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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione X
11.
Mercoledì 23 settembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Gibelli Andrea, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE E SULLE PROSPETTIVE DEL SISTEMA INDUSTRIALE E MANIFATTURIERO ITALIANO IN RELAZIONE ALLA CRISI DELL'ECONOMIA INTERNAZIONALE

Audizione del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia:

Gibelli Andrea, Presidente ... 3 6 10 12
Fava Giovanni (LNP) ... 7
Lulli Andrea (PD) ... 6
Marcegaglia Emma, Presidente di Confindustria ... 3 11
Monai Carlo (IdV) ... 10
Pezzotta Savino (UdC) ... 9
Vignali Raffaello (PdL) ... 9

Audizione del presidente dell'Associazione bancaria italiana (ABI), Corrado Faissola:

Gibelli Andrea, Presidente ... 12 18 22 26
Faissola Corrado, Presidente dell'ABI ... 13 22
Formisano Anna Teresa (UdC) ... 18
Iannaccone Arturo (Misto-MpA) ... 22
Polidori Catia (PdL) ... 20
Torazzi Alberto (LNP) ... 21
Vico Ludovico (PD) ... 19
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 23 settembre 2009


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANDREA GIBELLI

La seduta comincia alle 14,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sul sito Internet della Camera dei deputati.

Audizione del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano, in relazione alla crisi dell'economia internazionale, l'audizione del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia.
Ricordo che l'ufficio di presidenza della passata settimana ha ritenuto, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla crisi del settore manifatturiero in relazione alla crisi economica internazionale, di trattare un tema che molti soggetti che abbiamo audito hanno affrontato, ovvero l'esigenza di rivedere le condizioni poste dall'accordo di Basilea 2. Abbiamo ritenuto, dunque, anche a fronte di prossimi importanti impegni internazionali, di ascoltare l'opinione del presidente Marcegaglia sulla questione, già diffusamente espressa agli organi di stampa.
Pertanto, ringraziandola per aver accolto il nostro invito, do la parola al presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia.

EMMA MARCEGAGLIA, Presidente di Confindustria. Siamo noi che ringraziamo per l'opportunità che ci date di esprimere il nostro parere su un tema che riteniamo assolutamente fondamentale. In questa crisi, molte sono le richieste delle imprese per affrontare questo momento difficile. Certamente, una delle criticità maggiori che viene evidenziata è proprio il tema della restrizione del credito.
I dati dell'accesso al credito evidenziano una difficoltà generalizzata, ma non v'è dubbio che le piccole e medie imprese sono quelle più colpite.
I problemi legati all'accesso al credito sono molti, ma indubbiamente uno dei punti fondamentali per migliorare questa situazione è proprio legato al tema della revisione degli accordi di Basilea 2. Quindi, ringrazio la Commissione anche per aver deciso di tenere un'audizione su questo punto. Come dicevo, se vogliamo guardare qualche dato, per quanto riguarda il nostro Paese il tasso di crescita dei prestiti si è ridotto nel giro di un anno - perché di questo parliamo - di 10 punti. Siamo passati da una situazione in cui i prestiti alle imprese salivano del 10,9 per cento a una situazione, risalente al luglio 2009, in cui la crescita si è sostanzialmente azzerata. È evidente che, in un momento in cui la produzione industriale cala, è difficile aspettarsi un aumento forte del tasso di crescita dei prestiti, però è altrettanto evidente che qui stiamo parlando di ben 10 punti in meno.


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Da questo punto di vista, è chiaro che la recessione ha portato, innanzitutto, una minore domanda di talune tipologie di finanziamenti. Sappiamo che gli investimenti si attestano intorno al meno 14 per cento in Italia, quindi la domanda, ad esempio, di finanziamenti per investimenti è molto calata, così come sono calate le domande di finanziamenti per operazioni straordinarie o per il finanziamento delle scorte, dal momento che quasi tutte le imprese sono andate incontro ad una riduzione forte delle scorte.
D'altra parte, dobbiamo dire - questo lo riscontriamo nel continuare ad ascoltare e a capire quali sono le esigenze delle nostre imprese - che in realtà c'è stata anche una maggiore domanda per altre forme di finanziamento, tipicamente quello legato all'accresciuto fabbisogno di circolante, generato soprattutto dalla dilazione molto forte dei termini di pagamento. Questo fenomeno riguarda sicuramente la pubblica amministrazione (di questo abbiamo molto parlato), ma anche i privati. C'è stato un allungamento dei tempi di incasso dei crediti molto significativo, anche da questo punto di vista.
In questo quadro abbiamo cercato di lavorare seriamente per affrontare questo problema che, come dicevo, è forse tra i più sentiti da parte delle imprese. In particolare, come sapete, abbiamo firmato, proprio il 3 agosto, insieme con le altre associazioni di categoria e di imprese, con l'ABI e con il supporto del Governo, la cosiddetta «moratoria dei crediti». Riteniamo che questo rappresenti uno strumento utile, ovviamente non risolutivo della situazione, ma che possa dare ossigeno alle aziende. L'aspetto positivo è che, per il momento, il 90 per cento delle imprese bancarie ha aderito. Certamente dobbiamo lavorare bene e vigilare affinché all'adesione formale segua una reale attuazione di tali strumenti.
Tuttavia, come dicevo, tutto questo è positivo, ma non sufficiente. Uno degli aspetti fondamentali, dal nostro punto di vista, per attenuare una restrizione del credito è proprio quello di lavorare sul tema degli accordi Basilea 2. La crisi finanziaria ha messo in evidenza alcune lacune di questo accordo: naturalmente, occorre evitare una sua applicazione rigida, ovvero slegata dall'attuale contesto economico.
Come ha sottolineato Mario Draghi all'assemblea annuale dell'ABI, le banche sono determinanti nel rendere la crisi meno profonda e duratura, conciliando l'obiettivo dell'equilibrio economico e patrimoniale, che esse ovviamente perseguono, con il necessario sostegno finanziario alle imprese. Dunque, il tema non è tanto mettere in discussione Basilea 2, che ha una sua validità, perché questo significherebbe, di fatto, riportare i rapporti tra banche e imprese indietro nel tempo. Basilea 2, introducendo criteri più razionali per la misurazione del rischio, ha innovato profondamente il rapporto tra banche e imprese, dando tutto sommato un nuovo impulso e un nuovo modo di gestire l'attività bancaria e di impresa. Tuttavia, una migliore applicazione di Basilea 2 può rappresentare l'occasione per rendere più moderne e trasparenti le relazioni tra banche e imprese, consentendo alle singole aziende di beneficiare di condizioni dipendenti dalla propria qualità creditizia, senza dover scontare inefficienze di altri.
Occorre anche aggiungere che l'introduzione del rating - che è contenuto all'interno di Basilea 2 - impone anche alle piccole e medie imprese uno sforzo di informazione verso le banche. Si tratta di uno sforzo positivo che noi abbiamo, in qualche modo, sostenuto anche dal punto di vista culturale, facendo molti incontri con le nostre imprese, proprio attraverso l'elaborazione di informazioni quantitative e qualitative e contribuendo a questo processo di maggiore trasparenza, che noi riteniamo fondamentale per tutto il sistema delle imprese e, nello specifico, delle piccole e medie imprese. Quindi, si tratta anche di un momento di crescita culturale dell'impresa.
Tuttavia, la critica più frequente che le imprese hanno rivolto ai sistemi di valutazione basati sul rating è la rigidità con cui le banche li utilizzano. Le imprese


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lamentano l'eccessiva meccanicità con cui le banche esaminano i dati di bilancio, non dando, tra l'altro, il giusto peso alle informazioni di tipo qualitativo. Quindi, l'analisi diventa troppo rigida e strettamente quantitativa. Inoltre - questo è un altro punto che moltissime nostre imprese ci hanno evidenziato - le modalità di attribuzione del rating risultano a volte oscure. Pertanto, un imprenditore non sa esattamente cosa deve fare per migliorare il proprio rating e non vengono, appunto, nemmeno spiegate le fasi del processo e il peso dei singoli indicatori nel determinare il rating medesimo. Quindi, una delle nostre richieste, anche nei tavoli con l'ABI, è proprio quella di rendere più trasparenti le modalità con cui viene attribuito il rating.
Le banche devono integrare le risultanze dei modelli di rating, senza però adottare rigidi automatismi, avvalendosi delle informazioni anche di tipo qualitativo, quali la storia dell'imprenditore, il piano e la strategia aziendale, che sono assolutamente fondamentali.
È importante sottolineare come il Comitato di Basilea 2 stia elaborando proposte correttive - come sappiamo, questo è un processo in corso - in tema di gestione del rischio di liquidità, del rischio di mercato e di prociclicità, ossia l'aspetto che maggiormente interessa il mondo delle imprese. L'obbligo per le banche di effettuare aggiustamenti più stringenti sul capitale proprio, nei momenti in cui sarebbero invece necessari interventi espansivi, è un limite noto e messo in evidenza già durante i lavori per la definizione dell'accordo di Basilea 2. Quindi, si sapeva che si stava introducendo una logica sostanzialmente prociclica.
Il Comitato di Basilea sta lavorando sull'ipotesi di introdurre meccanismi che favoriscano l'accumulo di riserve nei periodi di ciclo economico positivo e l'utilizzo delle riserve in eccesso per fronteggiare la crescita dei crediti non performing nelle fasi di ciclo negativo. Questo è un aspetto di un certo interesse. È evidente che il lavoro di modifica dell'accordo non si può concludere in poche settimane. Si tratta di un percorso lungo: devono essere individuati gli elementi da modificare e devono essere effettuati studi di impatto sul capitale delle banche e i conseguenti aggiustamenti.
L'attenuazione degli effetti prociclici, che rappresenta uno strumento ed un traguardo che dobbiamo raggiungere, è però un obiettivo sostanzialmente a medio lungo termine. Noi, invece, abbiamo bisogno di interventi urgenti, perché la crisi è adesso ed è in questo momento che dobbiamo cercare di dare sollievo alle imprese. Allora, da questo punto di vista, proprio noi di Confindustria e la Confindustria tedesca (BDI) abbiamo chiesto al presidente della Commissione europea un intervento immediato per alleggerire i vincoli patrimoniali delle banche nella valutazione del rischio.
Per contrastare gli attuali effetti negativi del ciclo economico sull'offerta di credito, in attesa del completamento delle modifiche strutturali all'accordo, è necessario, dal nostro punto di vista, rendere meno stringenti i vincoli patrimoniali e consentire alle banche di effettuare minori accantonamenti a fronte dei crediti erogati alle piccole e medie imprese. Questo ci sembra il punto fondamentale.
In questa fase, le imprese di minore dimensione sono colpite più intensamente dal credit crunch rispetto alle altre, quindi probabilmente un intervento immediato sulle piccole imprese ci sembra opportuno, proprio nella logica di offrire alle banche la possibilità di effettuare minori accantonamenti a fronte di crediti alle piccole imprese. Non si tratta di rinunciare a una corretta valutazione del rischio del credito - perché questo avrebbe impatti negativi sul sistema bancario in generale - ma di diluire nel tempo gli effetti della valutazione medesima.
Sarebbe, quindi, necessario un intervento, anche concertato con i partner europei, che preveda, per un tempo limitato - noi pensiamo a 18 mesi - e con riferimento specifico alle piccole e medie imprese, la riduzione della ponderazione del rischio di credito che determina il livello di accantonamento delle banche.


