Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione X
10.
Mercoledì 16 settembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Gibelli Andrea, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE E SULLE PROSPETTIVE DEL SISTEMA INDUSTRIALE E MANIFATTURIERO ITALIANO IN RELAZIONE ALLA CRISI DELL'ECONOMIA INTERNAZIONALE

Audizione di rappresentanti di Confcooperative e di Legacoop:

Gibelli Andrea, Presidente ... 2 10 12
Gori Mauro, Responsabile nazionale attività economico-finanziarie di Legacoop ... 7
Ottolini Maurizio, Vicepresidente di Confcooperative ... 2
Pezzotta Savino (UdC) ... 11
Torazzi Alberto (LNP) ... 10
Vico Ludovico (PD) ... 12
Vignali Raffaello (PdL) ... 11

Audizione di rappresentanti di Federchimica:

Gibelli Andrea, Presidente ... 12 16 22 24
Benedetti Claudio, Direttore generale di Federchimica ... 18
Chiassarini Mauro, Vicepresidente di Federchimica ... 17
Pezzotta Savino (UdC) ... 21
Squinzi Giorgio, Presidente di Federchimica ... 13 19 22
Torazzi Alberto (LNP) ... 21
Vico Ludovico (PD) ... 18
Vignali Raffaello (PdL) ... 22
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 16 settembre 2009


Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANDREA GIBELLI

La seduta comincia alle 14,40.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Confcooperative e di Legacoop.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell'economia internazionale, l'audizione di rappresentanti di Confcooperative e di Legacoop.
Diamo il nostro benvenuto ai rappresentanti di Confcooperative, il vicepresidente Maurizio Ottolini e, in rappresentanza della segreteria generale, il dottor Fausto Pasqualitti.
Nel caso in cui, per ragioni di tempo , fossi costretto ad interrompere i lavori per dare spazio alle altre audizioni all'ordine del giorno, la documentazione che verrà depositata anche allo scopo di rispondere alle osservazioni che verranno poste dai colleghi, sarà raccolta nella pubblicazione dedicata ai lavori di questa indagine conoscitiva.
Do la parola ai nostri ospiti.

MAURIZIO OTTOLINI, Vicepresidente di Confcooperative. Signor presidente, grazie a lei e alla Commissione, che ha inteso audire i rappresentanti del sistema delle imprese cooperative su un tema così importante come quello della crisi che stiamo attraversando.
Ho letto il programma approvato dalla Commissione e gli obiettivi che la Commissione si prefigge. È un programma che la mia organizzazione condivide in maniera assoluta. Credo che ci sia grande urgenza di riflettere sulla crisi. Ho visto che il termine che si era data la Commissione, la metà di luglio, è trascorso, però non siamo noi tra coloro che ritengono che la crisi sia in fase di superamento. Quindi, riteniamo che una tale riflessione sia tuttora di grande attualità magari accompagnata dall'individuazione di misure che possano consentire al sistema delle imprese italiane - manifatturiere, ma non solo - di fronteggiare questa crisi, la cui conclusione dal nostro punto di vista è tutt'altro che prossima.
Il sistema delle imprese cooperative guarda con grande attenzione all'occupazione e, fin tanto che vediamo imprese che chiudono e licenziamenti, riteniamo che la crisi sia lontana dall'essere superata. Questo è un parametro, per noi, di assoluto rilievo e siccome ancora oggi quotidianamente verifichiamo che vi sono imprese, manifatturiere e non, che chiudono i battenti e che licenziano, ciò vuol dire, dal nostro punto di vista, che la crisi è tutt'altro che superata.
Riteniamo che gli obiettivi che si pone la Commissione X della Camera, rispetto alle modalità per uscire dalla crisi, siano assolutamente attuali.
Crediamo che si supererà la crisi quando si rimetterà in moto il circolo


Pag. 3

virtuoso fra occupazione, consumo, export e produzione. Si può leggere prima uno, o prima l'altro termine, ma questo è il circuito virtuoso che deve rimettersi in moto.
Siamo consapevoli che se, diversamente da qualche altro Paese europeo e del mondo, abbiamo mantenuto un minimo di livello di consumi in più, ciò è in larga misura dovuto al «sommerso», che in questo Paese ha raggiunto livelli di assoluta rilevanza. Ciò ha consentito di sostenere il consumo un po' più a lungo degli altri, ma sappiamo anche che non potrà essere così per sempre.
La mia organizzazione tutela e rappresenta circa 20 mila imprese cooperative, con circa 3 milioni di soci e oltre 500 mila addetti, che sviluppano un fatturato di circa 62 miliardi di euro.
Le imprese manifatturiere che aderiscono a Confcooperative, quindi le cooperative del settore manifatturiero, non sono moltissime (meno di mille), presenti per circa il 40 per cento al Nord, il 38 per cento al Sud e il 22 per cento al Centro. Non sono molte, ma costituiscono un parametro importante, che ci serve per dare la misura della crisi anche in questo settore della nostra economia. Abbiamo imprese che reggono meglio di altre, che pure nella loro sottocapitalizzazione cronica, che è una delle ragioni della debolezza delle imprese cooperative, affrontano questa crisi sul piano del fare e, quindi, sono state meno coinvolte di altri dalle difficoltà. Ma abbiamo imprese, in particolare le cooperative di produzione lavoro, che fondano la propria attività sull'opportunità di lavoro per i propri soci e che segnano fortemente il passo, un po' per problemi di carattere interno, un po' perché lavorano per le imprese manifatturiere, che sono effettivamente in crisi.
Signor presidente, le comunico che nei prossimi giorni su questi temi le trasmetteremo direttamente una memoria scritta, per cui oggi non mi dilungo a ripercorrere la cronistoria dell'impresa che la mia organizzazione rappresenta.
Prendiamo atto con favore che la Commissione si occupa di manifattura, di economia del fare, purtroppo dopo la troppo lunga stagione dell'ubriacatura della finanza per la finanza, dell'economia per l'economia e non dell'economia finalizzata alla crescita complessiva e sociale del Paese.
È stata una lunga stagione. Debbo dire con rammarico che è stata in parte accompagnata da una certa disattenzione della politica, che si è piegata per un lungo lasso di tempo a questo arrembante successo della finanza per la finanza. Oggi si riscopre che per uscire da questa crisi bisogna tornare al lavoro, bisogna restituire dignità al lavoro, bisogna ritrovare l'economia reale, bisogna sostenere le imprese che fanno. E tra queste, mi permetto di dire che ci sono le imprese cooperative.
Brevemente, parto dagli obiettivi dell'indagine, perché condivido tutta la parte preliminare del programma che la Commissione ha approvato. Personalmente condivido anche gli obbiettivi, seppure con qualche puntualizzazione. Su questi, credo che il documento che manderemo cercherà di fornire un contributo per il lavoro di approfondimento che la Commissione attività produttive sta compiendo.
Riteniamo che esistano potenzialità insite nell'appartenenza all'Unione europea, assieme anche ad alcuni limiti. Da tempo denunciamo che taluni Paesi europei attuano una concorrenza sleale nei confronti dei Paesi nei quali lo sviluppo del progresso civile e sociale - non vorrei essere frainteso: irrinunciabile - si traduce per le imprese in un gap competitivo. È inaccettabile che subiamo la concorrenza di Paesi che hanno sicuramente una burocrazia meno opprimente della nostra, ma che hanno anche uno sviluppo e, quindi, costi relativi allo sviluppo delle conquiste sociali e di tutela del lavoro, del cittadino e degli ambienti, inferiori al nostro e che si traducono in un gap competitivo per le nostre imprese. Questo, in ambito comunitario, è un problema che deve essere affrontato ed è una stortura che occorre ridimensionare. Crediamo che debba essere affrontato anche nei negoziati internazionali extraeuropei,


Pag. 4

ma è evidente che all'interno della Comunità questo è un problema che bisogna porre.
Vi porto un esempio per spiegarmi: mentre in Italia il costo di produzione di un prodotto alimentare importante come il latte va da 30 a 35 centesimi al litro, da Paesi europei arrivava il latte a 19 centesimi al litro «franco Verona». Ebbene, è evidente che c'è qualche cosa che non va in ambito comunitario, che si traduce in una concorrenza sleale. Quindi, l'Europa rappresenta sicuramente un'opportunità, come dice la Commissione, date le potenzialità insite nell'appartenenza all'Unione. Ma l'Europa, talvolta, rappresenta anche una ragione di preoccupazione e, come ho detto, di concorrenza sleale.
Condividere l'appello della Commissione allo sviluppo della ricerca, che nel nostro Paese da qualche tempo segna il passo, non soltanto - io credo - per la debolezza delle risorse finanziarie messe a disposizione. Purtroppo, le emergenze inducono spesso a dirottare le risorse sulle esigenze più immediate. Da tanto tempo in Italia le risorse che il bilancio dello Stato (e, aggiungo, anche delle regioni) dedica alla ricerca e allo sviluppo delle biotecnologie e delle nuove tecnologie innovative sono ridotte. Però, credo anche che debba esserci uno sforzo importante da parte delle più importanti imprese produttive italiane, che si sono ripiegate molto spesso sul fare quotidiano, dimenticando che la loro prospettiva era legata alla ricerca.
Penso anche di dover sostenere che non rivedremo una ripresa stabile, se non sosterremo adeguatamente una politica di esportazione.
Per quel che riguarda la mia associazione, non abbiamo mai amato le corse al ribasso. Credo che la nostra manifattura non possa sostenere la concorrenza di Paesi extraeuropei, nei quali il costo del lavoro e lo sviluppo delle conquiste sociali è così basso da farci risultare assolutamente non competitivi. Proprio ieri leggevo un bollettino di prezzi, di prodotti di importazione: un binocolo, 3 euro; una borsa, 4 euro. È evidente che non possiamo concorrere con questi prezzi.
Credo che l'attenzione di chi si dedica al rafforzamento del settore manifatturiero italiano debba essere legata a un'analisi se ci sia ancora spazio perché la distintività e le eccellenze del made in Italy possano trovare uno sviluppo ulteriore e ulteriori mercati. Personalmente credo di sì, perché i Paesi emergenti come la Cina, l'India e il Brasile possono essere formidabili acquirenti per i nostri prodotti eccellenti. Se lo sviluppo deve essere quello di tentare di concorrere con chi produce un binocolo e lo vende a 3 euro, è evidente che non saremo mai vincenti, per mille e una ragione che non vado avanti a spiegare, in quanto credo che siano facilmente comprensibili.
Quindi, dovremmo scommettere sull'eccellenza della produzione manifatturiera italiana - aggiungo, anche di altri comparti come quello agroalimentare - dimenticandoci di rincorrere la concorrenza. Ciò non vuol dire non occuparci della razionalizzazione del sistema produttivo - ne parlerò tra un minuto - o di altre cose, ma non possiamo rincorrere al ribasso le produzioni di Paesi extraeuropei, che sono per noi assolutamente irraggiungibili.
Un capitolo a parte meriterebbe il rapporto di quello che voi chiamate il «sistema industriale» con il sistema del credito, e che io definirei il «sistema produttivo». Voi stessi, nel vostro documento, parlate della realtà economica produttiva italiana come di una realtà fondata sulla piccola e media impresa, non soltanto sul sistema industriale. È un capitolo che il Governo ha affrontato in questi mesi, ma sul quale credo abbia ancora moltissime cose da dire.
Trovo che il sistema del credito, per sua responsabilità, oggi vive grandi difficoltà, che noi non neghiamo. Sarebbe sciocco negare le difficoltà del sistema del credito e devo dire anche che, adesso, è abbastanza puerile andare a sostenere che buona parte delle difficoltà del credito sono legate al fatto che esso negli ultimi tempi non ha «fatto banca», bensì altre cose e si è trovato invischiato nella bolla speculativa, per cui oggi non ha risorse. È


