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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione IX
4.
Giovedì 25 novembre 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Valducci Mario, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL SETTORE DEL TRASPORTO FERROVIARIO DI PASSEGGERI E MERCI

Audizione di rappresentanti di FerCargo:

Valducci Mario, Presidente ... 3 8 10 12
Desiderati Marco (LNP) ... 10
Di Patrizi Giacomo, Presidente di FerCargo ... 3 10 12
Garofalo Vincenzo (PdL) ... 9
Monai Carlo (IdV) ... 8
Terranova Marco, Vicepresidente di FerCargo ... 10
Toto Daniele (FLI) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani: Misto-Noi Sud-PID; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.

COMMISSIONE IX
TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 25 novembre 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO VALDUCCI

La seduta comincia alle 13,45.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di FerCargo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul settore del trasporto ferroviario di passeggeri e merci, l'audizione di rappresentanti di FerCargo.
Sono presenti il dottor Giacomo di Patrizi, presidente di FerCargo, l'ingegner Marco Terranova, vicepresidente, e il dottor Giuseppe Rizzi, segretario generale.
Do la parola al dottor Giacomo di Patrizi, presidente di FerCargo.

GIACOMO DI PATRIZI, Presidente di FerCargo. Ringrazio la Commissione per questa audizione, che ci offre la possibilità di farvi conoscere il nostro punto di vista in merito al trasporto ferroviario di merci. Abbiamo preparato una relazione, che consegno alla presidenza, che vorrei scorrere brevemente per fornire qualche ulteriore indicazione.
Nella stesura della relazione siamo partiti dal quadro normativo di riferimento attuale. In Italia, come sapete tutti, siamo in regime di liberalizzazione del trasporto ferroviario di merci da alcuni anni; dei diversi atti normativi che hanno recepito alcune direttive comunitarie il più importante è stato il decreto legislativo n. 188 del 2003, che ha riguardato soprattutto scali e terminali. Da allora è iniziato un percorso che è stato virtuoso nei primi tempi, allorché si è verificato un aumento consistente del traffico merci su ferrovia.
Fino al 2006 si è avuta una crescita del volume e c'è stato anche un miglioramento in termini di servizio, con l'ingresso dei primi newcomers. Dal 2007 in poi, invece, si è avuto un ridimensionamento deciso di tutto il trasporto merci su ferrovia e, purtroppo, oggi registriamo numeri preoccupanti dal punto di vista della crescita e del traffico gestito quotidianamente.
FerCargo è nata nel 2009 ed è l'aggregazione di tutte le imprese che non fanno riferimento al mondo FS, ma operano nell'ambito del trasporto ferroviario in Italia. Ne fanno parte - in maniera abbastanza equa - sia società che sono diramazioni di imprese ferroviarie straniere, che hanno deciso di posizionarsi in Italia per lavorare nel nostro territorio, sia imprese che sono frutto di iniziative imprenditoriali italiane, che hanno deciso di investire nel trasporto merci su ferrovia.
Si tratta di un gruppo di aziende che oggi occupa un numero abbastanza consistente di addetti - circa 1.100 - e gestisce 1.150 treni a settimana, rappresentando attualmente più del 20 per cento del traffico merci che si muove sul nostro territorio. Parliamo, quindi, di una realtà consistente.
L'Italia, relativamente al quadro di sviluppo e di crescita del trasporto ferroviario,


