente dell'Autorità di regolazione del settore.
La prima parte del documento illustra l'importanza della realizzazione delle NGN per l'economia nazionale. Su questo l'Autorità ha una posizione non dico di prudenza, ma di verifica in progress delle effettive utilizzazioni di una rete così importante come quella che riteniamo opportuno realizzare. Nella prima parte della relazione si accenna ai costi previsti per la realizzazione delle NGN, stimati intorno ai 10 miliardi di euro, e alle potenze trasmissive necessarie, che arrivano fino a 100 megabit anche se non per tutte le esigenze. Per alcune potrebbero infatti essere necessari 50 megabit, per altri 20, mentre uno standard accettabile per gran parte delle famiglie italiane può essere anche di 10.
Il tema quindi non riguarda solo l'importanza della rete, ma anche chi, come e con quali risultati debba realizzarla. In teoria, le possibilità sono due: un intervento pubblico o un intervento privato. L'intervento pubblico sul modello giapponese prevede un totale finanziamento della rete. In Giappone si arriva infatti fino a 100 megabit per la cablatura dell'intero Stato. In Italia probabilmente una simile soluzione non è ipotizzabile, perché la società pubblica che acquista definitivamente la rete dovrebbe spendere questi 10 miliardi, essendo inaccettabile un esproprio senza indennizzo nei confronti di Telecom, e altri 10-11 miliardi per l'innovazione della rete stessa. Probabilmente oggi lo Stato italiano non riesce a permettersi un investimento di 20 miliardi.
I privati possono costruire questa rete facendo lavorare il mercato. L'Antitrust deve necessariamente esporre questa ipotesi come la prima e più immediata: il mercato decide chi, come, con quali strumenti e con quali ritorni si costruisce un investimento, un'immobilizzazione. In realtà, però, laddove la rete di nuova generazione si è quasi completamente realizzata, lo Stato non ha lasciato il mercato completamente libero. In Germania, lo Stato ha infatti permesso deroghe alla regolazione e quindi anche alla concorrenza a favore dell'impresa incumbent, la Deutsche Telekom. Come sapete, a questo la Commissione europea ha reagito aprendo una procedura di infrazione.
Un'altra possibilità di deroga è rappresentata dal modello applicato negli Stati Uniti, ovvero una semplice deroga al principio di neutralità, per cui il gestore della rete fa pagare molto di più Google del blogger che pubblica, ad esempio, il proprio diario e quello di pochi amici.
Oggi in Europa questa soluzione è praticabile solo con molte attenuazioni, perché il principio comunitario è quello della neutralità dello strumento tecnologico, per cui non si può discriminare in ragione del soggetto.
In ragione del prodotto del servizio, invece, forse è possibile fare qualche distinzione. Per quanto ci riguarda sono state avanzate più soluzioni. Ritengo che quella più accreditata per la costituzione di una delle basi di una vera rete sia la creazione di una società separata anche se non proprietariamente diversa da Telecom, in cui tale società possa mantenere il controllo con la partecipazione di altri soggetti quali società pubbliche, società private, fondi, provider, imprese di telecomunicazioni. Il pericolo da evitare è quello di una società consortile, cui partecipino tutti i competitor del mercato; sarebbe eccessiva la regolazione, anche di governance, di tipo comportamentale, per evitare che quella società consortile diventi un luogo di concertazione, di scambio di informazioni e di collusione ai danni degli utenti.
La guida Telecom è motivata dal fatto che possiede quasi il 90 per cento della rete oggi presente in Italia, ma anche dalla conoscenza delle effettive necessità del mercato. Non è infatti necessario portare 100 megabit in tutti i quartieri di una città e in tutte le città, giacché in alcune zone sarà sufficiente rafforzare il doppino con


