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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XI
9.
Giovedì 23 ottobre 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Saglia Stefano, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ASSETTO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI E SULLE PROSPETTIVE DI RIFORMA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

Audizione di rappresentanti di CGIL:

Saglia Stefano, Presidente ... 3 5 7 8
Camusso Susanna, Segretario confederale della CGIL ... 3 7
Damiano Cesare (PD) ... 5

Audizione di rappresentanti di UGL:

Saglia Stefano, Presidente ... 8 13 15 16 19
Cazzola Giuliano (PdL) ... 15
Damiano Cesare (PD) ... 15
Di Biagio Aldo (PdL) ... 13
Miglioli Ivano (PD) ... 13
Polverini Renata, Segretario generale dell'UGL ... 9 15 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 23 ottobre 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE STEFANO SAGLIA

La seduta comincia alle 14,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di CGIL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'assetto delle relazioni industriali e sulle prospettive di riforma della contrattazione collettiva, l'audizione di rappresentanti della CGIL.
Intendimento della nostra indagine è di offrire un contributo - ascoltando tutti i soggetti coinvolti, senza che si compiano invasioni di campo da parte della politica - alla legittima dialettica tra le parti sociali, verificando quali eventuali iniziative il Governo e il Parlamento possano mettere in campo per favorirla.
Do la parola alla segretaria confederale della CGIL, Susanna Camusso.

SUSANNA CAMUSSO, Segretaria confederale della CGIL. È forse opportuno partire dalle ragioni che hanno determinato l'esigenza di costruire una piattaforma sul rinnovo del modello contrattuale - consegnerò poi al presidente la nostra documentazione in merito - insieme alle altre organizzazioni confederali, ossia CISL e UIL.
Le ragioni sono fondamentalmente tre, anche se la questione è più complicata, come sempre possono essere le tematiche sindacali.
Anzitutto, il sistema che, dal 1993, regolava nel nostro Paese le modalità contrattuali per tutti i settori, per alcuni anni ha funzionato con discreta regolarità, ma ha cominciato, in seguito, a incontrare dei problemi, soprattutto in quelli che noi definiamo i settori più deboli.
Se guardiamo agli anni alle nostre spalle, siamo in grado di dire che, ad esempio, nel settore del terziario, del commercio e del turismo, almeno un rinnovo su due, dal punto di vista temporale, è saltato (analoga questione ha riguardato la pubblica amministrazione e il rinnovo dei contratti pubblici); quindi, possiamo affermare che vigeva una regola non più cogente in relazione ai tempi dei contratti di lavoro.
Il secondo tema riguarda il fatto che le regole che ci eravamo dati nel 1993 non hanno permesso un'effettiva estensione di quella che viene chiamata contrattazione di secondo livello, che è rimasta fortemente ristretta ad un'area di imprese e a quei settori che attuano la contrattazione territoriale.
La somma tra il dato del primo e del secondo livello ha determinato il venir meno di una significativa copertura delle retribuzioni dei lavoratori, sia sul piano della difesa dall'inflazione e dall'andamento generale dell'economia, sia sul piano della crescita, anche in rapporto alla produttività dei singoli settori.


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Il terzo problema riguarda il fatto che la ridefinizione delle regole teneva conto anche dell'esigenza di definire dei criteri di rappresentanza e di democrazia: di rappresentanza delle organizzazioni, in ragione della firma dei contratti e di democrazia, dal punto di vista della relazione tra le scelte delle organizzazioni sindacali e il giudizio e le decisioni dei lavoratori e delle lavoratrici.
È così iniziato un confronto che ha avuto delle caratteristiche alterne, in quanto - come credo tutti sappiate - è proseguito, per un lungo periodo, con la sola Confindustria che, certamente, rappresenta una parte importante del mondo del lavoro dipendente, ma non tutto; abbiamo assistito alla recente apertura di nuovi tavoli con alcune altre associazioni, ma non si è ancora raggiunto l'obiettivo esplicitamente indicato.
In questo senso, ovviamente, una Commissione parlamentare e il Parlamento stesso possono svolgere un ruolo, perché l' intesa del 23 luglio - lo stesso dovrebbe accadere anche in sede di una sua revisione - è stata caratterizzata dal raggiungimento di un accordo generale, con l'inclusione di tutte le parti.
Tra queste ultime è compreso anche il Governo: da un lato, in ragione del suo essere datore di lavoro e, dall'altro, in ragione del fatto che non può non esserci una connessione tra la politica dei redditi adottata - e, quindi, la tutela delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti - e il modello contrattuale applicato.
La discussione deve ovviamente avvenire ad un tavolo generale a cui prendano parte tutte le parti, tutte le associazioni e tutti i soggetti.
Altri temi, poi, sono sicuramente importanti, anche se forse non così rilevanti.
Penso alla problematica della semplificazione dei contratti. Esistono più di 400 contratti nazionali di lavoro, alcuni dei quali riguardano oggi qualche migliaio di lavoratori; ci sono contratti firmati con organizzazioni sindacali misteriose, che compaiono giusto all'epoca della firma e che poi spariscono.
In altre parole, c'è bisogno di un riordino che riguardi - credo che lo si debba sempre precisare - non solo le organizzazioni sindacali, ma anche le organizzazioni di rappresentanza imprenditoriale, perché, com'è noto, i contratti si stipulano sempre in due.
Oggi i punti in discussione riguardano quattro problematiche.
La prima concerne il rapporto tra contratti e copertura delle retribuzioni, in considerazione della perdita del potere d'acquisto - come diciamo noi - o, comunque, del valore dell'inflazione. A tal proposito, è in corso una discussione che mostra un'esplicita distanza tra le posizioni della mia organizzazione e quanto finora è stato espresso da Confindustria - non ci è nota la posizione di altri - in quanto l'idea di utilizzare un indicatore che depuri l'inflazione da quella importata per i beni energetici determina un abbassamento della copertura rispetto all'inflazione reale.
Nell'ipotesi che stanno facendo gli industriali c'è l'affermazione di una diversa base di calcolo, su cui esercitare questo aumento, che è quantificabile - per una categoria come quella dei metalmeccanici, ad esempio, che resta la più grande tra quelle rappresentate da Confindustria - in una diminuzione di quello che chiamiamo «valore punto» pari a 2,20 euro. Questo determinerebbe una perdita intorno al 10 per cento.
Il secondo ordine di problemi è che Confindustria sta costruendo un'ipotesi che non prevede un allargamento della contrattazione di secondo livello, non solo perché si riferisce alla prassi in atto, ma anche perché non c'è una disponibilità ad esercitare la contrattazione con modalità diverse da quelle aziendali: nel territorio, nella filiera, nel sito.
Noi sappiamo bene che l'apparato produttivo del nostro Paese è composto prevalentemente da piccole imprese e che, quindi, il non riconoscimento e la mancata incentivazione di una contrattazione sul territorio sarebbe limitativa e manterrebbe, più o meno, le dimensioni odierne.