Pag. 5

solo un aspetto della questione, mentre l'altro è che noi ci troviamo in presenza di un credito che è diventato eccessivamente diffidente, in particolare nei confronti della piccola e media impresa - non so se lo sia anche nei confronti dell'industria, ma so bene che lo è nei confronti della piccola e media impresa - e devo dire, in qualche misura, anche ingrato rispetto ai cinquant'anni di storia passati, quando la piccola e media impresa, o l'impresa agroalimentare, erano fertile terreno di raccolta. Quindi, ingrato e diffidente. Credo che pure nella consapevolezza delle difficoltà che il settore bancario vive in questa stagione, un impegno più forte a sostenere la piccola e media impresa sarebbe oltremodo auspicabile.
Per quel che riguarda il nostro sistema di banche, le banche di credito cooperativo che oggi hanno una rete diffusa, capillare, presente in taluni territori dove non vi sono anche altri istituti bancari - quindi indispensabile all'esistenza stessa di alcuni territori, alla vita di alcune economie rurali o di montagna - hanno «fatto più banca» di altre banche, hanno investito meno in borsa, hanno fatto un po' meno il raider di borsa. Oggi sono un po' più forti, un po' più sicure, sia pure nei limiti di una rete di 450 banche piccole, territoriali, più vicine alla piccola impresa o alla famiglia. Lo stesso impegno lo stiamo ponendo nel Mezzogiorno. Ci siamo impegnati attraverso il sistema delle banche di credito cooperativo, ci stiamo impegnando nel progetto della Banca del Sud, perché comunque - come dice la Commissione molto correttamente - lo sviluppo è andato avanti e debbo dire anche in questa fase di crisi (o, come dice qualcuno, di avvio del superamento di questa crisi) si va avanti a due velocità: il Mezzogiorno a una velocità e il resto del Paese a velocità superiore. Credo che anche la ripresa sarà caratterizzata da questo fenomeno.
Per quel che riguarda i rapporti intercorrenti tra sistema produttivo e sistema del credito, avvertiamo l'esigenza di un forte richiamo della politica al sistema del credito, anche perché mi pare che le relazioni più recenti dell'ABI, un po' autoreferenziali, non abbiano dato il segno di una benché minima autocritica. Anzi, le banche hanno detto di essere state sempre brave e che saranno brave anche per il futuro. Credo che non siano state brave e auspico che possano essere un po' più brave adesso.
Concludendo rapidamente, abbiamo alcuni progetti che portiamo avanti nel nostro sistema di imprese, uno dei quali è la razionalizzazione del sistema produttivo. Siamo consapevoli che un'impresa deve avere una dimensione adeguata al mercato nel quale opera. Quindi, è evidente che un'impresa sociale che gestisce un asilo nido può mantenere una dimensione territoriale comunale. Ma siamo consapevoli che una grande cooperativa come Conserve Italia, che detiene i marchi Cirio, Valfrutta, De Rica, abbia un'esigenza di internazionalizzazione, che ha raggiunto. Si prefigurano, naturalmente, dimensioni che possono consentirle di essere competitive sul mercato globale.
Uno dei progetti che riteniamo debba essere sostenuto è quello della razionalizzazione dei sistemi produttivi. Lo stiamo portando avanti, vincendo diffidenze, pregiudizi, retaggi del passato e campanilismi. Però, questo è uno dei temi sui quali scommettiamo il futuro del sistema delle imprese cooperative.
Di pari passo procede l'internazionalizzazione delle imprese che guardano ai mercati esterni. Abbiamo un mercato saturo nel nostro Paese. Non posso pretendere che gli italiani mangino più Grana Padano o Parmigiano Reggiano di quello che stanno mangiando, perché vorrebbe dire che diventerebbero monoconsumatori. Bisogna allargare gli spazi e sostenere con politiche di marketing all'estero, e non soltanto con uffici di rappresentanza, la presenza delle nostre imprese.
Credo anche che debba essere più coordinata un'azione di marketing all'estero. Non posso non rilevare che ci sono le risorse, pubbliche e private, per quel che riguarda l'internazionalizzazione delle imprese. Ma spesso si tratta di tanti rivoli, che non riescono a confluire in un unico


Pag. 6

grande fiume. Rimangono rivoli, si disperdono, non sempre sono adeguatamente mirati, non sempre sono utilizzati secondo una strategia, che manca in questo Paese da tanto tempo.
Vi chiedo da quanto tempo si invochi una politica agroalimentare in questo Paese. Abbiamo grandi imprese agroalimentari, ma non abbiamo una politica agroalimentare di questo Paese, solo per portare un esempio.
Con riferimento alla formazione, non ci stancheremo mai di ripeterlo, prima ancora della ricerca e dello sviluppo tecnologico, serve la formazione. L'ho detto prima: puntiamo sulla qualità dei nostri prodotti e non sul costo. Troveremo sempre qualcuno che produrrà una bottiglia di plastica a un costo inferiore in rispetto all'Italia. Ne è la prova, comunque, la delocalizzazione di molte imprese industriali che sono andate a fabbricare le calze prima nei Paesi dell'Est europeo e adesso vanno in Cina. E questo semplicemente perché i costi di produzione non sono paragonabili ai nostri.
Su quel terreno è difficile che possiamo vincere la battaglia della ripresa produttiva e industriale del nostro Paese. Dobbiamo vincerla sul piano della qualità promuovendo la qualità e accompagnando la crescita dei Paesi in via di sviluppo, perché imparino a conoscerla. Vi è poi l'innovazione, richiamata molto frequentemente nella relazione della Commissione. Crediamo che questo Paese abbia avviato un processo di semplificazione normativa e amministrativa che si è interrotto troppo in fretta. Abbiamo troppe norme e spesso manchiamo di alcune norme indispensabili.
La mia organizzazione da anni si batte, per esempio - faccio un riferimento al settore agroalimentare, ma potrei farne altri - perché il nostro Paese si doti di una legge quadro di recepimento delle direttive comunitarie in materia di prodotti di origine. Siamo il primo Paese europeo per produzioni di origine, ma non abbiamo una legge quadro che recepisca e implementi, per le carenze che vi sono nella normativa comunitaria, i regolamenti comunitari. È assurdo che dal 1991 - anno di emanazione del primo regolamento comunitario - abbiamo solo provvedimenti spot e soltanto settoriali.
Sussiste un'esigenza di semplificazione amministrativa e normativa, ma c'è anche l'esigenza - come voi correttamente scrivete - di integrare le politiche economiche di sostegno allo sviluppo con adeguate discipline legislative. È indispensabile affrontare questo tema, la relazione tra lo sviluppo economico e le norme attuali, non norme che si trascinano da secoli e che oggi sono superate nei fatti.
Voglio informare la Commissione di una iniziativa che potrebbe sembrare un ritorno al passato, che oggi potrebbe essere invece molto attuale: stiamo provando a rilanciare una legge di un Ministro delle attività produttive di tanti anni fa - si chiamava Giovanni Marcora - per cui la chiamiamo la «legge Marcora». Si tratta di un provvedimento che sosteneva la trasformazione di imprese in crisi, come in questi giorni. Sosteneva il tentativo di trasformare un'impresa che chiude in una cooperativa, facendo assegnare le strutture e le attrezzature in comodato agli operai, i quali mettevano, quindi apportavano come capitale sociale, il proprio TFR, la propria liquidazione. Lo Stato, in quella legge, metteva il doppio di quel capitale sociale, perché quell'impresa potesse continuare a vivere. Ho riproposto l'applicazione di questa norma al presidente della regione Lombardia - io sono lombardo, mantovano e sono anche presidente di Confcooperative Lombardia - e stiamo tentando, insieme ad altre organizzazioni, alcune sperimentazioni che potrebbero consentire a tante piccole e medie imprese industriali di non chiudere, bensì di continuare l'attività, garantendo il livello occupazionale.
L'ho fatta fin troppo lunga, signor presidente, ma ci sarebbero tante altre cose da dire. Condivido comunque le motivazioni che sono alla base di questo lavoro della Commissione, lo seguirò con grande attenzione e credo che potremo farvi avere nel tempo (spero breve) che vorrete ancora dedicargli (poiché c'è urgenza di


Pag. 7

misure per una ripresa economica vera e stabile, non i segnali che si dice che ci sono, ma che non trovano corrispondenza sul piano occupazionale e della realtà produttiva del Paese), contributi utili affinché la Commissione possa definire misure che siano di grande utilità.

MAURO GORI, Responsabile nazionale attività economico-finanziarie di Legacoop. Vorrei qui rappresentare i nostri dati e le nostre percezioni sulla situazione economica, in particolare per quel che riguarda il comparto delle cooperative che operano nel settore industriale e manifatturiero, in quanto abbiamo, da un lato, sistemi di rilevazione abbastanza puntuali e abbiamo effettuato indagini ad hoc, dall'altro, i rapporti con il sistema imprenditoriale sono stretti. Abbiamo quindi percezioni abbastanza puntuali - non voglio dire in tempo reale, ma certamente abbastanza aggiornate - di quello che sta avvenendo nell'economia.
Il quadro generale che percepiamo continua a indicare una discesa dei consumi, soprattutto nel settore alimentare; una disoccupazione che fortunatamente ha mosso meno di quello che ci si poteva aspettare solo pochi mesi fa; una sostanziale tenuta della coesione sociale. Si tratta di fattori, questi, che incidono (chi positivamente, chi meno) sulla domanda interna, anche se non bisogna dimenticare che, nella pratica, le misure adottate dal Governo per includere lavoratori atipici e dipendenti di piccole e medie imprese tra i destinatari degli ammortizzatori sociali sono certamente misure innovative, ma che possono avere una non piena applicazione e da più parti si teme un peggioramento della situazione occupazionale, da qui alla fine dell'anno.
Da queste considerazioni di carattere generale, vorrei passare a quelle che specificamente riguardano la manifattura. Come mondo cooperativo, abbiamo sia imprese che sono leader nell'industria manifatturiera, nell'impiantistica, nella meccanica di precisione, nell'industria delle ceramiche, sia imprese che invece attengono alla fase di decentramento. Quindi sono di piccole dimensioni, lavorano in conto terzi, spesso su segmenti poveri del mercato.
Prima di illustrare i dati, vorrei fare una premessa. La cooperazione, nel corso di questi ultimi 30-40 anni, ha avuto una caratteristica del tutto peculiare rispetto all'insieme delle altre imprese: è cresciuta di dimensione media, mentre la dimensione media di tutte le altre imprese diminuiva. Questo tratto testimonia come, in una parte almeno del settore della cooperazione, sia prevalsa un'ottica di lungo periodo.
Questi due elementi, l'ottica di lungo periodo e l'attenzione al dato occupazionale, rappresentano, credo, le chiavi di lettura dei dati che adesso vi presento.
Nel primo semestre di quest'anno, il 57,5 per cento delle cooperative manifatturiere con fatturati inferiori ai 15 milioni di euro ha registrato un calo, il 30 per cento un andamento stabile e il restante 12,5 per cento ha marcato addirittura una crescita.
L'andamento delle cooperative di maggiori dimensioni è stato, invece, notevolmente diverso. Il 71,4 per cento ha perso fatturato, il 23,8 per cento ha mantenuto i livelli dell'anno precedente, solo il 4,8 per cento ha manifestato trend di crescita. Mediamente, il calo di fatturato è stato tra il 18 e il 30 per cento, con punte ovviamente oltre il 50 per cento.
Il secondo semestre indica un andamento diverso. A noi sembra che sia terminata la fase del peggioramento, anche se non è ancora iniziata la fase del miglioramento. Stiamo registrando, difatti, una ripresa della domanda esterna, anche se posizionata su livelli di prezzo sensibilmente inferiori a quelli praticati solo pochi mesi fa. Questa fase, tuttavia, di assestamento della domanda e di leggeri incrementi della stessa, potrebbero consentire una chiusura dei bilanci 2009 in aumento, specie fra le cooperative di minori dimensioni, che riescono a recuperare fatturato e addirittura a incrementarlo. Ci attendiamo, ovviamente, anche un miglioramento per quelle di maggiori dimensioni.