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è un Paese storicamente indietro rispetto ad altri Paesi europei in termini di trasporto merci ferroviario. Questo ritardo è dovuto a mille ragioni: la conformazione del territorio, un'infrastruttura da sempre carente rispetto agli altri Paesi, un approccio storicamente molto più orientato al trasporto su gomma piuttosto che al trasporto ferroviario o ad altre modalità. In definitiva, gravitiamo sempre intorno all'8 per cento del traffico modale.
Negli ultimi tre o quattro anni, purtroppo, il decremento deciso - dovuto a vari fattori - che si è verificato in termini di sviluppo del traffico ferroviario ha peggiorato decisamente questa percentuale. Oggi si stima che la quota modale del trasporto ferroviario sia a ridosso del 6 per cento, una cifra veramente bassa e fortemente preoccupante.
I fattori fondamentali che abbiamo individuato, che si pongono all'origine di questo triennio disastroso, sono sostanzialmente tre. Il primo è ovviamente legato alla crisi degli ultimi due anni: il 2008 e il 2009 hanno certamente rappresentato un periodo negativo, ma il trasporto ferroviario ha subìto decrementi superiori rispetto a quelli registrati dalle altre modalità di trasporto. Infatti, mentre queste ultime hanno registrato un decremento dal 12 al 20 per cento nell'annus horribilis - quello a cavallo tra il 2008 e il 2009 - il traffico ferroviario, dal 2006 ad oggi, ha diminuito i propri volumi del 40-42 per cento circa.
Il secondo fattore è la compressione del processo di liberalizzazione in corso attuata attraverso atti - al di là degli atti normativi veri e propri - messi in atto quotidianamente dal gestore dell'infrastruttura, ossia azioni giornaliere concrete che mettono in difficoltà tutte le imprese che lavorano in questo ambito, anche per il poco spazio che l'infrastruttura riserva al nostro settore.
Il terzo fattore è legato alle scelte di Trenitalia Cargo che, nell'autonomia delle proprie decisioni, ha deciso di ridurre il perimetro dei servizi offerti e, quindi, di contrarre notevolmente l'offerta nei confronti del mercato. Questi tre fattori sono all'origine della situazione attuale, che necessita di un intervento e di un cambiamento.
L'infrastruttura, come sapete, è in mano a RFI, in base al decreto del 2000 che ha rilasciato a FS Spa la concessione per la gestione dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, imponendo la costituzione di RFI Spa, ed è gestita secondo i principi del decreto legislativo n. 188 del 2003, che costituisce la pietra miliare del percorso di liberalizzazione del trasporto merci in Italia. Il principio cardine di questa regolazione era di consentire l'accesso alla rete da parte di tutti gli operatori, prescrivendo quindi che si dovesse prevedere la possibilità di rimuovere tutti gli ostacoli che impedissero l'accesso libero e a condizioni eque alla rete medesima.
Questa azione è stata portata avanti per un certo periodo, ma purtroppo negli ultimi tempi risulta carente; come dicevo, alcuni atti compiuti dal gestore dell'infrastruttura non vanno sicuramente in tale direzione. Mi riferisco, solo per citarne alcuni, alla riduzione degli scali e degli orari di apertura degli stessi nonché all'aumento dei costi dei servizi erogati. Insomma, un susseguirsi di atti che, purtroppo, non mettono il mercato nelle condizioni di sviluppare in maniera decisa quel percorso di rilancio che dovrebbe essere necessario e dovuto.
Anche alcuni atti amministrativi, peraltro, non vanno nella direzione della crescita e dello sviluppo del comparto. Il primo a cui vogliamo fare riferimento è la direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2009, nella quale si individuano 71 scali - che in realtà sono stati individuati da RFI, e che sono oggetto di un piano, presentato qualche giorno fa al Senato dall'ingegner Moretti - come fondamentali, sui quali si dovrebbe costruire il network ferroviario del futuro.
Noi non siamo mai stati contrari a intraprendere un percorso di rivisitazione del numero degli scali, né a porre mano ad un processo di revisione dell'organizzazione. Tuttavia, questo taglio drastico rispetto all'offerta attuale - di circa 240 scali - e deciso in maniera solipsistica,


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senza consultare gli operatori e le parti che usufruiscono del sistema ferroviario, ci trova assolutamente in disaccordo, sia per le modalità sia per il contenuto della direttiva. Mi riferisco, tra l'altro, a una previsione molto importante e, per certi versi, pesante: gli scali non rientranti nei 71 pubblici individuati come fondamentali possono essere trasferiti da RFI, ma potremmo dire «regalati», ad altre società del Gruppo FS, compresa Trenitalia.
Non si comprende per quale motivo questi scali debbano essere chiusi e, se non chiusi, debbano essere girati a Trenitalia e non invece essere lasciati a disposizione - visto che sono pubblici - del sistema ferroviario nella sua interezza.
Per i motivi che ho spiegato, noi abbiamo presentato un ricorso urgente alla Presidenza della Repubblica contro questa direttiva e al momento siamo in attesa della pronuncia del Consiglio di Stato. La questione è per noi molto importante, poiché tale scelta ci impedisce di crescere nel futuro: senza scali ferroviari, come potete facilmente immaginare, è molto difficile portare avanti il traffico ferroviario.
Siamo pronti ad andare in tutte le sedi, comprese quelle europee, per ostacolare l'applicazione reale di questa normativa. Abbiamo espresso più volte la nostra disponibilità, anche al ministero, a discutere circa un miglioramento e un efficientamento del sistema, ma ad oggi non abbiamo avuto alcun riscontro.
Tra gli atti, a cui facevo prima riferimento, che non aiutano il sistema ferroviario vorrei mettere in evidenza un documento denominato PIR, ossia il Prospetto Informativo della Rete, emesso annualmente da RFI, che detta le linee guida di accesso all'infrastruttura ferroviaria. Ogni anno il PIR è per noi un «terno al lotto». Annualmente le aziende stabiliscono i budget; personalmente gestisco un'azienda assolutamente italiana, con imprenditori italiani che hanno investito soldi di tasca propria. Anche noi stabiliamo dei piani per l'anno successivo, ma normalmente fino a metà novembre non sappiamo ciò che accadrà, appunto, l'anno successivo. Quando, a metà novembre, arriva il PIR, vi troviamo - lasciatemelo dire - delle «sorprese» che di solito ci lasciano esterrefatti. Anche quest'anno è accaduto.
Cito un dato per tutti che possa dare qualche indicazione. Nel PIR di quest'anno, al quale abbiamo fatto opposizione e che è attualmente sottoposto al giudizio dell'URSF (Ufficio per la Regolamentazione dei Servizi Ferroviari), l'ente del ministero preposto alla sua valutazione, è contenuta una disposizione in base alla quale, nel caso in cui parte del nostro materiale rotabile occupasse la rete per rottura, per svii di carro o quant'altro, per lo sgombero della rete dovremmo avere una locomotiva ferma, con personale pronto e disponibile, in ogni nodo.
Per un'azienda come la mia, che oggi lavora con sei locomotive e circa cinquanta addetti di macchina, ossia personale viaggiante, aderire a questa indicazione significherebbe prevedere sette locomotive in più e quarantadue macchinisti pronti all'uso.
Vi lascio immaginare quale sarebbe l'investimento necessario, che noi abbiamo quantificato in circa 27 milioni di euro, considerato che una locomotiva costa circa 3,5 milioni. Noi quest'anno fatturiamo 8 milioni di euro.
Se queste sono le sorprese che ci vengono propinate, crediamo che dimostrino quale sia l'approccio del gestore. Potrei citare altri esempi, ma questo è il più eclatante.
Crediamo che la gestione del PIR dimostri come non ci sia una volontà reale di aprire il mercato in maniera consistente e, soprattutto, di dare alle imprese la possibilità di operare nel modo giusto per svolgere l'unica attività che dovrebbero, ossia sviluppare in questo Paese il traffico che si è ridotto ai minimi termini.
Cito, inoltre, i costi per i servizi di manovra che aumentano continuamente, i servizi che improvvisamente si decide di far cessare o di ridurre e via dicendo. Come dicevo prima, si tratta di un'azione continua e costante con la quale ci dobbiamo misurare.
Anche per quanto riguarda i raccordi, ad esempio, sono poste in atto azioni che vanno nella direzione della chiusura del


