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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione X
1.
Martedì 8 novembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Manuela Dal Lago, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA CRISI DEL SETTORE DELLA RAFFINAZIONE IN ITALIA

Audizione di rappresentanti di Filctem-CGIL, Femca-CISL e Uilcem-UIL:

Manuela Dal Lago, Presidente ... 3 4 5 8 11 12
Cimadoro Gabriele (IdV) ... 9 10
Formisano Anna Teresa (UdCpTP) ... 10
Gigli Sergio, Segretario generale della Femca-CISL ... 5 11
Pascucci Augusto, Segretario generale della Uilcem-UIL ... 6 11
Torazzi Alberto (LNP) ... 8
Valeri Gabriele, Segretario nazionale della Filctem-CGIL ... 3 4 5 12
Vico Ludovico (PD) ... 9 12
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud): Misto-NPSud.

COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 8 novembre 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MANUELA DAL LAGO

La seduta comincia alle 12,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Filctem-CGIL, Femca-CISL e Uilcem-UIL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla crisi del settore della raffinazione in Italia, l'audizione di rappresentanti di Filctem-CGIL, Femca-CISL e Uilcem-UIL.
Come tutti sanno, in questo periodo alcune aziende stanno mettendo in cassa integrazione molti dipendenti in diverse parti d'Italia, a Marghera e non solo. La nostra indagine riguarderà anche i rappresentanti delle società petrolifere, ma oggi iniziamo ascoltando i rappresentanti dei sindacati CGIL, CISL e UIL.
Chiederei ai nostri ospiti di esporre la situazione attuale delle aziende di questo settore, se è possibile, in maniera sintetica. Vi saremmo inoltre molto grati se poteste lasciarci una relazione scritta da consegnare anche ai parlamentari assenti oggi.
Do quindi la parola a Gabriele Valeri, segretario nazionale della Filctem-CGIL.

GABRIELE VALERI, Segretario nazionale della Filctem-CGIL. Ci scusiamo, ma vi faremo avere la relazione scritta successivamente.
Cercherò di inquadrare il nodo della questione il più sinteticamente possibile. Il sistema italiano della raffinazione è articolato su sedici raffinerie, con una capacità «installata» di produzione di circa 105 milioni di tonnellate di prodotto annue. Da dieci anni a questa parte c'è stato un calo nell'utilizzo dei prodotti raffinati provenienti dalle raffinerie italiane. Si è registrato un picco negativo nel 2007, che ha fatto scendere la produzione a 83 milioni di tonnellate rispetto ai 105 milioni installati, e dal 2007 a oggi la produzione è scesa a 73 milioni di tonnellate. Nell'arco di quattro anni sono, quindi, andati persi 10 milioni di tonnellate.
La nostra convinzione, basata anche su alcuni dati desunti dal commercio, è che ciò non dipenda totalmente da una riduzione del consumo - che pure è determinata da tanti fattori, non ultimo la crisi economica che dal 2008 ha ridotto i consumi dei prodotti energetici - ma anche dal fatto che per molte imprese del settore petrolifero è diventato conveniente acquistare e, quindi, inserire nel circuito di commercializzazione prodotti già raffinati all'estero.
L'Italia tradizionalmente è un Paese esportatore per la sua collocazione nel Mediterraneo e per il fatto che, in particolare in Sicilia e in Sardegna, ma anche in tutto il Paese, sono installati grossi impianti che hanno sempre esportato benzine nel Nord America.
Questa forte contrazione dell'utilizzo di prodotti raffinati in Italia, come dicevo, è causata in parte dalla crisi economica, in parte dal fatto che non tutte le raffinerie


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nei momenti opportuni hanno effettuato i necessari investimenti per rinnovare gli impianti e restare al passo con le necessità del commercio, dell'industria e del settore dei trasporti che prevalentemente utilizza i raffinati. Molte raffinerie italiane presentano quello che si definisce un basso tasso di conversione: producono pochi prodotti leggeri, come il gasolio, e troppa benzina rispetto alle esigenze del mercato e, soprattutto, producono ancora un'elevata quantità di oli combustibili.
Venezia, per esempio, è uno di quegli impianti che produce ancora molte benzine e una percentuale troppo alta di oli combustibili. Al momento opportuno, cioè prima del 2007, quando le condizioni economiche erano diverse, non sono stati compiuti investimenti per installare impianti, come l'idro-crack, che consentissero di raggiungere almeno l'80 per cento di produzione di gasolio e azzerare la produzione di oli combustibili. In quasi tutte le raffinerie questo non è stato fatto. In alcune, come Sannazzaro, Gela (a suo modo) e Mantova, una piccola raffineria che si è impegnata, si è investito, ma tante altre si trovano nelle condizioni che ho descritto.
Ciò determina due problemi per il settore della raffinazione. In primo luogo, l'impianto è sottoutilizzato, quindi i costi marginali della produzione aumentano. In secondo luogo, i margini di raffinazione, soprattutto per gli impianti che producono prodotti difficilmente vendibili sul mercato o che devono essere portati ad altra raffineria per completare il ciclo, si abbassano. Da quanto abbiamo letto e da quanto ci dicono le aziende, il mese di settembre si è concluso addirittura in negativo. Avere i margini in negativo significa che il prezzo del greggio è superiore al valore del raffinato. Questo, per esempio, ha determinato la situazione di Venezia.
Come dicevo, il primo problema è che una quota di prodotti raffinati viene importata.

