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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione X
9.
Mercoledì 29 luglio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Gibelli Andrea, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE E SULLE PROSPETTIVE DEL SISTEMA INDUSTRIALE E MANIFATTURIERO ITALIANO IN RELAZIONE ALLA CRISI DELL'ECONOMIA INTERNAZIONALE

Audizione di rappresentanti di Confartigianato:

Gibelli Andrea, Presidente ... 3 7 9 11
Colaninno Matteo (PD) ... 8
Fumagalli Cesare, Segretario generale di Confartigianato ... 3 9 11
Mistrello Destro Giustina (PdL) ... 8
Monai Carlo (IdV) ... 8
Sanga Giovanni (PD) ... 8
Torazzi Alberto (LNP) ... 7
Vico Ludovico (PD) ... 9 11

Audizione di rappresentanti di Casartigiani:

Gibelli Andrea, Presidente ... 11 13 14
Froner Laura (PD) ... 13
Pisano Beniamino, Dirigente di Casartigiani ... 12 14
Torazzi Alberto (LNP) ... 13

Audizione di rappresentanti della Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa (CNA):

Gibelli Andrea, Presidente ... 14 16 17 18 20
Amadei Enrico, Direttore divisione economica e sociale di CNA ... 14 16 18
Lulli Andrea (PD) ... 18
Torazzi Alberto (LNP) ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 29 luglio 2009


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANDREA GIBELLI

La seduta comincia alle 14,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Confartigianato.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell'economia internazionale, l'audizione di rappresentanti di Confartigianato.
Mi corre l'obbligo di avvertire tutti che dobbiamo dedicare un tempo ragionevole a ciascuna delle audizioni previste nel calendario della seduta odierna. Oggi abbiamo con noi il segretario generale di Confartigianato, Cesare Fumagalli, cui do il mio benvenuto, la dottoressa Stefania Multari, direttore generale delle relazioni istituzionali e il responsabile dell'ufficio studi, e il dottor Enrico Quintavalle.
Do la parola al dottor Fumagalli per lo svolgimento della relazione.

CESARE FUMAGALLI, Segretario generale di Confartigianato. Ringrazio il presidente e la Commissione per questa occasione di audizione. Cercherò di offrire uno spaccato che si riferisce maggiormente al settore delle piccole e delle microimprese, senza riprendere temi di ordine generale che, peraltro, accompagnano anche un sistema molto diffuso. Ciò che succede nelle microimprese non è troppo diverso da quello che succede nel sistema produttivo complessivo italiano, proprio per il peso che hanno al suo interno le micro e le piccole imprese.
Fornisco qualche rapido dato di nostra elaborazione, per dire che la situazione di difficoltà perdurante ci fa prevedere, sulla scorta di tali dati, un'ulteriore contrazione per fatturati, volumi di produzione, numero di occupati, che purtroppo segna effetti ancora pesanti, benché, come spiegherò in seguito, si intraveda qualche segnale positivo nel nostro settore.
Innanzitutto, la crisi non è uguale per tutti i settori. Nel settore della produzione di macchinari si riscontra una flessione della domanda di oltre il 16 per cento, mentre in quello delle costruzioni la situazione è migliore, in quanto si prevede un calo della componente di PIL per quest'anno intorno al 6 per cento. I settori che afferiscono invece al commercio e ai servizi rivolti alle famiglie rilevano un calo sensibilmente inferiore rispetto a quelli che ho citato, che si attesta, nelle nostre stime, al 2,2 per cento.
Peraltro, confermiamo, su dati OCSE, che proprio i Paesi a maggior vocazione di manifatturiero e di esportazione sono quelli che hanno sentito maggiormente la crisi. La riduzione e le maggiori tensioni provocate dalla recessione sono state avvertite proprio in Giappone, Germania e Italia.


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I dati che, invece, permettono di intravedere qualche raggio di sole, sono esposti in una pubblicazione recentissima del nostro ufficio studi, che lasciamo agli atti della Commissione. Ne cito alcuni: l'indice €-coin, pubblicato da Banca d'Italia, che fornisce una stima sintetica del quadro congiunturale corrente nell'area euro, alla data di ieri segnava un miglioramento per la terza rilevazione consecutiva; l'uscita odierna del nuovo indice conferma il quarto aumento consecutivo di questa stima sintetica del quadro congiunturale pubblicato da Banca d'Italia.
L'export di maggio, con dati destagionalizzati, cresce dello 0,5 per cento rispetto ad aprile. A giugno 2009 il mercato delle autovetture in Italia ha segnato un 12,4 per cento. L'indice IFO (un importante indice dell'economia tedesca, con la quale le piccole imprese italiane hanno molti rapporti diretti di subfornitura o comunque all'interno della filiera) ha visto a luglio una crescita a 87,3 punti rispetto agli 85,9 di giugno, anche in questo caso registrando un quarto aumento mensile consecutivo. Analogamente, l'indice di fiducia delle imprese manifatturiere, elaborato da ISAE, segna un quarto mese positivo dopo i sette cali negativi che lo hanno preceduto.
Tra i dati più specifici che abbiamo analizzato su un campione di imprese di nostro riferimento, afferenti cioè a Confartigianato, vorrei mettere in evidenza un indicatore su come si stanno orientando le micro e piccole imprese nell'attuale fase di crisi. Il dato è che quasi il 33 per cento, e quindi un terzo delle piccole imprese, ha un atteggiamento offensivo di fronte alla crisi, articolato su quattro modalità: ingresso e ricerca di nuovi mercati, investimenti per innovazione, miglioramento dei processi e ampliamento di linee di produzione. Non si tratta sicuramente della totalità, ma riteniamo significativo che un terzo dell'universo di nostro riferimento abbia assunto questo tipo di atteggiamento di reazione alla crisi.
In questo quadro di mercato, ci preoccupano le politiche che potranno essere messe in atto di fronte ad alcuni rischi che vorrei evidenziare. Il primo è un rischio inflazione: oggi abbiamo toccato il punto più basso in quarant'anni, a un valore tendenziale dello 0,5 per cento, ma l'ingente liquidità immessa con le politiche monetarie espansive per far fronte a questa prima fase, la più drammatica, della crisi, fa sicuramente temere un rischio inflazione per quotazione di titoli, materie prime, immobili, che possa conoscere fiammate. Si intravede, di conseguenza, la prevedibile manovra al rovescio di politiche monetarie restrittive, che potrebbe comportare il rischio di compressione del tasso di crescita per le piccole imprese.
In particolare, per la restrizione delle politiche creditizie, che continua ad essere in atto, i nostri indicatori ci parlano di un accresciuto numero di imprese che si vedono rifiutare la concessione di linee di credito e di un accresciuto numero di revoche di linee di credito in essere, che si sommano a una rinuncia a linee di credito da parte di imprese che in questo momento non hanno prospettive di mercato. Questi elementi, sommati con le preoccupazioni e i rischi che sono sicuramente da considerare all'orizzonte, ci fanno temere che un prossimo possibile aumento dei tassi di interesse possa penalizzare ulteriormente proprio le piccole imprese.
Allo stesso modo, ci preoccupa il fatto che politiche di rientro da elevati deficit possano portare a politiche di incremento delle entrate o di riduzioni di spese. Consapevoli che è molto più difficile praticare le seconde, temiamo interventi di aumento delle entrate, soprattutto perché siamo oggi in presenza della pressione fiscale più elevata registrata negli ultimi quindici anni. La punta raggiunta oggi è del 43,4 per cento, dovuta al fatto che si sia ridotto il denominatore, e quindi il risultato finale è di un ulteriore 0,3 per cento di pressione fiscale accumulatasi.
I nostri dati offrono anche uno spaccato sull'aumento delle procedure fallimentari, che nel primo semestre del 2009 si sono incrementate di oltre il 40 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente: siamo arrivati a oltre 5.300