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Questa è la nostra proposta. Naturalmente, ciò presuppone che il minor vincolo patrimoniale si rifletta interamente sull'offerta di credito da parte delle banche. In altri termini, l'attenuazione del vincolo non deve rimanere «in pancia» alle banche. Quindi, la maggiore liquidità, di cui le banche disporrebbero, deve trasformarsi in una maggiore erogazione proprio alle piccole e medie imprese, perché altrimenti non avremmo ottenuto il risultato che ci prefiggiamo. Peraltro, va ricordato che, sebbene le piccole e medie imprese presentino spesso un rischio di insolvenza più elevato rispetto alle grandi imprese, il fallimento di una piccola impresa ha un impatto sistemico molto circoscritto, e ciò giustificherebbe un trattamento meno rigido riservato ad esse. La stessa esigenza è molto sentita anche in Germania, per questo ci siamo trovati d'accordo con la Confindustria tedesca, la quale ha già formalmente richiesto un allentamento temporaneo delle norme sui requisiti patrimoniali delle banche. A questo riguardo, il Consiglio ECOFIN ha convenuto sulla necessità di elaborare misure a breve termine. Quindi, il nostro discorso si inserisce in una logica di attenzione su questo problema.
Tuttavia, la solidità patrimoniale delle banche, da cui dipende il buon funzionamento del mercato del credito - di questo noi siamo ben consapevoli - resta una priorità anche per le imprese. Quindi, la maggiore elasticità nell'applicazione dei coefficienti patrimoniali si dovrebbe accompagnare a misure fiscali che consentano alle banche di compensare, almeno parzialmente, i maggiori rischi e costi assunti. In particolare, si potrebbe prevedere un aumento del limite percentuale annuo di deducibilità delle svalutazioni e una riduzione dei periodi di imposta a cui è consentita la deduzione delle svalutazioni eccedenti il limite stesso. Peraltro, questo intervento sarebbe in linea con quanto disposto dal recente decreto legge n. 78 del 2009, che già aveva modificato in senso favorevole questi parametri. Quindi, eventualmente si tratterebbe di una ulteriore modifica. Inoltre, sarebbe opportuno che fosse garantita, in via automatica ed immediata, la deducibilità fiscale delle perdite su crediti, nei casi in cui si utilizzino i nuovi strumenti di composizione concordati dalla crisi d'impresa. Un tale intervento sarebbe opportuno ed auspicabile, poiché avrebbe effetto anche per il settore industriale in relazione ai crediti vantati verso la clientela.
Questa è la nostra posizione. A medio termine, il discorso è più ampio, ma anche a breve termine occorre prevedere un meccanismo che possa dare sollievo immediato alle imprese, consentendo alle banche di effettuare minori accantonamenti a fronte dei crediti erogati alle piccole e medie imprese.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Marcegaglia per la relazione.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ANDREA LULLI. Ringrazio il presidente Marcegaglia.
Se ho capito bene, con una serie di accorgimenti, la proposta che viene qui sottolineata (l'avevamo in qualche modo affrontata anche nell'audizione del Commissario europeo) è quella di andare - uso una forzatura - ad una moratoria dell'applicazione di Basilea 2. Si parla di 18 mesi, se ho ben inteso. Naturalmente, noi non siamo contrari a questo, anche se c'è bisogno di fare chiarezza su alcuni punti.
Innanzitutto, si è parlato di un problema che persiste e che si aggrava, soprattutto nei confronti della pubblica amministrazione. Si tratta di un problema molto serio di crediti non pagati, che peraltro a mio avviso alimenta anche l'espansione dell'economia in nero, se mi è permesso affermare ciò. Questo è un punto sul quale forse qualche riflessione in più sarebbe necessaria, anche perché gli strumenti messi in campo fino a oggi, non solo da questo Governo, ma anche da altri, mi pare non abbiano risposto a sufficienza a questo problema.
Credo che su tale questione bisognerebbe davvero fare uno sforzo, per capire


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quali strumenti mettere in campo. Infatti, si tratta sicuramente di uno spreco di ricchezza e anche, come ho già detto, probabilmente di fonte di lavoro nero. Tuttavia, lei ha parlato correttamente anche di aumento - e questo è un dato di fatto - dell'inesigibilità dei crediti, anche nella filiera, ovvero tra imprese.
C'è una vecchia legge sulla subfornitura, che aveva previsto determinati parametri e modalità e che non è mai stata applicata, ovvero non ha mai funzionato. La situazione, a mio parere, in questo momento è stata aggravata dalle nuove norme fallimentari che, in via teorica, sono assolutamente positive ma che hanno prodotto e stanno producendo un risultato molto pesante sulle filiere e sulla subfornitura. Infatti, spesso accade che i concordati sostanzialmente rischiano di essere fatti a zero euro. Naturalmente, anche qui sto estremizzando il concetto.
Ebbene, lei ha proposto misure di agevolazione fiscale per risolvere queste problematiche. Tuttavia, bisogna ovviamente avere una certa cautela, nel senso che va bene lavorare affinché questa modifica di atteggiamento delle banche - che secondo me è fondamentale - possa essere catalizzata anche da agevolazioni e normative fiscali che, in qualche modo, diano un po' di respiro al credito. Allo stesso tempo, però, bisogna fare attenzione che non si realizzi un circuito perverso, tale per cui alla fine l'indebitamento che si verrebbe a creare vada a pesare sul debito pubblico. In altre parole, filiera che non paga, crediti tra privati e banche che devono favorire con qualche agevolazione fiscale. Il punto è delicato e bisognerà fare molta attenzione, perché credo che questo sarebbe un fattore non in grado di favorire la crescita - mi sia permesso di dire - della cultura di impresa. Il rigido accordo di Basilea 2 è stato pensato probabilmente non avendo in mente la struttura manifatturiera italiana, ma neppure quella di altri Paesi. Ciò naturalmente non ha favorito un rapporto buono e, se si vuole, educativo con il mondo del credito, però è altrettanto vero che c'è bisogno di una crescita della cultura di impresa anche da parte del sistema delle imprese. Infatti, è del tutto evidente che, se è vero che devono essere valutate la qualità del progetto e l'affidabilità personale, ciò non può essere affidato a meccanismi automatici di valutazione, che certamente non aiutano il sistema industriale nel suo insieme. C'è sempre un discrimine difficile da incasellare in un rapporto matematico. Per quanto si possa essere fiduciosi nella capacità di stabilire schemi che raccolgano molte varianti, ci sono sempre dei punti di qualità che non possono che essere affidati, a mio avviso, ad una valutazione personale del soggetto che eroga credito nei confronti dell'impresa.
Tuttavia, credo che se vogliamo fare un passo avanti su queste questioni, Confindustria ci deve aiutare. Bisogna capire come concretamente intervenire - al di là del reiterare l'obiettivo, su cui credo siamo tutti d'accordo - sullo smobilizzo dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione, e magari anche su meccanismi incentivanti e premianti. Allo stesso tempo, occorre affrontare il problema della filiera. Bisogna fare attenzione perché qui si sta distruggendo una parte consistente della subfornitura italiana del manifatturiero. Da questo punto di vista, non siamo contrari a una moratoria su Basilea 2, però è chiaro che c'è bisogno anche di capire come si affronta la partita dei crediti all'interno della filiera.

GIOVANNI FAVA. Prendo spunto non tanto dal suo intervento, presidente Marcegaglia, quanto dall'interpretazione che ne ha dato il collega Lulli. Egli, a più riprese, tentando di interpretare il suo pensiero - e mi è parso di capire che ci fosse una conferma in tal senso - ha parlato di moratoria di Basilea 2, usando un termine che francamente, per quanto riguarda il mio gruppo, non ci accontenta. Noi siamo assolutamente convinti della necessità di una rinegoziazione sostanziale degli accordi che sono alla base di Basilea 2. Infatti, una moratoria è un modo come un altro per spostare in là nel tempo una questione, che diversamente è difficile poter ipotizzare di risolvere fra diciotto mesi.


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Mi pare di aver capito che questo fosse il tempo che il collega Lulli abbia inteso essere congruo, rispetto alle questioni di cui stiamo parlando.
Noi riteniamo che Basilea 2 sia stato sostanzialmente un errore politico, che stiamo pagando pesantemente, che il sistema delle imprese sta pagando pesantemente e soprattutto quello delle piccole imprese. Siamo convinti che il Governo abbia fatto la sua parte per quanto riguardava le misure che sono nate a sostegno, sia del sistema del credito, sia di quello degli ammortizzatori sociali. Abbiamo fatto il possibile per far fronte a una situazione che era assolutamente imprevedibile e che, per certi versi, rischia ancora di essere difficilmente prevedibile nei contorni, nella durata, nella tempistica e soprattutto nella ricetta per uscire definitivamente da questa situazione di stallo in cui ci siamo cacciati.
Riteniamo che il tema degli accordi di Basilea 2 sia pregnante e nevralgico, e non rappresenti solo un problema - ripeto - di dilatazione dei tempi e quindi di semplice moratoria. Per noi si tratta di un problema di rinegoziazione. Quegli accordi hanno dimostrato di non essere, dal nostro punto di vista ovviamente, idonei ad affrontare la situazione in cui ci troviamo, e di essere assolutamente lontani da una realtà che probabilmente non era prevedibile quasi per nessuno ma che, in ogni caso, deve essere affrontata in qualche altro modo.
Sul tema delle piccole e medie imprese insisto e, al riguardo, mi farebbe piacere avere un conforto. Ho apprezzato, presidente, il fatto che lei abbia a più riprese citato la questione, perché è questo il tema nevralgico. Abbiamo visto, anche con il sistema degli incentivi, che qualcosa per il sistema della grande impresa è stato fatto, mentre i piccoli e medi imprenditori ci dicono che per la piccola e media impresa si è fatto poco o nulla. In particolare, mi riferisco agli artigiani, ma non voglio rischiare di dire cose già dette anche dal collega Lulli.
Credo che si convenga sul fatto che a questo punto servano misure efficaci a sostegno della piccola e media impresa. Tali misure potrebbero anche essere di natura fiscale. Lei, giustamente, citava un'ipotesi che però francamente non ci affascina fino in fondo, ovvero che eventuali misure di benefici fiscali possano andare a favorire il sistema del credito. In questa fase, noi crediamo che, se si deve fare uno sforzo in questa direzione, occorre farlo verso ipotesi di agevolazioni fiscali nei confronti di piccoli e medi imprenditori che, al contrario, a differenza del credito, non hanno avuto fin qui nessun tipo di sostegno pubblico degno di questo nome.
Quindi, mi fa piacere che lei abbia richiamato l'argomento, anche perché credo che questo tipo di atteggiamento segni un elemento di discontinuità rispetto a certe politiche confindustriali degli ultimi decenni, che hanno visto privilegiare sicuramente il sistema della grande impresa a scapito dei piccoli associati. Questi ultimi, infatti, normalmente hanno faticato a sentirsi rappresentati nell'ambito delle associazioni di categoria e soprattutto ad essere rappresentati in una logica di interlocuzione diretta con il Governo e con il Parlamento. Ciò fino al punto che molto spesso quando andiamo in giro ad incontrare gli imprenditori delle associazioni di categoria cosiddette minori, - chiamiamole in questo modo, perché rispetto a Confindustria tutti si sentono un po' i parenti poveri - riscontriamo un certo tipo di insofferenza riguardo al rapporto di dialettica politica e di interlocuzione diretta che vi è stata in questi anni fra Confindustria e il Governo e fra Confindustria e il Parlamento.
In altre parole, dobbiamo fare in modo che la vostra associazione di categoria (che è sicuramente la più importante e rappresenta l'interlocutore che riesce ad esprimere in modo più compiuto le proprie istanze) si faccia carico anche di rendersi portavoce delle necessità che vengono da settori cosiddetti minori non per importanza, ma piuttosto per impatto sociale, per fatturati o per volume dei ricavi, ma che dal punto di vista della presenza e della capillarità sul territorio sono invece


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elementi significativi. Credo che questo sia un elemento da valutare positivamente e che mi auguro di poter confermare nei miei giudizi anche successivamente, ovvero quando entreremo nel vivo delle soluzioni che ci porteranno fuori, spero, da questa crisi nel tempo più breve possibile.