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mercato e non della sua apertura. Oggi un'impresa che volesse allacciarsi, con un raccordo proprio, alla rete RFI deve sottostare a una serie di richieste, soprattutto di volumi, anche in partenza, notevoli per avere possibilità di accesso. È chiaro che dovrebbe accadere il contrario e, almeno all'inizio, ci dovrebbe essere la disponibilità ad accettare volumi minori, nell'attesa che l'impresa cresca.
Molti atti, quindi, non vanno in questa direzione di apertura, che in altri Paesi europei è invece incentivata. In Germania, ad esempio, c'è stata una notevole azione per incentivare la creazione di raccordi, poiché il raccordo è fondamentale perché venga strutturato un percorso ferroviario di rilievo. Da noi, invece, avviene il contrario.
FerCargo chiede semplicemente di avere la possibilità di lavorare su una rete aperta, disponibile, che possa permettere realmente di sviluppare dei traffici anche laddove, fino a oggi, non si è pensato di farlo. Oggi il mercato è in una condizione completamente diversa rispetto al passato: vi sono nuovi operatori, entrati negli ultimi due o tre anni, che hanno voglia di crescere e sono disponibili ad andare anche laddove, fino a ieri, Trenitalia Cargo non aveva la voglia o la possibilità di farlo, oppure non aveva una strutturazione adeguata in termini di elasticità, flessibilità e via dicendo.
Quanto agli incentivi dati al settore, dovrei parlare di quelli che vengono riconosciuti ad altri settori. Quest'anno abbiamo ricevuto, come settore, un incentivo - è appena nato e riguarderà il periodo che va da ottobre di quest'anno a settembre dell'anno prossimo - che è quello che in gergo viene chiamato «ferrobonus». Si tratta di circa 30 milioni di euro destinati al settore: non alle imprese ferroviarie, ma ai clienti che decideranno di utilizzare il settore ferroviario delle merci, quindi a coloro che creeranno traffico ferroviario. A noi va benissimo, nel senso che non ci interessa, in questo momento, ricevere fondi e inoltre siamo d'accordo che vengano assegnati ai clienti per dare la possibilità di scegliere la modalità ferroviaria.
Di certo, in un Paese in cui anche quest'anno sono stati erogati 720 milioni per il trasporto stradale, i 30 milioni destinati al nostro comparto diventano una goccia nel mare. Il cliente, quando deve scegliere su quale modalità indirizzare il trasporto della propria azienda fa delle valutazioni prettamente economiche: non valuta l'impatto ambientale, la sicurezza stradale, la congestione stradale. Valutazioni, queste, che devono essere fatte a monte, in questa sede o nella sede governativa, che deve imporre delle scelte.
Infatti, finché la modalità stradale sarà incentivata e avrà la possibilità di operare in regimi di sicurezza molto limitati (questa è la realtà dei fatti), è evidente che potrà offrire economie di scala ed economicità assolutamente diverse dalle nostre e che non ci permettono di competere.
Il vero problema di fondo non è tanto legato all'incentivo nei nostri confronti - che pure, nel caso in cui si continui a prevederlo per altre modalità, è necessario - ma alla concorrenza modale che oggi, purtroppo, per noi è deficitaria.
Quanto alle prospettive dell'occupazione e al contratto collettivo di lavoro, le nostre aziende sono cresciute molto in fretta e hanno impiegato molto personale e, soprattutto, molti giovani. Come ho detto prima, siamo arrivati a 1.100 unità. Siamo sottoposti, in questo momento, a un fuoco di fila da parte dei sindacati per l'applicazione del contratto delle attività ferroviarie.
Il gravissimo problema di Trenitalia Cargo - conosco il sistema Trenitalia per averci lavorato qualche anno - deriva dal fatto che si applica al cargo un contratto delle attività ferroviarie nato per il trasporto passeggeri. Lo sanno tutti e ci stanno lavorando alacremente, tant'è che si è appena concluso un rinnovo contrattuale che risolve qualcosa, ma non è certo la panacea.
Le peculiarità di questo contratto sono assolutamente inapplicabili in ragione delle caratteristiche particolari del cargo: si viaggia di notte e con turni molto particolari, mentre per il trasporto passeggeri si viaggia con tempi ben definiti. Il cargo è un mondo completamente diverso, dunque applicare il contratto ferroviario a