PRESIDENTE. Le vorrei porre una domanda. L'impianto di Venezia per buona parte è di proprietà dello Stato e lei ci sta spiegando che molto spesso risulta più conveniente acquistare all'estero che raffinare in Italia. Secondo lei la mancata riconversione delle raffinerie per un utilizzo migliore è più diffusa nelle aziende a partecipazione statale o in quelle private?

GABRIELE VALERI, Segretario nazionale della Filctem-CGIL. È presente in eguale misura.
L'impianto ENI di Sannazzaro, per esempio, è all'avanguardia; stanno completando l'installazione dell'impianto del progetto EST (Eni Slurry Technology), che eliminerà la produzione di oli combustibili e di altri prodotti invendibili. Lo stabilimento di Taranto è abbastanza moderno e Gela, pur essendo vecchio, è un impianto ad alta conversione: ha costi operativi alti perché è molto complesso, ma raffina anche il fango!
Livorno e Venezia, invece, sono rimasti «al palo». Venezia ha subito anche i ritardi del sistema dei permessi. Nel 2007, infatti, c'era un progetto che riguardava quell'impianto, ma i permessi sono arrivati solo ad aprile di quest'anno, quando ormai la situazione era compromessa. È un nodo che deve essere affrontato perché il mercato del Nordest assorbe una quantità di prodotti raffinati molto superiore alla produzione di Venezia.
La seconda questione riguarda la tracciabilità del prodotto. Non ha senso che nell'area UE ci siano vincoli ambientali e di sicurezza, ma contestualmente si incentivi l'acquisto di raffinati provenienti dalle raffinerie dell'Est europeo o addirittura dell'India, dove sono applicate normative che implicano costi di produzione ben diversi. A nostro modo di vedere è un problema di tracciabilità del prodotto.
In termini di produzione di CO2, di ossidi di zolfo eccetera, l'utilizzo di quei prodotti può provocare un doppio danno: mortificare l'asset industriale di un Paese che è attento a queste condizioni e favorire l'inquinamento, anche se riguarda altro luogo. Credo, pertanto, che in ambito italiano ed europeo si dovrebbe cercare di introdurre un meccanismo di tracciabilità.


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PRESIDENTE. È un problema di carattere generale.

GABRIELE VALERI, Segretario nazionale della Filctem-CGIL. Sì ed è un punto importante.
Gli imprenditori hanno l'opportunità di aggirare le regole perché non esiste un meccanismo conseguente alle scelte che si operano sul piano della sicurezza e della tutela dell'ambiente e del territorio.
Mi avvio rapidamente alla conclusione. Il mercato tende a un lieve declino per diversi motivi. Da un lato, si privilegia l'utilizzo del gas naturale per la produzione di energia elettrica, ed è ovvio che sia così perché è più conveniente sotto tanti punti di vista sia ambientali sia economici; dall'altro, l'utilizzo dei raffinati è sempre più ristretto al comparto dell'autotrazione che sta attraversando una fase di riorganizzazione in vista dell'utilizzo di mezzi di trasporto che inquinino e consumino di meno. Tutte le proiezioni, che senza dubbio conoscerete e avrete modo di verificare, presentano nel prossimo ventennio un sostanziale aumento dei mezzi di trasporto con un costante o leggermente inferiore utilizzo dei derivati del petrolio.
In questa situazione, la nostra richiesta è che il Parlamento inquadri la questione della raffinazione nell'ambito di un asset industriale che deve essere assolutamente tutelato e mantenuto a livello nazionale, perché consente, da una parte, di acquisire il greggio, voce che grava sulla bilancia dei pagamenti, dall'altra, attraverso la vendita dei raffinati - gran parte dei quali finora è stata esportata - di migliorare la situazione di crisi del settore della raffinazione. Si tratta, quindi, a nostro giudizio, di un asset che dovrebbe essere conservato dal lato sia della produzione interna sia dell'esportazione. Per far questo occorre programmare un intervento tanto sulle leve fiscali che agiscono nel settore, quanto sui meccanismi di semplificazione del sistema dei permessi e sui sistemi di integrazione delle attività produttive all'interno dei siti delle raffinerie. Nei siti delle raffinerie, infatti, sono in funzione centrali di produzione elettrica che servono le raffinerie e che sono per lo più da riconvertire (da qualche parte è già stato fatto) perché funzionano a olio combustibile. Dalla riconversione si possono ottenere forti integrazioni fra l'attività produttiva della raffineria e la produzione di energia elettrica all'interno di un sito facilmente controllabile dall'ARPA, contrariamente alla produzione di energia elettrica concentrata e diffusa presso i vari produttori sparsi per il Paese. Si avrebbero, quindi, integrazione, riduzione dei costi e maggior controllo ambientale.
La riconversione delle centrali elettriche all'interno delle raffinerie dovrebbe essere favorita per passare dall'utilizzo dell'olio combustibile, per la generazione del power, all'utilizzo dei gas di raffineria nei cicli combinati, con tutto ciò che questo comporterebbe in termini di risparmio di risorse e di minor inquinamento.
Per quanto riguarda la scelta della dimensione, si tratta di una scelta dolorosa in alcuni casi, ma in grado di favorire gli investimenti per l'ammodernamento degli impianti, nell'ottica di un ragionamento complessivo su dimensione, investimento e semplificazione del sistema dei permessi, il terzo punto su cui intervenire.
La nostra proposta è quella di semplificare i meccanismi dei permessi attualmente necessari e stabilire un percorso agevolato per i siti dove si concentrano gli investimenti e si ammodernano gli impianti e si attendono le autorizzazioni.

