Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione X
3.
Martedì 10 gennaio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Manuela Dal Lago, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA CRISI DEL SETTORE DELLA RAFFINAZIONE IN ITALIA

Audizione di rappresentanti di ERG, IES e TAMOIL:

Dal Lago Manuela, Presidente ... 3 10 15 16 19
Carra Marco (PD) ... 13
Cimadoro Gabriele (IdV) ... 14
Fadda Paolo (PD) ... 14
Gullotta Antonino, Direttore di raffineria del gruppo IES-Italiana Energia e Servizi Spa ... 6 16
Luterotti Luca, Amministratore delegato del gruppo Tamoil Italia Spa ... 8 18 19
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD) ... 15
Pezzotta Savino (UdCpTP) ... 10 17
Pinelli Pier Francesco, Direttore Divisione Refining & Marketing del gruppo ERG ... 3 17 18
Torazzi Alberto (LNP) ... 11 16 18
Vico Ludovico (PD) ... 12 18
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 10 gennaio 2012


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MANUELA DAL LAGO

La seduta comincia alle 13,40.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di ERG, IES e TAMOIL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla crisi del settore della raffinazione in Italia, l'audizione di rappresentanti di ERG, IES e TAMOIL.
Ringrazio i nostri ospiti per la presenza e per la documentazione scritta inviata che è stata consegnata ai parlamentari.
Dal momento che hanno predisposto anche una relazione scritta, chiederei loro di essere molto sintetici, per poi lasciare spazio alle eventuali domande che i parlamentari vorranno porre e alle relative risposte.
Darei la parola a un rappresentante di ciascuna delle tre organizzazioni, perché ci illustri la situazione.

PIER FRANCESCO PINELLI, Direttore Divisione Refining & Marketing del gruppo ERG. Grazie presidente per l'invito. Cercherò di illustrarvi al meglio le motivazioni della crisi del settore della raffinazione e che cosa si possa fare per sostenere questo settore, utilizzando non più di dieci minuti, in maniera tale da lasciare spazio alle vostre domande.
In Italia nel settore dell'industria il gruppo ERG è attivo nella raffinazione costiera, downstream integrato, quindi raffinazione e vendita dei prodotti petroliferi, nelle fonti rinnovabili e nella produzione di energia elettrica.
A differenza di coloro che ritengono che la ERG sia solo un'azienda petrolifera, vorrei precisare che oggi è un gruppo che ha il 50 per cento della sua attività nel settore petrolifero e il 50 per cento in altre aree.
Dal punto di vista del tema che affrontiamo in questa sede, la raffinazione, vorrei precisare che il gruppo ERG possiede il 40 per cento di una grandissima raffineria in Sicilia, l'ISAB, la più grande raffineria del Mediterraneo, piuttosto ampia e complessa, e gestisce le altre attività di raffinazione e commercializzazione sul territorio italiano attraverso la joint venture TotalErg, di cui siamo azionisti al 51 per cento e di cui ho l'onore e l'onere di essere il presidente.
Dentro questa joint venture si trovano due raffinerie, la raffineria di Roma (a Pantano di Grano, vicino all'aeroporto e alla discarica), e una quota della raffineria di Trecate vicino Novara. Da queste premesse muove il nostro punto di vista, peraltro credo che nelle audizioni precedenti vi abbiano già ampiamente descritto le ragioni strutturali della crisi della raffinazione.
La prima causa è il fatto che ci sono troppe raffinerie nel mondo e quindi, poiché a partire dalla crisi del 2008 la


Pag. 4

domanda di prodotti petroliferi a livello mondiale è calata in maniera importante, mentre venivano costruite nuove raffinerie, molti di questi impianti lavorano poco o quasi non lavorano, volendo sintetizzare in maniera molto semplice.
Questo è un primo fenomeno molto importante, dopodiché le raffinerie sono realtà molto diverse tra loro, perché esistono raffinerie molto competitive e raffinerie meno competitive. Questo in parte dipende dalla tipologia dell'impianto, in parte dal posto in cui è situato. Da questo punto di vista, nasce un ulteriore problema per l'Europa e per l'Italia, perché in Europa abbiamo consumi calanti o che crescono molto meno e gli impianti più obsoleti, mentre in altri luoghi del mondo (segnatamente in India, Asia, Cina) abbiamo domande che crescono in maniera molto forte.
Nuove raffinerie sono state costruite dagli Stati, anche sovvenzionate dai Governi locali, e si registra un complesso di incentivazioni varie dal punto di vista sia fiscale sia di contributi, e condizioni di produzione tale per cui gli impianti non devono sottostare ai giusti vincoli normativi di carattere ambientale, sociale e di sicurezza che invece i nostri impianti devono rispettare.
Complessivamente la raffinazione d'Europa (e quella in Italia non fa eccezione) si trova a produrre benzina, gasolio, diesel che altre raffinerie sovvenzionate dai Governi e magari molto più moderne producono in altre zone del mondo e vengono portate via nave in Italia.
Questi sono i fenomeni di base, strutturali, e conoscete meglio di noi le previsioni di crescita del prodotto interno italiano ed europeo, al quale è connesso il consumo di prodotti petroliferi. Nei prossimi anni la situazione rimarrà simile a quella attuale. Bilanceranno l'incontro fra domanda e offerta l'incremento da domanda e la chiusura di impianti non competitivi. Il problema è che un largo numero di impianti non competitivi sono in Europa e in Italia.
Questo fa sì che il settore della raffinazione si trovi in grossa difficoltà e a nostro parere - questa dovrebbe essere una valutazione più politica che tecnica -, trattandosi di un settore che ha una valenza strategica importante, dipendere dall'estero non soltanto per l'import di greggio, ma anche per la possibilità di trasformarlo in prodotti utili all'Italia per far camminare le macchine, le navi, i camion e per tutti gli altri usi dei prodotti petroliferi comporta una rilevante vulnerabilità.
A pagina 4 della relazione che abbiamo consegnato, abbiamo riportato dei numeri. Di solito non si espongono i numeri di un'azienda, ma l'abbiamo fatto perché sono pubblici, in quanto i bilanci vengono pubblicati da ERG su base trimestrale, essendo l'azienda quotata in Borsa, e dentro il bilancio sono riportati i risultati della raffinazione.
Credo che i risultati della ERG siano indicativi di quanto è successo ai raffinatori italiani. A partire dal 2008, il settore ha cominciato a generare perdite molto importanti, dell'ordine di 100 milioni di euro l'anno per quanto riguarda la ERG. Se vi soffermate sul confronto fra 2009, 2010, 2011 e gli anni precedenti, per quanto riguarda i nostri numeri il dato ERG è un po' falsato perché a fine 2008 abbiamo venduto metà della nostra più grossa raffineria. Se non l'avessimo venduta, le perdite del 2009, 2010 e 2011 sarebbero state più che doppie rispetto a quelle qui riportate
Stiamo parlando quindi di un business che, se non avessimo venduto metà della nostra raffineria alla Lukoil, avrebbe bruciato 600 milioni di euro in tre anni, probabilmente causando il fallimento dell'intera azienda. Le stesse problematiche riguardano molti altri raffinatori.
A questo punto, completato il quadro del settore in maniera necessariamente sommaria, passerei ad illustrare i principali problemi che sottoponiamo alla vostra attenzione e gli interventi che proponiamo. Un problema importante, che ci vincola in modo rilevante, è dovuto al decentramento amministrativo delle competenze sull'energia, per cui ad oggi impianti complessi, complicati, strategici come una raffineria