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imprese come la nostra vuol dire - banalmente e semplicemente - chiudere. Se Trenitalia Cargo può permettersi di avere 200-300 milioni l'anno di perdita, per noi questo non è possibile. In tal caso, la mia azienda chiuderebbe subito.
Siamo pronti e disponibili a discutere di tutto, se si vuole fare qualcosa di specifico per il cargo, ma sicuramente non dell'applicazione del contratto delle attività ferroviarie. Si tratta di un modello che è risultato perdente - per bocca degli stessi vertici di FS che stanno lavorando per cambiarlo - dunque non si può pensare di applicarlo a imprese come le nostre che hanno ben altre necessità.
Adesso vorrei esporre alcune proposte e soluzioni che stiamo portando avanti e cercando di sottoporre all'attenzione dell'opinione pubblica, del Governo e di tutti i soggetti preposti a decidere in merito.
In primo luogo, proponiamo che la direttiva Berlusconi sugli scali ferroviari, che rappresenta una spada di Damocle che ci pende sulla testa, venga abrogata o comunque bloccata, rivista. Siamo disponibili a rivederla, a parlarne, ad adoperarci affinché venga migliorata, ma così com'è per noi è inaccettabile. A seguito della direttiva Berlusconi siamo, permettetemi l'espressione, con un piede nella fossa, o quasi.
Se questo va bene in relazione alle scelte che ha fatto fino ad oggi Trenitalia Cargo, va sottolineato che il trasporto merci non è più soltanto Trenitalia Cargo, né vuole esserlo. Anzi, Trenitalia ha lasciato dei settori, che noi potremmo pensare di occupare: mi riferisco, ad esempio, al traffico diffuso, al traffico a carro singolo che oggi in Italia non esiste praticamente più.
La direttiva è stata pensata e sviluppata in un momento storico sbagliato, perché si è partiti dall'assunto che questo sia il traffico ferroviario. Oggi, invece, il traffico ferroviario è la metà di quello che era quindici anni fa: dovremmo chiederci perché e se è questo il traffico su cui dobbiamo puntare per il futuro oppure se dobbiamo pensare a svilupparlo.
Vengo al tema dei rapporti con i gestori dell'infrastruttura. Diciamo la verità, oggi il gestore dell'infrastruttura antepone gli interessi dell'azienda RFI, ossia il conto economico della società, alle necessità reali del Paese in termini di sviluppo del trasporto ferroviario. L'unico obiettivo è dunque rimettere a posto i conti e far sì che vengano armonizzate le necessità con quelle di Trenitalia Cargo. Di conseguenza, la disponibilità della rete e le possibilità di sviluppo e di crescita sono totalmente o in gran parte compromesse. Questo sistema deve cambiare. Chiediamo, pertanto, che qualcuno coordini, governi e supervisioni le iniziative e gli atti di RFI. Questo può avvenire in modi diversi, dallo scorporo, all'indipendenza totale, ad un'authority di controllo, a un ufficio che indirizza le politiche e interviene nelle dispute in atto.
Noi riteniamo che ciò debba avvenire in tempi brevissimi. Se aspettiamo altro tempo, il rischio è che il traffico ferroviario scompaia. L'essersi dimezzato in quattro anni, su un monte di trasportato già basso all'epoca, rispetto agli altri Paesi europei, è un dato che giudico grave.
Dovremmo intervenire subito, quindi scegliamo la strada più breve ed efficace. Per questo motivo, crediamo che l'idea di affidare la supervisione a un ufficio già esistente sia la soluzione migliore e la più rapida. Abbiamo sentito che, in sede di audizione, il presidente Catricalà si è proposto per svolgere questa attività. Noi siamo d'accordo, l'importante è che la si svolga in fretta. Questa è la nostra necessità primaria.
Per quanto riguarda le politiche di incentivo al settore, siamo d'accordo sul cosiddetto «ferrobonus», ma crediamo che sia necessario rivedere l'idea della ripartizione modale degli incentivi assegnati in Italia per dar fiato alle nostre aziende, per offrire alle iniziative imprenditoriali italiane un supporto, per dare qualche incentivo mirato e specifico a tutti coloro che operano sulla rete e si occupano di sviluppare il traffico ferroviario in Italia.
Noi non chiediamo incentivi a pioggia, né frammentazione di incentivi come avviene