PRESIDENTE. Ringrazio Gabriele Valeri.
Pregherei i colleghi di CISL e UIL di entrare rapidamente nel merito delle questioni che intendono sottoporre all'attenzione della Commissione.

SERGIO GIGLI, Segretario generale della Femca-CISL. Certamente ci sono delle questioni specifiche da porre.
Io credo che intanto dovremmo essere realisti. È un problema che non si risolve perché, se è vero che nei prossimi tre o quattro anni è prevista solo in Italia la


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circolazione di auto elettriche per circa 2 milioni di unità, voi capite che il problema è reale.
La crisi ha cambiato la nostra testa e ha fatto sviluppare le tecnologie e la ricerca. Ciò è positivo perché i motori prodotti oggi sono sicuramente a più basso consumo. C'è, quindi, grande attenzione da parte del mercato all'acquisto di automobili che abbiano queste caratteristiche. In più, bisogna tener conto che buona parte dei 105 milioni di tonnellate di produzione citate dal collega finivano negli Stati Uniti. Tra poco negli Stati Uniti vedremo circolare - ce lo auguriamo - le «500» della Fiat e non più i SUV.
Questo ci fa pensare che nel nostro Paese ci siano 20 milioni di tonnellate di prodotto in eccesso. Per la dimensione delle raffinerie italiane, ciò significa una possibilità di chiusura di almeno quattro o cinque siti. Si deve intervenire, come è stato detto, cercando capire che cosa si potrà fare di quegli insediamenti industriali. Dove c'è stata una raffineria è complicato pensare di realizzare un asilo, un albergo o una piscina. Non si potrà fare per i prossimi cento anni. E non tutti hanno le stesse opportunità che ha Tamoil che, con il parco serbatoi e quindi la possibilità di stoccare il prodotto finito, non ha necessità di bonificare.
Questo è un punto importante. Dobbiamo tener conto che nei prossimi mesi potranno cessare alcune attività. Pertanto, dovremmo pensare a strumenti alternativi a quelle produzioni che si possono già realizzare perché vi sono gli impianti di cogenerazione. Siccome il nucleare in Italia non ci sarà mai, penso che, anziché costruire nuovi impianti e nuove centrali che i cittadini non vogliono, potrebbero essere individuati alcuni siti, qualora si dovesse arrivare alla loro dismissione, al fine di soddisfare il fabbisogno elettrico del nostro Paese.
Ci sono altre due questioni. Si stima che negli ultimi due anni il sistema abbia perso 2 miliardi, mentre prima era straricco, tanto che si diceva di non fumare vicino ai petrolieri per non rischiare di prendere fuoco. In realtà, la crisi ne ha accorciato la vita perché il sistema di raffinazione italiano è costretto, per effetto della situazione attuale e del costo dei trasporti, a comprare il brent, che costa ben più degli 88-90 dollari che sentiamo citare tutte le mattine alla radio. Siamo oltre i 100 dollari.
In più, la situazione di chiusura e restrizione del mercato ha azzerato il delta di costo legato ai petroli più difficili da lavorare. Il petrolio sabbioso e bituminoso prima costava poco e presentava un differenziale di prezzo che permetteva ad alcune realtà, come Gela o altre raffinerie ad alta capacità di conversione, di lavorare il prodotto con margini piuttosto consistenti. Oggi il differenziale di prezzo è chiuso.
Da ultimo, vi è la questione di ENI. Avere una multinazionale importante come ENI, dove il controllo dello Stato è piuttosto significativo, è un'opportunità. È dura sentirsi dire che tutti i margini che ENI ricava - il bilancio di quest'anno chiuderà con 8 miliardi di utile al netto delle tasse - derivano solo delle lavorazioni all'estero. Penso che bisognerebbe sbloccare tale situazione e cercare di risolvere alcuni problemi. Mi riferisco ai giacimenti di Ortona, ai giacimenti che potrebbero essere meglio utilizzati in Val d'Agri, ai giacimenti al largo della Calabria e soprattutto ai giacimenti di gas della laguna veneta. Sull'altra sponda, infatti, Eni sta estraendo il gas. Da questo punto di vista credo che serva un aiuto al sistema per mantenerne la strategicità. Non possiamo pensare di dover dipendere anche dalle benzine provenienti dall'estero.
Occorrerebbe un lavoro coordinato che permetta al sistema, seppur razionalizzato, di resistere alla crisi in atto e di rimanere sicuro come è stato fino adesso.