Pag. 5

vengono gestiti a livello istituzionale locale alla stessa stregua di impianti di complessità completamente diversa come, per esempio, un impianto di depurazione delle acque.
Un secondo problema è quello che riguarda l'eccessiva lentezza nel rilascio di ogni autorizzazione, anche di quelle necessarie al rispetto in materia di impatto ambientale degli impianti. Al fine di rispettare il complesso delle norme ambientali dobbiamo garantire una certa tipologia di intervento sugli impianti di raffinazione, ma per ottenere i permessi occorrono due anni o, nel caso delle bonifiche con le amministrazioni precedenti, anche molti di più! Ovviamente c'è un problema di extraoneri sia di carattere fiscale che di carattere ambientale. Trattandosi di un settore produttivo che ci ha fatto perdere 600 milioni di euro, applicare il concetto di Robin tax è come minimo illogico, mentre dal punto di vista ambientale con l'introduzione dei biocarburanti, delle normative sulla riduzione delle emissioni di CO2 e di tante altre normative, il settore della raffinazione continuerà a dover sopportare una serie di costi aggiuntivi.
Non stiamo dicendo che non bisogna perseguire le giuste politiche di carattere ambientale, ma stiamo soltanto sottolineando l'esigenza di fare attenzione, laddove è possibile, a non inasprire il carico su questo settore in grande sofferenza. In questo quadro, alcune raffinerie dovranno chiudere, altre dovranno avere il coraggio di continuare a investire centinaia di milioni di euro, resistendo alla competitività a volte «drogata» del Far East.
Bisogna quindi creare un contesto che aiuti il settore a non scomparire, quindi a razionalizzare dove si deve razionalizzare e a investire dove si deve investire, in maniera tale da avere fra 3, 5, 8 o 10 anni, un sistema di raffinazione italiano che stia in piedi, dia lavoro, produca reddito, generi gettito fiscale, dia sicurezza di approvvigionamento al Paese in maniera stabile. Oggi, purtroppo, la situazione è ben diversa.
Per quanto riguarda il processo di razionalizzazione degli impianti, sarebbero d'aiuto il riconoscimento dello stato di crisi del settore, permettendo l'applicazione dei benefici giuslavoristici e amministrativo-fiscali in questi casi riconosciuti alle aziende del settore, con una semplificazione amministrativa non soltanto sui nuovi investimenti, ma anche sugli investimenti connessi alle riconversioni industriali.
Se infatti possiedo una raffineria, ma posso immaginare un piano alternativo per realizzare al suo posto un deposito petrolifero, oppure una centrale elettrica, e quindi trovare un investimento alternativo che generi occupazione e ricchezza nel territorio, certamente il fatto di impiegare 18 mesi o 3-4 anni per ottenere le autorizzazioni fa differenza.
Un altro intervento utile potrebbe essere il riaccentramento delle competenze e del potere decisionale a livello statale e, in tale ambito, sarebbe opportuno mettere in atto procedure ad hoc per la realizzazione dei nuovi impianti e delle modifiche.
Per quanto riguarda la defiscalizzazione, ho usato il termine «illogico» e lo ripeto. Nel settore della raffinazione un'azienda come la nostra che ha tre impianti di cui solo uno profittevole, mentre gli altri impianti complessivamente in perdita, prevedere un'imposta maggiorativa (Robin tax) al 10 per cento che grava proprio sull'impianto che genera profitti, è quantomeno poco logico.
Un terzo punto da affrontare riguarda gli extraoneri, e qui entriamo in alcune technicality che non vi sto a declinare. C'è un lavoro di elaborazione normativa in sede europea a cui partecipano i Ministeri competenti a livello europeo sull'emission trading, cioè sulla CO2 e sull'utilizzo dei biocarburanti su cui le istituzioni italiane hanno un ruolo importante. Sarebbe opportuno evitare che l'evoluzione della normativa penalizzasse ulteriormente il settore della raffinazione.
C'è un ultimo punto da sottolineare, perché tale lavoro di concertazione deve essere effettuato non soltanto a livello italiano, dove moltissimo si può fare, ma anche a livello europeo, perché il problema è soprattutto dell'Italia, che un


Pag. 6

tempo era il raffinatore d'Europa, mentre oggi hanno già chiuso numerose raffinerie. L'esigenza di concertazione è condivisa anche dal resto d'Europa ed è una questione molto sentita anche in Francia e in Gran Bretagna.
Si tratta di un settore che si sta positivamente riorganizzando in Spagna, meno in Germania, ma pongo ulteriori due temi alla vostra attenzione. Il primo, più evidente, anche se di non facile attuazione, consiste nell'individuare un sistema per cui un raffinatore localizzato in Asia, che non abbia alcun costo ambientale, debba in qualche modo dover compensare questo indebito vantaggio concorrenziale rispetto a un raffinatore che operi in Italia, nel centro del Mediterraneo, che spende svariati milioni di euro per rispettare i vincoli ambientali.
Un secondo tema più di dettaglio è illustrato nella memoria che vi abbiamo consegnato. Ritengo che molte cose si possano fare a livello italiano, ma che sia molto importante che il Governo e i Ministeri competenti si muovano in modo sinergico e concertato anche a livello comunitario, per valutare quali provvedimenti possano essere adottati a livello comunitario per aiutare questo settore.
Ovviamente siamo a vostra disposizione e a disposizione dei Ministeri competenti per supportarvi in questo lavoro per qualunque cosa di cui abbiate bisogno e vi ringraziamo per la vostra attenzione.

ANTONINO GULLOTTA, Direttore di raffineria del gruppo IES-Italiana Energia e Servizi Spa. Buongiorno a tutti e grazie per il tempo e l'attenzione che ci dedicate. Sono il direttore della raffineria IES, che è una società petrolifera integrata che importa il grezzo, lo raffina presso la raffineria di Mantova e lo distribuisce attraverso impianti propri o rivenditori.
La raffineria IES si trova alle porte di Mantova, quindi al centro della pianura padana, ha storicamente goduto del privilegio della posizione strategica nel cuore di un'area fortemente industrializzata. La raffineria continua a marciare a piena capacità, ma risente della crisi sistemica della raffinazione e della profittabilità negativa di cui soffrono tutte le raffinerie italiane ed europee.
IES è al 100 per cento di proprietà di un gruppo internazionale, il gruppo ungherese MOL, che ha acquistato la raffineria nel 2007 e vi ha investito negli ultimi tre anni più di 200 milioni di euro. L'acquisizione di IES da parte di MOL è avvenuta in un periodo definito storicamente il Golden age del refining, a fine 2006 e inizio 2007, in cui la profittabilità delle raffinerie in Europa era molto elevata, ma subito dopo l'acquisizione è intervenuta la crisi economica internazionale, che ha determinato un deterioramento dei margini di raffinazione.
Nonostante questo, MOL ha continuato a investire e, quindi, negli ultimi tre anni sono stati investiti 200 milioni di euro per ammodernare la raffineria, potenziarne gli impianti e aumentare la capacità di produrre i prodotti più richiesti dal mercato, diesel e benzina.
Questo è avvenuto a fronte di perdite notevoli, anche perché uno dei prodotti principali di questa raffineria, che prima era un punto di forza notevole, rappresentato dal bitume distribuito nelle vicinanze della raffineria nella pianura padana, ha subito un fortissimo calo della domanda e quindi un fortissimo deterioramento del prezzo, legato alla recessione o stagnazione economica.
Al calo della domanda ha corrisposto la diminuzione degli interventi pubblici di opere per ammodernamento e potenziamento della rete stradale e autostradale. IES si trova quindi in situazione di scarsissima, se non negativa profittabilità come tutte le raffinerie europee, ma in più sta soffrendo perché i prodotti che prima erano un punto di forza realizzati in maggiore percentuale dal grezzo hanno subìto più degli altri la diminuzione della valorizzazione sul mercato.
Non vorrei ripetere i concetti espressi con chiarezza dal collega della ERG sulla crisi sistemica, ma vorrei soltanto aggiungere un concetto che determina in maniera rilevante il fatto che tutte le raffinerie in Europa perdano tanti soldi.