RAFFAELLO VIGNALI. Vorrei fare alcune osservazioni, una delle quali proprio sul meccanismo di Basilea 2. Credo che questa crisi sia anche un'occasione per rivedere certi meccanismi che sono stati creati, ma che evidentemente sotto sforzo dimostrano tutti i loro limiti, tra l'altro espressi già da tempo. Io stesso, nel ruolo che ho svolto precedentemente, ho cercato di aiutare le imprese ad adeguarsi al nuovo sistema, perché questo è il problema principale. Tuttavia - alcune cose le ha accennate anche lei, presidente - non credo che un'azienda sia un algoritmo: non si può stare soltanto ai numeri. Tra l'altro, negli anni scorsi, tutti abbiamo parlato - banchieri compresi - del valore del capitale umano e dell'economia della conoscenza, però alla fine tutto si riduce ai numeri di bilancio e ai capannoni che si può dare in garanzia.
In secondo luogo - lo diceva lei benissimo - c'è la questione della mancanza di trasparenza. Si può capire un sistema di rating, se questo dà gli strumenti all'impresa per salire nella graduatoria, ma se il sistema è oscuro e l'imprenditore non sa perché è arrivato settimo o secondo, su cosa può lavorare per migliorare? Inoltre, i sistemi di rating sono diversi da banca a banca, ovvero ciascuna banca ha il suo.
Infine, uno dei problemi che abbiamo avuto che hanno acuito questa crisi, è il fatto che si applica alle banche stesse. Se c'è stato, un anno abbondante prima della crisi, un blocco dell'interbancario, ciò è accaduto perché, per gli stessi numeri di Basilea, qualcosa non funzionava più tra le stesse banche. Su questo, avrei una proposta da sottoporvi. Intanto, sicuramente abbiamo un problema legato alla dimensione dell'impresa. È vero che in Basilea 2 ci sono i requisiti quantitativi, ma non mi risulta che nessuna banca abbia mai provato a tradurli in indicatori veri. La voce c'è, ma è vuota. Quindi, intanto occorre distinguere tra le grandi imprese, forse anche le medie, e quelle piccole e micro. Io credo che ci sia un criterio scientifico straordinario che si chiama reputazione, ovvero l'andamento storico dell'azienda. Non è detto, infatti, che un'impresa che oggi ha difficoltà sia nata oggi. Se la banca dà i soldi ad un'impresa che li hai sempre restituiti, ciò significa che l'impresa è affidabile: questa è la miglior valutazione che si possa fare, anche se oggi vi è una situazione di difficoltà.
Non sarebbe più semplice chiamare a responsabilità le banche? A me sembra che tutti i sistemi basati sui numeri alla fine siano fatti soltanto per eliminare la responsabilità di qualcuno e caricarla interamente su qualcun altro. A ragion veduta, se rischia l'imprenditore non può non rischiare in qualche modo anche la banca, ma si rischia sulla persona, non sui numeri. Quindi, intanto vorrei sapere cosa pensa su questo particolare tema.
Un'altra difficoltà che viene sottolineata a volte nel dialogo con chi opera in banca riguarda la questione del fallimento. Se inizia una procedura di fallimento per un'impresa, il bancario che ha firmato il prestito viene immediatamente coinvolto, anche dal punto di vista penale. Credo che sarebbe opportuno quantomeno sospendere questo meccanismo. La domanda è se, dal punto di vista del vostro osservatorio, questo è un problema reale oppure o un alibi usato da chi opera in banca. Vorrei pertanto conoscere la vostra posizione anche su questo punto.

SAVINO PEZZOTTA. Ringrazio la presidente Marcegaglia per la chiarezza e la sinteticità, che non è usuale, soprattutto in questo ambiente.
Condivido larga parte di quanto è stato detto, perché sono convinto anch'io che, se non allentiamo i vincoli di Basilea 2, qualche problema in più lo avremo. Pertanto, condivido molto quello che è stato detto, anche perché gli effetti restrittivi di Basilea 2 sono sotto gli occhi di tutti. Non


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occorrono tanti ragionamenti. Basta parlare con qualche piccolo imprenditore, ma non solo, per capire quali sono oggi gli effetti restrittivi che questa norma di garanzia, che si era voluto introdurre, sta producendo.
Il problema che mi interessa capire meglio è quello dell'andamento prociclico. Lei ha parlato di accentuare nella fase di crescita e di avere delle garanzie nella fase - chiamiamola così - di massa. Tuttavia, non so come il sistema creditizio possa reagire a una modalità di questo genere. Non vorrei, infatti, che esso utilizzasse la fase di crescita e poi fosse, come normalmente è, avaro nella fase di restringimento, per non correre rischi. Credo che, in un sistema di imprese, si debba affrontare il tema dei rischi che anche le banche devono correre. Il problema è quello di ridurre la penalizzazione dell'andamento del credito per la piccola e media impresa.
L'altra questione che mi interessa è come agire rispetto al sistema. Lei propone una moratoria di diciotto mesi, e va bene, ma solo se essa è finalizzata non ad una destrutturazione complessiva dell'impianto che è stato messo in piedi. La moratoria dovrebbe essere solo il tempo che ci consente di definire nuove regole. Infatti, è mia convinzione che quel sistema doveva essere comunque «ri-regolato», perché il tipo di economia che avremo dopo la crisi - e speriamo che in tempi brevi ci sia la ripresa - sarà totalmente diversa da quella che abbiamo avuto prima, ragion per cui ci sarà bisogno di nuove regole. Vedrei il problema in questi termini: vanno bene i diciotto mesi, se la finalità è quella di puntare a una «ri-regolazione». Lei ha parlato dell'intesa con l'ABI, che non mi sembra stia dando grandi frutti, almeno da come la vedo io e da quanto mi dicono le persone che fanno il lavoro che fa lei. Mi sembra che ci sia più avarizia, che disponibilità.
Da ultimo, vorrei sapere se voi, che avete fatto un accordo con l'ABI sulla questione dell'utilizzo del credito per le piccole imprese in Italia, avete concordato una posizione comune con l'ABI su Basilea 2.

CARLO MONAI. Anche da parte dell'Italia dei Valori rivolgo un ringraziamento al presidente Marcegaglia per questo incontro e per l'interessante relazione. Mi pare che un elemento di valutazione che la sua relazione porti sia quello di una sostanziale inutilità di quella manovra, che è stata posta in essere nel tentativo di allargare l'accessibilità del credito alle piccole e medie imprese, che va sotto il nome dei «Tremonti bond».
Una delle iniziative sulle quali il Governo ha posto più risorse è stata un proprio quella delle obbligazioni a favore del sistema bancario. Tali obbligazioni hanno di fatto congelato molte risorse senza un effettivo beneficio, sia perché il sistema bancario non ha ritenuto vantaggioso beneficiare di questa opportunità - ammesso che fosse tale - sia perché comunque non vi erano meccanismi tali da rendere automatica la fruibilità di un maggiore accesso al credito per le piccole e medie imprese. D'altra parte, l'aspetto della fiscalità agevolata che lei ha citato, a mio giudizio, dovrebbe anche porre il tema del recupero di una evasione fiscale che è sempre più marcata e per la quale i segnali che, fino ad oggi, sono stati dati dal Governo sono distonici (penso allo scudo fiscale). Ciò nel tentativo di offrire anche una maggiore praticabilità nel pagamento delle tasse da parte del sistema delle imprese ove, per esempio, ipotizzassimo che tutto quello che recuperiamo dall'evasione fiscale possa essere destinato in toto all'abbattimento del cuneo fiscale. Tale operazione, da un lato, renderebbe più competitivo il sistema delle imprese, proprio nella logica di rendere meno gravoso il costo del lavoro in Italia e, dall'altro, agirebbe con la finalità di rendere anche utile e pragmatica la cultura della fiscalità, rispetto ad un sistema delle imprese che oggi sembra quasi disincentivato a rispettare il dovere di tutti di pagare delle tasse. Dunque, sotto questo profilo, mi interessa sapere quale sia l'orientamento di Confindustria.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Marcegaglia per la replica.


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EMMA MARCEGAGLIA. Presidente di Confindustria. Intanto, la nostra posizione è questa: va ridiscusso e rinegoziato, in una logica a medio termine, l'accordo di Basilea 2. Sono d'accordo con l'onorevole Pezzotta sul fatto che esso non debba essere «tagliato», perché ciò sarebbe un errore. Tuttavia, serve una rinegoziazione. È chiaro che è molto difficile, ma potrebbe funzionare in questo modo: quando la congiuntura va bene, i coefficienti di accantonamento potrebbero essere più alti, mentre quando le cose vanno male i coefficienti potrebbero essere più bassi. Si tratta di un meccanismo complicato e, come lei dice, il rischio è che poi i soldi accantonati non vengano utilizzati nei periodi di «vacche magre». Tuttavia, questo è il meccanismo che proponiamo.
Nel medio termine, serve una rinegoziazione. È chiaro che dobbiamo essere anche pragmatici: un'operazione di questo tipo, che deve essere realizzata a livello europeo, dove bisogna mettere d'accordo tanti soggetti, richiede sicuramente molti mesi. Quindi, questo è un obiettivo di medio termine, riprendendo anche quello che diceva prima l'onorevole Fava. D'altra parte, però, siccome abbiamo bisogno di un intervento immediato, perché la crisi è adesso, pur avendo ben chiaro l'obiettivo a medio termine di una rinegoziazione complessiva, nel breve termine, io ho parlato non di una moratoria - perché moratoria vuol dire sospensione, che non avrebbe neanche senso - ma di un allentamento forte dei vincoli nel breve periodo, per diciotto mesi e proprio per la piccola e media impresa. Quindi, uno degli obiettivi è di medio termine, mentre l'altro che ci proponiamo servirebbe ad offrire un sollievo immediato.
All'onorevole Fava vorrei dire che nell'immaginario collettivo Confindustria viene vista come l'associazione delle grandi imprese, ma il 90 per cento dei nostri associati è rappresentato da piccole imprese. La politica che stiamo portando avanti da un anno e mezzo è proprio a supporto delle imprese che stanno soffrendo di più, ovvero certamente le piccole imprese. Abbiamo chiesto il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, e così via, quindi questo tema ci vede molto attenti e molto sensibili anche nelle operazioni concrete che portiamo avanti.
La questione di chiedere un livello maggiore di deducibilità delle perdite sul credito risponde a questa logica, ancora una volta una logica pragmatica. Se, in un momento di crisi, nel quale le imprese fanno - 30, - 40 o - 50 per cento di fatturato e hanno bilanci in perdita, noi chiediamo alle banche di assumersi maggiori rischi (quindi è possibile che avranno più perdite su crediti, ma ciò è fisiologico in un momento come questo), rendere poi una piccola percentuale in più di svalutazioni deducibili potrebbe aiutare la situazione. Quindi, non si tratta di un'operazione a favore delle imprese, ma di una proposta per rendere più conveniente la logica di far assumere alle banche più rischi verso le piccole e medie imprese. Dunque, ciò risponde esclusivamente alla logica di rendere l'operazione più concreta. Siamo invece assolutamente d'accordo sul fatto che in questo momento occorre aiutare proprio le piccole e medie imprese.
Sul tema sollevato dall'onorevole Lulli in merito ai crediti della pubblica amministrazione, siamo d'accordo e - come lei sa - ci siamo battuti e continuiamo a farlo. Qualcosa è stato fatto. Adesso sono stati stanziati 7 miliardi, che però non sono stati ancora spesi. Rimane fuori tutto il problema delle regioni e degli enti locali, dove c'è una grossa parte dei debiti. Quindi, su questo possiamo fare le nostre proposte, ne abbiamo fatte centinaia e di idee ce ne sono tante, ma il problema è concretizzarle.
Sul tema della crescita delle imprese, lei probabilmente vedrà e leggerà che noi, come Confindustria, stiamo facendo una grande battaglia culturale anche nei confronti dei nostri associati. Si uscirà dalla crisi con la necessità di avere più capitale e una dimensione media maggiore, quindi su questo certamente stiamo lavorando.
Per quanto riguarda il tema posto dall'onorevole Vignali sulle valutazioni qualitative, noi siamo assolutamente d'accordo.