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ad esempio nel comparto stradale, ma crediamo che un ambito nel quale si può operare sia quello degli investimenti. Gli investimenti rimangono e chi compra ed investe, quando ha una struttura ben definita su cui ha speso le proprie risorse, deve in qualche modo portare avanti l'attività.
Nell'ambito ferroviario, ciò che più è necessario e più di tutto fa la differenza è il materiale rotabile, ossia carri e soprattutto locomotive. Crediamo che, per il rilancio del settore, non occorrano troppe invenzioni, ma sostanzialmente si tratti di dare alle imprese la possibilità di accedere a materiali rotabili in modo migliore rispetto ad oggi.
Le locomotive costano molto, dai 3,4 milioni di euro sino ai 4,3-4,5 milioni di euro, a seconda che siano destinate solo a circolare in Italia o anche all'estero, come le multitensione. La possibilità di avere una parte di spesa coperta dagli incentivi, attraverso un finanziamento, e un credito migliore rispetto a oggi - dato che in questo momento il problema è accedere al credito e farsi finanziare una locomotiva non è semplicissimo - potrebbe rappresentare una soluzione non troppo dispendiosa, ma molto efficace per lo sviluppo del sistema.
Vi ringrazio e mi dichiaro disponibile a rispondere a eventuali segnalazioni o domande.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

CARLO MONAI. Intervengo come rappresentante dell'Italia dei Valori e non posso che rimanere un po' sconcertato e sorpreso della relazione che abbiamo ascoltato con interesse. Mi pare evidente che ci sia uno iato molto accentuato tra le politiche dichiaratamente favorevoli all'intermodalità e alla trasposizione del traffico merci dalla gomma alla rotaia e le criticità che invece attanagliano gli operatori del settore.
Mi fa anche specie apprendere del pressappochismo nella programmazione di questo importante settore, se è vero che ogni anno siete sottoposti alle forche caudine di queste direttive, ad esempio quella ribattezzata col nome di «direttiva Berlusconi» del 7 luglio 2009. Mi verrebbe da pensare che si tratti, più che di una direttiva, di un binario morto, laddove essa impone - o imporrebbe - una serie di adempimenti sproporzionati e quasi inesigibili nella logica economica delle vostre imprese.
Prendo per buone le indicazioni che ci avete dato e confido che si possa, come Commissione, predisporre una risoluzione che segnali al Governo queste criticità e faccia in modo che vengano accolte le esigenze degli operatori di questo settore - che ha una valenza strategica anche nella logica ambientale di garantire una maggiore sicurezza stradale, sgravando le nostre autostrade dal traffico pesante, magari applicando le condizioni praticate in altri Paesi d'Europa.
Mi pare che di carne al fuoco ne abbiano messa tanta; il rischio è che anziché all'arrosto si arrivi al carbone. Facciamo, dunque, il possibile per evitare che ciò accada e creiamo le condizioni perché ci sia coerenza tra quello che dichiaratamente tutti vogliamo e quello che nella pratica sta drammaticamente accadendo.

DANIELE TOTO. Ringrazio il presidente di FerCargo per la relazione che aggiunge alla precedente audizione due elementi purtroppo negativi: la direttiva del 7 luglio del 2009, oggetto anche di una mia interrogazione parlamentare, e la redazione del PIR, che rappresenta in maniera plastica come, negli ultimi tempi, non siamo stati in grado, nell'ambito dell'intermodalità, di essere sufficientemente concreti.
Non aggiungo altro, anche per la sinteticità necessaria in un intervento di questo tipo, ma rimarco - il presidente mi permetterà di farlo - l'assenza dei colleghi del PD, sempre presenti quando si parla di Ferrovie dello Stato.
Porrò alcune domande in riferimento alla relazione del dottor Di Patrizi. Se il