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modem che consentano il passaggio da 1 o 3 a 10 megabit, mentre in altre si arriverà a 50. Fino a 50, però, non c'è bisogno della fibra ottica, se attraverso l'interazione favorevole di wireless il sistema è in grado di giungere al risultato richiesto dall'utenza.
Su questo la posizione dell'Antitrust è molto vicina a quella espressa nello studio realizzato da Caio per British Telecom, perché il mercato ha una propria domanda, in base alla quale bisogna attendersi dei ritorni. Questa domanda andrà crescendo purché esistano gli incentivi per farla crescere, ovvero la necessaria alfabetizzazione informatica nonché servizi e prodotti effettivamente appetibili su rete. In mancanza di questo, infatti, avremmo una rete sovradimensionata anche per quanto riguarda gli investimenti in rapporto alle reali necessità e ai ritorni attesi dall'impresa protagonista di un'immobilizzazione così importante.
Per quanto concerne il principio di neutralità, ci chiediamo cosa comporti una politica tariffaria in una materia così complessa. Possiamo sposare un principio solo teorico e affermare che i prezzi debbano essere uguali per tutti. In un negozio con tutte le scarpe allo stesso prezzo, comprandone cinque paia si pagherà dunque cinque volte, mentre per un solo paio di scarpe, una volta sola. Sulla rete, però, non si acquistano scarpe, ma si va per offrire servizi di vario tipo e varie attività. È come un ponte, sul quale si passa pagando. È possibile dunque far pagare più un tir di una bicicletta, non far pagare niente un'ambulanza o la pattuglia della Polizia.
Fermo restando un principio di neutralità dello strumento tecnologico, è necessario intendersi sul concetto di neutralità. Ritengo infatti che con neutralità si intenda non una cieca abdicazione a qualsiasi politica di prezzo da parte dell'impresa che fa un investimento, bensì stabilire un principio di non discriminazione soggettiva, per cui far pagare lo stesso prezzo di utilizzazione delle rete sia alla RAI che a Mediaset. Non credo però che il blogger debba pagare la stessa cifra di Google per lo spazio occupato. Questo deve essere lasciato alla libertà di determinazione dell'impresa, perché solo con una politica differenziata dei prezzi in ragione della domanda, delle esigenze, dell'importanza del servizio si può creare un meccanismo remunerativo non iniquo. Altrimenti ci troveremmo al digital divide per problemi di prezzo.
Ritengo che non si possano porre tariffe troppo sociali su un investimento del genere, per cui chi ha più da investire su questa rete pagherà di più.
Per l'Autorità è invece imprescindibile la tutela del principio di libero accesso. Non si può pensare che chi costruisce la rete tolga quanto c'era prima. Se un OLO che possiede un piccolo passaggio sul rame con l'introduzione della fibra ottica non vi avesse accesso, la politica della concorrenza compirebbe un passo indietro e la civiltà giuridica non lo consentirebbe in quanto profondamente ingiusto. È necessario individuare meccanismi che garantiscano agli OLO la possibilità di continuare la loro politica di inserimento e di differenziazione dell'offerta rispetto all'incumbent.
La rete potrà essere valorizzata da un sistema wireless sia per UMTS, sia per Wi-Fi, nel cui caso non sono ancora chiari i motivi per cui non ha avuto lo sviluppo auspicato. Capisco che chi ha pagato molto l'UMTS oggi non sia tanto disponibile a investire in nuove tecnologie, però il Wi-Fi dovrà completare una rete, anche perché se ci sarà il passaggio al digitale terrestre - e noi ci auguriamo che avvenga presto - molte frequenze che forse già oggi sono incidentarie (nessuno lo vuole confessare) potranno diventare superflue ed essere messe a disposizione per altri servizi, soprattutto per la NGN. Questo consentirebbe di superare le molte difficoltà di passaggio di cavi, tuttora persistenti nonostante gli opportuni provvedimenti emanati con l'ultima legge finanziaria che consente accelerazioni, e nonostante la buona volontà del Governo centrale. Nel confrontarsi con i governi locali, infatti, ci si scontra con tante esigenze, che spesso per banalità finiscono per interrompere una rete. Di questo abbiamo


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notizia non solo per questa vicenda della rete telefonica di nuova generazione a fibra ottica, ma per tutte le reti stradali o per i tubi.
Rimango a disposizione per eventuali dubbi. La relazione scritta è più completa nelle sfumature, ma credo sia già emerso chiaramente come l'Antitrust abbia assunto una posizione di apertura rispetto alla inderogabilità della politica tariffaria uniforme, ma di chiusura rispetto a deroghe o esenzioni dalla regolazione e quindi dall'accesso agli OLO. Essa è contraria a una società separata consortile, ma favorevole a una società separata con la partecipazione di altri operatori e di fondi.