Pag. 7


Il grezzo e i prodotti petroliferi sono quotati su mercati liberi, che sono simili ma non esattamente uguali, perché il mercato del grezzo è più globalizzato dei prodotti petroliferi, tirato dalla domanda dell'energia globale, che è in rallentamento, ma continua ad essere in crescita, ma è tirato fortemente anche dalla speculazione economica. Si utilizzano il grezzo e i features del grezzo per fare speculazione economica e questo distorce completamente la valorizzazione del grezzo.
I prodotti petroliferi vengono invece quotati con logiche di incontro fra domanda e offerta, in maniera non globalizzata come il grezzo, in quanto ci sono diversi mercati di riferimento, per cui l'Italia si trova ad acquistare un grezzo, le cui logiche di quotazione sono globalizzate e determinate anche dalla forte speculazione, e a rivendere prodotti sui mercati in cui la domanda è in forte stagnazione, se non in recessione.
Questo ha fatto sì che da metà 2007 - inizio 2008, come si può vedere a pag. 11 della nostra relazione, il margine di raffinazione lordo è repentinamente crollato, ed oggi per una raffineria del Mediterraneo di media complessità, quindi abbastanza moderna, che produce una forte percentuale di benzina e diesel, la profittabilità lorda della raffinazione è già negativa nell'ordine di circa 1 dollaro al barile. Una raffineria di media grandezza che raffina 100.000 barili perde quindi 100.000 dollari al giorno, che in un anno sono più di 36 milioni di dollari, quindi 25-28 milioni di euro all'anno.
Per quanto concerne la capacità di lavorazione, l'Italia storicamente era la raffinatrice d'Europa e quindi attualmente esiste una sovracapacità installata rispetto alla domanda italiana di energia. Questo ha fatto sì che molti impianti siano stati chiusi, altri ridimensionati quanto alla capacità di raffinazione e altri siano in fase di ristrutturazione.
Il paradosso è che la capacità di raffinazione europea è inferiore alla domanda di energia europea, per cui l'Europa è un importatore netto di prodotti provenienti dall'estero. Nonostante questo, si trova nella condizione di non processare il grezzo e di chiudere progressivamente, perché è più competitivo il prodotto raffinato in Paesi che non devono sostenere i costi per adeguarsi alle normative ambientali o che addirittura vengono incentivati alla raffinazione dai Governi nazionali piuttosto che raffinare in Europa.
Ci troviamo quindi nella situazione paradossale per cui l'Europa è costretta a chiudere impianti di raffinazione e a importare da quei Paesi prodotti che arrivano in Europa a un costo inferiore del costo di produzione della filiera europea.
Negli ultimi tre anni in Europa si sono persi quasi 3 milioni di barili al giorno di raffinazione. Questa chiusura non ha comportato alcun beneficio per quanto riguarda i margini di raffinazione, e sono in atto chiusure di impianti importanti. All'inizio dell'anno la società Petroplus, che era diventata negli ultimi anni l'operatore della raffinazione indipendente più importante a livello europeo, ha annunciato la chiusura di tre raffinerie (in Francia, in Svizzera e in Belgio). Le sue restanti raffinerie in Germania e in Inghilterra sono già al 50 per cento della capacità.
Qualora questa chiusura diventasse permanente, a detta dei principali analisti del settore non produrrebbe alcun beneficio per quanto riguarda la profittabilità della raffinazione in Europa, se non riusciremo ad arginare l'importazione di prodotti petroliferi dai Paesi del Medio Oriente o del Far East, i cui costi di produzione sono assolutamente inferiori a quelli europei.
Per quanto concerne le misure principali che possono dare sollievo all'industria della raffinazione a livello europeo e a livello italiano in cascata, riteniamo che ci debba essere la possibilità di porre un freno all'importazione di questi prodotti petroliferi e di rivedere i costi che gli operatori nazionali ed europei si trovano a sostenere per adeguarsi alle normative ambientali.
Si parla di Roadmap 2050, che prevede sino all'80 per cento di riduzione delle emissioni di CO2, ma sono obiettivi assolutamente


Pag. 8

realistici che non fanno altro che penalizzare sempre di più i raffinatori europei e favorire l'importazione dei prodotti raffinati nei Paesi in cui questi costi non esistono.
Per quanto riguarda la raffineria di Mantova, oltre a questi problemi sistemici, ci troviamo alle porte della città in un sito di interesse nazionale e quindi siamo giornalmente controllati da una miriade di enti che fanno il loro lavoro come l'ARPA, il Parco del Mincio, la provincia e il comune, enti che lavorano per migliorare la convivenza tra la raffineria e la comunità.
Si assiste però a un proliferare di raccomandazioni e prescrizioni di un certo ente, che magari sono in contrasto con le prescrizioni di un altro e richiedono interventi in tempi realistici, per cui ci si prefigge di realizzare in sei mesi impianti e lavori per 10 milioni di euro, per cui si devono chiedere autorizzazioni ad enti che impiegano diversi anni a rilasciare le autorizzazioni medesime.
Dobbiamo quindi rispettare le prescrizioni in tempi molto stringenti senza avere però la possibilità di ottenere il permesso per realizzare questi lavori. Chiediamo quindi una semplificazione a livello istituzionale e la creazione di un ente super partes, che possa dirimere eventuali controversie a livello locale tra i vari enti preposti al controllo della salubrità dell'aria e dell'impatto ambientale della raffineria.
Questo contesto istituzionale penalizza ancor di più le nostre operazioni ed è difficile da far capire all'azionista che viene dall'Est come il gruppo ungherese, che si trova di fronte ad una miriade di prescrizioni spesso non tecnicamente giustificabili.
Ci auguriamo dunque una semplificazione a livello normativo e amministrativo.

LUCA LUTEROTTI, Amministratore delegato del gruppo Tamoil Italia Spa. Credo che oggi la Tamoil, a differenza dei colleghi che hanno parlato prima, possa portare una testimonianza concreta.
Nel 2011 abbiamo dovuto chiudere la nostra raffineria a Cremona a causa di questa crisi strutturale e delle caratteristiche tipiche del nostro impianto. Come prima evidenziato dal collega della ERG, infatti, non tutte le raffinerie sono uguali.
Non vorrei ripetere la descrizione delle cause della crisi strutturale, però le accennerei solamente guardando all'Italia e al caso concreto. Oggi, in Italia abbiamo 15 raffinerie e un eccesso di produzione rispetto al consumo interno di circa 20 milioni di tonnellate, che corrisponde alla produzione di 5 raffinerie come quella che abbiamo dovuto chiudere, perché dal 2004 il consumo interno si è notevolmente ridotto. Non voglio prevedere scenari troppo foschi, ma inevitabilmente, come è già successo in passato, questo porterà a un riallineamento dell'offerta e della domanda.
Un altro importante fattore non sufficientemente sottolineato dagli interventi precedenti è che anche il mercato americano, che normalmente assorbiva buona parte della produzione di benzina dell'Italia e dell'Europa in genere, ultimamente non è venuto meno. Anche in America i consumi sono calati e quindi l'eccesso di benzina prodotto nel nostro Paese non ha più lo sbocco del mercato americano. A questo si aggiunga la concorrenza di nuovi Paesi come Cina e India, che hanno condizioni diverse. Viviamo in Italia, personalmente ho anche dei bambini ed è giusto avere delle normative che tutelino l'ambiente, però questi Paesi lavorano senza questi vincoli, con un costo della manodopera molto basso e con un iter velocissimo per ottenere i permessi per costruire raffinerie, giacché sono state costruite raffinerie enormi in pochissimo tempo.
Sul mercato interno, oltre ad avere un eccesso di produzione, arriva anche un prodotto che costa di meno produrre lì e trasportare in Italia - immaginiamoci quindi i loro costi di produzione! - e attacca anche quei mercati che prima assorbivano il nostro eccesso di produzione.
Veniamo alla nostra raffineria di Cremona. Avevamo anche le caratteristiche di


Pag. 9

un impianto a bassa complessità, ma sfortunatamente quello di Cremona non è l'unico caso con queste caratteristiche. La raffineria di Cremona produceva il 25 per cento di olio combustibile ma, da quando l'Italia ha convertito le centrali termoelettriche a gas metano, l'olio combustibile non è più richiesto, e quindi ad ogni barile di grezzo in raffineria al 25 per cento si produceva un prodotto che non era vendibile e che, anche qualora lo fosse stato, avrebbe avuto un prezzo di vendita inferiore al prezzo del grezzo, quindi per il 25 per cento era in perdita ancora prima di iniziare.
La raffineria di Cremona come quella di Mantova - auguro ai colleghi un futuro diverso - è collocata al centro dell'Italia e della pianura padana e senza sbocchi al mare. Per portare al mare l'olio combustibile in più e l'eccesso di benzina dovevamo quindi trasportarli sui treni o con le autobotti e portarlo fino al mare per esportarlo.
Spendendo diverse decine di milioni di euro, l'azionista ha anche provato a studiare un investimento diverso che riducesse la produzione di olio combustibile e abbiamo pertanto avviato il lungo iter dei permessi previsti, ma nel frattempo eliminare l'olio combustibile significava convertirlo in gasolio e in benzina, per cui si finiva per produrre più benzina e la difficoltà era esportarla perché l'America non è più in grado di assorbirla.
In questa situazione la Tamoil ha dismesso la raffineria nel 2011, ha partecipato alle discussioni presso il Ministero dello sviluppo economico, però l'azionista ha comunque convertito il sito della raffineria in un deposito sul quale sono stati fatti altri investimenti.
Il deposito è stato infatti collegato a un sistema di importazione (purtroppo non era possibile collegare la raffineria a un sistema di esportazione) di cui abbiamo comprato una quota, abbiamo fatto tutti gli interventi di sicurezza (antincendio, doppi fondi, pavimentazioni) necessari a fargli adottare gli standard di un moderno polo logistico.
Abbiamo raggiunto un accordo sociale con le organizzazioni sindacali, laddove l'impatto sociale è stato molto importante per una città come Cremona. Avevamo 270 dipendenti e siamo riusciti a ricollocarne 80, di cui 65 all'interno del gruppo, e per gli altri abbiamo attivato gli ammortizzatori sociali più una serie di iniziative come società di outplacement, incentivazione delle società che assumeranno lavoratori Tamoil oggi in cassa integrazione, e abbiamo avviato con le autorità locali un iter per la reindustrializzazione del sito in cui verranno dismessi gli impianti, che speriamo porterà ulteriore sviluppo.
Credo che l'azionista sia stato coraggioso nel compiere questa scelta piuttosto che una più drastica e radicale, e così la Tamoil ha potuto rinforzare la propria logistica e sostituirla alla produzione, assicurando la possibilità di rifornire i propri canali commerciali.
A questa Commissione vorrei quindi segnalare alcuni fatti. Senza spaventarci per la minaccia che arriva dalla Cina, dai Paesi asiatici e dall'India, anche solo guardando a un inevitabile riequilibrio della produzione e del consumo del mercato domestico, vorrei portare una testimonianza che riguarda quattro casi concreti di difficoltà relativi ad un'azienda che, presa la decisione di chiudere la raffineria, si trova a dover gestire questa situazione.
La raffineria è già un deposito e ha già i suoi serbatoi, per cui abbiamo solo tolto gli impianti, ma avevamo un'autorizzazione ad esercire la raffineria e c'è stato un momento in cui non raffinavamo più, non eravamo ancora deposito e in teoria eravamo senza autorizzazione. Riteniamo che sia necessario garantire un automatismo di queste procedure, perché poi ce l'abbiamo fatta, ma c'è stato un momento in cui si pensava di dover aspettare chissà quanto tempo per la nuova autorizzazione per poter esercire legittimamente il deposito, mentre non era più operativa l'autorizzazione relativa alla raffineria.
Per quanto riguarda i temi ambientali che stanno a cuore a tutti, segnalo che abbiamo un sito in sicurezza, in quanto non ci sono fonti attive di inquinamento,


Pag. 10

con macchinari che garantiscono la messa in sicurezza attivi, cioè barriere idrauliche che evitano che la sostanza contaminante oggi presente nel sito in cui sorgeva la raffineria defluisca fuori dal perimetro della raffineria.
Se un'azienda è disposta a smantellare gli impianti e a reindustrializzare l'area - che quindi rimane ad uso industriale, non dico se cambia destinazione d'uso perché in quel caso sicuramente bisogna bonificare -, se ci sono dei sistemi di sicurezza operativa, se l'azienda ha progetti di industrializzazione, sarebbe opportuno procedere mantenendo vivi i sistemi di messa in sicurezza già attivi. In caso contrario, i processi di bonifica durano dieci anni e si perde l'opportunità di fare investimenti su quell'area industriale da parte della società e di attrarre lavoro.
Nello scenario delineato dai miei colleghi che ha richiesto tantissimi investimenti, laddove è costato tanto chiudere la raffineria, credo che almeno le attività di reindustrializzazione sui siti di eventuali raffinerie dismesse dovrebbero essere oggetto di incentivi economici.
Vorrei infine sottolineare che a volte ci siamo trovati di fronte a difficoltà perché i regolamenti a livello nazionale sono in contraddizione con quelli a livello locale e regionale. Abbiamo, ad esempio, una caldaia che produce vapore, necessario per pulire gli impianti che manteniamo, e che finché operava sotto la raffineria aveva un limite di emissioni in atmosfera, ma quando abbiamo chiuso la raffineria, poiché ci serviva il vapore fino ad aprile per pulire gli impianti e per chiuderlo definitivamente, ci è stato detto che senza l'impianto operativo della raffineria si entrava nell'area di applicazione delle leggi regionali, che impongono emissioni in atmosfera diverse.
Ci è stato quindi suggerito di smantellare questa centrale, chiedere i permessi e costruirne una nuova da usare per quattro mesi prima di chiuderla. Fortunatamente, anche qui è stata trovata una soluzione l'ultimo giorno utile. Per aiutare il settore della raffinazione anche nel caso di società che intraprendono il difficile processo di chiusura di un sito, bisognerebbe tener presente anche queste difficoltà.
Credo, inoltre, che la raffineria sia collegata con le attività commerciali. Abbiamo smantellato una raffineria, l'abbiamo sostituita con la logistica per assicurarle attività commerciali, e credo che tutti siamo per una piena liberalizzazione equilibrata, ma con una certa preoccupazione leggiamo sulla stampa di prospettati interventi di cancellazione dell'esclusiva sulle stazioni di servizio con il marchio della società.
Se una società investe 2 milioni di euro per realizzare un impianto completamente a norma, con i serbatoi a doppia parete e l'impianto di acque reflue, e la dà in comodato gratuito a un soggetto che la gestisce, considero illogico sancire che questo soggetto possa comprare il prodotto da chi vuole.

PRESIDENTE. Credo che in seguito a quanto leggiamo sui giornali abbiamo bisogno di capire esattamente cosa verrà proposto per valutare cosa c'è di buono!
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

SAVINO PEZZOTTA. Ringrazio per le informazioni che ci sono state date e che ci aiutano ad avere le idee più chiare di quanto normalmente abbiamo leggendo sulla stampa, anche perché in questi tempi un po' di diffidenza è necessaria.
Avete affermato che fino al 2008 le cose sono andate bene e che non c'erano grossi problemi. Mi domando quindi come mai si sia giunti a sollevare una questione di emergenza solo adesso. Lo dico avendo letto le dichiarazioni dei vostri rappresentanti, non solo per quanto ci avete detto voi. La questione dalla raffinazione come problema dell'economia italiana in termini così emergenziali come voi li avete presentati mi sembra sia stata sollevata solo adesso, purtroppo - credo - tardi.
La seconda cosa che mi dovreste spiegare è molto più semplice e sta nelle vostre parole. Vorrei sapere se le grandi compagnie


Pag. 11

petrolifere preferiscano dedicarsi alla ricerca e all'estrazione piuttosto che investire sulla raffinazione nei Paesi occidentali, tanto c'è qualcuno che produce.
Questa è un'altra delle cose che non mi avete spiegato, perché è chiaro che grandi compagnie petrolifere guadagnano di più a fare l'estrazione e a far raffinare nei Paesi che non hanno le nostre stesse regole, ma tra la raffinazione e le grandi compagnie non c'è una netta separazione, per cui alcune responsabilità sono intrecciate e non ci si può lamentare di quello che avviene quando la scelta strategica della grande compagnia è orientata diversamente. Non essendo un esperto di settore, vorrei che mi spiegaste questo aspetto.
Credo che voi siate arrivati in ritardo in termini di programmazione industriale, di investimento, di razionalizzazione di ciò che c'era, e l'abbiate fatto sotto il peso dell'emergenza, per cui arriviamo in ritardo rispetto alla situazione che si è creata.
Sicuramente, come avete evidenziato, esistono responsabilità della politica, responsabilità degli enti locali sulle norme, responsabilità imprenditoriali chiare in questa vicenda. Dobbiamo fare autocritica per vedere come correggerle, ma le vedo in modo abbastanza chiaro. Ci sono quindi ritardi nell'apparato industriale della raffinazione rispetto ai cambiamenti che si dovevano prevedere ed che erano prevedibili.
Vorrei porre alcune domande sulle singole situazioni. Ho ascoltato con attenzione il rappresentante della Tamoil, vivo anch'io in Lombardia, non so cosa sia la Padania, ma conosco la Lombardia abbastanza bene. Vorrei capire come sia stata coperta la chiusura della raffineria di Cremona in termini di prodotto e come questa chiusura abbia contribuito a ridurre l'eccesso di offerta totale, per comprendere come questo si colleghi a tutti i discorsi sull'Europa.
Non avete affrontato la questione libica, perché a me risulta che abbiate qualche problema con la Libia, che è il nostro primo partner commerciale. Vorrei sapere quindi come la vicenda libica abbia influito sull'insieme del settore in questa fase, visto che c'è qualche problema.
Avrei voluto avere qualche informazione in più sulla situazione della ERG, sui piani di investimento e di razionalizzazione degli impianti e sulle ricadute occupazionali di questa razionalizzazione o modifica degli impianti.
Per quanto riguarda la IES, il controllo ungherese ogni tanto fa trasparire l'intenzione di andarsene e di trasferire altrove la propria attività. Siccome l'ho letto sui giornali, lo chiedo per avere chiarezza, giacché ogni tanto sembra che MOL voglia mollare gli impianti in Italia, e vorrei capire se questo corrisponda al vero.

