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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XI
11.
Martedì 27 settembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cazzola Giuliano, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SUL MERCATO DEL LAVORO TRA DINAMICHE DI ACCESSO E FATTORI DI SVILUPPO:

Audizione di rappresentanti del Forum Nazionale Giovani:

Cazzola Giuliano, Presidente ... 2 5 7 9 10 11 12
Bobba Luigi (PD) ... 6
De Napoli Antonio, Portavoce del Forum Nazionale Giovani ... 2 6 9 12
Fedriga Massimiliano (LNP) ... 5 6
Gatti Maria Grazia (PD) ... 7 8
Gnecchi Marialuisa (PD) ... 7
Meattini Antonio, Segretario generale del Forum Nazionale Giovani ... 12

ALLEGATO: Documentazione presentata dai rappresentanti del Forum Nazionale Giovani ... 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

[Avanti]
COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 27 settembre 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIANO CAZZOLA

La seduta comincia alle 11,05.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti del Forum Nazionale Giovani.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul mercato del lavoro tra dinamiche di accesso e fattori di sviluppo, l'audizione di rappresentanti del Forum nazionale giovani.
Avverto che i rappresentanti del Forum Nazionale Giovani hanno messo a disposizione della Commissione una documentazione, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Nel ringraziarli ancora una volta per la loro presenza, do loro la parola.

ANTONIO DE NAPOLI, Portavoce del Forum Nazionale Giovani. Buongiorno, signor presidente e onorevoli membri della Commissione XI. Innanzitutto, ringrazio per quest'opportunità. Avremmo voluto fare una relazione un po' più ampia, ma motivi di lavoro non ce l'hanno consentito. I membri eletti all'interno del direttivo del Forum sono tutti volontari, quindi abbiamo esigenze lavorative personali. Al mio fianco è presente Antonio Meattini, segretario generale dell'organismo.
Vorrei spendere soltanto poche parole di presentazione della nostra piattaforma prima di entrare nel merito dell'audizione stessa. Nel materiale che vi abbiamo allegato, oltre alla consueta presentazione della nostra piattaforma, ci sono alcuni documenti che abbiamo prodotto nel corso degli ultimi due anni. Ritengo siano molto utili per centrare i punti fondamentali che stiamo perseguendo, le priorità che ci siamo dati negli ultimi due o tre anni.
In estrema sintesi, a me piace definire il Forum un laboratorio. Giuridicamente non è nient'altro che un'associazione, composta attualmente da poco più di 80 organizzazioni giovanili tra soci effettivi e soci candidati. Vedo persone che conoscono bene fin dalla nascita l'organismo, e piuttosto nella fase addirittura precedente al 2004, quando appunto è stata una necessaria una consultazione.
Il Forum esiste, quindi, dal 2004. L'obiettivo principale è quello di costituire una rete di associazioni giovanili che possa rappresentare in modo concreto le istanze dell' associazionismo giovanile e, ovviamente, delle giovani generazioni italiane in generale, per poter avanzare proposte, migliorare la qualità della vita delle giovani generazioni e, conseguentemente, la democrazia e la qualità civica del nostro Paese.
Uno degli obiettivi principali da Statuto - il documento è allegato - è la costituzione, con formula molto diffusa in Europa, ma si potrebbe utilizzarne tante


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altre, del Consiglio nazionale della gioventù, organismo presente in quasi tutti i Paesi del Consiglio d'Europa e anche nei Paesi dell'Unione europea. Si tratta di un organismo costituito per legge che può avere un potere consultivo obbligatorio sui provvedimenti normativi in materia di giovani e politiche giovanili.
Il Forum è sicuramente un organismo che ha - anche questo momento, e vi ringraziamo, lo dimostra - un rapporto diretto con le istituzioni, ma una legge che istituisca, senza creare inutili carrozzoni, unicamente un organismo istituzionale che possa far fronte a tutte queste esigenze è non solo, a nostro avviso, la strada che l'Europa ci indica, ma anche la più efficiente per il nostro sistema Paese.
Riguardo all'audizione, consegno al presidente - purtroppo ne abbiamo soltanto una copia - una nostra indagine, di cui i deputati mi pare abbiano una sintesi di due cartelle. Si tratta di un progetto che abbiamo realizzato nell'arco temporale 2009-2010. Abbiamo stampato pochi mesi fa questo volumetto che indica alcune delle questioni che riteniamo importanti quando si parla di giovani e, soprattutto, di consapevolezza dei propri diritti sul lavoro.
Cercherò di esporre alcuni punti che per noi sono importanti e sui quali abbiamo lavorato. Parlare di lavoro e giovani significa parlare di tantissime questioni. Naturalmente, mi renderò disponibile anche - il numero forse lo consente - per un confronto utile sulle questioni che maggiormente interessano alla Commissione per quest'indagine conoscitiva.
Noi partiamo dal presupposto che quando si parla di occupazione giovanile non ci si occupi di giovani, ma del Paese. Capire oggi quali sono le esigenze di un inserimento effettivo nel mercato del mondo del lavoro, e quindi garantire una qualità retributiva ai giovani lavoratori, significa investire sul Paese, per cui la retorica che avvolge molto spesso la questione giovanile è, a nostro giudizio, una retorica sul Paese.
Il tema non è solo quello del «ghetto giovani», ma del futuro del Paese. Se attualmente la fascia che si trova sotto i 35 anni non riesce ad avere accesso a una casa, in molti casi a una pensione, come sembra che avverrà, la questione è italiana, non unicamente del Forum nazionale giovani o del coordinamento giovani precari della scuola.
Abbiamo affrontato questo argomento fornendo alcuni spunti, contenuti nell'indagine Giovani e Lavoro Consapevole, da cui emerge innanzitutto un dato abbastanza preoccupante sul lavoro nero. La premessa fondamentale è che questa non è un'indagine ISTAT, ma è sicuramente condotta da ricercatori di valore della nostra rete con questionari validi raccolti - in numero di 1.402 - in sei città italiane su un campione rappresentativo dell'universo maschile e femminile, soprattutto sotto il profilo delle provenienze geografiche e crediamo che sia uno strumento su cui poter riflettere.
Da quest'indagine emerge sicuramente il tema del lavoro nero, che nelle varie semestrali ISTAT, per motivi che conoscete meglio di me, non sempre è adeguatamente sottolineato. È singolare che nel 30 per cento dei questionari il nostro campione nella tipologia contrattuale abbia indicato lo stato lavorativo «altro», in alcuni casi aggiungendo a penna «lavoro nero» e, in ogni caso, non rientrando nelle tipologie di contratto a tempo determinato, a progetto, apprendistato e così via.
Un altro dato significativo che vorremmo sottoporre alla vostra attenzione perché penso che possa essere una riflessione molto utile è la scarsa conoscenza dei giovani delle norme che riguardano il lavoro dei giovani e la previdenza complementare. Stiamo, infatti, anche affrontando questo argomento. Notiamo come magra consolazione un significativo aumento della conoscenza di questi temi in giovani associati, quindi persone iscritte a un sindacato, che si occupano di terzo settore, che fanno parte di un partito o, in generale, di un'associazione giovanile.
Nel volumetto, che sarà nostra cura consegnare non soltanto a lei, presidente, ma a tutti voi, è presente in appendice il questionario. Emergono sulle singole voci


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dati piuttosto significativi. Riporto un esempio molto concreto - perdonate la banalità, ma riguarda milioni di giovani - dicendo che percentuali molto alte di giovani non conoscono i diritti relativi alla maternità o alla paternità che un contratto a progetto, seppur non come un contratto a tempo determinato, garantisce. Si tratta di questioni estremamente concrete su cui penso forse sia bene riflettere.
Questo, ovviamente, va a toccare un argomento molto ampio di cui leggiamo spesso sui giornali, il famoso tema dei «bamboccioni», che non si informano, che non sanno niente. Noi affrontiamo questo tema con molta serenità: sicuramente si potrebbe gestire molto meglio il proprio account personale sul sito dell'INPS, controllarlo ogni settimana piuttosto che affidarsi al passaparola. È anche vero che, però, forse è necessario, e quest'audizione ne è una dimostrazione, insistere molto sugli strumenti che possono consentire già dalla scuola superiore una conoscenza di diritti che i giovani lavoratori possono avere. Mi riferisco ai diritti basici, ma anche all'opportunità che la previdenza complementare in questo momento può dare.
A me piace citare sempre un esempio, anche questo estremamente concreto, che riguarda la guida del COVIP sulla previdenza complementare, la commissione di vigilanza sui fondi che conoscete meglio di me. In questa guida molto semplice, anche carina dal punto di vista estetico, molto diretta nei contenuti, si evidenzia, come è giusto che sia, quanto la previdenza complementare sia uno strumento soprattutto per i lavoratori dipendenti. Rendono davvero l'idea alcuni piccoli riquadri che riguardano i lavoratori a progetto e la loro possibilità di accedere alla previdenza complementare. Si tratta, ovviamente, di possibilità minime che, sullo stipendio medio tra i 1.100 e i 1.300 euro che può avere un 27enne, non convengono, così come non conviene il grande inganno del riscatto della laurea (130 euro al mese per vedersi riconosciute chissà quando chissà quante decine di euro sulla pensione mensile). Parliamo di strumenti che sicuramente possono essere migliorati. Ovviamente, scelgo punti su cui bonariamente provocarvi dal momento che le pressioni sono ampie e molto complesse.
Per quanto riguarda il discorso della previdenza e delle pensioni, senza cadere nella retorica tra flessibilità e precariato, vorremmo portare anche l'attenzione sugli ammortizzatori sociali. Gli onorevoli deputati presenti mi insegnano che uno dei punti fondamentali delle leggi Treu e Biagi era un concetto di flessibilità molto ampio, ma anche una quantità retributiva che potesse fare un uso consapevole degli ammortizzatori sociali.
Questo accade nel modo che conosciamo. Non credo che l'Italia sia pronta per un sistema come quello danese, con percentuali molto elevate quando si perde il lavoro, ma credo che il passo di avviare un discorso serio dentro e fuori dal Parlamento con i referenti a livello giovanile, anche per metterli alla prova, vada compiuto.
Ancora a proposito del discorso legato alle pensioni, notiamo come anche da parte dell'INPS a volte questi argomenti non si affrontino di petto, come è giusto fare. Lo dico sempre con una provocazione quando ci capita di parlare pubblicamente: anche nel rapporto annuale che Mastrapasqua ha presentato pochi mesi fa ci sarebbe piaciuto vedere una voce «il dramma delle pensioni dei giovani», un capitoletto ad hoc. Permettetemi di dire che la mia provocazione è sempre costruttiva, nel senso che anche su questo argomento molto spesso si sottovaluta il fatto che da qui a venti o a dieci anni arriveremo a un conflitto sociale molto forte se questa situazione non migliora. È l'opinione di chi rappresenta un organismo che ha sempre creduto nel dialogo intergenerazionale, che i padri e i nonni non siano certo dei nemici, persone da contrastare, ma con cui è necessario avviare un dialogo serio sui contenuti per capire come si potrà domani percepire una pensione, considerato che lo strumento contrattuale più utilizzato per gli under 35 è il contratto a progetto.


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Potrei continuare, ma credo sia giusto terminare qui per lasciare spazio anche a vostri spunti. Vorrei solo dedicare poche parole ancora agli stage. Nell'allegato è presente anche un documento elaborato nel novembre 2010. Noi abbiamo un appuntamento annuale, «Proposta», il prossimo appuntamento sarà a Firenze dal 20 al 23 ottobre. Credo che il nome di questo meeting la dica lunga sul modo in cui intendiamo affrontare il dibattito, ovvero avanzando delle proposte.
Nel 2010 abbiamo riflettuto anche sul tema lavoro e una delle cose su cui ci siamo concentrati è il sistema stage italiano. Non so se la Commissione abbia previsto anche l'audizione della Repubblica degli stagisti: con chi cura questa rivista - non so se si siano tramutati anche in associazione - siamo molto allineati. I provvedimenti normativi che riguardano lo stage prevedono che sia uno strumento di formazione ed è inutile negare che nella stragrande maggioranza dei casi, anche nella pubblica amministrazione, nei dipartimenti della Presidenza del Consiglio dei ministri, mascherano ben altro, distanti da uno strumento di formazione, ma soprattutto da quel necessario nesso che domani potrebbe esserci tra esperienze di stage e mondo del lavoro.
Mi dispiace che non ci sia l'onorevole Damiano. Ho visto, infatti, che insieme ad altri deputati - se non ricordo male, la proposta era bipartisan - aveva presentato tra gennaio e febbraio su questi aspetti una proposta di legge, nell'ambito della quale vi è un comma molto interessante, poiché esprime perfettamente ciò che stiamo rappresentando in questo momento, ossia che lo stage non può essere una maschera di altri strumenti.
È interessante anche vedere quanto sugli stage, che sono un fenomeno di centinaia di migliaia di casi di under 35, non ci siano dati univoci, ma le fonti a volte si contraddicano. Sono sicuramente più affidabili i dati che provengono dai sistemi delle camere di commercio, dai sistemi che puntano a raccogliere i dati del privato. Vedo l'onorevole Fedriga che, appunto, in materia di impresa giovanile ne sa sicuramente più di me, ma per quanto riguarda gli stage che possono provenire da pubbliche amministrazioni - ricordo anche alcune recenti interrogazioni parlamentari - non si ha un'idea per poter fare una valutazione di questo strumento.

PRESIDENTE. Ringrazio il portavoce del Forum Nazionale Giovani e do la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare osservazioni.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Ringrazio i nostri ospiti soprattutto della loro presenza e anche per le informazioni che hanno voluto fornirci. Colgo lo spunto propositivo, ma anche provocatorio, come ha detto, per porre anch'io delle domande che possano esplicitare alcuni problemi.
Partirei proprio dall'ultimo argomento, gli stage, se mi permette, presidente, perché il Governo ha previsto proprio nell'ultima manovra che i tirocini formativi non potessero essere più messi in atto a più di 12 mesi dal periodo di laurea o di diploma. Questa manovra, se ha voluto andare nella corretta direzione di eliminare gli stage di comodo che, come dicevate, sono utilizzati come una forma di lavoro subordinato non retribuito, dall'altro lato, però, ha messo in crisi molte istituzioni di alta formazione. Richiamo i master di alta formazione come quelli della Bocconi, della Luiss o del MIB di Trieste. In questo modo non si consente agli studenti di svolgere le attività all'interno delle aziende a loro volta sponsor degli stessi master. Ci sono dati di assunzione che superano il 90 per cento, quindi sicuramente utili per gli studenti.

PRESIDENTE. C'è stata una circolare al riguardo.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Vorrei capire quale potrebbe essere il giusto punto di mediazione al fine di garantire agli studenti di avere un buono stage e magari una prospettiva di assunzione e, al contempo, impedire che sia sfruttata «mano d'opera» a costo zero. Vorrei, quindi, anche sapere se c'è una proposta di soluzione


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proprio a partire dalla comprensione del problema che avete sollevato.
In secondo luogo, ho invece visto molto attenta la vostra valutazione per quanto riguarda gli studenti universitari che devono avvicinarsi al mondo del lavoro. Vorrei conoscere la vostra posizione per i giovani lavoratori che non sono studenti universitari e non sono studenti in generale. Anche a questo proposito, alcuni dati che abbiamo anche esaminato durante le altre audizioni ci fanno presente che esistono molte categorie di lavoro che non trovano soddisfazione nell'offerta di lavoratori.
In particolar modo, i rappresentanti di Assolavoro ci dicevano che mancano molti profili tecnici e addirittura sono le stesse aziende di somministrazione di lavoro temporaneo a farsi carico della formazione. Come potrebbe il pubblico avvicinarsi, anche in una formazione non universitaria, alla soddisfazione delle esigenze del mercato? Mi ha sorpreso poco tempo fa nel mio territorio scoprire che non si trovavano candidati per tre posti da gruista con stipendio a 2.500 euro netti al mese, ben più di un universitario laureato quand'anche trovi lavoro. Questo significa che c'è manca un passaggio nel nostro Paese tra formazione e mondo del lavoro. Credo che questo rappresenti il problema principale.
Con l'apertura anche all'interno delle università e altre enti formativi di prospettive per la coniugazione di formazione e mondo del lavoro si spera si possa giungere a una soluzione, ma evidentemente servirebbe anche un sistema che riesca a «matchare» la formazione ricevuta dai nostri studenti con le possibilità lavorative che avranno.
È mia convinzione, forse lontana da molte associazioni universitarie o di libertà di scelta della formazione, che un numero programmato all'interno delle università sia una misura più che giusta. Nella previsione, ad esempio, della necessità di 100 ingegneri da qui a 5 anni, aprire il corso a 200 studenti garantisce sì agli studenti di investire sul loro futuro, ma magari perdendo cinque o sei anni a spese della famiglia senza trovare un riscontro nel mondo del lavoro.
Credo che questo possa ripercuotersi anche, ovviamente in modo non diretto, sulla questione del «conflitto generazionale». Attualmente è vero, infatti, che esiste una forte divaricazione tra chi è andato e chi andrà in pensione col metodo retributivo rispetto a quello contributivo; altrettanto vero è che chi è andato in pensione col metodo retributivo sta mantenendo in molti casi i giovani all'università.

ANTONIO DE NAPOLI, Portavoce del Forum Nazionale Giovani. Anche a casa!

MASSIMILIANO FEDRIGA. Va trovata, quindi, una soluzione, che non può prescindere da una logica fondamentale che purtroppo non è stata mantenuta nel passato. Abbiamo avuto, infatti, fenomeni di baby pensionati e simili, mentre il contributo che si versa deve essere proporzionale alla pensione che si riceverà. È chiaro che con l'aumento delle aspettative di vita il rischio è che le pensioni saranno veramente molto basse ed è altrettanto chiaro che la politica sulle pensioni complementari è fondamentale per garantire un futuro a chi da qui a venti o trenta anni andrà in pensione.

LUIGI BOBBA. Chiederei due approfondimenti. Da queste due cartelle - magari nella documentazione più ampia è individuato - sembra non esservi traccia del fenomeno, considerato uno dei più preoccupanti, dei cosiddetti Neet, ossia dei ragazzi che non studiano e non lavorano, sono sospesi tra una un mondo che non esiste e un altro che non sanno bene come trattare. Mi colpiva il fatto - nelle altre audizioni questo è stato uno dei punti cruciali, sia nella relazione di Giovannini, presidente dell'ISTAT, sia in altri incontri - che questo tema non sia presente nei dati che avete qui individuato.
La seconda domanda è la seguente: qui emergerebbe che un 30 per cento di giovani ha un lavoro con diverse forme, ma


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tutelato, a tempo indeterminato o a tempo determinato, con un livello di protezione medio-alta; un 40 per cento sono atipici; un 30 per cento lavorano, invece, in nero. Vorrei capire se siano possibili degli approfondimenti, soprattutto su questo 30,9 definito in «altro». Cosa rispondono dopo? Finisce lì oppure si capisce qualcosa di più di questa parte sommersa dell'iceberg?

MARIALUISA GNECCHI. Vi ringrazio, ovviamente, di essere venuti a quest'audizione. Non ho dubbi che il problema dei giovani sia quello di trovare lavoro e di trovarlo con un contratto che garantisca anche una copertura previdenziale.
Inoltre, siccome mi occupo di pensioni normalmente, penso che tutte queste forme di contratti mettano a rischio il possibile futuro pensionistico. Questo vale per gli stage, che non sarebbero un contratto (dovrebbero rappresentare un'esperienza formativa), ma che spesso purtroppo lo diventano, ma anche per la spinta alla partita IVA, quindi al lavoro autonomo, per cui si configura un 27 per cento di contribuzione totalmente a proprio carico. Ovviamente, trovare lavoro è già difficile; trovarlo da autonomi e che qualcuno paghi è ancora più difficile, figurarsi con un carico previdenziale elevato.
Penso, quindi, che sia utile che abbiate creato questo Forum Nazionale Giovani perché state sicuramente pagando una situazione di grande difficoltà. Credo, d'altronde, che dovreste forse anche un po' più occuparvi proprio del futuro pensionistico. Il rischio e la preoccupazione è che, siccome l'aspettativa di vita è sempre più lunga, ci si ritrovi con una pensione bassa.
L'onorevole Cazzola ed io abbiamo anche presentato una proposta di legge sulla totalizzazione, che parte dal riconoscimento di situazioni attuali, ma soprattutto tiene conto anche che con contribuzioni sempre più diverse, sempre più altalenanti, per usare un termine che non sottolinei anche l'elusione e l'evasione contributiva, è necessario mettere insieme tutti i contributi che nell'arco di una propria vita lavorativa si riesce ad accumulare affinché rendano una quota di pensione indipendentemente da dove siano stati versati.
La mia richiesta a voi, quindi, sarebbe, oltre ovviamente che occuparvi del lavoro e delle crisi occupazionali in termini di difficoltà di trovarne uno, anche di cercare di fare pressione sulla pensione complementare, come è stato detto, ma anche sulle forme di previdenza o su quelle nuove forme di previdenza che tengano conto anche della realtà che state sperimentando.

PRESIDENTE. Visto che le domande sono finite - ovviamente potranno essercene altre dopo le vostre risposte - ne rivolgo qualcuna io. La settimana scorsa ho partecipato a un seminario nel corso del quale sono stati illustrati alcuni dati di un'indagine dell'OCSE. Questi hanno, sostanzialmente, messo in discussione le convinzioni che avevo e credo quelle di tutti: emerge, infatti, che il primato negativo italiano è nel numero dei giovani inattivi.
Noi abbiamo un primato negativo probabilmente mondiale, cui faceva riferimento l'onorevole Bobba dei giovani che non studiano, non lavorano e non cercano neanche un lavoro, mentre la rappresentazione era che la precarietà non è un fenomeno solo italiano, ma esiste in altri Paesi, anche più solidi, più strutturati del nostro, peraltro anche in termini più consistenti.
Per esempio, a fronte di un dato che vede un 46,7 per cento dei giovani occupati in lavori temporanei, abbiamo un 57,2 per cento che riguarda i giovani tedeschi, un 55,2 per cento che riguarda i giovani francesi, un 57 per cento i giovani svedesi e un 52,7 per cento gli svizzeri.

MARIA GRAZIA GATTI. Noi, però, abbiamo il lavoro nero!

PRESIDENTE. Certo. Dicevo, infatti, che abbiamo questa condizione di inattività e di lavoro sommerso. L'impatto con


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le norme, però, con un accesso comunque regolato col mercato del lavoro, dimostra, in buona sostanza, che si tratta di un problema indubbiamente grave, ma che richiede una riflessione che va molto al di là delle politiche di un Paese. Si auspica, pertanto, la produzione di un effetto imitativo, come quello europeo a metà degli anni Ottanta, quando l'occupazione giovanile era bloccata e a cascata si inventò il contratto di formazione-lavoro, aprendosi la via a forme di flessibilità. Credo che oggi sarebbe opportuno valutare una strategia per uscire da una situazione che, dal punto di vista degli ordinamenti, non riguarda soltanto il nostro Paese.
Questo mi porta a chiedere la vostra opinione su una questione sulla quale anche l'onorevole Damiano avrebbe rivolto una domanda se fosse stato presente (ma è impegnato come capogruppo del PD nell'assistere i lavoratori di Termini Imerese venuti a Roma a manifestare per le loro note vicende occupazionali).
In Italia abbiamo un insieme di tipologie contrattuali. Io sostengo che queste tipologie, potrei dire quasi tutte, regolano situazioni specifiche che meritano di essere regolate in quel modo, come il lavoro a chiamata o i voucher. L'abuso di quelle tipologie non è una conseguenza del fatto che esistono, potrebbero esserci comunque: pensate che questa ricchezza, in termini neutri, di tipologie favorisca la precarietà e che una semplificazione, una potatura, che peraltro è sempre riuscita in maniera molto limitata anche da parte di Governi più orientati alla semplificazione, potrebbero alleviare il fenomeno della precarietà dei giovani?
Inoltre, anche il portavoce nella sua introduzione ha sollevato la questione della previdenza complementare, impraticabile per ragioni economiche, in buona sostanza, in quanto pensata per il lavoro dipendente. È conveniente, infatti, se ci sono i benefici fiscali, se c'è possibilità di usare il TFR, se c'è il vantaggio di usare il contributo del datore di lavoro; non è assolutamente conveniente per chi, peraltro, ha un reddito modesto e non riesce ad avvalersi di tutte queste misure compensative.
Ciò detto e concludendo, se andiamo indietro nella storia del mondo del lavoro, troviamo che la contrattazione collettiva è stata una conquista. Durante la Rivoluzione francese ci fu la legge Le Chapelier che, vedendo in esse un residuo del feudalesimo, in nome delle libertà individuali abolì le corporazioni.
Ecco, bisognerà pur trovare il modo anche nel nostro caso - ovviamente, il discorso non può poggiare solo su di voi - di avere forme di autotutela che affrontino e risolvano qualche problema, anche di protezione per queste figure entrate nel mercato del lavoro e che, probabilmente, sono destinate a convivere con questo mercato del lavoro anche nel futuro.
Da questo punto di vista, è chiaro che il discorso andrebbe fatto probabilmente ai vostri fratelli maggiori, le organizzazioni sindacali, ma credo che un problema di questo genere, quindi anche una forma di rappresentanza di questo genere, si potrebbe anche immaginare da parte vostra. Un film presentato anche a Venezia ha molto successo in queste settimane: un signore del nord-est con tanti pregiudizi sul lavoro degli immigrati si convince che, in realtà, è utile in quanto quando gli immigrati spariscono si vede come la società non va più avanti. Forse anche qualche elemento di shock andrebbe pensato da parte di chi organizza collettivamente i giovani.
Chiede di intervenire l'onorevole Gatti, alla quale do la parola.

MARIA GRAZIA GATTI. Mi scuso, ma non ho ascoltato l'introduzione e, siccome non sono «Nembo Kid», non riesco a leggere le pagine della documentazione contemporaneamente. Vorrei rivolgere comunque una domanda: che consapevolezza c'è nei giovani e che giudizio danno sul fatto di vivere in un Paese in cui esiste una proliferazione di lauree con cui non si riesce a trovare lavoro?
Rispetto ai dati OCSE siamo in un Paese che ha pochissimi laureati rispetto


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alla prospettiva, siamo sotto la media; rispetto a Europa 2020, l'obiettivo sarebbe avere il 40 per cento dei ragazzi tra i 19 e i 35 anni laureati e/o in corso di studi per la laurea, e in questo momento siamo al 19 per cento di laureati nella fascia d'età. Importiamo, invece, come diceva giustamente l'onorevole Cazzola nell'ultima fase, mano d'opera non qualificata, o almeno, anche se qualificata, la impegniamo per lavori non qualificati.
Penso che questo sia, da una parte, strettamente legato alla qualità del nostro apparato produttivo: quale è la percezione dei ragazzi a questo proposito? Esiste una consapevolezza? Pensano che forse dovrebbero studiare di meno o fare studi di tipo diverso, qualificarsi per lavori più manovali o simili?

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

ANTONIO DE NAPOLI, Portavoce del Forum Nazionale Giovani. Per quanto riguarda l'onorevole Fedriga, innanzitutto mi fa molto piacere che la questione degli stage possa interessare. L'onorevole chiedeva quale potesse essere una mediazione tra gli obiettivi che si pongono la pubblica amministrazione, un'impresa, la scuola di alta formazione per avere, mi corregga se sbaglio, uno standard, una valutazione complessiva e omogenea tra diverse esigenze. Anzitutto, noi definiamo il tutor «identificabile e reale punto di riferimento di supporto all'attività dello stage», per cui proponiamo una valorizzazione del tutor che attualmente è solo sulla carta. Si tratta di avere così una valutazione intermedia e finale. Sicuramente un elemento di stimolo - dato che, in ogni caso, lavoriamo per formarci, ma di certo non scartiamo una retribuzione economica - potrebbe essere rappresentato da una percentuale sul minimo salariale CCNL di riferimento su scala nazionale in base alle mansioni che svolge lo stagista. Questo permetterebbe forse, sempre su esigenze differenti, di fissare degli obiettivi comuni e, soprattutto, un metodo di valutazione che possa essere omogeneo, nella differenza ovviamente delle esigenze che può avere un'impresa rispetto a una pubblica amministrazione e viceversa.
Il fine dovrebbe essere sempre cercare di capire che cosa effettivamente questo stage deve offrire. Mi rendo conto che l'impresa ha un'esigenza differente dalla pubblica amministrazione, ma se si realizza una griglia con obiettivi da raggiungere, forse ci ritroveremo bene sia con l'impresa sia con la pubblica amministrazione.
Per quanto riguarda la formazione professionale, indubbiamente è vero che gli italiani di oggi - passatemi questo termine molto esemplificativo - rispetto agli italiani di seconda generazione disdegnano alcuni lavori. Ricordo un dibattito pubblico con un deputato in cui si riportava l'esempio di Milano (se ricordo bene, comunque si trattava della Lombardia), laddove su 1.000 posti di lavoro per panettieri, si erano ricevute circa 2.500 application, di cui il 90 per cento provenienti da persone non italiane di nascita. La risposta quasi istintiva fu che forse chi si laurea - ripeto che non dobbiamo guardare ai giovani italiani soltanto come laureati - ha un'aspettativa differente sul proprio futuro, senza nulla togliere alla manualità del panettiere.
La formazione professionale, come mi insegnate, è un tema che tocca in modo molto forte le regioni. Anche in questo caso crediamo che un'omogeneità maggiore tra sistemi di valutazione ex ante, durante ed ex post nella formazione professionale di diverse regioni possa essere utile, per lo meno per ottenere una fotografia. Esistono sicuramente degli strumenti, ma crediamo che possano essere potenziati.
Per quanto riguarda, invece, i suggerimenti dell'onorevole Bobba, purtroppo la risposta è molto semplice ed è nel campione di questa ricerca. Ripeto che si tratta di 1.402 questionari utili: il 41,4 per cento possiede un diploma di scuola superiore, il 18,9 una laurea triennale, il 15,8 una laurea specialistica, il 23 un diploma di scuola media superiore. Il 38,4 è costituito da studenti. La fascia degli inattivi o


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dei Neet non è, quindi, risultata dal campione. Questo deriva, tuttavia, da una nostra scelta iniziale del campione: una parte dei soggetti fa vita associativa e, come ho premesso in partenza, i luoghi di rilevazione sono piazze ad alta frequentazione di giovani. Non vorrei, quindi, banalizzare la ricerca ma, se mi passate l'espressione, ci è andata bene, poiché non emerge un dato devastante come quello dei Neet.
Relativamente al lavoro in nero, ci riferiamo soprattutto ai cosiddetti «lavoretti» che si fanno parallelamente all'esperienza universitaria, soprattutto da parte di studenti fuori sede, che molto spesso rappresentano uno dei pochi modi per arrotondare gli euro che ricevono dalla famiglia di origine.

PRESIDENTE. L'attività prevalente, quindi, è quella dello studio e poi ci sono alcune attività che si fanno per arrotondare, come diceva. Non si tratta di una scelta di vita, di una soluzione definitiva. Non avete trovato o censito persone che a un certo punto finiscono gli studi e cominciano un lavoro nell'economia sommersa.

ANTONIO DE NAPOLI, Portavoce del Forum Nazionale Giovani. La maggior parte proveniva da una parte di studenti.
Tengo a precisare che in molti casi il contratto a progetto - credo che ognuno di noi abbia conoscenti o amici con quest'esperienza - presentano una grado di dignità lavorativa molto basso, che, soprattutto, non rispecchia ciò che effettivamente stabilisce il contratto. Non si tratta, quindi, di lavoro al nero, ma sicuramente parliamo di mansioni e di sovraccarico di lavoro che il progetto non prevede. Siamo così in una fascia contrattuale che, al di là del nostro campione, in generale è rispettata e si muove sicuramente nell'ambito della legalità, ma vengono a crearsi situazioni riguardanti il rinnovo del contratto a progetto che credo noi tutti conosciamo. Non faccio riferimento a esperienze personali perché non penso che sia questa la sede, ma è sicuramente interessante analizzare alcuni di questi casi.
Circa l'esortazione dell'onorevole Gnecchi, l'obiettivo del Forum è questo: cercare innanzitutto di conoscere chi si occupa di questi temi a livello di organizzazioni giovanili perché si confrontino. Al di fuori di ogni retorica, la nostra esperienza dimostra che molte persone, del mondo del servizio civile, di quello dei giovani di partito, del sindacato e di tante altre categorie - termine orribile - non avrebbero mai potuto confrontarsi se non all'interno della nostra piattaforma. Non lo dico perché ne sono il presidente, ma perché sfido, in senso positivo, a provare il contrario: è un luogo di confronto, dove inevitabilmente su alcune cose si va d'accordo e su altre molto meno - se dovessimo parlare di bioetica, penso che il Forum non avrebbe motivo di esistere - ma su temi come questi c'è quell'interesse sano che cancella la provenienza partitica, culturale o confessionale per potersi confrontare realmente.
Quanto alle sollecitazioni dell'onorevole Cazzola, mi piace la sua ultima considerazione. Lei dice che servirebbe uno shock, qualcosa che possa effettivamente far capire che questa generazione o si autotutela o scompare. È senz'altro vero. Penso anche che molto spesso - lo dico sempre in spirito positivo e costruttivo - si rischia anche di essere deresponsabilizzanti in questo, e ribadisco che lo affermo con estremo rispetto delle istituzioni. Credo, infatti, profondamente negli organici che ci rappresentano, ma il nostro ruolo in questo momento - domani non si sa dove arriveremo - è proporre e, soprattutto, cercare di capire dove possiamo offrire il nostro contributo, in primis a Parlamento e Governo, sicuramente non per «fomentare» un senso di disagio molto forte.
In questo senso la tutela è necessaria, è uno degli obiettivi che ci poniamo nei nostri mille limiti come Forum Nazionale Giovani. A volte credo, però, che si rischi, a forza di svolgere questo ragionamento, di non arrivare davvero da nessuna parte, ma anzi di aumentare un disagio, sia nell'associazionismo giovanile sia in generale con i nostri coetanei, che poi sfocia in altre forme. Non vorrei fare catastrofismo,


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ma molti non si sentono rappresentati dalle associazioni giovanili e magari sono in piazza a scontrarsi con la polizia. Spero sia chiaro il senso di queste parole.
La previdenza complementare è una delle nostre campagne in quanto riscontriamo, purtroppo, che non c'è una conoscenza adeguata. Il discorso è molto ampio, si potrebbe tranquillamente dire che per alcune categorie non esistono fondi, quindi non esistono ancora opportunità per il dipendente. Noi cerchiamo di farle conoscere perché riteniamo che sia un'opportunità per i motivi che ci siamo già detti.
La consapevolezza dei pochi laureati purtroppo è un dato oggettivo. Nelle occasioni pubbliche abbiamo l'abitudine di non iniziare i nostri contributi con i tristi dati di OCSE, ISTAT e quant'altro perché purtroppo li conosciamo. A volte mi fanno sorridere le semestrali ISTAT quando si indica che siamo rimasti stabili: diversamente, saremmo caduti sempre più nel baratro. La stabilità del dato nasconde una realtà estremamente triste, ne siamo consapevoli. Se guardiamo ai dati della Spagna, che forse per motivi anche culturali può essere un buon punto di riferimento, abbiamo la metà, vado a memoria, della percentuale dei laureati e non mi sento di aggiungere altro.
Io cito sempre il dato di una ricerca condotta dal Ministero della gioventù, che parla di un 20 per cento di giovani attivo in un impegno civico o associativo e di un 80 per cento che è il Neet Neet dell'impegno giovanile. A me piace guardare a quel 20 per cento: sono convinto che, nonostante faccia molti sacrifici in questo momento, alla lunga emergerà e lo farà non emigrando.
Non abbiamo toccato, infatti, l'aspetto delle persone che vanno via, ma i dati sulle città di Londra e Barcellona dimostrano quanti under 35 italiani vadano sempre più progressivamente verso altre nazioni, come i gruisti per lavori molto più semplici, magari non corrispondenti al proprio sogno, ma che garantiscono un salario con cui permettersi una famiglia e comprare una casa.

PRESIDENTE. Chiede di intervenire per svolgere un'ulteriore considerazione l'onorevole Fedriga, al quale do la parola.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Presidente, lei riesce sempre a stimolare il mio interesse per il lavoratore straniero nel nostro Paese, e quindi mi viene istintivo rispondere. Il mio stimolo per i gruisti non è stato determinato dalla considerazione a priori che un lavoratore del nostro Paese non vuole fare il gruista: il problema è che non esiste un servizio di orientamento e formazione che parta già dalle scuole medie o superiori perché si trovino delle fattispecie di lavoratori che coprano quel ruolo. Si tratta, quindi, sì di un problema di salario, ma in molti casi anche di orientamento e formazione.
Quando si parla, invece, di problema di salario, è chiaro e sono convinto che i nostri giovani non possono permettersi, e non perché siano viziati, di svolgere certi tipi di lavori con determinati stipendi perché questo significherebbe negarsi qualsiasi tipo di futuro. Non a caso i dati che abbiamo sentito la scorsa settimana da Assolavoro, che hanno sorpreso anche l'onorevole Cazzola, ci mostrano come la percentuale di cittadini del nostro Paese sia molto elevata quando riescono ad avere una formazione e un orientamento adeguati anche in quei lavori tecnici, anche se non richiedenti alti profili, richiesti dal mondo del lavoro.
È chiaro, quindi, che ci sono tre aspetti da coniugare: orientamento, formazione e salario. È, dunque, altrettanto chiaro che ciò che stupisce è che, sulla richiesta di gruisti per 2.500 euro al mese, non abbiamo nessuno preparato, formato e orientato per svolgere quel determinato lavoro. Credo sia semplice e molto più comodo dire che non svolgono il lavoro di gruista perché vogliono stare in un ufficio: in realtà, non fanno i gruisti perché non hanno formazione e orientamento necessari per svolgere quel lavoro.
Ritengo, inoltre, che non si possa negare che esiste un problema culturale del nostro Paese di cui in primo luogo devono farsi carico la politica e il Governo. Noi


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non possiamo risolvere il problema affermando che gli italiani non voglio svolgere determinati lavori. Se ciò fosse vero, sarebbe nostro compito porci il problema del perché e cercare di ampliare la platea dei nostri cittadini che possono svolgere quel lavoro, peraltro dignitoso esattamente come quello di un laureato e che molte volte è remunerato in maniera superiore a quella di un laureato.
Non possiamo, quindi, sostenere che dobbiamo importare manodopera straniera e lasciare i giovani laureati per strada perché non riusciamo a offrire loro il lavoro per il quale hanno studiato: dobbiamo porci il problema e indirizzare i nostri giovani a percorsi che possano coprire tutto l'arco lavorativo. Non possiamo permetterci il lusso di lasciare gente per strada.
L'alternativa non è che tutti i giovani del nostro Paese siano impiegati in mansioni di alto profilo e poi abbiamo gli immigrati a svolgere lavori di basso profilo. Il punto è che i nostri giovani rimangono disoccupati e copriamo quel lavoro con manodopera importata. Credo che non sia una politica lungimirante per un Paese in cui i tassi di disoccupazione giovanile sono così alti.

ANTONIO DE NAPOLI, Portavoce del Forum Nazionale Giovani. L'orientamento dalla scuola superiore all'università e dall'università al mondo del lavoro era uno dei punti che non ho toccato nei miei appunti, ma sono completamente d'accordo: un orientamento bene organizzato, non la fiera, a Roma o a Verona, dove ci sono tutte le nostre università, soprattutto quelle non statali - parliamoci chiaro - che fanno il bello stand, è sicuramente un elemento da cui non possiamo prescindere, altrimenti - ammetto la colpa dei bamboccioni - ci affidiamo all'orientamento di mamma e papà.

ANTONIO MEATTINI, Segretario generale del Forum Nazionale Giovani. Mi permetto semplicemente di porre un'osservazione in linea con questo suo discorso. Il problema dell'orientamento è molto importante perché la formazione, tanto a livello delle scuole medie superiori quanto a livello universitario, molte volte non corrisponde all'informazione, quindi la formazione a livello universitario molte volte significa semplicemente formazione accademica e non preparazione a sostenere, ad esempio, un concorso.
Nell'Europa a 27, ad esempio, ci sono 85 milioni di giovani all'interno di realtà accademiche formative che spesso sono introdotti anche a sostenere i concorsi istituiti a livello dell'Unione europea, dove sono previsti, tra l'altro, i casi studio, le soluzioni del problema, tra gli elementi fondamentali per superare un concorso nelle carriere internazionali. Questo è un elemento che nell'ambito delle università italiane non è assolutamente affrontato.
Spesso i professori si limitano semplicemente a fornire la formazione accademica rimanendo nell'ambito e nel limite della materia, senza offrire, ad esempio, una serie di informazioni sulle possibilità lavorative di un determinato campo.
Non a caso tante carriere internazionali sono disattese dai giovani laureati italiani e, qualora si trovino di fronte ai concorsi stabiliti dall'Unione europea, il più delle volte non hanno la formazione e la capacità per superare quel concorso.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,05.

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