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mercato è in contrazione, dal momento che si registra un 40 per cento in meno in tre anni, quali sono le reali potenzialità di questo settore? È un settore che ha un proprio sviluppo, un futuro, una prospettiva? In altre parole, si tratta di un problema legato alla normativa del Governo, oppure il settore è comunque in perdita?
In secondo luogo - e mi permetterete la brutalità e la facezia nel porre la domanda - siete voi che state facendo dumping sociale? Mi riferisco all'audizione dei vertici di Ferrovie dello Stato di fronte all'8a Commissione del Senato, in cui l'amministratore delegato di FS ha detto che i newcomers nel settore merci stanno facendo dumping sociale. Vorrei che foste voi a darmi delle spiegazioni su questo, ossia se siete voi che, in questo periodo, state facendo dumping sociale nel settore merci.
Infine, riguardo alla direttiva del 7 luglio 2009, oggetto di una mia interrogazione, devo dire che la risposta del Governo non mi è sembrata all'altezza delle aspettative, in relazione al fatto che la concentrazione di alcuni scali rispetto ad altri determina problematicità senza dubbio per gli operatori, quindi immagino anche per voi, in qualità di operatori privati. Vorrei sapere, però, se questo ha un riflesso anche sul territorio italiano.

VINCENZO GAROFALO. Ringrazio il dottor Di Patrizi e gli altri componenti della delegazione FerCargo per averci fornito una relazione molto chiara e, in parte, poco sorprendente. A differenza di quello che pensa il collega Monai, io sono dell'opinione che la Commissione ha voluto fortemente che si avviasse questa indagine conoscitiva, proprio in quanto siamo a conoscenza di una situazione non più sostenibile.
Questa Commissione ha ascoltato, nei periodi trascorsi, diversi interventi, ma alla fine ha compreso che questo è un settore le cui problematiche vanno affrontate in maniera definitiva, con un quadro chiaro e con il coraggio di proporre ciò che non si è mai voluto fare in questo Paese: portare le aziende dello Stato allo stesso livello delle aziende private, ovvero iniziare una liberalizzazione che non vuol dire smantellare ciò che esiste di buono, ma eliminare il marcio.
Riguardo alla relazione intendo porre alcune domande di carattere tecnico. Concordo con il collega Toto riguardo alla direttiva del 7 luglio 2009 e penso - pur non essendo un giudice - che il vostro ricorso sarà facilmente accolto. Di fatto, ciò che colpisce è che degli strumenti di scopo possano subire qualunque trasformazione piuttosto che essere funzionali a un sistema Paese nel campo della logistica.
Mi riallaccio alle domande dell'onorevole Toto circa le prospettive di questo settore e il dubbio che ci sia una stagnazione nel settore del trasporto ferroviario. Credo - e spero di indovinare - che la prospettiva sia il riequilibrio modale: passare da un trasporto con alcuni mezzi ad altro tipo di trasporto. Questo non vuol dire - almeno me lo auguro - danneggiare dei comparti, ma fare sistema nel mondo dei trasporti ovvero individuare le modalità migliori per tipologie di trasporto.
Da messinese vivo il dramma di una città invasa quotidianamente da un numero enorme di mezzi pesanti, circostanza che ha costretto il sindaco a un intervento giudicato forse impopolare dalle categorie dei trasportatori, ma indispensabile, ossia introdurre una ecotassa sul trasporto effettuato tramite camion. La decisione è stata assunta non per lucrare, ma per riparare ad un danno gravissimo che la nostra città subisce e di cui nessuno si è mai voluto accorgere. Questo problema si risolverà forse quando sarà costruito il ponte, ma lo si risolve subito prevedendo che un treno con un numero di vagoni sufficienti possa trasportare quantità di merce tale da evitare un enorme numero di mezzi pesanti che passa dalle strade, che peraltro non sono adeguate.
Tra l'altro, il trasporto tra le isole, il sud e il nord del Paese, risolverebbe anche il dramma dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria: un'autostrada in costruzione, che sarà completata entro i prossimi quattro


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anni, ma certamente ha già causato numerosi problemi e crea danni all'ambiente e all'economia.
Credo che l'esigenza reale di un riequilibrio modale possa essere la vera prospettiva, anche in un momento in cui non si registra un aumento dei volumi. Un sistema di trasporti migliore, più adeguato, costituisce senz'altro un aiuto a qualunque altra forma di economia, da quella turistica a quella della produzione di beni.
Chiedo una risposta su due questioni. In primo luogo, riguardo al PIR penso che, se non vi è una scadenza determinata, potremmo proporre che debba essere stabilita una scadenza di legge entro la quale il piano si debba presentare, oltre la quale si debba prevedere una forma di penalizzazione. In tal modo, si può evitare che il PIR non consenta tempi adeguati per gli operatori di assumere le conseguenti iniziative e assicurarsi, invece, che sia uno strumento obiettivo di accesso alla rete. Nel frattempo, questa Commissione metterà, tra i propri lavori, le proposte - alcune già formalizzate, altre in corso di formalizzazione - in base alle quali siamo tutti convinti, con opinioni forse differenti, della necessità di un organismo autenticamente indipendente per la gestione della rete e di tutto ciò che fa parte della rete infrastrutturale: un'authority o comunque un organismo indipendente.
Riguardo al dumping sociale, a mio avviso il problema - in merito al quale però non ho ascoltato proposte - riguarda il contratto di lavoro, che deve essere riaffrontato in termini di comparto. Qualora volesse proporre qualche indicazione, gliene sarei grato.