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I parametri di bilancio freddi non fotografano mai un'impresa, ma ancora meno una piccola impresa, e certamente non possono essere l'unico criterio di riferimento in un momento di crisi come questo. Quindi, sostengo che la storia dell'imprenditore è fondamentale, ma è altrettanto importante il progetto imprenditoriale per il futuro. Tutto quello che va sotto il nome di valutazione qualitativa per noi costituisce un elemento essenziale, sul quale continuiamo a batterci. Continuiamo a chiedere alle banche non di sostenere imprese decotte, ma imprese che magari hanno brutti bilanci in questo momento di crisi drammatica e che tuttavia hanno sempre avuto una storia imprenditoriale seria e hanno ancora un progetto imprenditoriale vero, tale per cui, una volta che questa crisi devastante sarà finita, l'impresa potrà stare sul mercato. Quindi, il tema della valutazione qualitativa ci vede molto d'accordo.
Per quanto riguarda la legge fallimentare, condividiamo assolutamente questo aspetto e siamo consapevoli che si tratta di un tema non banale, ma complicato. Non v'è dubbio, però, che per chiedere alle banche o a fondi di investire in aziende in crisi bisognerebbe certamente fare delle modifiche, perché la prima cosa che le banche rispondono è che, altrimenti, rischiano la bancarotta preferenziale. Casi di questo tipo ce ne sono stati, quindi riteniamo che questo tema sia vero e debba essere affrontato.
Per quanto riguarda l'intervento di Pezzotta, dicevo che l'idea, per quanto complicata - che poi non è una nostra idea originale, ma che porta avanti anche il Governatore Mario Draghi, così come il Financial Stability Forum - è proprio questa: coefficienti più alti quando le cose vanno bene e più bassi quando le cose vanno male. Condividiamo quindi l'opportunità non di una moratoria, ma di un allentamento dei vincoli.
Per quanto riguarda la moratoria con l'ABI, probabilmente lei avrà visto alcune mie dichiarazioni in cui dico che adesso, in questi giorni diventa, operativa. La cosa peggiore che potrebbe accadere è la possibilità che un imprenditore, ad esempio, di Mantova vada in una banca a chiedere di poter beneficiare della moratoria e il direttore gli risponda che non sa di cosa si tratti. Per questo motivo, abbiamo deciso di mettere in piedi un attività di monitoraggio città per città, ma anche per banca per banca, perché in questo momento dobbiamo fare tutto, tranne prendere in giro i piccoli imprenditori.
Sul tema di Basilea 2, c'è una condivisione sostanziale di posizioni con l'ABI. L'ABI sostiene non di eliminare l'accordo - perché se non ci sarà Basilea 2, ci sarà una Basilea 3, che rischia di essere peggio di Basilea 2 - ma di andare verso un allentamento dei vincoli.
Per quanto riguarda le questioni poste dall'onorevole Monai, a me piace molto l'idea che quanto proviene dall'evasione fiscale possa andare a ridurre il cuneo contributivo. In Italia, abbiamo un enorme problema di cuneo contributivo, per cui il costo del lavoro è alto e la retribuzione netta che va in tasca ai lavoratori è troppo bassa. Quindi, il tema del cuneo fiscale è molto importante. Si era iniziato a fare delle cose, poi non sono state portate a termine, quindi questo rimane un tema aperto. L'idea che tutte le risorse derivanti dalla battaglia all'evasione fiscale vadano a diminuire il cuneo contributivo mi sembra senz'altro utile sia per le imprese, sia per i lavoratori. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Marcegaglia, anche per l'estrema sintesi, e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del presidente dell'Associazione bancaria italiana (ABI), Corrado Faissola.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell'economia internazionale, l'audizione del presidente dell'Associazione bancaria italiana (ABI), Corrado Faissola.


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L'audizione del presidente della Confindustria Emma Marcegaglia, ha dato un contributo prezioso ai lavori della nostra Commissione con particolare riguardo al tema oggetto dell'indagine conoscitiva.
Dopo la relazione dell'avvocato Corrado Faissola, presidente dell'ABI, come consuetudine, i colleghi parlamentari potranno intervenire per porre alcune domande. Alcune saranno sicuramente sollecitate anche dall'audizione che abbiamo appena concluso con il presidente di Confindustria sul tema che ho chiesto venisse affrontato, ovvero l'attuazione dei criteri di Basilea 2 e la tenuta di questo accordo che, in realtà, come è stato anche oggi dimostrato, pone il sistema bancario in una posizione cruciale in qualità di interlocutore. Se anche l'avvocato Fissola facesse un riferimento a tale tema, sarebbe gradito.
Do quindi la parola al presidente dell'ABI, Corrado Faissola.

CORRADO FAISSOLA, Presidente dell'ABI. Innanzitutto, rivolgo un ringraziamento molto sentito al Presidente e a tutti i membri della Commissione per l'invito, in un momento che reputo estremamente importante per l'economia del nostro Paese, ossia il superamento, che mi auguro definitivo, della situazione di crisi che ha evidenziato aspetti positivi e meno positivi del nostro sistema economico in generale.
Mi soffermerò brevissimamente, perché si tratta di osservazioni svolte forse anche troppe volte, ma vorrei ricordare, con particolare riferimento all'industria bancaria, come essa si trovi oggi in una fase in cui la crisi finanziaria, che ha investito il mondo nel luglio-agosto del 2008, si è trasferita poi all'economia reale e, conseguentemente, ha toccato anche e soprattutto le nostre imprese.
Non so se il presidente Marcegaglia abbia sottolineato questo aspetto, ma le nostre imprese, che presentano una grande prevalenza del settore manifatturiero e hanno recuperato oltretutto, negli anni 2006-2007, quote di mercato particolarmente importanti sui mercati internazionali, si sono trovate in una situazione di particolare delicatezza. Nel contempo, hanno visto prosciugarsi molto la domanda sui mercati in cui noi eravamo ritornati con una certa prepotenza, si potrebbe dire, perché le esportazioni italiane in tale biennio facevano dell'Italia il secondo Paese della Comunità europea dopo la Germania, e anche perché molte imprese sicuramente avevano progettato e realizzato, o avevano in fase di realizzazione, investimenti importanti con il supporto del finanziamento da parte del sistema bancario.
La crisi finanziaria internazionale ha soltanto sfiorato le banche italiane. Senza voler fare di questa situazione oggettiva un titolo di merito, mi permetto di sottolineare come tale situazione sia stata fortemente determinata dall'attivo delle nostre banche, dalla mission che esse hanno sempre realizzato. Essendo le nostre banche orientate tradizionalmente a finanziare le imprese, avevano, e hanno tuttora nel proprio attivo, una quantità di crediti piccoli e medi, soprattutto nei confronti delle imprese che nella fase di crisi finanziaria non avevano evidenziato situazioni di particolare criticità.
Quando la crisi si è trasformata e ha toccato l'economia reale, per i motivi noti - ne ho accennato uno in particolare - è fuor di dubbio che la posizione di forza delle banche italiane si sia affievolita, perché, essendo il 75-80 per cento dei nostri attivi rappresentato da crediti nei confronti delle imprese, quando esse sono entrate in difficoltà, il sistema bancario italiano, per la sua stessa struttura e non per merito o per demerito - io credo che sostenere l'economia reale di un Paese sia un merito, ma non voglio attribuirmi tale merito in maniera particolare - ne ha risentito.
Al di là di tutto ciò che rapidissimamente cercherò di affrontare in questa sede, per essere quindi pronto a rispondere alle vostre domande e osservazioni, il contributo che il sistema bancario italiano sta apportando all'economia reale italiana consiste, tra l'altro, in tutte le perdite che noi stiamo passando a conto economico. Nei primi sei mesi dell'anno, tali perdite si


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sono attestate tra gli 8 e i 9 miliardi, con proiezioni, a livello di anno, del doppio e tali, quindi, da sfiorare quasi i 20 miliardi.
Questa è la situazione attuale. Il sistema bancario aveva - direi che ha - sia per il suo DNA, ma anche e soprattutto per il senso di responsabilità e, se mi consentite, anche di interesse proprio del sistema, la grande proiezione per sostenere le imprese, facendo sì che tutte quelle che hanno la possibilità di superare la crisi, sia pure con difficoltà, arrivino alla fine di questa congiuntura ancora in condizioni tali da poter poi utilizzare la ripresa e riprendere il cammino virtuoso che aveva contraddistinto il periodo antecedente.
Credo che i punti più critici, che sicuramente sono di vostro interesse, siano, innanzitutto, quello della quantità di credito che attualmente viene allocata sull'economia reale, soprattutto sulle medie e piccole imprese e anche sulle famiglie, e il costo di tale credito. Su questi temi io ho letto in questo periodo, ormai da tempo, affermazioni che mi pare non siano fondate su argomenti di tipo quantomeno logico e razionale. Mi spiego meglio: di fronte a una situazione economica in cui tutte le grandezze sono cadute in maniera molto elevata, spesso a due cifre - ci sono tutti i dati dell'arretramento della produzione industriale, che è diminuita in Italia di circa il 20 per cento - e alla caduta delle esportazioni e della domanda di investimenti che si è radicalmente fermata, l'aver mantenuto nel luglio 2009 una quantità di crediti all'economia superiore a quella che avevamo ad agosto dell'anno scorso, mi pare un aspetto, al di là di tutte le possibili polemiche, se non meritorio, certamente importante.
Di norma, quando le grandezze economiche diminuiscono, anche il credito diminuisce. Io ritengo che non sia appropriato parlare di credit crunch, non solo in Italia, ma nemmeno in Europa. Noi siamo messi un po' meglio delle banche europee. Le banche europee, e soprattutto dei Paesi che hanno una struttura come la nostra, hanno più o meno mantenuto le stesse grandezze, ma con una differenza: mentre le banche italiane, come accennavo poco fa, hanno il 64 per cento di crediti nei confronti delle piccole e medie imprese, quelle di altri Paesi hanno una quota di tali crediti sensibilmente inferiore nel loro attivo, e hanno potuto, quindi, diversificare, anche in questo ultimissimo periodo, i loro investimenti su attività finanziarie che in questo momento rendono molto, grazie alle banche centrali che continuano a iniettare una quantità rilevantissima di liquidità, la quale viene poi investita dalle banche che hanno questa vocazione, e quindi non principalmente dalle banche italiane, in attività finanziarie a basso rischio o anche ad alto rischio, a seconda delle scelte che l'imprenditore bancario compie, ma con margini comunque significativi.
Noi oggi abbiamo una situazione in cui i finanziamenti alle famiglie e alle imprese sono di 1 miliardo 332 milioni, con una crescita, in cifra assoluta, di 30 miliardi rispetto a un anno fa, in una situazione in cui, da un punto di vista scientifico, gli impieghi avrebbero dovuto scendere anche notevolmente.
Un altro aspetto sul quale vorrei soffermarmi sono le polemiche, le informazioni giornalistiche divulgate dai media. I numeri le contraddicono, insieme al costo del credito in Italia.
Mi riferisco ai nuovi finanziamenti erogati, su cui le banche italiane - sono dati della Banca centrale europea e della Banca d'Italia - hanno un tasso medio del 3,31 per cento, a fronte del 3,72 per cento delle banche europee. Io però, sotto il profilo del costo del credito, non vorrei sopravalutare questi dati. Credo che, in un momento come quello attuale, di situazione economica in cui è necessario supportare le imprese che lo meritano con una quantità di credito adeguato e sufficiente, il fatto che ciò venga realizzato al 3,72 per cento, come a livello medio europeo, o al 3,32, come a livello italiano, non cambi assolutamente nulla. Non si registravano tassi così bassi a livello mondiale probabilmente da oltre un secolo. Sottolineo, però, che, anche sotto questo


