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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione X
11.
Martedì 18 dicembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Dal Lago Manuela, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA CRISI DEL SETTORE DELLA RAFFINAZIONE IN ITALIA

Seguito dell'esame e approvazione del documento conclusivo:

Dal Lago Manuela, Presidente ... 3 4
Lulli Andrea (PD) ... 3
Saglia Stefano (PdL) ... 3
Vico Ludovico (PD) ... 3 4

ALLEGATO: Documento conclusivo approvato dalla Commissione ... 5
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Intesa Popolare): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Italia Libera-Liberali per l'Italia-Partito Liberale Italiano: Misto-IL-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL; Misto-Diritti e Libertà: Misto-DL.

[Indietro]
COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 18 dicembre 2012


Pag. 5

ALLEGATO
Indagine conoscitiva sulla crisi del settore della raffinazione in Italia.

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA CRISI DELLA RAFFINAZIONE IN ITALIA


1. Contenuti e finalità dell'indagine conoscitiva
2. Dati di contesto e quadro normativo
2.1. Le raffinerie italiane
2.2 Normativa di riferimento
Il pacchetto 20-20-20
Lo scambio delle quote di emissione - ETS
Addizionali IRES settore energetico
La proposta di direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici
Liberalizzazione della distribuzione dei carburanti
Gli interventi di semplificazione del decreto-legge «Crescita»
3. I contributi dei soggetti auditi
3.1 Seduta di martedì 8 novembre 2011
GABRIELE VALERI, Segretario nazionale della Filctem-CGIL.
SERGIO GIGLI, Segretario generale della Femca-CISL.
AUGUSTO PASCUCCI, Segretario generale della Uilcem-UIL.
3.2 Seduta del 30 novembre 2011
UMBERTO SCARIMBOLI, Amministratore delegato di API.
DARIO SCAFFARDI, Direttore generale di SARAS.
PIETRO FERRARA, Dirigente di Q8.
3.3 Seduta di martedì 10 gennaio 2012
PIER FRANCESCO PINELLI, Direttore Refining & Marketing ERG.
ANTONINO GULLOTTA, Direttore raffineria IES-Italiana Energia e Servizi
LUCA LUTEROTTI, Amministratore delegato Tamoil Italia Spa.
3.4 Seduta del 25 gennaio 2012
LEONARDO BELLODI, Responsabile relazioni istituzionali ENI Spa.
3.5 Seduta del 31 gennaio 2012
ALESSANDRO BARTELLONI, Responsabile del settore trasporto e prodotti petroliferi di Europia.


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3.6 Seduta del 14 febbraio 2012
GIOSUÈ MARINO, Assessore regionale all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione Sicilia.
MARCO VENTURI, Assessore regionale alle attività produttive della regione Sicilia.
3.7 Seduta del 21 febbraio 2012
GIOVANNI ARTICO, Dirigente regionale della Direzione Progetto Venezia e commissario regionale straordinario per il recupero territoriale-ambientale.
3.8 Seduta del 31 luglio 2012
TULLIO FANELLI, Sottosegretario di Stato del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
3.9 Seduta del 25 settembre 2012
CLAUDIO DE VINCENTI, Sottosegretario di Stato del Ministero dello sviluppo economico
4.MODIFICHE NORMATIVE INTERVENUTE NEL CORSO DELL'INDAGINE
4.1 Liberalizzazione della distribuzione dei carburanti
4.2 Gli interventi di semplificazione del decreto-legge «crescita»
5. OSSERVAZIONI FINALI
5.1 Le principali criticità emerse
5.2 Linee di intervento
5.3 Conclusioni


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1.Contenuti e finalità dell'indagine conoscitiva

La X Commissione Attività produttive, commercio e turismo, ha deliberato, nella seduta del 25 ottobre 2011, di svolgere un'indagine conoscitiva sulla crisi del settore della raffinazione in Italia.
La decisione è maturata in seguito alla constatazione della situazione di crisi e di sofferenza in cui si trova l'industria di raffinazione in Italia, costretta, da un lato, ad attivare ingenti investimenti per il rinnovamento dei macchinari, al fine di meglio rispondere ai criteri di efficienza energetica imposti dall'Unione europea, e dall'altro, a confrontarsi con il sensibile calo della domanda di prodotti raffinati e con l'aumento della pressione fiscale nel settore.
Il settore della raffinazione italiano, sin dal 2009, sta attraversando una grave crisi determinata da molteplici fattori che hanno condotto ad un calo generalizzato dei consumi dei carburanti e ad un drastico ridimensionamento delle esportazioni soprattutto verso gli Stati Uniti.
L'intero comparto della raffinazione europeo da alcuni anni è interessato da una crisi di sistema, che potrebbe evolvere verso un quadro ben più drammatico rispetto a quanto già osservato. Infatti, gli effetti congiunturali della crisi economica globale si sono sovrapposti a una preesistente situazione di sofferenza del sistema.
La crisi strutturale del sistema affonda le proprie radici nella progressiva riduzione dei consumi in Europa, che decrescono al ritmo del 2 per cento medio annuo a partire dal 2005, conseguenza della bassa dinamica demografica, della crescente efficienza energetica e dell'introduzione dei biocarburanti.
Il sensibile calo dei consumi petroliferi, destinato a peggiorare nei prossimi anni, e la forte concorrenza delle nuove raffinerie dei paesi extra-Ue, sostanzialmente prive di obblighi e vincoli ambientali e spesso sussidiate direttamente dallo stato, avranno effetti dirompenti sulla struttura industriale italiana ed europea ove non siano messi in campo interventi volti a tutelare tale settore di attività.
La chiusura della raffineria Tamoil di Cremona e l'annuncio da parte di ENI sulla chiusura dell'impianto di Marghera (VE), rappresentano la conseguenza più evidente dello scenario di crisi brevemente illustrato. Ma altri 3 o 4 impianti di raffinazione rischiano la chiusura nel breve periodo.
In Europa si è già avviato un processo di razionalizzazione da parte delle major petrolifere, che hanno già cominciato a ridurre la propria esposizione alla raffinazione.
Occorre altresì rilevare che le nuove regole introdotte dall'Ue in materia di efficienza energetica hanno avuto un forte e negativo impatto sulle raffinerie europee, mettendo a rischio il mantenimento di questa industria in Europa.
Il sistema della raffinazione italiano è costituito da 16 raffinerie presenti sull'intero territorio nazionale, per una capacità complessiva di raffinazione di poco superiore ai 100 milioni di tonnellate/anno. Il


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100 per cento della capacità di raffinazione installata in Italia è rappresentata da aziende aderenti all'Unione Petrolifera.
Si tratta di realtà industriali e di investimenti importanti per l'economia locale in cui sono incorporate, con numeri significativi sul piano dell'occupazione diretta e indotta, e la cui chiusura avrebbe ripercussioni a cascata su tutto l'hinterland in cui operano.
In particolare gli impianti attualmente presenti sul territorio nazionale sono quali di Augusta (ExxonMobil), Busalla (Iplom), Cremona (Tamoil), Falconara (Api), Gela (Eni), Livorno (Eni), Mantova (Mol), Milazzo (Eni/Kupit), Pantano (Total/Erg), Porto Marghera (Eni), Priolo (Erg/Lukoil), Sannazzaro (Eni), Sarroch (Saras), Taranto (Eni) e Trecate (ExxonMobil/Erg).
Sulla base degli ultimi dati diffusi dall'Unione petrolifera italiana emerge in particolare la necessità di una ristrutturazione significativa di un settore che oggi presenta un eccesso di capacità produttiva che il mercato interno non è in grado di assorbire: un eccesso di capacità pari a circa 15-20 milioni di tonnellate. Nel 2009 infatti il tasso di utilizzazione degli impianti è stato dell'81 per cento; negli ultimi 6 anni inoltre i consumi sono diminuiti di 18 milioni di tonnellate, mentre nei soli primi dieci mesi del 2010 il calo è stato di altri 2 milioni di tonnellate.
Nel periodo 1997-2009 sono stati investiti nel settore quasi 17 miliardi di euro, di cui il 60 per cento destinati al miglioramento ambientale dei cicli produttivi. Altri 5 miliardi di euro di investimenti sono stati programmati fino al 2012. Per realizzare questo significativo piano di investimenti appare necessario creare e mantenere un quadro legislativo e regolatorio stabile e prevedibile.
L'indagine conoscitiva si propone quindi di approfondire l'analisi sul settore della raffinazione come rilevante comparto del sistema industriale del nostro Paese e della sua intera economia a causa delle strette interdipendenze che legano la raffinazione medesima a molteplici comparti produttivi. Scopo dell'indagine è altresì quello di valutare la necessità di interventi di carattere legislativo che non potranno prescindere da una maggiore consapevolezza circa la strategicità del settore della raffinazione ai fini della sicurezza energetica del Paese né da una profonda e concreta analisi dei possibili impatti sul piano occupazionale e sociale di eventuali chiusure stante il consistente numero di occupati, diretti ed indiretti, nel settore e del loro alto grado di qualificazione tecnica e professionale.
Nel corso dell'indagine la Commissione ha proceduto alle seguenti audizioni:
- rappresentanti dei sindacati di settore (Filctem-CIGL, Femca-CISL e Uilcem-UIL) (8 novembre 2011);
- rappresentanti di API, SARS e Q8 (30 novembre 2011);
- rappresentanti di ERG, IES e TAMOIL (10 gennaio 2012);
- rappresentanti di ENI (25 gennaio 2012);
- rappresentanti di EUROPIA (31 gennaio 2012);
- assessori all'energia e alle attività produttive della regione Sicilia (14 febbraio 2012);


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- dirigente regionale della Direzione progetto Venezia e commissario regionale straordinario per il recupero territoriale-ambientale (21 febbraio 2012);
- Tullio Fanelli, sottosegretario di Stato del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (31 luglio 2012);
- Claudio De Vincenti, sottosegretario del Ministero dello sviluppo economico (25 settembre 2012).

2. Dati di contesto e quadro normativo

2.1. Le raffinerie italiane

Il settore della raffinazione, al mese di ottobre 2011, risulta composto da 16 raffinerie, molte delle quali di proprietà di società multinazionali (ENI, ESSO, TOTAL, LUKOIL, MOL), altre di proprietà di società e imprenditoria italiana (ERG, SARAS, API, IPLOM). Ben 7 raffinerie sono di piccole dimensioni e non superano la capacità produttiva massima di 4-4,5 milioni di tonnellate annue di raffinati.

Capacità dei principali impianti delle raffinerie (1o Gennaio 2007-2010)
(milioni di tonnellate/anno)
RAFFINERIE LOCALITÀ CAPACITÀ EFFETTIVA (1)
ALMA Ravenna  
API Falconara M. (AN) 3,9
ENI Div. Refining & Marketing P. Marghera (VE) 4,2
ENI Div. Refining & Marketing Sannazzaro (PV) 8,5
ENI Div. Refining & Marketing Livorno 4,3
ENI Div. Refining & Marketing Taranto 5,5
ERG MED. Raff. ISAB Impianti Nord (*) Priolo G. (SR) 8,0
ERG MED. Raff. ISAB Impianti Sud (*) Priolo G. (SR) 11,4
ESSO Augusta (SR) 8,8
IES Mantova 2,6
IPLOM Busalla (GE) 1,75
RAFFINERIA DI GELA Gela (CL) 5,0
RAFF. DI MILAZZO Milazzo (ME) 9,8
RAFFINERIA DI ROMA Pantano (RM) 4,3
SARAS Sarroch (CA) 15,0
SARPOM Trecate (NO) 8,75
TAMOIL Cremona 4,5
Totale al 1o gennaio 2007   106,3
Totale al 1o gennaio 2008   102,9
Totale al 1o gennaio 2009   106,5
Totale al 1o gennaio 2010   106,6

Fonte: Unione Petrolifera.

(1) Si intende la capacità, definita «tecnico-bilanciata», supportata da impianti di lavorazione secondaria adeguati alla produzione di benzine e gasoli secondo specifica.


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La tabella che segue riporta i prodotti delle raffinerie italiane nei primi nove mesi del 2011. Come si può dedurre dai dati, la maggior parte della raffinazione è orientata alla produzione di carburanti. Tra i prodotti raffinati, notevole importanza ha la produzione di sostanze chimiche per la realizzazione di materie plastiche ed altri materiali nell'industria petrolchimica.

I prodotti delle raffinerie italiane
(primi nove mesi 2011)
PRODOTTI OTTENUTI MILIONI DI TONNELLATE VARIAZIONE % vs. 2010 INCIDENZA %
GPL
1,63 -2,6 2,4
Virgin naphta
2,82 5,7 4,1
Benzina auto
12,67 -5,5 18,5
Carboturbo/Petrolio
2,45 0,6 3,6
Gasolio
27,30 -2,5 39,9
Olio combustibile
5,43 -13,3 7,9
Lubrificanti
0,92 7,9 1,3
Bitume
2,29 -10,5 3,3
Zolfo
0,47 3,9 0,7
Altri prodotti
0,64 10,8 0,9
Perdite
0,49 -0,1 0,7
Consumi
6,33 -1,5 9,2
Semilavorati
5,00 7,6 7,3
Totale
68,44 -2,8 100,0

Fonte: Unione Petrolifera.

Per quanto riguarda l'occupazione (2), nei soli impianti di raffinazione sono impiegati oltre 10.000 dipendenti diretti delle menzionate società, circa 12.000 dipendenti delle società appaltatrici addette alla manutenzione ordinaria, oltre alcune migliaia di addetti alle attività di manutenzione straordinarie o conseguenti agli investimenti e alle innovazioni tecnologiche. A questi vanno aggiunti gli addetti della logistica primaria e secondaria, e le strutture amministrative collocate per lo più nelle sedi direzionali.
Al sistema produttivo della raffinazione è affiancata la struttura della commercializzazione del prodotto che impiega circa ulteriori 5.000 dipendenti diretti, oltre agli addetti dei punti vendita organizzati nelle reti aziendali o nelle extra rete.

2.2. Normativa di riferimento

Le raffinerie di petrolio greggio e la disciplina di VIA

Le raffinerie di petrolio greggio (escluse le imprese che producono soltanto lubrificanti dal petrolio greggio), nonché impianti di gassifi

(2) Dati tratti dall'audizione delle segreterie sindacali.


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cazione e di liquefazione di almeno 500 tonnellate al giorno di carbone o di scisti bituminosi, nonché terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto, rientrano nell'allegato II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice ambientale), ovvero tra i progetti sottoposti a VIA statale.
Si ricorda preliminarmente che la disciplina in materia di valutazione dell'impatto ambientale (VIA) contenuta nella Parte Seconda del citato decreto legislativo, è stata totalmente riscritta con il decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (cd. secondo correttivo) e nuovamente modificata con il decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 (cd. terzo correttivo). In particolare con tale ultimo provvedimento si è provveduto ad introdurre, per la prima volta in modo organico, all'interno del Codice, anche la disciplina in materia di autorizzazione ambientale integrata (AIA o IPPC) fino ad allora contenuta nel decreto legislativo n. 59 del 2005 (3), nonché a coordinare tale procedura con quella della VIA.
Inoltre, ai sensi dell'articolo 10 del Codice recante «Norme per il coordinamento e la semplificazione dei procedimenti», il provvedimento di VIA sostituisce l'AIA per i progetti sottoposti a VIA statale e che ricadono nel campo di applicazione dell'allegato XII del decreto (che elenca le categorie di impianti relativi alle attività industriali dell'allegato VIII soggetti ad AIA statale) e tra i quali rientrano le raffinerie di petrolio greggio - escluse le imprese che producono soltanto lubrificanti dal petrolio greggio -, nonché impianti di gassificazione e di liquefazione di almeno 500 tonnellate (Mg) al giorno di carbone o di scisti bituminosi.
Lo stesso articolo 10, comma 1-bis, prevede, nei casi in cui il provvedimento di VIA sostituisca l'AIA, che la documentazione da presentare, ovvero lo studio di impatto ambientali (SIA), debba essere integrata con alcune informazioni previste dal decreto legislativo n. 59/2005 ed ora confluite nei nuovi articoli 29-ter, 29-sexies e 29-septies del Codice ambientale.
Si tratta sostanzialmente delle informazioni che devono essere contenute nella domanda per il rilascio dell'AIA e che disciplinano le condizioni specifiche che gli impianti devono rispettare ai fini del suo rilascio e consentono all'autorità competente di prescrivere - per determinate aree - anche misure supplementari più rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili, al fine di assicurare nell'area specifica il rispetto delle norme di qualità ambientale.
Qualora la documentazione prodotta risulti incompleta, lo stesso comma 1-bis rinvia all'articolo 23, comma 4, del Codice che prevede che, entro 30 giorni, l'autorità competente verifichi la completezza della documentazione. Qualora risulti incompleta, questa viene restituita al proponente con l'indicazione degli elementi mancanti e l'autorità competente richiede allo stesso la documentazione integrativa da presentare entro un termine non inferiore a 30 giorni. In tal caso i termini del procedimento si intendono sospesi fino alla

(3) Il d.lgs. 59/2005 aveva provveduto a recepire integralmente la direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento (cd. direttiva IPPC). L'AIA è infatti meglio nota con l'acronimo in lingua inglese, IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control).


Pag. 12

presentazione della documentazione integrativa. Qualora entro il termine stabilito il proponente non depositi la documentazione completa degli elementi mancanti, l'istanza si intende non presentata (si veda il box relativo alla procedura di VIA).
Anche il monitoraggio e i controlli successivi al rilascio della VIA, nei casi in cui il provvedimento di VIA sostituisca l'AIA, possono avvenire con le modalità previste per l'AIA agli articoli 29-decies e 29-undecies, ai sensi del comma 1-ter dell'articolo 10.
Si ricorda brevemente che tali articoli riproducono le norme contenute negli articoli 11 e 12 del decreto legislativo n. 59/2005 relativi rispettivamente al rispetto delle condizioni dell'AIA verificato dall'ISPRA, per gli impianti di competenza statale, e/o dalle agenzie regionali o provinciali per la protezione dell'ambiente negli altri casi, e al monitoraggio delle principali emissioni.
Da ultimo, anche l'articolo 26, comma 4, del Codice ribadisce che il provvedimento di VIA sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l'esercizio dell'opera o dell'impianto.
Di seguito vengono, pertanto, illustrate le fasi ed i tempi relativi alla proceduta di VIA.

La procedura di VIA

La disciplina in materia di VIA è contenuta nel Titolo III della parte II del Codice ambientale (artt. 19-29). In particolare, a seguito delle modifiche introdotte dal secondo correttivo, si è tornati, in relazione alla ripartizione di competenze tra Stato e Regioni, al criterio cd. tabellare, che attribuisce allo Stato la competenza sulle opere di maggiore impatto (indicate nell'allegato II) e alle regioni la competenza su un elenco di tipologia di opere di minore impatto, (allegato III e allegato IV).
La procedura di VIA si apre con la trasmissione, da parte del proponente, del progetto preliminare e dello studio preliminare ambientale. Dell'avvenuta trasmissione viene dato sintetico avviso, a cura del proponente, nella Gazzetta Ufficiale per i progetti di competenza statale e nel Bollettino ufficiale della regione per quelli regionali. Entro 45 giorni dalla pubblicazione dell'avviso chiunque abbia interesse può far pervenire le proprie osservazioni. L'autorità competente procede preliminarmente alla verifica di assoggettabilità, cioè nei successivi 45 giorni verifica se il progetto abbia possibili effetti negativi apprezzabili sull'ambiente. Entro la scadenza di tale termine l'autorità competente deve comunque esprimersi in merito dell'assoggettabilità o meno del progetto a VIA (articolo 20).
Il proponente dell'opera presenta quindi l'istanza corredata dalla documentazione richiesta dall'articolo 23, tra cui un elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati, già acquisiti o da acquisire per la realizzazione e l'esercizio dell'opera o intervento, con la finalità di agevolare le altre procedure autorizzatorie e di evitare sovrapposizioni o duplicazioni. Entro 30 giorni l'autorità competente verifica la completezza della


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documentazione e, qualora l'istanza risulti incompleta, l'autorità competente richiede al proponente la documentazione integrativa da presentare entro un termine non superiore a 30 giorni e comunque correlato alla complessità delle integrazioni richieste. In tal caso i termini del procedimento si intendono interrotti fino alla presentazione della documentazione integrativa. Qualora entro il termine stabilito il proponente non depositi la documentazione completa degli elementi mancanti e, l'istanza si intende ritirata.
I termini per la richiesta consultazione del pubblico prevedono 60 giorni, e lo stesso termine viene concesso alle autorità competenti per il rilascio delle proprie determinazioni. La consultazione può anche avvenire tramite un'inchiesta pubblica (articolo 24).
L'autorità competente acquisisce e valuta tutta la documentazione presentata, le osservazioni, obiezioni e suggerimenti inoltrati ai sensi dell'articolo 24, nonché, nel caso dei progetti sottoposti a VIA statale, il parere delle regioni interessate che dovrà essere reso entro 90 giorni dalla presentazione dell'istanza. Vengono, inoltre, consessi alle regioni ulteriori 60 giorni qualora intervenga una modifica sostanziale al progetto originario o a seguito di integrazioni eventualmente presentate dal proponente o richieste dall'autorità competente, in modo che le regioni stesse possano avere la possibilità di aggiornare i pareri resi. Le amministrazioni interessate devono, a loro volta, rendere le proprie determinazioni entro 60 giorni dalla presentazione dell'istanza ovvero nell'ambito della Conferenza dei servizi istruttoria eventualmente indetta a tal fine dall'autorità competente. Anche in questo caso in presenza di integrazioni presentate dal proponente o richieste dall'autorità competente, sono concessi alle amministrazioni ulteriori 45 giorni dal deposito delle stesse per l'eventuale revisione dei pareri resi (articolo 25).
La procedura si conclude comunque entro 150 giorni dalla presentazione dell'istanza (con un eventuale prolungamento fino ad un massimo di ulteriori 60 giorni in casi particolarmente complessi e quindi entro 210 giorni) con un provvedimento espresso e motivato. Se il proponente, ai sensi dell'articolo 24, comma 9, decide, di propria iniziativa, di modificare gli elaborati progettuali, i tempi complessivi per la conclusione del procedimento potrebbero arrivare a 270 giorni.
Decorsi inutilmente tali termini, viene esercitato il potere sostitutivo da parte del Consiglio dei ministri, su istanza delle amministrazioni o delle parti interessare, che deciderà entro i successivi 60 giorni, previa diffida ad adempiere all'organo competente entro il termine di venti giorni (articolo 26).
La VIA prevede, infine, sistemi di monitoraggio, controllo e sanzioni (articoli 28 e 29).

Il pacchetto «20-20-20»

Il cosiddetto «pacchetto clima-energia 20-20-20» costituisce l'insieme di provvedimenti operativi con cui l'UE conferma la volontà degli Stati Membri di continuare ad impegnarsi nel processo negoziale per la lotta ai cambiamenti climatici per il post-Kyoto, ovvero dopo il 2012.


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Nel marzo 2007 il Consiglio europeo ha siglato un accordo che si è successivamente declinato nel c.d. pacchetto clima-energia-ambiente «20-20-20».
Nel gennaio 2008, la Commissione Europea ha presentato una serie di proposte legislative miranti al contestuale conseguimento, entro il 2020, di:
• obiettivi di riduzione obbligatori del 20 per cento delle emissioni di gas serra (30 per cento nel caso di accordo internazionale a Copenaghen in dicembre p.v.);
• 20 per cento di energie rinnovabili sul consumo energetico globale dell'Unione Europea;
• impiego di una percentuale di biocarburanti pari al 10 per cento nel settore dell'autotrazione;
• obiettivo indicativo di aumento del 20 per cento dell'efficienza energetica.

Per quanto riguarda le fonti rinnovabili, l'obiettivo europeo del 20 per cento entro il 2020 è suddiviso in sotto-obiettivi nazionali vincolanti per gli Stati membri. La direttiva 2009/28/CE sulla promozione delle energie rinnovabili, infatti, fissa obiettivi vincolanti per ciascuno Stato membro, coerenti con l'obiettivo di una quota complessiva di energie rinnovabili sul consumo energetico finale della UE pari almeno al 20 per cento nel 2020.
Per l'Italia tale quota complessiva di energie rinnovabili al 2020 dovrà essere non inferiore al 17 per cento del consumo complessivo nazionale di energia. In attuazione di tale direttiva, l'Italia ha adottato il Piano di Azione Nazionale (PAN) per le energie rinnovabili dell'Italia, trasmesso alla Commissione europea ai fini della valutazione della sua adeguatezza, che pianifica il progressivo accrescimento di tale quota dal 4,92 per cento del 2005 al 17 per cento del 2020. Nel giugno 2011 è stato altresì predisposto il secondo Piano d'Azione Nazionale per l'Efficienza Energetica (PAEE 2011), che intende dare seguito in modo coerente e continuativo ad azioni ed iniziative già previste nel PAEE 2007 e si propone di presentare proposte di medio-lungo termine. Nel settore dei trasporti, la quota di energia da fonti rinnovabili nel 2020 deve essere almeno pari al 10 per cento del consumo finale di energia in questo settore.
Il decreto legislativo n. 28/2011 (4), all'articolo 33, comma 2, ha fissato una quota minima di impiego di biocarburanti nei trasporti del 5 per cento per il 2014. Tale decreto, che ha attuato la citata direttiva 2009/28/CE, ha previsto: la razionalizzazione e l'adeguamento dei sistemi di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili (energia elettrica, energia termica, biocarburanti) e di incremento dell'efficienza energetica, così da ridurre i relativi oneri in bolletta a carico dei consumatori; la semplificazione delle procedure autorizzative; lo sviluppo delle reti energetiche necessarie per il pieno sfruttamento delle fonti rinnovabili.

(4) Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.


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In tema di biocarburanti (e bioliquidi) è poi intervenuto il decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 55 (di recepimento della direttiva 2009/30/CE) che prevede l'aggiornamento delle specifiche dei combustibili utilizzati nei trasporti (carburanti), fissate ai fini della riduzione delle emissioni inquinanti.
In attuazione della direttiva 2009/31/CE, al fine di contribuire alla riduzione delle emissioni di gas-serra, il decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 162, ha istituito un quadro di misure per garantire lo stoccaggio geologico permanente di CO2 (biossido di carbonio) in formazioni geologiche profonde.
Con il Decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 55, attuativo della direttiva 2009/30/CE, è stato invece modificato ed integrato il decreto legislativo n. 66/2005 (relativo alle specifiche ambientali di benzina e combustibile diesel) anche attraverso l'aggiunta di un nuovo allegato (V-bis) sul calcolo delle emissioni di gas serra prodotte durante il ciclo di vita dei biocarburanti. Il Decreto legislativo n. 55/2011 ha altresì novellato alcune disposizioni del titolo III della parte quinta del decreto legislativo 152/2006, sul tenore di zolfo dei combustibili delle navi.

Lo scambio delle quote di emissione - ETS

Nell'ambito delle misure adottate per il raggiungimento degli obiettivi posti dal Protocollo di Kyoto (ratificato dall'Italia con la legge n. 120/2002), la direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 ha istituito un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità - denominato Emission Trading System (ETS) - al fine di anticipare la piena entrata in vigore dell'emission trading, prevista su scala globale dal Protocollo solo dal 2008.
Tale direttiva è stata recepita con il decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216, il cui campo di applicazione, ai sensi dell'articolo 2, riguarda le emissioni provenienti dalle attività indicate nell'allegato A (che al punto 1.2 include le raffinerie di petrolio) e A-bis (trasporto aereo) ed ai gas ad effetto serra elencati nell'allegato B, vale a dire anidride carbonica (CO2), metano (CH4), protossido di azoto (N2O), idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC) ed esafluoro di zolfo (SF6).
A decorrere dalla data di entrata in vigore del citato decreto, nessun impianto può esercitare le attività elencate nell'allegato A che comportino emissioni di gas-serra specificati nel medesimo allegato in relazione a tali attività, senza essere munito dell'autorizzazione ad emettere gas-serra rilasciata dall'autorità nazionale competente (individuata dall'articolo 3-bis nel Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE, istituito presso il Ministero dell'ambiente).
In estrema sintesi, il funzionamento del sistema ETS può essere così riassunto: i soggetti rientranti nel campo di applicazione della direttiva 2003/87/CE vengono obbligati a restituire annualmente alle autorità nazionali competenti una quota di titoli (cd. «quote di emissione») corrispondente alle emissioni assegnate all'impianto stesso dal Piano nazionale di assegnazione (PNA), sulla base delle


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indicazioni comunitarie. I titoli passeranno gradualmente da un'assegnazione gratuita agli impianti all'assegnazione tramite asta. Gli impianti possono così adempiere i propri obblighi in due maniere differenti: riducendo le emissioni, con la possibilità di vendere sul mercato le eventuali quote in esubero nel caso di riduzioni superiori a quanto previsto, o acquistando gli eventuali titoli mancanti sul mercato, messi in vendita da altre aziende più «virtuose».
In attuazione del decreto legislativo n. 216/2006 i Ministeri competenti (dell'ambiente e dello sviluppo economico) hanno approvato (con decreto DEC/RAS/1448/2006) il Piano nazionale di assegnazione (PNA) delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012 e, successivamente (in data 29 febbraio 2008), la Decisione di assegnazione per il periodo 2008-2012.
In seguito all'esaurimento della «Riserva nuovi entranti» prevista dalla Decisione di assegnazione per il periodo 2008-2012, l'articolo 2 del decreto-legge n. 72/2010 (convertito dalla legge 111/2010) ha dettato le necessarie misure per l'assegnazione gratuita di quote di emissione di CO2 ai nuovi impianti entrati in esercizio.
Si ricorda inoltre che all'interno dell'Allegato B della legge comunitaria 2009 (L. 96/2010) è inclusa la direttiva 2009/29/CE, che concerne la revisione per il periodo post-2012 del sistema comunitario ETS di scambio delle emissioni di gas-serra (il cui termine di recepimento per gli Stati membri scade il 31 dicembre 2012) e che fa parte del cd. pacchetto clima-energia. Tra le principali novità introdotte all'ETS dalla direttiva 2009/29/CE, si segnala la previsione che dal 2013 il criterio principale per l'allocazione delle quote agli impianti (attualmente gratuita e basata sulle emissioni storiche) sia l'assegnazione a titolo oneroso tramite asta.

Addizionali IRES settore energetico

L'articolo 81, comma 16 del decreto-legge n. 112 del 2008 ha introdotto un'addizionale all'imposta sui redditi nei confronti delle società che operano nel settore petrolifero, ivi compreso il settore dell'energia elettrica, aventi un volume di ricavi superiore a 10 milioni di euro e un reddito imponibile superiore a 1 milione di euro.
In particolare, l'addizionale si applica alle imprese operanti nei seguenti settori:
a) ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi;
b) raffinazione petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e gas naturale;
c) produzione, trasmissione e dispacciamento, distribuzione o commercializzazione dell'energia elettrica;
c-bis) trasporto o distribuzione del gas naturale.

Nel caso di soggetti operanti anche in settori diversi da quelli di cui alle lettere a), b) e c), la disposizione del primo periodo si applica qualora i ricavi relativi ad attività riconducibili ai predetti settori siano prevalenti rispetto all'ammontare complessivo dei ricavi conseguiti.


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L'aliquota, fissata in origine al 5,5 per cento e successivamente elevata al 6,5 per cento (articolo 56 della legge n. 99 del 2009, «collegato energia»), è stata innalzata al 10,5 per cento per tre periodi d'imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2010 (ai sensi dell'articolo 7, comma 3 del decreto-legge n. 138 del 2011).
Il comma 18 dell'articolo 16 espressamente vieta agli operatori economici dei settori interessati di traslare l'onere della maggiorazione d'imposta sui prezzi al consumo, prevedendo uno specifico meccanismo di vigilanza in capo all'Autorità per l'energia elettrica e il gas.
Con delibera del 4 luglio 2008, n. ARG/com 91/08 sono state emanate disposizioni urgenti in materia di vigilanza sul rispetto del divieto di traslazione della maggiorazione d'imposta; con la successiva delibera dell'11 dicembre 2008, n. VIS 109/08, sono stati dettati i criteri e le modalità di verifica del rispetto del divieto di traslazione della maggiorazione di imposta.
L'articolo 3, comma 2, della legge n. 7 del 2009 (Ratifica del trattato Italia-Libia) ha introdotto un'ulteriore addizionale IRES gravante sulle imprese operanti nel settore degli idrocarburi aventi determinati requisiti.
Essa si applica, in particolare (richiamato articolo 3, comma 1) nei confronti delle società e degli enti commerciali residenti nel territorio dello Stato:
• che operano nel settore della ricerca e della coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, con partecipazioni di controllo e di collegamento e con immobilizzazioni materiali e immateriali nette dedicate a tale attività con valore di libro superiore al 33 per cento della corrispondente voce del bilancio di esercizio;
• emittenti azioni o titoli equivalenti ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato;
• con una capitalizzazione superiore a 20 miliardi di euro determinata sulla base della media delle capitalizzazioni rilevate nell'ultimo mese di esercizio sul mercato regolamentato con i maggiori volumi negoziati.

Essa è pari al 4 per cento dell'utile prima delle imposte risultante dal conto economico, qualora dallo stesso risulti un'incidenza fiscale inferiore al 19 per cento, ma non è dovuta per gli esercizi in perdita (comma 2 dell'articolo 3).
Il relativo importo (comma 2 dell'articolo 3) non può eccedere il minore tra:
a) l'importo determinato applicando all'utile prima delle imposte la differenza tra il 19 per cento e l'aliquota di incidenza fiscale risultante dal conto economico;
b) l'importo corrispondente alle seguenti percentuali del patrimonio netto, come definito ai sensi del successivo comma 5:
1. 10,3 per mille fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2011;
1-bis). 7,5 per mille per l'esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2011;


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2. 5,8 per mille dall'esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2012 e fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2015;
3. 5,15 per mille dall'esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2015 e fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2019;
4. 4,65 per mille dall'esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2019 e fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2023;
5. 4,2 per mille dall'esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2023 e fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2028.

L'incidenza fiscale di cui al comma 2 corrisponde all'aliquota come determinata dal rapporto tra i seguenti dati rilevati dal conto economico:
a) onere netto per l'IRES corrente, differita e anticipata, per le eventuali imposte sostitutive. Il riferimento all'IRES deve intendersi comprensivo dell'addizionale istituita dall'articolo 81, comma 16, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, mentre non rileva, ai fini della determinazione di tale onere netto, la medesima addizionale del 4 per cento in commento;
b) utile prima delle imposte.

Dall'onere netto per l'IRES così calcolato sono esclusi gli effetti di imposta corrente, differita e anticipata, relativi alle società incluse nello stesso consolidato fiscale nazionale o mondiale o insieme con le quali è stata esercitata l'opzione per la trasparenza fiscale. Tuttavia, tali effetti devono essere mantenuti o, qualora non siano rilevati, l'onere netto per l'IRES deve essere corrispondentemente rettificato, nel caso in cui le partecipazioni in tali società siano oggetto di svalutazione. In ogni caso tali effetti rilevano in misura non superiore al 27,5 per cento della svalutazione della partecipazione alla quale si riferiscono, come risultante dal conto economico.
Il patrimonio netto (comma 5) per la determinazione del limite di cui al comma 2, lettera b), è quello risultante dal bilancio di esercizio diminuito dell'utile di esercizio e aumentato degli acconti sul dividendo eventualmente deliberati. Se il periodo d'imposta è superiore o inferiore a dodici mesi, il limite è ragguagliato alla durata di esso.
L'addizionale del 4 per cento è dovuta a decorrere dall'esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2008 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2028. Ai fini del calcolo dei versamenti in acconto relativi al primo esercizio si fa riferimento a quella che sarebbe stata l'addizionale dovuta per l'esercizio precedente, ferma rimanendo la facoltà di fare riferimento allo stesso esercizio relativamente al quale la stessa si rende dovuta.

La proposta di direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici

Il 13 aprile 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva sulla tassazione dell'energia (COM(2011)168), che


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mira ad adeguare i meccanismi del mercato interno alle nuove esigenze ambientali.
In particolare, le imposte sull'energia vigenti sarebbero divise in due componenti:
• una parte, basata sulle emissioni di CO2 rilasciate dal prodotto energetico, ammonterebbe a 20 euro per tonnellata di CO2;
• l'altra basata sul contenuto energetico (energia effettiva generata dal prodotto misurata in gigajoule (GJ)), corrisponderebbe a 9,6 euro/GJ per i carburanti per motori, e 0,15 euro/GJ per i combustibili per riscaldamento. Essa si applicherebbe a tutti i carburanti e combustibili utilizzati per i trasporti e il riscaldamento.

La direttiva entrerebbe in vigore a partire dal 2013. Per allineare completamente la tassazione del contenuto energetico sono previsti lunghi periodi transitori, fino al 2023, in modo da lasciar tempo al settore di adeguarsi al nuovo regime.
La proposta segue una procedura legislativa speciale, che prevede la mera consultazione del Parlamento europeo e l'unanimità in seno al Consiglio dell'UE.
Il 19 aprile 2012 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che reca emendamenti alla proposta che prevedono, tra le altre cose, di mantenere invariato il vantaggio fiscale di cui beneficia il diesel in molti Paesi membri, rispetto alla benzina, al fine di evitare un aumento del prezzo del diesel (che tuttavia produce più emissioni di CO2 rispetto alla benzina).
La proposta è stata esaminata dal Consiglio Ecofin del 22 giugno, dal quale è emerso un sostanziale accordo tra i Paesi membri circa la fissazione di aliquote minime per la tassazione dei prodotti energetici, lasciando ai singoli Governi la discrezionalità per quanto concerne la ripartizione tra le componenti dell'imposta (CO2 e contenuto energetico).

3. I contributi dei soggetti auditi

3.1 Seduta di martedì 8 novembre 2011

Audizione di rappresentanti di Filctem-CGIL, Femca-CISL e Uilcem-UIL.

GABRIELE VALERI, Segretario nazionale della Filctem-CGIL.

Il Segretario nazionale della Filctem-CGIL ha preliminarmente evidenziato i dati relativi sia alla contrazione generale dei consumi sia al calo dell'utilizzo di prodotti raffinati in Italia, causati a suo avviso, oltre che dalla crisi economica, anche dal fatto che per molte imprese del settore petrolifero è diventato conveniente acquistare prodotti già raffinati all'estero.
Prima del 2007, infatti, non tutte le aziende hanno effettuato i necessari investimenti (come l'idro-crack) per rinnovare gli impianti e restare al passo con le necessità del commercio, dell'industria e del


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settore dei trasporti che prevalentemente utilizza i raffinati. Per tale motivo, attualmente molte raffinerie italiane (come ad esempio Venezia (5)) presentano quello che si definisce un basso tasso di conversione: producono pochi prodotti leggeri, come il gasolio, e troppa benzina rispetto alle esigenze del mercato e, soprattutto, producono ancora un'elevata quantità di oli combustibili.
Questa situazione determina due problemi per il settore della raffinazione:
sottoutilizzo dell'impianto, con conseguente aumento dei costi marginali della produzione;
riduzione dei margini di raffinazione.

Su sollecitazione della Presidente Dal Lago, che ha ricordato che l'impianto di Venezia è per buona parte di proprietà dello Stato, Valeri ha puntualizzato che, a suo avviso, la mancata riconversione delle raffinerie è diffusa allo stesso modo nelle aziende a partecipazione statale e in quelle private.
L'impianto ENI di Sannazzaro, per esempio, è all'avanguardia ed è in corso di installazione l'impianto del progetto EST (ENI Slurry Technology), che eliminerà la produzione di oli combustibili e di altri prodotti invendibili.
Lo stabilimento di Taranto è abbastanza moderno, mentre il sito di Gela, pur essendo datato, è un impianto ad alta conversione.
Gli stabilimenti di Livorno e Venezia sono rimasti indietro e, nel caso di Venezia, ciò è in buona parte dovuto al sistema dei permessi.
Un'altra questione riguarda la tracciabilità del prodotto. Secondo Valeri, in ambito italiano ed europeo si dovrebbe cercare di introdurre un meccanismo di tracciabilità, dal momento che attualmente nell'area UE ci sono vincoli ambientali e di sicurezza, ma contestualmente si incentiva l'acquisto di raffinati provenienti dalle raffinerie dell'Est europeo o addirittura dell'India, dove sono applicate normative che implicano costi di produzione ben diversi.
Al Parlamento si richiede di programmare un intervento:
• sulle leve fiscali che agiscono nel settore;
• sui meccanismi di semplificazione del sistema dei permessi;
• sui sistemi di integrazione delle attività produttive all'interno dei siti delle raffinerie (ad esempio le centrali di produzione elettrica in funzione nei siti delle raffinerie, molte delle quali sono da riconvertire in quanto funzionano a olio combustibile).

SERGIO GIGLI, Segretario generale della Femca-CISL.

Il Segretario generale della Femca-CISL ha inizialmente focalizzato la propria attenzione sulla effettiva possibilità che nel prossimo futuro in Italia si verifichi la chiusura di almeno quattro o cinque siti

(5) Tra le raffinerie che invece hanno investito vengono ricordate invece Sannazzaro, Gela e Mantova.


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e sulle iniziative possibili in quegli insediamenti industriali. Non a tutti, infatti, è consentito - come a Tamoil - di evitare la bonifica per la possibilità di stoccare il prodotto finito nel parco serbatoi.
Successivamente, ha rilevato l'importanza di un lavoro coordinato che permetta al sistema, seppur razionalizzato, di resistere alla crisi in atto e mantenere la propria strategicità.

AUGUSTO PASCUCCI, Segretario generale della Uilcem-UIL.

Il Segretario generale della Uilcem-UIL ha ricordato, fra l'altro, che per affrontare lo scenario a breve termine, il sindacato ha stretto un accordo con il più grande produttore italiano di idrocarburi, ENI, che possiede cinque raffinerie e genera un terzo della produzione italiana. Con questo accordo, ENI garantisce di sostenere le perdite fino al 2014, non chiudendo le raffinerie, ma fermandole tecnicamente per riequilibrare il bilancio tra costi di produzione e ricavi della vendita dei prodotti. Altri sono i soggetti che potrebbero, invece, presentare conti in rosso e quindi determinare costi sociali. Si tratta soprattutto di produttori italiani e stranieri che non hanno sottoscritto alcun impegno per tutelare il proprio patrimonio industriale e la propria capacità produttiva in un arco temporale di brevissimo periodo. Se questi produttori, diversi da ENI, dovessero decidere di non sostenere più le perdite, ci troveremmo di fronte alla chiusura di circa quattro raffinerie, pari a venti milioni tonnellate di produzione, per un totale di circa 1.500 addetti. Il sindacato deve dunque chiedere una definizione di crisi del settore per intervenire anche con normative ad hoc a sostegno dei costi sociali che possono derivare dalla crisi.
Pascucci ha inoltre approfondito il tema dell'impatto ambientale individuando gli aspetti che potrebbero favorire la crescita di settori industriali «a valle» delle grandi imprese petrolifere, come per esempio servizi ambientali e servizi di bonifica ambientale. Ha ricordato altresì che, nel settore elettrico, Enel ha stipulato con lo Stato, attraverso una legislazione ad hoc, un accordo in cui si parla di economic capacity, grazie al quale molte centrali di produzione elettrica pur avendo fermato l'attività, non hanno licenziato il personale. Il segretario generale ritiene che una simile normativa potrebbe essere applicata anche a favore del settore petrolifero, individuando al contempo il perimetro delle raffinerie strategiche per il Paese che non necessariamente devono appartenere a un produttore nazionale. Ciò in considerazione del fatto che la raffineria più grande, la SARAS in Sardegna, il cui produttore è nazionale, presenta le maggiori perdite a livello nazionale.

3.2 Seduta del 30 novembre 2011

Audizione di rappresentanti di Q8, API e SARAS.

UMBERTO SCARIMBOLI, Amministratore delegato del gruppo API.

L'amministratore delegato di API ha evidenziato che la raffineria di Falconara, pur essendo di dimensioni medio-piccole, è strategico su


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tutta la dorsale adriatica essendo collocato tra i siti di Venezia e Taranto.
La raffineria API impiega fra i 1.500 e i 2 mila addetti direttamente dipendenti o coinvolti nei processi manutentivi di servizio ed è rilevantissima ai fini dell'economia della provincia di Ancona in termini di tassa portuale. Rappresenta, infatti, il 40 per cento delle tasse portuali incassate dal comune di Ancona e il 21 per cento dei canoni demaniali.
Si tratta dunque di una realtà veramente importante nell'area geografica che è fortemente interessata dalla crisi, in particolare per alcuni fattori di criticità quali:
le politiche ambientali, in particolare, per i sempre più gravosi adempimenti relativi ai rischi ambientali, per il disallineamento tra le politiche europee sempre più severe e quelle dei Paesi con politiche sociali e ambientali molto meno restrittive;
la fiscalità dei prodotti e le accise, che soprattutto dopo la concessione alle regioni del potere di introdurre addizionali, sono cresciute notevolmente, deprimendo ulteriormente la domanda;
la discriminazione fra benzina e gasolio, che incentivando il gasolio rende ancora più gravoso il problema dell'eccesso di produzione della benzina;
la fiscalità delle imprese italiane e la Robin tax.

Elencati i fattori di criticità, il dr. Scarimboli ha illustrato alcune proposte di soluzioni.
A livello di UE sono necessari un riequilibrio della concorrenza tra Paesi che hanno vincoli sociali e ambientali e altri soggetti a regole meno rigide e un ridimensionamento della percentuale dei biocarburanti necessari.
Per quanto riguarda la normativa nazionale, sarebbe auspicabile uno spostamento al centro delle competenze, utilizzando la legge n. 239 del 2004 e prevedendo un coordinamento in materia ambientale nel settore petrolifero, la fissazione di termini temporali certi per il rilascio delle diverse autorizzazioni e l'individuazione di un organo super partes (che potrebbe essere l'ISPRA) per dirimere le controversie tecniche.
Infine, per mantenere un ruolo strategico alla raffinazione nazionale, occorre concentrare gli investimenti su una decina di raffinerie (non su 16), agevolando aggregazioni di poli consortili che possano procedere agli investimenti e aumentare il livello di efficienza.
L'ultima considerazione ha riguardato la drammaticità di un'eventuale decisione di embargo delle importazioni dall'Iran.

DARIO SCAFFARDI, Direttore generale di SARAS.

Il Direttore generale di Saras ha posto l'accento sul motivo per cui il settore della raffinazione si trova in crisi.


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La capacità di raffinazione europea è di 12 milioni di barili al giorno e i consumi 14,5. A un primo esame, dunque, ci si potrebbe domandare perché il settore sia in crisi.
L'Europa è il mercato in cui il valore dei prodotti petroliferi è il più alto del mondo. Di conseguenza, i produttori cinesi, indiani e americani possono vendere i loro prodotti in Europa a prezzi più vantaggiosi, sia perché godono di forme di sussidi diretti o indiretti, sia i minori costi di produzione e di manodopera, sia a motivo di minori vincoli ambientali.
Per cercare di fronteggiare questo tipo di situazione, oltre alle misure comuni a tutta l'industria italiana (troppe leggi, troppa burocrazia, troppe tasse, ecc.), la prima e più importante esigenza per i produttori petroliferi sarebbe quella di poter competere in maniera paritaria, ossia di poter vendere alle stesse condizioni in cui le vende un americano, un indiano, o un cinese.
Per concludere, il dott. Scaffardi ha posto in rilievo la strategicità del settore della raffinazione, pari a quella del settore dell'energia elettrica o delle infrastrutture pubbliche.
È molto importante che un Paese sia indipendente o ragionevolmente indipendente dal punto di vista dalla raffinazione, perché in questo caso può acquistare il petrolio in diverse zone del mondo, a condizioni più o meno vantaggiose. La dipendenza dal punto di vista dei prodotti petroliferi - non del petrolio come materia prima - sarebbe invece molto più gravosa per il sistema.

PIETRO FERRARA, Dirigente di Q8.

Dopo ha ripercorso brevemente la storia della Kuwait Petroleum Italia, una società piuttosto giovane presente in Italia da poco più di 25 anni, e che ha maturato una serie di esperienze relative a dismissioni di impianti importanti. Ha poi sviluppato una riflessione sulle azioni da intraprendere per uscire dalla crisi del settore della raffinazione.
Ha affermato, innanzitutto, che occorre procedere ad una razionalizzazione del sistema italiano, chiudendo, per prima cosa, alcuni siti meno competitivi o efficienti, da bonificare e trasformare ad esempio in depositi.
Per esempio, nel caso del sito di Falconara, se non può essere più una raffineria, sarebbe preziosissimo per il sistema avere un deposito al centro dell'Adriatico. A Napoli, c'è stato lo stesso problema, perché dalla Sicilia fino a Roma non esistevano altre possibilità di avere depositi e, quindi, l'obiettivo è stato quello di creare un deposito sulla base di Napoli.
In merito all'esperienza di Napoli - passati ormai più di quindici anni dalla chiusura della raffineria - il dott. Ferrara ha lamentato le lentezze per avere un quadro giuridico certo in cui realizzare il progetto di conversione della raffineria in un terminale, con il concorso di un elevato numero di autorità coinvolte chiamate a dare la loro autorizzazione o il loro parere in merito, in assenza di un organismo centrale di coordinamento. Non sono mai stati fissati tempi certi e ancora oggi il processo di bonifica di Napoli, che è appena


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cominciato, non ha un orizzonte sicuro dal punto di vista normativo, mentre dal punto di vista industriale il progetto sarebbe perfettamente immaginabile.
La raffineria di Milazzo rappresenta il cuore del processo di integrazione con le attività di distribuzione commerciale dell'azienda in Italia. Tuttavia, qualsiasi permesso, qualsiasi autorizzazione in merito ad una modifica relativa ad un impianto esistente comporta almeno tre o quattro anni di discussione per arrivare ad ottenere i permessi previsti.

3.3 Seduta di martedì 10 gennaio 2012

Audizione di rappresentanti di ERG, IES e TAMOIL:

PIER FRANCESCO PINELLI, Direttore Refining & Marketing ERG.

Il dott. Pinelli ha innanzitutto ricordato che il gruppo ERG possiede il 40 per cento della raffineria ISAB in Sicilia, la più grande del Mediterraneo, piuttosto ampia e complessa, e gestisce le altre attività di raffinazione e commercializzazione sul territorio italiano attraverso la joint venture TotalErg, di cui è azionista al 51 per cento, all'interno della quale si trovano due raffinerie, la raffineria di Roma (a Pantano di Grano, vicino all'aeroporto e alla discarica), e una quota della raffineria di Trecate, vicino Novara.
Successivamente è passato a ricordare le ragioni strutturali della crisi della raffinazione, individuando i seguenti punti:
eccesso di raffinerie nel mondo, mentre a partire dalla crisi del 2008 la domanda di prodotti petroliferi a livello mondiale è calata in maniera importante;
in Europa e in Italia ci sono molti impianti obsoleti e non competitivi;
differenze di sovvenzioni governative e di vincoli normativi tra Stati.

Successivamente, ha richiamato l'attenzione della Commissione sui principali problemi proponendo modalità di soluzione, tra cui:
il riaccentramento delle competenze e del potere decisionale a livello statale, mettendo in atto procedure ad hoc per la realizzazione dei nuovi impianti e delle modifiche, nonché per risolvere i problemi derivanti dall'attuale decentramento amministrativo delle competenze sull'energia;
il riconoscimento dello stato di crisi del settore, permettendo l'applicazione dei benefici giuslavoristici e amministrativo-fiscali in questi casi riconosciuti alle aziende del settore, con una semplificazione amministrativa non soltanto sui nuovi investimenti, ma anche sugli investimenti connessi alle riconversioni industriali;
la defiscalizzazione, in quanto in un settore in cui ad esempio un'azienda ha tre impianti di cui solo uno profittevole e gli altri


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impianti complessivamente in perdita, prevedere un'imposta maggiorativa (Robin tax) al 10 per cento che grava proprio sull'impianto che genera profitti, è poco logico;
un'evoluzione della normativa in sede europea (a cui partecipano i Ministeri competenti a livello europeo sull'emission trading, cioè sulla CO2 e sull'utilizzo dei biocarburanti) che non penalizzi ulteriormente il settore della raffinazione in termini di extraoneri ambientali.

ANTONINO GULLOTTA, Direttore raffineria IES-Italiana Energia e Servizi.

Il dott. Guillotta ha anzitutto ricordato che IES è una società petrolifera integrata che importa il grezzo, lo raffina presso la raffineria di Mantova e lo distribuisce attraverso impianti propri o rivenditori.
IES è al 100 per cento di proprietà del gruppo ungherese MOL, che ha acquistato la raffineria nel 2007, cioè in quel periodo definito storicamente la golden age del refining, a fine 2006 e inizio 2007, in cui la profittabilità delle raffinerie in Europa era molto elevata.
Subito dopo l'acquisizione è intervenuta la crisi economica internazionale. che ha determinato un deterioramento dei margini di raffinazione. A ciò si è aggiunto che uno dei prodotti principali di questa raffineria è rappresentato dal bitume, che ha subito un fortissimo calo della domanda e quindi un fortissimo deterioramento del prezzo anche per la diminuzione degli interventi pubblici di opere per ammodernamento e potenziamento della rete stradale e autostradale.
Successivamente il dott. Giullotta ha rilevato che il grezzo e i prodotti petroliferi sono quotati su mercati liberi simili, ma non esattamente uguali. Il mercato del grezzo è infatti più globalizzato dei prodotti petroliferi, trainato dalla domanda dell'energia globale (in crescita sia pure con ritmi più lenti rispetto al passato), ma anche dalla speculazione economica. I prodotti petroliferi vengono invece quotati con logiche di incontro fra domanda e offerta, in maniera non globalizzata come il grezzo, in quanto ci sono diversi mercati di riferimento. Per tale motivo l'Italia si trova ad acquistare un grezzo, le cui logiche di quotazione sono globalizzate e determinate anche dalla forte speculazione, e a rivendere prodotti sui mercati in cui la domanda è in forte stagnazione, se non in recessione.
Questo ha fatto sì che dalla metà del 2007 all'inizio del 2008, il margine di raffinazione lordo sia repentinamente crollato, ed oggi per una raffineria del Mediterraneo di media complessità, quindi abbastanza moderna, che produce una forte percentuale di benzina e diesel, la profittabilità lorda della raffinazione è già negativa nell'ordine di circa 1 dollaro al barile. Una raffineria di media grandezza, che raffina 100.000 barili, perde quindi 100.000 dollari al giorno, che in un anno sono più di 36 milioni di dollari, quindi tra i 25 e i 28 milioni di euro all'anno.


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Negli ultimi tre anni in Europa si sono persi quasi 3 milioni di barili al giorno di raffinazione, ma questa chiusura non ha comportato alcun beneficio per quanto riguarda i margini di raffinazione. Di più: sono in atto chiusure di impianti importanti che comunque, a detta dei principali analisti del settore, non produrranno a loro volta alcun beneficio per quanto riguarda la profittabilità della raffinazione in Europa, se non si riuscirà ad arginare l'importazione di prodotti petroliferi dai Paesi del Medio Oriente o del Far East, i cui costi di produzione sono assolutamente inferiori a quelli europei.
Pertanto, per dare sollievo all'industria della raffinazione a livello europeo e a livello italiano in cascata, occorre porre un freno all'importazione di questi prodotti petroliferi e rivedere i costi che gli operatori nazionali ed europei si trovano a sostenere per adeguarsi alle normative ambientali.
In particolare, la raffineria di Mantova si trova vicino ad un sito di interesse nazionale ed è quindi controllata da una miriade di enti come l'ARPA, il Parco del Mincio, la provincia e il comune, enti che lavorano per migliorare la convivenza tra la raffineria e la comunità, che talvolta danno prescrizioni contrastanti. Occorre pertanto una semplificazione a livello istituzionale e la creazione di un ente super partes, che possa dirimere eventuali controversie a livello locale tra i vari enti.

LUCA LUTEROTTI, Amministratore delegato Tamoil Italia Spa.

L'Amministratore delegato di Tamoil Italia ha portato alla Commissione la testimonianza concreta della chiusura nel 2011 della raffineria a Cremona.
La raffineria di Cremona produceva il 25 per cento di olio combustibile ma, da quando l'Italia ha convertito le centrali termoelettriche a gas metano, l'olio combustibile non è più richiesto, e quindi ad ogni barile di grezzo in raffineria al 25 per cento si produceva un prodotto che non era vendibile e che, anche qualora lo fosse stato, avrebbe avuto un prezzo di vendita inferiore al prezzo del grezzo. La raffineria di Cremona è collocata al centro dell'Italia e della pianura padana e senza sbocchi al mare. Per portare al mare l'olio combustibile in più e l'eccesso di benzina era necessario il trasporto sui treni o con le autobotti e portarlo fino al mare per esportarlo.
Spendendo diverse decine di milioni di euro, l'azionista ha anche provato a studiare un investimento diverso che riducesse la produzione di olio combustibile e avviato il lungo iter dei permessi previsti, ma nel frattempo eliminare l'olio combustibile significava convertirlo in gasolio e in benzina, per cui si finiva per produrre più benzina e la difficoltà era esportarla perché l'America non è più in grado di assorbirla.
In questa situazione la Tamoil ha dismesso la raffineria nel 2011, e convertito il sito della raffineria in un deposito sul quale sono stati fatti altri investimenti.
Il deposito è stato infatti collegato a un sistema di importazione (purtroppo non era possibile collegare la raffineria a un sistema di esportazione) di cui Tamoil ha comprato una quota, fatto tutti gli


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interventi di sicurezza (antincendio, doppi fondi, pavimentazioni) necessari a fargli adottare gli standard di un moderno polo logistico.
Tamoil ha raggiunto un accordo sociale con le organizzazioni sindacali, laddove l'impatto sociale è stato molto importante per una città come Cremona. Dei 270 dipendenti ne sono stati ricollocati 80, di cui 65 all'interno del gruppo, e per gli altri sono stati attivati gli ammortizzatori sociali più una serie di iniziative come società di outplacement, incentivazione delle società che assumeranno lavoratori Tamoil oggi in cassa integrazione, e avviato con le autorità locali un iter per la reindustrializzazione del sito in cui verranno dismessi gli impianti.
In quest'operazione di riconversione non sono mancate difficoltà dovute alla questione delle autorizzazioni, in quanto per un certo periodo mancava la nuova autorizzazione per poter esercire legittimamente il deposito, mentre non era più operativa l'autorizzazione relativa alla raffineria. Il dott. Luterotti auspica un automatismo delle suddette procedure al fine di evitare questi vuoti.
Per quanto riguarda i temi ambientali, il dott. Luterotti segnala che, qualora un'azienda sia disposta a smantellare gli impianti e a reindustrializzare un'area - che quindi rimane ad uso industriale (ovviamente invece se cambia destinazione d'uso occorre sicuramente bonificare) -, se ci sono dei sistemi di sicurezza operativa sarebbe opportuno procedere mantenendo vivi i sistemi di messa in sicurezza già attivi. In caso contrario, i processi di bonifica durano dieci anni e si perde l'opportunità di fare investimenti su quell'area industriale da parte della società e di attrarre lavoro.
Inoltre, le attività di reindustrializzazione sui siti di eventuali raffinerie dismesse dovrebbero essere oggetto di incentivi economici.
Per quanto riguarda gli aspetti normativi, Tamoil ha incontrato difficoltà perché i regolamenti a livello nazionale sono in contraddizione con quelli a livello locale e regionale.

3.4 Seduta del 25 gennaio 2012

Audizione di rappresentanti di ENI

LEONARDO BELLODI, Responsabile relazioni istituzionali ENI Spa.

Il dott. Bellodi ha esordito sottolineando la strategicità del settore della raffinazione, che impiega circa 600 mila persone in Europa, di cui 100 mila solo in Italia. Nel settore della petrolchimica, che è strettamente connesso a quello della raffinazione, operano poi 800 mila addetti. Si tratta dunque di numeri molto importanti.
L'industria della raffinazione è influenzata da due macrotemi. Il primo è quello dell'andamento del prezzo del greggio, da cui si alimenta, e il secondo quello della domanda di prodotti da parte dei consumatori, siano essi civili o industriali.
Negli ultimi anni riscontriamo due fenomeni principali. Uno è l'escalation dei prezzi del greggio e l'altro il crollo della domanda dei prodotti petroliferi.


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A questo quadro macroeconomico vanno aggiunti l'introduzione di regole a livello europeo che comportano costi supplementari per il settore della raffinazione e la concorrenza di Paesi extraeuropei, con riferimento a Medio Oriente, India e Cina.
Per quanto riguarda il prezzo del greggio, dal 2005 a oggi il prezzo medio del greggio è raddoppiato, passando da circa 50 dollari al barile a oltre 100 dollari. Il fatto che il greggio aumenti ha un impatto sul costo della raffinazione, perché per raffinare si consuma energia, e dal 2005 al 2011 il costo dell'energia consumata per le raffinerie è aumentato del 150 per cento, riducendo il margine di contribuzione della raffinazione.
Inoltre, il differenziale tra il brent, che è il riferimento del greggio per il mercato europeo, e il WTI, che è il riferimento per gli Stati Uniti, ha raggiunto più o meno i 20 dollari a barile, generando così una situazione di vantaggio per le raffinerie americane, che lavorano sul brent, rispetto alle nostre, che hanno come riferimento il WTI.
Altri eventi poi hanno aggravato sia il quadro sostanziale dal lato dell'offerta, come i fatti della «primavera araba» e altre tensioni sul mercato.
Sul fronte, invece, della domanda la crisi economica dal 2008 a oggi ha provocato il crollo dei consumi di prodotti petroliferi di 40 milioni di tonnellate nella sola Unione europea, di cui il 15 per cento in Italia. Lo scenario dell'Agenzia internazionale per l'energia è uno scenario che dà un trend di ulteriore riduzione dei consumi a un tasso più o meno dell'1-1,5 all'anno. In più, e questo è un fenomeno che riguarda l'Europa e particolarmente l'Italia, la domanda di prodotti petroliferi si è spostata dalla benzina al diesel.
Infine, il pacchetto «20/20/20 by 2020», la direttiva sulla qualità dei carburanti e l'applicazione assolutamente legittima di nuove disposizioni internazionali in materia di trasporti marittimi di greggi fanno sì che ci sia un aumento di oneri e costi per le imprese.
In Italia c'è una capacità di raffinazione pari a 100 milioni di tonnellate, distribuite su 15 raffinerie, e si stima per i prossimi anni un eccesso di capacità superiore a 20 milioni di tonnellate, che corrispondono a circa quattro raffinerie di media dimensione.
ENI ha fermato la raffineria di Venezia per un periodo di sei mesi, perché era quella che aveva un margine di contribuzione negativo maggiore delle altre: più produceva e più perdeva.
Infine, il dott. Bellodi ha illustrato un quadro sintetico del sistema di raffinazione ENI in Italia e in Europa.
ENI è il primo operatore nel settore della raffinazione e della distribuzione di prodotti petroliferi in Italia, presente anche nel resto dell'Europa, a livello sia di raffinazione, sia di vendita rete ed extra rete.
Nel 2010 ha una capacità di raffinazione di circa 38 milioni di tonnellate e un indice di utilizzo, purtroppo, non altrettanto incoraggiante. In Italia ha cinque raffinerie di proprietà, e detiene il 50 per cento della raffineria di Milazzo.
Notevoli risorse sono state investite in una nuova tecnologia, la tecnologia EST, nella raffineria di Sannazzaro de' Burgondi, grazie ad alcune autorizzazioni che sono state concesse in tempi ragionevoli, ma soprattutto compatibili con i piani di investimenti dell'ENI.


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Successivamente il dott. Angelo Fanelli, Direttore generale di ENI, ha precisato che la tecnologia EST (ENI Slurry Technology) è un esempio unico al mondo, basato su tecnologia prettamente italiana, che permette di incrementare la quota di gasolio raffinata, e ciò è molto importante dal momento che c'è una domanda crescente di gasolio. Si consideri che da un greggio medio in Italia e nel Mediterraneo deriva per il 40 per cento gasolio, per il 23-25 per cento benzina (che viene utilizzata sempre di meno) e poi c'è un residuo di oltre il 20 per cento. La tecnologia EST fa sì che il 20 per cento di residuo si trasformi in gasolio, lasciando un residuo del 3 per cento, che si sta cercando di ridurre all'1 per cento.
Con riferimento ai risultati economici nel settore refining e marketing del sistema di raffinazione, per quanto riguarda ENI, dal 2009 al 2011 sono state riportate perdite per oltre un miliardo di euro, a cui vanno sommate altre perdite di ENI in Italia, legate alla petrolchimica e anche a tutte le attività regolate per legge negli anni Ottanta e poi chiuse.
In conclusione, il dott. Bellodi ha avanzato alcune proposte di soluzione. In primo luogo, interventi di razionalizzazione, ossia fermata e chiusura di impianti.
In secondo luogo, occorre svolgere un discorso di semplificazione amministrativa per quanto riguarda gli interventi di bonifica e di riconversione dei siti dismessi.
In terzo luogo, c'è bisogno di un sistema di fiscal bonus per quanto riguarda i certificati verdi e gli interventi sull'efficienza energetica.

3.5 Seduta del 31 gennaio 2012

Audizione di rappresentanti di Europia

ALESSANDRO BARTELLONI, Responsabile del settore trasporto e prodotti petroliferi di Europia.

Europia rappresenta l'industria del downstream petrolifero europeo, intendendo con questa espressione il trasporto di materie prime, la raffinazione, che è il cuore dell'attività, il trasporto dei prodotti finiti e la distribuzione dei prodotti finiti, ossia del carburante.
L'associazione rappresenta 16 società petrolifere, dalle grandi major multinazionali a società più concentrate su un Paese o su pochi Paesi europei.
Dal rapporto che Europia ha realizzato nel maggio del 2010 si evincono tre cause principali della crisi della raffinazione:
• il calo della domanda di prodotti petroliferi (per motivi di maggiore efficienza, per la sostituzione con altri prodotti, per esempio i biocarburanti, e anche per questioni strutturali), e si prevede un decremento del 20 per cento della domanda di prodotti al 2030 rispetto al 2003;
• lo squilibrio fra gasolio e benzina (dovuta anche all'incentivazione fiscale che ha avuto il gasolio, il diesel, negli ultimi anni);


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• l'aumento dell'onere derivante dalla normativa vigente in materia a carico dell'industria della raffinazione europea.

Il settore, dunque, si sta ristrutturando significativamente: nel 2009 c'erano 98 raffinerie operanti nell'Unione europea, di cui 5 hanno chiuso la produzione, 13 hanno cambiato proprietà e 3 sono in vendita senza acquirente.
Anche la proprietà delle raffinerie sta cambiando, perché le major internazionali stanno disimpegnandosi progressivamente dall'Europa: lo si è visto con BP, Shell, ConocoPhillips, Chevron, ExxonMobil e Total. Tutte hanno venduto o chiuso parte della loro attività di raffinazione nell'Unione europea.
Al contempo, stanno entrando in Europa nuovi attori, non tradizionali, quali l'indiana Essar, PetroChina, la russa Lukoil, nonché raffinerie indipendenti, quali Valero e Petroplus.
Le compagnie integrate, che comprendono sia l'upstream, quindi la produzione di grezzo, sia la raffinazione, stanno progressivamente separando le due attività anche dal punto di vista societario. Lo si è visto in ConocoPhillips e in Marathon.
Il dott. Bartelloni ha poi evidenziato l'importanza dei prodotti petroliferi. Da proiezioni effettuate non da Europia, ma da organismi che studiano e realizzano proiezioni economiche indipendenti, emerge che i combustibili fossili continueranno a essere molto importanti fino al 2050, perché manca ancora una loro sostituzione completa. Naturalmente i biocarburanti, qualora sostenibili, sostituiranno una parte dei fossili e l'elettricità probabilmente avrà un incremento, quando si otterranno un minore costo e una maggiore efficienza delle batterie elettriche, ma i carburanti fossili continueranno a essere importanti.
Europia ritiene che occorra concentrare le risorse dell'Europa sulle azioni che danno frutti immediati con uno sforzo minore, quindi con un'efficienza maggiore, sfruttare le strutture e le infrastrutture oggi esistenti, migliorare i motori a combustione interna e utilizzare le raffinerie e le reti distribuzione al meglio. Se invece la legislazione va troppo in avanti ed eccede ciò che la tecnica consente, l'Europa potrebbe trovarsi nella situazione di avere bisogno ancora di combustibili fossili senza, però, avere la capacità di produrli internamente, dipendendo ancora di più dall'importazione.
I prodotti petroliferi non sono solo i carburanti, ma rappresentano anche un'importante materia prima per l'industria e altre attività, quali l'agricoltura. Soprattutto per quanto riguarda la petrolchimica, in Europa su 58 impianti di steam cracking, l'impianto base per la petrolchimica, 41 sono integrati con le raffinerie. In conclusione, si può affermare che la raffineria è importante per la security of supply, ossia dal punto di vista della sicurezza degli approvvigionamenti dell'Europa, per la flessibilità degli approvvigionamenti stessi e per consentire la mobilità, che è un bene prezioso per l'Europa. È importante anche la questione della leadership tecnologica che l'industria automobilistica europea si è costruita nel mondo, grazie anche alla collaborazione con l'industria petrolifera, in quanto i nuovi motori sono stati sviluppati insieme ai nuovi tipi di carburante.


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La raffinazione è poi un importantissimo datore di lavoro soprattutto per lavori ad alto contenuto tecnico e ingegneristico. Le cifre sono di 100 mila addetti diretti nelle raffinerie, di 500 mila nei settori marketing e logistica e di quasi 800 mila nel settore petrolchimico.
In base ai dati elaborati dalla International Energy Agency - non da Europia - emerge che l'importanza dell'Europa nell'ambito del consumo energetico mondiale diminuisce. Era del 14 per cento nel 2008, si prevede che sia dell'11 per cento nel 2030 e del 10 per cento nel 2050. In prospettiva, il petrolio e i suoi prodotti rappresenteranno ancora una parte molto significativa della domanda. Se nel 2008 l'oil, era circa il 30 per cento a livello di energie primarie, nel 2030 si prevede che manterrà ancora una grossa importanza, potenzialmente il 20 per cento nel 2050, ossia in anni piuttosto lontani.
Per quanto riguarda la domanda di petrolio suddivisa per i diversi settori di applicazione, se nel 2009 essa si attestava sulle 700 mila tonnellate equivalenti di petrolio, nel 2030 è previsto scenderà a 600 mila, con un calo non drammatico, mentre nel 2050, in dipendenza di quale ipotesi prendiamo di riduzione della domanda, si potrà passare a 480 mila oppure a 300 mila, nel caso più estremo. Rimane comunque sempre una quantità molto significativa.
Passando ad esaminare il settore dei trasporti, oggi il 95 per cento dell'energia per il trasporto deriva dal petrolio. Tale dipendenza si ridurrà, perché il biofuel acquisterà importanza, secondo le previsioni, e lo stesso vale per l'elettricità. I combustibili fossili nel 2030 passeranno da oltre l'80 per cento, nel caso più estremo, al 50 per cento della domanda. Avranno, quindi, ancora un ruolo molto significativo.
In conclusione, dobbiamo continuare a vivere con il petrolio ancora per alcuni decenni. La questione è decidere se vogliamo dipendere dall'importazione, rinunciando alla raffinazione domestica, oppure se vogliamo creare le condizioni perché la raffinazione europea possa continuare a esistere e a dare il proprio apporto all'economia del nostro continente.
Il dott. Bartelloni ha poi toccato l'argomento delle politiche della legislazione a livello europeo che incidono sulla competitività della raffinazione in un quadro mondiale: gli interventi che riguardano il clima e l'energia, le iniziative che riguardano le emissioni industriali (il cosiddetto ETS, ossia l'Emissions Trading System) e quelle relative ai prodotti.
Europia è intervenuta - ha proseguito Bartelloni - perché la raffinazione sia esclusa dalla direttiva in discussione a Bruxelles sull'efficienza energetica. L'energia è un fattore molto significativo nella redditività della raffinazione e le raffinerie europee, nonostante l'elevato costo in Europa, sono a livello mondiale le più efficienti, meno delle recentissime costruite in Estremo Oriente, ma più di quelle statunitensi, per esempio.
In merito ad una seconda direttiva in discussione a Bruxelles sulla tassazione dei prodotti energetici, Bartelloni ha rilevato che un aspetto positivo è la possibilità di riequilibrare gradualmente la situazione attuale fra tassazione del gasolio e della benzina, il che contribuirebbe a riallineare la capacità produttiva del nostro sistema di raffinazione


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con la domanda europea. Un ulteriore aspetto positivo è il principio di tassare i prodotti energetici sulla base del loro contenuto energetico, e tra questi sono compresi il biofuel, l'elettricità e l'idrogeno.
La direttiva sulle emissioni industriali, poi, è in via di revisione, ovvero i limiti verranno ricalcolati e riassegnati. Europia vorrebbe che venissero riassegnati tenendo conto dell'efficienza e dell'efficacia delle misure e, quindi, che non ci siano costi sproporzionati rispetto ai risultati.
Negli ultimi anni, la qualità dei carburanti è molto migliorata, grazie ai cospicui investimenti compiuti dall'industria petrolifera. La cosiddetta Fuel Quality Directive, la direttiva sulla qualità dei carburanti attualmente in discussione introduce, un nuovo elemento: la riduzione del contenuto di CO2 nei combustibili, e guarda al ciclo di vita dei carburanti, dall'estrazione dal pozzo fino all'utilizzo finale nel motore dell'automobile, fissando una riduzione del 20 per cento rispetto al 2010 dell'intensità di CO2.
Europia sta partecipando alla discussione a Bruxelles per far sì che la direttiva non sia punitiva per l'industria della raffinazione europea e soprattutto che non apporti un ulteriore svantaggio competitivo rispetto a chi non opera in Europa.
È in discussione anche la revisione del contenuto di zolfo nei combustibili marini. La posizione di Europia è che l'Unione europea non dovrebbe eccedere quanto stabilito dalla la convenzione Marpol dell'IMO (International Maritime Organization), l'organizzazione mondiale che regola la navigazione. In particolare, per quanto riguarda la qualità del fuel, l'Europa non dovrebbe distaccarsi da quello che fa il resto del mondo, non dovrebbe anticipare ed essere più severa, perché si potrebbe determinare uno svantaggio competitivo.
Infine, il dott. Bartelloni ha concluso con alcune raccomandazioni.
Anzitutto, la politica dell'Unione europea dovrebbe effettuare un impact assessment, ossia in una valutazione dell'impatto che le legislazioni possono avere sul settore della raffinazione, di cui ha riconosciuto la strategicità. Europia chiede poi che non vengano imposti obblighi e mandati sulle infrastrutture di distribuzione prima che ci sia effettivamente un'alternativa per fuel diversi.
Infine, auspica che venga costituito un osservatorio, un organismo formale a livello europeo, che abbia per scopo quello di valutare e salvaguardare la competitività della raffinazione.

3.6 Seduta del 14 febbraio 2012

Audizione di rappresentanti della Regione Sicilia

GIOSUÈ MARINO, Assessore regionale all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione Sicilia.

Il dott. Marino ha illustrato la situazione della Sicilia, regione in cui esistono tre poli petrolchimici: la raffineria di Gela, l'impianto Isab-Esso nella zona di Priolo-Melilli-Augusta e la raffineria di Milazzo, che fa riferimento a ENI. Vi è anche un quarto polo petrolchimico che fa capo a Ragusa, con una forte caratterizzazione


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estrattiva in considerazione dell'ubicazione in sito di molti giacimenti minerari di idrocarburi.
Per quanto riguarda l'andamento dei quattro siti, non si registrano flessioni dalla produzione, se non con riferimento alla raffineria di Gela, dove il fenomeno è da ricondurre ai massicci interventi di ristrutturazione miranti a rendere ecocompatibili le strutture. L'indotto del sito ammonta complessivamente a 500 unità, mentre la manodopera direttamente impiegata è di circa 1.300 persone. Con specifico riferimento a questo impianto, è stato, però, stipulato un accordo con i sindacati per la fuoruscita, attraverso un sistema di incentivazioni, di circa trecento unità in esubero.
Rispetto a tali situazioni sarebbe opportuno dare corpo alle procedure negoziate che regione e Stato avevano avviato tra il 2001 e il 2003 con il proposito di concludere quattro accordi istituzionali di programma per le aree di Milazzo, Gela, Priolo-Melilli-Augusta e Ragusa. Tali accordi non hanno avuto esito favorevole, a eccezione di quello relativo al polo siracusano, che fu firmato nel 2005. L'accordo prevedeva un pacchetto di investimenti pubblici e privati e risorse rese disponibili dallo Stato e dalla regione, ma in realtà non è mai stato avviato. L'impegno della regione c'è stato, ma non è intervenuto un impegno statale che consentisse di avviare proficuamente questa iniziativa.
La regione Sicilia dà ampia disponibilità a riaprire tavoli di confronto nonché a impegnare risorse del Programma operativo-FESR 2007-2013 contenute nell'Asse 2.

MARCO VENTURI, Assessore regionale alle attività produttive della regione Sicilia.

Il dott. Venturi ha sottolineato che la raffineria di Gela rappresenta oggi il punto di maggior criticità del territorio siciliano.
Sono già stati attivati tavoli prefettizi alla presenza della regione e della presidenza di Raffineria di Gela Spa, una società dell'ENI, al fine di affrontare i problemi del personale in esubero sia nell'indotto sia nella produzione diretta. Il numero di occupati nella raffineria di Gela è di 1.174 dipendenti, mentre l'indotto è di circa 1.800 unità lavorative. La raffineria ha presentato alla prefettura, alle organizzazioni datoriali e ai sindacali un piano industriale abbastanza articolato, prevedendo di investire circa 210 milioni di euro per l'ammodernamento della centrale termoelettrica, 70 milioni di euro per interventi di logistica a mare, 50 milioni di euro per logistica a terra, 44 milioni di euro per ottimizzazione del ciclo dello zolfo e 30 milioni di euro per fermata e manutenzione della linea. Nonostante questo grande flusso di investimenti, vi sono ancora esuberi. Per quanto riguarda gli occupati dell'indotto, anziché utilizzare i soliti ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione, e poiché nei territori della regione si stanno costruendo importanti opere stradali, si è concordata con i general contractor la possibilità di spostare parte del personale che fa capo alle imprese edili dell'indotto sui cantieri stradali.


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A Milazzo la situazione è più tranquilla. Il numero di occupati diretti è di 589 unità, mentre l'indotto è pari a circa 700 unità. Anche la raffineria di Milazzo ha un programma di investimento abbastanza articolato.

3.7 Seduta del 21 febbraio 2012

Audizione di rappresentanti della Regione Veneto

GIOVANNI ARTICO, Dirigente regionale della Direzione Progetto Venezia e commissario regionale straordinario per il recupero territoriale-ambientale.

Il dott. Artico ha esordito esponendo alcuni dati relativi alla raffineria ENI di Venezia che ha, anche dal punto di vista occupazionale, un'incidenza piuttosto significativa, con 324 persone occupate in modo diretto e circa 180 nell'indotto. La metà dei lavoratori sono in cassa integrazione. La raffineria veneziana occupa una superficie di oltre 100 ettari e ha una capacità di raffinazione bilanciata a circa 70 mila barili al giorno. I prodotti finiti lavorati dall'impianto di Marghera (gasolio, cherosene, gas propano liquido, olio combustibile, zolfo e bitume) coprono il 65 per cento circa del fabbisogno di idrocarburi del mercato del Nord-Est. Il polo produttivo rifornisce, inoltre, più di 1.200 punti-vendita in Veneto e in Trentino-Alto Adige.
L'attenzione della regione per l'insediamento produttivo della raffineria ENI di Porto Marghera è sempre stata massima, richiamando più volte l'intervento dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente. In particolare, il 14 dicembre 2006 è stato sottoscritto un protocollo di intesa con ENI per Porto Marghera in relazione ad alcuni investimenti addizionali per il miglioramento delle condizioni ambientali e produttive, anche della raffineria di Venezia. Il master plan della raffineria dell'ENI aveva previsto alcuni investimenti nel periodo 2009-2011 per la costruzione di nuovi impianti, al fine di modificare la produzione di oli pesanti in prodotto di elevata qualità, tra cui il gasolio a basso contenuto di zolfo, con l'obiettivo di ridurre il traffico petrolifero nella laguna di Venezia e nella rete stradale del Triveneto. Nel 2007 ENI ha presentato al Ministero dell'ambiente, una richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale per l'adeguamento tecnologico della raffineria di Venezia mediante la realizzazione di un'unità hydrocracking, di un'unità di distillazione sottovuoto (vacuum) e di impianti ausiliari. Il Ministero dell'ambiente, con decreto 29 luglio 2011, n. 431, ha espresso parere positivo di compatibilità ambientale.
Lo sviluppo della raffineria trovava collocazione anche tra le schede di progetto del PSS (Piano Strategico Speciale) per il quale la regione Veneto aveva candidato Porto Marghera come sito di interesse pubblico per la riconversione industriale. Inoltre, la Regione ha ottenuto che all'area di Porto Marghera e alle zone limitrofe, in particolare all'isola di Murano, sia applicabile la definizione di «area di crisi industriale complessa». Un'altra iniziativa voluta dal presidente della regione Veneto è stata l'istituzione del tavolo permanente


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per Porto Marghera. Al tavolo di discussione, convocato il 14 ottobre 2011, a cui hanno partecipato il comune, la provincia, le rappresentanze sindacali CGIL, CISL e UIL, nonché gli assessori competenti, è stato deciso di formalizzare al Presidente del Consiglio dei ministri la richiesta di convocare, a Palazzo Chigi, un incontro dedicato ai problemi occupazionali e al futuro della raffineria ENI di Porto Marghera; ciò anche per discutere il piano industriale che dà prospettive a lungo termine non solo alla raffineria, ma a tutto il sito industriale.
Nel corso dell'incontro che si è tenuto, conseguentemente, presso la Presidenza del Consiglio, il 20 ottobre 2011, si è evidenziata l'impossibilità di trovare un accordo tra le parti che garantisse il prosieguo dell'attività industriale di ENI, la sospensione della cassa integrazione dei lavoratori e la prospettiva della reindustrializzazione dell'area di Porto Marghera, come era stato richiesto nella lettera che ho poc'anzi citato.
ENI ha, tuttavia, confermato il pieno rispetto del protocollo per la gestione delle aree di crisi, il riavvio della produzione al 1o maggio 2012, l'applicazione delle massime garanzie per i lavoratori in cassa integrazione, l'attuazione dell'applicazione delle migliori procedure tecniche per la fermata e la conservazione degli impianti, nonché la disponibilità all'apertura di un tavolo per monitorare possibili sviluppi dell'area.

3.8 Seduta del 31 luglio 2012

Audizione di rappresentanti del MATTM

TULLIO FANELLI, Sottosegretario di Stato del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

L'ing. Fanelli ha preliminarmente richiamato il contesto e le cause che hanno dato origine alla crisi, per passare poi ad esaminare le soluzioni a suo avviso sbagliate (come, ad esempio, la chiusura delle raffinerie) e a concludere proponendo alcune soluzioni basate sul mix «più tecnologia e più ambiente».
In relazione all'origine della crisi, il sottosegretario ha posto in rilievo alcuni punti:
• l'evoluzione del quadro di riferimento internazionale, caratterizzato da una domanda mondiale di petrolio piuttosto stabile, ma con uno spostamento geografico (tra il 2007 e il 2011 in USA, Giappone e UE è diminuita del 9 per cento e nel resto del mondo è aumentata del 12 per cento). In Italia la domanda tra il 2007 e il 2011 si è ridotta del 15 per cento. Contemporaneamente, la capacità di raffinazione è aumentata del 5 per cento, ma anche in questo caso si è modificata la sua distribuzione geografica (in USA è rimasta stabile, in Giappone e UE è diminuita dell'8 e del 4 per cento e nel resto del mondo è aumentata dell'11 per cento). Per la raffinazione italiana, pertanto, si è ridotta la domanda locale, ma non quella mondiale;


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• il mercato di riferimento di una raffineria è locale, continentale o mondiale in funzione della capacità di una raffineria di competere su mercati che comportano costi di trasporto dei prodotti crescenti in relazione alla distanza (l'ordine di grandezza dei costi di trasporto tra Europa e USA è di 4-5 $/b; tra Europa e Cina è di 6-7 $/b). Quanto minore è la competitività di una raffineria, tanto più il mercato diventa locale; ma il vantaggio dei minori costi di trasporto può essere insufficiente per consentire la sopravvivenza;
• i fattori determinanti per la capacità di competere, che sono i costi di approvvigionamento del petrolio (che avvantaggia le raffinerie localizzate in un paese produttore, come il Medio Oriente, che hanno costi di trasporto verso la raffineria quasi nulli), di trasformazione (in cui determinanti sono i costi di capitale, mentre i costi di manodopera incidono per circa il 10 per cento) di trasporto verso i mercati (la localizzazione di una raffineria in prossimità del mercato induce un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti localizzati in continenti diversi) e la tipologia delle produzioni (ad esempio in Italia la benzina è eccedente rispetto alla domanda locale). Naturalmente la presenza di sussidi pubblici (vietati dalle regole del WTO) può influire radicalmente sulla capacità di competizione.

La crisi della raffinazione è dunque determinata dalla competizione delle raffinerie:
statunitensi, che sono meno efficienti, ma possono comprare petrolio a prezzi più bassi grazie all'andamento dello spread wti/brent;
mediorientali, che hanno costi di approvvigionamento minori e non hanno costi di trasporto del petrolio;
asiatiche, moderne, con un elevato indice di complessità e possono trattare greggi a basso costo e godono di sussidi ricevuti.

Il sottosegretario Fanelli, poi, ha esaminato alcune soluzioni proposte per porre rimedio alla crisi del settore, a suo avviso errate.
Anzitutto sarebbe un errore chiudere le raffinerie. La chiusura di alcuni impianti, infatti, potrebbe non salvare quelli rimasti, a causa del perdurante svantaggio competitivo. Del resto già oggi, a livello europeo, di fatto non esiste un eccesso di capacità di raffinazione: eppure i margini sono nulli o negativi e le importazioni di prodotti in aumento. Un eccesso di chiusure in Europa potrebbe riproporre le condizioni della crisi del petrolio del 2007-2008 con alti margini, prezzi del petrolio trainati da quelli dei prodotti raffinati e penalizzazione dei consumatori. La dipendenza dall'importazione di prodotti raffinati sarebbe per l'Europa molto più grave di quella del petrolio.
Un altro errore sarebbe la riduzione dei costi dell'ambiente. Ridurre o annullare gli obblighi ambientali che non hanno le raffinerie extraeuropee, ovvero quota biocarburanti, emissioni (sistema ETS) e bonifiche, potrebbe nel breve termine determinare un vantaggio (probabilmente non determinante), ma priverebbe il settore delle opportunità di trarre vantaggio dalla qualificazione delle proprie produzioni. Il problema è tradurre nei prezzi non solo la migliore qualità dei prodotti ma anche la migliore qualità delle produzioni. Va


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nella giusta direzione la proposta di direttiva sulla fiscalità energetica che prevede una proporzionalità anche con le emissioni di CO2 e permette la tracciabilità delle emissioni. Su questa direttiva va costruito un nuovo sistema che sostituisca l'ETS.
La soluzione possibile, secondo il sottosegretario Fanelli, coniuga invece la tecnologia con l'ambiente, e si sviluppa su molteplici versanti.
Anzitutto, tra le nuove tecnologie del settore della raffinazione, hanno particolare interesse quelle che consentono l'utilizzo di metano per la produzione di carburanti. La tecnologia EST (Eni Slurry Technology), oltre a permettere di convertire quasi completamente i greggi pesanti in prodotti leggeri di elevata qualità, consente l'utilizzo di circa il 6 per cento (in termini energetici) di metano, che viene usato per la produzione dell'idrogeno necessario a spezzare le catene degli idrocarburi pesanti. La tecnologia GTL (gas to liquids) consente di produrre carburanti, in particolare gasolio, direttamente dal metano; tali carburanti sono di qualità particolarmente elevata perché nel metano sono assenti le tipiche impurità del petrolio, come i metalli, che contribuiscono alla formazione di polveri sottili in fase di utilizzo. Carburanti più puliti possono contribuire a risolvere il problema della qualità dell'aria e aumentare la competitività della raffinazione nazionale, e questo riveste particolare importanza per il nostro Paese, dato che la commissione europea ha chiesto alla Corte di giustizia dell'unione europea di condannare l'Italia per aver violato i valori limite per le particelle PM10 (articolo 5 par. 1 della direttiva 1999/30/CE) nonché per la qualità dell'aria in numerose zone e agglomerati sparsi per tutto il territorio italiano.
Se il settore della raffinazione fosse disponibile a investire (anche con iniziative consortili di trasformazione di una o più raffinerie esistenti) nelle nuove tecnologie con un maggiore utilizzo di metano si otterrebbero i seguenti vantaggi:
1. creazione di un mercato di carburanti meno aggredibile (almeno per alcuni anni) dalla concorrenza internazionale che potrebbe giustificare gli investimenti, anche in assenza di incentivi;
2. a fronte di eventuali maggiori oneri, i consumatori avrebbero un concreto vantaggio in termini di qualità dell'aria e, probabilmente, di minori vincoli e oneri per la circolazione nei centri urbani;
3. si creerebbe una domanda aggiuntiva di metano che risolverebbe, almeno in parte, i problemi connessi ai vincoli dei contratti take or pay di lungo termine.

Il sottosegretario, inoltre, ha evidenziato che le procedure autorizzative per nuovi investimenti nel settore della raffinazione, per quanto migliorabili, non sono un ostacolo insuperabile: dal 2008 nel solo settore della raffinazione si sono conclusi con esito positivo 8 procedimenti di valutazione di impatto ambientale e 6 procedimenti di esclusione/ assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale.
Il vantaggio dell'utilizzo del metano nel settore della raffinazione sarebbe ancora maggiore se fossero create le condizioni per l'utilizzo del biometano, che potrebbe essere usato come input della raffinazione per conseguire il 10 per cento di biocarburanti. Attraverso


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l'utilizzo del biometano (la cui disponibilità è stimata fino a 8 miliardi di mc/anno) sarebbe in linea teorica possibile raggiungere l'obiettivo del 10 per cento di biocarburanti senza ricorrere ad importazioni di biocarburanti o biomasse. L'onere degli incentivi necessari per i produttori di biometano sarebbero verosimilmente inferiori a quelli per i biocarburanti (oggi circa 400 milioni/anno) e consentirebbero un utilizzo molto più efficiente rispetto alla attuale produzione di elettricità in motori di piccola potenza e basso rendimento. Sono inoltre disponibili tecnologie che consentono di produrre etanolo da scarti del settore agricolo o in generale da biomasse che non siano in competizione con la destinazione alimentare. La cosiddetta chimica verde, della quale i primi esempi sono in progetto anche in Italia (ad es. Porto Torres), potrebbe essere la destinazione prioritaria degli impianti di raffinazione già chiusi e dei quali si prevede il mero utilizzo come deposito. A riguardo non sembra favorevole ai nuovi investimenti la disposizione, introdotta nel «Decreto crescita» (articolo 36, comma 1), che prevede la possibilità di non procedere alla bonifica in caso di trasformazione di una raffineria in deposito. Sarebbe più opportuno, secondo l'ing. Fanelli, prevedere, in caso di una nuova destinazione industriale del sito, parametri di bonifica più appropriati alla destinazione industriale e adeguati incentivi per produzioni da chimica verde.
La migliorata qualità della produzione va poi valorizzata nei prezzi.
Ai sensi delle regole del WTO non si possono bloccare le importazioni, né introdurre dazi, sulla base del fatto che altri paesi hanno costi di manodopera più bassi o regole ambientali diverse. Potrebbe quindi non essere efficace la previsione introdotta nel «Decreto crescita» (articolo 36, comma 6), che prevede una autorizzazione ai prodotti extraeuropei dipendente anche dall'aderenza degli impianti esteri alle prescrizioni ambientali, di salute dei lavoratori e di sicurezza previste dalla disciplina comunitaria. Ma nulla impedisce di imporre, senza discriminazioni, fiscalità diverse in relazione alla qualità dei prodotti. Il concetto di qualità dei prodotti può includere non solo le caratteristiche finali del prodotto ma anche gli effetti sull'ambiente dei processi di produzione. Una fiscalità basata su criteri di LCA (Life Cycle Assessment), ovvero sulle emissioni indotte per la produzione dei carburanti, potrebbe utilmente sostituire il sistema ETS ed essere applicato, nel pieno rispetto delle regole WTO, anche ai carburanti di importazione contribuendo a superare i problemi di squilibrio concorrenziale esistenti. A tal fine è necessaria tuttavia un iniziativa a livello europeo.

3.9 Seduta del 25 settembre 2012

Audizione di rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico

CLAUDIO DE VINCENTI, Sottosegretario di Stato del Ministero dello sviluppo economico.

Il sottosegretario De Vincenti ha esordito richiamando le cause di carattere strutturale e congiunturale che stanno alla base della crisi


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del comparto della raffinazione, così come dell'intero settore petrolifero downstream.
Al tempo stesso, il sottosegretario ha sottolineato la strategicità che i prodotti petroliferi, e di conseguenza del settore della raffinazione, avranno ancora per anni ai fini della sicurezza degli approvvigionamenti energetici, sia in Italia che in Europa. Il riconoscimento di questo ruolo strategico impone quindi uno sforzo per la salvaguardia di questo settore nell'ambito industriale europeo, per evitare di creare una nuova futura dipendenza extra UE anche per quanto riguarda i prodotti raffinati.
Con le attuali distorsioni del mercato che generano forti vantaggi competitivi per le industrie della raffinazione di Paesi soggetti a vincoli normativi di tutela sociale, di sicurezza ed ambientali molto meno severi rispetto a quelli europei ed in alcuni casi anche con sussidi diretti alla produzione, la pressione sull'industria europea della raffinazione è destinata ad acuirsi con il rischio di dipendere per i prodotti raffinati sempre di più dall'estero. È grande quindi il rischio di peggiorare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e di indebolire il sistema industriale europeo.
È stata anche richiamata l'attenzione sui costi che gravano sulla raffinazione per effetto della legislazione UE in tema di salute, sicurezza ed ambiente (quali ad esempio le limitazioni sulla CO2, la direttiva sulle emissioni industriali e la direttiva fuel quality), costi che riducono la competitività dell'industria europea sui mercati internazionali. A livello comunitario, da parte italiana si è proposta l'introduzione di una green label per i prodotti raffinati in Europa, al fine di ribilanciare lo svantaggio competitivo che il settore soffre rispetto ai Paesi extra-UE ove queste misure sono minime o del tutto assenti, stabilendo che solo i prodotti ottenuti con processi industriali che soddisfano gli stessi standard ambientali applicati in Europa possano essere utilizzati in Europa, cioè, solo quelli che abbiano pari sostenibilità ambientale.
A livello nazionale, è già attivo un tavolo sulla raffinazione, con la partecipazione di Confindustria Energia, di Unione Petrolifera e delle Compagnie petrolifere esteso anche alle parti sociali (CISL, CGIL, UIL).
L'attenzione del Governo al settore ha sinora registrato altri interventi importanti di sostegno, consistenti nel riconoscimento di legge della strategicità delle raffinerie, delle strutture della logistica di più rilevanti dimensioni, dei depositi costieri di oli minerali, di quelli per aviazione, degli impianti di produzione degli oli vegetali, nonché degli oleodotti di interesse nazionale, nell'ambito della legge in materia di semplificazione. Al fine di garantire il contenimento dei costi e la sicurezza degli approvvigionamenti, sono state in essa introdotte misure di semplificazione per le infrastrutture energetiche strategiche prevedendo procedure autorizzative semplificate ed accelerate con competenza primaria in capo al Ministero dello sviluppo economico.
Tali misure sono state da ultimo rafforzate con il «decreto crescita», che comprende norme per la riconversione delle raffinerie in depositi, semplificazioni per le bonifiche, nonché norme sui biocarburanti e per la bonifica dei punti vendita dei carburanti.


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Un altro segmento che ha visto l'impegno del Governo in questo suo semestre di attività è stato di rendere il mercato dei carburanti più concorrenziale e di incidere sul livello dei prezzi, rafforzando la tutela dei consumatori e degli utenti, la trasparenza dei prezzi e la loro conoscibilità.
Infatti, con la legge in materia di liberalizzazione sono state inserite significative misure per il settore (alcune delle quali troveranno completa attuazione con successivi decreti ministeriali). Tra queste:
l'incremento delle modalità self-service, anche in relazione alla maggiore economicità di tale tipo di rifornimento per il consumatore;
la rimozione dei vincoli sulle attività non oil ed il loro ampliamento (giornali, in parte tabacchi, etc.);
l'introduzione di nuove tipologie contrattuali per regolare i rapporti tra compagnie petrolifere, retisti e gestori degli impianti di distribuzione carburanti;
la possibilità per i titolari ed i gestori dei punti vendita di riscattare l'impianto, anche consorziandosi o associandosi;
un primo passo verso l'eliminazione del vincolo dell'esclusiva;
il miglioramento della comunicazione e della trasparenza dei prezzi dei carburanti all'utente;
l'implementazione delle misure per la chiusura degli impianti così detti incompatibili.

Un altro tema di interesse del comparto raffinazione è la proposta di modifica della direttiva UE riguardo ad una ristrutturazione del quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici. Su tale proposta, a più riprese, è stata espressa da parte italiana una chiara riserva di carattere generale, in considerazione dei notevoli problemi che ne deriverebbero per il settore energetico. Il Governo, e in particolare il Ministero dello sviluppo economico, sarà pronto a far valere le specificità italiane che si possono così riassumere:
condivisione del principio generale della tassazione basata sia sul contenuto energetico che sul contenuto di CO2, così come del progressivo allineamento della tassazione del gasolio alla benzina, in base al contenuto energetico: tale riallineamento, infatti, favorisce nel medio periodo il riequilibrio del sistema di raffinazione italiano ed europeo, che risulta essere lungo di benzina e corto di gasolio;
gradualità maggiore nella tempistica, per non danneggiare, nel breve periodo, la competitività dell'industria automobilistica italiana ed europea, che ha puntato sul gasolio come tecnologia vincente per ridurre le emissioni di CO2 e che è leader mondiale nella tecnologia dei motori a gasolio;
attenzione alle particolarità del mercato italiano del GPL e del metano per autotrazione, chiedendo che la direttiva preveda una «esenzione di prodotto o esenzione di Paese» per mettere al riparo da possibili impatti distruttivi queste filiere tipicamente italiane.


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Tutte queste azioni si inseriscono nel contesto della Strategia Energetica Nazionale, che sarà a breve pubblicata per la consultazione pubblica, ed i cui cardini sono rappresentati da energia più competitiva, maggiore sicurezza di approvvigionamento, crescita economica legata al settore energetico, nel rispetto dell'ambiente.
Solo con una politica concertata a livello europeo, con uno sforzo congiunto tra settore pubblico e privato, potranno - secondo il sottosegretario - essere superate le problematiche del settore della raffinazione, perseguendo una ristrutturazione del sistema, con miglioramento del livello di efficienza e di competitività dell'industria petrolifera italiana ed europea sui mercati internazionali.

4. Modifiche normative intervenute nel corso dell'indagine

4.1 Liberalizzazione della distribuzione dei carburanti

Durante la manovra estiva del 2011, l'articolo 28 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (6), convertito in legge dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, ha integrato la disciplina in materia di razionalizzazione della rete distributiva dei carburanti dettata dal decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, al fine di stimolare il processo di chiusura di impianti di distribuzione marginali e, con i commi 12-14, porre le premesse per un nuovo e più articolato regime dei rapporti tra titolari e gestori degli impianti di distribuzione carburanti.
Si ricorda che la gestione degli impianti di distribuzione di carburanti può essere effettuata sia direttamente dal proprietario dell'impianto e titolare della licenza (per lo più una compagnia petrolifera, in altri e minori casi i cosiddetti distributori «indipendenti»), sia da soggetti diversi denominati «gestori».
Più di recente, gli articoli 17-20 del decreto-legge n. 1 del 2012 (decreto «liberalizzazioni»), convertito in legge n. 27/2012, sono intervenuti in materia di distribuzione di carburanti, con norme che puntano a promuovere lo sviluppo di operatori indipendenti ed impianti multimarca, agendo anche sulla diversificazione delle tipologie contrattuali che legano produttori e distributori di carburanti.
In particolare, l'articolo 17 ha recepito, fra l'altro, una richiesta di liberalizzazione contenuta nella segnalazione 5 gennaio 2012 dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (7).
Più nel dettaglio, l'articolo 17 sancisce innanzi tutto il principio per cui i gestori di impianti di distribuzione carburanti che siano anche titolari della relativa autorizzazione petrolifera possono liberamente rifornirsi da qualsiasi produttore o rivenditore. Nei casi poi in cui siano attualmente in vigore, tra tali gestori-titolari e un produttore-rivenditore, clausole di esclusiva, la norma prevede un regime transitorio. In base ad esso, a decorrere dal 30 giugno 2012,

(6) Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.
(7) Autorità garante della concorrenza e del mercato, A.S. 901 - Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza (Roma, 5 gennaio 2012), in Bollettino edizione speciale del 9 gennaio 2012.


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i contratti di esclusiva perdono efficacia per la parte eccedente il 50 per cento della fornitura pattuita e comunque per la parte eccedente il 50 per cento di quanto erogato nel precedente anno dal singolo punto vendita. In conseguenza, le stesse parti possono rinegoziare le condizioni economiche e l'uso del marchio (8).
Inoltre, - attraverso la riformulazione dei commi 12, 13 e 14 dell'articolo 28 del decreto-legge n. 98/2011 - l'articolo 17 ha promosso concretamente e ulteriormente la diversificazione delle forme contrattuali tra proprietari degli impianti e gestori ulteriori e diverse rispetto a quelle, attualmente previste, del comodato, fornitura e somministrazione.
Pertanto si è previsto che - fermo restando quanto disposto con il decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32 (9), e successive modificazioni - possono essere adottate, alla scadenza dei contratti esistenti (o anche nel loro corso, se vi è assenso tra le parti) differenti tipologie contrattuali per l'affidamento e l'approvvigionamento degli impianti di distribuzione carburanti. Tali nuove tipologie contrattuali dovranno essere definite, nel rispetto delle normative nazionali e comunitarie, mediante accordi sottoscritti tra organizzazioni di rappresentanza dei titolari di autorizzazione o concessione e dei gestori maggiormente rappresentative, depositati presso il Ministero dello sviluppo economico. Si è stabilita, inoltre, la possibilità in ogni momento di stipula di accordi tra titolari degli impianti e gestori per l'effettuazione del riscatto degli impianti da parte del gestore, previo indennizzo secondo criteri definiti con decreto del MiSE. Per garantire l'effettiva introduzione di tali nuove tipologie contrattuali, il deposito degli accordi concernenti le nuove tipologie contrattuali dovrà avvenire entro il 31 agosto 2012, e in difetto provvederà in via sostitutiva, su richiesta di ciascuna delle parti, il Ministero medesimo. Sono sanzionati come abuso di dipendenza economica i comportamenti dei titolari degli impianti o dei fornitori finalizzati ad ostacolare, impedire o limitare le facoltà attribuite al gestore dalla nuova disciplina.

4.2 Gli interventi di semplificazione del decreto-legge «Crescita»

L'articolo 36 del decreto-legge n. 83/2012 (10) ha previsto, inoltre, alcune semplificazioni di adempimenti burocratici per il settore petrolifero, con particolare attenzione al settore della raffinazione. A tal fine sono state integrate, fra l'altro, alcune norme in materia dettate dal decreto «semplificazioni» (decreto-legge n. 5/2012) e dal Codice ambientale (decreto legislativo n. 152/2006).
In particolare, si è disposto che:
• i sistemi di sicurezza già in atto possono continuare ad essere utilizzati solo nel caso di chiusura di un impianto di raffinazione e

(8) Attualmente l'Autorità garante ha in corso una indagine conoscitiva (IC44 Impianti distribuzione carburanti indipendenti) finalizzata ad analizzare in maniera sistematica il ruolo degli impianti indipendenti (c.d. pompe bianche) nell'assetto concorrenziale del settore.
(9) Razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti, a norma dell'articolo 4, comma 4, lettera c), della L. 15 marzo 1997, n. 59.
(10) Misure urgenti per la crescita del Paese.


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sua trasformazione in deposito (e non più in caso di reindustrializzazione dei siti di interesse nazionale), in caso di attività di reindustrializzazione dei siti contaminati;
• la concertazione con il Ministero delle infrastrutture è necessaria solo per gli impianti industriali strategici;
• il termine per il rilascio dei provvedimenti amministrativi per apportare modifiche agli stabilimenti di lavorazione di oli minerali passi da 180 a 90 giorni;
• il Ministero dell'ambiente adotta procedure semplificate per le operazioni di bonifica relative alla rete di distribuzione dei carburanti;
• non si applicano le verifiche periodiche delle attrezzature a pressione per gli impianti di produzione a ciclo continuo e per quelli di fornitura di servizi essenziali;
• l'importazione di prodotti petroliferi da Paesi non appartenenti all'Unione europea è soggetta ad autorizzazione del MISE a partire dal 2012;
• non è necessaria una particolare autorizzazione per le pensiline di carico di benzina su autobotti all'interno dei depositi petroliferi.

In particolare, il comma 6 dell'articolo 36 assoggetta l'importazione di prodotti petroliferi finiti liquidi da Paesi non appartenenti all'Unione Europea, a partire dal 2012, ad autorizzazione del Ministero dello sviluppo economico, sentita l'Agenzia delle dogane. Tale autorizzazione è rilasciata sulla base di criteri determinati con decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, da adottare entro tre mesi dall'entrata in vigore del presente decreto, nel quale sono individuati i requisiti minimi per l'ottenimento dell'autorizzazione, tenendo anche conto dell'aderenza dell'impianto estero di produzione dei prodotti petroliferi oggetto di importazione alle prescrizioni ambientali, di salute dei lavoratori e di sicurezza, previste dalla disciplina comunitaria per gli impianti produttivi ubicati all'interno della Comunità (tale decreto non risulta tuttora emanato).
Il comma contiene infine una clausola di salvaguardia finanziaria.
La norma introdotta mira proprio ad evitare, come era dato leggere nella relazione illustrativa, le distorsioni di mercato tra prodotti petroliferi prodotti in stabilimento ubicati all'interno dell'Unione europea, soggetti a severe normative ambientali e di sicurezza, rispetto a prodotti petroliferi raffinati in impianti che non sono soggetti a tali normative e quindi con costi di produzione sensibilmente minori; nonché il peggioramento delle condizioni ambientali complessive attraverso la delocalizzazione delle raffinerie in paesi extraeuropei che hanno vincoli ambientali minori.
Il comma 7, infine, ha disposto un intervento di semplificazione amministrativa per le pensiline di carico di benzina su autobotti all'interno di depositi petroliferi che siano già adeguate alle prescrizioni in materia del Codice ambientale.


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5. Osservazioni finali

5.1 Le principali criticità emerse

Tutti gli auditi hanno convenuto in merito all'importanza che i prodotti petroliferi - e di conseguenza il settore della raffinazione - avranno ancora per alcuni decenni, almeno fino al 2050.
Il riconoscimento di tale ruolo strategico impone dunque uno sforzo per la salvaguardia del settore al fine di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e di sostenere il sistema industriale europeo. Tale convinzione di fondo è del resto costruita anche sul dato la contrazione si registra sul mercato europeo, e in particolare in quello italiano (rispettivamente del - 9 per cento e del -15 per cento), mentre nel mercato mondiale la domanda è aumentata del 12 per cento.
La lettura di questi dati consente di interpretare la crisi del settore in Europa e in Italia come crisi di concorrenzialità delle produzioni nei confronti di una produzione mondiale più competitiva: in Europa, e in particolare in Italia, è più conveniente importare i prodotti raffinati che produrli, ma soprattutto la produzione, non assorbita da un mercato in contrazione di domanda, non trova sbocco sui mercati internazionali.
Si riscontra anche grande convergenza degli auditi sui fattori che determinano la mancanza di competitività: i costi di produzione sono notevolmente più alti a causa degli oneri connessi alle normative in favore dell'ambiente e a tutela del lavoro; il carico fiscale (con riferimento anche alla Robin tax); il mancato rinnovo tecnologico di alcuni impianti obsoleti; i costi di trasporto; gli oneri amministrativi.
Accanto ai fattori che influiscono sul lato della formazione del prezzo, esistono inoltre fattori che favoriscono la competitività delle raffinerie dislocate nel resto del mondo: di quelle statunitensi (che acquistano petrolio a prezzi più bassi); di quelle mediorientali (che hanno costi di approvvigionamento più bassi e non hanno costi di trasporto); di quelle asiatiche (che trattano greggi a basso costo e fruiscono anche di sussidi). Quasi tutti i Paesi di raffinazione, inoltre, hanno politiche sociali ed ambientali molto meno restrittive di quelle europee.
Ulteriori debolezze del sistema italiano della raffinazione sono state individuate nella gravosità degli oneri burocratico-amministrativi connessi ai procedimenti autorizzatori, anche per dismissioni o riconversioni industriali; infine, il sistema produttivo nazionale appare essere squilibrato, con un eccesso di produzione di benzina, mentre la domanda si sposta verso il diesel-gasolio.

5.2 Linee di intervento

A fronte delle gravi criticità che stanno mettendo a rischio il futuro produttivo degli impianti di raffinazione nazionali, con un eccesso di capacità produttiva del sistema dell'ordine di 15-20 milioni di tonnellate/anno, si stagliano chiarissimi due obiettivi: non compromettere un settore strategico dell'industria nazionale (connesso


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altresì alla produzione petrolchimica) e salvaguardare l'occupazione di circa 100.000 addetti.
Le indicazioni emerse nello svolgimento dell'indagine puntano in varie direzioni: sembra necessario procedere alla chiusura di almeno quattro impianti nazionali, individuando i più obsoleti, riconvertendoli in depositi ovvero, con opportuni investimenti, nella «chimica verde». La soluzione complessiva del problema, però, non sembra risiedere nella chiusura delle raffinerie, perché comunque permarrebbe lo svantaggio competitivo e si aggraverebbe inoltre la dipendenza dall'importazione di prodotti raffinati, che presenta aspetti ancora più negativi rispetto alla dipendenza dal petrolio. Analogamente, non sembra risolutiva, se non a brevissimo termine, la riduzione dei costi connessi alla salvaguardia dell'ambiente che, oltre a cozzare con una sempre più diffusa e condivisa coscienza ecologica, non potrebbe essere perseguita, se non a livello comunitario. Appare invece quale scelta strategica convincente quella di perseguire un mix di misure che accostino maggiore tecnologia e più attenzione all'ambiente, traendo vantaggio dalla qualificazione delle nostre produzioni. In questo senso pare muoversi la normativa europea, con la proposta di direttiva sulla fiscalità energetica che prevede la proporzionalità della tassazione anche con riferimento alle emissioni di CO2. Potrebbe in tal senso essere valutata, a livello europeo, la possibilità di imporre, senza discriminazioni né dazi - vietati dalle regole del WTO -, fiscalità diverse sui prodotti in relazione alla qualità dei prodotti, che includa non solo le caratteristiche finali del prodotto (comunque favorevoli alla produzione europea), ma anche gli effetti sull'ambiente derivanti dai processi di produzione: una fiscalità dunque basata su criteri di life cycle assessment che sostituirebbe l'attuale sistema ETS e che si applichi anche ai carburanti di importazione, contribuendo a superare i problemi di squilibrio concorrenziale «drogato» ad oggi esistenti. Altra soluzione potrebbe essere quella di introdurre una sorta di green label per i prodotti raffinati in Europa, che bilanci lo svantaggio competitivo con i Paesi extra-UE, stabilendo che solo prodotti con pari sostenibilità ambientale possano essere utilizzati in Europa.
L'investimento, d'altra parte, nelle nuove tecnologie, in particolare quelle che consentono l'utilizzo di metano per la produzione di carburanti, quali la tecnologia EST e la tecnologia GTL, porterebbe alla produzione di carburanti di qualità molto elevata che abbatterebbero drasticamente la formazione di polveri sottili durante l'utilizzo, aumentando - attraverso la qualificazione del prodotto che tutela la qualità dell'aria - la competitività dell'industria nazionale. Si creerebbe inoltre una domanda aggiuntiva di metano che risolverebbe in parte i problemi connessi ai vincoli dei contratti take or pay attualmente in essere e di lungo termine.
Ulteriori prospettive potrebbe creare l'utilizzo del biometano nel settore della raffinazione (con cui si conseguirebbe anche l'obiettivo del raggiungimento del 10 per cento nella produzione dei biocarburanti); l'utilizzo dei biocombustibili rappresenta un'opportunità di investimento in Italia, come dimostrato dall'esperienza della Novamont di Porto Torres. Sono disponibili, infine, tecnologie che consentono di produrre etanolo da scarti del settore agricolo: la chimica


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verde potrebbe essere la destinazione prioritaria degli impianti di raffinazione già chiusi ed utilizzati quali depositi o ancora da chiudere.

5.3 Conclusioni

L'industria della raffinazione in Europa può essere illustrato da due elementi: circa 600 mila lavoratori sono occupati negli impianti e nell'indotto, di cui almeno 100 mila in Italia; continua a rappresentare l'anello centrale della catena petrolifera e, in quanto tale, garantisce la sicurezza energetica. La crisi del comparto è evidente nelle cause e negli effetti. Nel 2009 in Europa erano operativi 98 impianti di raffinazione. Allo stato attuale il quadro è mutato: la capacità di raffinazione si è ridotta del 30 per cento, sono stati chiusi 7 impianti, altri 13 hanno cambiato proprietà, 3 raffinerie sono in vendita, mentre uno dei maggiori operatori indipendenti, Petroplus (5 impianti) è fallito.
Sul versante delle cause della crisi vi è una valutazione ampiamente condivisa, come illustrato anche nel presente documento: l'aumento del prezzo del greggio, la caduta della domanda, le normative vigenti e, infine, la concorrenza extra Unione europea. È utile soffermarsi sulle ragioni della crisi della raffinazione nella UE, esaminando sinteticamente la parte che riguarda le regole europee giudicate penalizzanti dagli auditi. L'insieme delle normative vigenti determina uno scenario critico per la raffinazione in Europa, soprattutto in relazione alla concorrenza asiatica. Si fa riferimento al cosiddetto pacchetto «20-20-20», alle direttive sulla qualità carburanti e riduzione emissioni, alle disposizioni sui combustibili per il trasporto marittimo, alla Energy Roadmap al 2050 e al Transport White Paper 2050, elaborato dalla Commissione europea per ripensare il sistema dei trasporti in un'ottica di sostenibilità ambientale e per ridurre le emissioni di carbonio del 60 per cento entro il 2050. La concorrenza della raffinazione asiatica e mediorientale si pone come un problema da affrontare: minor costo dell'energia, normative ambientali non rigide e, in alcuni casi inesistenti, vantaggi fiscali, processi produttivi fortemente sussidiati dai Governi, minor costo del lavoro. In Italia la capacità di raffinazione, negli ultimi 4 anni è scesa del 38 per cento passando da 171 a 102Mt/a. Ciò ha comportato - secondo i dati forniti dall'Unione petrolifera italiana - la trasformazione della raffineria di Tamoil di Cremona in polo logistico integrato, alla fine del 2011, e degli impianti di Roma in polo logistico per lo stoccaggio dei prodotti petroliferi, nei primi mesi del 2012. Nei prossimi anni si profila un ulteriore eccesso di capacità di circa 20Mt/a che potrebbe comportare la chiusura di altre due raffinerie nel 2013. È il caso di osservare che il ruolo del petrolio, in Italia, resta prioritario in alcuni settori fondamentali come i trasporti in cui il ricorso al traffico stradale per le merci supera l'85 per cento, mentre solo una minima parte è riservata ai treni in costante flessione.
Lo scenario futuro deve evitare un import totale dei prodotti petroliferi finiti.


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Le proposte di intervento a sostegno del settore devono assumere un profilo europeo. In assenza di decisioni puntuali, urgenti e condivise la raffinazione europea sarebbe esposta ad una crisi strutturale gravissima con la chiusura di altri 40 impianti nei prossimi anni e un aumento della dipendenza dall'estero, pur in costanza di un eccesso offerta.
L'Unione europea ha riconosciuto il valore strategico raffinazione e lo stato di crisi del settore. L'indagine conoscitiva ha consentito di individuare il seguente percorso per superare la crisi del settore della raffinazione, suggerito peraltro da Europia (associazione che rappresenta circa l'80 per cento delle industrie della raffinazione in Europa) nel corso della sua audizione:
facilitare la ristrutturazione o la riconversione delle capacità produttive;
incentivare gli investimenti in ricerca e sviluppo indispensabili per adeguare le raffinerie alle norme relative alla qualità dei prodotti e alla tutela ambientale;
approvare provvedimenti di semplificazione normativa e procedere alle bonifiche dei siti;
garantire le condizioni di concorrenza paritaria con i Paesi extra-UE.

Si sottolinea, in particolare, la proposta italiana a livello comunitario di introdurre una green label per i prodotti raffinati in Unione europea, stabilendo che solo quelli ottenuti con processi industriali che soddisfino gli stessi standard e abbiano pari sostenibilità ambientale provenienti da Paesi extra-UE possano essere utilizzati nei Paesi membri. L'indagine conoscitiva sulla crisi del settore della raffinazione dimostra come «solo con una politica concertata a livello europeo, con uno sforzo tra settore pubblico e privato, potranno essere superate le problematiche del settore della raffinazione, proseguendo una ristrutturazione del sistema, migliorando il livello di efficienza e di competitività dell'industria petrolifera italiana ed europea sui mercati internazionali».

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