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imprese entrate in procedura fallimentare contro le 3700 dello stesso semestre dell'anno precedente.
Infine, qualche notazione sulle politiche del credito e dei pagamenti, che ho ricordato prima essere uno dei fattori determinanti per le prospettive di tenuta di crescita delle piccole imprese. L'indice di diffusione relativo al grado di restrizione del credito alle imprese di Banca d'Italia ha conosciuto il picco maggiore a febbraio 2009. Oggi le condizioni sono leggermente migliorate, ma restano - come ho ricordato prima - condizioni di tensione, accompagnate, peraltro, da un accresciuto allargamento della forbice - dello spread - dei tassi praticati alle imprese rispetto all'Euribor a tre mesi. Se è vero che un'elevata differenza tra il tasso BCE e i tassi praticati alle imprese sussisteva già in precedenza - ci riferiamo a un'analisi che abbiamo compiuto anche in un periodo precedente alla crisi - rileviamo, purtroppo, che tale forbice si è ulteriormente aperta e che lo spread tra tassi di interesse pagati dalle imprese ed Euribor è raddoppiato, salendo da 1,33 ad aprile 2008 a 2,71 punti a maggio 2009.
In questo contesto, voglio evidenziare l'andamento di alcuni spaccati territoriali che si riferiscono in particolare ai distretti: l'export sui distretti ha segnato una maggior diminuzione rispetto alle aree non distrettuali. Ricordo che molte piccole e microimprese costituiscono il tessuto principale dei sistemi distrettuali e di filiera del nostro Paese.
Tale condizione è particolarmente importante in un Paese come il nostro: l'Italia manifatturiera fonda la creazione di valore sulle micro e piccole imprese ed è il secondo Paese europeo, dopo la Germania, per valore aggiunto creato dal comparto. Se consideriamo le imprese fino a diciannove addetti, l'Italia è il primo Paese europeo, per valore aggiunto, staccando nettamente gli altri. Complessivamente l'Italia, è il terzo Paese europeo, dopo Germania e Francia, per fatturato del manifatturiero, ma anche in questo caso, se consideriamo le microimprese e le imprese fino a diciannove addetti, diventa il primo per fatturato, staccando nettamente i Paesi che seguono.
Di fronte alla situazione che ho cercato di illustrare rapidamente e della quale, se interessa ai membri della Commissione, lasciamo copia della documentazione relativa alle nostre elaborazioni, vorrei svolgere alcune rapide considerazioni in ordine alle misure e alle proposte che riteniamo giuste per sostenere questo sistema così diffuso di micro e piccole imprese rispetto alle criticità maggiori che la crisi ha evidenziato.
Sul fronte delle misure per credito e incentivi diamo atto al Governo di avere potenziato lo strumento dei confidi e delle garanzie addizionali dello Stato, includendo anche il settore dell'artigianato, che prima ne era escluso, perché in passato aveva un proprio fondo di garanzia. Tale fondo, poi ripartito fra le regioni, è finito nei rivoli dei bilanci ordinari e ha perso la sua originaria funzione. Diamo atto anche dello sblocco in corso - è partito proprio tre settimane fa, ma sta procedendo, fortunatamente, a buon ritmo - dei fondi residui della legge n. 488, per un importo che complessivamente, alla fine di tale sblocco, sarà di entità importante.
Su questo fronte, salutiamo altrettanto positivamente l'intenzione di affrontare la questione della tempestività dei pagamenti della pubblica amministrazione. Parlo di «intenzione», perché i contenuti della manovra del decreto anticrisi appena approvato dalla Camera, in realtà, a nostro giudizio, per le micro e piccole imprese risultano di scarsissima efficacia, in quanto incidono solo sui procedimenti organizzativi interni alle amministrazioni. Noi formuliamo la proposta di rendere automatica la compensazione debiti e crediti fra imprese e pubblica amministrazione, che riteniamo assolutamente possibile e poco rivoluzionaria, essendo già praticata in una direzione: se sono un imprenditore, ho una multa da pagare e devo riscuotere un pagamento dalla pubblica amministrazione, la compensazione è immediata, mentre il contrario non avviene. Noi chiediamo una compensazione


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che potrebbe essere per tetti, per soglie, non generalizzata; se si vuole promuovere una politica di incentivazione per le tante micro e piccole imprese - penso a quanti fornitori di enti locali appartengono al mondo della micro e piccola impresa - sicuramente una misura di questo tipo, di compensazione tra crediti e debiti nei confronti della pubblica amministrazione, può fare molto.
Riteniamo, inoltre, importante che il nostro Paese possa assumere un ruolo «proattivo» nella redazione del provvedimento europeo in corso sulla revisione delle forme di pagamento, abbandonando le troppe prudenze che, in questa fase istruttoria, abbiamo visto mettere in campo dai ministeri competenti nella formulazione del parere a Bruxelles, laddove per esempio si prevede una diretta penalizzazione per le amministrazioni che superassero i limiti stabiliti di pagamento.
Il secondo capitolo della nostra relazione tratta le misure per incentivare la domanda. Noi formuliamo la proposta che, in una situazione straordinaria come quella della crisi attuale, si possa formulare, per renderla poi possibilmente strutturale, una riserva degli appalti per forniture di beni e servizi nei confronti delle piccole imprese. Si tratta, anche in questo caso, di una misura già in atto da decenni, per esempio negli Stati Uniti d'America, dove esiste il vincolo in base al quale il 30 per cento di tutte le forniture di beni e servizi deve essere appaltato alle piccole imprese. Proponiamo, inoltre, una misura, che potrebbe essere straordinaria e quindi limitata nel tempo, rivolta a una tipologia definita di comuni - pensiamo a quelli fino a 5 mila abitanti - da realizzarsi sempre attraverso gare, riservate però a fornitori locali. Riteniamo che, per far fronte a una crisi che mette in difficoltà imprese che non hanno delocalizzato ma sono rimaste sui territori, si potrebbe creare un volano, offrendo la possibilità di realizzare per un periodo stabilito una riserva di appalti di piccola entità, in quanto derivanti, per volumi e per quantità, da forniture degli enti locali.
Sul fronte della fiscalità - lo dico rapidamente, ma non posso ometterlo - si pone il grande tema degli studi di settore, sul quale non esprimiamo complessivamente un giudizio negativo. Ricordiamo, però, che ogni volta che essi sono stati forzati con l'introduzione di indicatori di normalità tesi a fare cassa e non a rendere capace lo strumento sofisticato per leggere gli andamenti territoriali e congiunturali, hanno dato il peggio di sé. La nostra non è, quindi, una stroncatura sugli studi di settore; bisognerebbe però che essi cessassero di essere strumento di accertamento automatico. D'altra parte, non lo sono mai stati nelle intenzioni, se non quando hanno subìto forzature con previsioni di entrata maggiori, come è successo in qualche legge finanziaria.
Esprimiamo un giudizio positivo su alcuni provvedimenti contenuti nella manovra estiva, uno su tutti la detassazione degli investimenti in macchinari, per i quali avevamo formulato anche una proposta che io voglio ribadire, ovvero quella di rendere «agevolabili» non solo i beni compresi nella tabella 28, ma la loro generalità, ponendo eventualmente un tetto alla quantità di spesa complessiva «agevolabile» per ogni impresa.
Gli ultimi due temi che voglio toccare sono le misure per la crescita e per la competitività. Esiste una tormentata vicenda legislativa in materia di distretti produttivi e di reti, che ha visto proprio recentemente la nascita di questa forma, di difficile definizione, della rete d'impresa. Noi riteniamo che il contratto di rete tra imprese possa essere uno strumento positivo per far fronte a difficoltà legate alle dimensioni, essendo strenui difensori del fatto che non è la dimensione a essere inidonea ai mercati: le imprese si strutturano secondo la dimensione che il mercato richiede, senza che nessun dirigismo dall'alto possa decretare che un'impresa troppo piccola è sempre inadeguata. In alcuni settori e ambiti di mercato le microdimensioni sono assolutamente idonee. Una delle notazioni su questa crisi più diffuse anche fra i commentatori è che forse il nostro Paese ha resistito meglio