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aspetto, non è vero che le banche italiane siano più esose nei confronti dei clienti.
Un altro elemento che ritengo opportuno sottolineare è quello della maggiore richiesta di garanzia che le banche in questo periodo farebbero alle imprese. I dati della Commissione europea mostrano che nelle imprese manifatturiere italiane il rapporto tra debiti bancari e capitali è doppio rispetto a quello che si registra nelle imprese spagnole, che sono le più vicine a noi, e di quattro volte superiore a quello delle imprese francesi e tedesche.
Non so se la presidente Emma Marcegaglia abbia affrontato la questione dell'esigenza di dare un contributo alla capitalizzazione delle imprese. La Confindustria, su questo terreno, ha dialogato molto con noi e soprattutto con il Governo: se vi è minore capitale delle imprese e ci sono risorse finanziarie a livello degli imprenditori, ritengo assolutamente logico che la banca chieda all'imprenditore alternativamente di immettere capitale di rischio nell'impresa oppure di offrire garanzie personali.
Ho letto proprio stamattina sui giornali - ma non ho presente il dato - che, come polemica nei confronti dei costi delle banche, una delle tante associazioni che si occupa di tali problemi sostiene che la quantità di titoli che le imprese artigiane hanno presso le banche sia superiore rispetto a quanto le banche danno alle imprese. È la controprova di quanto sto affermando: se l'imprenditore ha titoli depositati presso la banca e l'azienda, invece, non ha capitale, mi pare molto ragionevole, da parte di qualunque soggetto, chiedere garanzie. Anche su questo io penso che, se non si vuole drammatizzare la situazione - atteggiamento che io reputo inopportuno, nell'interesse dell'economia del Paese e quindi del Paese stesso - non ci siano situazioni di particolare criticità.
Ho già parlato dell'andamento della qualità del credito. Voglio solo accennare, in questa sede, al problema del trattamento fiscale delle perdite su crediti. Si tratta di un tema che, in un contesto come quello in cui noi ci troviamo, sta assumendo una rilevanza chiaramente molto elevata, perché, a mano a mano che le perdite su crediti aumentano rispetto al totale dell'attivo e all'incidenza che hanno sul conto economico - dal 2005 in poi, le perdite su crediti sono entrate a far parte della base imponibile IRAP; quando l'IRAP è stata istituita non vi figuravano - ci si trova a pagare le tasse immediatamente sulle perdite. Quando queste sono esigue, tale aspetto si può «digerire», ma non quando diventano grandi. Ci sono nostre banche che, nel primo semestre di quest'anno, hanno avuto - principalmente per questo motivo - un tax rate superiore al 50 per cento. Una banca in particolare mi ha comunicato di averlo avuto del 90 per cento. Non l'ho verificato e non lo porto come dato, ma certamente è di tutta evidenza che la media del 50 per cento sia ricorrente in tutti i bilanci semestrali.
Si tenga conto anche che le banche hanno un trattamento fiscale in Italia, anche per quanto riguarda l'imposta IRES, assolutamente assurdo, perché non possono dedurre immediatamente più dello 0,30 per cento delle perdite stesse. Prima la percentuale era dello 0,50, poi è stato portata allo 0,40 perché la situazione economica era particolarmente positiva. Noi non l'abbiamo accettato col sorriso sulle labbra, ma quasi. Quando, però, la situazione diventa come l'attuale, in cui le perdite su crediti superano l'1 per cento del totale dell'attivo, evidentemente la situazione diventa difficilmente sostenibile. Le perdite che non si deducono immediatamente vengono spalmate - voi lo sapete - su diciotto anni. Dal punto di vista finanziario, sia pure con tassi bassi come gli attuali - quando essi sono più alti la soluzione è ancora più drammatica - questo è insostenibile.
Ci sono altri aspetti che mi permetto di sottolineare alla vostra Commissione non per fare piagnistei, ma perché ci sia da parte vostra la consapevolezza di alcuni dati.
Io sono un assertore convinto dell'esigenza che le banche italiane siano più vicine al territorio: la crisi e anche la pre-crisi hanno dimostrato che le banche


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che sono vicine al territorio, anche quelle di piccole dimensioni, hanno dato e danno un contributo veramente importante. Tale risultato, ovvero l'essere più vicini al territorio, si può ottenere in due modi: il primo è la piccola dimensione, che può però comportare diseconomie di scala che vengono in parte compensate da organizzazioni di tipo consortile o non consortile, che consentano di scaricare; oppure si può essere vicini al territorio attraverso modelli cosiddetti federali, in cui esiste una banca capogruppo che ha lasciato vivere sul territorio - mi rivolgo all'onorevole Pezzotta - alcune altre banche.
I gruppi che hanno questa struttura sono penalizzati per decine e decine di milioni dall'IVA infragruppo, che era stata deducibile fino allo scorso anno e adesso non lo è più. A livello europeo, quasi tutti i Paesi hanno adottato il modello che prevede l'IVA di gruppo e questo onere non esiste.
Noi siamo perfettamente consapevoli che il bilancio italiano, i conti del nostro Stato, presentano problematicità. Io penso però che, nel momento in cui riusciremo ad avvistare un traguardo per uscire dalla crisi, tali aspetti, che sono di tipo strutturale e incidono sul futuro della nostra industria, non solo bancaria - se le banche sono deboli necessitano di interventi di altra natura - debbano essere presi in considerazione con serenità, con la consapevolezza che il bilancio dello Stato ha i problemi che conosciamo.
A questo proposito, come presidente dell'ABI e non personalmente - lo dico anche personalmente, se può essere utile - ho molto apprezzato l'attività del Governo nel periodo più acuto della crisi. Gli interventi realizzati a livello normativo nell'autunno scorso, come l'assicurare, al di là dei limiti del fondo di tutela dei depositi, gli strumenti di garanzia potenziali per le banche che non potessero raccogliere fondi a livello dei mercati internazionali, i cosiddetti Tremonti bond, che sono stati e sono tuttora oggetto di alcune polemiche con il Governo, hanno rappresentato punti di riferimento estremamente importanti, perché hanno dato serenità e tranquillità in primo luogo ai nostri risparmiatori, ma anche ai responsabili delle politiche delle banche. Nella delicata ipotesi che se ne presentasse la necessità, vi era la possibilità di ricorrervi.
Non credo che sia giustificato sottolineare come le banche abbiano avanzato richieste; esse hanno compiuto, insieme al Governo e al Parlamento, scelte per costruire strumenti che potessero essere utili ai fini di un loro sostegno, in modo da potersi oggi rivolgere al mercato, che, nella nostra idea, è pur sempre un arbitro severo - talora troppo poco - nei confronti del comportamento delle imprese, soprattutto di quelle quotate.
Fermo restando che ogni singola banca deve effettuare le proprie valutazioni - parliamo di Basilea 2, che rappresenta un altro aspetto delicato - considero il fatto che il mercato abbia già consentito ad alcuni gruppi bancari - soprattutto alle banche più capitalizzate e che avevano meno bisogno, essendo le prime ad aver fatto da traino - di far fronte alle proprie esigenze patrimoniali un aspetto positivo e non una mancanza di attenzione per l'operato del Governo.
Il Governo ha fatto molto, per fortuna nostra di cittadini italiani, senza sostanzialmente attingere, se non pochi euro, almeno nei confronti dell'industria bancaria. Ci ritroviamo in una situazione in cui il rapporto debito/PIL, per cui l'Italia, che era in assoluto la prima nel mondo, oggi, pur permanendo in tale posizione, ha fortemente attenuato le distanze rispetto agli altri Paesi, e penso che nel prossimo futuro, come sottolinea anche il Ministro dell'economia, ciò costituirà un punto di forza.
Tutto ciò, onorevoli deputati, è stato realizzato con una partecipazione attiva e collaborativa da parte del nostro sistema. Passo ancora - lasciando per ultimo il discorso di Basilea - a quello che le banche italiane, sempre in sintonia con le associazioni imprenditoriali e con le istituzioni in generale, e il Governo in particolare hanno realizzato, a partire dall'ultimo accordo sulla cosiddetta moratoria. Io attribuisco a tale strumento un


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valore molto importante, è lo strumento forse più utile, se non necessario, per un numero rilevante di imprese. Si tratta di lasciare nelle casse delle imprese una cifra che oscilla intorno ai 40 miliardi, senza necessità di attivare una nuova istruttoria di affidamento.
Nel riconoscere questa dilazione abbiamo introdotto - e anche questo non è accaduto in nessun'altra parte del mondo - il principio del silenzio-assenso che, come voi sapete, viene sempre visto, anche nelle pubbliche amministrazioni, con molta cautela. Noi l'abbiamo introdotto, il che significa che, se entro trenta giorni, la banca, a fronte di una richiesta che le pervenga dall'impresa, non ha istruito la pratica e non spiega il motivo per cui non può concedere la dilazione, essa è fornita automaticamente.
Questo vale per superare ora l'impatto della crisi, che è molto forte in questo contesto e lo sarà ancora non appena la ripresa si consoliderà, ma abbiamo anche altri strumenti per finanziare investimenti. Mi riferisco agli accordi con la Cassa depositi e prestiti e via elencando.
Passo ora a parlare di Basilea 2. Le regole di tale accordo prevedono che gli attivi delle banche - è questo il nocciolo della questione - vengano ponderati a seconda della loro vischiosità. Prima di Basilea 2, tale ponderazione era lasciata molto alla discrezionalità delle banche, mentre ora sono state dettate regole più stringenti, le quali prevedono che a ogni tipologia di rischio, di credito o di altro tipo, corrisponda una quota di patrimonio. Quando Basilea 2 è stata costruita - è entrata in vigore dal 2008, quindi da pochissimo - l'Italia, grazie ai Governi che si sono succeduti, alla Banca d'Italia e alla nostra industria, ha ottenuto che i crediti nei confronti delle piccole e medie imprese, soprattutto di quelle piccole, avessero una ponderazione privilegiata, cioè che pesassero di meno e quindi richiedessero meno patrimonio per essere erogati.
È indubbio che, in una situazione come questa, eventuali modifiche a tale regime possono essere utili, fermo restando che i regolatori internazionali, la Commissione europea e il consesso dei governatori, prevedono per il prossimo futuro situazioni di irrobustimento patrimoniale di tipo generale, nell'ambito del quale la posizione che l'ABI ha tenuto, anche nelle scorse settimane, con la Banca d'Italia - come voi sapete, il nostro governatore è il presidente del Financial Stability Board, che è quindi uno degli organismi che inciderà molto in materia - è stata quella di sostenere che il trattamento di favore di cui oggi godono le piccole imprese debba essere assolutamente mantenuto, se non migliorato, con un'eventuale moratoria iniziale, e il principio che a rischi correlati a questi tipi di finanziamenti debba corrispondere un minor assorbimento di patrimonio. Questa è la nostra posizione. Basilea 2 non è come gli International Accounting Standards (IAS), che sono ancora più terribili di Basilea 2, sotto certi profili, sui bilanci delle istituzioni finanziarie. Personalmente sono più critico nei confronti di questi principi contabili che non di Basilea 2, che può essere ritoccata e rivista, mentre gli IAS hanno regole pazzesche. Dico questo forse anche perché la lingua batte dove il dente duole. Il gruppo di cui sono presidente l'anno scorso ha compiuto rettifiche non fiscalmente deducibili per 490 milioni per una partecipazione che oggi ha già ripreso parte del proprio valore, per farvi un esempio.
Si tratta di temi su cui l'industria bancaria, l'Associazione bancaria e le banche italiane sono particolarmente attente. La sintonia esistente anche con le altre associazioni imprenditoriali su questo, come su molti altri temi, è veramente rilevante.
Io sono talvolta demoralizzato quando i media rappresentano l'Associazione bancaria italiana in perenne guerra con le associazioni degli imprenditori, il Governo e via elencando, mentre di fatto il clima che ha contraddistinto gli ultimi mesi in particolare è di grandissima, reciproca comprensione, con tutte le associazioni di imprese, dalla Confindustria alla Confcommercio, alla Confesercenti.