PRESIDENTE. Grazie, presidente Catricalà.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LUCA GIORGIO BARBARESCHI. Ringrazio innanzitutto il presidente Catricalà per l'esposizione. Desidero rivolgerle due domande, presidente, una delle quali riguarda il problema dell'identità in rete. Siamo avviati verso una grande evoluzione dei sistemi di comunicazione e, soprattutto per quanto riguarda Internet, si rileva nel mercato - ho appena partecipato a un convegno di Confindustria - uno straordinario sviluppo di contenuti sia per la raccolta pubblicitaria sia per quanto riguarderà le news e i beni culturali.
In Italia, il mercato della pirateria è uno di quelli che fa più disastri. Se ne conosce esattamente l'origine (la zona di Napoli e dintorni) ed esso ha eroso più dell'80 per cento del mercato e tutti i contenuti. Una proposta concreta per creare un'identità in rete, così come avviene sulle strade normali, consiste nell'imporre di dichiarare l'identità a chi viaggia sulle infohighway. Un'altra ipotesi interessante potrebbe essere l'identità del denaro, che eliminerebbe ogni possibilità di riciclo e di scarsa trasparenza nei movimenti finanziari. Considero molto importante l'identità in rete, perché oggi lo sviluppo in atto rischia di essere vanificato dalla pirateria.
La seconda domanda riguarda il tasto dolente del servizio pubblico italiano, fortemente connotato da prodotti che appartengono a multinazionali straniere, oggi anche controllate dalla concorrenza, ovvero da Mediaset. Non voglio aprire alcuna polemica in questo senso, perché gli assetti azionari sono ben fatti e non prevedono una relazione diretta. Oggi, però, la RAI garantisce un rilevante fatturato soprattutto a multinazionali straniere. Questo significa che contenuti spesso di scarso valore e di dubbia utilità stanno invadendo un buon cinquanta per cento della televisione. Sebbene i grafici indichino l'evoluzione del digitale terrestre, di Internet, di IP Television, i dati recenti rivelano come il 90 per cento dei ragazzi di 14-15 anni segua ancora la televisione generalista. Ritengo quindi necessario restituire alla televisione pubblica un'identità, che non vanifichi il lavoro di altri ministri in questo campo. Il lavoro dei ministri Gelmini e Bondi potrebbe infatti essere vanificato da contenuti di bassa qualità.
Vorrei capire quindi se l'Autorità abbia il potere di ridare centralità ai contenuti del futuro, per evitare di parlare solo di strade e di diventare casellanti senza essere protagonisti. Lo siamo diventati sulle strade normali, in cui non circolano quasi più auto italiane, ma sarebbe culturalmente grave diventare i casellanti di prodotti stranieri.

AURELIO SALVATORE MISITI. Ringrazio il presidente per la sintesi con cui ha illustrato le posizioni e il contributo dell'Autorità nel campo delle reti di comunicazione di nuova generazione, che approfondiremo leggendo la relazione.
In Italia, si rileva una generale condivisione dei princìpi ispiratori dell'Autorità perseguiti sin dalla sua istituzione con costante coerenza in tutti i campi. In base all'esperienza maturata, vorrei sapere perché in questo settore di punta, come in altri tecnologicamente avanzati, l'Italia parta bene a livello sia privato che pubblico, ma poi si fermi e resti indietro.


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Lo Stato incontra difficoltà nel costruire non solo le autostrade, ma anche queste reti di nuova generazione. Come evidenziato dal presidente, difficilmente lo Stato potrebbe investire 20 miliardi di euro, mentre si afferma che potrebbero farlo i privati. In questa direzione, si rileva una difficoltà, perché ritengo che si possa farlo solo a condizione che lo Stato si ponga non come colui che non possiede i fondi e quindi demanda, bensì come programmatore e stimolatore, in grado di favorire e creare le condizioni favorevoli, altrimenti il privato italiano tendenzialmente preferisce investire fuori. Per il privato, investire in infrastrutture in Italia diventa sempre difficile a causa della giungla di leggi.
Per superare questo problema e cercare di recuperare terreno, lo Stato deve fare un programma minimo di investimento di almeno 2-3 miliardi, che inneschi un processo virtuoso di investimenti privati italiani ed esteri per realizzare queste reti di nuova generazione da potenziare al massimo. Attualmente, infatti, esiste la necessità di differenziare le aree, ma in tempi lunghi una zona arretrata può diventare quella più avanzata del Paese. I movimenti sono dunque molto veloci partendo dallo stesso punto.
Se l'Italia ritiene di essere a questa altezza e di possedere le risorse pubbliche e private, anche straniere, dovremo lavorare per evitare impedimenti. L'Autorità dovrà quindi valutare l'opportunità di consorzi misti pubblici-privati, società, project financing, esperienze positive maturate in altri settori. Come membri del Parlamento, non possiamo stare fermi. Nonostante alcuni limiti, l'Autorità può darci suggerimenti in base all'esperienza maturata in tanti settori.