Pag. 8


Le previsioni di peggioramento, invece, riguardano soprattutto le attività manifatturiere che sono legate al comparto delle costruzioni, per le quali temiamo un forte rallentamento. Sappiamo che il CIPE ha assunto decisioni importanti per il rilancio delle infrastrutture e l'auspicio è, ovviamente, che i cantieri si possano aprire rapidamente.
Il recupero dei volumi di cui vi ho detto, tuttavia, viene a scapito della redditività. Ciononostante, anche a fronte di precise azioni di ristrutturazione che sono state avviate, di cui parlerò successivamente, prevediamo che diversi bilanci 2009 possano chiudere almeno in pareggio e ci attendiamo un miglioramento più pronunciato, che potrebbe collocarsi nel secondo quadrimestre del 2010.
L'elemento che oggi ci preoccupa maggiormente non è, però, il calo della domanda o la riduzione della marginalità, bensì l'aumento consistente, in alcuni casi esponenziale, degli insoluti, che stanno determinando gravi difficoltà nel circolante e che mettono in discussione la continuità aziendale. Oltre il 50 per cento delle nostre cooperative lamenta che una quota tra il 15 e il 50 per cento dei crediti che vanta è potenzialmente nella condizione di trasformarsi in insoluto. Parliamo, ovviamente, di rischio potenziale. Ma tale rischio potenziale insiste su valori quantitativi che, se dovessero diventare reali, nessun'impresa sarebbe in grado di reggere.
Il nostro timore, quindi, è che la spirale perversa, che parte dai ritardi di pagamento e che arriva al default dell'impresa, possa registrare accentuazioni a partire dai prossimi mesi.
È anche per questa ragione che consideriamo un'iniziativa importante e intelligente quella che ha portato alla sottoscrizione dell'avviso comune fra Ministero dell'economia, ABI e associazioni imprenditoriali. Come Legacoop, siamo impegnati a farla conoscere alle imprese associate, a interloquire con il mondo del credito per la sua applicazione, ad allargarne il perimetro di applicazione. Le strutture finanziarie non bancarie che afferiscono al mondo Legacoop adotteranno l'avviso comune.
Le misure che sono state adottate dal Governo per fornire liquidità al sistema economico, la cui impostazione apprezziamo, stanno scontando il limite di non aver determinato ancora effetti sull'economia reale. Se consentite la semplificazione, tra i Tremonti-bond e lo sportello della banca c'è ancora un po' di strada da percorrere. L'avviso comune aiuta le imprese a percorrere un tratto di questa strada. È, però, necessario che tale distanza venga colmata e che questo arrivo delle risorse agli sportelli della banca avvenga.
È certamente vero che il rischio di credit crunch è stato evitato, ma il credito bancario - mi riferisco a quanto scrive Banca d'Italia nel bollettino economico di luglio - destinato al complesso del settore privato, è ulteriormente diminuito e i problemi di liquidità per le imprese, come per le famiglie, continueranno a permanere. Questo vorrei precisarlo, non perché ci sono insane manie degli istituti di credito - anche loro sono stati duramente provati dalla crisi - ma perché le banche, al pari di tutte le imprese, devono fortemente ristrutturarsi. Le direttrici di tali ristrutturazioni per le banche, quantomeno nel breve periodo, sono chiare: maggiore dotazione di capitale proprio e di maggiore qualità (quello maggiormente libero da qualsiasi tipo di vincolo); leva finanziaria più contenuta; assunzione dei rischi più attenta.
La ristrutturazione degli istituti di credito, che è necessaria e che crediamo assolutamente che vada fatta, non può, però, andare a scapito delle imprese. Questo non lo vogliono neppure le banche. È necessario, quindi, che nelle banche non prevalga un approccio burocratico, rigido, formale rispetto ai fabbisogni finanziari delle imprese. Questo è il rischio che intravediamo dietro ad alcuni interventi relativi a Basilea 2. Ci sembra, invece, che i richiami che in più occasioni il governatore della Banca d'Italia ha fatto, affinché le banche non assumano comportamenti -


Pag. 9

per usare la sua espressione - meccanicistici, siano pienamente condivisibili. Non crediamo che sia con l'applicazione pedissequa di qualche manuale che si risolvono i problemi, bensì con la capacità, anche da parte delle banche, di assolvere un ruolo più complesso e di elevare la propria capacità di valutare i rischi e di concedere crediti.
La riduzione del volume dei crediti è iscritta de facto nel percorso di riposizionamento degli istituti di credito. È per questo che le iniziative del Governo e del Parlamento per fronteggiare i problemi di liquidità del sistema devono avere efficacia. Quell'efficacia - vorrei sottolinearlo - che non si è ancora trovata per i debiti della pubblica amministrazione verso le imprese, nonostante le misure contenute nel cosiddetto decreto anticrisi. Tali misure non trovano applicazione nel settore sanitario, che costituisce una componente ragguardevole del credito vantato dalle imprese. Questa esclusione - vorrei evidenziarlo - depotenzia le misure adottate, toglie loro forza, toglie loro credibilità. La procedura che è stata indicata, genera, almeno in noi, fondati dubbi circa la sua efficacia. È certamente apprezzabile il tentativo che Governo e Parlamento hanno fatto per risolvere un problema che potrebbe restituire alle imprese risorse importanti, che stimiamo essere vicine ai 60 miliardi di euro. Temiamo, tuttavia, che questo possa produrre scarsi risultati. Sarebbe opportuno, a nostro parere, che venisse avviata un'attenta azione di monitoraggio sull'efficacia delle norme che sono state approntate, per verificare se queste determinino o meno i risultati che sono stati indicati.
Riprendo, dopo questa digressione, il filo dell'analisi del settore manifatturiero e cooperativo, per affrontare brevemente tre punti.
Il primo attiene agli ammortizzatori sociali.
Più della metà delle nostre cooperative manifatturiere ha fatto ricorso alla cassa integrazione ordinaria, seppure in modo non massiccio. Di queste, il 65 per cento ha coinvolto più della metà delle maestranze. Abbiamo evitato licenziamenti e in moltissimi casi, grazie a forme di solidarietà volontaria e spontanea da parte dei soci e dei dipendenti rimasti al lavoro nei confronti di quelli che, invece, del lavoro erano privi e con integrazioni di carattere economico da parte della cooperativa, è stato possibile attenuare i disagi conseguenti alla riduzione del reddito di coloro che erano andati in cassa integrazione. Il dato, però, che forse maggiormente evidenzia la nostra attenzione a mantenere la risorsa lavoro legata alla cooperativa, anche nelle fasi negative del ciclo, è che il 70 per cento dei contratti a tempo determinato saranno rinnovati dalle cooperative del comparto manifatturiero che, vorrei ricordare, è il più colpito dalla crisi economica. Se possiamo permetterci di dare un'indicazione sulla priorità da assumere per uscire dalla crisi e per affrontare la ripresa, questa, a nostro parere, è la formazione delle persone impegnate nel ciclo produttivo. E questo non lo diciamo per fare della facile retorica.
A noi sembra di poter registrare - lo diciamo con molta cautela, ovviamente - che si stanno riassegnando a imprese italiane, e tra queste anche a imprese cooperative, produzioni di qualità - ad esempio nel settore della moda - invertendo così una tendenza alla delocalizzazione che sembrava inarrestabile. È certamente prematuro parlare di tendenza, o di inversione di tendenza. Questi segni, tuttavia, a noi sembra che confermino che il lavoro di qualità, che non si può fare senza maestranze qualificate, abbia una sua forza intrinseca e sia capace di contrastare anche crisi durissime, come quella attuale. Le nostre cooperative sono impegnate in importanti iniziative di ristrutturazione aziendale, finalizzate al recupero di competitività, all'innovazione di prodotto, all'internazionalizzazione, al miglioramento della qualità delle produzioni. Questo è il secondo punto che vorrei trattare.
Il 70 per cento delle nostre cooperative manifatturiere ha attivato forti iniziative per ottimizzare gli acquisti e per contenere


Pag. 10

i costi. Oltre il 40 per cento sta operando diversificazioni produttive, promovendo nuovi prodotti e reinvestendoli in ricerca, conseguendo fra l'altro risultati incoraggianti. Il 15 per cento ha dato priorità alla ricerca di nuovi mercati. Infine, oltre il 40 per cento punta a soluzioni aziendali più complesse, ampliando gli spazi di collaborazione fra imprese, non necessariamente cooperative, ricercando forme di integrazione con altre cooperative. Nei prossimi mesi dall'integrazione fra tre importanti cooperative dovrebbe nascere una nuova impresa che sarà leader in Europa per il proprio settore.
Non stiamo aspettando un cavaliere bianco che ci salvi dalla crisi. In questi mesi, le imprese cooperative italiane hanno fatto almeno sette importanti acquisizioni di aziende non necessariamente in crisi, cogliendo le opportunità che le profonde trasformazioni del mercato in corso, comunque, è in grado di offrire.
Mentre fronteggiamo la crisi - e questo è il terzo punto - non vogliamo rinunciare a pensare al futuro, non rinunciamo cioè ad avere quella visione di lungo periodo che è caratteristica della vicenda cooperativa.
Per questo Legacoop ha lanciato un progetto, che chiamiamo «Mille Cooperative», e che si propone di promuovere, con adeguate garanzie che daremo alle banche, la nascita di 1.000 nuove cooperative in 3 anni e di sostenerne la crescita con adeguati strumenti professionali. Una quota di queste nuove cooperative sarà certamente afferente nel settore manifatturiero. Come già diceva il Vicepresidente di Confcooperative, oggi stiamo già registrando la costituzione di nuove cooperative industriali, a fronte di situazioni di grave difficoltà e di default conclamati di imprese del settore. Sta avvenendo in Friuli, in Emilia-Romagna, in Toscana, in Veneto, nelle Marche, in misura minore in Lombardia e in Basilicata. I comparti maggiormente interessati sono il metalmeccanico, il mobile, il chimico plastico. Queste iniziative trovano sempre l'appoggio delle amministrazioni e, a volte, quello del sindacato.
La cooperazione italiana - proseguo con l'osservazione formulata prima dal vicepresidente - ha maturato, anche grazie alla legge Marcora, un'importante esperienza al riguardo ed ha conseguito risultati che sono certamente significativi e consolidati nel tempo.
Credo che sarebbe possibile e forse opportuno tirare un bilancio di questa esperienza. Forse questo bilancio potrebbe evidenziare che vi sono usi efficaci degli ammortizzatori sociali e incentivi economici in grado di rafforzare lo spessore industriale e produttivo del Paese.
Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Chiedo scusa al dottor Mauro Gori, che non avevo ancora presentato alla Commissione.
Do ora la parola agli onorevoli deputati che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