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Bisognerebbe veramente che chi detiene un potere enorme, come quello dei media, lo utilizzasse per dare una rappresentazione della realtà meno lontana dalla realtà stessa. Noi siamo molto pazienti, sebbene tutti i giorni troviamo sui giornali affermazioni che spesso non sono supportate da fatti o da numeri, e cerchiamo di controbatterle mantenendo sempre, come è nostro dovere, il senso di responsabilità, dal quale, in questo momento, non si può assolutamente prescindere.
Non so se ho parlato troppo, presidente. Mi sono imposto di non superare la mezz'ora e ho parlato per venticinque minuti. Resto naturalmente a vostra disposizione.

PRESIDENTE. Tenga conto che la Commissione è di solito preparata ad ascoltare lunghe relazioni. Lei è rimasto assolutamente nella media dei nostri interlocutori, e di ciò la ringraziamo.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ANNA TERESA FORMISANO. Rivolgo un saluto e un ringraziamento al presidente dell'ABI. Ho alcune considerazioni e anche alcune domande. Noi abbiamo appena terminato, come l'ha informata il presidente, l'audizione con la presidente Emma Marcegaglia e non ho bisogno di riferirle, perché lo conosce meglio di noi, il pensiero di Confindustria. Per quanto ci riguarda, come UDC, noi abbiamo sostenuto, e lo vogliamo ribadire, che siamo assolutamente d'accordo con l'ipotesi non di una moratoria, che è un intervento diverso, ma di un allargamento delle maglie di Basilea 2. In un momento come questo vediamo tale prospettiva in modo molto favorevole.
Lei conoscerà - non la nascondiamo, anzi l'abbiamo manifestata in Aula e più volte in Commissione - qual è la nostra idea su un aspetto delle banche italiane. Avremmo piacere che esse fossero più vicine alle famiglie e alle piccole e medie imprese in difficoltà. Mi spiego meglio, proponendole un esempio. Molte piccole e medie imprese vantano crediti enormi, per quella che è la loro realtà, da pubbliche amministrazioni: comuni, province, ma soprattutto regioni. Chi le parla è stato assessore regionale e quindi conosce bene il meccanismo. Tali crediti molto spesso portano al tracollo di piccole e medie imprese, a fronte di crediti che in gergo si usa definire «certi ed esigibili», poiché provenienti da pubbliche amministrazioni.
La riflessione che le propongo, come presidente dell'ABI, è la seguente: non riscontriamo lo stesso comportamento da tutte le banche, ma comportamenti diversi. Spesso essi sono correlati alla grandezza delle banche. Ci risulta che le piccole banche, quelle che possiamo chiamare locali, territoriali, molto legate al tessuto imprenditoriale del territorio, hanno un comportamento diverso, a nostro avviso più vantaggioso, rispetto alle grandi banche. Secondo noi questo non è giusto perché vorremmo che tutte le banche fossero, in un momento come questo in particolare, più vicine alle famiglie in difficoltà. Certamente non sta a noi immaginare il percorso da seguire, ma riteniamo questo un punto fondamentale. La vecchia favola che la banca eroga i soldi a chi già li ha fa parte dell'immaginario collettivo. Vorremmo che la banca fosse più vicina alle famiglie e alle piccole e medie imprese, che molte volte si trovano o al crollo totale o vicinissime ad esso.
Un'altra questione che vorrei sollevare è quella delle leggi approvate dal Parlamento che riguardano le banche. Propongo un altro esempio, relativo alla portabilità dei mutui. Il cittadino ha questa notizia, sa che può compiere determinate operazioni, si reca in banca e magari si sente rispondere dal direttore o dal funzionario di turno che ancora le regole non sono efficaci, che si deve aspettare e che occorre ancora tempo. Non comprendiamo queste discrasie, chiamiamole così, tra la legislazione che viene approvata dal Parlamento e il comportamento che alcune banche, non tutte ovviamente, tengono nel libero mercato del nostro Paese.


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LUDOVICO VICO. Do il mio benvenuto, presidente Faissola. Andrò subito al nodo di alcuni problemi, che mi sembrano ricorrenti in questa Commissione parlamentare. Immagino che lei sappia che, da alcuni mesi, molte imprese manifatturiere, e soprattutto quelle fornitrici di imprese d'appalto, le imprese dell'indotto, le quali hanno messo da diversi mesi i propri lavoratori - in tutto o in parte - in cassa integrazione ordinaria, denunciano l'assenza di liquidità per l'anticipazione della cassa integrazione. Parlerò di temi molto concreti, perché vi sono troppe narrazioni diverse in questo momento, e non coincidenti tra loro.
Tali imprese, che non sono nelle condizioni di anticipare la cassa integrazione, hanno due possibilità: o si rivolgono all'INPS per chiedere di pagare direttamente i lavoratori, nel qual caso devono esibire il certificato di liquidità attestante la di difficoltà di liquidità; oppure - molti l'hanno fatto in questo mese, ma il procedimento non è avviato - si recano agli sportelli delle proprie banche, sulla scia del moderato entusiasmo che si era già verificato all'indomani dell'accordo del 3 agosto tra ABI e Confindustria. All'INPS, dunque, devono certificare il loro stato di liquidità per l'anticipazione diretta della CIGO; gli sportelli bancari - mi riferisco al mio territorio, una parte della Puglia - non sono, invece, ancora informati delle procedure e dei meccanismi che riguardano l'accordo citato. Vorrei segnalarle questo per chiarezza. Quando ad alcuni sportelli i direttori sono già informati comincia un'altra storia, che lei, con onestà intellettuale, ha riportato nel documento che ci è stato consegnato alcuni minuti fa. Alle imprese, per la sospensione dei debiti presso le proprie banche - ogni sportello bancario conosce vita, morte e miracoli del suo cliente, come si suol dire, e non occorrono quindi trenta giorni per l'istruttoria, come se si trattasse di un estraneo su cui è necessario raccogliere informazioni: stiamo parlando di fatti reali che avvengono nel nostro Paese più o meno tutti i giorni - viene chiesto che per le facilitazioni al 30 settembre abbiano posizioni classificate in bonis e che non presentino posizioni ristrutturate o in sofferenza.
Noi abbiamo apprezzato l'accordo del 3 agosto, siamo certamente interessati come parlamentari e come gruppo parlamentare per la sensibilità comune, che esiste in questa Commissione, a verificare, già alla fine di ottobre, i primi risultati.
Come lei sa, quattro mesi fa era stato annunciato che con i Tremonti bond le imprese avrebbero potuto recarsi agli sportelli bancari e chiedere alle banche di anticipare la cassa integrazione ordinaria, straordinaria e altro ancora, con successiva compensazione sul conto con gli oneri sociali. Questo non è accaduto. Ho proposto un esempio della situazione reale di una parte del Paese: ci sono lavoratori che devono aspettare novanta giorni, nel caso in cui il pagamento diretto della cassa integrazione provenga dall'INPS, se la direzione provinciale dell'INPS funziona. Se non funziona, in alcune regioni italiane ci sono lavoratori posti in CIGO e in CIGS in deroga che non percepiscono l'indennità da febbraio 2009. Il problema si intreccia con l'incertezza di sapere se le proprie imprese continueranno a vivere.
La mia seconda considerazione, che sarà invece rapidissima, è la seguente: molti, come noi, pensano che il linguaggio sia una cosa molto seria e che le parole abbiano sempre un significato. Pochi minuti fa abbiamo concluso un'audizione con la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, e i colleghi che sono intervenuti - il mio capogruppo, soprattutto, in ordine a Basilea 2 - hanno domandato se si sta sostanzialmente chiedendo la moratoria. La risposta è stata che si sta chiedendo un allentamento, termine che si usa in genere in fisica. Da questo punto di vista, poiché le banche manipolano realtà che hanno ben poco a che fare con la fisica e con la chimica, sarebbe utile comprendere il significato del termine «allentamento», dal punto di vista del linguaggio: vi corrispondono già coefficienti e parametri, ipotesi di lavoro e così via?
In terzo luogo, presidente Faissola, che cosa pensa l'ABI dello scudo fiscale, delle


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procedure che sono in corso? Quali opinioni ha in merito all'idea diffusa che vi sia un rientro di capitali dall'estero o comunque si stima che vi sarà, mentre chi li ha trattenuti nel Paese incorrerà in uno dei paradossi italiani, ovvero che chi è in regola non ha gli stessi benefici di chi non ha rispettato il dovere di essere in regola?