ALBERTO TORAZZI. Vorrei rapidamente porre due domande, ma per porre una di tali questioni devo fare un piccolo preambolo. Credo che il più chiaro di tutti sia stato il rappresentante della IES, per gli altri due si è capito tra le righe che la ERG ha venduto mezza raffineria a Lukoil e anche dove vadano a finire questi soldi e, visto che qualcuno concede le licenze in maniera molto semplice e a costi inferiori, che si tende a delocalizzare e a pensare all'Europa come a un posto dove si vende ma non si produce.
Mi sembra di capire che questo sia il nodo principale. Presenterò dunque in questa Commissione una risoluzione sulla base di quello che ci avete detto, per chiedere al Governo di intervenire presso l'Unione europea, perché è scandaloso che qualcuno delocalizzi in Paesi in cui non ci sono controlli, inquinando il mondo in nome della globalità, della solidarietà, dell'umanità, e con questo sistema qualcuno faccia più utili, il mondo sia più inquinato, un altro perda il lavoro e noi si sia obbligati ad acquistare questi prodotti senza poter mettere dazi di sorta. Il caso di dumping ambientale e sociale appare evidente ed è veramente scandaloso.
Presenterò dunque questa risoluzione e vorrei sapere chi di voi sia interessato a questa battaglia e chi invece abbia già fatto una scelta strategica, per cui, visto che i poteri forti diminuiscono i posti di lavoro


Pag. 12

e ci fanno guadagnare di più con meno complicazioni, preferisca seguire la via degli speculatori della grande finanza.
Vorrei capire quindi se siate favorevoli a sostenere una campagna per introdurre limiti e controlli che tengano conto di questa situazione. Faccio presente che gli Stati Uniti sull'acciaio e su altri prodotti hanno introdotto norme severissime contro la Cina, l'ultima delle quali riguarda il dumping valutario.
Con riferimento a questo, devo dire a Tamoil che la ricostruzione è stata un po' agiografica, perché affermate di essere stati coraggiosi in quanto c'erano soluzioni più radicali, ma a me risulta che la situazione più radicale sia stata pensata subito, ma in seguito sia subentrata una serie di situazioni legali particolari, comprese le regole regionali.
Queste si possono «bypassare» definendo le norme transitorie, ma non si può ignorare che i cittadini respirino dei fumi e, se c'è una deroga specifica per qualcosa di strategico, è un conto, altrimenti le questioni cambiano. Queste norme in alcuni casi hanno intralciato, in altri sono servite a far sì che Tamoil diventasse più coraggiosa, mentre prima era più radicale.
Vorrei porvi un'ultima domanda sulla liberalizzazione. Vorrei che eventualmente ci faceste pervenire una vostra analisi più strutturata, perché è un argomento importante che il Parlamento dovrà trattare e credo che sia importante avere un vostro contributo più specifico in forma scritta. Vi ringrazio.

LUDOVICO VICO. Stiamo seguendo e ascoltando da più di un mese le singole compagnie, le singole imprese, la vostra associazione e cominciamo a farci un'idea della situazione.
C'è una serie di affermazioni - mi sembra di poter dire - largamente condivise, tipiche di una associazione come l'Unione petrolifera o un cartello, però c'è sempre un aspetto che non viene evidenziato con sufficiente chiarezza, dando per scontato che, come diceva l'onorevole Pezzotta, tutte le cose avvengano sempre pian piano nel bene e nel male, quindi sapevamo tutti come su questo pianeta si stessero sistemando tante cose.
Il punto a mio giudizio rilevante per avere una chiave di lettura utile ad immaginare il futuro della raffinazione nel nostro Paese è l'esistenza di una data con cui voi dovrete fare i conti, il 2020. Partirei da lì per una lettura che ci faccia capire che a quella data ci sarà un problema, rispetto al quale oggi ci separano solo 8 anni.
Al 2020 bisogna ridurre le emissioni di gas serra, e questo vi riguarda certamente. C'è chi è più avanti, chi è molto indietro e complessivamente non si raggiunge la sufficienza. In linea generale, gli investimenti sugli impianti sono stati molto sporadici negli ultimi dieci anni come anche gli interventi di mantenimento degli impianti in generale, alcune raffinerie hanno investito sull'energia. I grandi e i medi hanno investito in energia e non sugli impianti.
Qualche nuovo impianto è stato costruito perché c'era il problema di dover trasportare il petrolio nazionale da un punto all'altro, ma in ogni caso la situazione, a questo punto, ci è chiara.
Se quindi il problema è il 2020, che significa il 20 per cento in meno di emissioni, che vi riguarda come innovazione tecnologica degli impianti esistenti in Italia e in Europa, forse si può ragionare se questa sia la questione principale, perché anche quando ci fornite i dati come ha fatto anche l'Unione petrolifera siamo a 103-104 milioni di tonnellate.
Nel 2008, 2009 e 2010 mediamente c'è stata una produzione dell'84 per cento, 20-21 milioni in meno, ma nel 1990 gli impianti marciavano con tutte le raffinerie aperte, comprese anche quelle superinquinanti, a 84 milioni di tonnellate di petrolio raffinato.
Adesso abbiamo Cremona chiusa, Mestre sospesa, ERG e Lukoil hanno problemi con i lavoratori. Se abbiamo risolto i problemi, mi fa piacere e chiamerò i colleghi siciliani. Complessivamente, però, 27-28 milioni di tonnellate di petrolio raffinato sono state già messe nelle condizione di essere sottratte.


Pag. 13


Il problema quindi è la data del 2020, come si investe sugli impianti e quali impianti saranno in grado di reggere dal punto di vista dell'innovazione; non deve ripetersi quello che accade nel settore della siderurgia, dove ci si reca a Charleroi e si vende ai francesi e ai russi, poi i russi decidono di fare da loro e a Charleroi chiude l'impianto italiano che si era trasferito in Francia.
Il punto è capire se le grandi compagnie di raffinazione italiana, nelle forme che decideranno di intraprendere, saranno effettivamente competitive con il resto del mondo, perché sul versante del certificato - l'avevamo capito anche precedentemente ascoltando i vostri rappresentanti e i sindacati dei lavoratori, che ci hanno riferito un quadro di lettura autentico - del prodotto extraeuropeo si pone un problema, in quanto molti distributori italiani già vendono prodotti non certificati, dei quali non è regolamentata la circolazione.
Forse questo ci dovrebbe essere spiegato meglio, perché nel Consiglio europeo non abbiamo trovato traccia di interventi di questo genere ma, si tratta certamente di un altro elemento da tenere in conto sul quale sarebbe utile avere un ulteriore approfondimento.