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rispetto ad altri proprio per il grado di diffusione sul territorio e di articolazione del proprio sistema produttivo e di servizi.
Per questa stessa ragione, non essendo noi i paladini della crescita dimensionale, non riteniamo che essa sia un valore. Esistono aziende che vanno straordinariamente bene tanto di grandi, come di medie, o di piccole dimensioni. Lo stesso si può dire per le aziende che vanno male. Sicuramente, però, vanno promosse le forme che agevolino la connessione tra imprese per funzioni: cito su tutte la funzione finanza di impresa, che ha avuto come straordinario esempio nel nostro Paese lo strumento dei consorzi di garanzia collettiva fidi, in cui l'Italia è «campione del mondo», un sistema nato oltre quarant'anni fa e che proprio in questa crisi si sta riscoprendo. Si tratta, sostanzialmente, di un contratto di rete fra imprese per la funzione finanza di impresa. Ne sono emersi tardivi estimatori, in questo momento in cui le garanzie sono diventate molto di moda. Noi non abbiamo mai smesso di pensare che questa forma di contratto di rete sia di assoluta efficacia. Lo cito come esempio positivo per altri possibili ambiti come l'export e per altre funzioni delicate per imprese di piccole dimensioni, le quali potrebbero trovare maggiore sostegno nelle possibili agevolazioni che potrebbero ricevere nel caso facessero parte di un contratto di reti fra imprese.
Infine, sul tema dell'energia non possiamo non evidenziare come, all'interno di un Paese che già soffre di un gap fra il costo per l'energia delle proprie imprese e quello dei propri competitori europei (per rimanere nell'ambito europeo), le micro e piccole imprese abbiano un ulteriore gap nei confronti delle altre imprese italiane, per una sventurata legislazione che impone la fiscalità sull'energia con la formula regressiva. Continuiamo, infatti, ad essere in presenza di una formula regressiva per la quale, addirittura, per alcune tipologie di imposta sull'energia, superata la soglia dei duecentomila kilowattora/mese, scompare l'imposizione fiscale, che ovviamente è pagata da tutti coloro che restano, invece, al di sotto di questa soglia di consumi.
Salutando positivamente anche la differenziazione delle fonti energetiche recentemente inaugurata, osserviamo però l'esistenza di condizioni di disparità che pesano ulteriormente sul sistema delle piccole imprese, e, poco comprensibilmente, a favore dei sistemi energivori.

PRESIDENTE. La ringrazio per la relazione e per le proposte, che peraltro non sono una novità, ma sono state oggetto di interventi da parte di Confartigianato in altre occasioni.
A questo punto, considerata la necessità di dare ai colleghi il tempo per formulare domande, propongo di prevedere due minuti per ogni intervento al fine di formulare domande precise, in base alle indicazioni di dettaglio che abbiamo avuto dalla relazione testé svolta.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ALBERTO TORAZZI. Signor presidente, riconosco che la relazione è molto ben impostata, perché contiene già tantissime risposte, di cui ho preso nota.
Vorrei però verificare l'opinione dei nostri ospiti su un mio ragionamento. Lei, segretario Fumagalli, ha parlato giustamente del rischio di inflazione, che secondo me sarà una delle grossissime minacce che arriveranno, perché gli Stati Uniti hanno quadruplicato il loro deficit. Al tempo stesso, lei giustamente paventa una risposta di politica monetaria che, oltre a portare con sé tutti i problemi dell'inflazione, comporterà anche la repressione del mercato interno.
In questa situazione, che chiaramente sappiamo non essere di origine interna, la mia domanda è la seguente: perché fra le vostre richieste non figura un'indicazione per affrontare il problema della globalizzazione anche dal punto di vista dei dazi, dal momento che siamo in presenza di dumping da un punto di vista ambientale e sociale? Citerei, ad esempio, il caso


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eclatante della Repubblica popolare cinese, che, con 100 miliardi di export di surplus ogni anno e un avanzo enorme di bilancio, continua ad avere un tasso di cambio veramente improponibile.
Mi chiedo se esiste un interesse da parte vostra a sostenere un'iniziativa di questo genere, che secondo me è necessaria.

MATTEO COLANINNO. Ringrazio il dottor Fumagalli per la sua relazione. Vorrei conoscere in particolare il suo giudizio sui provvedimenti adottati dal Governo per affrontare la crisi economica e finanziaria che, in base ai dati e alle conoscenze in mio possesso, difficilmente potranno essere realmente efficaci e risolutivi. Le agevolazioni per chi reinveste gli utili, ad esempio, presentano una efficacia finanziaria immediata rispetto alla crisi quando le imprese riescono a conseguire redditi di esercizio consistenti, altrimenti si rivelano sostanzialmente superflue, come nella situazione attuale. Vorrei inoltre comprendere cosa si aspetta dall'evoluzione del quadro generale anche in un periodo più lungo, diciamo quattro-sei mesi, anche quando cioè il sistema dovrebbe essere avviato ad uscire dalla crisi. Personalmente, ritengo che si debba prestare grande attenzione al rischio che la crisi, dopo un rallentamento complessivo dalla durata ancora incerta, possa confermare l'irreversibilità dell'integrazione globale, inducendo addirittura una versione più «spinta» rispetto a quella conosciuta fino ad oggi. Saremmo dinanzi, cioè, ad una «accelerazione» della globalizzazione che porterebbe con sé un nuovo modello di internazionalizzazione, basato non solo e non più sull'export, ma sulla necessità di effettuare investimenti diretti in quelle aree del mondo che traineranno la crescita globale nei prossimi anni. Vorrei chiedere quindi al dottor Fumagalli la sua opinione sul futuro del sistema imprenditoriale italiano, anche in considerazione dell'assenza di una politica industriale ed economica adeguata da parte del Governo.

GIUSTINA MISTRELLO DESTRO. Ringrazio il dottor Fumagalli per la sua illustrazione. Vorrei sapere quante delle aziende che lei ci ha detto essere in crisi lavorano per grossi gruppi, e quindi sono di fatto «terzisti». A me risulta che molte aziende che appaltavano il lavoro ad artigiani, l'abbiano riportato interamente al loro interno o addirittura lo facciano realizzare all'estero.
Vorrei inoltre sapere quante di queste aziende sono in crisi perché lo sono le aziende grandi e, naturalmente, quali sono i settori e le zone più colpite del paese.

GIOVANNI SANGA. Signor presidente, vorrei riprendere l'intervento del dottor Fumagalli sulla parte attinente gli studi di settore. Innanzitutto, per chiedere un giudizio sulla loro efficacia. Vi è poi la questione della loro recente revisione fatta anche in conseguenza della crisi economica e produttiva. Chiedo ancora una valutazione sull'innalzamento del cosiddetto «forfettone» a 100 mila euro di volume d'affari, nonché sul dibattito che si è aperto sull'uso del «redditometro», anche in alternativa agli stessi studi di settore.

CARLO MONAI. Signor presidente, innanzitutto ringrazio i nostri ospiti. Mi ha colpito il dato relativo alla pressione fiscale, che voi avete manifestato essere il più alto degli ultimi quindici anni, nonché quello relativo alla ristrettezza del credito. Nonostante siano state poste in essere dal Governo alcune misure - penso ai Tremonti bond - pare che esse non abbiano prodotto nessun risultato utile, se è vero - come dite - che il sistema delle piccole e medie imprese si trova oggi avvinto da difficoltà nell'accesso al credito, nella chiusura dei conti e nella richiesta di rientro.
Noi eravamo già al corrente di questa situazione, al punto che, dalle aule parlamentari, avevamo ammonito il Governo che il sistema prefigurato di questi Tremonti bond, per come veniva ad essere congegnato, non avrebbe portato significativi benefici. La vostra relazione odierna ci ha dato conferma di ciò.
Penso che, alla luce di questa situazione, si renda opportuno che il presidente


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proceda a una verifica dello status quo, dell'impatto legislativo che queste misure hanno determinato alla fine dell'anno. Ritengo, inoltre, opportuno che la Commissione attività produttive si domandi, e interpelli anche il Governo, sull'effettivo impatto legislativo che questi provvedimenti hanno avuto e verifichi se i risultati, allo stato, nel medio periodo, sono quelli attesi.

LUDOVICO VICO. Per quanto riguarda i confidi, di cui lei ci ha parlato, dottor Fumagalli, poiché ho l'impressione che le azioni del Governo, sia attraverso questi consorzi di garanzia collettiva che i Tremonti bond, abbiano prevalentemente favorito la ricapitalizzazione delle banche e che il problema del rapporto del credito delle piccole, micro e medie imprese fosse un altro, desidererei sapere se su questo punto abbiamo la stessa opinione.
In secondo luogo, ho letto molto ottimismo da parte sua rispetto alle misure adottate dal Governo. Vorrei, appunto, sapere se da parte dei suoi associati le misure di incentivazione hanno risolto i problemi più urgenti delle scadenze, che erano al 30 giugno.
Infine, e concludo, nella descrizione generale, lei ha sottolineato l'omogeneità della situazione economica del Paese, mentre penso che non sia così; esiste una macro area del nord dove fondamentalmente sono stati destinati, nel processo di ristrutturazione, gli interventi anticrisi; vi è poi la parte del centro del Paese; infine, c'è un'altra macro area, quella del sud, che ha altre sofferenze e che registra cifre molto diverse, sia del PIL sia di altri parametri macro-economici descritti nel prezioso studio elaborato dalla vostra associazione che ci ha consegnato, che ritengo molto attendibile riguardo alla situazione delle piccole e medie imprese.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Fumagalli per la replica.