ALBERTO TORAZZI. Desidero porre alcune domande telegrafiche.
Ho sentito parlare di qualità nell'agroalimentare, di marketing. Ma per fare marketing bisogna avere anche il prodotto. Ebbene, vi chiedo se siete disponibili a sostenere la tracciabilità dei prodotti. Del resto, è chiaro che il futuro dei nostri prodotti nell'agroalimentare può avere un valore aggiunto se parte dalle produzioni agricole e agroalimentari del nostro territorio.
Ho sentito parlare del problema della Cina. Vorrei capire se siete effettivamente favorevoli - visto che la Cina ci sottopone a un dumping sociale, ambientale, sulla sicurezza del prodotto e dei lavoratori - al fatto che l'Italia apra una discussione con il suo Governo per l'introduzione di dazi «etici», dato che è impossibile affrontare diversamente la concorrenza di chi bara.
Da ultimo, ho sentito il discorso sui criteri, le misure del Governo. Purtroppo stavo scrivendo questa domanda, quindi forse ho perso qualche concetto e lei una risposta me l'ha già data. Però vorrei avere ulteriori chiarimenti sul punto. Ho ricevuto segnali che l'accordo per la moratoria dei debiti delle PMI non funziona, poiché molte banche hanno posto criteri che,


Pag. 11

praticamente, la rendono inapplicabile a chi ne ha di bisogno. Vorrei sapere se anche voi avete segnali di questo tipo.
L'ultima osservazione che vorrei fare è che sull'applicazione della legge Marcora, per passare le imprese alla cooperativa, daremo sicuramente il nostro fattivo sostegno.

SAVINO PEZZOTTA. La cosa che a me sembra interessante, è che emerge con chiarezza che la cooperazione riesce a reggere meglio dell'impresa privata. Probabilmente, perché le radici solidaristiche consentono questa possibilità. A me è piaciuta molto l'introduzione che abbiamo ascoltato.
Voglio solo fare due o tre osservazioni veloci, perché il tempo è quello che è, visto che la cooperazione è qualcosa che mi ha sempre appassionato.
La prima è che anch'io concordo sul fatto che, finché il tasso di disoccupazione sarà quello attuale, non possiamo parlare di ripresa. La ripresa si vede dal livello crescente di occupazione, non da altre cose, che sono secondarie e minimali. Siccome temo che non avremo una crescita di occupazione nel breve periodo, probabilmente servirebbe oggi una politica di sostegno al reddito un pochino più forte, anche per incrementare la domanda.
Mi piacerebbe poi conoscere la struttura del sistema cooperativo nel settore manifatturiero, quali sono i settori principali, poiché la cooperazione è una realtà molto vasta. Ci stiamo interessando del settore manifatturiero, per cui mi interessa sapere quante cooperative tessili, meccaniche o di questa natura vi siano.
Vengo al rapporto tra giovani e cooperazione. Se parliamo di disoccupazione, il vero problema nel nostro Paese è l'assenza di una prospettiva per migliaia e migliaia di giovani. La cooperazione, sappiamo, ha dato uno stimolo. Vorrei saperne qualcosa in più, se siete in grado di dircelo, oppure potete affrontate questo tema nella relazione che ci lasciate.
Sulla questione del credito, condivido pienamente le cose che avete detto. Mi sembra che bisogna compiere uno sforzo affinché le banche salvate, adesso, incomincino a pensare come salvare gli altri, se no, probabilmente, lo sforzo della collettività è abbastanza inutile.
La cosa interessante è la presenza delle cooperative di credito, che rappresenta un'alternativa al sistema bancario che conosciamo. Credo che, probabilmente, un approfondimento sul ruolo delle piccole banche nelle realtà disagiate e nelle realtà dei territori andrebbe valutata con grande attenzione. Oggi, se c'è un sistema creditizio che ha aiutato la piccola e media impresa e le famiglie, questo è stato, soprattutto il sistema delle banche di credito cooperativo. Pertanto servirebbe, rispetto per questo sistema bancario, qualche sostegno in più.
Vorrei inoltre capire meglio il rapporto fra Banca di Credito cooperativo e Banca del Sud. Siccome ho qualche perplessità sulla Banca per il Mezzogiorno, vorrei capirne qualcosa di più e apprezzerei molto se il dottor Ottolini ci fornisse qualche ulteriore elemento.
La questione della legge Marcora non presenta problemi da parte mia, visto anche come si chiama, non c'è proprio nessun problema!
Dal dottor Gori vorrei avere qualche approfondimento sul progetto di cui ci ha parlato (avete detto 1000 cooperative: è un bel numero) su quali settori, con quali criteri e dove si sta realizzando.

RAFFAELLO VIGNALI. Signor presidente, molto velocemente una considerazione in premessa. Trovo molto positivo il fatto che in questa audizione Confcooperative e Legacoop siano state ascoltate assieme, perché credo che anche un maggior coordinamento nella rappresentanza possa solo far bene al sistema cooperativo, ma lo stesso discorso potrebbe valere anche per le piccole e medie imprese. Lo ritengo sicuramente un fatto positivo.
Anch'io confermo assolutamente la disponibilità a un impegno e un sostegno per il recupero della legge Marcora, anche perché tutto quello che può far crescere il numero degli imprenditori in questo Paese, secondo me, deve essere fatto.


Pag. 12


Credo che sia veramente da favorire al massimo che i lavoratori si assumano in proprio il rischio di un'attività.
Venendo alla domanda, il sistema cooperativo è esso stesso una rete (Confcooperative, da una parte, e Legacoop, dall'altra, sono una rete, non sono un'associazione di imprese) e poi, all'interno, si sono sviluppate molto le reti di impresa, anche reti in forma cooperativa tra soggetti che non sono cooperative (penso alla cooperazione dell'autotrasporto). Ebbene, vorrei sapere se, rispetto alla crisi, le reti abbiano tenuto e se siano riuscite ad attutire l'impatto.
Vorrei inoltre chiedere se, dal punto di vista normativo, sul tema proprio delle reti, abbiate suggerimenti o richieste su cosa si potrebbe fare di più, per favorirle e sostenerle.

LUDOVICO VICO. Signor presidente, quanto ci è stato illustrato da Confcooperative e da Legacoop è stato molto interessante. Spero che ci sarà consegnata della documentazione al riguardo.
Da un po' di tempo continuiamo a dire ai soggetti auditi che spesso, oltre alla percentuale, abbiamo bisogno dei numeri assoluti e si comprende benissimo il perché. I numeri, quando sono in quantità assolute, ci danno la dimensione più propria e anche il riferimento merceologico, come ha osservato da ultimo l'onorevole Pezzotta. Occorre il quadro preciso: se ci sono aziende cooperative che fanno le pelli, occorre sapere se stanno giù, oppure se stanno su. Non serve molto altro e sono queste le informazioni che ci interessano maggiormente.
Quando parliamo della cooperazione, parliamo di un mondo straordinario, assai vasto, tanto orizzontale da essere autosufficiente nella enunciazione (dal credito fino ai servizi, eccetera).
Su un ramo di questo sistema economico, quello della distribuzione, pongo un interrogativo banalissimo: il prezzo del grano al produttore quest'anno ha avuto una diminuzione del 28 per cento e quello del riso del 31 per cento. Oggi la pasta è aumentata. Ebbene, vorrei sapere se si tratti di un problema - proprio della banalità più assoluta - dei pastai oppure se il problema è negli assetti della distribuzione che si stanno ridefinendo particolarmente nel centro nord e al sud, tra le quote di mercato con la rete distributiva francese. Vorrei che mi chiariste che cosa sta avvenendo, anche se non è assolutamente obbligatorio che tutte le risposte ci vengano in questo momento e in questa sede. Sulla legge Marcora, sono favorevole.
Vorrei inoltre sapere se, quando parliamo di manifatturiero, come oggi ripropone il Governo parliamo del made in UE, oppure se esiste un problema di full made in Italy (cioè della tracciabilità) sul quale in questa Commissione siamo largamente d'accordo.
Concludo parlando del Mezzogiorno. Anche qui l'onorevole Pezzotta mi ha preceduto: vorrei capire qualcosa di più sulla Banca del Mezzogiorno, che cosa significhi per voi, se nelle «Mille Cooperative» il Mezzogiorno sia compreso e in quale maniera. Vorrei sapere se a crescere siano ancora eventualmente, in parte, come accadde negli anni '70, '80, '85 e '95, la cooperazione dell'edilizia, la grande distribuzione, o i servizi alla politica amministrazione, oppure se siano cresciute le imprese industriali, quelle di servizio, o quelle manifatturiere.

PRESIDENTE. A questo punto, visto che abbiamo terminato il tempo a nostra disposizione, alle domande sarà data risposta nella relazione scritta che verrà inviata in seguito alla Commissione.
Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Federchimica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell'economia internazionale, l'audizione di rappresentanti di Federchimica.


Pag. 13


Do loro la parola per lo svolgimento della relazione.