AUGUSTO PASCUCCI, Segretario generale della Uilcem-UIL. Penso di poter aggiungere ulteriori elementi al dibattito fin qui svoltosi.
È chiaro che ci troviamo di fronte a un settore primario che va inquadrato in una visione di complessità piuttosto elevata. È un settore traino per molte filiere industriali,


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in special modo a valle, perché i prodotti della raffinazione non sono destinati soltanto all'autotrasporto, ma sono anche materie prime per produttori e trasformatori del settore secondario. Pensiamo a tutte le plastiche che oggi circolano e fanno parte degli oggetti della nostra vita quotidiana e pensiamo che, essendo noi un Paese manifatturiero, abbiamo bisogno di semilavorati e materie prime da mettere a disposizione in una forma di approvvigionamento che sia vicina al mercato. Una raffineria produce per circa il 40-50 per cento distillati leggeri e idrocarburi. La restante produzione si trasforma in prodotti in alcuni casi a elevato valore aggiunto e specialities. In questo quadro, la crisi ha innescato una sovracapacità produttiva. Se andamento e riposizionamento dei consumi, che oggi sono più bassi del 15 per cento rispetto al periodo ante-crisi, rimarranno costanti, è evidente che avremo un problema industriale in un asset strategico per il Paese. Dobbiamo, quindi, cominciare a parlare di approvvigionamento strategico e di rifornimento di semilavorati intermedi come materie prime per i nostri trasformatori.
Non dimentichiamo che siamo la seconda manifattura in Europa e che il PIL della Lombardia è superiore, per esempio, a quello della Svezia. Le nostre dimensioni ci inducono a ritenere che lo scenario che abbiamo di fronte non potrà essere definito in una proiezione a cinque o a dieci anni perché non sappiamo se effettivamente la riduzione dei consumi si manterrà costante.
I miei colleghi hanno parlato di un effetto sostituzione. Ci sono nuovi consumi che si stanno inserendo nei nostri comportamenti quotidiani. Li stiamo sperimentando, ma essi non giustificano la convivenza tra produzioni appartenenti ad attività industriali del secondo del millennio, del Novecento, e una visione di industria ecologica o eco-sostenibile, con fonti alternative a bassissimo impatto ambientale e con bassi costi normativi per le ridotte emissioni in atmosfera di CO2 o altri elementi inquinanti. Sono scenari abbastanza mobili e delicati.
Per affrontare lo scenario a breve termine, il sindacato ha prima di tutto stretto un accordo con il più grande produttore italiano di idrocarburi, ENI, che possiede cinque raffinerie e genera un terzo della produzione italiana. Con questo accordo, per esempio, ENI garantisce di sostenere le perdite fino al 2014, non chiudendo le raffinerie, ma fermandole tecnicamente per riequilibrare il bilancio tra costi di produzione e ricavi della vendita dei prodotti.
Altri sono i soggetti che potrebbero, invece, presentare conti in rosso e quindi determinare costi sociali. Si tratta soprattutto dei produttori italiani e stranieri che non hanno sottoscritto alcun impegno per tutelare il proprio patrimonio industriale e la propria capacità produttiva in un arco temporale di brevissimo periodo, che può essere lo stesso definito insieme a ENI. Nell'ambito di questo arco temporale scontiamo la crisi del settore. È chiaro, quindi, che il sindacato deve chiedere una definizione di crisi del settore per intervenire anche con normative ad hoc a sostegno dei costi sociali che possono derivare dalla crisi. Di solito, le crisi industriali non si presentano con un carattere e un profilo definiti. Ci mettono nella condizione di intervenire ed è la qualità dell'intervento che può modificare i possibili risultati che si registreranno negli scenari a distanza di cinque o dieci anni.
Nel frattempo, però, se altri produttori, diversi da ENI, dovessero decidere di non sostenere più le perdite, ci troveremmo di fronte alla chiusura di circa quattro raffinerie, pari a venti milioni tonnellate di produzione, per un totale di circa 1.500 addetti. Il problema occupazionale può essere, dunque, quantificato nell'ordine di questa cifra. Questi 1.500 addetti lavorano in quattro raffinerie che producono quelle venti milioni di tonnellate che sono dichiarate eccedenti oggi, ma che non sappiamo se saranno eccedenti domani. Esistono normative che anche in passato hanno accompagnato fasi delicate e piuttosto indeterminate come quella attuale.
Un altro tema è quello dell'impatto ambientale. Come è stato ricordato, Cremona


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rappresenta un problema di costo sociale da cui non si ricava assolutamente nulla. I costi per la collettività sono i maggiori oneri indiretti che gli enti locali - se non addirittura il livello nazionale - ricaricano sui contribuenti di quelle aree per sostenere l'impoverimento del patrimonio naturale del sito.
Dal punto di vista dell'impatto ambientale occorre fare riferimento alla normativa con la quale sono stati definiti i 54 siti di interesse nazionale regolamentati da norme ad hoc. Ciò potrebbe anche favorire la crescita di settori industriali «a valle» di queste grandi imprese, come per esempio servizi ambientali e servizi di bonifica ambientale. Inoltre, tra le imprese energetiche vi sono sia le imprese petrolifere sia quelle di produzione di energia, in questo caso elettrica, con situazioni analoghe dal punto di vista economico, ma differenti dal punto di vista normativo. Per esempio, nel settore elettrico, ENEL ha stipulato con lo Stato, attraverso una legislazione ad hoc, un accordo in cui si parla di economic capacity. Grazie a questo accordo, molte centrali di produzione elettrica di ENEL sono ferme, ma ENEL non licenzia nessuno e non chiude le centrali.
Noi crediamo che questo tipo di normativa, in un breve arco di tempo, prima di operare scelte definitive, possa essere applicata anche a favore del settore petrolifero. Stante il quadro attuale, non tutti compiranno la stessa scelta sul mercato e chi oggi sostiene i costi può far chiudere altri produttori europei. Inoltre, il carattere esportatore delle produzioni italiane potrà soddisfare la domanda europea, perché Shell, Tamoil, Total, Chevron, Repsol chiuderanno e, in alcuni casi, le loro raffinerie sono già ferme.
Possiamo, pertanto, ritenere che in questo scenario piuttosto mobile, adottando normative ad hoc ed equiparando il settore energetico della raffinazione al settore della produzione di energia elettrica, riusciremo ad affrontare sia i problemi occupazionali sia i problemi di tenuta di un settore industriale che ha una propria strategicità.
A valle del concetto di economic capacity, bisogna definire il perimetro delle raffinerie di cui questo Paese non può fare a meno, e non tutte sono raffinerie riconducibili a un produttore nazionale. Anzi, la raffineria più grande, quella che oggi forse sta perdendo di più ed è meno redditizia, è la SARAS in Sardegna. Il produttore è nazionale, ma ha soltanto quell'asset. Difenderlo in questo momento significherebbe perdere, tanto più che forse l'azionista non ha spalle grandi come ENI la quale, essendo più verticalizzata a monte, può accedere a risorse primarie per ottimizzare il ricavo marginale, che oggi è scomparso per effetto del dumping, come hanno ricordato i miei colleghi.
Anche il fattore della definizione del perimetro strategico delle raffinerie va affrontato nella fase attuale. Questa indagine conoscitiva può cominciare a definire cosa ci serve, cosa ci servirà, cosa possiamo fare adesso, cosa dovremmo fare domani e in che modo possiamo accompagnare l'esodo occupazionale con le stesse garanzie del passato.
Se questi elementi potranno aiutarvi a ragionare e a promuovere proposte ad hoc per sostenere la strategicità del settore e quindi tutelare uno dei patrimoni industriali di questo Paese, riterremo di aver svolto insieme a voi un ottimo lavoro.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ALBERTO TORAZZI. Ho ascoltato tutti gli interventi e mi pare di aver colto la necessità di effettuare grandi investimenti per la riconversione di alcuni impianti. Io peraltro conosco bene il quadro degli investimenti che sarebbero stati necessari per Tamoil e che ovviamente non si sono potuti fare.
Oltre a tale profilo, è emerso che, senza il nucleare, le auto elettriche avranno comunque bisogno di energia e quindi tali aspetti si potrebbero affrontare congiuntamente, ma sempre a patto che si vogliano fare investimenti.
Vengo alla mia domanda. Mi pare di capire che, alla luce del quadro che ci


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avete illustrato, il mantenimento del controllo pubblico su ENI sia imprescindibile. Siccome ci troviamo in una situazione molto difficile, diverse fonti parlano di possibile privatizzazione. Non è il caso della mia parte politica perché noi riteniamo che non sarebbe una scelta intelligente anche dal punto di vista dei risparmi tra interessi e dividendi.
Vorrei, però, avere da voi la conferma circa il fatto che non sarebbe opportuno privatizzare o indebolire ENI attraverso uno scorporo.

LUDOVICO VICO. Vorrei intanto esprimere un apprezzamento per le informazioni che ci sono state rese in questa sede.
Se tali informazioni saranno accompagnate successivamente anche da una ulteriore documentazione di dettaglio rispetto alla situazione specifica dei siti operativi, ai lavoratori che vi operano e anche a alla rete dell'indotto, delle forniture e subforniture e dei trasporti, questo quadro sarebbe molto utile e importante per le finalità che la nostra indagine si prefigge.
Le domande che desidero porre sono le seguenti. Per prima cosa, mi è sembrato che i tre sindacati confederali abbiano escluso, nella loro valutazione, l'eventuale incidenza di fattori di natura internazionale, per esempio la vicenda libica. Vorrei sapere se, nella situazione più recente, anche la vicenda libica stato abbia rappresentato un fattore parzialmente congiunturale relativamente all'arrivo di petrolio nel nostro Paese e alla tenuta dell'asset rappresentato dalle sedici raffinerie. Una vostra opinione in tal senso sarebbe anche utile perché nel prosieguo dell'indagine incontreremo i player più significativi impegnati nella raffinazione.
Dal punto di vista del quadro industriale che ci offrite avete presentato, che come è ovvio merita un riscontro, alcuni impianti di raffinazione potrebbero essere destinati a chiudere in un tempo medio-lungo. Non mi riferisco a Venezia, dove invece la congiuntura andava e andrà risolta e dove l'assenza di investimenti tecnologici in questi anni, peraltro, conferma quanto ci avete detto.
Prefigurando che un numero ridotto di impianti possa essere definitivamente chiuso, avete già immaginato quali potrebbero essere i processi di riconversione? Perché non diventino aree da bonificare per un'eternità, cosa si potrà fare dei processi industriali più avanzati e di determinati impianti? I cracking saranno smontati e rottamati o spostati in qualche Paese extracomunitario, come pensa qualcuno?
Vorrei sapere cosa ne pensano i sindacati dei lavoratori, per il ruolo e la funzione che hanno sempre svolto nel Paese.

GABRIELE CIMADORO. Bisognerebbe chiederlo anche ai titolari degli impianti.

LUDOVICO VICO. Lo chiederemo anche a loro, ma sarebbe interessante conoscere l'opinione dei sindacati dei lavoratori a proposito di aree che potrebbero rendersi disponibili, seppure a medio-lungo termine, per nuove funzioni.
La richiesta che ci avete posto è interessante e mi sembra che non sia attivata in alcun impianto, nemmeno nei più avanzati tecnologicamente. Le centrali in genere non ricorrono ai gas degli impianti per entrare in funzione. Ritengo che questa sia una questione molto importante per l'indagine che stiamo svolgendo. Tra l'altro, mi pare che ENI Power a Taranto realizzi una centrale senza le caratteristiche che voi proponete, forse sarà l'ultima centrale in corso rispetto ai processi nel loro complesso. Probabilmente qualche ulteriore indicazione relativa agli impianti in grado di reggere nel medio-lungo periodo sarebbe utile.
A Tempa Rossa si renderanno disponibili 50.000 barili l'anno dal 2015, sommati ai 100.000 di Val d'Agri. Ma quella estrazione a quali raffinerie è destinata, dato che i depositi passano per Taranto? Dagli atti non risulterebbe ancora che la destinazione sia la Turchia. Stiamo svolgendo un'indagine conoscitiva; io ho questa informazione come i sindacati, ma non è scritto da nessuna parte.
Poiché è in atto un processo di razionalizzazione e di ristrutturazione delle


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raffinerie attualmente in funzione, in particolare quelle di ENI, sarebbe utile conoscere la vostra opinione sulla destinazione finale dell'intero processo produttivo.
Come gruppo del Partito Democratico, sulla chimica in generale e quindi sulla raffinazione, abbiamo in più occasioni ribadito di essere perfettamente d'accordo sulla necessità di sollecitare l'Unione europea in materia di tracciabilità, e vorrei confermarlo anche in questa sede. Pensiamo che sia una misura non antidumping, come potrebbe apparire nella sua enunciazione, ma di coerenza fra produzione, raffinazione ed ecocompatibilità e rappresenterebbe una condizione di sostenibilità. Lo abbiamo ribadito sia in occasione degli ultimi convegni sia nel programma del Partito Democratico.
È una delle tante questioni su cui voi ci sollecitate e lo apprezziamo.