GIOVANNA MELANDRI. Innanzitutto ringrazio il presidente Catricalà per la sua presenza. Leggeremo nel dettaglio la relazione, che da una prima scorsa sembra offrire già ipotesi di modelli diversi quali quelli inglese, americano e tedesco, su cui è in corso una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea, per la ricerca del modello italiano. Mi astengo dal formulare domande di carattere generale su questa ricerca, oggetto dell'indagine della Commissione e rivolgo interrogativi di dettaglio su alcuni punti.
Per quanto riguarda le NGN, una questione riguarda la relazione tra questo processo e la transizione al digitale terrestre. In alcuni passaggi, lei, presidente Catricalà, ne ha fatto cenno facendo riferimento esplicito alle frequenze che «si liberano» nel passaggio al digitale terrestre, non sempre riconosciute come tali. Nel passaggio al digitale terrestre queste frequenze potrebbero essere utilmente utilizzate per servizi di telecomunicazione. Chiedo quindi qualche ulteriore riflessione su questo punto,
Vorrei chiederle anche un'opinione sul ruolo di programmazione degli enti territoriali e delle regioni da questo punto di vista. Ritengo infatti che qui ci sia qualcosa di non detto nel dibattito pubblico italiano. Non siamo convinti delle scelte dell'attuale Governo. Si rileva, da un lato, una funzione di indirizzo e di regolazione dell'ente territoriale maggiore di quella sinora riconosciuta e, dall'altro, l'esigenza di addivenire a trasparenti procedure pubbliche per il passaggio dall'analogico al digitale, che chiariscano scelte di programmazione sul territorio anche concernenti le frequenze che possono liberarsi per i servizi di telecomunicazione.
Una domanda specifica mi ricollega al discorso dell'onorevole Barbareschi sul servizio pubblico. Vorrei chiederle un parere sulla possibilità per il servizio pubblico italiano di offrire programmazione a pagamento, come avviene in Inghilterra. Negli ultimi anni dell'esplosione della multimedialità, la BBC ha sviluppato una sua identità perché il regolatore le ha concesso di raccogliere risorse anche nella pay-per-view, a differenza di altri servizi pubblici che invece vivono di una relazione fra canone e raccolta di risorse pubblicitarie senza vendere in senso stretto i loro servizi. In relazione al suo discorso sulla cieca abdicazione a una politica di prezzi, ritengo che una politica di prezzi dei


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produttori di contenuti possa stimolare l'evoluzione delle reti e vorrei quindi conoscere la sua opinione in merito
L'ultima questione meriterebbe forse un'altra audizione. Dalla rapida lettura della sua relazione e dalle sue parole emerge un'attenzione ragguardevole e condivisibile alla problematica del digital divide, che rischia di essere uno dei prodotti dell'impostazione di prezzo degli operatori. Uno dei profili del digital divide è legato alla definizione dei prezzi. Per quanto riguarda la relazione tra apertura dell'NGN e transizione al digitale, in alcune aree del nostro Paese quella transizione potrebbe subire rallentamenti e l'offerta di contenuto di servizio pubblico potrebbe essere improvvisamente sottratta ai cittadini.

DAVID FAVIA. Ringrazio innanzitutto il presidente per la sua relazione. Desidero fare due segnalazioni. Poiché si dibatte in maniera centrale degli investimenti, ricordo come nell'ultima audizione il sottosegretario Romani si sia dichiarato contrario all'intenzione dell'Unione europea di contenere i costi della telefonia mobile, abbassando da 0,13 a 0,11 centesimi il costo degli SMS. Non vorremmo che questa pressante e corretta richiesta di investimento da parte dei privati portasse poi a giustificare un prezziario dei costi della telefonia mobile che consenta anche utili abnormi. Su questo chiederei grande attenzione, così come per quanto riguarda le regioni. Il decreto n.112 ha previsto facilitazioni sulla DIA per piccole integrazioni di rete, aspetto che può rientrare nelle competenze delle regioni. Mi sembra che ultimamente alcuni provvedimenti legislativi abbiano eliminato previsioni di investimenti per progetti di infrastrutturazione telematica proprio in comunione con le regioni. Vorrei chiedere chiarimenti in proposito.
Come affermato dall'onorevole Meta nella precedente audizione, queste infrastrutturazioni dovrebbero essere considerate alla stregua di interventi pubblici assolutamente primari. L'interesse del consumatore deve essere considerato prioritario come quello alla realizzazione delle infrastrutturazioni, senza che questa comporti una locupletazione, un eccesso di utili. Mi sembra infatti che questo settore sia ampiamente a disposizione per una sorta di pirateria commerciale.

