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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XI
3.
Martedì 10 novembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Moffa Silvano, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SU TALUNI FENOMENI DEL MERCATO DEL LAVORO (LAVORO NERO, CAPORALATO E SFRUTTAMENTO DELLA MANODOPERA STRANIERA)

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro:

Moffa Silvano, Presidente ... 2 6 8 10
Bellanova Teresa (PD) ... 6
Codurelli Lucia (PD) ... 6
D'Angelo Giuseppe, Rappresentante del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro ... 3 6 10
Damiano Cesare (PD) ... 7
Panzetta Pietro, Rappresentante del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro ... 2 8 10
Pizzuti Paolo, Rappresentante del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro ... 4
Poli Nedo Lorenzo (UdC) ... 7

ALLEGATO: Documentazione prodotta dai rappresentanti del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 10 novembre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SILVANO MOFFA

La seduta comincia alle 11,40.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su taluni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera), l'audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro.
Sono presenti, e li ringrazio, il dottor Pietro Panzetta, tesoriere, il dottor Giuseppe D'Angelo, consigliere, e il dottor Paolo Pizzuti della Fondazione studi consulenti del lavoro.
Avverto che i rappresentanti del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro hanno consegnato una documentazione, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Do subito loro la parola.

PIETRO PANZETTA, Rappresentante del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. Signor presidente, vi ringrazio della vostra attenzione verso la nostra categoria e della volontà di ascoltarci su un tema che indubbiamente è uno dei più importanti, che ci trasciniamo dietro da tantissimo tempo. Sicuramente l'impegno della categoria non è mai mancato al fine di migliorare sempre più la situazione del lavoro regolare, a danno ovviamente dei fenomeni di lavoro illegale.
Innanzitutto, voglio portare il saluto della nostra presidente, Marina Calderone, alla presidenza e a tutti i componenti della Commissione.
Abbiamo prodotto un lavoro nel quale abbiamo voluto analizzare in primis le criticità, quindi ci permettiamo in questa sede di dare il nostro contributo per orientare eventualmente le valutazioni e le analisi che questa Commissione dovrà fare sull'argomento.
È un lavoro che è stato realizzato di concerto con la Fondazione studi dei consulenti del lavoro, in primis coordinato dal collega Giuseppe D'Angelo, componente della Commissione lavoro del Consiglio nazionale, a cui lascerò la parola affinché ne illustri i contenuti, e dal dottor Paolo Pizzuti, che ha supportato tecnicamente il lavoro, in particolar modo per gli aspetti del caporalato, al cui riguardo interverrà in seguito. Cercheremo di portare il nostro contributo, anche dialettico, al fine di trovare insieme possibili soluzioni migliorative del mondo del lavoro, in particolar modo riferendoci alla pressione contributiva e fiscale che, come sappiamo, rappresenta uno dei nodi che danneggiano il mondo del lavoro legale e regolare.


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Lascio la parola al collega Giuseppe D'Angelo affinché introduca il lavoro svolto insieme alla Fondazione studi dei consulenti del lavoro.

GIUSEPPE D'ANGELO, Rappresentante del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. Signor presidente, il fenomeno del lavoro nero è molto preoccupante nel nostro Paese, ma crediamo - come abbiamo già detto nel nostro precedente lavoro sul precariato, circa un paio d'anni fa - che uno dei motivi più importanti sia la pressione contributiva. Su questo non ci sono dubbi.
Le imprese sono molto pressate, da questo punto di vista, e sicuramente una riduzione contributiva generalizzata sarebbe senz'altro un primo passo in prospettiva di un contrasto al lavoro nero. Tenendo conto anche delle esperienze decennali dei vari Governi che si sono succeduti e delle varie incentivazioni alle assunzioni - ricordo, ad esempio, i contratti di formazione e lavoro, la legge n. 407 del 1990 (sono state moltissime le agevolazioni alle assunzioni delle imprese) - si è assistito puntualmente ad un utilizzo molte volte anche improprio di queste stesse agevolazioni da parte di molte imprese. L'agevolazione contributiva ha dato la sponda a situazioni non del tutto regolari. Lo abbiamo visto in talune zone della nostra penisola, dove effettivamente non c'è un'adeguata percezione della legalità.
Questi strumenti hanno forse aiutato leggermente l'occupazione in alcune zone d'Italia, ma hanno anche favorito il mancato versamento dei contributi all'INPS per molti decenni. La soluzione più corretta - riporto lo stesso concetto di due anni fa - sarebbe, quindi, una riduzione generalizzata della pressione contributiva.
L'altro aspetto che dobbiamo sicuramente analizzare è la semplificazione amministrativa, sulla quale, tra l'altro, questo Governo ha già cominciato a intraprendere una strada. Non solo questo Governo, ma anche il precedente, per ciò che ricordo a memoria, ha iniziato un percorso di semplificazione amministrativa, che senz'altro potrebbe aiutare le imprese nell'assunzione dei lavoratori dipendenti e anche nella loro gestione. Su questo, evidentemente, sarà necessaria anche una campagna di informazione nei confronti delle imprese, rispetto alle opportunità, sia da un punto di vista di semplificazione amministrativa, sia da un punto di vista di gestione delle pratiche amministrative in materia di lavoro.
Al riguardo, sicuramente la nostra categoria potrebbe essere ben propensa ad aiutare il Governo, sia relativamente a campagne di informazione, sia in merito a possibili soluzioni per una maggiore e più puntuale informazione alle imprese.
Quali sono le possibilità di far emergere il sommerso? Al riguardo, devo svolgere alcune riflessioni. L'apparato sanzionatorio che è stato introdotto rispetto alla lotta al sommerso è abbastanza efficace, ma presenta evidentemente alcune criticità. Fra queste, la più rilevante è la sperequazione che si crea rispetto a talune situazioni di lavoro sommerso. In altre parole, non viene regolamentato in maniera abbastanza chiara il cosiddetto «grigio», ossia il lavoratore non del tutto in nero ma che, magari, è irregolare per qualche giorno oppure lo è parzialmente. Alcune situazioni, dunque, andrebbero diversificare nell'apparato sanzionatorio.
Cito un esempio banalissimo: un'impresa che, magari, assume il lavoratore con qualche giorno di ritardo, subisce la stessa sanzione irrogata all'impresa che assume un lavoratore completamente in nero. Abbiamo potuto constatare che, comunque, nel disegno di legge C. 1441-quater (se non ricordo male), approvato dalla Camera e in corso di esame al Senato, è già previsto uno stemperamento delle sanzioni, da 150 a 30 euro al giorno. Questo è già un segnale abbastanza positivo rispetto a una perequazione nell'applicazione delle sanzioni amministrative.
Per far emergere i lavoratori in nero si potrebbero incentivare le assunzioni con bonus riferiti a ogni nuova assunzione a tempo indeterminato o, comunque, in alternativa, si potrebbero prevedere riduzioni


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generalizzate dei contributi che, secondo noi, è l'aspetto più importante.
Inoltre, si propone la detassazione e la defiscalizzazione contributiva nell'ambito delle ore di straordinario effettuate nel 50 per cento dei limiti legali. Un altro aspetto ricorrente cui si assiste è l'erogazione di compensi al nero dalle imprese per tutte le ore che vengono lavorate oltre alle quaranta. Ciò nell'interesse dello stesso lavoratore, che subisce anch'egli una rilevante pressione fiscale e contributiva. Basti pensare che il lavoratore ha una ritenuta sui contributi del 10 per cento circa, che non è poco. Anche questo è un aspetto che sicuramente incentiva il lavoro nero, perché è interesse reciproco, sia del datore di lavoro sia del lavoratore, non far figurare la retribuzione al di sopra delle quaranta ore settimanali.
Si ipotizzava anche la defiscalizzazione di una quota dei contributi inversamente variabile all'aumentare della retribuzione annua corrisposta, oltre i limiti contrattualmente previsti determinati mediante contrattazione di secondo livello. Anche se già esistono, attualmente, delle forme di detassazione, le riteniamo evidentemente non del tutto sufficienti da questo punto di vista.
L'abbassamento dei contributi o l'inserimento di queste forme di incentivazione - se si allarga la platea dei contribuenti - non comporterà un forte onere aggiuntivo per la finanza pubblica.
Su questo aspetto, sicuramente la nostra Fondazione, ma anche il Consiglio nazionale, potranno dare il massimo apporto anche sul monitoraggio e sugli effetti delle nuove normative, nel momento in cui vengono introdotte.
Ricordo il lavoro che abbiamo realizzato sul precariato, nel quale abbiamo parlato di lavoro accessorio, che evidentemente era un aspetto che poteva essere reintrodotto.
Rispetto al lavoro a chiamata, ad esempio, riteniamo che debba essere maggiormente agevolato dal punto di vista procedurale. Allo stesso modo, per quanto riguarda il lavoro degli stranieri, i permessi di soggiorno e le pratiche burocratiche dovrebbero essere maggiormente snellite.
Se ho dimenticato qualcosa, il mio collega Panzetta può ricordarmelo, ma adesso - se il presidente lo consente - lascerei la parola, per l'aspetto del caporalato, all'avvocato Pizzuti, che ha curato il lavoro in prima persona.

PAOLO PIZZUTI, Rappresentante del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. Signor presidente, intervengo solo su alcuni aspetti fondamentali, rinviando alla lettura del documento che mettiamo a disposizione della Commissione.
Puntualizzerò, dunque, solo gli aspetti più incisivi. Quello del caporalato è un fenomeno che, nonostante la normativa sia intervenuta in materia anche in modo efficace, è ancora molto diffuso, stando all'esperienza sul territorio, anche professionale.
Succede molto spesso che nel mondo dei servizi, soprattutto alcuni servizi - pulizie, supermercati, e tante altre realtà simili, non proprio piccole - alcune attività vengono svolte in regime di pseudo-appalto, ossia di appalto un po' borderline. Alcuni aspetti, effettivamente, come opere o servizi, vengono richiesti agli appaltatori, mentre altri sono mera fornitura di manodopera.
Questo è un problema ancora molto diffuso nel nostro sistema. I vantaggi per il committente sono evidenti: egli non assume la manodopera, quindi il prezzo della stessa è inferiore; inoltre, non si preoccupa del destino della manodopera, perché essa è assunta dall'interposto, quindi dall'appaltatore.
Ultimamente, gli interventi legislativi in materia di solidarietà fra committente e appaltatore sono stati incisivi e hanno dato sicuramente fastidio a questi soggetti. Lo dico perché anche nel mio lavoro professionale, quando mi trovo a consigliare questi soggetti, mi rendo conto che sicuramente la legge ha posto il problema, dunque tali disposizioni sono state efficaci.
I committenti cominciano a controllare con chi hanno a che fare, in quanto sono responsabili solidali, soprattutto sul piano


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contributivo. All'arrivo delle prime ispezioni, i committenti pensavano di non essere coinvolti, non sapendo di avere la responsabilità solidale sulla parte contributiva, ma hanno successivamente appreso, rivolgendosi ai loro consulenti, di essere responsabili. Da quel momento, si è cominciato a comprendere la necessità di rivolgersi ad appaltatori affidabili. Peraltro, è stato previsto il documento unico sulla regolarità contributiva, nell'ambito di una disposizione, che possiamo definire virtuosa.
Ugualmente virtuoso, in questo ambito, è stato il discorso del lavoro a progetto, sebbene criticatissimo, e per certi aspetti anche a ragione. Tuttavia, una volta questo sistema di somministrazione di manodopera veniva realizzato addirittura con contratti autonomi a progetto (gli ex cococo). Adesso, fare un discorso di somministrazione di manodopera con il lavoratore autonomo a progetto è diventato molto più difficile, in virtù della norma del 2003 e anche dell'orientamento amministrativo e giurisprudenziale che, sul punto, comunque ha dato un segnale di rigore.
Il problema, però, non è superato. Quali sono, allora, le idee che il Consiglio nazionale e la Fondazione studi vogliono segnalare? In primo luogo, la disciplina in materia di somministrazione regolare appare troppo rigida. Quando fu introdotto, nel 1997, il lavoro interinale e anche nel 2003, con il decreto legislativo n. 276, chi l'ha criticata ha detto che si trattava di una disciplina calibrata sulle grosse imprese, addirittura sulle multinazionali. Per poter fare l'agenzia di somministrazione sono previsti dei requisiti strutturali molto penetranti: parlo del capitale versato, delle sedi che devono essere dislocate sul territorio e via discorrendo.
La prima idea, dunque, per cercare di aumentare l'offerta di somministrazione regolare è quella di alleggerire il carico burocratico e formale in capo all'agenzia di somministrazione, permettendo di svolgere questo compito anche a soggetti territoriali, che non devono stare in varie regioni, che non devono avere un capitale così elevato, insomma soggetti affidabili, controllati, con degli amministratori che non abbiano dei precedenti penali, che versino un capitale, ma senza requisiti così rigidi.
In questo modo si potrebbe aumentare la concorrenza, incrementare il numero dei soggetti che offrono il lavoro somministrato e abbassare i prezzi - gli imprenditori con i prezzi attuali non si fanno avanti poiché, spesso, vogliono risparmiare (quindi, se il lavoro somministrato costa tanto, non si riesce a sconfiggere il lavoro in nero) - creando, pertanto, un circolo virtuoso.
La seconda idea, più incisiva e, da un punto di vista civilistico, un po' rivoluzionaria (a noi sembra l'uovo di Colombo), è quella di colpire i caporali, proprio laddove ancora riescono a creare degli schermi formali. Il caporale, infatti, crea un soggetto giuridico - spesso una cooperativa, in ogni caso una società - che esercita la somministrazione irregolare, lo pseudo appalto; di solito, il rappresentante legale di tale organismo non è il caporale, che dispone di beni, ma un soggetto preposto, come si dice in gergo, una «testa di legno». In tale sistema, dunque, il soggetto giuridico viene creato e poi estinto, spesso con una ciclicità periodica ad hoc, perché dopo un anno non si può più ricorrere al fallimento. Si tratta di un intero meccanismo creato ad arte per deresponsabilizzare il caporale. È difficile colpire, in questo caso, perché lo schermo della persona giuridica, nel nostro ordinamento, è molto forte: è possibile superarlo solo in caso di fallimento, di bancarotta, nel sistema penalistico, verificando l'amministratore di fatto, mentre nel sistema civilistico la responsabilità è del soggetto giuridico, quindi della società che, però, ovviamente non dispone di beni, tanto che anche l'INPS, al momento di recuperare i contributi, non trova nulla.
Si potrebbe immaginare, pertanto, con una riforma, nel caso di accertata somministrazione irregolare, di individuare la responsabilità civile, con tutto il patrimonio, del soggetto che ha esercitato di fatto l'amministrazione della società coinvolta. Dal punto di vista civilistico, si tratta di


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una proposta rivoluzionaria, perché supera lo schermo della persona giuridica, ma il legislatore può fare tutto, salvi i limiti costituzionali.
Si tratterebbe di una soluzione definitiva, perché, chiaramente, sarebbe facile individuare chi, di fatto, ha esercitato la somministrazione: i lavoratori sanno chi dà le buste paga, a chi devono rivolgersi quando c'è un problema e il committente sa con chi ha trattato e stabilito il prezzo. L'amministratore di fatto o caporale, in sostanza, è ben noto, mentre il legale rappresentante è un soggetto che non appare mai.

GIUSEPPE D'ANGELO, Rappresentante del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. Presidente, vorrei soffermarmi su un elemento che abbiamo tralasciato, ma che invece va sottolineato (comunque, viene indicato nel nostro documento). Un ulteriore aspetto - anche se non determinante - che potrebbe incidere nell'ambito delle attività di contrasto al lavoro nero riguarda una eventuale modifica del decreto legislativo n. 368 del 2001, sul contratto a tempo determinato. Infatti, la norma che prevede la stabilizzazione del rapporto di lavoro in caso di reiterati contratti a tempo determinato nell'arco dei trentasei mesi dovrebbe escludersi per le imprese al di sotto di un certo limite dimensionale (come sappiamo tutti, l'economia italiana è fondata sulle piccolissime, piccole e medie imprese). Le aziende di minore entità, infatti, magari preferiscono assumere il lavoratore in nero anziché incorrere nella trappola della stabilizzazione dopo trentasei mesi.
Un altro aspetto da considerare, non disciplinato dal decreto legislativo n. 368, riguarda l'esclusione dalla stabilizzazione dei contratti a tempo determinato nei casi di sostituzione di lavoratori, in maternità o malattia, aventi diritto alla conservazione del posto. In tal caso, infatti, non si può prevedere la trasformazione di un rapporto di lavoro limitato nel tempo; se, invece, si stabilizzasse il sostituto, verrebbe meno anche un certo turn over a livello occupazionale.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

TERESA BELLANOVA. Signor presidente, volevo chiedere agli auditi se il ragionamento da loro svolto ci può portare a trarre la conclusione che nel nostro Paese i gravi fenomeni del lavoro nero, del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori stranieri derivano dall'esigenza di non incappare nella trappola del lavoro a tempo indeterminato.
Io ho ascoltato le vostre considerazioni - in seguito leggerò attentamente, con i colleghi, il documento da voi presentato - e ho colto una vostra riflessione su tutta la legislazione che riguarda il rapporto di lavoro. Noi siamo impegnati in un'indagine conoscitiva un po' più circoscritta, ossia il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori stranieri, degli immigrati, di quelle persone che vengono impiegate durante le grandi campagne di raccolta, nelle zone dove - come diceva uno dei rappresentanti - non c'è una grande percezione della legalità.
Penso, tuttavia, anche ai tanti lavoratori edili che vengono caricati sui pulmini persino in quelle zone dove c'è una grande percezione della legalità: per esempio, nell'area del bergamasco, di Como e via dicendo.
Voi, che avete a che fare con le imprese reali, che utilizzano il lavoro in chiaro, grigio e nero, ma anche con coloro che sottopongono i lavoratori a vere e proprie condizioni di schiavitù, ci potete aiutare a capire le aree interessate e la quantità di individui sottoposti a queste pratiche di lavoro?

PRESIDENTE. Voglio soltanto precisare che la nostra indagine conoscitiva, pur guardando con particolare attenzione al rilevante fenomeno del caporalato e dell'impiego di manodopera immigrata - persegue interessi di più ampio raggio.

LUCIA CODURELLI. Intervengo proprio a sostegno di quanto diceva l'onorevole Bellanova. Sono venuti allo scoperto


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dei casi - purtroppo anche con morti sul lavoro, per i quali ancora oggi non si riesce a capire a chi addebitare la responsabilità - nel profondo nord, non nel profondo sud: sappiamo che da Milano e dintorni i lavoratori partono per arrivare nel bergamasco da lei citato e altrove, soprattutto per lavorare nell'edilizia. Da noi, ma non solo, si tratta di un fenomeno preoccupante.
Questo, dunque, è un problema radicato che non possiamo ignorare, che se ha dimensioni macro altrove, comunque è presente anche da noi. Ricordo che un ragazzo due anni fa è morto in un cantiere, ma ancora oggi non si è riusciti a individuare le responsabilità. Dobbiamo assolutamente riuscire, quindi, a capire un po' meglio il problema, fotografando tutto il nostro territorio.

NEDO LORENZO POLI. Signor presidente anch'io sono consulente del lavoro, e vorrei soffermarmi sulla questione del contratto a tempo determinato per le persone in sostituzione. Il problema va considerato: non ritengo giusto applicare in questi casi la disposizione relativa ai trentasei mesi, perché danneggia effettivamente l'azienda e il lavoratore che è assente per maternità o per altri problemi familiari. Al riguardo, forse è il caso di definire un provvedimento in sede parlamentare.
Per quanto riguarda il resto, credo che questo Paese si debba dare un metodo di lavoro diverso da quello adottato sino ad ora. Va bene la riduzione della pressione contributiva, ma non può essere finalizzata a eliminare il lavoro nero: esso non deve esistere! Noi, che siamo gli addetti ai lavori e quanti si occupano dei controlli, quindi, dobbiamo fare in modo che sul lavoro nero non si effettuino sconti né eccezioni di sorta; nello svolgere la nostra attività dobbiamo ribadire che questo non è concepibile. Imporrei, al riguardo, sanzioni ancora maggiori, perché sia che i lavoratori in nero siano extracomunitari sia che siano italiani, sono comunque irregolari. Il lavoro nero non deve sussistere: se un'azienda non è in grado di ottemperare al costo del lavoro, vuol dire che non può operare sul mercato. La nostra azione, come quella degli organi preposti al controllo, deve dimostrare che non si ammettono eccezioni in proposito.
Essere rigidi è l'unica soluzione perché non è giusto che, ancora oggi, in una nazione come la nostra, si debbano rincorrere persone sfruttate per il lavoro nero, con tutte le situazioni che conosciamo (come il caso di chi viene regolarizzato dopo tre giorni di lavoro). Se la comunicazione dell'assunzione, grazie al provvedimento del Ministro Damiano, deve avvenire il giorno precedente a quello di inizio dell'attività del lavoratore, non si può effettuarla dopo tre o quattro giorni.
Mentre in presenza di errori formali, dobbiamo cercare di comprendere, sul lavoro nero non possiamo scherzare e dobbiamo imporre il rispetto delle regole. Credo, pertanto, che dovremmo impegnarci tutti ad essere rigidi al 100 per cento, senza compiere alcuna eccezione, affinché si possa parlare di riduzione dei contributi solo al fine di incentivare alcune categorie (magari giovani e persone prive di lavoro).
In sostanza, sul lavoro nero non credo che dobbiamo fare altro se non combatterlo, ognuno secondo il proprio ruolo.

CESARE DAMIANO. Queste audizioni sono importanti perché si concentrano sul fenomeno del lavoro nero, sul quale abbiamo voluto fare un approfondimento.
Dato che voi, in qualità di consulenti del lavoro, avete una percezione della realtà delle imprese, soprattutto delle piccole e medie - capisco che la mia domanda possa risultare un po' «astratta» - vi chiedo se, nella situazione di crisi attuale, abbiate la sensazione di un allargamento o di un ridimensionamento dell'utilizzo del lavoro nero.
Vorrei sapere, in sostanza, se c'è il rischio che esso venga visto come una sorta di ammortizzatore sociale improprio, rispetto alla situazione di grave crisi che affligge le imprese di tutte le dimensioni. Essenzialmente, avete la percezione di un aumento dei fenomeni elusivi?


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Nel 2006, inoltre, avevamo introdotto nel primo pacchetto sicurezza una norma che sospendeva l'attività di un'impresa - in un primo tempo nei cantieri dell'edilizia, poi l'ambito di applicazione del provvedimento venne esteso a tutte le attività produttive - nel caso in cui gli ispettori del lavoro vi scoprissero almeno il 20 per cento dei lavoratori al nero. Ricordo che quella clausola ha portato, nei diciotto mesi del Governo Prodi, alla sospensione di circa 5000 aziende, che io monitoravo costantemente, e all'emersione, secondo i dati dell'INAIL, di 220.000 lavoratori dell'edilizia, il 55 per cento dei quali stranieri, di cui il 60 per cento romeni. Vi risulta che le statistiche, i monitoraggi e i controlli in applicazione di quella norma siano continuati e che ci siano esiti ulteriori nell'emersione del lavoro nero, non solo nel settore dell'edilizia?

PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai nostri ospiti per la replica, anche io vorrei svolgere una piccola considerazione e porre una domanda. Voi avete correttamente sottoposto alla nostra attenzione la necessità di intervenire su vari livelli per contenere e combattere il fenomeno del lavoro nero. Avete parlato, ovviamente, del problema di pressione contributiva che incombe sulle imprese, sottolineando alcuni aspetti critici dell'apparato sanzionatorio e invocando la semplificazione amministrativa. Si tratta di questioni sulle quali i Governi, incluso l'attuale, sono intervenuti.
Il nostro lavoro avrà un significato e una funzione effettiva se noi riusciremo, anche nel quadro di queste proposte condivisibili, a inquadrare correttamente il fenomeno, a capire i cambiamenti determinatisi nel corso del tempo, anche per la modifica dei processi produttivi e per l'incombenza e il giungere di una crisi molto forte (ha molto senso, al riguardo, la domanda posta poc'anzi dal collega Damiano).
Da voi, in qualità di consulenti del lavoro, mi aspetterei una radiografia un po' più puntuale - vedremo se il documento ci potrà fornire indicazioni in questo senso - perché non tutte le imprese, evidentemente, sono in regola, se esiste questo fenomeno. Se me lo consente l'onorevole Damiano, vorrei effettuare una precisazione: non credo che dovremmo avere tanto da voi - esperti della regolamentazione di questa materia e supporto formidabile per le imprese - un elemento di percezione - in qualche misura la possiamo riscontrare un po' tutti rispetto a fenomeni ricorrenti, basta avere un appalto edilizio sotto casa per vedere quello che avviene al riguardo - quanto una quantificazione del fenomeno nelle sue diverse sfaccettature. Vi chiedo, pertanto, se avete un'anagrafe che ci consenta, sostanzialmente, di inquadrare il fenomeno correttamente e di far discendere, poi, tutti i correttivi, che sono già stati proposti (a partire dal decreto legislativo n. 368/2001, sul quale - come suggeriva il collega Poli - dovremo ovviamente tornare). Mi domando - visto che siete dotati anche di un centro studi - se avete una documentazione di questa natura che possa aiutare maggiormente la Commissione, rispetto all'obiettivo che ci siamo posti.
Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

PIETRO PANZETTA, Rappresentante del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. Signor presidente, ringrazio gli onorevoli per aver posto delle domande che sicuramente ci consentono di apportare un ulteriore contributo.
Per rispondere subito al presidente, come Fondazione studi noi abbiamo una visione d'insieme di ciò che accade nel mondo del lavoro e delle aziende che amministriamo. Quanto detto, peraltro, ci porta a ribadire anche l'affermazione dell'onorevole Poli, ossia che noi gestiamo e amministriamo le imprese con lavoro regolare. C'è una verità, tuttavia, che risponde all'interrogativo dell'onorevole Damiano: da quando siamo entrati in questo momento di crisi non v'è dubbio che le forze lavoro, soprattutto in alcune realtà, sono diminuite. Questo è un fenomeno che abbiamo riscontrato, monitorato e di cui abbiamo le evidenze oggettive. Le modalità


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di gestione del problema all'interno delle singole aziende, poi, dipendono dal tessuto in cui le stesse operano. In alcune realtà, infatti, il caporalato non esiste affatto, mentre attraverso i media veniamo a conoscenza del fatto che in altre il fenomeno c'è ed è grave, perché si hanno riscontri oggettivi; ad esempio, accadono infortuni nei cantieri a danno di personale, ovviamente, non in regola e soprattutto, in alcune circostanze, extracomunitario.
Tali valutazioni e analisi ci portano a sostenere l'esistenza del caporalato, tant'è che nel nostro documento affermiamo di ritenere opportuna e utile l'eventualità che i consulenti del lavoro, come categoria professionale, restino a disposizione di questa Commissione per costituire una commissione tecnica, al fine di operare congiuntamente e realizzare la mappatura reale di quanto accade.
A tal fine, avremmo bisogno di conoscere appieno il mondo ispettivo; evidentemente, siamo in contatto con esso grazie alle relazioni più immediate con i dirigenti di categoria, ma credo che questo non sia sufficiente: è necessario che i 23.000 consulenti del lavoro si rapportino con questa Commissione attraverso la Fondazione studi per giungere alla definizione di un monitoraggio concreto del fenomeno del lavoro nero e, in particolar modo, del caporalato.
Leggendo il documento che abbiamo consegnato, vi accorgerete di un piccolo elemento, che per noi ovviamente è significativo, fatte salve le considerazioni del dottor Pizzuti. Noi riteniamo che la gestione della somministrazione di manodopera non possa essere delegata a chiunque, ma solo a persone dotate di una funzione «pubblica» che, all'interno di questi organismi, a nostro parere può essere svolta soltanto dai consulenti del lavoro, quand'anche dagli altri professionisti di cui alla legge n. 12 del 1979. Credo che già questo aiuterebbe a compiere dei passi in avanti verso una normalizzazione del mondo del lavoro che, fino a oggi, evidentemente, in questo Paese presenta tutte le mancanze evidenziate dall'onorevole Poli.
Sarebbe importante, dunque, avere la possibilità di interfacciare dei professionisti che garantiscano che non si tratta di caporalato, ma di prestazione d'opera reale e che, quindi, non si verifica alcuna forma di elusione o di evasione contributiva e fiscale da parte di quei soggetti in rapporto con le altre imprese, ma anche con la stessa pubblica amministrazione. Qualche settimana fa, al riguardo, abbiamo letto della presenza negli appalti pubblici, sfortunatamente, di queste situazioni. Si tratta di un malessere che, senza dubbio, danneggia l'Italia: è in questa ottica che i consulenti del lavoro hanno sempre operato, credendo in un impegno etico che tenga conto anche degli aspetti della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Onorevole Damiano, i controlli in materia di sicurezza si continuano a effettuare, per quanto, evidentemente, i consulenti del lavoro non sono immediatamente a conoscenza degli sviluppi successivi all'ispezione, se non per sommi capi o grazie alle informazioni eventualmente fornite dai dirigenti di categoria, in termini poco rappresentativi rispetto a un fenomeno più generale. Con l'istituzione di una commissione congiunta, viceversa, potremmo realmente avere la possibilità di costruire questa mappatura del mondo del lavoro e, aggiungerei, del mondo del lavoro sicuro.
Relativamente alla domanda dell'onorevole Bellanova, evidentemente ho già risposto in forma indiretta. Sappiamo, infatti, che il fenomeno del caporalato è diffuso a macchia di leopardo perché, secondo le informazioni della Fondazione studi, alcune zone ne sono interessate in maniera molto diffusa, mentre in altre esso è quasi totalmente inesistente. Mi riferisco, per esempio, all'Italia centrale, dove tale problema, ringraziando Iddio, è poco presente - almeno dalle informazioni in nostro possesso - mentre nel nord est e in Lombardia esso è sicuramente molto più evidente, come in alcune zone del sud, se non in tutto il meridione, dove, a causa dell'elevato costo della manodopera in agricoltura, purtroppo, apprendiamo


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(non da fonti dirette, ma dalle pubblicazioni), che il fenomeno esiste ed è parimenti diffuso.
L'impegno dei consulenti del lavoro, dunque - come leggerete nel documento che abbiamo consegnato - è quello di arrivare ad un anno zero in materia di lavoro: si tratta, come disse l'allora Ministro del lavoro Damiano, di iniziare a stabilire regole più nette e più chiare, non per questo persecutorie (è evidente che non si può pensare a un sistema sanzionatorio di quel tipo), e di costruire le condizioni per ripartire effettivamente da un anno zero, pensando anche a come sensibilizzare le aziende rispetto all'emersione. Al riguardo - lo vedrete - abbiamo suggerito una normalizzazione dell'attività lavorativa all'interno delle imprese, riconoscendo loro eventualmente dei benefici per i tre anni successivi alla data di regolarizzazione del rapporto, stabilendo però, in materia di regole «rigide», che, qualora nello stesso periodo si dovessero riscontrare nuovamente delle inadempienze, l'azienda diventerebbe debitrice anche di tutta la contribuzione precedente alla normalizzazione. Riteniamo che anche questo aspetto sia molto importante per scrivere un percorso nuovo del mondo dell'impiego.
In questa sede, infine, i consulenti del lavoro si pregiano di aver fornito un ulteriore contributo.

GIUSEPPE D'ANGELO, Rappresentante del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. Signor presidente, aggiungo solo qualche considerazione rispetto a quanto detto dal collega, comunque già esaustivo di per sé del senso alla base del nostro documento.
Relativamente alla domanda dell'onorevole Damiano, circa gli effetti dell'introduzione della norma introdotta nel 2006, essi, in realtà, sono stati notevoli rispetto ad alcune situazioni...

PRESIDENTE. C'è da chiedersi, però, quanti di quei 200 mila sono rientrati nel posto di lavoro.

GIUSEPPE D'ANGELO, Rappresentante del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. Stavo per dirlo. Non c'è stato un rientro totale dei lavoratori, tuttavia è emerso un aspetto molto importante: l'80 per cento del lavoro nero è rappresentato nei settori dell'edilizia - credo che questo oramai sia evidente per tutti - e dell'agricoltura.
Dobbiamo dire che il servizio ispezioni, che pure ha aumentato i suoi controlli relativamente al settore dell'edilizia, non ha fatto altrettanto per l'agricoltura. Tale aspetto deve far riflettere, nel senso che il ministero, evidentemente, dovrà pensare a provvedere anche a tale ambito.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti. Questo incontro è stato molto utile e accogliamo la vostra idea di continuare un lavoro che, anche sulla base di dati incrociati, potrebbe fornirci un quadro più esatto.

PIETRO PANZETTA, Rappresentante del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. È partito un questionario al riguardo, nelle ore passate.

PRESIDENTE. Siamo già avviati, dunque, su questa strada.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,25.


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