CESARE FUMAGALLI, Segretario generale di Confartigianato. Signor presidente, prima di rispondere alle domande vorrei fare un'annotazione per segnalare un evento di queste settimane, di questi giorni, per qualche caso proprio delle ultime ore, con riferimento a un incontro che avremo questa sera con il Presidente del Consiglio. C'è un corpo di organico di possibili provvedimenti contenuti nella fase di attuazione che l'Italia potrebbe fare dello Small Business Act europeo al quale noi diamo molta attenzione. Con esso potrebbero trovare soluzioni grandi temi come quelli della semplificazione che io in questa sede non ho affrontato, ma che sono di assoluto rilievo per le piccole imprese, così come gli aspetti procedurali riferiti alle modifiche del codice civile sulla questione dei pagamenti alle imprese; non mi riferisco solo ai pagamenti della PA, ma anche ai tempi della giustizia civile che ha un tempo medio di quattro anni per dare soluzione ad una controversia, credo che si capisca con facilità il quale sia il problema.
Un Paese come l'Italia, che è campione tra i Paesi OCSE per il numero di piccole imprese che compongono la sua economia, paradossalmente è stimolata nel dare attuazione a questa iniziativa europea che ha inteso raggruppare, appunto, un po' paradossalmente - mi permetto di dire - queste tematiche nello Small Business Act che comunque accogliamo positivamente.
Come dicevo, stiamo ponendo la giusta attenzione al tema. Se, come sembra, all'interno di una eventuale direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri potessero trovare spazio complessivamente le misure previste nello Small Business Act almeno come cornice nel nostro Paese, nella quale, come il Ministro dello sviluppo economico ha anche anticipato per l'assemblea di Confartigianato fosse recepita anche l'intenzione di predisporre una legge annuale sulla piccola impresa, riteniamo che molte di queste questioni possano trovare più coerente collocazione, anche nella reciprocità dei provvedimenti.
Sulla questione dei dazi del dumping, credo che le valutazioni dello yuan ci sfuggano e che non possano essere oggetto di una iniziativa politica o intervento. Certo, credo che le interconnessioni mondiali


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con la Cina sul piano economico, che è il sottoscrittore di oltre la metà del debito pubblico degli Stati Uniti, con realismo ci mostrino che, sebbene possiamo fare notevoli proteste, il valore della moneta cinese resta fuori dalla nostra portata.
Per quanto ci riguarda, invece, noi sosteniamo da tempo, fin qui senza fortuna, la necessità di una caratterizzazione dei prodotti italiani con una proposta sul full made in Italy, sulla marcatura dei prodotti realizzati distintivamente, quindi offrendo al consumatore e al mercato un'offerta distintiva. Su questo fronte siamo particolarmente interessati ad una iniziativa di legge che proprio ieri ha visto anche diversi componenti di questa Commissione tra i sottoscrittori e che noi sosteniamo da tempo. Faremo tutto il tifo possibile affinché possa trovare strada.
Per rispondere all'onorevole Colaninno, vengo al nostro giudizio sui provvedimenti. Ci sono alcuni provvedimenti che non sono risolutivi; in termini generali, non riteniamo che, essendo questa una grave e profonda crisi finanziaria che ha determinato una crisi di mercato, gli strumenti di politica pubblica possano far bene o far male, ma non essere decisivi comunque per una ripresa; quella attuale resta una crisi di mercato. Date queste caratteristiche, credo che le politiche che si possono mettere in campo possano aiutare o scoraggiare, ma molto difficilmente determinare, se non per la sola parte della spesa pubblica per infrastrutture, che può direttamente incidere su alcuni settori.
La Tremonti-ter per fortuna non è più collegata agli utili, come diceva il primo titolo in rubrica del provvedimento, ma è direttamente sugli investimenti. È stata, quindi, sganciata dagli utili. Che gli utili ci siano o no, ad essere favoriti sono gli investimenti. Credo che questo sia stato un fatto molto positivo.
Quanto al disegno strategico a lungo termine, noi abbiamo una idea sufficientemente precisa. Per troppo tempo si è letto che la nostra fosse, per il suo grado di diffusione e nella forma della micro e piccola impresa, un'economia arretrata. Ebbene, a confronto con il resto delle economie mondiali - e il confronto è stato violento in questa crisi - credo che se ne ricavi che forse, così come è costruita, non è una economia che non ha futuro, ma anzi, ha possibilità di un futuro se riusciremo a modificare alcune grandi concentrazioni che sono state tipiche del passato.
Cito il caso della FIAT, così mi aggancio ad un'altra domanda sulla pressione fiscale. Noi abbiamo evidenziato la pressione fiscale e la trovate nei numeri. I dati non sono nostri. Le elaborazioni sono nostre, ma i dati sono di fonti esterne. Purtroppo la pressione fiscale è arrivata a quel livello, ovvero al 43,4 per cento; tuttavia, mi piace richiamare - se ne avete voglia - la vostra attenzione a pagina 202 del nostro volume, dove si legge che le imposte sul reddito iscritte in bilancio della FIAT erano il 37,3 per cento ante imposte nel 2005. Sono il 21,3 per cento oggi. Quando, dunque, parlo di pressione fiscale e del dato nazionale generale, poi c'è un'articolazione diversa all'interno di questa complessiva.
Vengo alla questione degli studi di settore. Noi non siamo particolarmente favorevoli ad un innalzamento della soglia dei marginali, definita «forfettone» per intenderci, che abbia adempimenti tendenti a zero; non siamo favorevoli ad alzare troppo questa soglia.
Innanzitutto, perché temiamo che lì dentro possa progressivamente annidarsi economia in nero e non abbiamo alcun bisogno di accrescerla; in secondo luogo, perché c'è anche una qualche tendenza interessata a fare in modo che questa tipologia di imprese che stessero sotto questa forma forfettaria poi magari fuoriescano dalla definizione di impresa, magari nelle Camere di commercio, magari in altri ambiti, per poi finire per essere considerate appartenenti ad una tipologia nebulosa che sta tra la famiglia e l'impresa.
Lo dico perché soffriamo, perché le rilevazioni del credito che fa Bankitalia sono legate a questo strano gruppo famiglie-imprese dove non si capisce mai bene quale sia la natura dell'impresa. Vorremmo vedere meglio distinto quello che si riferisce in senso proprio, per esempio, al


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credito alle imprese; provvedimenti di questa natura, che alzino la soglia per relegare le imprese in questo strano limbo, dove ancora non l'attività non sarebbe impresa ma lo diventerebbe dopo, non ci trovano favorevoli per le ragioni che ho detto.
In via generale, sugli studi di settore, noi riteniamo che la possibile sostituzione con il redditometro possa avere efficacia anche più selvaggia. Se gli studi di settore hanno un merito in questa prospettiva ormai decennale, riteniamo che sia quello di aver innalzato la compliance. Non avranno altri meriti, ma hanno portato dietro il «corpaccione» più grosso - lascio stare testa e coda - e hanno elevato il livello di compliance complessivo.
Se si passasse a strumenti di tipo accertativo, come il redditometro negli studi di settore - e allora si cambierebbe solo il nome - che quindi avesse caratteristiche universali e automatiche, credo che cadremmo dalla padella nella brace. Lo studio di settore è un indicatore e conserva, a nostro parere, la sua validità. Il redditometro, invece, è uno strumento di accertamento e di controllo che è altra partita rispetto agli studi di settore.
Noi riteniamo, dunque, che l'esperienza decennale sugli studi di settore, ogni volta che non abbia voluto essere strumento di accertamento automatico, ma di indicatore dei ricavi - come è la originale formulazione degli studi di settore - conservi la propria validità. Pertanto, non riteniamo positivo la modifica complessiva di tale sistema, per andare verso sistemi di redditometro automatico e di massa.

LUDOVICO VICO. Stiamo quindi parlando degli studi di settore «pre-Visco»...