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In compenso, Confindustria ipotizza la possibilità di derogare ampliamente ai contratti nazionali di lavoro, che non ci vede convinti (anzi, tutt'altro).
Infine, c'è un problema di carattere generale. Quando abbiamo iniziato questa discussione, si era in presenza di una situazione economica sostanzialmente stabile, pur con qualche problema e nonostante, a differenza del periodo precedente, vi fosse un'inflazione crescente. Oggi ci troviamo, invece, in una condizione di grande diminuzione dei consumi e di complesse problematiche, sul piano occupazionale, per le prospettive del nostro Paese.
Il solo ricorso alla cassa integrazione, in base ai dati in nostro possesso, sta aumentando del 10 per cento: abbiamo una stima secondo cui, ad oggi, i lavoratori equivalenti in cassa integrazione a zero ore sono più di 80 mila. Si tratta di processi già annunciati.
Rispetto alla discussione e alle linee-guida proposte da Confindustria, la contraddizione sta nel fatto che essa immagina un sistema rigidissimo in una situazione di crisi - non di breve periodo - e di difficoltà, richiederebbe, invece, la capacità di adottare soluzioni flessibili, senza mettere tutti nelle stesse condizioni, come se le crisi coincidessero e avessero le stesse caratteristiche e come se tutto potesse essere totalmente proceduralizzato.
Qui emerge probabilmente un tema che va oltre la definizione dei testi: che cosa si intende per relazioni sindacali. Se l'idea è quella di favorire il maggior decentramento possibile, il legame con la produttività e il rapporto tra produttività e organizzazione del lavoro, allora, dovrebbero esserci delle relazioni in grado di articolarsi, di essere flessibili e di adeguarsi alle situazioni. Più si centralizza e proceduralizza, meno è possibile caratterizzare una situazione di effettiva articolazione e diffusione delle relazioni. La mia organizzazione, in qualche occasione, ha detto che un impianto molto rigido e centralizzato mal si adegua alla situazione attuale.
Questo è lo stato attuale della discussione, per come la vediamo noi.
I tavoli con le altre associazioni, che pure si sono aperti o si stanno aprendo, non sono ancora in uno stato di avanzamento che permetta di esprimere un giudizio, con l'eccezione del settore artigiano che, storicamente, ha un proprio modello, differente dal modello generale della contrattazione del protocollo del 23 luglio. In quel caso la discussione continuerà e avrà un nuovo appuntamento nei prossimi giorni.
Se dovessi darne un giudizio - pur smentibile, come sempre, perché ogni trattativa è conclusa solo quando c'è l'accordo effettivo e mai prima di allora - ritengo che quel tavolo di confronto possa procedere e, nell'ambito delle differenze che già il modello artigiano aveva, trovare una sua soluzione.

PRESIDENTE. Rispetto alle considerazioni che sono state qui svolte, credo di poter dire, a titolo personale, che è assolutamente giustificata la richiesta che il Governo apra una stagione di dialogo sociale con tutte le parti, visto e considerato che la crisi economica che stiamo attraversando deve trovare delle soluzioni condivise.
Do ora la parola ai colleghi che intendano porre questioni o formulare osservazioni.

CESARE DAMIANO. Vorrei svolgere alcune considerazioni, che possono sottendere delle domande.
La prima è la seguente. L'onorevole Saglia ha detto una cosa che condivido: secondo me sarebbe opportuno che, dopo l'allargamento del tavolo da Confindustria ad altri soggetti, nel pieno rispetto dell'autonomia che va riservata alle parti sociali su questa materia, ci fosse un ulteriore allargamento che prevedesse il coinvolgimento del Governo.
Lo pensavo già prima, nel senso che mi sembra un atteggiamento contraddittorio quello in base al quale, da un lato - come ha più volte detto il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali - il


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Governo afferma di osservare l'azione delle parti sociali, senza voler intervenire; e, dall'altro, contemporaneamente, il Governo interviene, invece, pesantemente su argomenti che sono di pertinenza delle parti sociali, anche quando l'oggetto è la trattativa in corso sul modello contrattuale. Mi riferisco al tasso di inflazione programmata, fissato dal Governo all'1,7 per cento.
La domanda è se le parti sociali e i sindacati confederali intendano pervenire a un modello duale - che vale per il settore privato e per il settore pubblico - oppure stiamo ancora parlando di un modello universale.
È evidente che le parti - al di là delle differenze di merito che sono intervenute nel corso del confronto tra CGIL, CISL, UIL e Confindustria (sia tra i sindacati, sia tra questi e Confindustria stessa) - stanno lavorando per individuare un indicatore che superi il concetto di inflazione programmata. Il persistere di un'idea di inflazione programmata da parte del Governo, dunque, segnala una contraddizione tra sistema duale e sistema universale.
Chiedo quindi quali siano le intenzioni delle parti.
La seconda questione è la seguente. Ho sentito osservazioni molto forti, da parte di tutti, circa l'esigenza di potenziare la contrattazione decentrata. Io sono d'accordo - del resto, il Governo precedente e anche quello attuale hanno lavorato per incentivarla - tuttavia, se si vuole perseguire tale scopo, com'è possibile mantenere la formula delle prassi in atto, già contenuta nel protocollo del 1993?
In sostanza, tradotto in volgare, ciò vuol dire che si contratta a livello decentrato solo laddove già lo si fa, con un impedimento all'allargamento della contrattazione. La teoria che tutti vogliono condividere, fino al punto di indebolire il contratto nazionale, quindi, in realtà, non trova un'espressione compiuta neanche nella definizione delle norme che dovrebbero regolare il nuovo modello contrattuale.
In secondo luogo, chiedo se il fatto che il Governo abbia inteso incentivare non solo i premi di risultato, ma anche le erogazioni unilaterali delle imprese sia contraddittorio o coerente con l'allargamento della contrattazione di azienda o di territorio.
A mio avviso, premiare all'unisono il modello Marchionne e il modello Della Valle segnala una contraddizione che sicuramente non va a vantaggio dell'estensione della contrattazione decentrata: non è così? Anche su questo, mi piacerebbe avere un'opinione compiuta da parte vostra.
Io penso che l'intervento del Governo sia doppiamente necessario.
In primo luogo, perché in una situazione normale, evidentemente, si può aiutare la definizione di un nuovo modello contrattuale se al tavolo, con la presenza del Governo, si percepisce la possibilità di avere a disposizione risorse che, ad esempio, aiutino il potere d'acquisto (penso alla restituzione del drenaggio fiscale o alla diminuzione della pressione fiscale sulle retribuzioni).
In secondo luogo, penso a misure che, chiaramente, andrebbero indirizzate esclusivamente all'incentivazione della contrattazione decentrata, attraverso il premio di risultato.
In presenza di risorse, credo che sia più facile percorrere la strada per arrivare ad un'eventuale cornice comune di intesa tra le parti sociali sulla riforma del modello contrattuale.
Inoltre, cogliendo uno spunto dell'onorevole Saglia - se ho capito bene le sue parole - vorrei aggiungere che noi non ci troviamo in una situazione normale, quando già un'azione di questo tipo servirebbe: siamo in una situazione anormale.
L'impatto della crisi finanziaria è già in corso, per quanto riguarda l'economia reale, come si vede dalla crescita della disoccupazione, della cassa integrazione e delle situazioni di crisi.
Mi sembra che lo stesso Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali abbia segnalato, per settembre, una crescita


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molto importante della crisi da ristrutturazione aziendale, che porterà ad eccedenze occupazionali.
È evidente, quindi, che oggi la necessità di affrontare la questione del potere d'acquisto delle famiglie - in questo caso attraverso le retribuzioni, che sono uno degli obiettivi della riforma del modello contrattuale - non è più soltanto una misura di equità sociale pre-crisi: nella crisi questa diventa una leva di politica economica, per ridare forza ai consumi e, di conseguenza, alla produzione, per fermare la deriva segnata dalla recessione.
Da questo punto di vista, m'interesserebbe conoscere l'opinione - in questo caso della CGIL - circa un allargamento del tavolo, che possa coinvolgere il Governo in questa discussione.
Naturalmente, se prendiamo il protocollo del 1993 nel suo complesso - perché il modello contrattuale è un aspetto di quel protocollo - non sfugge a nessuno che, in questo momento, affrontare, ad esempio, un capitolo come quello degli ammortizzatori sociali e delle tutele contro la disoccupazione rappresenterebbe un giusto corollario di protezione in una situazione che, purtroppo, sarà pesantemente segnata dalla crisi.
Non ho ben chiaro come si intenda procedere su questo ma, naturalmente, non è una domanda che posso rivolgere a Susanna Camusso, perché la questione prescinde dalla sua organizzazione e riguarda il Governo che, mi auguro, aprirà un tavolo di concertazione sul complesso di questi problemi.

PRESIDENTE. Do la parola al nostro interlocutore per la replica.

SUSANNA CAMUSSO, Segretaria confederale della CGIL. Signor presidente, noi abbiamo detto in numerose occasioni - se non erro lo diremo, nel giro di un paio d'ore, anche al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione - che un modello universale avevamo e un modello universale vorremmo continuare ad avere.
Ribadisco quanto dicevo prima: evidentemente c'è un problema di coinvolgimento del Governo, in quanto tale e in quanto datore di lavoro - in ambedue le funzioni - perché il modello del 23 luglio era sicuramente anche un modello del pubblico e del privato, che copriva l'insieme.
È assolutamente evidente che la scelta, da parte del documento di programmazione economico-finanziaria e degli atti successivi, di stabilire l'inflazione programmata, con quelle caratteristiche, è stata un impedimento non solo al rinnovo dei contratti pubblici, che come sempre sono in ritardo, ma anche all'avvio di questo confronto, perché le organizzazioni sindacali partivano dalla rivendicazione che ci fosse una copertura delle retribuzioni rispetto all'inflazione realisticamente prevedibile - questa è la formula che avevamo utilizzato nella piattaforma - e un'inflazione programmata collocata a meno della metà dell'inflazione reale in corso, ovviamente, non è stata di sostegno al confronto.
In merito alle obiezioni sollevate dall'onorevole Damiano, sottolineo, in secondo luogo, che anche noi pensiamo che ci sia un rapporto tra modello contrattuale e definizione della politica dei redditi. Tale rapporto stava all'origine dell'accordo del 23 luglio, tant'è che, insieme alla piattaforma sul modello contrattuale, anzi ancor prima, come CGIL, CISL e UIL, varammo una piattaforma sui temi di fisco, prezzi, tariffe e assetto della politica dei redditi, che avrebbe dovuto essere la cornice all'interno della quale collocare la piattaforma stessa.
La cornice di politica dei redditi non riguardava solo il tema della restituzione del fiscal drag e delle detrazioni - che è oggi sempre più straordinariamente urgente - ma anche, per esempio, come si affrontano prezzi e tariffe e come si fa una politica fiscale in progressione che abbassi la tassazione del lavoro dipendente.
Su questo non possiamo che lamentare il fatto che il Governo non ha mai deciso di aprire un tavolo e di affrontare una discussione. Noi abbiamo giudicato il provvedimento sulla detassazione dei


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premi e degli straordinari, per alcune parti, insufficiente e, per altre, addirittura sbagliato, come la crisi dimostra ancora di più.
In quel provvedimento è sbagliata l'idea secondo cui lo straordinario è il mezzo per redistribuire reddito ai lavoratori; sbagliata è la parte riferita ai premi, perché salario unilaterale e salario contrattato vengono messi sullo stesso piano, mentre ovviamente non sono la stessa cosa; e nello stesso tempo, è sbagliato non tenere conto nella dovuta misura del fatto che esistono categorie - peraltro, in genere, deboli di reddito - che hanno la contrattazione territoriale, che con quelle modalità non viene invece riconosciuta. Era un provvedimento che, quindi, non aiutava neanche la discussione sul modello contrattuale in atto.
Venendo ora ad un terzo punto, in questi giorni e in queste ore noi stiamo insistendo molto affinché si avviino confronti con il Governo non solo per affrontare i temi del fisco e dell'allargamento del modello contrattuale, ma anche per fronteggiare con urgenza la crisi in atto, considerato che il precipitare - questo è il termine che bisognerebbe utilizzare - delle ricadute sull'occupazione, sull'assetto della produzione industriale e dei servizi è oggi tale che questo Paese non è dotato degli strumenti per affrontarlo.
Potrei fare una serie di esempi delle ricadute di cui parlo. Noi valutiamo che continuare a far finta che la crisi sia solo un problema dell'assetto bancario e che non abbia ricadute sull'economia cosiddetta «reale» - questo è il termine che si usa - o che esse arriveranno chissà quando, sia un modo per nascondere la testa sotto la sabbia.
Da questo punto di vista, la norma presente nel disegno di legge 1441-quater - non so in quale versione - e cioè il rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga alla vigente normativa nella misura di 450 milioni (esattamente le stesse risorse del 2008), ci dice che non ce la faremo, per la banale ragione che in alcune regioni - penso a Umbria e Marche, quindi nemmeno alle zone di maggior disperazione del nostro Paese - rispetto alle crisi in atto, con questi fondi concessi in deroga alla normativa vigente non si riuscirà a far fronte ai nuovi processi che si stanno determinando.
È indubbio, quindi, che l'attuale emergenza andrebbe affrontata sul piano degli ammortizzatori, sul piano strutturale, con l'adozione di scelte anticicliche, anche per rilanciare i consumi. Tutto ciò rende più urgenti le richieste che erano già in campo. Non mi pare, però, di vedere passi utili in questa direzione, da parte del Governo, almeno secondo la nostra valutazione.

PRESIDENTE. Grazie. Su questo punto, solleciteremo il Governo a incrementare di almeno 150 milioni i fondi, che spero possano essere destinati anche alle piccole e medie imprese.
Nel ringraziarla nuovamente per la sua disponibilità, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di UGL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'assetto delle relazioni industriali e sulle prospettive di riforma della contrattazione collettiva, l'audizione di rappresentanti di UGL.
Audiamo in questa occasione, e li ringraziamo per la loro presenza, il segretario generale dell'UGL, Renata Polverini, accompagnata da Cristina Ricci, segretario confederale, Pietro Giovanni Zoroddu, direttore confederale, Fiovo Bitti, Francesca D'Avello e Giancarlo Bergamo, dirigenti confederali.
Abbiamo finora audito molti soggetti e stiamo avviandoci alla conclusione della nostra indagine; il nostro contributo vuole essere propositivo e non intende interferire rispetto alle discussioni in corso tra le parti sociali, ma certamente non trascuriamo il fatto che il tempo che stiamo vivendo, in particolare la crisi economica, meriti un'attenzione anche da parte del


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Governo. Noi, come Commissione parlamentare, siamo pronti a fare la nostra parte.
Do la parola al segretario generale dell'UGL, Renata Polverini.

RENATA POLVERINI, Segretario generale dell'UGL. Signor presidente, grazie per questa opportunità.
Stiamo parlando di una questione, quella sull'assetto delle relazioni industriali e della possibile riforma della contrattazione collettiva, che ha un grande impatto sulla vita delle persone che noi rappresentiamo e anche sulla vita delle nostre organizzazioni.
Il 10 ottobre scorso, con un documento che Confindustria ha voluto consegnare a CGIL CISL, UIL e, successivamente, a UGL, siamo arrivati a un punto di svolta rispetto a una discussione iniziata - occorre ricordarlo - già nel 2004, sotto la presidenza del presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo.
Questa discussione, all'epoca, sostanzialmente non arrivò ad alcun momento di sintesi effettiva ed è poi ripresa, invece, in maniera più efficace, con la nomina del presidente Marcegaglia.
La mia opinione rispetto a come sta andando avanti la discussione con la Confindustria, chiaramente non è del tutto tranquillizzante, nel senso che il confronto in atto è disarticolato e parziale e, comunque, non vede coinvolti tutti i soggetti che dovrebbero, essendo in gioco la modifica dell'accordo del 23 luglio del 1993 che, come ricordiamo tutti, vedeva già allora oltre trenta soggetti firmatari.
È anche evidente che, in questa fase, tale discussione, che pure è importante, rischia di essere ridimensionata nella sua importanza e nel suo impatto proprio perché, come accennava il presidente, di fronte alla grave crisi economica e finanziaria di natura internazionale, questo argomento, seppur importante, risulta per certi versi marginale.
La discussione ha avuto il merito e il demerito, a seconda dei punti di vista, di coniare dei nuovi termini. Abbiamo parlato per tanti anni di flessibilità del lavoro, mentre oggi sembra che la risoluzione di tutti i problemi si trovi nel termine «produttività», con lo spostamento da quello strumento a quest'altro del compito di intervenire in termini benèfici sulle persone che rappresentiamo.
È chiaro che, quando parliamo di redistribuzione della produttività, dobbiamo avere chiaro in mente la problematicità di misurare la produttività, di capire attraverso quali strumenti farlo e a quali livelli questa produttività possa essere ripartita. Non è soltanto un'idea del sindacato: illustri economisti, non di natura sindacale, hanno già scritto importanti testi proprio per chiarire quanto sia difficile questo ambizioso progetto, al quale tutti stiamo lavorando.
Dal nostro punto di vista, la situazione dei salari che oggi viviamo nel nostro Paese è talmente difficile e preoccupante, che deve essere affrontata con una serie di interventi diversi e articolati. Noi li chiamiamo, banalmente, «la cassetta degli attrezzi»: una serie di strumenti che forse possono far recuperare quel potere d'acquisto dei salari che, in particolare in questi ultimi anni, si è andato molto riducendo.
Sappiamo perfettamente che, nella dinamica degli stipendi, il peso che questi hanno sul PIL del nostro Paese è molto inferiore rispetto a quanto riscontrano i nostri colleghi del resto dell'Europa.
Sappiamo anche che, per tutta una serie di ragioni - una in particolare, a nostro avviso, di natura fiscale - le imprese hanno spostato i profitti dal lavoro e dalla produzione alla finanza. Forse - sicuramente, per noi - anche questo ha portato autorevoli organismi nazionali ed internazionali a dire che oggi nel nostro Paese ci sono persone già povere che diventano sempre più povere e persone già ricche che diventano sempre più ricche.
Noi preghiamo la Commissione di intervenire a livello parlamentare, proprio perché riteniamo che si debba agire anche sulla leva fiscale, per redistribuire quel reddito e ricreare un sistema di giustizia fiscale, anche attraverso il quoziente familiare. Su questo abbiamo già posto all'attenzione


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della Commissione finanze una nostra proposta (peraltro, un provvedimento di tale portata era previsto nel programma della PdL).
Giungo ora a parlare in maniera più concreta dell'argomento per il quale siamo auditi. Noi abbiamo presentato a Confindustria una nostra piattaforma, suddivisa in alcune grandi questioni.
La prima è la difesa del potere di acquisto. Abbiamo parlato della predisposizione di un'azione strutturale sulla rilevazione del costo della vita, che preveda l'adeguamento del paniere con l'introduzione di voci oggi non comprese, come ad esempio i mutui che gravano fortemente sui redditi delle famiglie italiane e la necessità di tornare ad un vero e proprio confronto negoziale sulla determinazione dell'indice del costo della vita.
Il precedente Governo Berlusconi aveva istituito una commissione presso l'ISTAT che vedeva partecipare tutte le parti sociali alla determinazione dell'indice del costo della vita; tale commissione ha terminato la sua vita quando era in carica il Governo Prodi e non è poi più stata ripresa.
Ovviamente, abbiamo sempre parlato del recupero automatico del fiscal drag, che da troppi anni è bloccato; sappiamo infatti che la normativa vigente prevede ancora il recupero automatico come un elemento importante.
Avevamo confermato la centralità del contratto collettivo nazionale, avevamo indicato il passaggio dal meccanismo delle una tantum, quelle che recuperano i momenti di vacanza contrattuale, a quello della corresponsione degli aumenti contrattuali a far data dalla scadenza del contratto, maggiorati degli interessi legali maturati, avevamo ipotizzato l'avvio della contrattazione aziendale a metà del periodo di vigenza contrattuale e, comunque, non oltre diciotto mesi dal rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro, anche prevedendo un livello di filiera per le aziende che non fossero in grado di erogare la contrattazione aziendale.
Avevamo parlato di un contratto di filiera che, a nostro avviso, è ancora un elemento importante da tenere in considerazione. Si tratta di uno dei punti che tiene divise le organizzazioni che già si sono riconosciute nel documento di Confindustria da quelle che, invece, non vi hanno ancora aderito, proprio perché una delle discussioni riguarda il possibile passaggio dal contratto aziendale a quello territoriale.
Confindustria non vuole arrivare al livello territoriale che, per certi versi, potrebbe portare alla reintroduzione delle famose gabbie salariali che penalizzano le regioni meridionali.
A nostro avviso, il contratto di filiera potrebbe essere un livello che, oltre a quello aziendale, garantisce al maggior numero possibile di lavoratori l'erogazione a livello territoriale.
Avevamo immaginato, ovviamente, che esso potesse prevedere un salario minimo, dei programmi formativi, riferiti con particolare attenzione alla sicurezza sui luoghi di lavoro (questo è un problema del quale dovremo tener conto nel momento in cui il modello prenderà vita), un sistema di ammortizzatori sociali che potesse coprire le filiere (sappiamo che c'è un problema di piccole e medie imprese, molte volte ancora scoperte), delle clausole sociali connesse a processi di cessione di ramo di azienda, outsourcing e appalti, degli standard di produttività, nonché delle norme volte a rafforzare le pari opportunità. Infatti, questo è un altro problema che il nostro Paese non riesce a risolvere e, forse, attraverso questo secondo livello, anche di filiera, alcuni strumenti possono essere messi a disposizione, in particolare, delle donne lavoratrici.
Ovviamente immaginavamo che alcune misure potessero essere estese anche ai contratti a progetto e, comunque, a tipologie atipiche di lavoro.
Era chiaro che pensavamo si potesse anche legare la detassazione - che il Governo sembra voglia portare avanti nel caso in cui si raggiunga un accordo - della parte variabile del salario alla partecipazione dei lavoratori agli utili e alle decisioni aziendali. Questo è un altro capitolo sul quale noi siamo stati sempre molto attivi.


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C'è poi una questione, sulla quale vorrei tornare con un po' più di attenzione, che riguarda la democrazia nei luoghi di lavoro. È evidente che, se cambia il meccanismo e se il secondo livello, qualsiasi esso sia, prende consistenza, è quanto mai urgente prevedere delle forme che decidano sul serio chi sono i soggetti in grado di sottoscrivere gli accordi.
Noi avevamo immaginato di individuare meccanismi certi di verifica della rappresentatività fondati su indicatori inequivocabili, condivisi da tutte le parti in causa per via pattizia e, se necessario, garantiti per legge.
L'indicatore principale non può che essere il voto, al quale debbono poter accedere tutti i lavoratori e tutte le organizzazioni, in un sistema di par condicio. Ricordo che oggi, nel nostro Paese, soltanto nel pubblico impiego c'è un sistema di rilevazione, per tutti i lavoratori, della rappresentanza. A mio avviso, le norme che regolano oggi la partecipazione al voto non consentono a tutte le organizzazione di partecipare con le stesse condizioni.
In questo senso, proponiamo la revisione dell'accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 relativo alla costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie, con particolare riferimento alla clausola che riserva un terzo dei seggi disponibili alle associazioni firmatarie del contratto collettivo nazionale, applicato all'unità produttiva.
Come sapete, ovviamente questo penalizza le organizzazioni che, non firmatarie del contratto, partecipano alla consultazione. Tale meccanismo è simile a quello del cane che si morde la coda: se un soggetto non è rappresentativo, non si può presentare e, quindi, alla fine, i soggetti coinvolti rimangono sempre gli stessi.
Per quanto riguarda la certificazione degli iscritti, si rende necessario stabilire criteri che garantiscano l'entità e la trasparenza finanziaria, relativamente non soltanto agli associati che delegano le aziende al versamento della quota associativa, ma anche a quelli che provvedono direttamente.
Non dobbiamo dimenticare che le associazioni dei lavoratori possono sempre avere, tra gli aderenti, anche persone che non vogliono, per qualche motivo, far figurare nella loro busta paga il prelievo sindacale; quindi, a mio avviso, anche su questo va trovato un criterio, anche con una maggiore trasparenza finanziaria, per poter in qualche modo conteggiare questi associati.
Per garantire l'accesso al voto di tutti i lavoratori, il livello elettivo che può risultare più idoneo è quello di comparto o di settore, come già avviene, ad esempio, per l'elezione dei rappresentanti dei lavoratori nei fondi di previdenza complementare, con l'individuazione del collegio unico nazionale.
L'accertamento del livello di rappresentanza delle organizzazioni sindacali dovrà automaticamente precedere l'accesso dei soggetti certificati a tutti gli strumenti operativi di derivazione contrattuale.
Come voi sapete, una parte importante degli strumenti contrattuali è costituita dagli enti bilaterali, che ormai si occupano anche della gestione di questioni sindacali particolarmente legate ai territori, dove non è automatico l'accesso di alcune organizzazioni sindacali, anche laddove la loro rappresentanza sia certificata. Per una prassi ormai consolidata, a quegli strumenti accedono soltanto alcune categorie di lavoratori.
La rappresentatività confederale va valutata sia in base alla partecipazione alle trattative sindacali, sia in base ad altri indicatori quali, secondo noi, il radicamento nel territorio a livello nazionale nelle diverse categorie e settori, la diffusione strutturale organizzativa, l'attività assistenziale, l'attività vertenziale, l'attività legale, la sottoscrizione di accordi generali con i governi nazionali e territoriali.
Tutti quelli che abbiamo citato sono modalità o strumenti già esigibili perché, per quanto riguarda il voto, abbiamo preso come riferimento quanto già avviene in tutti i comparti quando si vota per i rappresentanti nei fondi di previdenza complementare.


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Per quanto riguarda la rappresentatività confederale, per esempio, gli istituti di patronato delle organizzazioni sindacali devono già rispondere a questi parametri, per avere il riconoscimento del ministero.
Faccio solo un accenno a quello che pensiamo della proposta di Confindustria del 10 ottobre, perché a questo punto non possiamo che prendere atto del fatto che su questa proposta ciascuno di noi si è già espresso.
Il 10 ottobre gli imprenditori hanno presentato un nuovo documento, che riprende molte delle proposte contenute in quello del 12 settembre, pur essendo più snello o, comunque, meno bizantino del precedente. Lasciando ad un allegato l'esame puntuale delle differenze - abbiamo naturalmente tutti i documenti, che vi lasciamo a disposizione - e delle osservazioni di merito dell'UGL sui testi datoriali, di seguito riassumiamo, in via di estrema sintesi, le considerazioni del nostro sindacato.
Tra gli elementi di forte perplessità che permangono c'è il nuovo metodo di calcolo dell'inflazione che, a parere dell'UGL, presenta almeno tre criticità.
La prima è che si vorrebbe depurare l'indice previsionale, costruito sulla base dell'IPCA - ogni tanto si cambia nome e quest'ultimo è quasi impronunciabile - dall'inflazione importata, cioè dai costi dei prodotti energetici. È evidente che la dinamica dei costi di quei beni si riflette direttamente su tutti i generi di più largo consumo e sulle utenze e che incide pesantemente sui bilanci delle famiglie, ben oltre l'apprezzamento che ne fa il paniere su cui si calcola l'inflazione.
Le imprese sanno bene che, non più tardi di quattro giorni fa, tutti i grandi gruppi italiani di costruzione hanno chiesto al Governo, sotto la minaccia di chiudere i cantieri, di modificare il decreto con cui si autorizzava la revisione dei prezzi delle opere pubbliche. Il testo proposto, secondo le imprese, non comprendeva l'incremento dei costi dell'energia e del petrolio. Se ciò vale per le imprese, a maggior ragione deve valere per i lavoratori.
Il secondo elemento di critica riguarda la riduzione delle voci stipendiali sulle quali si vorrebbe applicare il nuovo indice. Questo metodo, che cancellerebbe la libera trattativa sindacale, costituirebbe un altro intollerabile barrage al riconoscimento della perdita del potere d'acquisto degli stipendi.
La terza perplessità scaturisce dall'intenzione datoriale di riconoscere l'aggiornamento degli stipendi solo nel caso di significativi ed eventuali scostamenti sul monte stipendio, ma per le tasse dei lavoratori, che percepiscono 1.000 o 1.200 euro al mese (quando va bene) anche lo 0,2 per cento può essere significativo, mentre per la Confindustria il livello, a questo punto soggettivo, potrebbe essere più alto.
Sempre sul lato economico, nell'ultima versione del testo proposto da Confindustria, l'elemento di garanzia retributiva sembra assumere maggiore consistenza ed esigibilità. Non troviamo più nel testo, infatti, l'affermazione che le parti «possono stabilire», ma un più confortante «nella misura e alle condizioni concordate nei contratti nazionali, con particolare riguardo per le situazioni di difficoltà economico-produttiva».
Non è sufficientemente chiaro, invece, chi determini i criteri di misurazione della produttività, anche con riferimento alla possibilità che a livello territoriale si possano modificare dei singoli istituti economici o normativi del contratto collettivo nazionale, né quale dovrebbe essere il ruolo delle RSA ed RSU, livelli essenziali di rappresentanza costantemente ignorati nel documento.
Pur approvando che sia il contratto collettivo nazionale a stabilire le materie trattabili nel secondo livello, questo punto deve essere chiarito meglio e, soprattutto, dotato di una certa flessibilità in positivo, per consentire, nella trattazione decentrata, di modificare in meglio alcune parti della normativa contrattuale.
Anche se nel nuovo documento non sono più presenti i contorti meccanismi di gestione e rarefazione della conflittualità, contenuti nel primo testo di Confindustria,


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deve essere chiarito meglio, a nostro avviso, con riferimento a tempi e metodi di presentazione delle piattaforme sindacali per il rinnovo dei contratti, cosa s'intenda per «tregua sindacale», atteso che è previsto un lunghissimo periodo - si parla di sette mesi - in cui è proibito il ricorso allo sciopero.
Lo sciopero, però, a nostro avviso, non può né deve essere escluso se i motivi della protesta riguardano problematiche diverse dalla vertenza del contratto.
Da sottolineare positivamente è l'introduzione del concetto di decorrenza contrattuale che, seppure non si avvicina completamente alle richieste dell'UGL per il riconoscimento pieno degli arretrati, interessi compresi, rappresenta un passo avanti per superare l'odioso ricorso alle una tantum.
Non ripeto, per brevità, le considerazioni del nostro sindacato - già espresse nell'altra parte del documento, che comunque vi lasciamo - sul pericolo che la triennalizzazione dei contratti accresca la conflittualità, sulla mancanza di una strategia organica in materia di rappresentanza e rappresentatività, sulla vacuità del parametro della produttività come motore delle retribuzioni e sulla scarsa consistenza degli impegni datoriali per garantire l'effettivo diritto alla contrattazione decentrata.
Il documento di Confindustria, quindi, rispetto alla prima proposta, è un documento col quale si può ancora lavorare. Tra l'altro, sapete bene che non parliamo di un accordo, ma di linee-guida, quindi tale documento, a nostro avviso, può ancora trovare delle correzioni.
È evidente che - tengo a ribadirlo qui, perché è la mia posizione, che ho sostenuto e continuerò a sostenere - di fronte a un documento che entra a gamba tesa nelle vite delle persone che rappresentiamo e anche nelle vite delle organizzazioni, soprattutto per gli aspetti di democrazia e rappresentanza sindacali, quante più organizzazioni possibili possono essere portate a raggiungere un obiettivo comune, tanto più questo documento potrà dare delle risposte adeguate.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ALDO DI BIAGIO. Signor presidente, onorevoli colleghi, illustri rappresentanti delle sigle sindacali, accolgo positivamente il contributo tracciato, in questa sede, sia dalla segretaria confederale della CGIL, sia dalla segretaria generale dell'UGL.
Riconosco il carattere propositivo e costruttivo delle parti sociali, orientato alla definizione di altrettanto costruttive relazioni industriali e sindacali.
Richiamandomi a un articolo apparso su La Repubblica qualche giorno fa, tengo a sottolineare l'esigenza e la necessità che un sistema di relazioni sindacali in grado di funzionare e di articolarsi in modo efficace si identifichi in un gioco a somma positiva, soprattutto in una congiuntura economica e finanziaria alquanto critica, per alcuni tratti allarmante, come questa attuale.
In tale struttura, infatti, l'accordo e la cooperazione, espressione di un gioco a somma positiva, consentirebbero di ingrandire le risorse e le disponibilità, da spartire in modo che ci sia un'ottimizzazione di queste per più destinatari.
Dobbiamo necessariamente attivare questo gioco a somma positiva e non assistere inermi al collasso delle relazioni industriali, così come emergerebbe dal fallimento del negoziato tra le sigle sindacali e Confindustria.
Malgrado la sussistenza di difficoltà nel dare sostanza agli obiettivi del negoziato sindacale è possibile e opportuno individuare un nuovo assetto, che non penalizzi nessuno e che solleciti, invece, la crescita delle retribuzioni in ciascuna realtà in cui sia consentito un incremento della produttività.

IVANO MIGLIOLI. Ho ascoltato con attenzione, naturalmente, sia la rappresentante della CGIL sia la dottoressa Polverini. Farò due considerazioni e due domande.
Mi pare evidente che siamo di fronte a una situazione non normale per il Paese,


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ma anzi molto preoccupante. Conosciamo i dati inerenti al prodotto interno lordo e ai consumi, che non voglio riprendere.
Ieri abbiamo avuto i dati preoccupanti, che pure conoscevamo, sull'aumento delle disuguaglianze, che evidenziano come, sostanzialmente, abbiamo una fascia sempre più larga di popolazione con stipendi e con redditi con cui si fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Aumentano i poveri e i ricchi sono ancora più ricchi di prima.
Conosciamo anche i dati che riguardano il lavoro: c'è un aumento esponenziale del ricorso alla cassa integrazione, superiore al 10 per cento. Segnalo che, per la prima volta, abbiamo un aumento del tasso di disoccupazione: aumentano i disoccupati! I precari - ne stiamo discutendo in un provvedimento a latere - o, comunque, tutti coloro che non hanno contratti a tempo indeterminato sono circa 4 milioni.
Allo stesso tempo, noi abbiamo un sistema contrattuale che, se sono veri i dati pubblicati ieri in uno specchietto da La Repubblica, esistono 400 tipologie di contratti, anche se io penso che siano meno.
Di fronte a questo emerge, intanto, un primo problema, sul quale vorrei una risposta. Pur nel rispetto dell'autonomia, naturalmente, delle organizzazioni sindacali e di Confindustria, che sono a quel tavolo per rivedere il protocollo del 1993, il problema è il seguente: al di là delle divisioni e delle valutazioni su quel provvedimento, a quel tavolo manca un soggetto, che non può restare semplicemente alla finestra, senza esprimere la sua opinione, anche perché in realtà quel soggetto sta dicendo la sua.
Lo fa, per quanto riguarda milioni di lavoratori pubblici, prevedendo pochi e insufficienti soldi nella finanziaria, e parlando di un tasso di inflazione diverso da quello che conosciamo nella pratica. Il Governo ha detto la sua anche con un provvedimento riguardante la detassazione degli straordinari; il sottosegretario Viespoli ha risposto all'interrogazione posta in merito dal collega Delfino in modo assai reticente: non mi pare di avere capito né che risultati ha avuto né se si farà ancora.
Avevamo ragione noi nel sostenere che quel provvedimento, in quel contesto, era una bandierina ideologica, che certo non avrebbe affrontato certi problemi. Anzi, com'è noto, le ore di straordinario sono diminuite e sono aumentate le ore di cassa integrazione. Quella bandiera è ora ammainata, ma quel soggetto non può stare solo alla finestra.
Vorrei sapere cosa pensate di questa mia valutazione perché, se l'obiettivo - nel modello contrattuale e nel tentativo di riforma del sistema esperito per fornire risposte alle difficoltà di cui ho parlato - è il potere d'acquisto, il ruolo del Governo è determinante per quanto riguarda i dipendenti pubblici, il sistema fiscale e i prezzi.
In secondo luogo, mi pare che si convenga da parte di tutte le organizzazioni sindacali - a giudicare dalle sue valutazioni, a cui ho riservato molta attenzione, lei lo conferma - che l'obiettivo sia quello di dare maggiore valenza al secondo livello della contrattazione, incentivandolo e legandolo alla produttività, anche se mi pare che, nel documento di Confindustria, questo concetto di produttività di secondo livello sia ancora largamente indefinito: su questo esistono valutazioni comuni delle organizzazioni sindacali.
Ricollego questo alla mia ultima domanda. La segretaria generale dell'UGL ha dato molto risalto - giustamente, io credo - al problema, strettamente legato al modello contrattuale, riguardante la democrazia nei luoghi di lavoro, la rappresentanza e la titolarità.
Vorrei sapere se lei ritiene che questo tema debba essere oggetto, oltre che di una valutazione autonoma delle parti, anche - lo dico da parlamentare, da componente di una Commissione che su questo potrebbe dire la sua - così come è stato fatto, in parte, con il pubblico impiego, anche di una normativa o di un provvedimento legislativo, perché il modello contrattuale si lega anche a questo e, quindi, anche alle disposizioni vigenti.


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Queste sono le mie personali considerazioni, che contengono anche alcune domande.

PRESIDENTE. Credo che sulla legge relativa alla rappresentanza andrà fatta qualche riflessione, anche se debbo dire che per la prima volta ascoltiamo un soggetto che dichiara la volontà che si possa proseguire o riavviare un dibattito su questo tema. Altri soggetti, non solo da parte sindacale, ma anche datoriale, non ci sentono da questo orecchio.

GIULIANO CAZZOLA. L'onorevole Miglioli ha chiamato in causa il ruolo di questa Commissione e, quindi, anche di possibili interventi legislativi. Mi è venuto in mente, allora, che il Ministro Sacconi ha proposto di rivedere la legge sulla regolazione dello sciopero nei servizi pubblici, sia in un recente convegno sia con una serie di dichiarazioni. Vorrei sapere cosa pensa la sua organizzazione di questo tema.

CESARE DAMIANO. Immagino che, con le tecnologie che abbiamo a disposizione, Renata Polverini abbia già sentito quanto ho detto prima.

RENATA POLVERINI, Segretario generale dell'UGL. Ho sentito che comiziava!

CESARE DAMIANO. Infatti, me l'ha detto sulla porta. Quindi ha sentito quello che ho detto.

RENATA POLVERINI, Segretario generale dell'UGL. No, non ho potuto ascoltare il suo intervento.

CESARE DAMIANO. Se non ha sentito, allora vorrei riprendere brevemente un ragionamento, a meno che il collega Giuliano Cazzola non voglia sostituire Renata Polverini e rispondere al suo posto, ma non è così.
L'ultima affermazione del segretario Polverini riguardava un punto che, secondo me, va tenuto in considerazione. Negoziare un modello contrattuale nuovo vuol dire arrivarci uniti, perché se una o più organizzazioni non lo sottoscrivono, è molto difficile che questo modello possa funzionare.
In secondo luogo, mi è parso di capire che l'UGL sia fortemente critica - uso un eufemismo - sul testo presentato da Confindustria, rispetto al quale ho sentito numerosi rilievi.
Detto questo, le mie domande sono sempre le stesse. Vorrei sapere qual è l'opinione dell'UGL a proposito della fissazione del tasso di inflazione programmata all'1,7 per cento: va bene oppure no? Aiuta o non aiuta questa trattativa?
Vorrei sapere, inoltre, cosa pensa l'UGL a proposito della scelta del Governo di incentivare il salario aziendale, anche nel caso in cui sia erogato unilateralmente, secondo il modello Della Valle: è giusto o sbagliato, secondo la sua organizzazione? Aiuta o non aiuta questa trattativa?
Vorrei sapere se la sua seconda perplessità si riferisca al «valore punto». Se non sbaglio, secondo una tesi elaborata nella discussione in corso, si vorrebbe avere un «valore punto» universale. Io sono contrario a questa tesi, perché ritengo che il «valore punto» debba fotografare la situazione delle singole categorie e che difficilmente possa essere universale, ma vorrei capire qual è la posizione dell'UGL in merito.
Vorrei sapere anche che cosa pensa l'UGL circa l'allargamento del tavolo, perché in questa situazione straordinaria la questione della pressione fiscale sulle retribuzioni è fondamentale. È evidente che sarebbe opportuno riprendere il tema degli ammortizzatori sociali anche in un confronto di concertazione.
L'onorevole Saglia diceva poc'anzi che c'è una proposta per aumentare i fondi relativi di 150 milioni; faccio presente che, se questo dovesse avvenire, torneremmo al livello del 2007, in una situazione diversa da quella del 2007: ci vorrebbero molte più risorse per gli ammortizzatori sociali, che purtroppo il Governo ha invece diminuito.


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Vorrei anche capire se, quando si parla di filiera, si parla di una modalità di contrattazione sostitutiva del contratto aziendale o territoriale.
Infine, anch'io apprezzo il fatto che si sia ripreso il ragionamento sulla democrazia sindacale. Vorrei conoscere l'opinione di Renata Polverini, ma personalmente penso che le parti debbano prima definire una modalità di funzionamento della certificazione di rappresentatività delle organizzazioni e che la legislazione di sostegno debba intervenire solo successivamente. La sua tesi è diversa da questa?
Ritengo che siamo arrivati in una situazione nella quale il superamento del cosiddetto «terzo» di seggi accantonati a vantaggio delle organizzazioni maggiormente rappresentative abbia ormai fatto il suo tempo. Quale che sia la nuova regolazione, quindi, penso che questo punto andrebbe cancellato.

PRESIDENTE. Do la parola al nostro interlocutore per la replica.

RENATA POLVERINI, Segretario generale dell'UGL. Cercherò di non dimenticare nulla.
In primo luogo, mi è stato chiesto se gli attuali contratti siano 400: credo che siano addirittura di più. Tutti stiamo convenendo sulla necessità di accorparli, almeno per settori merceologici, laddove non si penalizzano i settori stessi.
Questa è una discussione che sto riprendendo adesso, in occasione della trattativa con Confindustria, ma che già avevo portato avanti, come UGL, al tavolo della previdenza complementare, proprio perché mi sembrava utile, in quel momento, «utilizzare» la previdenza complementare per restringere il numero dei contratti e per dare la possibilità ai tanti lavoratori, ancora scoperti perché privi di un loro fondo, di entrare in un contratto già strutturato con un fondo di previdenza complementare. Oggi, quindi, stiamo lavorando, a maggior ragione, su questo discorso.
Il Governo deve partecipare a questa discussione, assolutamente, e non solo perché è datore di lavoro per il pubblico impiego, ma anche perché, io credo, la contrattazione va sostenuta sul piano fiscale, non soltanto con il lavoro straordinario; tanto più che oggi siamo di fronte ad un'emergenza rispetto a una crisi finanziaria.
Io ritenevo già da prima che detassare lo straordinario fosse uno strumento utile, necessario e importante, per tanti lavoratori, anche se molto limitativo, perché riguarda solamente coloro che hanno accesso allo straordinario.
Credo, pertanto, che addirittura il Governo, come sta facendo in questo momento la Commissione, dovesse promuovere questa discussione, proprio per portare tutti i soggetti che nel 1993 aderirono al protocollo, a modificare il protocollo stesso.
Quindi, ripeto, non vedo il Governo come un datore di lavoro, ma come un soggetto fortemente interessato ad una questione importantissima, che deve sostenere anche, e non soltanto, dal punto di vista fiscale.
Peraltro, si è parlato di prezzi e tariffe. Ebbene, tutti questi argomenti devono far parte della discussione, perché, come ho detto all'inizio, questa «cassetta degli attrezzi» deve contenere tanti strumenti: la detassazione dello straordinario, ma anche un diverso regime fiscale, perché da troppi anni noi paghiamo troppe tasse rispetto a tutti gli altri soggetti del settore economico.
Tant'è che, in premessa, ho affermato una cosa in cui credo, ossia che dobbiamo riflettere su quanto è accaduto con l'impoverimento dei poveri e con l'arricchimento dei ricchi, che sono sempre gli stessi, senza che ve ne siano di nuovi. Evidentemente ciò è dovuto anche al fatto che, probabilmente, dal punto di vista fiscale - non dico volendo, ma non volendo - si è incentivato lo spostamento di risorse dall'economia reale e a quella finanziaria e, di conseguenza, si è allargata questa forbice.
Esiste anche il problema dei prezzi e delle tariffe. Oggi, ovviamente, ho voluto sintetizzare alcuni punti, ma nel documento


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che lasciamo agli atti della Commissione trovate riferimenti a tutti questi aspetti, compresa una nostra proposta rispetto alle tariffe, sul perché, ad esempio, l'ENI e l'ENEL devono distribuire i dividendi negli stessi giorni in cui aumentano le bollette. Comprando un giornale, si può notare che, mentre in prima pagina si parla dell'aumento delle bollette, nella pagina economica si trova notizia della distribuzione dei dividenti delle società suddette. Ritengo, dunque, che il Governo debba partecipare anche a questo tavolo e che tale questione debba far parte dello stesso pacchetto.
Quanto alla democrazia sui luoghi di lavoro - un tema introdotto da una delle prime domande e riproposto anche dall'onorevole Damiano - io cerco di essere sempre molto sincera, quindi risponderò con sincerità anche a questa domanda.
Credo che sul tema della nuova democrazia e delle nuove regole di rappresentanza si debba trovare un accordo tra le parti, ma anche che serva l'intervento legislativo. In questo Paese, infatti, esistono delle fotografie in bianco e nero, che si sono ingiallite, ma che non riusciamo, se non con grande fatica, a modificare per far riprendere loro nuova vita.
Penso che questo accada anche nel campo della rappresentanza sindacale. Oggi viviamo un momento diverso, in cui alcune organizzazioni stanno crescendo e in cui emerge un nuovo quadro. I numeri ci confortano. Ho citato prima - lo dico perché, ovviamente, parteggio per l'UGL, ma lo faccio perché ha dei numeri da esibire - il fondo di previdenza complementare dei lavoratori metalmeccanici, dove noi prendiamo il 25 per cento; sono solo cinque le organizzazioni che si presentano a quella competizione e siamo entrati, a fatica, per la prima volta, nel collegio sindacale, perché non ci era ancora stata data la disponibilità ad accedere agli strumenti. Cito questo esempio, perché può dare un'idea generale.
Credo che chi governa debba assumersi la responsabilità di accompagnare un nuovo processo di riconoscimento dei soggetti che hanno titolo alla rappresentatività. Se poi qualche soggetto non ha questo titolo, torna a casa: io non voglio rappresentare chi non abbia i numeri. Dico sempre anche ai miei sindacalisti che, quando vengono da me, devono essere certi di avere i numeri per chiedermi un intervento, perché questo è il sale della democrazia.
Chiaramente anch'io sono convinta del fatto che l'importanza del modello contrattuale sia tale da rendere necessaria la partecipazione di tutti i soggetti interessati. Ci siamo chiesti che cosa succederà se questo accordo (che adesso si chiama linee-guida) ottenesse soltanto la sottoscrizione - per carità, importante e autorevole - di quattro soggetti. Che succederà dopo? Gli altri datori di lavoro vi si riconosceranno? Quando si presenteranno le piattaforme per i rinnovi dei contratti, chi non ha sottoscritto l'accordo potrà presentare una sua piattaforma e, quindi, ingolfare il rinnovo dei contratti nazionali?
Questa è una materia da maneggiare con cura, insomma, perché altrimenti rischiamo di penalizzare i salari, anziché dare loro una nuova spinta. Da questo punto di vista, quindi, bisogna stare molto attenti.
Sono convinta che il contratto nazionale debba rimanere forte, perché è la garanzia per tutti i lavoratori: è inutile che ci prendiamo in giro. Credo anche che possiamo spostare una parte della retribuzione al secondo livello, però spero che, se partiamo da cento, arriviamo al secondo livello con centouno.
Il mio timore è che o arriviamo a cento o scendiamo sotto, perché non mi pare che in questo momento ci sia una grande predisposizione, da parte delle imprese, ad aggiungervi qualcosa: questa è una mia sensazione. Ovviamente, lavoriamo e continuiamo a lavorare su queste linee-guida, ma evidentemente lo facciamo per ottenere un maggiore salario. Da questo siamo partiti, ormai lo sosteniamo tutti, da tutte le parti, e credo che questo rimanga un problema.
Ho già risposto per quanto riguarda la filiera che sarebbe, ovviamente, un livello


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sostitutivo, per le situazioni in cui non c'è la possibilità di fare il contratto aziendale.
Ci tengo a dire, perché ci credo, che noi dovremmo utilizzare anche il secondo livello - per questo parlo anche di filiera, ma possiamo poi parlare di rete, consorzio e via discorrendo - e che i sindacati, se sono bravi, devono poter ottenere, a quel livello, non soltanto retribuzione economica, ma anche servizi.
Se, infatti, c'è un gruppo di imprese che, per esempio, non ha la disponibilità di un asilo nido, perché non contrattare a quel livello la possibilità di metterne a disposizione uno, piuttosto che di rendere disponibile un mezzo per portare i bambini a scuola?
Laddove non si riesce a recuperare il gap esistente dal punto di vista territoriale, penso che sul secondo livello, mettendo a rete delle aziende, si possa fare un buon lavoro.
Oggi ci sono, da un lato, lavoratori che, in azienda - siccome è stato citato Della Valle, lo cito ad esempio - hanno non soltanto l'asilo nido ventiquattro ore su ventiquattro, ma anche la palestra; dall'altro, abbiamo lavoratori che non sanno dove portare i bambini. Secondo me, quel livello può, allora, essere utilizzato anche per mettere a sistema le aziende - piccole, medie e grandi - e per far fare loro qualcosa che vada oltre la ripartizione squisitamente economica della produttività.
L'1,7 per cento - lo abbiamo detto tutti - non ci ha aiutato, ma ha fatto partire la trattativa con una forte penalizzazione. Oggi abbiamo un'inflazione - certificata anche dall'ISTAT, che per anni ha resistito - che va verso il 4 per cento. Partire dall'1,7 per cento sicuramente non ha aiutato la trattativa e ha probabilmente creato i maggiori problemi.
Penso anche che, poiché queste sono linee-guida, forse sarebbe stato meglio evitare di infilarsi nella discussione sul tasso di inflazione, che avrebbe potuto essere considerato nel momento della contrattazione: si sarebbe potuto solo indicare, al limite, i parametri sui quali basare il confronto futuro sugli indici d'inflazione.
Naturalmente, Della Valle non ci ha aiutato: questo è evidente; tuttavia, approfitto dell'occasione per aggiungere un'ulteriore notazione su questa vicenda, sempre con la sincerità con la quale svolgo il mio ruolo.
UGL ha una rappresentanza importante in quella sede. Quando Della Valle assunse l'iniziativa in questione, telefonai al mio rappresentante chiedendogli del da farsi, considerato l'accaduto. Egli mi rispose che erano stati dati loro 1.400 euro lordi.
Dico questo per spiegare che il sindacato deve stare attento, in questo momento. Personalmente, sto cercando, anche contro tutti, di dare un contributo e di arrivare ad un accordo, perché credo che questo sia un momento importante, in cui il sindacato si gioca la propria credibilità: o noi siamo in grado, oggi, di dimostrare che c'è un sindacato unito, in grado di rispondere con un contributo - perché lo considero uno dei contributi - per cercare di risollevare i salari in questo Paese, in maniera seria, concreta e, appunto, unitaria, oppure avremo sprecato una grande occasione.
Se così non fosse, infatti, dimostreremmo di non essere neanche in grado di metterci d'accordo tra di noi e di dare delle risposte ai lavoratori.
Quando gli imprenditori fanno un gesto unilaterale, noi non possiamo dire ai nostri lavoratori di rifiutare l'incremento retributivo che viene loro offerto: penso che nessuno possa dire una cosa del genere.
Penso, tuttavia, che questo penalizzi il ruolo del sindacato, che deve fare tesoro di ciò che è successo, ma deve comunque recuperare la sua credibilità, che può rischiare di venire meno.
Quanto al «valore punto», anch'io penso che debba essere di settore: anche sotto questo profilo abbiamo, quindi, una nostra posizione rispetto al documento di Confindustria.
Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali - resta una risposta sullo sciopero - mi sembra di aver esaurito l'argomento. Come è stato già detto, purtroppo oggi ci


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troviamo di fronte a un'emergenza, tant'è vero che ormai ovunque si fa ricorso alla cassa integrazione. La FIAT ha messo in cassa integrazione lo stabilimento di Termoli, che un tempo non riusciva ad effettuare consegne, perché aveva più ordinativi rispetto ai mezzi che rendeva disponibili. È chiaro, quindi, che ci aspetta un momento difficile.
Credo e spero, tuttavia, che continueremo tutti a lavorare in questo senso, perché il sistema delle tutele e degli ammortizzatori sociali deve essere più rispondente al tessuto industriale odierno del nostro Paese. Altrimenti, ci troveremo sempre di fronte alle emergenze, che una volta riguardano l'Alitalia e un'altra volta la Thyssen, e ogni volta ci dovremo preoccupare dell'indotto.
Evidentemente, c'è un sistema ancora tarato sulla grande impresa, che non siamo riusciti a spostare, come invece sarebbe stato utile e necessario fare, sul resto delle attività produttive. Partendo da questo momento difficile, credo che si possa affrontare questa discussione.
Vengo ora al tema dello sciopero. Penso che il diritto di sciopero sia individuale e costituzionale e sono convinta del fatto che, se riusciremo a trovare una soluzione insieme al Ministro - questo è l'unico aspetto sul quale non mi sento serena in questi giorni, perché forse sarebbe stata utile una discussione preventiva con chi rappresenta i lavoratori, prima di procedere alla scrittura di un decreto (invece, ormai stiamo prendendo l'abitudine di presentare i decreti e poi discuterli) - considerato che, purtroppo, abbiamo visto in tante situazioni momenti di difficoltà procurati da scioperi, questo potrà servire anche ai lavoratori per dimostrare, attraverso modalità diverse, che vogliono scioperare per i loro diritti senza danneggiare i cittadini.
Credo comunque che su una materia così delicata la discussione preventiva sarebbe stata necessaria. Ci auguriamo, come lo stesso Ministro ha detto, che discuteremo nel dettaglio questo decreto, per cercare di garantire i cittadini e di non penalizzarli, come qualche volta - ultimamente, forse, troppo spesso - è successo, ma nello stesso tempo di mantenere il diritto sacrosanto di ricorrere allo sciopero, laddove c'è la necessità di tutelare i propri diritti e non si è potuto farlo attraverso tutti i mezzi che sono a disposizione dei lavoratori prima del ricorso allo sciopero.

PRESIDENTE. Ringrazio il segretario Polverini e i colleghi presenti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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