MARCO DESIDERATI. Ringrazio il presidente di FerCargo per questa audizione, una delle più interessanti che si sono svolte, anche se ci è stato descritto un panorama un po' desolante.
La conclusione della relazione potrebbe essere che, da quando è partita la liberalizzazione, il trasporto ferroviario si è ridotto. Trovo che questo sia assurdo, e rappresenti un vero controsenso.
Non ho domande da porre perché condivido tutto ciò che è stato detto dai colleghi. Voglio solo esprimere la disponibilità della Lega Nord a discutere insieme, in Commissione, un documento per capire cosa è possibile fare per stimolare il Governo, ed eventualmente RFI, affinché non si pongano paletti che mettano qualcuno fuori dal mercato, ma restrizioni unicamente correlate ad esigenze di sicurezza. Del resto, in questa Commissione parliamo sempre di sicurezza.
Mi ha colpito particolarmente la richiesta di prevedere un locomotore fermo, con relativo personale, nei diversi nodi. È probabile che possa far fronte a questa richiesta una struttura come Trenitalia, ma è evidente che un nuovo operatore non può sostenere costi di questo tipo.
La soluzione potrebbe essere che, dal momento che Trenitalia ha già queste dotazioni e, quindi, ne sostiene i costi, i nuovi operatori possano utilizzare - per una sorta di mutuo aiuto - il personale e la struttura di Trenitalia, fermo restando che si dovrà definire il costo di questi servizi.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Di Patrizi per una replica alle domande formulate.

GIACOMO DI PATRIZI, Presidente di FerCargo. Passerei la parola al vicepresidente Terranova per la replica, dopo la quale farò un breve intervento conclusivo.

MARCO TERRANOVA, Vicepresidente di FerCargo. Grazie per l'attenzione che la politica sta dedicando allo sviluppo del sistema ferroviario. Noi siamo qui come co-attori e vogliamo partecipare alla crescita di questo settore.
Le prospettive del sistema ferroviario sono e possono essere, non solo potenzialmente, brillanti: partendo dal 6 per cento di quota modale, difficilmente possiamo peggiorare, possiamo invece, e volentieri, migliorare.
Il punto è l'attenzione che la politica vuole dare a una visione di sistema e non a una visione che identifica la ferrovia con


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il gruppo FS. Noi siamo qui per sostenere che una ferrovia di Stato forte aiuta lo sviluppo del sistema ferroviario. Non vogliamo assolutamente la demolizione e lo smantellamento di Trenitalia Cargo, perché questo non aiuterebbe il sistema.
La visione di sistema, però, che uno Stato deve avere per quanto riguarda le infrastrutture ferroviarie non può essere la stessa che ha un'azienda, che guarda soprattutto alla gestione dei propri bilanci. Non bisogna confondere la gestione di bilancio e la capacità di management industriale con l'interesse di una nazione di essere dotata di un'infrastruttura efficace, efficiente e ben sfruttata.
Se la politica ci aiuta a dividere questi due interessi, che non sono coincidenti, noi troviamo lo spazio necessario per dare il nostro contributo allo sviluppo. Ci sono Paesi molto virtuosi in questo senso. Cito l'esempio di un piccolo Paese confinante, la Svizzera, che, attraverso una politica orientata al trasporto ferroviario, ha raggiunto una quota modale del 64 per cento. La Svizzera ha costruito nuove gallerie, che serviranno a collegare il nord e il sud dell'Europa, e non le ha fatte pagare ai propri contribuenti, ma ai camion che attraversano il territorio.
Riguardo al dumping sociale - che considero un'espressione molto forte - i nostri dipendenti sono retribuiti e gestiti in base ai contratti nazionali, gli stessi che riguardano altre decine di migliaia di lavoratori. Le nostre retribuzioni sono almeno pari a quelle del personale di Trenitalia, in diversi casi anche maggiori.
Rifiuto - e rifiutiamo, come FerCargo e come singole aziende - l'accusa di dumping sociale, nella maniera più assoluta. Certamente noi cerchiamo di far funzionare le nostre aziende utilizzando il personale in modo efficiente in base alle caratteristiche del trasporto merci, che è il nostro core business. Questa può essere una differenza.
Come faceva notare prima il nostro presidente, le esigenze e la regolarità del trasporto passeggeri sono completamente diverse dalle esigenze e dall'irregolarità del trasporto merci. Questo non vuol dire, però, che il nostro personale lavori in condizioni di scarsa sicurezza, che sia sottopagato per le prestazioni che svolge o che non vengano rispettate leggi e regole. Vorrei dire semplicemente che il personale è utilizzato in maniera più efficiente rispetto al personale che viene gestito con altri tipi di contratto.
In merito al collegamento tra sud e nord Italia, teniamo presente che la ferrovia lavora bene sulle lunghe distanze. Collegare il nord e il sud dell'Italia con la ferrovia è un caso ideale per far valere le potenzialità del ferro rispetto a quelle della gomma.
Abbiamo, purtroppo, molti camion che «fanno la linea» (questa è l'espressione usata) dal sud al nord Italia e non ci sono servizi affidabili, regolari ed economicamente sostenibili che possano essere affiancati, come offerta, per le nostre imprese.
Mi collego qui a quanto diceva il nostro presidente riguardo all'attenzione che la politica ha per un settore e che non ha ancora per l'altro. Lo ripeto, il settore ferroviario non è più soltanto FS Spa; è un settore che sta acquisendo una sua autonomia e ha precise esigenze che non possono essere valutate con gli occhi di una singola società, di una ferrovia di Stato.
Il PIR è una sorta di capestro. Se non sottoscriviamo il PIR prima del cambio orario, che quest'anno è il 12 dicembre, il 13 dicembre non saremo autorizzati a far viaggiare i nostri treni sull'infrastruttura.
È successo già per vari anni che abbiamo dovuto firmare il 12, alle otto o a mezzanotte, il prospetto informativo della rete, scrivendo lettere di riserva su una serie di punti e rimandando a discussioni ulteriori perché, se non lo avessimo fatto, le nostre locomotive sarebbero state ferme il giorno successivo. In merito al PIR, siamo quindi in una situazione pesante di ricatto temporale che deve essere risolta in maniera più professionale. Ogni contratto si discute, ogni patto si negozia, anche sopportando un contraddittorio.