ANNA TERESA FORMISANO. Nell'associarmi ai ringraziamenti del collega Vico nonché ad alcune sue considerazioni che sottoscrivo e condivido, vorrei porre una domanda e svolgere una breve riflessione.
Alla luce delle vostre informazioni e dal momento che in questa serie di audizioni incontreremo anche i responsabili degli impianti, avete un'idea di quale potrebbe essere una seria proposta operativa che la politica potrebbe portare avanti sulla base delle vostre esigenze e considerazioni quotidiane e della situazione che ci troveremo davanti domani?
Come capogruppo dell'UdCpTP in questa Commissione, credo che in un momento come questo la responsabilità debba prevalere. Parliamo di investimenti, ma anche di posti di lavoro e di una crisi che non interessa solo questo settore. In questa Commissione la crisi l'abbiamo vissuta tutta, dal vostro settore fino all'ultimo dei comparti imprenditoriali, e purtroppo ogni giorno c'è una notizia non buona.
La mia domanda è anche una richiesta. Siete in grado di fornire a noi componenti di questa Commissione elementi che possano essere di stimolo e di aiuto a monitorare e salvaguardare le necessità complessive del sistema Paese?

GABRIELE CIMADORO. Come diceva l'onorevole Formisano, in questa Commissione abbiamo incontrato tutti e probabilmente abbiamo visto la crisi prima di Berlusconi.
Oltre alle domande tecniche, mi pare giusto fare anche considerazioni politiche perché stiamo parlando di migliaia di posti di lavoro che vanno persi senza che arrivi mai una risposta. Dall'inizio della legislatura chiediamo un Piano energetico nazionale, di cui anche questo settore fa parte, ma non è ancora stato approvato e il Governo non ha mai risposto alle nostre sollecitazioni.
Capiamo le difficoltà e condividiamo molti dei punti sollevati dai tre sindacati. È anche vero che in questa vicenda deve intervenire la controparte. La proprietà dovrà fare qualcosa rispetto al piano, che voi avete proposto, di assistenza totale e di accompagnamento delle maestranze a pensione o a fine lavoro.
La possibilità che da qui a breve circolino 2-3 milioni di auto elettriche e che vi saranno meno raffinerie in funzione credo che sia di là da venire perché per avere un mercato di auto elettriche il Governo dovrebbe investire. La Commissione Attività produttive insieme alla Commissione Trasporti, sta esaminando proposte di legge che incentivano l'acquisto di auto elettriche. Tuttavia, se sarà approvata avere ottenuto adeguate risorse non otterrà niente alcun effetto. Poiché il prodotto è di alto costo, servirebbero finanziamenti per incentivare l'acquisto di auto elettriche. Il Nord Europa l'ha già fatto, ma noi rimarremo al palo come al solito. Questa prospettiva, quindi, non si realizzerà.
Ritengo che la proprietà debba essere coinvolta anche per la bonifica e per l'ambiente. Se per decenni si è sfruttato un sito, credo che qualche responsabilità per il recupero del sito medesimo si debba prevedere. I programmi e le prospettive di sviluppo arriveranno gradualmente ma, a mio avviso, la proprietà degli impianti dovrà rispondere in toto dell'inquinamento ambientale prodotto.


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Voi siete in crisi come lo sono tutti gli altri settori produttivi a livello nazionale. La vostra situazione verrà affrontata volta per volta, cercando di concedere più ammortizzatori possibili e di sostenere il mercato e il prodotto. Ricordo che fino a vent'anni fa, quando ero ragazzo, si diceva che l'Italia era il più grande e il migliore raffinatore del mondo.
Spero che continui a esserlo nel rispetto dell'ambiente.

PRESIDENTE. Do ora la parola agli auditi per la replica che dovrebbe però essere breve. Ulteriori approfondimenti e risposte alle domande poste in questa sede potranno essere forniti anche per iscritto successivamente nella nota che potrete inviare alla Commissione.