CATIA POLIDORI. Ringrazio e saluto il presidente dell'ABI. Nel ringraziarla, vorrei dirle che abbiamo ascoltato una sua relazione molto ben dettagliata, sintetica e completa, che avrebbe dovuto rincuorarci. Lei ha sottolineato anche il divario tra ciò che riportano i giornali e ciò che avviene veramente.
Io ho una perplessità molto forte, che mi viene direttamente dall'ascolto delle aziende, soprattutto delle piccole e medie imprese. Lei ci ha comunicato che le erogazioni sono aumentate rispetto all'agosto dell'anno scorso, ma ho il dubbio che qualcosa non coincida, perché, oggettivamente, come ha potuto constatare anche lei, le aziende che si lamentano perché non riescono ad accedere al credito sono tante. Probabilmente sono aumentate perché siamo in un periodo di crisi particolare, ma ciò che più mi interesserebbe sapere non riguarda le erogazioni, ma il numero di richieste inevase, perché questo è il dato medio che mi darebbe il senso della realtà.
Probabilmente, azzardando un po' - chiedo scusa per la sincerità e la franchezza - da una parte saranno aumentate le aziende per via del periodo di crisi, dall'altra forse è anche vero che le erogazioni vanno sempre nella stessa direzione, ovvero sempre alle stesse aziende. Forse, come dicevano prima i miei colleghi, piove un po' sempre sul bagnato. Il famoso detto secondo cui la banca dà i soldi a chi li ha e non a chi ne ha bisogno, in questo periodo, è stato vero più che mai.
È chiaro che, per lo sviluppo di un Paese, l'azienda deve fare la sua parte e se ne assume il rischio. Probabilmente, in un periodo come questo, io mi sarei aspettata che anche la banca facesse uno sforzo in più. Quando lei parla della naturalezza di chiedere le garanzie personali all'imprenditore, ho difficoltà ad accettare tale concetto. In Italia è stato sempre possibile perché la piccola media o impresa italiana soprattutto, caratterizzata da una famiglia che fa impresa, spesso «buttando veramente il cuore oltre l'ostacolo», ha investito capitali personali, e non dell'azienda, all'interno del sistema. Un imprenditore, prima di chiudere la propria azienda, vende anche la casa di famiglia. È, altresì, vero che, se la banca non sta vicino all'azienda non solo in un momento particolare come questo, ma nello sviluppo dell'impresa, lei mi deve dire come può aprire un'azienda un giovane che a vent'anni o venticinque non ha nessun tipo di garanzia alle spalle.
In merito a Basilea 2, sono d'accordo con i colleghi, e ne abbiamo parlato anche nell'audizione precedente. Probabilmente l'intervento più immediato che si potrebbe attuare - restando fuori dalla discussione, che prenderebbe troppo tempo, sulla bontà o meno dei criteri di Basilea 2, poiché ve ne sono sia di positivi che di negativi, ovviamente - potrebbe essere quello di attribuire un numero o una lettera diversi, a seconda della banca, al criterio che valuta il rapporto tra imprenditore e banca del territorio, o direttore di banca, che dir si voglia.
Come abbiamo detto anche, ripeto, nell'audizione precedente, probabilmente un imprenditore che, in questo momento, si trova in grande difficoltà potrebbe aver avuto una storia di rientri assolutamente corretti, di un rapporto assolutamente trasparente con la banca, ragion per cui forse allentare, anche solo momentaneamente, un parametro importante come questo, potrebbe dare respiro alle banche.
Il dato che forse mi interesserebbe di più sapere - e non si riesce a farlo, pur avendo provato anche attraverso l'associazione di categoria - è quello relativo alla quantità delle erogazioni negate. Ho visto un comunicato stampa relativo all'apertura di un numero verde - mi pare da parte dell'associazione «Valore impresa» - che raccoglie le manifestazioni critiche


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delle aziende che hanno ricevuto una risposta negativa dalla propria banca, perché non riescono (e non riusciamo in generale) ad avere accesso a questi dati.

ALBERTO TORAZZI. Presidente Faissola, ho ascoltato attentamente il suo intervento. Lei ci ha detto che il 64 per cento dei vostri clienti sono PMI. Penso che ciò sia naturale perché, se facessimo un'analisi dove voi fate la raccolta, probabilmente scopriremmo che il rapporto va a vantaggio di queste. Si tratta sicuramente di un dato interessante. Il problema è, però - come lei ha riportato e come tutti sanno - che si è verificato un calo del fatturato del 20 per cento. Su questo punto dobbiamo scomodare «i polli di Trilussa»: si è verificato un calo del 20 per cento, ma ciò può benissimo significare che il 50 per cento delle nostre imprese ha perso il 40 per cento, ovvero rischia il fallimento. Tali aziende, tuttavia, non si trovano in questa condizione perché hanno commesso errori nella loro strategia, bensì perché la speculazione finanziaria ha creato un vuoto improvviso di liquidi, inchiodando il mercato.
Abbiamo tutto l'interesse a traghettarle fuori dalla crisi. Penso che lei convenga con me che perdere il 10, il 15 o il 20 per cento delle nostre imprese sarebbe un disastro anche per voi, dal momento che si tratta di vostri clienti.
Nel prosieguo della sua relazione, lei ci ha spiegato che, teoricamente, tutto va benissimo, erogate il credito, non ci sono problemi, e ci ha fornito anche un dato interessante quando ha affermato che tra l'agosto del 2008 e quello del 2009 si è verificato un lieve aumento. Devo dire che, se penso ai costi sostenuti da un'azienda - consideriamo che abbiamo alcune tasse che si pagano prima di fare utili, come l'IRAP, e che ci sono i lavoratori da pagare, i mutui, e via elencando - probabilmente l'aumento avrebbe dovuto essere molto più forte, perché è chiaro che quando un imprenditore si sente in grado di svilupparsi ricorre anche all'autofinanziamento, ma quando è veramente in difficoltà ha bisogno di più soldi.
Per questo motivo, vorrei tornare sulla proposta della moratoria dei pagamenti dei debiti delle piccole imprese, che è nata in questa Commissione e per iniziativa del gruppo della Lega nord. È stato necessario un po' di tempo perché arrivasse al Governo, ma alla fine ciò è avvenuto. Abbiamo notizie dal territorio secondo cui, anche se vi è il silenzio-assenso dei trenta giorni, vigono regolamenti spesso tali da escludere proprio le banche che ne hanno bisogno.
L'esempio che mi è stato fatto, per citarne uno, è che il cliente non deve aver ritardato un solo pagamento negli ultimi due anni. Se si è sempre lavorato con una banca e la si è pagata e alimentata come il mercato, e ci si trova nella condizione per cui l'amministrazione pubblica e la grande impresa non pagano, si tende occasionalmente ad arrivare in ritardo nei pagamenti. Se questa griglia non viene utilizzata - non dico che lo sia, ma le segnalazioni sono diverse - molti soggetti ne vengono esclusi. Le chiederei, su questo punto, di verificare quali sono le condizioni, perché il nostro problema è proprio conoscere quali siano le condizioni in base alle quali interviene effettivamente l'applicazione di questo accordo.
Ho trovato molto interessanti alcune segnalazioni: avrei voluto domandarle suggerimenti per facilitare la concessione del credito, e riconosco che lei, parlando della politica fiscale, me ne ha forniti alcuni. Cercheremo di tenerne conto, naturalmente, finalizzandoli alle piccole e medie imprese, che costituiscono il tessuto della nostra economia.
Vorrei concludere tornando al passaggio fondamentale: non basta pensare che stiamo facendo il massimo, dobbiamo chiederci quante sono le aziende in difficoltà. Da questo punto di vista, la richiesta avanzata dalla collega Polidori è sicuramente molto interessante.
La ringrazio e spero che lei riesca a offrirci alcune delucidazioni su come funziona la moratoria.


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PRESIDENTE. Faccio mie le parole del presidente: è qui per questo e quindi lo farà sicuramente.

ARTURO IANNACCONE. Ho due brevi domande, perché a me interessano soprattutto le risposte. In merito alla situazione del credito al sud, le risulta che i tassi di interesse siano più elevati rispetto a quelli che vengono applicati sul resto del territorio nazionale?
Vorrei, inoltre una sua valutazione sulla Banca del Sud e sulla possibilità che il sistema bancario italiano dia una mano per realizzare uno strumento che noi del Movimento per l'autonomia - Alleati per il Sud riteniamo fondamentale per lo sviluppo del nostro territorio.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente dell'ABI per la replica.

CORRADO FAISSOLA, Presidente dell'ABI. Innanzitutto ringrazio gli onorevoli parlamentari che hanno voluto intervenire e mi danno l'opportunità di ampliare il contenuto della mia relazione.
L'onorevole Formisano ha sottolineato come ritenga molto importante il sostegno alle famiglie, nonché alle piccole e medie imprese e, in particolare, l'aspetto correlato ai crediti verso la pubblica amministrazione. Ha sottolineato, altresì, che le banche più piccole, le più vicine al territorio, normalmente esprimono una maggiore sensibilità per i problemi soprattutto delle piccole e medie imprese e, in qualche misura, anche delle famiglie.
Vi è poi l'aspetto relativo alle leggi, cui accennerò.
L'Associazione bancaria italiana, in sede locale, attraverso i propri organismi periferici, ha stipulato alcuni accordi - rispondo anche all'onorevole Vico - con le stesse organizzazioni sindacali in merito alla cassa integrazione, per intervenire nei confronti delle famiglie che presentassero maggiori bisogni. A livello nazionale ha addirittura concordato con la Conferenza episcopale italiana un intervento nei confronti dei più disagiati che sta cominciando a funzionare.
Sono assolutamente d'accordo che nei confronti delle famiglie - parleremo poi delle imprese - sia forse venuto il momento di realizzare quello che io definisco un «testo unico» di tutte le iniziative attivate sul territorio, per comprendervi, eventualmente, anche situazioni che oggi possono essere rimaste fuori. Noi siamo favorevolissimi a intervenire nei confronti delle famiglie che si trovano in stato di bisogno o di maggior disagio, ma riteniamo, come abbiamo fatto nei confronti delle imprese, che non sia opportuna anche per motivi etici una moratoria generalizzata tra tutte le famiglie, perché, per fortuna, nel nostro Paese un numero rilevantissimo di famiglie ha risentito poco o nulla dell'andamento della crisi.
Recepisco quindi la raccomandazione di prestare ulteriore attenzione e ribadisco che ci stiamo muovendo proprio in questo senso. Abbiamo già assunto contatti con le associazioni dei consumatori e penso che già nelle prossime settimane terremo un incontro, finalizzato da un lato a mettere a fuoco tutte le posizioni di disagio e di bisogno che non fossero state ancora considerate a livello locale e, dall'altro, a estendere una best practice a livello locale a tutte le banche che la vorranno adottare.
Avete visto che, almeno dal punto di vista della manifestazione di intenti, la moratoria nei confronti delle imprese, che è stata sottoscritta dalla presidenza dell'ABI in assenza di qualunque tipo di mandato - l'abbiamo approvata il 3 agosto, durante le vacanze - ha avuto un grande successo, almeno dal punto di vista delle adesioni, perché ormai praticamente tutto il sistema vi ha aderito in teoria. Affronterò fra poco l'aspetto di come tale moratoria dei crediti comincerà a funzionare, il che certamente è una questione diversa.
Per quanto riguarda il grado di attuazione di tale moratoria nei confronti delle imprese, a me pare che tutta la casistica che è stata presa in considerazione nella moratoria dovrebbe essere adeguata e sufficiente. Si stanno oltretutto innescando ulteriori iniziative da parte di alcune regioni - mi parlavano della regione Campania