MARCO CARRA. Qualche riflessione rapidissima e molto particolare. Desidero ovviamente riferirmi alla vicenda mantovana, quindi alla vicenda IES, ricollegandomi al quesito pertinente che l'onorevole Pezzotta ha avanzato ai rappresentanti di IES relativamente a chiacchiere che circolano negli ambienti politico-economici circa la permanenza degli ungheresi nel nostro territorio.
La domanda mi sembra pertinente anche se, stando alle parole che l'ingegnere Gullotta ci ha riportato, parrebbe davvero stravagante dopo che, da quando nel 2007 è arrivato in Italia ad oggi, MOL ha investito 200 milioni di euro, per cui la risposta a quel quesito dal mio punto di vista è già stata data. Considero importante però riaffermare questa intenzione da parte della proprietà in modo netto e inequivocabile in ragione del mantenimento di quel binomio apparentemente in contrasto, e cioè mantenimento della produttività e dell'occupazione da un lato e tutela e salvaguardia dell'ambiente dall'altro.
Se noi vogliamo tutelare questo binomio, è fondamentale che queste aziende restino sul territorio, vengano «facilitate» negli adempimenti cui devono assolvere per praticare le bonifiche loro richieste, e credo che questo ragionamento sia in netto contrasto con altre posizioni che emergono in alcuni ambienti politico-economici mantovani, in cui si teorizzano assolute idiozie relativamente alla delocalizzazione piuttosto che alla chiusura.
Si parla di delocalizzazione di impianti di questo tipo anche da parte di coloro che in altre sedi vorrebbero mettere le barriere, quindi siamo davvero al limite.
Considero quindi importante in questo contesto ricollegarsi al quesito formulato dall'onorevole Pezzotta, perché dobbiamo riaffermare l'esigenza di portare avanti il tema delle bonifiche, considerando quanto ci ha ricordato in merito a questa sovrapposizione di ruoli, competenze, problemi che in questi anni hanno determinato non dico il nulla ma il poco, sapendo peraltro che in questo ambito i fondi pubblici sono stati drasticamente tagliati per non dire azzerati nel corso di questi ultimi anni.
Da un lato, quindi, c'è questo grande tema, dall'altro, c'è un punto estremamente interessante: da mantovani non vorremmo trovarci nell'identica situazione cremonese, perché la IES rappresenta un elemento di ricchezza per il territorio e dobbiamo fare in modo che lo sia sempre più per l'occupazione diretta e indiretta che è in grado di garantire e per la ricchezza che è in grado di produrre.
Ribadisco però che questo binomio va tenuto insieme. Non credo che il contrasto tra tutela e salvaguardia della salute dell'ambiente e mantenimento dei livelli occupazionali non possa essere affrontato, risolto e superato. So che questo è un percorso stretto, su cui però le forze politiche riformiste si stanno cimentando con


Pag. 14

non poche difficoltà, ma sapendo che forse questa è l'unica strada per garantire che questo binomio stia insieme.

GABRIELE CIMADORO. In queste ultime audizioni abbiamo scoperto che i petrolieri, che ritenevamo una categoria di ricchissimi che producevano ricchezza a tutti i livelli, siccome controllano anche i raffinatori, sono i più poveri del mercato nazionale.
Come qualche collega vi ha anticipato, però, probabilmente qualche responsabilità è in capo anche a voi, che non siete stati attenti all'evoluzione e alle richieste del mercato che andava cambiando, nonostante aveste avuto negli anni la possibilità di capire che l'andamento del mercato si stava invertendo.
La politica ha avuto delle responsabilità, e tutti e tre avete detto che la burocrazia è uno dei mali peggiori per la vostra, come per tutte le attività, e voi vi inserite nel quadro generale, in cui fate la parte più importante, perché è vero che c'è una burocrazia abbastanza rigida, ma è anche vero che il vostro impianto potrebbe creare problemi, per cui deve esserci attenzione da parte del pubblico che controlla fino all'esasperazione. Vigilanza fino all'esasperazione probabilmente non va bene, per cui si tratta di capire quali siano le competenze, perché è importante che non vengano ad accavallarsi come spesso accade (competenze provinciali, regionali o nazionali; poi ci sono anche le contrade e le comunità montane). Fin qui riusciamo a capire e a darvi ragione.
Si tratta però di arrivare al ragionamento finale: è possibile che nell'insieme il comparto non riesca a trovare una quadra? Vorrei sapere innanzitutto fino a che punto vogliate tagliare la produzione. Pare che il comparto perda 1,5 miliardi di euro (lo abbiamo saputo nel corso delle precedenti audizioni) all'anno in Italia.
La proposta del collega Torazzi di introdurre dazi europei (sulla quale ha annunciato la presentazione di una risoluzione) potrebbe forse arginare il fenomeno, ma credo che non sia in linea con il mercato globale mondiale che va verso una maggiore liberalizzazione. Vorrei sapere se siate in grado di avanzare altre proposte. È importante avere il quadro generale nazionale anche sul dato dell'occupazione o comunque capire fino a che punto sarete costretti a tagliare per uniformare il mercato (da noi forse basta una raffineria sarda perché sia coperto il mercato).
Per quanto concerne le liberalizzazioni, siccome a breve prenderemo delle decisioni in questo senso, se avessimo a disposizione del materiale per arrivare a una soluzione ragionata, probabilmente avremmo le idee più chiare. Qualcosa avete già fatto nei confronti del Governo e noi faremo la nostra parte.
Credo comunque che, come sottolineava l'onorevole Pezzotta aprendo la discussione, questo comparto prima del 2007 abbia guadagnato molto denaro. Penso all'Inter di Moratti, alla ERG, ma qualche sacrificio è richiesto a tutti in questo momento e credo che lo stiamo facendo tutti.
Si pretende che voi continuiate nella ricerca e nella salvaguardia dell'ambiente, mantenendo la raffinazione perché eravamo i raffinatori più importanti in Europa, per cui dovremmo continuare ancora su questa strada. È quindi necessario capire a quanti posti di lavoro dovremmo rinunciare per razionalizzare e avere un mercato controllato.

PAOLO FADDA. Intervengo brevemente; al di là delle disquisizioni sulla ricchezza, laddove dovremmo discutere di come la ricchezza sia stata prodotta in tanti settori e di dove gli imprenditori decidano di investire, credo che il problema che ci avete sottoposto presenti due aspetti, uno di carattere nazionale e uno di carattere europeo.
Nonostante gli sforzi e le modifiche di norme che possiamo fare, se non si affronta il problema a livello europeo, non si risolve nulla, perché in Europa c'è una crisi della raffinazione - problema quindi non soltanto italiano, ma europeo - per cui dobbiamo trovare delle soluzioni (non so se il sistema sia quello dei dazi) per evitare


Pag. 15

importazioni da Paesi che non rispettano le norme sulla sicurezza e non danno garanzie ai lavoratori.
Non so se lo strumento più adatto sia quello del dazio o della tracciabilità dei prodotti finiti, però non c'è dubbio che il problema è di carattere europeo. Vorrei chiedervi quindi se, a vostro giudizio, i dazi possano rappresentare una delle soluzioni e quale sia la possibilità che i vostri colleghi del resto d'Europa stiano facendo pressioni nei confronti dei rispettivi Governi e Parlamenti.
La seconda domanda è, vista la crisi di consumi che stiamo attraversando, in che modo intendiate ridurre il numero delle raffinerie o se sarà il mercato a decidere quali debbano essere chiuse, se esista un piano da parte della vostra associazione, che permetta di valutare con maggiore serenità le eventuali chiusure programmate.
Per quanto riguarda la semplificazione della burocrazia, non credo che si possa risolvere restituendo i poteri allo Stato, cosa assolutamente impraticabile. Credo che dovreste fare anche alcune proposte per capire in che modo le autonomie locali, le province, le regioni possano semplificare al massimo i tempi di autorizzazione, perché alcuni esempi citati anche da altri vostri colleghi sono tremendamente preoccupanti anche per quanto riguarda le stesse bonifiche. Credo che, essendo un problema essenzialmente nostro, debba essere valutato con molta attenzione.
Non mi è sembrato di capire che stiate chiedendo risorse, non è questo che siete venuti a chiedere: mi sembra che il problema sia di altre dimensioni, sia di carattere sociale in alcune parti, e che comunque il discorso delle liberalizzazioni sia un altro dei problemi da esaminare con maggiore attenzione.

VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Vorrei formulare una richiesta di chiarimento, collegandomi alle considerazioni appena svolte dall'onorevole Fadda. Mi sembra che nelle esposizioni che sono state svolte dai rappresentanti delle raffinerie si sia fatto riferimento essenzialmente a un punto, ossia che l'accelerazione ed esplosione della crisi è data dalla concorrenza particolarmente aggressiva dei Paesi del Medio Oriente, del Far East, in ragione anche di una concorrenza asimmetrica, cioè basata su dumping sociale, costo del lavoro, diversa tutela ambientale e minori vincoli e oneri.
Immagino che la richiesta non sia quella di poter fare concorrenza intervenendo sugli stessi fattori, perché il costo del lavoro non è paragonabile e non può essere compresso (questo non troverebbe sostegno), così come non si può certo prevedere un allentamento della tutela ambientale.
La domanda dell'onorevole Fadda se consideriate i dazi una soluzione, mi sembra pertinente, anche se tutti siamo consapevoli di quanto sia difficile questa strada, per non dire non percorribile. L'ambito è quindi quello dell'iniziativa a livello europeo con i Paesi di cui abbiamo parlato nel corso di questa audizione, per un livellamento verso l'alto, soprattutto dal punto di vista degli standard della tutela ambientale.
Mi sorgeva inoltre un dubbio, perché, se la concorrenza è data in ragione di questi due fattori che avete esposto in maniera molto chiara, quindi di un prodotto che arriva a costi molto inferiori, mi chiedo - non so se adesso si possa utilizzare il termine «utilizzatore finale» scevro da qualunque interpretazione malevola - perché l'utilizzatore finale non si sia accorto che un prodotto arrivava a prezzi inferiori.

PRESIDENTE. Pongo anch'io una domanda brevissima, perché l'onorevole Peluffo ha già posto i quesiti che avrei voluto porre.
Oltre al problema del costo minore del lavoro - da vecchia insegnante di matematica arrivo subito al punto - e delle norme che pongono vincoli meno stringenti di tipo ambientale, quindi dei minori costi di raffinazione, vorrei sapere se il prodotto raffinato in Cina abbia lo stesso valore di raffinazione di quello raffinato in


Pag. 16

Italia, ovvero se abbiamo gli stessi livelli di qualità, perché è importante capire questo.
Se infatti così non fosse, al di là degli interessi generali delle compagnie petrolifere - voi non siete compagnie nazionali, ma rappresentate delle multinazionali, quindi vi muovete laddove il guadagno diventa probabilmente più semplice - all'interno della Commissione dobbiamo porci il problema di chiedere regole di tutela per il prodotto finito che arriva nelle tasche di quelli che pagano allo stesso modo sia un prodotto di alto livello che un prodotto di bassa qualità.

ALBERTO TORAZZI. Sarebbe interessante conoscere il differenziale tra il prezzo dell'affarista e il prezzo...

PRESIDENTE. Mi pare che questo sia da capire, perché è un problema non solo di costi, ma anche di tipo di prodotti; quindi era posto correttamente il problema dei dazi, visto che abbiamo il problema di prodotti che arrivano da Paesi emergenti non sempre con la stessa qualità, tutela ambientale, rischio salute dei prodotti fatti in Europa nel rispetto di leggi europee.
Darei ora la parola agli auditi cominciando dal direttore Antonino Gullotta. Poiché alle 16 inizia la discussione generale in Assemblea, sebbene le domande siano tante, chiederei di essere abbastanza concisi nelle risposte ed eventualmente, qualora si ritenga di dover approfondire, di inviarci cortesemente ulteriori risposte scritte.

ANTONINO GULLOTTA, Direttore di raffineria del gruppo IES-Italiana Energia e Servizi Spa. Come IES siamo stati chiamati direttamente in causa dall'onorevole Pezzotta e dall'onorevole Carra. Nello specifico, ci è stato chiesto di chiarire quali fossero a nostro avviso le intenzioni del gruppo ungherese MOL per quanto riguarda la permanenza a Mantova anche sulla base di quanto si legge sui giornali e delle voci a volte incontrollate che localmente si sviluppano.
L'onorevole Carra ha ricordato che MOL ha investito negli ultimi anni più 200 milioni di euro, avendo comprato la raffineria nel 2007, e solo questo farebbe pensare come a un improvviso impazzimento l'idea di dismettere l'attività a Mantova.
Allo stato attuale, l'intenzione della casa madre è di continuare ad operare a Mantova, come, al di là delle mie parole, provano i fatti che riguardavano le assunzioni fatte negli ultimi due anni anche in piena crisi economica e della raffinazione. La raffineria di Mantova è infatti una delle pochissime realtà che nel mantovano continuano ad assumere giovani neolaureati, quindi che sta investendo sul futuro.
Al di là dei 200 milioni di euro impiegati per ammodernare completamente la raffineria, migliorarne l'impatto ambientale, ridurre le emissioni, si sta continuando a investire per ottemperare alle prescrizioni ambientali e per aumentare la profittabilità della raffineria.
Ho citato come uno dei punti di forza fosse il bitume, che in questo momento invece sta rappresentando una forte penalizzazione per il crollo della domanda, e quindi uno dei rimedi per accrescere la competitività della raffineria è distruggere questo bitume. Per farlo sono necessari impianti complessi che richiedono ingenti investimenti. Al di là della capacità finanziaria della casa madre, che ha capacità e l'intenzione di farlo, costruire un impianto di conversione spinta in un sito di interesse nazionale va a scontrarsi con tutte le pastoie burocratiche che sono connesse al sito.
Da un lato, quindi, ci può essere l'intenzione della casa madre di investire, ma dall'altro questa si va a scontrare con tutte le logiche locali, che per rendere fattibile la realizzazione di un impianto del genere possono richiedere un arco temporale anche superiore a dieci anni per ottenere i permessi, elaborare i progetti.
Sfido chiunque con tutte le incertezze che ci sono al riguardo a pianificare un investimento del genere. L'intenzione è dunque assolutamente di continuare, i fatti lo provano laddove si sta continuando


Pag. 17

ad assumere e a investire, però nessuno ha la vocazione del martire e del filantropo.
Continuando a perdere svariate decine di migliaia di milioni di euro all'anno, la situazione potrebbe comunque diventare insostenibile. A breve, questa non è l'intenzione del gruppo ungherese, che sta continuando a investire e ha un piano di investimento già definito e approvato per i prossimi tre anni.

PIER FRANCESCO PINELLI, Direttore Divisione Refining & Marketing del gruppo ERG. Chiedo scusa, ribadisco la mia disponibilità in qualunque momento e in qualunque forma anche singolarmente a riprendere i temi e approfondirli.
È molto difficile rispondere a tutte queste domande, alcune in parte positivamente provocatorie. Dal 2008 il mondo è cambiato in maniera immediata e drammatica, nessuno aveva previsto né immaginato il fallimento di Lehman Brothers...

SAVINO PEZZOTTA. La cosa è diversa: un conto è il fallimento dei mercati finanziari, un conto è un settore industriale. Dobbiamo tenere bene a mente la differenza, altrimenti non ci capiamo.

PIER FRANCESCO PINELLI, Direttore Divisione Refining & Marketing del gruppo ERG. Le farò avere un grafico di quelle che erano le previsioni nel 2008, 2009 e 2020 della crescita della domanda petrolifera e di quelle che sono stati poi i dati reali.
Penso che anche le previsioni del PIL italiano da parte di chiunque, compresi gli uffici studi di tutti i partiti politici, siano state più ottimistiche di quelle che poi si sono rivelate, così come nessuno ha potuto immaginare il derating del debito sovrano degli Stati Uniti.
È cambiato il mondo in maniera rapida e inaspettata. Ovviamente non possiamo dire di essere stati perfetti: per una società come la nostra, che non è una multinazionale, non ha impianti all'estero né pozzi di petrolio, le sue raffinerie sono questione di vita o di morte, quindi su questo abbiamo concentrato la nostra massima attenzione.
Dal 2009 l'Unione petrolifera ha sollevato il problema nella disattenzione generale, purtroppo forse in maniera troppo timida, come a volte fa ma, al di là di quelle che possono essere le responsabilità, laddove sarebbe manicheo distinguere bianco e nero e addossare la colpa solo a uno o all'altro, dobbiamo fronteggiare un problema che, per i motivi strutturali e legati alla congiuntura internazionale prima citati, riguarda un settore produttivo italiano importante, con rilevanti ricadute occupazionali e con un valore aggiunto importante.
C'è questa idea del petroliere ricco, ma è ricco chi estrae il petrolio, mentre chi lavora nel downstream, refining e marketing considerando attentamente i numeri dei bilanci pubblicati ha tutt'altro tipo di rendimenti. Certamente chi ha l'opportunità di scegliere se investire in upstream o downstream in Asia o in Spagna, andrà dove troverà le condizioni più favorevoli per investire: questa è la competizione legata alla globalizzazione.
In questo scambio di idee, stiamo cercando insieme con voi le condizioni per avere nel lungo periodo un sistema di raffinazione in Italia adeguato, sostenibile e competitivo, senza scorciatoie. C'è un problema serio, che non cambierà, quindi cerchiamo di difendere questa nostra industria. Ho sentito affermare che l'UP è un cartello; le parole sono importanti e talvolta possono uscire non come si vuole, ma usiamo i termini giusti: l'Unione petrolifera è un'associazione di imprese come la Confindustria e altre, ma certamente non è un cartello e penso sia importante dirlo.
Ritengo che la soluzione non sia rappresentata solo dai dazi, ma che si possa fare molto a livello italiano. Nella nostra relazione abbiamo individuato le tre possibili direttrici, che puntano molto sulla semplificazione autorizzativa, sulla riduzione di oneri impropri, sull'evitare di mettere ulteriori oneri. Stiamo chiedendo non di eliminare quelli che ci sono, ma di non caricare ulteriormente perché siamo già in difficoltà e questo renderebbe difficile