GIORGIO SQUINZI, Presidente di Federchimica. Signor presidente, ringraziamo per questa audizione e speriamo che gli spunti di riflessione e i dati che porteremo alla vostra attenzione possano essere di una qualche utilità per il vostro lavoro.
Abbiamo lasciato un documento agli atti della Commissione, dove vengono trattati in maniera più diffusa alcuni dei punti chiave, che vorremmo portare alla vostra attenzione. Abbiamo distribuito anche il documento di proposte che avevamo consegnato al Ministro Scajola in occasione del recente tavolo nazionale sulla chimica. Questi due documenti sono in forma sintetica, ma comunque danno un'idea esaustiva delle priorità dell'industria chimica. Non vorrei ripeterne integralmente i contenuti, anche per questioni di tempo.
Vorrei, invece, darvi qualche informazione che vi possa aiutare a capire meglio il volto dell'industria chimica nel nostro Paese, la sua importanza per lo sviluppo, per poi illustrare alcune delle tematiche che riteniamo assolutamente prioritarie per il nostro settore. Infine, siamo pronti a rispondere a qualunque domanda da parte vostra.
Sull'importanza della chimica, ci terrei a richiamare quanto è stato fatto a livello europeo e si è concluso recentemente, all'inizio di quest'anno, dall'High Level Group sulla competitività dell'industria chimica di cui, tra l'altro, ho fatto anche parte personalmente, in rappresentanza delle medie imprese chimiche europee. Si tratta di conclusioni molto importanti, poiché erano state condivise da tutti. Nell'High Level Group erano presenti tutte le componenti sociali, le grandi imprese, le medie imprese, le piccole imprese e tutti gli stakeholder della chimica, incluse le organizzazioni sindacali, le organizzazioni ambientaliste e le rappresentanze della maggior parte dei Governi europei. Da tutto ciò, sono emerse essenzialmente due considerazioni di base. È emerso il ruolo chiave della chimica per lo sviluppo economico e per il benessere, poiché dalla chimica sono rese disponibili in continuazione sostanze, prodotti, materiali innovativi e nuove soluzioni tecnologiche per tutti i settori economici. Questo è il ruolo della chimica europea, che peraltro è leader mondiale in termini di imprese e di tecnologia, nonostante tante produzioni siano state decentrate al di fuori dell'Europa. È emerso, inoltre, che le sfide principali che l'umanità ha di fronte esigono sempre nuove soluzioni, che a loro volta richiedono nuovi materiali e nuove sostanze. L'Unione europea ha ritenuto, quindi, indispensabile promuovere un'industria chimica orientata alla sostenibilità. Questo è il punto chiave. Per fare ciò, ci basiamo su due punti che sono innovazione e ricerca, da un lato, la qualità delle normative e una loro corretta implementazione e applicazione, dall'altro.
Non possiamo dimenticare che il complesso delle normative è sicuramente determinante per la competitività della chimica in generale, in modo particolare della chimica europea e della chimica italiana più specificamente.
Vorrei illustrare rapidamente la struttura della chimica italiana, tra l'altro ben equilibrata tra le tre componenti di pari dignità e importanza. Vi sono le imprese estere, con produzione e ricerca in Italia (il vicepresidente Mauro Chiassarini, presidente di Bayer, vi parlerà più in dettaglio anche di questo); le molte centinaia di medie e piccole imprese non marginali e non solo dipendenti in maniera diretta dalle grandi, ma con una propria capacità di fare innovazione e di coprire specifiche nicchie di mercato; il terzo pilastro è rappresentato delle imprese medio-grandi e le grandi imprese a capitale italiano fortemente specializzate, innovative, internazionalizzate.
Non possiamo dimenticare che il più grosso produttore chimico a capitale nazionale è di proprietà del gruppo ENI. In Italia, peraltro, come nel resto del mondo e più specificatamente in Europa, c'è sempre meno chimica di base e sempre più chimica dei settori a valle. Meno chimica di base, perché quest'ultima tende ad andare vicino alle fonti delle materie


Pag. 14

prime (essenzialmente il gas), laddove ci siano condizioni di costo energetico particolarmente favorevoli.
Per la chimica di base è opportuno sottolineare che sussistono forti difficoltà, non solo a livello italiano, ma anche a livello europeo. Anzi, da un certo punto di vista, l'Italia forse ha anticipato il minore peso della chimica di base (per tutte le vicende della chimica degli anni Settanta, fino all'inizio degli anni Ottanta, che noi tutti non abbiamo dimenticato) ed è forse più avanti in questo processo di razionalizzazione delle produzioni.
Questo non vuol dire che la chimica abbia perso un ruolo o sia meno importante di quello che era ai tempi di Montecatini Edison, di Anic, eccetera. Abbiamo incrementato decisamente tutta la chimica fine, la chimica delle specialità, la chimica di formulazione, che sono fondamentali, perché sono le più vicine al mercato, quelle dove abbiamo potuto sviluppare vere e proprie eccellenze.
La chimica, peraltro, è un settore molto adatto a un Paese come l'Italia, per la qualità e la formazione - l'incidenza dei laureati in chimica è molto superiore alla media degli altri comparti manifatturieri - e per la produttività degli addetti: il valore aggiunto per addetto, secondo le nostre stime, è del 50 per cento superiore alla media del valore aggiunto prodotto per addetto dagli altri settori manifatturieri.
Un'altro aspetto che ci ha caratterizzato, in questi ultimi anni, è che la chimica italiana è un forte esportatore. Dal sistema dei cambi fissi siamo uno dei settori, se non in assoluto il settore, che ha incrementato maggiormente le proprie esportazioni, aumentando del 18 per cento la quota esportata rispetto a quella del 1992.
È chiaro che, comunque, la chimica italiana ha un grosso deficit, che è tutto concentrato nella chimica di base. Invece, registriamo attivi importanti in settori soprattutto della chimica di formulazione (come vernici, adesivi, la cosmetica, che è molto importante, la detergenza, le materie prime farmaceutiche) dove da quasi sempre rappresentiamo un caso di eccellenza mondiale.
La chimica è anche tutela dell'ambiente e della salute. Le nostre rilevazioni ci portano ad affermare che siamo uno dei luoghi più sicuri in assoluto dove lavorare. Tra l'altro, con il nostro programma Responsible care le aziende aderenti - che sono circa centosettanta e che rappresentano circa due terzi della produzione nazionale - hanno avuto uno sconto dall'INAIL proprio per il comportamento virtuoso, per la bassa incidenza di malattie professionali e di infortuni sul lavoro. Oltre a questo, naturalmente offriamo anche soluzioni innovative per affrontare le più complesse sfide ambientali.
Altro punto molto importante è che la chimica fa innovazione di prodotto e questo è tanto più vero in Italia, essendo molto vicini ai mercati finali. In effetti, spesso facciamo una dichiarazione che corrisponde molto alla realtà, e cioè che, come chimica, siamo il turbo del made in Italy. Diamo innovazione, flessibilità, personalizzazione e quindi competitività a tutti i settori del made in Italy. Dietro ai tessuti, dietro ai prodotti per l'arredamento, dietro tutto c'è una forte componente di innovazione chimica, sviluppata localmente, qui da noi, in Italia. Questo è un fatto assolutamente degno di nota.
Se volessimo specificare che cosa chiedere per la chimica e quale dovrebbe essere, secondo noi, la politica ideale per la chimica, potremmo dire che il nostro è un settore, per definizione, in cui la complessità delle attività produttive è elevata, per cui abbiamo bisogno di una competitività industriale che è in gran parte determinata non solo dalle strategie aziendali di ogni azienda, di ogni gruppo, ma molto anche dai condizionamenti del sistema Paese in cui operiamo.
È su questi condizionamenti che dobbiamo intervenire, per dare competitività alle imprese, con una politica industriale che innanzitutto ci porti a normative meno penalizzanti e in linea con le normative europee. Purtroppo, abbiamo riscontrato tantissimi casi di cosiddetti miglioramenti


Pag. 15

nel recepimento delle direttive europee nel nostro Paese che hanno, in alcuni casi, anche fortemente penalizzato le aziende. Parlando sempre di Unione europea, non possiamo nemmeno dimenticare certi suoi paradossi quando, ad esempio, pensiamo che a Copenhagen potranno essere rivisti gli impegni di riduzione delle emissioni di CO2, portandoli da -20 al -30 per cento, mentre negli Stati Uniti Obama, che si candida a portavoce di un sistema più compatibile, si propone un -4 per cento.
Tra l'altro, come industria chimica abbiamo già fatto moltissimo. Rispetto al 1992, quando sono iniziate le nostre rilevazioni di emissioni in aria e in acqua nonché di emissioni di CO2, abbiamo conseguito riduzioni fantastiche. Le emissioni in aria sono state ridotte del 92 per cento, in acqua di circa il 70 per cento, le emissioni di CO2 sono assolutamente in linea con quelli che erano gli obiettivi di Kyoto, anzi, abbiamo accumulato un discreto vantaggio, che è circa del 20 per cento, rispetto a quelli che erano gli impegni che avevamo preso per Kyoto.
Un altro condizionamento sul quale, secondo noi, si deve operare, è il costo dell'energia. Siamo favorevoli alle energie rinnovabili, ma queste devono essere finanziate con la fiscalità generale e non con le bollette energetiche. Tante delle nostre aziende sono certamente energivore e tante delle nostre imprese hanno già compiuto interventi di razionalizzazione, attraverso investimenti sulla cogenerazione e quant'altro. Quindi, sicuramente per noi il costo dell'energia è un parametro importante e abbiamo sicuramente bisogno di avere globalmente, come settore, un costo di energia più ridotto.
Un altro problema per noi fondamentale è quello delle infrastrutture.
Le infrastrutture nel nostro Paese, come tutti sappiamo, sono in questi ultimi trent'anni passate da una punta di eccellenza a un ritardo sicuramente accumulato nei confronti della media europea. Mi riferisco alle infrastrutture di tutti i tipi: dalle strade, alle ferrovie, ai porti. Tutto questo è veramente penalizzante e, per l'industria chimica, la penalizzazione è maggiore che per altri comparti manifatturieri.
Un altro punto che riteniamo fondamentale è il sostegno alla ricerca. Non possiamo dichiararci contenti del modo in cui è stato portato avanti, negli ultimi tempi, il sostegno alla ricerca. La famosa lotteria su Internet di qualche mese fa ha penalizzato fortemente le nostre imprese, poiché, secondo le nostre stime, circa un 40 per cento delle nostre imprese non sono riuscite ad accedere alle deduzioni previste dalla Finanziaria.
In merito a università e ricerca pubblica, pensiamo che debbano essere più rivolte alle esigenze delle imprese. Abbiamo per la ricerca pubblica il CNR, con il quale, tra l'altro, come Federchimica, abbiamo stipulato accordi, ma notiamo una difficoltà enorme nell'avviare queste ricerche. Abbiamo fatto accordi di programma, accordi quadro, però non riusciamo a far partire, se non in pochissimi casi, veri programmi operativi, vere collaborazioni. Lo stesso, naturalmente, vale per le università. Ritengo quindi che questa sia un'area sulla quale si debba intervenire.
Al di là di tutto quello che ho detto, per noi della chimica rimane fondamentale la semplificazione normativa e burocratica del nostro Paese. Questo è il punto sul quale la chimica sente la più forte penalizzazione. Abbiamo centinaia di casi di aziende che non hanno potuto realizzare per nulla, o comunque con ritardi clamorosi, i loro programmi a causa della complicazione normativo-burocratica del nostro Paese. Questo, secondo noi, è il punto focale sul quale ci dobbiamo confrontare.
Con alcuni di voi ho già avuto occasione di parlarne, anche personalmente, ma si tratta veramente del punto chiave. Può sembrare paradossale, ma la semplificazione nel nostro Paese è la politica industriale per eccellenza. Abbiamo un divario che ci separa dagli altri Paesi. Come imprenditore che produce in Italia e in altri 24 Paesi, vi posso garantire che le vicende a cui siamo stati - e siamo ancora - sottoposti in questi anni in Italia non le