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GIACOMO DI PATRIZI, Presidente di FerCargo. Il nostro è un settore che ha grandi potenzialità. Quando lavoravo nella società Trenitalia - all'epoca Trenitalia Cargo fatturava circa 800 milioni di euro - commissionammo una ricerca che stimò che, ove ci fossero state le condizioni più o meno pari a quelle applicate in Germania e Francia (Paesi di riferimento in ambito ferroviario, che attuano delle best practice internazionali), noi avremmo potuto tranquillamente più che raddoppiare il fatturato. La ricerca stimò un potenziale giro d'affari di 1,7 miliardi che in Italia si sarebbe potuto raggiungere senza grandi stravolgimenti, ma con la struttura attuale.
Oggi, rispetto a quel dato (parlo del 2005), siamo al 40 per cento indietro. Questo gap rispetto a un potenziale punto d'arrivo è ulteriormente aumentato. Bisogna compiere delle scelte, e noi chiediamo solo questo. La scelta, però, non è tra Trenitalia e il privato, ma in direzione di un sistema che riprenda il suo percorso di crescita - forse lo avvii, perché è un po' in ritardo rispetto al passato - e sia rilanciato con decisioni e scelte reali da attuare attraverso iniziative concrete e non attraverso quelle assai scarne oggi in atto.
La direttiva lascia al sud tre scali. Ho letto il piano in base al quale si è assunta questa decisione: il PIL è prodotto in determinate aree e quelle aree devono essere servite. Io non credo che sia questo il punto di partenza. Al contrario, dobbiamo far sì che le zone oggi depresse domani si riprendano. Se il Paese deve crescere deve puntare su quelle zone, non su chi produce cento e per cui produrre centodue è faticosissimo, ma su chi produce trenta, per cui arrivare a quaranta è semplice.
La logistica non è solo servire quello che c'è, ma anche porre le basi affinché, se qualcuno vuole investire in quelle aree, abbia i servizi per poterlo fare. La logistica è il servizio primario per le aziende che devono crescere, specialmente al sud, che è tagliato fuori dai grandi flussi. Si parla della Palermo-Berlino, dei corridoi transeuropei, di questi grandi assi, e poi si lasciano tre miseri scali al sud! Questo è un tema sul quale è necessario insistere. È sul futuro che dobbiamo investire, in questo momento in cui siamo ai minimi termini.
Gradirei una maggiore attenzione su queste tematiche. Mi dispiace che siano presenti pochi parlamentari; ho visto che nelle precedenti audizioni di FS c'era il pienone; ma forse noi non siamo ancora così interessanti.
Vorrei che si creasse una sensibilità per queste problematiche. I temi del futuro sono l'ecologia, l'ambiente, la riduzione delle emissioni, il miglioramento della congestione stradale, la sicurezza stradale. Il trasporto ferroviario, a detta di tutti, rappresenta tutto questo. Dobbiamo lavorare in questa direzione e noi speriamo che questo nostro grido di dolore per una situazione oggi veramente paradossale venga ascoltato e che la situazione cambi. A noi interessa che si faccia qualcosa di concreto subito.

PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti di FerCargo e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,35.

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