PRESIDENTE. Nel ringraziare per gli interventi, do la parola al presidente Catricalà per la replica.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Gli interventi sono tutti molto stimolanti ed evidenziano la complessità della questione dibattuta, di cui vi occuperete anche nei giorni a venire.
L'onorevole Barbareschi segnalava la necessità di approfondire il tema dell'identità sulla rete, tema che sentiamo moltissimo perché, come garanti della correttezza commerciale, spesso non possiamo individuare l'artefice della scorrettezza, in quanto coperto da uno strano intreccio di siti che hanno la loro sede e la loro fonte di emittenza in Paesi di cui talvolta ignoravo persino l'esistenza. Non individuare l'identità del soggetto significa non poter rispondere alle pressanti esigenze rappresentate dai consumatori. Il nostro call center in funzione da cinque mesi ha raccolto oltre 8 mila segnalazioni di abusi, scorrettezze, piccole prepotenze, tranelli e inganni del mercato. Quando ci si scontra con messaggi veicolati esclusivamente su Internet, troppo spesso è impossibile risalire al reale autore di questo messaggio, perché coperto da una strana rete di intersezioni che conducono a siti lontanissimi. È accaduto anche per la telefonia, ma è stato più semplice arginare il fenomeno. Per queste telefonate satellitari, sanzionate per le modalità con cui vengono tariffate e proposte (o troppo spesso imposte), ci siamo infatti trovati nella difficoltà di individuare il soggetto responsabile.
Considero molto importante l'identità anche per garantire la proprietà intellettuale del prodotto, evitando contraffazioni che viziano e drogano il mercato, rendendolo più povero per i consumatori e per i


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produttori. Il tema è estremamente connesso a tematiche relative ai codici delle comunicazioni elettroniche e della privacy. Per quanto riguarda la nostra Autorità, una maggiore identificabilità e chiarezza sugli operatori accresce la nostra possibilità di intervenire.
L'onorevole Barbareschi accennava a una seconda problematica, sulla quale per molti anni si sono interrogati la nostra Autorità, il Parlamento e il Paese, tema ripreso anche dall'onorevole Melandri, ovvero al servizio pubblico radiotelevisivo italiano. Considero connaturale al mercato l'esistenza di contenuti prodotti al di fuori di questo servizio, giacché un servizio pubblico, che è anche televisione commerciale, si avvale del canone ed anche della pubblicità; ha bisogno dunque di una propria audience e necessariamente si rivolge a quello che c'è: quanto non viene prodotto in house viene acquistato sul mercato sulla base delle offerte esistenti. L'Autorità delle comunicazioni vigila sulla validità del prodotto finale attraverso la sezione servizi, così come esiste una Commissione parlamentare. L'Antitrust può intervenire solo qualora rilevi collusioni tali da annullare la concorrenza tra le due entità, cosa che finora non è mai emersa dalle nostre indagini e dai nostri accertamenti, giacché la concorrenza tra i due incumbent del sistema appare forte e attiva.
Nel settore telefonico la concorrenza è più forte perché il processo di liberalizzazione ha avuto una rilevante accelerazione all'epoca della privatizzazione di Telecom. Probabilmente, se un giorno si dovesse decidere di privatizzare una rete RAI (ma non mi sembra che ciò corrisponda alla sensibilità del Paese), vi sarebbe nuova linfa per maggiore concorrenza e competizione. Da quanto emerge però dai giornali e dal dibattito politico questo non sembra un tema di attualità.
Spesso ci lamentiamo della qualità del servizio televisivo pubblico per il quale paghiamo il canone. Alcune sere fa leggevo dell'importanza che ha avuto la televisione nella cultura italiana laddove la scuola aveva fallito, ovvero rispetto all'unificazione della lingua, che anche nel 1948 aveva inflessioni e differenze tali da configurare l'esistenza di lingue diverse. La televisione è riuscita a uniformare la lingua, i modi di dire, i detti e a far comprendere anche i dialetti napoletani e siciliani ai milanesi e viceversa. In tale pubblicazione si riconosceva alla televisione questo merito, al di là dei vani sforzi che le varie riforme scolastiche avevano fatto per colmare questa effettiva divisione. Talvolta, quindi, ci accorgiamo dei meriti apprezzabili di uno strumento che riteniamo superato o non più adeguato alle necessità solo dopo molto tempo.
Il tema della trasmissione su più mezzi dello stesso messaggio televisivo è ormai di grande attualità. I giovani si staccano dalle televisioni generaliste, ma si sintonizzano ormai via Internet sulla televisione via cavo. La televisione via cavo, tecnologia particolarmente sviluppatasi in America senza la necessità della fibra ottica, trova nella rete di nuova generazione uno strumento per arrivare nelle case di tutti con un'offerta anche di pay-tv e di pay-per-view. Oggi, infatti, Telecom è operativa con un'offerta annua di 1.500 film sul computer nel momento della richiesta di allaccio telefonico.
È diverso, invece, il discorso di una frequenza radio che possa portare su banda larga contenuti complessi quali film, perché oggi su banda larga di origine semplicemente radiofrequenziale non si riescono a trasportare più di 7 megabit. Si dovrebbe arrivare a un minimo di 10 megabit. Personalmente, nella mia abitazione ho accresciuto la capacità da 1 a 3 megabit e mi sento velocissimo su Internet, ma, come evidenziato dall'onorevole Misiti, si tratta di una tecnologia che occorre misurare alla luce delle ottimistiche previsioni di sviluppo.
Come è però doveroso essere estremamente ottimisti nella previsione di domanda, si deve essere ottimisti anche nell'evoluzione delle tecnologie. Oggi, infatti, la fibra ottica sembra rappresentare un futuro fantascientifico, ma probabilmente tra tre o quattro anni scopriremo una tecnologia superiore, più facile e più semplice,