Pag. 16

abbiamo praticamente riscontrate in nessun altro Paese, anche nei più complicati, anche nei più avanzati dal punto di vista ambientalista e da qualunque punto di vista. Personalmente ho la sensazione che questo gap competitivo, che evidentemente non si riesce a misurare con numeri precisi, sia superiore a quello determinato dagli alti costi dell'energia. Questo è veramente un nodo sul quale dobbiamo incidere. Qualcuno ha detto che semplicità significa sottrarre l'ovvio e aggiungere il significativo. È una verità facile, ma indispensabile. Purtroppo nel nostro Paese significa anche sottrarre l'inutile e il ridondante, volutamente e inutilmente complesso. Nonostante l'impegno di questo Governo e anche di qualche Governo precedente, sarà necessario comunque fare un salto di qualità. Semplicità, tra l'altro, non significa appiattimento. Bisogna semplificare senza perdere nulla di essenziale. Non siamo a chiedere facilitazioni e quant'altro, chiediamo solo semplificazione, anche perché la nostra idea è che la norma complicata è quella più facilmente eludibile.
Norme semplici, chiare, dal nostro punto di vista sono quelle che le imprese possono rispettare meglio. Chi controlla le imprese può fare altrettanto e si tratta di un ruolo che, peraltro, dovrebbe svolgere - e lo ha fatto, anche se con risultati alterni - l'Unione europea.
Riteniamo - come ho già detto - che si debbano recepire le direttive in maniera più semplice, diretta, senza volere introdurre miglioramenti o modifiche, che vanno comunque sempre contro la competitività del nostro sistema. Questo è per noi un punto fondamentale.
Un'ultima riflessione su ricerca e innovazione. La chimica, in termini di ricerca e innovazione, è il terzo settore nel Paese, dopo l'information technology e l'aerospaziale, per spese effettuate. Rispetto agli altri settori, abbiamo la caratteristica che un numero molto alto delle nostre imprese, anche piccole e medie, fanno ricerca. È insito nel nostro tipo di attività, che per fare chimica in maniera competitiva e di successo, occorra fare continuamente innovazione di prodotto. Ci siamo specializzati nel fornire ai settori del made in Italy innovazione sotto forma di sostanze, prodotti personalizzati, con grande flessibilità. Per cui, la chimica (turbo del made in Italy) deve essere considerata una infrastruttura utile allo sviluppo innovativo delle produzioni italiane.
Oggi abbiamo anche una nuova frontiera, sulla quale molte delle nostre imprese sono già impegnate in maniera diretta, che è quella delle nanotecnologie, che sono sicuramente finalizzate allo sviluppo di nuovi prodotti più funzionali, a minor impatto ambientale e a minor consumo di energia per unità di prodotto. Quello che dobbiamo evitare è che nei confronti delle tecnologie si alzino i muri dell'ignoranza, che troppo spesso nel nostro Paese sono stati eretti per frenare possibilità di sviluppo, che peraltro nel resto del mondo, invece, sono di applicazione quotidiana. Mi riferisco al caso delle biotecnologie, in cui nel nostro Paese si sono incontrate molte più difficoltà che in altri.
Questo è il quadro della chimica italiana. Siamo forse un po' più piccoli rispetto a quello che eravamo negli anni Ottanta, però siamo, secondo me, molto più efficienti e competitivi nel mercato globale. Siamo un settore che riesce ad esportare molto più di prima e la nostra capacità di esportare è cresciuta con l'introduzione dell'euro, quindi a tassi di cambio costante. Abbiamo in noi la competitività per fare, però abbiamo bisogno anche di essere sostenuti, come ho detto prima. Semplificazione normativa e burocratica, costi dell'energia minori, infrastrutture più efficienti. Evidentemente queste sono ovvietà, ma purtroppo per noi sono cose importanti così come pensiamo ci sia bisogno di un forte sostegno alla ricerca e sviluppo.

PRESIDENTE. Grazie presidente, anche lei si aggiunge al coro di chi non si sottrae ad elencarci una serie di problemi, ma traspare sempre una grande voglia comunque di accettare questa sfida, che abbiamo colto in tante occasioni, di chi


Pag. 17

non nasconde le difficoltà, ma ha voglia di superarle.

MAURO CHIASSARINI, Vicepresidente di Federchimica. Volevo aggiungere alle parole del presidente qualche informazione di dettaglio su quelle che sono chiamate comunemente le aziende multinazionali e che noi chiamiamo, invece, aziende a capitale estero. Le vogliamo considerare aziende italiane a capitale estero. Sono presenti in questo Paese non solo con attività commerciali, sono profondamente radicate e portano avanti produzione, ricerca, innovazione.
Vorrei condividere con voi brevemente i risultati di uno studio che Federchimica ha condotto tra i suoi associati, per conoscere meglio la prospettiva di queste aziende a capitale estero. Lo studio è del 2008 e sono emersi dati molto interessanti. Numericamente, queste aziende rappresentano il 16 per cento di tutti i nostri associati; sono circa 300 le società a capitale estero (precisamente 288) e, dal punto di vista del fatturato e delle produzioni, invece rappresentano il 36 per cento del settore. Dal punto di vista dell'occupazione queste aziende hanno circa 40 mila dipendenti, pari al 31 per cento del settore. Se consideriamo l'indotto, dobbiamo stimare circa 85 mila addetti. Interessante è anche il numero degli addetti alla ricerca: sono 2.400. Abbiamo fatto, assieme a questi ultimi, una stima degli investimenti che vengono realizzati ogni anno in ricerca e innovazione. Gli investimenti fissi sono circa 800 milioni di euro, pari al 37 per cento di quello che il settore investe. Un dato interessante è che queste aziende non producono solo per servire il mercato italiano e sono molto rivolte all'esportazione. Quindi, i nostri dati ci dicono che il 40 per cento dell'export della chimica viene da queste aziende. È successo, in sostanza, che impianti nati inizialmente per servire il mercato italiano siano diventati centri di eccellenza che servono Paesi europei e altre aree del mondo.
Queste aziende sono profondamente radicate - è un tema comune di tutta la chimica - con le piccole e medie aziende e con le filiere. Insieme viene fatto lo sviluppo prodotti, l'innovazione e i prodotti sviluppati assieme servono sia i mercati italiani, sia i mercati esteri. Questo è un dato positivo per entrambe le realtà. Senza dubbio per le piccole e medie aziende, ma anche per queste aziende internazionali, che colgono da questa flessibilità e creatività italiana un vantaggio per altri mercati.
I problemi che vediamo sono praticamente i problemi del settore chimico in Italia. Abbiamo magari forse una cosa in più: oltre a confrontarci con la concorrenza tipica dei nostri mercati, ci confrontiamo con una concorrenza interna alla nostra azienda per quanto riguarda gli investimenti produttivi e gli investimenti in ricerca. Io, che mi trovo a guidare una ditta straniera in Italia, quasi costantemente lotto per difendere e portare avanti investimenti in questo Paese.
Questa è una competitività positiva, sana, ma che va aggiunta al tema delle altre competitività. Non ci sono solo problemi, ci sono anche molti fattori positivi che attirano le aziende in Italia, come abbiamo chiesto ai nostri associati. Uno dei fattori positivi è la qualità delle risorse umane: con tutto quello che si dice, i nostri manager e i nostri tecnici sono estremamente quotati. Abbiamo difficoltà a vederli in un contesto internazionale: l'italiano si muove meno volentieri, però si tratta di risorse estremamente valide.
Una cosa molto importante è il network con i fornitori di impianti e di servizi: il Paese ha una flessibilità e una qualità veramente importante e questo facilita i nostri insediamenti. Come vi dicevo prima, questa collaborazione con le piccole e medie imprese è molto importante. Poter avere una controparte che prende il coraggio di innovare e di sviluppare insieme prodotti, è un motore non solo per il Paese, ma anche per tutta l'industria.
Le problematiche, trattandosi di aziende italiane in ogni senso, sono le stesse citate dal nostro presidente. Aggiungerei magari una precisazione riguardo alla semplificazione normativa: la lentezza delle autorizzazioni, che fa parte un po'


Pag. 18

della burocrazia. Per avere autorizzazioni all'accesso al mercato dei nostri prodotti in Italia, si impiega di più che in altri Paesi. Anche sui costi energetici veniamo confrontati con altri Paesi. Aggiungerei poi i tempi di pagamento della pubblica amministrazione. Anche su questo c'è una diversità rispetto gli altri Paesi europei e anche questo aspetto va considerato in un momento in cui il problema del credito è un problema comune a tutti. Le nostre aziende si trovano anche a fare operazioni praticamente di finanziamento della nostra clientela e questa pressione sul credito nei confronti della pubblica amministrazione, per noi è motivo di sofferenza.
Con ciò ho inteso darvi un quadro molto rapido e molto sintetico, in una prospettiva leggermente diversa. Le opportunità che vediamo per il Paese e anche le problematiche, però, si sovrappongono con quelle di tutti gli altri settori, proprio perché riteniamo che si tratti di aziende italiane con capitali esteri.

CLAUDIO BENEDETTI, Direttore generale di Federchimica. Un piccolo flash, unicamente per fare una fotografia completa, anche sotto l'aspetto sociale, sulle relazioni industriali e sindacali.
Con la controparte abbiamo sempre avuto ottimi rapporti, basati essenzialmente sulla trasparenza. Ricordo che Federchimica, con le altre organizzazioni sindacali, ha costituito il primo fondo di previdenza (Fonchim) ben oltre dieci anni fa. Subito dopo - sei anni fa circa - abbiamo costituito il fondo di assistenza sanitaria (Faschim). Ciò riguarda l'attenzione ai problemi - come hanno detto il presidente e il vicepresidente - della sicurezza, della salute, della sanità. I dati che il presidente ha citato sono di fonte INAIL, non nostra, e considerano la chimica il secondo settore, subito dopo il petrolifero, come virtuosità, per il minor numero di incidenti per ore di lavoro lavorate, per numero inferiore di malattie.
Credo che anche sulla previdenza e sull'assistenza sia stato dato un contributo che i lavoratori e le imprese hanno considerato essenziale.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti e formulare osservazioni.