Pag. 18

andare avanti. Anche in ambito fiscale indubbiamente il settore è stato colpito.
Vorrei anche sottolineare come questo settore abbia investito tantissimo in questi nove anni, giacché dal 2000 al 2009 le raffinerie italiane hanno investito 15 miliardi di euro. Non abbiamo fatto solo investimenti di manutenzione e non so quante altre industrie abbiano investito 15 miliardi di euro in nove anni in Italia. Ci sono 15 raffinerie, quindi quasi 1 miliardo a testa.

LUDOVICO VICO. Mi sembrano medie un po' affrettate: Enipower ne ha investito meno della metà.

PIER FRANCESCO PINELLI, Direttore Divisione Refining & Marketing del gruppo ERG. Non so se qualcuno trucchi i dati, però le farò avere l'elenco degli investimenti fatti dal gruppo ERG. C'è stato un continuo correre per adeguarsi alle normative, aggiornare le produzioni, rendere gli impianti più competitivi. Sarebbe interessante che il collega di TAMOIL dicesse a quanto ammontava l'investimento necessario per riconvertire Cremona. Nel nostro settore sono richiesti infatti investimenti enormi.

LUCA LUTEROTTI, Amministratore delegato del gruppo Tamoil Italia Spa. L'investimento per riconvertire la raffineria di Cremona era di 900 milioni di euro e, nonostante tutto, avremmo trasformato gran parte di questo 25 per cento di olio combustibile in benzina con la difficoltà di esitarla, perché il mercato italiano è saturo di benzina e l'America non la assorbe più.

LUDOVICO VICO. C'è una raffineria a Priolo, una a Mantova, quella di Cremona era eccellente ma non è più raffineria. La domanda semplice è se fra dieci anni queste due raffinerie reggeranno perché si innovano, perché investono per il 2020 o andremo al MiSE per la chiusura degli impianti. Questo è il punto. Che Cremona sia un'eccellente esperienza di reindustrializzazione o di riconversione è una cosa straordinaria, ma vorremmo sapere se le raffinerie rimarranno nel futuro.

PIER FRANCESCO PINELLI, Direttore Divisione Refining & Marketing del gruppo ERG. Solo una battuta su Priolo, che è certamente una delle migliori raffinerie del Mediterraneo e in base allo scenario e a quanto possiamo prevedere dovrebbe restare in piedi nel lungo periodo. Se però l'anno prossimo o tra cinque anni ci troviamo con una domanda petrolifera diminuita del 20 per cento, con un onere per il 20-20-20 di 100 milioni di euro in più all'anno, Priolo chiuderà. Oggi, però, da quanto possiamo vedere non è assolutamente così e non vogliamo che sia così.

ALBERTO TORAZZI. Non ho capito la risposta sul discorso dalla politica eventuale dei dazi, sul dumping ambientale e sociale: vorrei sapere se la sosterrete.

PIER FRANCESCO PINELLI, Direttore Divisione Refining & Marketing del gruppo ERG. Siccome le domande sono tante, non ho risposto. A questo consesso dico innanzitutto di concentrarci su ciò che possiamo fare in Italia, ed è molto e abbiamo le leve nelle nostre mani e, in secondo luogo, che questa politica «dei dazi» sarebbe un grande supporto e potrebbe aiutare a risolvere il problema, ma i percorsi applicativi sono molto complicati, quindi non punterei tutto su quella, perché le probabilità di portarla infine a casa in maniera soddisfacente sono poche. Facciamo invece quello che possiamo fare a casa.
I prodotti possono essere assolutamente uguali, e per essere del tutto chiari con voi, in Europa arriva prodotto indiano e statunitense, non cinese per il momento. Sui differenziali vi faremo avere qualcosa. Siamo connessi al mercato di Singapore e al mercato di Londra e dai differenziali fra i due mercati si vede quali sono le differenze.
Chiaramente al di là delle differenze di quotazione dei prodotti, quindi diesel a Londra e diesel a Singapore, c'è un tema


Pag. 19

della mia posizione di costo: se il valore quotato a Londra oggi è di 1.000 euro ma io ho una posizione di costo molto bassa, posso riempire molto di più il mio impianto e produrre di più accettando un margine più basso sul quantitativo ulteriore e spiazzando un'altra raffineria che non lo può fare.
Al tema del confronto sui mercati si affianca quindi un tema di posizione di costo, sul quale effettivamente è molto difficile entrare. Mi scuso per essermi dilungato.

LUCA LUTEROTTI, Amministratore delegato del gruppo Tamoil Italia Spa. Anch'io desidero iniziare dalle domande dell'onorevole Pezzotta, che erano più specificatamente indirizzate alla chiusura della raffineria di Cremona. Il prodotto che oggi la Tamoil commercializza è prodotto che compriamo da operatori italiani, quindi sicuramente le importazioni da altri Paesi costituiscono un problema, ma oggi in Italia, anche se non ci fosse il problema delle importazioni, c'è un eccesso di produzione.
Per nessuno è una vittoria chiudere un impianto e non ci vantiamo di averlo chiuso, però sicuramente questo ha aiutato a diminuire la differenza tra produzione e domanda interna. Oggi compriamo esclusivamente da operatori italiani. Il fatto che ci siamo collegati al mare e, quindi, abbiamo un sistema che ci permette anche di importare sul deposito di Cremona, è dovuto al fatto che prodotti di raffinerie italiane che insistono sulle isole vengono acquistati e portati a Cremona.
Lei, onorevole Pezzotta, mi chiedeva della Libia, ma forse non ho capito la domanda e mi scuso se eventualmente darò una risposta non pertinente. La decisione di chiudere la raffineria è stata annunciata a novembre 2010, quando la guerra in Libia non era ancora scoppiata e noi non pensavamo che potesse accadere.
Mi riallaccio a un'altra sua osservazione, perché è vero che tutti avremmo potuto fare delle previsioni migliori, specialmente nel nostro caso, perché era stato annunciato che l'olio combustibile non sarebbe più stato bruciato nelle centrali termoelettriche, per cui non bisognava essere particolarmente intelligenti o fare particolari studi di mercato, però non è stato possibile trovare la soluzione tecnica per evitarlo. Mi vergogno a dire la cifra che abbiamo speso in ingegnerie e studi per finire poi con il chiudere la raffineria!
Non a mia giustificazione, ma per una migliore comprensione, sempre ricollegandomi a quello che diceva il collega della ERG in merito al fatto che ci sono impianti molto diversi fra loro, vorrei evidenziare che l'impianto di Cremona non ha iniziato a perdere negli ultimi tre anni: è un impianto che l'attuale azionista ha comprato da un'amministrazione controllata, quindi un impianto che nasceva già con problemi; ci ha investito 465 milioni di euro con l'intenzione di fare un investimento perché già all'epoca si sapeva che l'olio combustibile non sarebbe stato più bruciato. Anzi è stato tolto con ritardo, perché all'inizio si prevedeva di anticipare la conversione delle centrali, però non è stato possibile porvi mano.
In più, supportare un 25 per cento di produzione in perdita quando c'è un altro scenario è un conto; avremmo potuto essere meno rilassati e preoccuparci prima però il cambiamento del nostro mercato è stato veramente repentino. Vi faremo comunque avere il nostro documento sulle liberalizzazioni.

PRESIDENTE. Ringrazio i partecipanti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,30.

Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive