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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione X
8.
Martedì 31 luglio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Vignali Raffaello, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA CRISI DEL SETTORE DELLA RAFFINAZIONE IN ITALIA

Audizione del sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Tullio Fanelli:

Vignali Raffaello, Presidente ... 3 8 10 14
Fadda Paolo (PD) ... 12
Fanelli Tullio, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare ... 3 11 12 13 14
Formisano Anna Teresa (UdCpTP) ... 9
Froner Laura (PD) ... 14
Lulli Andrea (PD) ... 9 14
Torazzi Alberto (LNP) ... 8
Vico Ludovico (PD) ... 8 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 31 luglio 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE RAFFAELLO VIGNALI

La seduta comincia alle 13,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Tullio Fanelli.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla crisi del settore della raffinazione in Italia, l'audizione del sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Tullio Fanelli.
Do, quindi, la parola al sottosegretario Fanelli per lo svolgimento della relazione.

TULLIO FANELLI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Ringrazio il presidente e la Commissione per aver voluto ascoltare anche il parere del Ministero che rappresento sul tema della crisi della raffinazione.
Inizierei senz'altro col cercare di dare un contributo riguardo alle cause principali della crisi del settore. Occorre ricordare che fino al luglio del 2008 la carenza di capacità di raffinazione rappresentava una delle cause della crisi petrolifera, laddove la scarsità dell'offerta di prodotti a livello mondiale determinava un effetto sui prezzi dei prodotti, che a loro volta determinavano alti margini per la raffinazione e un rialzo dei prezzi del petrolio.
Questa era la situazione sino a pochi anni fa. Quanto successo da allora non è una riduzione della domanda mondiale di prodotti petroliferi e di petrolio, bensì uno spostamento geografico della domanda. A titolo esemplificativo ricordo che tra il 2007 e il 2011 in alcune aree, cioè Stati Uniti, Europa e Giappone, la domanda si è ridotta di circa il 9 per cento, mentre nel resto del mondo è aumentata del 12 per cento, con un saldo netto positivo del 2 per cento. La domanda mondiale di petrolio è quindi aumentata, ma si è spostata geograficamente.
La capacità di raffinazione, dato un incremento del 5 per cento a livello mondiale, è aumentata più della domanda, ma anche in questo caso ci sono stati degli spostamenti geografici. Si è ridotta in Europa e in Giappone, è rimasta stabile negli Stati Uniti ed è aumentata dell'11 per cento nel resto del mondo. Inizio da questi dati perché, per il settore della raffinazione, il mercato di riferimento non è quasi mai un mercato locale.
Come per ogni altro prodotto aperto al mercato internazionale, anche per la raffinazione considerare solo il mercato locale non è corretto. Il mercato di riferimento può anche essere continentale o mondiale in funzione della capacità di una raffineria di competere sui mercati, tenendo conto che il costo di trasporto dei prodotti è crescente in base alla distanza; occorre considerare che trasportare prodotti dalla Cina, che è uno dei luoghi più lontani, fino in Europa costa circa 6 o 7


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dollari a barile. Questo può essere il massimo vantaggio competitivo derivante dal fatto di operare sul mercato locale rispetto a quello internazionale.
Non è affatto detto che riducendo la capacità di raffinazione per adeguarla alla domanda locale si possa risolvere il problema perché questo dipende dal fatto che il grado di competitività della raffineria sia sufficiente a mantenersi almeno nel mercato locale. I fattori determinanti per la capacità di competere sono rappresentati dai costi di approvvigionamento del petrolio, dai costi di trasformazione e dai costi di trasporto verso i mercati di destinazione. Pur essendo tutti fattori determinanti, hanno però un ordine di grandezza molto diverso.
Il costo di approvvigionamento del petrolio può determinare vantaggi molto significativi, anche fino a 20 dollari al barile. Viceversa i costi di trasformazione hanno un valore massimo di 7 dollari al barile, che in Italia e in Europa è mediamente di 5, ed è evidente che possono dare un vantaggio solo di alcuni dollari al barile. I costi di trasporto, come abbiamo visto, possono invece determinare un vantaggio fino a 7 dollari al barile.
Sono questi i fattori che bisogna analizzare per capire se si possa raggiungere un livello di competitività sufficiente. Non ho citato espressamente i sussidi pubblici, che pure esistono nel mondo e in particolare in Cina e in India. Su di essi l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) ha aperto specifiche procedure in quanto vietati dalle regole del WTO, perché possono spostare significativamente le convenienze.
Il costo di approvvigionamento del petrolio è a sua volta composto dal costo del petrolio propriamente detto e dal costo del trasporto del petrolio alla raffineria. Le raffinerie localizzate «a bocca di pozzo» sono quindi avvantaggiate. Questo vantaggio può anche valere qualcosa vicino ai 5 dollari al barile rispetto a raffinerie che si approvvigionano da destinazioni più lontane.
Il costo del petrolio è funzione della qualità del petrolio stesso, ma anche dei riferimenti di mercato. La qualità può indurre differenze di qualche dollaro al barile, ma anche di 10 o 15 dollari al barile se si fa riferimento ai greggi extrapesanti o ai bitumi che non tutte le raffinerie possono trattare e che quindi sono prezzati a sconto rispetto ai greggi di riferimento.
Nei greggi di riferimento c'è un fenomeno importante che va considerato, cioè lo spostamento dello spread tra il West Texas Intermediate (WTI), che è il greggio di riferimento americano, e il brent, che invece è il greggio di riferimento europeo. Tradizionalmente lo spread è stato a favore del WTI, che costava 3 o 4 dollari in più del brent. Questo ha favorito le esportazioni verso gli Stati Uniti perché ha compensato, almeno in parte, il costo del trasporto dei prodotti. Trasportare benzina negli Stati Uniti era favorito da questa situazione.
Dal 2010 si è avuta un'inversione di tendenza molto importante. Oggi il brent costa fino a 20 dollari al barile in più rispetto al WTI. È quindi evidente che le raffinerie americane - non tutte - che possono approvvigionarsi facendo riferimento al WTI hanno un vantaggio competitivo fino a 20 dollari al barile rispetto alle raffinerie europee. Questo ha comportato di fatto un'inversione dei flussi tradizionali: mentre prima si esportava verso gli Stati Uniti, oggi si importa dagli Stati Uniti.
Sui costi di trasformazione va precisato che sono determinanti non tanto i costi del personale, che non superano mai il 10 per cento, quanto i costi del capitale, cioè tutti quei costi connessi agli investimenti che quindi sono costi fissi. A pesare sulla redditività è il fatto che il tasso di lavorazione non sia molto elevato. Tradizionalmente nelle raffinerie italiane il tasso di lavorazione è sempre stato ben oltre il 90 per cento. Lo scorso anno era all'82 per cento. A differenza dal tasso di lavorazione, questo incide parecchio sulla redditività proprio perché larga parte dei costi di trasformazione sono connessi a costi fissi.
Viceversa gli obblighi ambientali dell'emission trading scheme (ETS), su cui molto si discute, e i futuri costi di bonifica


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oggi incidono meno di 2 dollari al barile, ma potrebbero incrementarsi molto. Gli obblighi sulla qualità dei prodotti, riguardo ai quali si sentono spesso proposte finalizzate alla loro riduzione, in realtà non pesano nulla perché è evidente che in un mercato in cui vigono obblighi sulla qualità dei prodotti anche i concorrenti internazionali devono sopportare gli stessi costi.
L'origine della crisi della raffinazione deve principalmente ritenersi dovuta al costo di approvvigionamento del petrolio. Noi oggi soffriamo la concorrenza delle raffinerie americane per ciò che ho detto prima, la concorrenza delle raffinerie mediorientali, che hanno costi di approvvigionamento del petrolio più bassi perché sono quasi tutte statali e hanno un costo del petrolio quasi nullo, e la concorrenza delle moderne raffinerie asiatiche, che hanno un elevato «indice di complessità». Questo termine viene usato per indicare la capacità di trattare petroli molto diversi e adattarsi ai mercati di destinazione. Queste raffinerie moderne possono utilizzare petroli extrapesanti e quindi possono approvvigionarsi a basso costo, aumentando la concorrenza.
Rispetto agli Stati Uniti è verosimile che prima o poi si torni alla cosiddetta normalità, cioè a un prezzo del WTI superiore a quello del brent, anche se negli Stati Uniti, dopo lo shale gas, c'è ora disponibilità di shale oil a basso costo. Poiché con questa nuova tecnologia stanno producendo moltissimo petrolio, può darsi che il prezzo del petrolio negli Stati Uniti rimanga basso. Per quanto riguarda invece la concorrenza di Medio Oriente e Asia, non si vede perché dovrebbe cambiare la situazione. Il problema, quindi, non è transitorio. In tutto ciò, il margine delle raffinerie italiane, come sapete, è mediamente negativo di un dollaro a barile.
La posizione del Ministero che rappresento è che sarebbe sbagliato immaginare di chiudere le raffinerie perché ciò potrebbe non risolvere la crisi del settore. La dimensione delle nostre raffinerie quasi mai potrebbe determinare un investimento finalizzato a incrementare la complessità. Le nostre sono raffinerie, infatti, mediamente piccole e la loro chiusura potrebbe non salvare quelle che rimangono. Anche se venissero chiusi impianti fino al livello della domanda nazionale, gli impianti rimasti potrebbero continuare a soffrire la concorrenza del contesto internazionale per i motivi menzionati. Non è quindi detto che basti chiudere gli impianti per risolvere la crisi delle raffinerie.
A livello europeo, ad esempio, oggi non esiste un sostanziale eccesso di capacità, eppure i margini sono negativi e le importazioni stanno aumentando. Come ho detto, a livello mondiale c'è un limitato eccesso di capacità, ma bisogna anche fare attenzione al fatto che, se l'Italia e l'Europa decidessero di chiudere, molti impianti potrebbero contribuire a riproporre la situazione del 2008, cioè un collo di bottiglia nel settore della raffinazione che potrebbe concorrere a spingere di nuovo al rialzo i prezzi del petrolio.
Infine, va notato e sottolineato che una dipendenza dai prodotti petroliferi è molto più pericolosa della storica dipendenza dell'Italia dal petrolio. Il petrolio normalmente è un bene molto commercializzato a livello mondiale. Se c'è disponibilità mondiale è, quindi, più difficile rimanerne senza. Essere dipendenti dai prodotti potrebbe invece essere rischioso per il Paese in una situazione di crisi mondiale.
Soluzioni sbagliate potrebbero anche essere tutte quelle che indirizzano verso una riduzione dei costi ambientali. Come cercherò di sostenere più nel dettaglio in seguito, l'unica opportunità vera di uscire dalla crisi è forse quella di cavalcare le migliori soluzioni ambientali. Chi propone semplicemente di annullare più o meno tutto quello che ritiene essere un costo ambientale non risolve il problema perché, come avete visto, stiamo parlando di componenti molto piccole rispetto a quelle che sono le grandi variabili che influenzano la competitività. Ci precluderemmo forse l'unica strada per uscire da questa crisi.
A nostro avviso, innanzitutto occorre tener conto che esistono delle nuove tecnologie che consentono di utilizzare in tutto o in parte il metano per produrre


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carburanti. Sicuramente avrete già ascoltato dai rappresentanti di ENI l'illustrazione della tecnologia ENI Slurry Technology (EST). Questa tecnologia offre molti vantaggi in termini di possibilità di utilizzo dei greggi pesanti. D'altra parte ENI ha ben capito quale sia il vero problema e si sta avviando a utilizzare greggi a basso costo. Questa tecnologia si basa anche sulla produzione da metano di idrogeno, che viene utilizzato per spezzare le catene lunghe degli idrocarburi pesanti. Questa tecnologia si basa quindi sul metano, sia pure in una percentuale non elevata di circa il 6 per cento. L'impianto di Sannazzaro, quando sarà completato, impiegherà quasi mezzo miliardo di metri cubi di metano all'anno.
Ci sono altre tecnologie per utilizzare il metano per la produzione di carburanti. La più classica è il gas to liquid (GTL), una tecnologia già applicata un particolare da Shell, che ha un grande impianto in Qatar da 15 miliardi di metri cubi di metano annui e un altro in Malesia. Probabilmente ne verrà costruito uno altrettanto grande in Louisiana, negli Stati Uniti. Anche il Brasile ha cominciato a ordinare le prime unità, anche se a livello sperimentale, per produrre carburanti da gas. Tenete conto che già oggi una piccola parte dei gasoli più cari di alta qualità, che vengono venduti anche sulla rete italiana, è generata attraverso il metano da GTL. Non è qualcosa di futuribile, bensì già una realtà commerciale.
Ho introdotto questo argomento perché, come sapete, in Italia abbiamo anche problemi molto gravi in termini di qualità dell'aria. La Commissione europea ha chiesto alla Corte di giustizia di condannarci per i valori limite di PM10, che sono in peggioramento. È un problema che riguarda quasi tutto il Nord, ma non solo. Il traffico veicolare è una delle principali cause di questo problema, anche se non l'unica.
Poiché tutti gli interventi attuati per limitare il traffico veicolare, ivi compresa l'introduzione di oneri, non hanno avuto completo successo, sarebbe pienamente giustificato per l'Italia e del tutto compatibile con le regole europee e dell'OMC introdurre, almeno in alcune aree del Paese, normative più stringenti sulla qualità dei carburanti, e in particolare del gasolio, tese a migliorare la qualità dell'aria. La Svezia lo ha fatto già da molti anni.
Se - ed è un grosso se - il settore dalla raffinazione fosse disponibile a investire, magari con iniziative consortili, per un maggiore utilizzo del metano nella produzione di carburanti, ci sarebbero oggettivamente svariati vantaggi. Innanzitutto avremmo un mercato di carburanti meno aggredibile dalla concorrenza internazionale perché con parametri qualitativi molto più stringenti poche raffinerie nel mondo sarebbero in grado di produrre con la stessa qualità.
C'è ovviamente la possibilità che questi carburanti costino di più, ma i cittadini avrebbero un vantaggio concreto in termini di qualità dell'aria e forse anche di minori restrizioni e oneri per la circolazione, che oggi sono già presenti sul territorio. Non è inutile ricordare che si creerebbe una domanda aggiuntiva di metano che potrebbe risolvere alcuni problemi di take or pay delle aziende italiane.
Quello delle autorizzazioni per effettuare questi investimenti non sarebbe un grosso problema. Tutto è migliorabile, ma voglio riportare un dato. Dal 2008 nel solo settore della raffinazione sono stati completati con esito positivo otto procedimenti di valutazione di impatto ambientale (VIA) e sei procedimenti di esclusione dalla valutazione di impatto ambientale. Non sono cose impossibili. Non si deve cedere alla convinzione che in Italia non si possa fare niente. Si può fare, ma credo che sia prioritario considerare la volontà di fare.
Se passasse l'idea di un maggior utilizzo del metano, avremmo una doppia possibilità connessa all'utilizzo del biometano, il cosiddetto biogas. Tenete conto che la disponibilità di biogas in Italia è molto elevata. Alcuni parlano addirittura di 8 miliardi di metri cubi annui che, se utilizzati nel settore dei carburanti, come target rappresenterebbero più del 10 per cento del consumo. Ciò sarebbe possibile