CESARE FUMAGALLI, Segretario generale di Confartigianato. Stiamo parlando della storia decennale degli studi di settore che hanno conosciuto stagioni alterne. L'introduzione degli indicatori di normalità è avvenuta nel 2006, con la finanziaria per il 2007, e a nostro parere ha falsato la ragione degli studi di settore, tendendo a farne strumento di accertamento, quali essi non sono. Come strumenti di accertamento li riteniamo scorretti. Riteniamo invece che siano ancora strumento valido come indicatori di ricavi, non di reddito, ovvero nella funzione di studi di settore da compiere attraverso un'analisi sofisticata su campione che preveda anche una serie storica di una qualche rilevanza, non quando ambiscono ad essere strumenti automatici di accertamento, che è un'altra funzione.
Da ultimo, sulla questione della differenziazione (settori, zone, crisi), per il nostro osservatorio abbiamo sicuramente rilevato una maggiore difficoltà per i settori connessi all'intera filiera della lavorazione dei metalli in generale.
La nostra rete di sistema di Confartigianato, che ha 1.250 uffici in altrettanti comuni del territorio, ci dice che le zone più colpite sono quelle a più alta concentrazione di aziende che stanno nelle filiere di lavorazione dei metalli, in particolare le zone di Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, quelle dove abbiamo avuto le maggiori sofferenze. Le minori sofferenze di mercato si sono avute per quanto riguarda le zone del Mezzogiorno.
Per le altre aree del settore, ho fatto qualche cenno prima: il sistema delle costruzioni, che è un sistema complesso, ha conosciuto - anzi forse sta conoscendo adesso con un po' di ritardo - i momenti peggiori, i maggiori cali; il sistema legato alla filiera agroalimentare e dei servizi alla persona è quello che ha con più elasticità retto alla crisi. Anzi, abbiamo in qualche caso, nella filiera del settore agroalimentare, anche degli incrementi anche nel 2008 e nel primo semestre 2009.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Casartigiani.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in


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relazione alla crisi dell'economia internazionale, l'audizione di rappresentanti di Casartigiani.
È presente il rappresentante della Casartigiani, il dottor Beniamino Pisano, a cui do subito la parola per la relazione.

BENIAMINO PISANO, Dirigente di Casartigiani. Grazie Signor presidente, porto innanzitutto i saluti del dottor Basso che purtroppo non ha potuto partecipare a questa audizione.
La tematica sulla quale siamo stati coinvolti è ovviamente di grande respiro e complessità. Probabilmente, già i colleghi che mi hanno preceduto di Confartigianato hanno potuto esporvi le problematiche collegate alla crisi economico-finanziaria che colpisce le imprese del mondo artigiano.
Per quanto riguarda la nostra confederazione, chiaramente noi siamo in continuo contatto con il nostro territorio per monitorare la situazione sul campo delle imprese nostre associate. È chiaro ed evidente che si respira, purtroppo, una situazione di grande disagio. La crisi non è solo economica, ma anche finanziaria, e tali aspetti spesso si incrociano e si alternano nelle varie situazioni, anche perché in effetti riscontriamo che la crisi viene vissuta in maniera diversa a seconda dei comparti produttivi.
È chiaro, però, un elemento: in realtà quello che noi riscontriamo - e ci fa piacere riscontrarlo ed evidenziarlo a questa Commissione - è il fatto che lo spirito dei nostri imprenditori associati è quello di andare avanti. Questo è il principio ispiratore della loro attività quotidiana. Pertanto, nonostante tutte le difficoltà che si possono incontrare nell'ambito delle attività quotidianamente portate avanti, questo è un principio che noi riscontriamo, soprattutto in relazione alla precisa volontà di conservare comunque nella propria azienda le risorse umane, tutelare le capacità anche relazionali dei propri dipendenti o dei propri collaboratori che in nessun modo si vogliono perdere.
È chiaro ed evidente anche un altro aspetto: purtroppo, la constatazione di molti nostri associati è che spesso e volentieri ci si trova anche soli - nonostante l'assistenza della nostra organizzazione e delle nostre strutture territoriali - di fronte alle problematiche che si incontrano nella vita aziendale, quindi a livello di rapporti sia con il mondo creditizio, sia con le pubbliche amministrazioni.
In realtà, l'esigenza che emerge da questa situazione è quella di possibili provvedimenti che vadano sempre più nella direzione di agevolare le filiere produttive.
Purtroppo, ci sono dei comparti che già risentivano di crisi precedenti a quest'ultima del 2008; parlo ad esempio del tessile abbigliamento calzaturiero: ovviamente questi comparti, pur spesso trovandosi in situazioni tipiche delle filiere, hanno avuto dei contraccolpi. Tuttavia, è chiaro ed evidente che laddove ci possano essere delle misure che in qualche modo aiutino una determinata area territoriale, inevitabilmente i riflessi positivi si possono riverberare su tutti i soggetti che operano nell'area medesima.
Ripeto, si è riscontrata anche l'esigenza di mantenere comunque in tutti i modi, laddove possibile, le risorse umane, che sono molto importanti e - non dimentichiamolo - non di particolare dimensione, anzi tutt'altro.
Quello che mi si dice spesso è che le risorse umane in realtà sono di un valore pari, se non addirittura maggiore, delle risorse tecnologiche o comunque materiali. L'esigenza che spesso mi è stata rappresentata, dunque, è quella di portare avanti in questa situazione provvedimenti che in qualche modo possano premiare non solo le aziende che assumono, ma soprattutto quelle che mantengano inalterati i livelli occupazionali. Pertanto, sicuramente, laddove possibile, c'è l'esigenza di portare sempre più avanti questo tipo di iniziative.
Chiaramente la situazione nel 2009 sta avendo delle ripercussioni ovviamente maggiori. Ciononostante, in realtà, riscontriamo comunque una grande volontà di andare avanti e l'esigenza di poter cogliere da questo momento di crisi anche delle opportunità di sviluppo.


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Noi come confederazione, infatti, stiamo partecipando a molti tavoli che sono stati istituiti a livello governativo, nonché a livello di vari ministeri. Per esempio, uno degli ultimi tavoli che è stato istituito è quello relativo alla difesa di diritti immateriali delle imprese.
È chiaro che da questa situazione, che ovviamente è molto critica, possono però derivare anche delle opportunità in termini di sviluppo delle idee, in questo caso anche di sostegno in termini di agevolazioni sia finanziarie che fiscali per le nuove idee che possano creare una sorta di volàno a livello produttivo, ma anche proprio a livello di difesa di quello che è il patrimonio delle nostre imprese: mi riferisco chiaramente al cosiddetto made in Italy.
In sostanza e per riassumere - per non trattenervi oltre perché so che avete altri impegni parlamentari incombenti - è chiaro che quella attuale ovviamente è una situazione di disagio; ciononostante, almeno per quanto riguarda quello che abbiamo potuto constatare sul territorio, c'è una grandissima volontà di andare avanti e quindi di continuare a fare impresa. Soprattutto, oltre all'aspetto, che riguarda le imprese produttive, dello sviluppo tecnologico che si sta affrontando con i recenti provvedimenti, c'è una forte esigenza di salvaguardare le risorse umane nelle aziende, poiché queste, lo ripeto, soprattutto per le aziende del comparto artigiano, sono risorse molto importanti. In questo senso, mi sento di trasmettere questa percezione dal territorio, che affido alle vostre debite valutazioni e considerazioni.
Ho cercato in qualche modo di sintetizzare il più possibile la situazione delle nostre imprese. Ovviamente non è una situazione statica, è un libro che ancora si sta scrivendo.
Vorrei aggiungere solo un'osservazione: è chiaro che in questa congiuntura sfavorevole bisogna evitare il rischio di provvedimenti che possano essere scollegati fra di loro. Poiché, come ho detto, stiamo partecipando a più tavoli, forse è opportuno riflettere sulla opportunità di un'azione collettiva che possa ottimizzare tutti gli sforzi che si fanno - a livello sia governativo, che ministeriale - per aiutare le imprese in questo momento, proprio per evitare il più possibile dispersione di energie e di idee.
Questa è la situazione che attualmente riscontriamo, che purtroppo è in divenire perché il fenomeno, sotto un certo profilo, è di portata mondiale, quindi noi possiamo governarlo fino a un certo punto, specialmente per quanto riguarda il mondo delle imprese. È chiaro che non possiamo prevedere gli sviluppi futuri in dettaglio, anche se ci auguriamo che possano essere ovviamente quelli di una ripresa, il più possibile veloce, dell'economia.

PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LAURA FRONER. Molto velocemente, vorrei chiedere se può fornirci qualche indicazione più precisa rispetto agli effetti, o quello che avete potuto osservare finora di alcune misure adottate dal Governo; mi riferisco sia agli incentivi che sono stati dati per il risparmio energetico e per la riqualificazione, sia al piano casa. C'è stato un sensibile miglioramento rispetto al periodo precedente, ed è possibile quantificarlo?
Eventualmente, le chiedo quanto potrebbe essere utile ancora procedere da questo punto di vista, sempre sul piano sia della riqualificazione sia del risparmio energetico, tenendo presente le limitazioni che ci sono state finora, oltre all'oscillazione nell'applicazione della misura che non è stata costante nel tempo e, anzi, era stata anche messa in discussione. Nonostante questo, però, le chiedo quanto potrebbe essere importante dare una maggiore continuità e magari prevedere un allargamento di tali agevolazioni non solo ai proprietari, ma anche alle imprese costruttrici, che potrebbero trasferire questi eventuali incentivi anche agli acquirenti.

ALBERTO TORAZZI. Vorrei ripeterle la domanda che ho fatto al collega di


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Confartigianato. In considerazione del fatto che uno dei problemi più rilevanti che dovremo affrontare a breve sarà l'inflazione che importeremo dagli Stati Uniti e il fatto che ci sarà probabilmente una politica monetaria che deprimerà il mercato interno, in una situazione già difficile noi dovremo misurarci con un contesto di globalizzazione in cui praticamente non ci sono regole a favore delle piccole e medie imprese.
In tale quadro, vorrei riprendere il discorso dell'introduzione di dazi come risposta al dumping ambientale e sociale per specifici tipi di merci; vorrei sapere qual è la vostra posizione su questo punto, se voi riteniate che ciò non sia possibile o se al contrario ritenete che sia utile, in considerazione del fatto che ultimamente è stato introdotto un aumento del dazio sui tubi d'acciaio.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Pisano per la replica.

BENIAMINO PISANO, Dirigente di Casartigiani. Per quanto riguarda la prima domanda circa le possibili ripercussioni delle riqualificazioni energetiche, ad oggi, almeno per quanto riguarda ovviamente il nostro settore, non abbiamo notizie di sensibili miglioramenti rispetto al passato.
Come ripeto, tutte le misure che incentivino ancora di più l'attività produttiva ovviamente sono benvenute. Ad ogni modo, almeno per quanto riguarda i dati in nostro possesso, non abbiamo riscontrato rilevanti e sensibili miglioramenti. Io chiaramente faccio riferimento alle imprese che fanno capo alla nostra struttura.
Vorrei, poi, rispondere alla seconda domanda. In realtà, l'introduzione di dazi non ci ha visti mai molto favorevoli, proprio perché la nostra idea è soprattutto quella di cercare di sviluppare, per quanto possibile, la competitività delle nostre imprese. Non dimentichiamoci che parliamo di imprese del comparto artigiano, in cui spesso il numero di addetti è molto limitato. Onestamente, non sappiamo fino a che punto una misura del genere potrebbe favorire questa nostra tipologia di imprese. Anzi riteniamo che non sia risolutiva, almeno per quanto riguarda il nostro settore.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa (CNA).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell'economia internazionale, l'audizione di rappresentanti della Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa (CNA).
Do la parola al dottor Amadei, direttore della divisione economica e sociale di CNA, affinché svolga la sua relazione.

ENRICO AMADEI, Direttore divisione economica e sociale di CNA. Signor presidente, grazie per questa opportunità che ci avete offerto di esaminare una situazione che è per noi ancora particolarmente difficile. Rispetto all'insieme delle valutazioni che si sentono e all'insieme delle valutazioni che anche noi, attraverso le nostre rilevazioni, stiamo raccogliendo, mentre rispetto all'aspettativa dei consumatori abbiamo alcune variazioni di carattere positivo, per quanto riguarda la manifattura noi registriamo ancora una grande difficoltà, soprattutto nelle aree più forti del Paese, nelle aree della Pianura Padana, in Lombardia, in Piemonte, in Emilia Romagna.
È una difficoltà che deriva dal mondo della finanza; è partita, cioè, circa un anno fa dal settore del credito che cominciava a non essere di facile accesso, ma che in tempi rapidissimi, intorno a dicembre e gennaio, è diventata una crisi produttiva, una crisi di ordini e una crisi di pagamenti.
Registriamo una difficoltà elevata nell'impresa manifatturiera anche nelle relazioni fra imprese. Noi abbiamo già assistito


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ad iniziative come quella delle imprese che si sono autoconvocate a Varese, come le imprese che hanno dato vita ad un sito internet, come «Imprese che resistono» in Piemonte; tali fenomeni coinvolgono una precisa tipologia di impresa.
Vorrei rimarcare questa differenza: abbiamo l'impresa manifatturiera di piccola e piccolissima dimensione che sta vivendo difficoltà più elevate rispetto ad altre tipologie di impresa, sia quelle dei servizi, sia quelle della grande impresa manifatturiera.
Questo perché a carico di queste imprese si stanno scatenando difficoltà che non sono solo quelle della crisi di carattere internazionale che è in corso, ma sono quelle che derivano da una maggiore difficoltà di accesso al credito, da una maggiore difficoltà dei pagamenti e da una modifica che sta avvenendo - e che ancora stiamo analizzando - che riguarda il sistema di produzione.
Nell'ambito della crisi attuale ci sono evoluzioni che riguardano la modalità di trasferire alla filiera ovvero ai committenti le lavorazioni; la piccola impresa si caratterizza soprattutto per il decentramento. Tuttavia, è il decentramento che sta cambiando e quindi noi - lo voglio segnalare ancora una volta - stiamo assistendo ad una situazione nella quale non è detto che i segnali dell'economia coincidano con i segnali che provengono dalla piccola impresa.
Questo è un problema che noi dobbiamo tenere particolarmente presente, perché a volte verifichiamo - e lo stiamo vedendo - la presenza di segnali che non sono negativi in generale, ma che lo sono per determinate fasce.
Oltretutto c'è un'altra questione che si sta verificando e che era assolutamente prevedibile: queste imprese hanno fino ad oggi mantenuto l'occupazione. E lo hanno fatto perché ci sono stati gli interventi sugli ammortizzatori sociali, perché ci sono stati gli interventi del Governo e delle regioni. L'occupazione, però, avrà una ricaduta ritardata rispetto all'andamento della crisi. Quindi, anche se domani la crisi rientrasse ed il livello degli ordini tornasse a ristabilirsi, questa tipologia di impresa avrà ancora alcune difficoltà a riprendere effettivamente a produrre.
La manifattura, in particolare, è quella che sta vivendo, almeno nel comparto dell'artigianato e delle piccole imprese, le difficoltà più grandi. Tali difficoltà sono presenti anche negli altri settori, sono presenti nei servizi; tuttavia i servizi, che non siano alla pubblica amministrazione che pure ha difficoltà di pagamento, ma che siano ai consumatori, registrano dati diversi rispetto al calo verticale di ordini che c'è stato in una determinata tipologia di imprese che è, appunto, quella del decentramento.
Fra l'altro, dobbiamo pensare che in questo settore sono necessari interventi che non sempre sono gli stessi che possono essere utili per la grande impresa; se noi, infatti, incentiviamo gli investimenti di macchinari, o gli investimenti di beni strumentali, stiamo parlando a imprese che non stanno facendo investimenti. La grande impresa, in questa fase, sta ugualmente mantenendo un suo trend di investimenti; la piccola impresa è quella che ha le maggiori difficoltà perché i suoi costi sono più difficilmente comprimibili. La nostra valutazione rispetto alla serie di interventi che sono stati attuati dal Governo e dal Parlamento, è che la direzione intrapresa era corretta.
La piccola impresa, quella manifatturiera in particolare, necessita secondo noi di un incentivo, di una possibilità in più, di un potenziamento delle sue capacità di produzione, perché altrimenti corriamo il rischio veramente di trovarci di fronte ad interi settori produttivi che possono trovarsi in difficoltà. È questo che noi prevediamo per il prossimo autunno.
Non è vero che la crisi non stia evolvendo: la crisi sta evolvendo; probabilmente, in alcuni casi, anche positivamente. Bisogna capire con quale tipo di sistema produttivo ci troveremo a fare i conti quando la crisi sarà evoluta in una direzione diversa da quella attuale. Noi vorremmo salvare, e lavoriamo per farlo, quel sistema produttivo, perché la manifattura - e quel settore di manifattura che


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rappresentiamo è particolarmente importante - è ancora quella che ci garantisce la quota di commercio estero così rilevante che abbiamo come Italia.
È chiaro, dunque, che noi siamo di fronte ad un sistema di impresa, a un sistema produttivo al quale, secondo noi, non possiamo rinunciare. Quindi è chiaro che noi dobbiamo realizzare interventi che vadano verso un aumento dei consumi. Nonostante tutto quello che è stato messo in atto, le difficoltà di accesso al credito sono ancora rilevanti perché, come dicevo prima, si intrecciano con la difficoltà dei pagamenti; se io sommo i pagamenti alla difficoltà di credito, rischio di mandare in crisi anche imprese che non avrebbero una crisi di ordini o di produzioni. Riteniamo che debbano essere realizzati interventi a sostegno dell'innovazione, della ricerca e degli investimenti, in modo più massiccio - lo dico con molta chiarezza - rispetto a quello che è stato fatto fino ad oggi.
Chiedo al presidente di fermarmi quando avrò esaurito il mio tempo, perché non vorrei sottrarre tempo alla discussione.
Noi stiamo verificando e misurando, utilizzando una sorta di nostro barometro, analisi che possiamo anche consegnare alla Commissione - non abbiamo il dato più recente che sarà pronto all'inizio di settembre, ma abbiamo il dato fino al trimestre precedente, che è quello aprile-giugno - l'andamento della piccola impresa, dell'artigianato, e in particolare della manifattura. Devo dire che noi registriamo ancora segnali che non sono positivi. In altre parole, la crisi si è fermata, il calo degli ordini si è sostanzialmente fermato, ma si è fermato a livelli estremamente bassi rispetto a un anno fa.
Noi abbiamo imprese che non sono in grado di continuare a produrre dal momento che gli ordini sono il 40 per cento, il 30 per cento più bassi rispetto all'anno precedente, perché i costi generali non sono comprimibili. Noi non siamo di fronte ad imprese che possono chiudere una linea di produzione o uno stabilimento; queste sono imprese che o funzionano o si modificano. Come dicevo, non vorremmo trovarci di fronte ad un sistema produttivo diverso rispetto a quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi.

PRESIDENTE. Direttore, ci ha fatto il quadro di una analisi che in parte conosciamo, poiché questa indagine conoscitiva, è andata abbastanza avanti, essendo iniziata nel mese di aprile. Le chiedo, dunque, se ha un elenco di proposte da sottoporci in termini concreti, in maniera tale che i colleghi che intendano rivolgere delle domande, abbiano qualche anticipazione su una serie di rilievi che ritenete, come associazione, di fare. In tal modo possiamo anche completare il quadro delle informazioni che stiamo raccogliendo da tutto il mondo produttivo.

ENRICO AMADEI, Direttore divisione economica e sociale di CNA. Noi abbiamo una serie di interventi che abbiamo cercato di mettere in campo e che colgono anche alcune delle questioni che sono state previste nei decreti anticrisi precedenti. Ad ogni modo, ci sono alcune questioni che oggi, per queste tipologie di imprese, sono oggettivamente complicate.
Noi riteniamo, ad esempio, che l'IVA per cassa per le imprese di subfornitura debba essere innalzata oltre al tetto previsto attualmente, perché l'impresa di subfornitura non è in condizione di intervenire sul committente. Senz'altro si dovrà tenere conto delle indicazioni che ci vengono dall'Europa, ma ci sono degli interventi che noi crediamo possano essere posti in essere in questa fase, magari senza modificare lo scenario attuale, ma che possono essere attuati direttamente.
Il primo è quello, come dicevo, dell'applicazione ai contratti di subfornitura del pagamento dell'IVA per cassa. Un'altra questione riguarda l'accelerazione dei pagamenti della pubblica amministrazione.
Vorrei, però, sottolineare nuovamente che c'è un problema anche di relazione tra imprese. Noi abbiamo ricevuto, soprattutto nella prima fase della crisi, lettere continue da parte di committenti che dicevano che il termine poteva essere modificato da


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novanta a centoventi giorni. Per imprese che operano in regime di subfornitura, passare da novanta a centoventi giorni significa dover accedere al credito bancario, e questo oggi significa compiere un altro degli interventi che chiediamo - non solo per l'Italia, ovviamente - ossia la revisione dei criteri di Basilea 2.
L'accordo di Basilea 2 funzionava in una fase di crescita lineare dell'economia mondiale. È un caso simile a quello degli studi di settore: rispondevano quando la fase era di crescita limitata, ma pur sempre di crescita; tutti, dunque, conoscevano quello che stava succedendo.
Oggi, invece, noi corriamo il rischio di misurare il merito delle imprese e di non erogare il credito, oppure di valutarle, nel caso degli studi di settore - che noi vogliamo poter modificare, pertanto chiediamo, lo dico per inciso, e stiamo anche lavorando in termini di emendamenti sull'ultimo decreto anticrisi, di poter andare avanti con la revisione degli studi di settore del 2009 - sulla base di regole che sono diverse. L'impresa che da novanta passa a centottanta giorni non ha modificato i suoi parametri: ha gli ordini, ha il lavoro, ha i dipendenti e ha la stessa solidità. Ha, però, una maggiore esposizione, perché deve «uscire» per novanta giorni in più; è chiaro, dunque, che quella regola che prima rientrava nell'ambito, oggi non vi rientra. Questo è un altro degli interventi importanti che dobbiamo mettere in campo.
Per non parlare della questione dell'accelerazione dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione, per la quale noi chiediamo anche l'allentamento del Patto di stabilità. Crediamo fermamente che si possa partire a livello locale, non nella manifattura, ma dall'edilizia. Se partono le costruzioni, è chiaro che ripartono anche i consumi. Gli enti locali, se hanno un Patto di stabilità con maggiore disponibilità di intervento, possono mettere in campo risorse che effettivamente rispondono all'esigenza di riavviare il sistema.
Non è un intervento nel settore della manifattura ma, dai dati delle casse edili, noi stiamo registrando una diminuzione delle ore lavorate in edilizia che è passata dal 2-3 per cento in meno di 7-8 mesi fa, al 10 per cento in meno rispetto agli ultimi mesi dell'anno precedente. Quindi c'è una diminuzione anche delle costruzioni, e le costruzioni per il nostro mondo rappresentano un quarto dell'artigianato delle piccole imprese.
Noi abbiamo l'esigenza di attuare alcuni interventi anche se condividiamo alcuni interventi già previsti come ad esempio lo sgravio degli investimenti: riteniamo che debbano essere allargati, riteniamo che debbano rientrare non solo gli investimenti sui beni strumentali intesi come macchinari, ma anche sui beni strumentali in generale, sulla ricerca e sull'innovazione. Queste imprese, cioè le piccole imprese devono, in questa fase, fare anche degli investimenti per poter modificare il loro sistema di produzione. Se noi non finanziamo questa possibilità, rischiamo di trovarci con un tessuto produttivo più povero.
Purtroppo abbiamo avuto la convocazione solo ieri, ma faremo avere alla Commissione nei prossimi giorni un documento che riassuma gli interventi che chiediamo: non sono sconvolgenti, ma sono interventi che costano.

PRESIDENTE. La ringrazio perché è proprio delle proposte concrete che abbiamo bisogno; ne faremo tesoro nel prosieguo della nostra discussione.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ALBERTO TORAZZI. Signor presiedente, ho partecipato ad alcune riunioni, ma vorrei, in particolare capire un aspetto. Ho visto le proposte che avete fatto in merito all'IVA per cassa, le avevo già sentite; sono sicuramente valide e noi le terremo presenti nei limiti delle nostre possibilità. Tuttavia, mi premeva un ragionamento sul problema dell'accesso al credito. C'è un problema, perché effettivamente il credito non arriva. Aumentare la patrimonializzazione della Confidi può essere una soluzione o avete anche altre proposte?


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Vorrei avere una risposta in questo senso.

ANDREA LULLI. Ringrazio il nostro ospite per l'esposizione. Abbiamo sentito molte osservazioni interessanti, però vorrei sottolinearne una in modo particolare. Si accenna al fatto che si sta riorganizzando la produzione. Al di là delle misure congiunturali che, non essendoci un euro in cassa saranno molto complicate da attuare, secondo voi qual è l'evoluzione della riorganizzazione? È chiaro che anche noi pensiamo che vi sarà una riorganizzazione complessiva dell'economia e probabilmente una modifica piuttosto considerevole della struttura dei consumi. Quindi, di conseguenza anche l'organizzazione del lavoro subirà una modifica complessiva.
Questo è un punto molto importante: essendo il nostro Paese organizzato in un certo modo e avendo fondato il proprio successo su questa struttura flessibile non solo di decentramento, ma anche di un'organizzazione che si può definire a rete informale - o possiamo continuare a definirla distrettuale - dal vostro punto di osservazione, in quale direzione pensate, oppure prevedete, che questa riorganizzazione debba avvenire?
Lo chiedo perché effettivamente politiche pubbliche mirate possono certamente essere un segnale molto forte. È del tutto evidente che a parte tutto quello può essere fatto - e secondo noi non è stato fatto, ma non voglio entrare nei dettagli, perché non è questa la finalità di questa indagine - al di là delle misure necessarie per difendersi dalla crisi, come è giusto, io credo che uno dei punti essenziali sia anche capire come aiutare in qualche modo le imprese, il sistema imprenditoriale, in questo caso il mondo dell'artigianato, a fronteggiare le situazioni.
Faccio solo un esempio su come si potrebbe, anche avendo scarse risorse a disposizione, indirizzare gli interventi. Per esempio, se la Tremonti-ter, invece di far acquistare macchine utensili, si fosse indirizzata in modo particolare a sollecitare investimenti verso la produzione energetica sostenibile, forse si sarebbe potuto dare una direzione di un certo tipo al mondo imprenditoriale, oltre a favorire la ripresa della domanda all'interno del mercato.
È molto importante capire questo, perché c'è un problema rilevante anche per quanto riguarda il tipo di infrastrutture non solo materiali, ma anche immateriali sulle quali investire, e sulle quali perlomeno indirizzare le nostre politiche.
Questo mi piacerebbe approfondire in modo particolare, non perché non siano interessanti le posizioni, ma perché le conosciamo abbondantemente; alcune le condividiamo, su altre abbiamo qualche perplessità, ma questo fa parte della logica del confronto.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Amadei per la replica.

ENRICO AMADEI, Direttore divisione economica e sociale di CNA. Innanzitutto, noi abbiamo chiesto per primi, l'anno scorso, un intervento sui Confidi che riteniamo fondamentale, quindi è una parte importante.
Crediamo che sia necessario anche un intervento sugli istituti di credito. La relazione con gli istituti di credito deve essere diversa, e anche in questo caso aiutata, incentivata dal legislatore; quello che non dovrebbe succedere è la possibilità che siano compiute valutazioni che siano assolutamente separate dall'economia reale.
Quella del merito di credito sta diventando una questione molto importante, perché dobbiamo orientare il credito verso le imprese che possono produrre occupazione, reddito, capacità del Paese di essere competitivo. Quindi, non auspichiamo solo interventi su Confidi, ma anche dal lato delle relazioni con gli istituti di credito i quali, devo dire, quantomeno per conto delle loro direzioni, hanno dichiarato e dimostrato disponibilità. Dobbiamo tenere conto del fatto, però, che l'ultima agenzia non è uguale alla direzione; la difficoltà che c'è sul territorio è diversa dalla dichiarazione che magari molte volte viene


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fatta in sedi molto più asettiche. Quando si dichiara che si vuole dare siamo tutti d'accordo, poi bisogna misurare le situazioni in concreto.
È molto più complicato capire, in questa fase, dove sta andando il sistema produttivo; non è il mercato, ma il sistema produttivo che sta cambiando. Noi abbiamo difeso fortissimamente tutti gli interventi sulle energie rinnovabili quando l'anno scorso ci fu la proposta, in una certa fase, di rivedere il 55 per cento, ma crediamo che possano essere un incentivo fortissimo per una modifica del sistema delle costruzioni in questo Paese.
In questo senso non riguarda il settore della manifattura. Noi abbiamo un patrimonio di centri storici, e abbiamo un patrimonio di conoscenze e di capacità delle imprese edili di piccole e piccolissime dimensioni che sono le uniche che possono operare in quel mondo, per cui gli incentivi sono necessari.
Sono d'accordo con le vostre osservazioni, ma quello che io registro come difficoltà veramente grande in questa fase è la produzione reale di beni. Noi abbiamo delle difficoltà nelle imprese che sono inserite all'interno di filiere produttive. A partire dagli anni Settanta, da quando abbiamo fatto il primo decentramento - anche se poi c'è stata una modifica fortissima negli anni Novanta - queste hanno rappresentato la capacità di creazione di ricchezza di questo Paese.
I distretti - penso a Como, a Varese - hanno un insieme di piccole imprese, che veramente si sono fatte carico, a livello economico, di portare avanti quel settore. Questo è il sistema che stiamo studiando.
In ottobre abbiamo in previsione alcune iniziative; stiamo coinvolgendo una serie di imprenditori che rappresentano delle tipicità, per organizzare dei focus group per cercare di capire come sta evolvendo il sistema di produzione.
Noi registriamo un forte riaccentramento, questo è ciò che, almeno in questa fase, sembra stia succedendo. Io non voglio dimenticare quello che è successo in passato; in effetti, visto che osservo in questa sede un clima particolarmente costruttivo, si potrebbe anche dire che abbiamo scoperto i distretti quando erano già profondamente costruiti, e le filiere quando erano già molto avanti.
Molte volte il sistema produttivo trova gli equilibri in tempi molto più rapidi di quanto possono fare coloro che lo studiano. Dobbiamo, quindi, misurare quella situazione, e la stiamo misurando con l'aiuto degli imprenditori, per avere proprio quel tipo di risposta, perché sono convinto che a quel punto sia possibile attuare interventi mirati.
Sicuramente sta succedendo questo: almeno nelle situazioni dove noi verifichiamo quella crisi, si sta verificando un riaccentramento, soprattutto delle grandi imprese. Il decentramento così forte, infatti, ha portato anche alcune difficoltà produttive. Inoltre si verifica un decentramento che, quando c'è, non è più nel cortile di casa, ma è a questo punto un decentramento vero e proprio.
Per questo motivo, le infrastrutture pesanti sono importanti. Io non dimentico, ad esempio, che il Triveneto, che è molto più orientato all'Est, ha una ricaduta diversa da quella che hanno Emilia, Piemonte e Lombardia. Il Triveneto, pur avendo alcune difficoltà, ha risposto e lo ha fatto con equilibri che, almeno per i dati che abbiamo noi, hanno interessato i sistemi di produzione.
Riscontriamo, dunque, il riaccentramento e, almeno in parte, un decentramento molto diverso, che non è più il decentramento del distretto all'interno del quale si costruivano le competenze, senza cercarle al di fuori. Le distanze si sono accorciate, quindi il decentramento sta diventando un fenomeno molto diverso.
Non è più vero che il decentramento riguardi esclusivamente i costi. Non abbiamo più un'uscita solo perché al di fuori costa meno, perché è diventato importante anche produrre bene, quindi la scelta di un buon prodotto non può essere dettata solo dai costi.
Inoltre, si stanno modificando le capacità di produrre dei Paesi emergenti, dalla Romania alla Cina. Si stanno modificando anche le loro capacità di rispondere anche


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sul versante dei tempi, poiché questi stanno diventando importantissimi, oltre alla qualità.
Se, dunque, andiamo a verificare nell'ambito del commercio internazionale, possiamo rilevare che l'Italia fortunatamente non ha perso quote rilevanti di mercato. Oggi siamo di fronte a difficoltà vere che stiamo misurando.
Lo voglio dire molto onestamente. Ad oggi non ho la ricetta perfetta, la conoscenza di quello che sta effettivamente avvenendo. Stiamo compiendo delle analisi e degli esami che faremo avere alla Commissione, perché riteniamo che questa conoscenza sia propedeutica ad interventi mirati.
È chiaro che preferisco pagare l'IVA quando l'ho incassata rispetto a pagarla quando non l'ho incassata, ma questo non sarebbe un intervento strategico; sarebbe un intervento che risponde a delle esigenze che oggi sono reali.
Non possiamo neppure banalizzare le esigenze reali di chi non ha accesso al credito o di chi si trova esposto sull'IVA, ma è chiaro che dobbiamo contemperare tali esigenze con quelle di un intervento immediato, di un intervento congiunturale; anche l'intervento strutturale deve misurarsi con la modifica dei sistemi di produzione ai quali stiamo sicuramente assistendo.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,10.

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