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in grado di consentirci con la frequenza radio di garantire almeno i 10, 20 o 30 megabit necessari.
Desidero ringraziare l'onorevole Misiti per l'apprezzamento rivolto all'attività della nostra Autorità. Anche noi spesso lamentiamo nelle nostre segnalazioni e relazioni che punti di eccellenza del sistema Italia si siano persi in seguito alla competizione con altri Stati. In base al nostro angolo visuale, che probabilmente è parziale, riteniamo di perdere di competitività proprio laddove non c'è competizione in Italia e di conseguenza neppure con l'estero. Il settore telefonico in Italia è un buon mercato, in grado di competere persino con gli Stati Uniti d'America per qualità del servizio in quanto fortemente competitivo. Diverso è invece il sistema di telefonia fissa, perché in alcune aree la competizione non si è sviluppata, in altre lo ha fatto con ragguardevole ritardo. Questo ha comportato una caduta di efficienza dell'intero sistema.
Per quanto riguarda la telefonia mobile, le aziende oggi presenti sono tutte molto efficienti. Si tratta di aziende che possono permettersi prezzi bassi e occupazione elevata, perché si sono mosse sotto la spinta competitiva interna, in assenza della quale il sistema Italia non è in grado di rispondere neppure alla spinta competitiva esterna.
L'onorevole Melandri ha sollevato tre temi essenziali, la cui importanza richiederebbe effettivamente tre distinte relazioni. Cercherò di sintetizzare la posizione dell'Autorità in formule forse ben note perché ormai fanno parte dei nostri documenti, anche se un po' criptiche. Consideriamo il digitale terrestre uno strumento che deve servire a creare competizione tra operatori e tra produttori di contenuti. Il problema della produzione di contenuti è gravissimo per l'Italia, perché la loro creazione necessita di particolari investimenti, ma anche di grande know-how...

LUCA GIORGIO BARBARESCHI. Se i broadcaster non rispettano le regole dettate dall'Unione europea, difficilmente cresceremo in Italia. Tali regole vengono continuamente tradite. In passato, in qualità di presidente dei produttori sono spesso venuto da voi a lamentarmi in proposito.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Sì, lo sappiamo.

LUCA GIORGIO BARBARESCHI. È una sorta di serpente che si mangia la coda. Stiamo uccidendo un'industria virtuosa italiana, nonostante abbia un riscontro con il pubblico, innamorato del prodotto italiano, che spesso va meglio anche degli acquisti stranieri. Invece, continuiamo a «picchiare» sui prodotti italiani fino a stroncarli definitivamente. Quando un prodotto americano, che costa 15 mila euro a puntata, viene infarcito di pubblicità e fa lo stesso ascolto di un prodotto per il cui investimento occorrono 1,3 milioni di euro, è ovviamente molto più facile comprare al mercato. Come già accaduto in passato, però, e come accade per l'eroina inizialmente venduta a basso costo, il prezzo pian piano risale e a quel punto si è costretti a comprare quei prodotti con un pubblico completamente «perso» e con il testimonial di un altro Paese. Constato come questo stia verificandosi in modo grave. Mi scusi se mi sono permesso di interromperla ...

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Ci mancherebbe.
È della stessa importanza il tema della possibilità per il servizio pubblico di fare impresa, di stare sul mercato con offerte di diverso tipo, la pay-per-view o la pay-tv. Gli operatori si stanno muovendo in sede europea e si muoveranno anche in sede nazionale. Alla fine, spetterà a voi decidere se sia o meno opportuno mettere le mani sul sistema e valutare di quali riforme nel settore radiotelevisivo il Paese abbia bisogno. Alcuni vincoli, derivanti da concezioni tecnologiche, una volta avevano un senso mentre probabilmente oggi non hanno infatti più quell'importanza; altri


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invece, non basati sull'attuale realtà tecnologica, devono essere posti per consentire nuovi ingressi e uno sviluppo sia dell'informazione variegata, sia dell'industria di servizio e di prodotto radiotelevisivo, in cui l'Italia possiede un primato da conservare.
L'onorevole Favia segnalava due questioni, che vengono trattate solo di sfuggita nella mia relazione. La prima riguarda la politica di prezzo e il costo del servizio. I privati non devono potersi avvalere - mi sembra che sul punto siano tutti d'accordo - di una politica di prezzo più gravosa per il consumatore per giustificare i propri investimenti in rete. L'immobilizzazione deve avere il proprio ritorno in ragione di quel prodotto, non di altri servizi. Con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni abbiamo avviato un'indagine conoscitiva sul costo degli SMS - non è un'istruttoria - per capire se realmente da noi gli SMS costino più che in altri Paesi, in tal caso se a ragione o irragionevolmente. Partiamo non da un preconcetto, ma da alcuni dati comunicati dalle autorità consorelle nei Paesi europei, in particolare in Francia.
Per quanto riguarda la regolazione regionale, siamo ben coscienti delle difficoltà di avere una regolazione regionale di apertura a un sistema complesso, che comprenda anche la competizione e il rischio. Finora, l'Autorità si è sempre scontrata con regolazioni regionali restrittive, tanto da considerarle un paradosso, laddove le regioni nascono e si fortificano sulla base di un'esigenza di libertà, oltre che di democrazia e di vicinanza alla gente, mentre poi legiferano sul numero chiuso di pizzerie in Veneto o di negozi di ottica in Sicilia, e i regolamenti comunali prevedono un numero limitato di pittori a Venezia all'angolo dei calli o un indennizzo per i venditori di grano per piccioni a piazza San Marco, che non ci sono più. Altre regolazioni regionali prevedono una certa area destinata ai prodotti locali nei supermercati. Si tratta di una serie di protezioni le quali fanno ritenere che non ci sia una grande propensione per un'apertura al mercato.
Lo Stato, che deve costruire le infrastrutture, oggi ha però a disposizione un'arma in più per far valere le proprie facoltà decisionali, perché in più settori, dalle professioni alla telefonia, ai lavori pubblici, all'energia, la Corte costituzionale ha affermato che la tutela della concorrenza è di stretta competenza statale e che le leggi contrarie a princìpi concorrenziali regionali possono essere impugnate dallo Stato, il quale può legiferare in materia concorrenziale superando la competenza regionale. Se quindi occorre compiere un'azione da parte dello Stato a favore di un'infrastruttura proconcorrenziale, come indubbiamente è la banda larga, questa legislazione può superare le singole legislazioni regionali e i regolamenti comunali. In questo speriamo, anche se ci rendiamo conto di quanto il tema sia politicamente scottante e su questo la responsabilità, per mia fortuna, è solo vostra.

PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione del testo integrale della relazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2).
Nel ringraziare il presidente Catricalà per il suo intervento e i suoi collaboratori per la loro presenza, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,40.

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