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se fosse consentita l'immissione in rete del biometano e il ritiro in un punto di riconsegna diverso, come succede oggi nel settore elettrico.
Chi consuma energia rinnovabile ha un rapporto contrattuale con il produttore di energia rinnovabile, ma non usa quegli elettroni: ritira dalla rete degli elettroni che qualcun altro immette come fonte rinnovabile. Gli elettroni non sono però gli stessi. Se si attuasse un meccanismo simile, tale per cui un soggetto immette il biometano e un altro soggetto ritira molecole di CH4 diverse da quelle immesse in un altro punto del Paese, come ad esempio le raffinerie, si potrebbe concorrere al raggiungimento dell'obbligo europeo del 10 per cento di «rinnovabilità» con un una risorsa interna, senza essere costretti a importare quei costosi oli vegetali, spesso prodotti nell'Estremo Oriente, che rappresentano un altro elemento di penalizzazione per la raffinazione italiana perché i prezzi di questi biocarburanti in Italia sono più elevati di quelli delle raffinerie situate in Oriente. Il biometano potrebbe anche essere usato tal quale nelle auto che funzionano a gas e anche questo potrebbe concorrere al raggiungimento della quota del 10 per cento di biocarburanti.
A parte l'utilizzo del metano, esistono altre tecnologie. Vorrei citarne almeno due. La prima è quella ormai molto italiana per la produzione del bioetanolo di seconda generazione. Credo sappiate che questa tecnologia appartiene al gruppo Mossi e Ghisolfi, che ha avuto addirittura un contratto dai brasiliani per realizzare un impianto da 100.000 tonnellate annue. Questa tecnologia consente di produrre bioetanolo sostitutivo della benzina a partire da biomasse che non sono in concorrenza con l'agricoltura, tra cui gli scarti agricoli, e che per questo vengono definite di seconda generazione. Le biomasse di prima generazione avevano, infatti, il grande difetto di essere in concorrenza con la destinazione alimentare e causare il rialzo dei prezzi nel settore alimentare.
Più in generale occorre valutare, soprattutto per i siti nei quali già oggi sono state dismesse alcune raffinerie, l'insediamento di iniziative di chimica verde. Come sapete, la petrolchimica è associata quasi sempre alle raffinerie. Riconvertire verso la chimica verde i siti oggi già abbandonati dalla raffinazione e trasformati in deposito potrebbe essere una destinazione più corretta. L'articolo 36, comma 1, del decreto-legge n. 83 del 2012, cosiddetto decreto crescita, non è una norma che consenta di stimolare nuovi investimenti. Sarebbe senz'altro più opportuno rivedere i parametri di bonifica per questa tipologia di iniziative. Se la destinazione è nuovamente industriale, certamente è giusto che i parametri di bonifica ne tengano conto. È ben diverso bonificare per realizzare un parco giochi per bambini e bonificare per avviare un'altra attività industriale.
In conclusione, credo che il concetto su cui occorra lavorare sia quello della valorizzazione nei prezzi della qualità della produzione. Credo sia stato riferito anche voi che le regole dell'OMC non permettono di bloccare le importazioni o di introdurre dazi sulla base del fatto che negli altri Paesi esistono costi di manodopera più bassi o regole ambientali diverse. Da questo punto di vista, pur essendo apprezzabile, la previsione di un'autorizzazione per i prodotti extraeuropei dipendente anche dall'aderenza degli impianti esteri alle prescrizioni ambientali, di salute dei lavoratori e di sicurezza, introdotta all'articolo 36, comma 6 del citato decreto sulla crescita in corso di conversione, non credo possa essere determinante. Potrebbe infatti non essere efficace perché impugnata dall'OMC.
A livello di OMC non è invece affatto impedito di imporre una fiscalità senza discriminazioni basata sulla qualità. Tale sistema è già applicato su numerosissimi prodotti. Io credo che, se il concetto di qualità includesse non solo le caratteristiche finali del prodotto, ma anche le caratteristiche dei processi di produzione, una fiscalità più bassa basata sul cosiddetto life cycle assessment, cioè sulle emissioni indotte dai carburanti nel loro complesso, introdotta dall'Europa, non solo dall'Italia, potrebbe sostituire utilmente il sistema ETS, che è oramai dimostrato non


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essere particolarmente efficace, ma potrebbe anche riportare il livello di competitività tra grandi aree del mondo su basi più oggettive.
Come ripeto, questa fiscalità, che possiamo anche chiamare carbon tax, si basa sulle emissioni indotte nell'arco di tutta la vita del prodotto, emissioni che possono essere facilmente calcolate. Sarebbe sufficiente introdurre una fiscalità proporzionale alle emissioni, così come previsto dall'attuale proposta di direttiva europea per qualunque tipologia di combustibile. Questo meccanismo consente, come per l'IVA, di rilevare facilmente il livello di emissioni connesse a qualunque prodotto. Una fiscalità di questo genere potrebbe essere il modo per superare le differenze che oggi esistono tra le produzioni dei Paesi non soggetti ad alcuna limitazione ambientale e quelle europee.
Ci stiamo lavorando a livello europeo perché a lungo termine questo potrebbe pesare molto sulla redditività non solo del settore raffinazione, ma di larga parte del settore industriale.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Fanelli e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ALBERTO TORAZZI. Il sottosegretario Fanelli ci ha confermato che l'OMC non permette di imporre dazi in caso di differenziali nel costo del lavoro o nelle regole ambientali. Per quanto riguarda l'ambiente, non so se il fatto di poter spostare una fabbrica per fare come si vuole, visto che il mondo è di tutti, sia da considerarsi una scelta stupida o piuttosto aberrante. Per quanto riguarda il mondo del lavoro, c'è sì un discorso sociale che qui abbiamo affrontato a lungo, ma in Cina c'è ad esempio il caso eclatante del carcere dove si imballano gli stuzzicadenti.
Poiché in ventiquattro ore devono essere imballati 200 mila stuzzicadenti a testa, immaginando che a ciascuno siano concesse sei ore per mangiare e dormire - spingendoci oltre quanto era previsto nei campi di sterminio nazisti, dove facevano statistiche sul consumo delle persone -, vuol dire che in diciotto ore un lavoratore imballa uno stuzzicadenti ogni 0,3 secondi. Anche questo è aberrante.
Le chiedo se il nostro Governo e il suo Ministero abbiano mai posto ufficialmente o abbiano intenzione di porre la questione di queste due regole dell'OMC così scandalose, indecenti, aberranti e, nel caso dell'ambiente, anche idiote. In questa Commissione abbiamo votato diverse risoluzioni rifacendoci, per esempio, alle indicazioni fornite dall'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Le chiedo, quindi, se sia stato fatto o se per voi possiamo anche tenerci queste regole.
La seconda osservazione riguarda le biomasse. Come lei ha detto giustamente, la biomassa incide sulle risorse alimentari. Grazie al sistema che esiste in Italia, diamo incentivi a qualcuno perché destini il mais alla biomassa per fare energia, riducendo la risorsa agricola ed eliminando reddito agricolo che potrebbe invece provenire, ad esempio, dal ciclo del latte, che è molto più virtuoso dal punto vista ambientale. Adesso lei ci dice che vorreste studiare un'altra possibilità.
Avete previsto, come Ministero, di monitorare le emissioni di tutti gli impianti a biomassa che operano sul territorio? Siete al corrente del fatto che, quando l'acquirente si lamenta per la bassa produzione di energia, i tecnici che vendono queste macchine gli consigliano di bruciare di tutto?
Vi invito, e vorrei una risposta positiva in questo senso, a pensare un sistema di monitoraggio a campione di questi impianti.

LUDOVICO VICO. Vorrei riassumere alcune questioni importanti che ci ha riferito il sottosegretario Fanelli per capire, anche alla luce delle sue riflessioni e del lavoro svolto durante la nostra indagine, quali siano le iniziative da assumere da parte del Governo e dell'Europa.
Mi sembra chiaro ed evidente che gli impianti di raffinazione dell'area Asia-Pacifico pongano un problema di capacità produttiva. Quegli impianti sono in grado


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di produrre fino a 30 milioni di tonnellate annue, mentre quelli che abbiamo in Europa sono standardizzati a 8, ma di fatto ne reggono solo 4. Questa è la prima questione che lei ci ha riferito con grande precisione.
La seconda questione riguarda il fatto che l'assetto che conoscevamo fino a venti o trenta anni fa, composto dalle cosiddette «sette sorelle», è cambiato molto. Il Governo ovviamente approfondirà tali aspetti insieme agli altri Dicasteri competenti dal punto di vista delle politiche sia economiche che diplomatiche. BP, Shell, Chevron, Exxon Mobil, Total sono per certi aspetti ricordi di una stagione postbellica. Oggi abbiamo a che fare con le compagnie indiane, con PetroChina, con Lukoil, con gli indipendenti americani della Valero. È anche sconvolgente che la Petroplus sia in fallimento.
È un quadro che va tenuto presente anche sul piano del governo finanziario del prezzo del petrolio. All'interno di questo quadro c'è il nostro Paese e c'è l'Europa. La prima domanda che le pongo riguarda la legislazione dell'Unione europea, che non mi pare pronta a fronteggiare il nuovo assetto. Dal punto di vista delle raffinerie, come lei ha già ricordato, dopo le ultime chiusure, tra cui l'impianto Api di Falconara, quello che resta in Italia è ben poco.
Come possiamo aiutare l'Europa, con quali proposte concrete? Non sto pensando all'antidumping, ma qualche problema legato ai prodotti esiste. Lei ci ha già suggerito determinati interventi. Il punto, signor sottosegretario, è come formalizzare queste soluzioni, visto che ciò influisce anche sul nostro rapporto con l'Europa.
La seconda domanda riguarda la relazione tra off-shore/on-shore e la ricerca petrolifera in Italia. La sua pur preziosa relazione non ha fornito particolari elementi circa il rapporto esistente tra raffinazione e ricerca petrolifera, che come novità degli ultimi quarant'anni ha portato le piattaforme on e off-shore. Sull'off-shore, al di là delle decisioni dell'ultimo provvedimento, si sta discutendo. Condivido con lei che il punto non è chiudere altre raffinerie, ma renderle competitive su più versanti attraverso l'opzione «buste di plastica di Porto Torres», se mi consente l'espressione, per rendere reale il lavoro di Versalis e Novamont.
Penso quindi che sarebbe opportuno conoscere il punto di vista del Governo sulla ricerca petrolifera.

ANNA TERESA FORMISANO. Ho una sola osservazione da fare. Ascoltando la relazione del sottosegretario ho sentito più volte parlare di fondi di ricerca. In questo settore c'è un grandissimo fermento. Vorrei capire se è previsto un incremento dei fondi di ricerca per questo tipo di attività oppure se, anche in questo settore, non possiamo sperare in un incremento dei fondi per la ricerca applicata.

ANDREA LULLI. Ringrazio il sottosegretario per la razionalità con cui ci ha presentato la sua relazione.
Mi conforta la posizione di cautela, se non proprio di contrarietà, assunta sulla dismissione degli impianti di raffinazione. È confortante, anche se sappiamo tutti che il processo di ristrutturazione è già avviato e che, alla luce di quanto diceva il collega Vico, ciò mette in discussione il ruolo che l'Italia ha sempre avuto in Europa in questo settore.
Condivido il fatto che la possibile soluzione sia più tecnologia e più ambiente, ma vorrei capire meglio alcuni aspetti. In tema di biocarburanti comprendo ciò che lei ha detto, ma vorrei sapere che rapporto ci sarebbe tra le risorse agricole, la produzione di biocarburanti, più che di biometano, e la scelta di fare della chimica verde. Il problema è rilevante. Abbiamo avuto un ruolo strategico nella raffineria del petrolio. Una conversione in quella direzione è in parte obbligata, ma pone problemi non indifferenti e vorrei capire come il Governo intenda affrontarli. Io non credo sia possibile risolvere il problema partendo dalle risorse nazionali. Vorrei sapere cosa ne pensa lei e quale tipo di politiche affronteremo.
In secondo luogo, dovremmo dare forte impulso alla chimica verde, ma anche qui


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c'è un problema di politica industriale tanto sul piano della ricerca quanto sul piano dei processi di riconversione, alcuni dei quali sono in atto ma procedono molto lentamente.
Il terzo aspetto, che condivido e sul quale incoraggio il Governo ad andare avanti con forza a livello europeo, riguarda la fiscalità basata sui criteri del life cycle assessment. Io penso che questo sia uno strumento utile anche per la riconversione, la riorganizzazione e la modernizzazione degli impianti. Credo che sarebbe un elemento di difesa attiva e di stimolo per tutto il mondo a usare tecnologie più pulite.
Vorrei che l'Italia si battesse in modo forte perché mi risulta che in altri Paesi europei il dibattito, almeno culturale, su questo sia molto più avanzato del nostro. Dovremmo svolgere un ruolo perché ne abbiamo tutto l'interesse. Pur difendendo il nostro ruolo storico nella raffineria, una trasformazione si impone e in una certa direzione. Credo che questa sia una scelta strategica molto importante. Si tratterà poi di sollecitare il nostro apparato produttivo e industriale di settore a fare affidamento più di tutti gli altri su un'impostazione di questo tipo.
Queste sono le riflessioni che volevo proporle. Credo che il contributo che ci ha portato quest'oggi sia interessante, importante e utile ai fini del documento conclusivo della nostra indagine conoscitiva.

PRESIDENTE. Vorrei anch'io porre alcuni quesiti al rappresentante del Governo. Lei ha parlato delle autorizzazioni concesse dal 2008 a oggi. Al di là dei numeri, a me piacerebbe sapere quale sia mediamente il tempo di evasione delle richieste. La questione non è quante ne siano state date, ma in che tempi.
Non mi dilungo perché ne ha già parlato il collega Lulli nella seconda parte del suo intervento, ma anch'io sono convinto che la chimica bio-based, la chimica verde, possa avere un grande futuro industriale nel nostro Paese. Non a caso i principali attori, Novamont, Catia Bastioli, Mossi e Ghisolfi, provengono dalla grande tradizione di Montedison. La dottoressa Bastioli proviene dall'Istituto Guido Donegani e ha iniziato a lavorare sulla chimica verde in tempi non sospetti.
Tutto questo ci dice che la chimica in Italia non è finita. Abbiamo dato un buon contributo a ucciderla, soprattutto a causa di una certa distrazione. Montedison è morta per la completa distrazione della politica e del Governo. È un dato di fatto. Anch'io vorrei quindi chiedere quale politica industriale si stia pensando di attuare in questo settore anche in raccordo con i Ministeri dell'agricoltura, dello sviluppo economico e dell'università e della ricerca.
Un paio di mesi fa mi è capitato di visitare l'impianto sperimentale della Mossi e Ghisolfi. Il giorno dopo ci è andato il Ministro dell'agricoltura tedesco. A me sembra un impianto molto interessante perché usa una parte dei sottoprodotti agricoli non destinati all'alimentazione. In Italia e nel mondo esistono diverse zone non coltivate, anche se la logica del chilometro zero è a mio avviso più interessante. È importante però capire cosa si possa fare lungo tutta la filiera, ivi compreso il capitale umano.
Le nostre facoltà di chimica industriale e ingegneria chimica vanno deserte. C'è l'idea che la chimica inquini, ma non si pensa al fatto che la chimica serve anche per bonificare. La spending review ha previsto l'aumento delle tasse per gli studenti fuori corso, cosa che io peraltro condivido, a meno che non si tratti di studenti lavoratori. Forse dovremmo pensare a politiche di diritto allo studio proattive che indirizzino i nostri studenti verso i settori scientifici e tecnici. Il credito di imposta per il 35 per cento di assunzioni di ingegneri, scienziati e giovani con un dottorato di ricerca introdotto nel decreto sullo sviluppo va in questa direzione, ma ritengo che si possa fare di più.
Da ultimo, vorrei porre l'attenzione sulla delega fiscale, attualmente in discussione alla Commissione Finanze, perché un articolo di quel disegno di legge riguarda proprio la fiscalità ambientale. La mia è più una mozione, ma vorrei invitare


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a lavorare ragionando sul life cycle assessment e non soltanto, come si fa normalmente, su singoli aspetti. Chiedo al Ministero dell'ambiente di impegnarsi affinché la valutazione delle nuove imposte ambientali sia legata al ciclo del prodotto, tenendo conto di più fattori. La bicicletta, ad esempio, è un mezzo di trasporto a emissioni zero, ma per realizzarla qualche emissione viene prodotta. Dobbiamo tenere conto di tutto.
Do ora la parola al sottosegretario Fanelli per la replica.

TULLIO FANELLI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Grazie, presidente. Comincio dall'Organizzazione mondiale del commercio. Il problema esiste e le regole dell'OMC non sono modificabili né per iniziativa dell'Italia né - purtroppo - per iniziativa dell'Europa. Gli ultimi negoziati sono in corso da moltissimi anni e non hanno prodotto variazioni. Credo che questa sia una strada molto complessa. Viceversa è assai possibile un'interpretazione diversa delle regole, che ritengo si possa fare.
Le regole sul lavoro sono estremamente esplicite e non consentono di introdurre normative che ostacolino con dazi o autorizzazioni prodotti originati da diverse regole sul lavoro. Sull'ambiente, invece, sono possibili interpretazioni. Una fiscalità che non comprenda solo quella derivante dal prodotto, ma anche quella della lavorazione è, a mio giudizio e a giudizio di molti altri, del tutto compatibile con le regole dell'OMC. Credo, quindi, che si debba cercare di fare tutto quello che si può fare in questa direzione.
Per quanto riguarda gli impianti a biomassa, siamo ben consapevoli che attualmente ci sono impianti inquinanti. Un monitoraggio c'è, ma sono d'accordo sul fatto che debba essere incrementato. Con l'ultimo provvedimento abbiamo anche cercato, congiuntamente con il Ministero dello sviluppo economico e con il Ministero dell'agricoltura, di orientare diversamente le incentivazioni. Le nuove incentivazioni, infatti, sono molto più orientate all'utilizzo di biomassa che non sia concorrenziale con il settore alimentare. Inoltre, c'è un apposito incentivo aggiuntivo mirante a far sì che gli impianti rispettino livelli di emissioni molto più restrittivi rispetto a quelli attuali. È un problema che ci siamo posti e che credo occorra affrontare come noi abbiamo fatto. Per gli impianti esistenti sono d'accordo che serva un maggiore controllo.
L'onorevole Vico poneva innanzitutto un problema di formalizzazione del nostro rapporto con l'Europa. Io credo che l'Europa sia ben consapevole di quello che sta succedendo e sono convinto che anche a livello europeo si possa lavorare per superare alcuni ostacoli che esistono anche in Italia. Uno di questi l'ho citato tra le righe - forse devo essere più esplicito - quando ho parlato di possibili iniziative consortili. Ha ragione l'onorevole Vico a dire che la dimensione del singolo impianto italiano è molto più piccola di quella dei nuovi impianti indiani o cinesi. Difficilmente, quindi, il singolo imprenditore potrà fare una scelta di riconversione per essere competitivo, cioè per utilizzare i greggi pesanti poco costosi.
Lo ha fatto con coraggio e con una tecnologia molto nuova l'ENI a Sannazzaro. La tecnologia EST è nuovissima e consente di utilizzare i greggi pesanti su una dimensione di 11 milioni di tonnellate, abbastanza grande rispetto alla media europea, ma piccola rispetto alla centrale indiana da 30 milioni di tonnellate. Gli altri hanno difficoltà a compiere scelte di questo genere. Su una raffineria da 5 milioni di tonnellate non si può fare questo tipo di conversione. Occorre, quindi, ragionare in termini aggregati. Sono scelte che si possono fare mettendo insieme due o tre impianti, cosa che, rispetto alle normative antitrust italiane ed europee, può presentare non poche difficoltà. In questo senso un'iniziativa politica aiuterebbe.
Vorrei ribadire che il principale strumento di diversificazione non sono le fonti rinnovabili, la chimica verde e il biometano, bensì il metano, la prima tecnologia che ho citato. A livello mondiale questo è il futuro. Perciò ritengo che ogni iniziativa


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che sia orientata a utilizzare più metano per produrre carburanti possa dare vantaggi ambientali e di competitività.
Per quanto riguarda la ricerca petrolifera, credo che la ricerca di petrolio su terraferma vada semplicemente proseguita rispettando l'ambiente il più possibile. Non vedo problemi insolubili. Quanto alle piattaforme, penso che intanto occorra dare una chiara priorità al gas. L'80-90 per cento delle disponibilità marine in Italia sono rappresentate da gas e non da petrolio. Di petrolio ce n'è solamente nei dintorni della Sicilia. Purtroppo, a livello di comunicazione e di normativa non si distingue quasi mai. Sbaglia chi dice che quando si scava non si sa cosa si trova. Non è così. Ci sono rari esempi di commistioni tra idrocarburi liquidi e gassosi, ma in realtà si sa bene se si trova gas o petrolio. Il gas non produce alcun problema di inquinamento marino ed è facile da spiegare alla gente in termini di comunicazione. È impossibile che il gas inquini il mare perché il gas per fortuna se ne va. Il petrolio, invece, in ambiente marino ha una, seppur minuscola e insignificante, probabilità di determinare gravi danni. È lo stesso discorso del nucleare. La probabilità è microscopica e infinitesima, ma nessuno può dire che sia impossibile.
Vista la situazione italiana, io sostengo che si dovrebbe privilegiare la ricerca off-shore di metano, che non presenta problemi di inquinamento, e rinviare la ricerca di petrolio, date anche le quantità, fino al momento in cui dal punto di vista tecnologico e dell'accettabilità sociale sarà più facile procedere. Il risultato altrimenti è che in certe aree non si fa né l'uno né l'altro, mentre credo che la strada del gas sia perfettamente percorribile, e a breve distanza dalla costa, proprio perché non esistono rischi per l'ambiente, se non del tutto marginali e governabili.

PAOLO FADDA. Neanche a terra è possibile avere le autorizzazioni.

TULLIO FANELLI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Dipende dalle località, ma sul gas ci sono tutte le ragioni per informare con tranquillità la popolazione e procedere senza particolari problemi.
L'onorevole Formisano ha introdotto il tema dei fondi per la ricerca. Certamente ci vorrebbero più risorse per mandare avanti la ricerca, in particolare sulla seconda generazione di biocombustibili. Tuttavia, per usare il metano e il biometano al posto del petrolio non servono altre risorse. Già oggi consentiamo che biogas e biometano vengano bruciati in motori a basso rendimento per produrre energia elettrica, operazione che oltretutto finanziamo. Con gli stessi soldi o anche meno potremmo incentivare l'immissione in rete, adottando tutte le procedure di «pulizia» di questo biogas, che varia in funzione delle quantità e della pressione a cui viene immesso in rete. Non ci sarebbe però bisogno di un'incentivazione particolare.
È molto importante che il settore sia disponibile a investire. Se il settore industriale della raffinazione volesse investire perché vede la possibilità di recuperare i propri investimenti con una qualche redditività, questi interventi sarebbero già possibili. Non è il futuro: è l'oggi. Il problema è dare affidabilità ai soggetti. Senza l'affidabilità dei soggetti e un quadro di riferimento chiaro è evidente che ciascuno di questi soggetti preferirà non rimetterci altri soldi e chiudere.
L'onorevole Lulli ha citato una serie di questioni estremamente importanti, mi riferisco in particolare alla fiscalità. In realtà, abbiamo già una legge che prevede la carbon tax orientata sui criteri del life cycle assessment. La norma è però condizionata dal percorso della proposta di direttiva europea. È fondamentale. In Europa si sta discutendo moltissimo su questa proposta di direttiva. Se l'Europa non ci aiuta con una direttiva che preveda questa componente fiscale collegata alle emissioni di gas serra, è difficile per noi proseguire da soli su questa «nuova» carbon tax.
Basterebbe che in Europa si raggiungesse un accordo anche per una componente minima. La cosa più importante,


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come ripeto, non è il valore della componente proporzionale alle emissioni, ma il fatto che, per quanto piccola, esista, perché consente la tracciabilità e la contabilità. Se non avremo questo, sarà difficile per noi procedere in questa direzione. In Europa ne stiamo discutendo e, a mio giudizio, alla fine la direttiva andrà in porto.
Il Presidente ha ragione. Avrei dovuto precisare i tempi delle autorizzazioni, ma non ho il dato. Le posso però rispondere che queste procedure, che per le raffinerie sono anche molto complicate, mediamente non superano i due anni. D'altra parte ho voluto riportare le cifre dal 2008 per dare un senso temporale, al di là del dato relativo ad un singolo anno. Quando l'investimento è fatto a fini anche ambientali, gli uffici non sono in contrasto. C'è anzi interesse a che l'iniziativa vada avanti. Onestamente non percepisco nei contatti con gli operatori un senso di difficoltà per le procedure di VIA. Le farò comunque avere il dato preciso.
Non credo in ogni caso che sia questo il problema. Il problema è che le iniziative abbiano una redditività se non certa, perché questa certezza non esiste mai, almeno sperabile. Quello che percepiscono gli operatori è la mancanza di speranza di poter investire con una qualche probabilità di ritorno dell'investimento. Certamente questo argomento merita nel suo complesso la definizione di una politica industriale. Faremo del nostro meglio per collaborare con il Ministero dello sviluppo economico, che è titolare di questa competenza e con il quale stiamo già lavorando alla definizione della strategia energetica nazionale.
Credo che la strategia energetica nazionale debba basarsi su una strategia industriale perché, senza una strategia industriale, definire quale sarà la domanda energetica del futuro diventa una scommessa. Se questo rimane un Paese industriale, possiamo anche definire le sue esigenze energetiche. Viceversa, se non rimane un Paese industriale, forse non ci sarà nemmeno bisogno di una strategia energetica perché la domanda sarebbe talmente bassa che le disponibilità risulterebbero eccedenti.
Come ripeto, una strategia industriale serve senz'altro e aiuteremo il Ministero competente in tutti i modi possibili. Credo che dovrebbe basarsi sullo slogan che ho inserito nella relazione, e cioè più innovazione e più ambiente.

LUDOVICO VICO. Vorrei solo un chiarimento. Lei ha parlato molto del metano. Ai fini della nostra indagine conoscitiva, vorrei sapere se stiamo parlando di un elemento che si integra in questa fase di transizione o di un'alternativa.
Nel secondo caso, abbiamo stime della disponibilità di gas metano?

TULLIO FANELLI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Per produrre carburante dal metano esistono due tecnologie: quella che usa in parte il metano, cioè la tecnologia EST dell'ENI, e quella che invece dal metano consente di ricavare gasolio.
Nei prossimi anni la disponibilità di metano nel mondo sarà altissima. Anche la disponibilità italiana nei prossimi decenni sarà elevata perché abbiamo dei contratti pluriennali e non solo con l'ENI. Quasi tutti i soggetti hanno contratti pluridecennali, basati sul take or pay. In base ai contratti i soggetti oggi pagano per non ritirare il metano perché la domanda interna è più bassa dell'approvvigionamento. Per loro utilizzare una quota di metano sarebbe molto conveniente perché eviterebbero di pagare penali.
Credo che queste tecnologie, in particolare il GTL (Gas To Liquid), saranno il futuro a livello mondiale. Tra qualche anno avremo sempre più impianti che producono carburanti da metano. Io dico che anticipare le scelte tecnologiche mondiali è sempre una cosa buona e credo che in Italia non esistono particolari preoccupazioni sulla possibilità di approvvigionarsi di metano a prezzi anche inferiori di quelli attuali perché siamo portando avanti la strategia dell'hub.
Saremo sempre più un Paese nel quale il metano costerà di meno.


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LAURA FRONER. Vorrei riagganciarmi a quanto lei ha detto sull'utilizzo del metano come carburante ricordando che il nostro gruppo ha elaborato una proposta di legge approvata alla Camera dei deputati il cui contenuto è stato poi recepito in un decreto lo scorso inverno.
All'interno del decreto erano previsti, come nella nostra proposta di legge, alcuni atti ministeriali. Uno dei problemi principali è l'implementazione della rete, cioè il miglioramento della rete di distribuzione sul nostro territorio e la possibilità di utilizzare metano e GPL self service, cosa che qui da noi ancora non è prevista.
Mi chiedo quindi a che punto siano queste misure, che potrebbero favorire un maggior ricorso da parte degli utenti automobilisti a questo tipo di carburante.

TULLIO FANELLI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Sul fatto che si debba sviluppare la rete dei punti vendita di metano e GPL siamo assolutamente d'accordo. Oggi ho sottolineato che il metano, utilizzato direttamente nelle autovetture, potrebbe virtualmente essere biometano e quindi concorre al raggiungimento della quota del 10 per cento.
Voglio però essere chiaro. Rendere i punti vendita self service è estremamente complesso perché la pericolosità dell'approvvigionamento di metano o GPL rende indispensabile la presenza di un tecnico esperto. Per il metano stiamo parlando di 200 atmosfere, tanta è la pressione delle bombole installate sulle automobili. Il GPL, come sapete, è anch'esso un combustibile, oltre che un carburante, a cui bisogna fare particolarmente attenzione. Non è benzina né gasolio. Sono cose diverse.
Se ne può sicuramente incrementar l'utilizzo, ma non si può pensare che l'Italia o l'Europa vadano a metano o a GPL. Tenete anche conto che il GPL è caro per l'Italia. Appare economico per l'utente, ma solo per questioni fiscali. Il GPL è caro e ne abbiamo poca disponibilità in termini di stoccaggio. Se ne può aumentare l'uso solo con nuovi stoccaggi, ma gli stoccaggi di GPL sono quelli più difficili da realizzare proprio per motivi di sicurezza.
Sono tutte cose giuste da fare, ma dimensionandole a ciò che è effettivamente possibile fare.

ANDREA LULLI. La risposta è il biometano.

TULLIO FANELLI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. La risposta è che la stessa quantità di biometano ci potrebbe consentire di evitare di importare, ad esempio, dalla Malesia l'olio di palma. Il biogas depurato inoltre può essere immesso in rete anziché bruciato.
Come ripeto, se ne può produrre sicuramente qualche miliardo di metri cubi.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Fanelli per il suo utile contributo alla nostra indagine conoscitiva. Vorrei aggiungere che in questa Commissione nessuno pensa che l'Italia non debba continuare a essere un Paese industriale. È vero che senza l'industria non ha senso un piano strategico per l'energia, ma viceversa senza un piano strategico per l'energia difficilmente potremmo avere un settore industriale forte. L'invito quindi è ad andare avanti nelle due direzioni.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,25.

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