LUDOVICO VICO. Proverò, attraverso alcune domande, a fare meglio il punto su una situazione che forse va confrontata con gli aspetti positivi di questa fase della crisi che ci avete presentato.
Prima questione. I dati che abbiamo osservato fino a qualche settimana fa, misurando, come è possibile fare da parte nostra, dalle vostre fonti più autorevoli degli osservatori nazionali e anche europei, ci dicevano e ci dicono le seguenti cose.
Per parlare in senso lato della chimica, al netto della farmaceutica, in modo da dipingere il quadro attuale, la chimica di base va male; plastiche, resine, fibre chimiche e fertilizzanti vanno peggio. Presidenti autorevoli delle grandi aziende chimiche avevano detto che alcune materie prime intermedie per l'industria cosmetica, detersivi, additivi per l'industria alimentare hanno più o meno tenuto. Noi sappiamo, come voi - l'ultimo intervento dal punto di vista storico è stato illuminante in tal senso - che i chimici e quelli dell'energia in genere hanno sempre avuto migliori relazioni sindacali, hanno sperimentato strade di grande innovazione fino a diventare poi legislazione, per tantissimi aspetti. Riguardo al numero degli addetti nel settore, siamo a oltre 20 mila tra cassa integrazione, rischio di cassa integrazione ulteriore e pericolo di licenziamento.
Comprendo benissimo quello che il presidente, per primo, ci ha detto, sul rapporto con il made in Italy. Ci siamo accorti che sta diventando anche un'evocazione, poiché continuiamo a sostenere l'opinione che si stia rottamando la chimica in Italia. È pesante, l'immagine. Non sono i punti di eccellenza che possono permetterci di dire che va tutto bene. Abbiamo punti di eccellenza, che qui sono


Pag. 19

stati richiamati - anche con molta modestia - e che ci sono noti anche in profondità. Questi punti di eccellenza non rappresentano però il sistema. Non trovo ancora un'autocritica riguardo al fatto che fosse legittimo e giusto buttare a mare la chimica di base; non ho ancora avuto una lettura che ci spieghi che cosa sia la chimica fine.
Pongo sul tavolo di questa Commissione, le iniziative che essa ha assunto, anche attraverso il nostro presidente: vorrei sapere che fine farà il ciclo del cloro. È un problema sul quale Federchimica nulla dice, mentre noi vorremmo sentire, anche in futuro, cosa ha da dire al riguardo. Vorremmo saperlo, dal momento che non abbiamo visitato solo Porto Torres e, nei prossimi giorni, svolgeremo visite in altri luoghi importanti. Non è questo. Non è parlare di Priolo, di Basel per Brindisi, di Portovesme e poi di Udine e della Snia Viscosa. Tutto questo non ha un luogo di osservazione precisa per il legislatore, a meno che non si dica che, alla fine di tutto, c'è ENI.
ENI è un problema, non è la soluzione per la chimica italiana, fino a quando - ovviamente è l'opinione di un parlamentare - non ne assumerà ruolo e funzioni. Questo è un elemento che ci dà qualche preoccupazione seria e sarebbe auspicabile forse che Federchimica, l'associazione che lor signori rappresentano, dicesse qualcosa in più rispetto al sistema, alla chimica italiana e alla chimica italiana in Europa.
Sul versante della ricerca e sulle difficoltà che ci avete segnalato, siamo perfettamente d'accordo.
Tutti siamo d'accordo, inoltre, sul fatto che la pubblica amministrazione debba pagare i debiti verso i fornitori. Ne siamo convinti perché esiste un Ministero per la semplificazione e, ovviamente, siamo fiduciosi che la questione, sia pure non risolutiva, sia affrontata.
Detto tutto ciò, però, questa visione rosea sulla chimica italiana - che voi, peraltro torno a ripetere, non ci avete rappresentato - non riusciamo assolutamente a vederla.
Torno a dire che i punti di eccellenza sono preziosi, ma, fuori da un sistema, o entrano in altri sistemi, o vengono assorbiti, come è logico, in altre occasioni.

GIORGIO SQUINZI, Presidente di Federchimica. Lei, onorevole, ha toccato una situazione reale. Sui 20 mila addetti che si sono persi, innanzitutto tenga presente che, nella chimica italiana, noi rappresentiamo 126 mila addetti, che però, in effetti, sono 250 mila. Quindi, la percentuale su 250 mila è diversa da quella su 126 mila. Questo per dare le cifre in una dimensione più reale.
Detto questo, non possiamo dimenticare che negli ultimi 18 mesi è cambiato tutto. Non abbiamo più le certezze e la stabilità del passato. Tra l'altro, ricordo che la chimica è un'attività anticipatrice dei cicli economici. Quindi, siamo andati in crisi prima degli altri e adesso siamo leggermente preoccupati dal fatto che non vediamo ancora un miglioramento netto di fondo. Ciò vuol dire che la ripresa non è alle porte e siamo tutti molto preoccupati per questo. Però, non dimentichi che siamo andati in crisi prima di altri settori, in maniera più forte rispetto ad altri settori, già a partire dall'inizio del 2008. Quindi, nelle cifre gioca un po' anche questo.
I nodi della chimica di base - ne ho accennato, prima - purtroppo sono davanti a noi. Da una parte sono di carattere strutturale dell'industria chimica mondiale, per cui tanta chimica di base sta uscendo. Se facciamo il nome del numero uno della chimica mondiale, BASF, vediamo che non investe più in Germania, bensì in Qatar, per la vicinanza alle fonti energetiche, o in Cina, perché pensano che lì sarà il grande mercato del futuro. Però in Germania non stanno facendo più niente. Anzi, pian piano chiudono gli impianti. È un trend generale di tutta la chimica europea. Noi che, come Paese, siamo un incrociatore di stazza per fare manovre rapide, non siamo delle portaerei, evidentemente lo abbiamo sofferto per primi e continueremo a soffrirlo.


Pag. 20


Onorevole Vico, lei poi si riferisce al caso del cloro soda. Qui ci sono tante cose da dire. La vicenda del cloro soda di Porto Marghera è un po' quella centrale, di dimensioni maggiori: non dimentichiamoci che è stato negato il permesso per la membranizzazione da parte del Governo regionale, che era di una certa tendenza, però, dall'altra, parte c'è stato anche qualcuno di tendenza opposta che ha fatto un referendum a Venezia - mi riferisco al sindaco - per chiedere alla popolazione se voleva la chimica a Porto Marghera o no. La risposta era immaginabile.
Non nego che questi errori vengano dal passato e che negli anni Trenta la scelta fosse già discutibile: a me personalmente, da italiano, andare in piazza San Marco e vedere in fondo le ciminiere di Porto Marghera non dà alcun senso di orgoglio. Però, purtroppo, le ciminiere ci sono e dobbiamo cercare di difendere questi patrimoni della storia industriale del nostro Paese. C'è stata una incertezza totale su quello che c'era da fare e su quello che si doveva e poteva fare nonché su quello che si potrà fare. È mancata, dal mio punto di vista, una visione complessiva di politica industriale, per cui oggi ci troviamo veramente a gestire problemi che ci vengono da 60 o 70 anni fa. In un mercato con le difficoltà attuali, il margine di manovra si è ristretto drammaticamente.
Se poi a questo aggiungiamo che abbiamo alcuni settori, che peraltro dipendono in via diretta e indiretta, per esempio, dal cloro soda, come il mercato delle fibre, nella nostra federazione abbiamo visto l'associazione delle fibre drammaticamente crollare, perché le fibre arrivano dalla Cina a costi che sono la metà dei costi di produzione nazionale. Questi sono problemi di politica industriale a lungo termine, sui quali purtroppo non è Federchimica e non è neanche la singola azienda, per quanto di grandi dimensioni, che può effettivamente offrire una soluzione.
Abbiamo qualche dato, per la verità, anche abbastanza preoccupante, perché da un'ultima rilevazione che abbiamo fatto, oltre il 40 per cento delle nostre aziende sta lavorando con una riduzione d'orario e di personale, cassa integrazione e quant'altro. Si tratta di un dato molto preoccupante, però ritengo che sia legato moltissimo alla situazione congiunturale del momento. Non è un dato stabile e, tutto sommato, abbiamo fatto meglio di altri settori. Nel momento in cui guardiamo i dati (sono usciti i dati Istat recentemente, che dicevano che la chimica ha fatto 4 in luglio rispetto a giugno; siamo sempre a -14 rispetto a un anno fa, però non dimentichiamo che il manifatturiero generale è a -18), tutto sommato, in una situazione di grossa difficoltà dell'apparato manifatturiero del Paese, la chimica si sta difendendo coi denti, grazie a questi punti di eccellenza.
Un altro punto: la situazione è difficilissima, sono perfettamente d'accordo con lei, abbiamo alcuni nodi da risolvere, soprattutto in termini occupazionali e sociali, che sono Porto Marghera, la Sardegna, Torviscosa, anche la Sicilia. Personalmente, però, ho fiducia nel futuro, come imprenditore, per quanto riguarda il mio gruppo, ma anche per tantissimi altri gruppi. Riteniamo di essere competitivi. Non dimentichi che dal nostro ultimo studio risulta che sono 180 le imprese italiane della chimica che stanno facendo investimenti non di decentramento produttivo, bensì per acquisire quote di mercato nel mercato globale, anche producendo all'estero. Ciò vuol dire che in Italia abbiamo sviluppato un know-how, una capacità di fare ricerca, innovazione, eccetera, che permette alle nostre imprese di essere competitive nel mercato globale, è per questo che io sono ottimista sul futuro della «piccola chimica italiana». Abbiamo una dimensione forse diversa. Peraltro, in Europa, chi ha una dimensione nettamente diversa dalla nostra è solo un Paese: la Germania. Gli altri non sono molto meglio di noi. Rimango, sul lungo termine, abbastanza ottimista sul futuro della chimica italiana e sulla capacità della chimica italiana di competere nel mercato globale. Certo, abbiamo alcuni problemi grossi, da risolvere internamente, e bisognerà anche, come giustamente ha detto lei, arrivare a


Pag. 21

definire i ruoli di qualcuno, perché certamente il gruppo ENI deve decidere cosa fare. Queste è una delle cose più urgenti da definire: siamo assolutamente d'accordo su questo.

ALBERTO TORAZZI. Noi siamo qui per fare le leggi e lo scopo di questa audizione è di avere informazioni a riguardo.
Vorrei porre alcune brevissime domande, tralasciando l'aspetto dei pagamenti da parte dell'apparato pubblico, che, chiaramente, è cosa scandalosa e ricordando però che spesso anche le grandi imprese non pagano i loro fornitori. Questo è un problema nazionale, cui bisognerà prima o poi mettere mano.
Vorrei chiedere il vostro contributo su alcuni punti e mi va benissimo anche una risposta successiva scritta, perché mi rendo conto che non si tratta di una tematica semplicissima. Il primo punto è paragonare i costi della Cina. Avrei veramente piacere di avere, soprattutto nell'industria chimica, che ha capitali intensi, un'idea del differenziale tra i costi di produzione tra la Cina e quelli del nostro Paese, legati al fatto che ci sono diverse regole ambientali e sulla sicurezza. Vorrei avere informazioni anche sul costo del lavoro, che non è soltanto quanto viene pagata un'ora, ma il fatto di quanto uno lavori, quali siano gli oneri pensionistici, e quant'altro. Vi chiedo se potete elaborare questo studio e trasmetterci i dati.
Il secondo punto è riferito alla nostra attività legislativa. Siccome la chimica si muove in un ambiente di competizione assoluta globale, vorrei sapere se fosse possibile ricevere da voi, visto che avete fatto diversi confronti, tre casi di benchmarking con Paesi avanzati, quindi immagino Paesi europei. Alludo, per esempio, a tre casi specifici in cui confrontate le difficoltà legate alla nostra legislazione. Per esempio, aprendo un'azienda, confrontare le leggi della Repubblica federale, della Svizzera o della Francia con le nostre e lo stesso per eventuali finanziamenti, in modo che da questi esempi specifici - possibilmente dettagliati, facendo vedere uno specchietto - possiamo utilizzarli come benchmarking, per poter pensare a un'attività legislativa che favorisca la competitività e lo sviluppo delle nostre aziende.