AUGUSTO PASCUCCI, Segretario generale della Uilcem-UIL. Penso che cedere azioni di una società come ENI sia totalmente sbagliato non solo per la strategicità di quell'impresa, ma anche per le condizioni in cui versa il nostro sistema borsistico. Dal mio punto di vista, in questo momento non significherebbe vendere, ma svendere.
Fermo restando che ci impegniamo a inviare una nota scritta a tre mani, in modo che abbiate di fronte una posizione unitaria del sindacato, alcune questioni sono strettamente connesse. Se non si riuscirà ad approntare un piano energetico, non ne usciremo. Se le due grandi società che sono alla base del nostro sistema energetico, ENEL da un lato ed ENI dall'altro, non riusciranno a trovare una sinergia, la situazione si complicherà.
Io penso che in Italia, per esempio, bisognerebbe realizzare i rigassificatori per sfruttare fonti energetiche alternative a minor costo e uscire dalla gabbia dell'unico fornitore. Questo è un primo problema. Il secondo è che ENEL sta progettando centrali elettriche. Qualora la prospettiva, come temo, sia quella che vi abbiamo illustrato, se chiudesse la Saras di Moratti verrebbero meno l'attività di due raffinerie. Ma se chiudessero impianti da 4 o 4,5 milioni di tonnellate, verrebbe meno l'attività di 4 o 5 stabilimenti.
Da questo punto di vista, dobbiamo avere la capacità di dirigere il nostro sistema energetico e farlo convergere. Costruire una centrale a Porto Tolle piuttosto che a Civitavecchia forse è più complicato che realizzarla a Marghera, Livorno o Taranto (solo per citare dei nomi). Questo è lo scenario che prevedo.
Sull'altro fronte è importante la tracciabilità. Io per la verità non vedo tante navi cinesi che portano benzina in Italia e non mi pare che i nostri porti siano affollati di prodotto finito. Tuttavia, sono completamente d'accordo con il mio collega sul fatto che bisogna sostenere una campagna per la tracciabilità dei prodotti, anche perché tale aspetto dovrebbe riverberarsi sul prezzo di vendita.
Credo che questo sia il quadro della situazione. Per quanto riguarda l'occupazione, sarei cauto perché i numeri sono ben più alti di quelli che ho sentito citare.

SERGIO GIGLI, Segretario generale della Femca-CISL. Non possiamo difendere la proprietà nazionale quando è strutturata in modo tale da essere sul mercato e oggetto di riflessione. Ricordiamoci che due anni è stata evidenziata per ENI la necessità di una scissione societaria per i business non profittevoli, cioè la chimica. Per la chimica abbiamo trovato una soluzione «verde», a bassissimo impatto ambientale, per la realizzazione di nuovi materiali a Porto Torres. Per la raffinazione dobbiamo entrare nello stesso quadro.
Se ENI dovesse perdere redditività o dovesse essere scartata dagli investitori e dagli azionisti, dovremmo prendere necessariamente in considerazione le ragioni per cui il mercato potrebbe proporre la scissione societaria o la vendita di un asset completo, qual è la raffinazione. L'azionista di ENI dovrebbe ovviamente valutare come tutelarsi.
Dieci anni fa si operavano cessioni di rami non profittevoli dell'azienda madre. Oggi ENI possiede quattro divisioni che possono essere singolarmente gestite o singolarmente


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vendute. Tutelare la proprietà nazionale di una multinazionale per come è strutturata oggi è un rischio reale.
Serve un piano che ci permetta di salvaguardare le scelte di tutela che abbiamo sottoscritto con ENI, ma non con gli altri produttori.

GABRIELE VALERI, Segretario nazionale della Filctem-CGIL. Mi soffermerò rapidamente su due punti e poi faremo pervenire alla Commissione una memoria scritta.
Credo innanzitutto che in questo momento sarebbe sbagliato cedere o ridurre al di sotto della soglia di controllo la partecipazione dello Stato in ENI. L'assenza di progettazione nella politica energetica del Paese metterebbe a rischio un asset fondamentale che riguarda non soltanto la produzione dei raffinati, ma anche tutto il comparto dei prodotti petroliferi, senza dimenticare che ENI è la società che controlla SAIPEM e SNAM. Non credo che non si possa fare in assoluto, ma che in questo momento sarebbe estemporaneo e, data l'assenza di un progetto di politica energetica, sarebbe un errore.
Da ultimo, anche se le domande poste sono tutte interessantissime, voglio rispondere all'onorevole Vico che chiedeva se la vicenda libica abbia avuto influenza. L'ha avuta solo temporaneamente per Venezia perché quell'impianto, essendo vecchio, come dicevo prima, utilizza meglio i prodotti di alta qualità, com'è il petrolio libico.
Ma la ragione è soltanto questa.

LUDOVICO VICO. A proposito di ENI, noi saremmo solo per una separazione di SNAM Rete Gas.

GABRIELE VALERI, Segretario nazionale della Filctem-CGIL Se sarà lo Stato a controllare SNAM, va bene. Se sarà venduta a British Gas, no.

PRESIDENTE. Ringrazio i partecipanti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,10.

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