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proprio poche ore fa - per implementare ulteriormente gli interventi a favore delle imprese in difficoltà. Le banche sono disponibili ad aderirvi, a fronte di interventi aggiuntivi da parte di istituzioni, come il pagamento degli interessi, per fare un esempio, che in taluni casi è stato prospettato.
Passiamo al problema delle banche grandi e piccole. Voi ricorderete - ci sono molti giovani fra voi, ma quasi tutti la ricordate, almeno per averne sentito parlare - la concentrazione del sistema bancario. Quindici anni fa - io sono un po' meno giovane di voi - il tema ricorrente, onorevole Pezzotta, era che l'Italia avesse banche troppo piccole; nelle classifiche sui giornali e i media sostenevano che le banche italiane fossero disastrose per la loro piccola dimensione.
Il Parlamento ha approvato ben due disegni di legge, prima la legge Amato e poi la legge Ciampi, per facilitare le aggregazioni. Ci hanno persino concesso agevolazioni fiscali, in alcuni casi anche molto rilevanti. Le banche hanno risposto a tale sollecitazione e io credo che sia stato un aspetto estremamente positivo, perché il frazionamento del sistema bancario, con i costi veramente rilevanti che avremmo avuto, se le banche fossero rimaste quelle che erano nel 1990, probabilmente ci avrebbe creato ulteriori problemi in questa crisi. Le dimensioni perfette non esistono. Il sistema bancario italiano, però, ha un'articolazione che a me pare estremamente proficua. A fronte di alcune (pochissime, fondamentalmente due) grandi banche, che hanno un respiro internazionale e nascono però a loro volta dall'aggregazione di banche fortemente radicate sul territorio e che mi auguro non abbiano perso completamente l'abitudine a dialogare con esso - si tratta però di considerazioni di tipo astratto - ne sono rimaste moltissime, e si sono sviluppate moltissimo, banche che un tempo erano micro e che oggi non lo sono più.
Il mondo delle banche di credito cooperativo, delle banche popolari, ha assunto un ruolo più importante di quello che avevano negli anni Novanta. Sul fatto che esista una banca più vicina o più lontana al territorio, io penso - e mi spingo a fare un'affermazione che forse non mi compete, come presidente dell'ABI - che il problema fondamentale sia che i sistemi di distribuzione e di articolazione sul territorio siano strutturati in modo tale da promuovere ancora la centralità della figura del direttore della filiale. Gli imprenditori che voi sentite - e che sento anche io - lamentano che, una volta, in banca si trovava il direttore, il quale consigliava bene, o talvolta male, ma rappresentava comunque l'interlocutore. Oggi quando si va in banca si hanno maggiori difficoltà a trovarne uno. Si tratta di un aspetto che evidentemente non si può risolvere né con decreti-legge, né con sollecitazioni da parte del presidente dell'ABI, ma parlarne come stiamo facendo in questo momento è un modo, a mio giudizio, di sensibilizzare al riguardo, fermo restando che l'autonomia sull'organizzazione aziendale non può che spettare alle singole banche e ai singoli gruppi bancari.
Se entriamo nel merito delle leggi, onorevole Formisano, avremmo anche noi qualcosa da dire su come si fanno, perché le difficoltà di applicarle nascono anche dal modo in cui vengono redatte. Le leggi che ci hanno riguardato, e che ci riguardano, sono state tutte introdotte nel nostro ordinamento giuridico attraverso decreti-legge convertiti in legge di corsa, «a spizzichi e bocconi», senza che l'industria bancaria potesse esprimere alcun tipo di opinione. Lo dico in generale e non muovo accuse a nessuno. Ne derivano disposizioni inapplicabili e che, se fossero applicate alla lettera, bloccherebbero interamente l'attività delle banche.
Vorrei scusarmi anche in quest'occasione nei confronti del Parlamento per l'intervento che ho svolto il 31 luglio, o forse il 1o agosto, a proposito di un emendamento che era stato approvato dalla Commissione finanze della Camera, il quale introduceva una norma sui tassi di interesse che avrebbe determinato di fatto, se applicata, il blocco totale dell'attività. Vi è stato posto rimedio e il Parlamento si è


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un po' dispiaciuto di questo mio intervento, che ho cercato di spiegare. Penso di essere stato compreso.
L'applicazione delle leggi, facile e rapida, presupporrebbe che venissero approvate leggi chiare, comprensibili, possibilmente - scusatemi - non demagogiche, attraverso una consultazione. La consultazione che abbiamo avuto con il Governo che attualmente regge il Paese è stata superiore a quella che avevamo avuto con il Governo passato sul modo di fare le leggi. Pur tuttavia, i meccanismi attraverso i quali il Parlamento legifera sono tali che rendono difficile - anche per mancanza di tempo materiale - confrontarsi. Scusate questo piccolo sfogo.
In merito al problema sollevato dall'onorevole Vico sulla cassa integrazione, gli accordi che abbiamo stretto, e che adesso generalizzeremo, sono rivolti a finanziare i lavoratori che sono in cassa integrazione e che subiscono i ritardi da parte dell'INPS. In molte province questo meccanismo sta funzionando in maniera - penso - perfetta, perché non ho sentito una sola lamentela. Vedremo di estenderlo a tutti, ma il meccanismo è quello previsto nelle convenzioni, per esempio in Lombardia, ma non solo, che, attraverso la presentazione del documento che certifica lo stato di cassa integrazione, la banca anticipi direttamente al lavoratore la somma di sua spettanza. Lo valuteremo meglio, lo vogliamo generalizzare ancora, però il nostro operato attuale è questo.
Su Basilea 2, per rispondere anche agli interventi degli altri colleghi, il problema, a mio giudizio, continua a essere quello di fare in modo che le imprese italiane, siano esse imprese di credito, di altri settori e piccole e medie imprese, abbiano un trattamento nella ponderazione del rischio che sia il più possibile correlato alla minor rischiosità della «granularità» dei crediti che le banche hanno nel loro attivo e che le aziende, ovviamente, forniscono e che, soprattutto, la valutazione del rischio di credito sia realizzata possibilmente senza ricorrere esclusivamente a strumenti di tipo informatico.
Il rientro dei capitali dall'estero sarà oggetto di una legge dello Stato e il sistema bancario si adeguerà e collaborerà, come sempre. Sulla sua formulazione, ci attiveremo per fare in modo che gli obiettivi che il legislatore si prefigge siano realizzati.
L'onorevole Polidori ha avanzato una considerazione sulla quale mi permetto di non essere d'accordo, ovvero che le banche, in questo momento, stiano privilegiando i grandi gruppi. I grandi gruppi, che in Italia sono pochi - come voi sapete - sono il sistema portante dell'economia italiana per quanto attiene ai loro rapporti con le piccole e medie imprese, coi loro fornitori. Se un gruppo grande, o medio-grande, fosse in difficoltà e non fosse aiutato, come lo sono le piccole e medie imprese, nel superamento della crisi, ci sarebbe indubbiamente una ricaduta molto grave sull'economia e sulla struttura produttiva. Non vi è dunque nessun privilegio per nessuno. I grandi gruppi appaiono sui giornali, mentre l'impresa del «signor Brambilla», che ha avuto la ristrutturazione, non vi compare.
Esistono alcuni casi che, a mio giudizio, solo pochi mesi dopo avvenute le ristrutturazioni, stanno già dando risultati positivi, come tre o quattro anni fa, quando le banche hanno salvato il gruppo FIAT, attraverso il quale si sono salvati anche centinaia di migliaia di posti di lavoro diretti e indiretti. Talvolta questo viene dimenticato da tutti, comprese le grandi imprese.
La criticità dei pagamenti della pubblica amministrazione, come è stato riconosciuto dallo stesso presidente di Confindustria, non attiene soltanto alle pubbliche amministrazioni, ma anche a taluni grandi gruppi che hanno ritardati pagamenti nei confronti delle piccole e medie imprese. Il sistema bancario si sta facendo carico anche di questo problema; abbiamo lavorato molto, sia con il Governo che con Confindustria e con le altre associazioni imprenditoriali, per attenuare l'impatto di un vezzo che è in contrasto con la legislazione europea, perché i ritardi dei pagamenti


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delle nostre pubbliche amministrazioni sono in violazione di precise norme europee.
Il problema che ci siano tante imprese che non ricevono dalle banche quello che loro si aspettano è sicuramente una realtà che non ho difficoltà a riconoscere. Sapete, però, quante piccole e medie imprese abbiamo in Italia? Sono 4 milioni e, se anche solo l'1 per cento, ossia 40 mila, scrivessero ai giornali o venissero reclutate da associazioni più o meno di tipo permanente, che cosa ne verrebbe fuori? Ho detto 40 mila imprese, ma se anche fossero 400 mila, nella valutazione del rischio di credito, la situazione ricorrente, non solo in Italia e non solo in questo momento, ma sempre, è che, su un numero di cento imprese, ce ne sono venti o venticinque, a seconda dei Paesi e dei settori, che hanno ottime potenzialità di avere credito, dieci o quindici che hanno difficoltà, e poi segue tutta la massa. Del 10-15 per cento di imprese che hanno difficoltà, ma ce l'hanno strutturalmente, è fuori di dubbio che, in questo momento, il numero di quelle che non riescono a ottenere credito sia elevato.
Ho partecipato, prima delle ferie, a un convegno della Confcommercio a Milano. Essa aveva svolto un'indagine sui suoi associati per vedere quante fossero le imprese che hanno avuto difficoltà a ottenere credito. Su cento imprese, ottanta hanno sostenuto di non aver avuto nessuna difficoltà, dieci che avevano avuto alcune difficoltà e dieci che si trovavano in grande difficoltà. Credetemi, il 10 per cento che era in grande difficoltà è un gruppo di imprese che avrà grossi problemi - diciamo nel commercio - a superare la crisi. Vado a spasso, talvolta, nelle mie città e il turnover di piccoli esercizi commerciali è tale da farmi sempre riflettere sul futuro del piccolo commercio.
La situazione è questa. Possiamo fare certamente di meglio, talvolta le nostre banche sbagliano a non dare credito a chi magari lo merita, talvolta a darlo a chi non lo merita - i miliardi di sofferenze lo stanno indicando - ed è interesse comune, come qualcuno di voi ha ricordato, che cerchiamo di mantenere in vita sempre e di più coloro che hanno la possibilità di superare la crisi.
All'onorevole Torazzi rispondo di non aver sostenuto che tutto va bene e che siamo in una situazione ottimale. Siamo, speriamo, in fondo alla parte più acuta della crisi, ma il bello verrà d'ora in avanti, cioè nel momento in cui ci sarà la ripresa. La sua affermazione che le aziende hanno minor bisogno di credito quando crescono rispetto a quando, invece, riducono il giro di affari, non trova riscontro in nessun testo di tecnica bancaria né nell'esperienza, perché, normalmente, le imprese hanno bisogno di credito proprio quando crescono.
Il problema del domani sarà proprio quello di supportare, quando ci saranno - mi auguro prestissimo, magari già oggi - nuovi investimenti e fare sì che le imprese, attraverso i progetti che gli imprenditori presentano (i nostri imprenditori sono molto seri) siano meritevoli di sostegno. Lei viene da una regione dove le piccole e medie imprese sono diventate grandi grazie e soprattutto, oltre che, ovviamente, all'ingegnosità e alla volontà dei piccoli imprenditori, al sostegno delle banche del territorio.
La crisi finanziaria non è stata creata né dalle piccole imprese, né dalle banche italiane. È come se qualcuno se la prendesse con le piccole e medie imprese perché vi è la crisi finanziaria.
Per quanto riguarda la moratoria, aggiungo ancora un'osservazione. Non ci devono essere false rappresentazioni in merito. L'abbiamo firmata il 3 agosto. Le banche avevano quarantacinque giorni per decidere se aderire e hanno aderito tutte. Dal momento in cui hanno aderito hanno trenta giorni di tempo per essere in grado di farlo. Tutti i sistemi di monitoraggio oggi, come voi ben sapete, passano attraverso sistemi informatici complessi, sempre più invadenti, e mettere mano al sistema informatico non è un'operazione che si possa fare con la bacchetta magica. Non so se abbia risposto adeguatamente a tutti voi.


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Per quanto riguarda la Banca del Sud vorrei dire che il credito al Sud presenta, ovviamente, maggiori difficoltà rispetto al credito al Nord. I tassi sono più elevati a fronte di rischi sicuramente più elevati, però negli ultimi anni prima della crisi si era verificata una convergenza, sia in termini di disponibilità di credito, sia di prezzi, sia di quantità di credito non performing, che era di buon auspicio. Poi è arrivata la crisi. Faremo il punto e speriamo che la situazione si sia modificata. La Banca del Sud è un'iniziativa del Governo e del Parlamento e noi ovviamente auspichiamo che essa, quando sarà in funzione e avvierà le proprie attività, costituisca una parte importante del supporto creditizio al Sud. Personalmente mi auguro anche che diventi mia associata.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,20.

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