SAVINO PEZZOTTA. Innanzitutto grazie per la presenza. La questione dell'occupazione è stata affrontata nella seconda risposta - chiamiamola così - poiché nella prima parte non c'era. Ciò mi turbava un po' e mi sono prenotato per intervenire soprattutto per quello. Comunque l'occupazione resta un problema a livello territoriale e credo che sia uno dei problemi che segna il permanere della crisi.
Condivido l'idea che lei ha avanzato di considerare la chimica come un'infrastruttura. Ma se la chimica è un'infrastruttura per il settore manifatturiero, le nostre politiche industriali vanno cambiate in modo abbastanza radicale.
Vorrei capire meglio questo aspetto, perché lei ha detto una cosa che a me sembra corretta: se faccio un elenco delle relazioni tra chimica, made in Italy e quant'altro, capisco che la chimica ha un ruolo centrale. Ma se la chimica ha un ruolo centrale e ha una dimensione infrastrutturale, probabilmente le politiche industriali che stiamo facendo, concentrate sui singoli settori, hanno qualche problema. Però gradirei una specificazione da lei.
Dal dottor Benedetti - non la prenda come una provocazione, è solo una domanda - vorrei sapere se siete favorevoli alla partecipazione agli utili, o no. Visto che è il dibattito di questi giorni, vorrei capire cosa ne pensa Federchimica.
Altra questione: non ne avete parlato, ma probabilmente perché non è materia vostra in senso stretto. Alludo alla questione della farmaceutica, che non è secondaria. A me interessa molto capire che relazione vi sia tra la farmaceutica e la capacità di fare brevetti. Diversamente, qui continuiamo a parlare di innovazione e di ricerca, mentre ho l'idea di una industria abbastanza simile alla chimica, che è quella farmaceutica, che di grandi brevetti


Pag. 22

in Italia non ne produce. Produce molto su licenza e cose di questo genere. E credo che questo sia un problema.
Per quanto riguarda la Cina, mi consenta una battuta: dovreste dare una mano al sindacato a svilupparsi globalmente. Potrebbe essere la mano invisibile che riequilibra il mercato mondiale. Ma questa è solo una battuta.

RAFFAELLO VIGNALI. Io in realtà non ho domande, ho piuttosto una proposta ai colleghi della Commissione. Intanto, mi compiaccio delle relazioni che abbiamo ascoltato, sempre molto chiare e esaustive. D'altra parte, la competenza della struttura anche di Confindustria, nonché la sensibilità di presidente e vicepresidente è nota. Quando penso alla chimica e al sistema delle imprese in Italia, ho sempre pensato che se gli imprenditori sono degli eroi, mentre gli imprenditori della chimica sono dei santi, per due aspetti. Uno, perché è il settore su cui pesano di più le norme. Giustamente è stato ricordato anche il peggioramento delle direttive europee. Adesso abbiamo anche una proposta, un'occasione con la legge comunitaria di eliminare una stortura che riguarda tutto il sistema delle imprese di vernici. Una data, in una legge, può causare circa cento milioni di penalizzazione di un sistema produttivo. Parliamo di competitività e di politiche industriali, poi, quando facciamo le norme, non ragioniamo sull'impatto. Credo che anche la questione della semplificazione sia un imperativo categorico.
L'altro tema per cui nella chimica, per me, sono dei santi, è perché comunque hanno resistito ad una battaglia culturale durata anni. Fra l'altro, invito tutti i colleghi, anzi, invito il presidente a mandare a tutti il filmato che è stato fatto da Federchimica proprio sulla storia della chimica in Italia, con anche l'ammissione delle responsabilità sull'inquinamento in certi anni nonché il contributo di oggi, perché credo che sia istruttivo. Ho già detto che bisognerebbe farlo vedere in tutte le scuole.
Quindi non ho, in realtà, domande. Mi sono chiare le preoccupazioni e conosco anche abbastanza bene le storie di alcune imprese qui presenti. Penso a tutto il tema dei permessi, che però è un problema che riguarda ogni livello, dall'Europa al comune, da Bruxelles a Peschiera Borromeo. La proposta è la seguente: l'opportunità credo che sia fondamentale, parlo soprattutto in questa Commissione, dove è comunque presente uno spirito costruttivo propositivo e positivo, di trovare strade concrete di un impegno bipartisan per una cultura industriale nuova e positiva, e quindi, successivamente, per la semplificazione, la trasparenza, l'efficienza della pubblica amministrazione. L'impatto più grosso, più che sui cittadini, è sulle imprese. Credo che occorrerebbe organizzare una mobilitazione di tutti: prima sentivo la risposta sulla questione di Porto Marghera. Mi chiedo anche perché i sindacati non vadano da Galan da una parte e da Cacciari dall'altra e non li contestino in modo serio. Dopo, ci si lamenta che chiudono, però nessuno fa niente perché restino. Magari, se ci impegnassimo tutti ad evitare che le imprese scappino, forse si farebbe per la prima volta una politica industriale che serve a questo Paese. Penso che in questa Commissione ci possa essere un terreno fertile (almeno, per la mia esperienza) per un lavoro di questo tipo.

PRESIDENTE. Do la parola per la replica al presidente di Federchimica.

GIORGIO SQUINZI, Presidente di Federchimica. Innanzitutto devo una prima risposta alle domande dell'onorevole Torazzi. C'è un esempio molto semplice, che noi di Federchimica conosciamo bene e che permette di capire la rilevanza dei punti che ho citato. C'è un settore che, tra l'altro, è raggruppato in un'associazione che fa parte della nostra federazione, che si chiama Ceramicolor, in cui vi sono i produttori di fritte e di smalti per l'industria ceramica. La maggior parte delle aziende italiane, anche nostre associate, hanno delocalizzato le produzioni non in Cina, bensì in Spagna, per due motivi: in


Pag. 23

primo luogo, l'energia costa il 30 per cento in meno rispetto al comprensorio di Sassuolo e di Imola, in cui tutte le aziende sono localizzate; in secondo luogo, nel recepimento della direttiva sulle emissioni di metalli pesanti, gli spagnoli hanno recepito la direttiva europea, ma in Italia abbiamo inasprito da dieci a cento volte i parametri della direttiva europea. Il risultato è stato che si sono persi almeno tre quarti delle produzioni che erano svolte nell'area. Energia e normative, a conferma e supporto di quanto dicevo.
Altri punti che per noi sono fondamentali riguardano ad esempio il discorso sulle bonifiche. Alle bonifiche bisognerà una volta per tutte arrivare a dare una impostazione chiara. In tutta Europa si accetta il discorso delle bonifiche sulla base dell'analisi di rischio; in Italia solo su base tabellare, che spesso e volentieri è fuorviante. Questa è una penalizzazione importante, che non permette di mandare avanti una serie di bonifiche che rappresentano opportunità di sviluppo importanti per il nostro Paese e per il manifatturiero del nostro Paese.
Il discorso dell'IPPC, in Italia, è regolato in modo diverso da regione a regione. La mia è stata la prima azienda ad avere l'IPPC in Lombardia, come azienda chimica. In Piemonte ci sono voluti diciotto mesi per sbrogliare tutte le complicazioni e la non conoscenza dei problemi. Quindi è una situazione che deve essere regolata in maniera uniforme. Oltretutto, l'IPPC è un regolamento europeo, non è un'invenzione regionale italiana. Un discorso simile si applica anche alle aziende che operano in termini di Seveso 2. Quindi, abbiamo effettivamente bisogno di più chiarezza e semplificazione. Non vogliamo sconti particolari, chiediamo che almeno vengano recepite, senza «miglioramenti», le direttive europee. Questa è una richiesta forte, che noi ci sentiamo di portare avanti come chimica italiana.
L'onorevole Pezzotta, sicuramente, ha fatto tante riflessioni. Personalmente, come imprenditore, sono contrario alla partecipazione agli utili per un motivo semplice: sono esponente di un'azienda familiare, tutta la proprietà è all'interno della mia famiglia e tutto il cash che generiamo l'abbiamo reinvestito nella nostra azienda, ormai da più di vent'anni. Grazie al cielo, siamo una piccola famiglia, i miei azionisti non mi chiedono distribuzione di utili, però nella chimica abbiamo adottato dei sistemi che sono succedanei. Il premio di partecipazione, che è specifico del nostro contratto, è molto legato a questo, cioè è un qualche cosa - molte aziende poi derogano anche a questo - che si distribuisce solo se ci sono degli utili. È legato a parametri che possono essere di tutti i tipi: dalla produttività (anche in questo momento, anche se purtroppo, con il calo delle produzioni, in Mapei quest'anno produciamo un pochino meno dell'anno scorso e quindi non potevamo legare il premio a parametri di produttività), a certi parametri di sicurezza e di riduzione degli infortuni, a tutta una serie di cose che, secondo noi, vanno nella direzione giusta. Quindi da parte nostra, la chimica è molto avanti - lei lo sa, se lo ricorda benissimo - e in termini di relazioni industriali siamo sicuramente un settore di eccellenza. Mi ricordo anche di essere stato spesso e volentieri, in passato, «bastonato» da Confindustria, perché eravamo troppo innovatori, troppo avanti. Quindi, non è lì il problema, secondo noi. I problemi li ho già citati prima. Non racconto vicende. Racconto comunque dei piccoli fatti. A sostegno di quello che si diceva, che ricordo che abbiamo dovuto aspettare otto anni per avere l'ampliamento dello stabilimento di Mediglia e alla fine l'abbiamo ottenuto; abbiamo dovuto aspettare sette anni con la regione Lazio, per l'ampliamento della zona industriale Roma-Latina. La pratica era stata «imboscata» alla regione Lazio, anche se il consorzio industriale aveva fatto il suo dovere. L'autorizzazione è rimasta bloccata per sette anni e non riguardava solo la nostra azienda, ma tutte le aziende della zona industriale Roma-Latina. Il gruppo Mapei l'anno scorso ha acquisito un gruppo italiano che si chiama Poliglass e che è fabbricante di membrane bituminose, con due stabilimenti in Italia


Pag. 24

e tre stabilimenti negli Stati Uniti. Lo stabilimento principale è nella zona industriale di Ponte di Piave. Abbiamo avviato un investimento di circa quindici milioni di euro per la produzione di membrane sintetiche, destinate sia all'underground, cioè ai tunnel, sia all'impermeabilizzazione dei tetti quando non vogliono i prodotti bituminosi. Tutto è fermo da tre mesi, perché un tecnico della regione Veneto - dobbiamo installare dei silos in una zona industriale che chiaramente non ha un pregio paesaggistico, vi inviterei ad andarla a vedere, forse qualcuno conosce la zona industriale di Ponte di Piave - ci ha detto che non possiamo farlo, se non presentiamo un progetto che preveda di circondare questi silos - ne abbiamo già degli altri in loco - con un'adeguata piantumazione, perché il pescatore che si reca a pescare nel torrente, non deve essere ossessionato da questi silos. Risultato è che l'investimento e cinquanta nuovi posti di lavoro stanno slittando di mese in mese. Spero che ne verremo a capo rapidamente.
Questi sono i problemi con i quali ci stiamo confrontando e per i quali abbiamo bisogno del vostro aiuto, signori.

PRESIDENTE. Speriamo di dare risposte, rispetto a tutto quanto ci è stato illustrato oggi.
Nel ringraziare i nostri auditi per la per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,40.

Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive