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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XI
8.
Martedì 12 gennaio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Moffa Silvano, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SU TALUNI FENOMENI DEL MERCATO DEL LAVORO (LAVORO NERO, CAPORALATO E SFRUTTAMENTO DELLA MANODOPERA STRANIERA)

Audizione di rappresentanti di Coldiretti, Confagricoltura e Confederazione italiana agricoltori (CIA):

Moffa Silvano, Presidente ... 2 12 14 16
Bellanova Teresa (PD) ... 12
Borgoni Federico, Rappresentante della Coldiretti ... 2
Caponi Roberto, Rappresentante della Confagricoltura ... 6 14 15
Cazzola Giuliano (PdL) ... 15
Merlino Claudia, Rappresentante della CIA 9, 15 Oliverio Nicodemo Nazzareno (PD) ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 12 gennaio 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SILVANO MOFFA

La seduta comincia alle 12,15.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Coldiretti, Confagricoltura e Confederazione italiana agricoltori (CIA).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su taluni fenomeni discorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera), l'audizione di rappresentanti di Coldiretti, Confagricoltura e Confederazione italiana agricoltori (CIA).
Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della relazione.

FEDERICO BORGONI, Rappresentante della Coldiretti. Signor presidente, sono Federico Borgoni della Confederazione nazionale Coldiretti.
Ringrazio la Commissione per questa audizione, perché come organizzazione riteniamo che il problema del lavoro nero sia oggettivamente un tema che, per la sua complessità, necessiti di un doveroso, dettagliato ed efficace approfondimento di conoscenza. Il lavoro nero non rappresenta, né ha mai rappresentato, un fenomeno semplice da indagare, tanto per il fatto che per sua natura è estremamente complesso averne una conoscenza tale da poterlo categorizzare in termini qualitativi, e di conseguenza quantitativi; tanto perché assume forme e dinamiche molto spesso peculiari ed in contesti economici, sociali ed anche geografici tra loro molto differenti.
Pur in presenza, infatti, dei medesimi elementi oggettivi sotto l'aspetto fiscale, previdenziale e assicurativo, il fenomeno cela in realtà ben differenti modalità di manifestazione.
Si pensi, ad esempio, da una parte al fenomeno dello sfruttamento criminale della manodopera, nel quale molto spesso sono ravvisabili le caratteristiche di una vera e propria forma di schiavizzazione della persona - ne abbiamo avuto esempi per quanto riguarda la manifattura tessile, relativamente agli imprenditori cinesi, ma anche in edilizia, o più recentemente, come evidenziato dalla cronaca di questi giorni, nel caso di Rosarno - e, dall'altra, a situazioni nelle quali il fenomeno non rappresenta nemmeno motivo di condanna o di deplorazione sociale. Mi riferisco al lavoro di piccola manutenzione domestica, alle ripetizioni scolastiche, al secondo lavoro nell'impiego pubblico o al lavoro dei pensionati.
È evidente che, se a tanto vanno ad aggiungersi anche le difficoltà di misurazione quantitativa del fenomeno, il quadro che ne risulta non può che far propendere per un approccio di soluzione da conformare alla complessità stessa del fenomeno, ovvero a misure articolate e diversificate indirizzate al versante repressivo non solo


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a regime sanzionatorio, ma inteso anche come attività ispettiva e di intelligence sul territorio, soprattutto di controllo reale del territorio.
A monte, naturalmente, deve poter esistere una legislazione del lavoro lineare, di semplice applicazione, tale da sottrarre ogni possibile alibi e interesse a perseguire condotte illecite per entrambe le parti del rapporto, quindi sia per il datore di lavoro che per l'eventuale lavoratore.
Venendo al settore agricolo, abbiamo assistito, nel triennio di cui sono disponibili i dati INPS, 2006-2008, ad un costante incremento nell'utilizzo legale della manodopera, come evidenziano i dati di rilevazione trimestrali.
Ciò vale tanto in termini di manodopera complessiva, perché abbiamo avuto un incremento di 27.300 rapporti con operai a tempo indeterminato e 5.100 rapporti in più con operai a tempo determinato, ma anche di giornate denunciate che sono state più di 7,3 milioni nel 2008 rispetto al 2006.
Quindi, il percorso che le parti sociali agricole hanno intrapreso tanto sul versante contrattuale, che su quello delle relazioni istituzionali - ricordo lo strumento degli avvisi comuni - dimostra come una progressiva evoluzione delle relazioni sindacali e della normativa contrattuale, accompagnata da una confacente legislazione in materia del lavoro, possa efficacemente rappresentare uno strumento di effettivo contrasto al lavoro nero.
Solo per dare alcuni esempi di ciò che intendo quando parlo di confacente legislazione in materia di lavoro legata agli avvisi comuni, penso all'introduzione nell'ordinamento lavoristico del lavoro occasionale accessorio, i cosiddetti voucher, ma anche - sempre con il decreto legislativo n. 276 - al riconoscimento dell'utilizzo di parenti e affini, senza che ciò possa andare a costituire rapporto di lavoro.
Su altro versante, anche una disponibilità di quote per lavoro stagionale extracomunitario, idonea rispetto alle richieste delle imprese, ha consentito, nel corso degli anni, a partire dal 2001, un progressivo incremento nell'utilizzo di questi lavoratori in forme legali.
Nessuno degli elementi che ho citato ha prodotto flessioni o tracolli nei livelli occupazionali del settore che anzi, come ho detto prima, hanno avuto un notevole incremento.
Se ne conclude, dunque, che o la tecnica agronomica ha fatto passi indietro, perché richiede più manodopera per realizzare gli stessi prodotti, oppure evidentemente gli incrementi di cui parliamo, incluso il voucher che non è considerato chiaramente rapporto di lavoro dipendente, di fatto, altro non rappresentano che dei processi di emersione del lavoro.
Per quanto attiene allo strumento del voucher, questo è connotato evidentemente da un basso livello di burocrazia necessaria per l'instaurazione del rapporto ed è l'elemento che maggiormente attrae il beneficiario della prestazione.
Ritornando al discorso della cointeressenza o alleanza tra datore di lavoro e lavoratore, è altresì vero che il prestatore di lavoro è altrettanto interessato allo strumento, laddove rappresenta un'occasione di integrazione al reddito, non assoggettata ad alcuna imponibilità fiscale, non compromette lo stato di disoccupazione dell'interessato (penso agli studenti o agli inoccupati) e soprattutto, per i pensionati, è cumulabile integralmente con le prestazioni pensionistiche.
È pertanto evidente che lo strumento è stato appositamente studiato per spezzare alle fondamenta quell'elemento di reciproco interesse tra le parti che comportava l'instaurazione di rapporti con queste categorie di lavoratori (pensionati, studenti o casalinghe) che spesso, soprattutto nel settore agricolo, venivano gestite in maniera assolutamente non trasparente.
Sulla stessa linea, la medesima logica attiene anche alla questione dell'utilizzo in agricoltura di parenti e affini.
Per quanto riguarda il lavoro stagionale extracomunitario, anche se effettivamente sarebbero necessari alcuni affinamenti per rendere più fluida la procedura, in termini di esigibilità della quota, è stato determinante


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il buon risultato ottenuto nel rendere disponibile, anno per anno, un idoneo numero di quote, in quanto questo elemento sottrae tutti i possibili alibi al datore di lavoro per instaurare un regolare rapporto.
Inoltre, ha permesso immediatamente di discernere tra aziende che perseguono la legalità e aziende che misurano invece la propria competitività operando esclusivamente sul margine garantito dall'elusione delle norme, quando anche non vadano oltre.
Se a questo si fosse potuto accompagnare, sul versante del lavoro extracomunitario, un diverso modo di affrontare la questione della definizione delle quote per conversione dei permessi stagionali in permessi a tempo indeterminato, il quadro complessivo del lavoro extracomunitario agricolo ne avrebbe certamente tratto un maggior beneficio.
Tornando per un attimo al concetto di competitività, chiaramente legato alle situazioni di concorrenza sleale, sottolineo che la competitività, a nostro avviso, deve potersi misurare sulla qualità del prodotto. Certamente, non può esistere un prodotto di qualità, senza che a monte ci sia un lavoro di qualità.
La valorizzazione delle produzioni agricole, intesa come processo che permette alle imprese di affermarsi sul mercato interno e internazionale, per assicurare un giusto reddito alla produzione agricola, garantendo al cittadino consumatore corretta informazione e idonea sicurezza alimentare, deve quindi poter contare su una legislazione che, attraverso la certificazione di origine, lo sviluppo della vendita diretta (parlo dei farmer market), ma anche l'apposizione ad esempio di un marchio etico al prodotto, possa attribuire il corretto valore aggiunto alle produzioni di quelle imprese che hanno fatto del rispetto e della legalità il proprio modus operandi.
Venendo ai più recenti eventi di cronaca, come già accaduto nella Capitanata, questi hanno visto, anche a Rosarno in Calabria, venir chiamati in causa tanto il settore agricolo, che i cittadini extracomunitari clandestini e non.
Quello che va subito affermato con forza è che, in un territorio che offre produzioni da primato per il made in Italy, più che altrove, se mai fosse possibile, deve essere garantita la legalità, per combattere gli inquietanti fenomeni malavitosi che umiliano gli uomini e il lavoro e gettano un' ombra su un settore che ha scelto con decisione la strada dell'attenzione alla sicurezza alimentare e ambientale, a servizio del bene comune.
È una battaglia che va combattuta senza tregua. È una situazione di becero sfruttamento che colpisce la componente più debole dei lavoratori agricoli come gli immigrati, ma anche le tante imprese agricole oneste che operano nella legalità e che, peraltro, sono spesso costrette a lasciare il prodotto sulle piante, anche per le pesanti distorsioni nel passaggio dei prodotti dal campo alla tavola, con la perdita di opportunità che potrebbero contribuire a ridurre anche il disagio sociale.
In premessa, sottolineo che a nostro avviso definire datore di lavoro colui il quale schiavizza in modo organizzato e criminale delle persone non rende giustizia a tutte quelle aziende - tanto per sostanziarne il numero, faccio presente che nel 2008 sono state, nel sud, 30.263 su 216.000 - che hanno occupato lavoratori extracomunitari.
In quest'ottica, inoltre, deve essere tenuto in considerazione che la legislazione in materia di lavoro è la stessa su tutto il territorio nazionale e che la questione della regolarità del rapporto e del relativo corretto e intenso utilizzo degli ingressi regolari per lavoro stagionale agricolo, presenta, nella maggior parte delle aree del nord e del centro, un andamento ormai normalizzato e solo sporadicamente interessato da locali fenomeni di abuso e irregolarità, di cui dirò più avanti.
Gli eventi accaduti, quindi, non possono che essere correlati a questioni legate allo specifico contesto geografico, in cui evidentemente il problema maggiore non è


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dato tanto dal mancato rispetto della legislazione del lavoro o sull' immigrazione, quanto piuttosto dall'assenza dello Stato, a partire dal controllo del territorio, che lascia alla criminalità organizzata ogni possibile spazio di manovra, pressione e controllo sull'economia del territorio.
Ritornando a un ulteriore elemento di approfondimento, in questo caso valido anche per molte aree del nord e del centro e che non necessariamente, ma in alcuni casi, coinvolge anche i lavoratori extracomunitari, evidenzio che possiamo trarre delle utili informazioni per contrastare ulteriori forme di manifestazione del fenomeno del lavoro nero, sia in termini di approntamento di interventi legislativi, che di azione repressiva, laddove si vada ad analizzare quello che sempre più frequentemente riscontriamo in ambito agricolo. Mi riferisco a offerte di manodopera che molte aziende, anche agricole, ricevono mascherate da appalti di servizi, ad esempio per la raccolta della frutta o degli ortaggi, da soggetti di dubbia provenienza (successivamente, spiegherò perché).
Si tratta, generalmente, di società di servizi che possono esercitare anche sottoforma di cooperativa.
Fermo restando che, a nostro avviso, qualora correttamente gestiti, tanto l'appalto di servizi, che la somministrazione di manodopera sono strumenti pienamente legittimi nella gestione di un'impresa, secondo un principio consolidato derivante dalla garanzia costituzionale della libertà di iniziativa economica, è evidente che quanto sto per dire si presenta invece con ben differenti caratteristiche per nulla legittime e meno che mai trasparenti.
Per quanto attiene al ruolo che possiamo svolgere come organizzazioni di rappresentanza, da parte nostra è stata posta un'attenzione particolare a queste situazioni, soprattutto nella fase di consulenza alle nostre aziende, consistente di fatto nel registrare gli elementi di allarme che spesso ricorrono e sono già rilevabili in fase di pre-esame della documentazione contrattuale proposta dall'azienda o da queste società.
Generalmente, sono quattro i punti che segnaliamo alle nostre sedi di servizio.
In primo luogo, vi è l'entità del corrispettivo d'appalto che spesso risulta inferiore al costo della manodopera che sarebbe stata assunta del committente. Tale elemento deve destare immediato sospetto, anche in relazione al fatto che i lavoratori impiegati in queste attività di raccolta, ad esempio, sono da considerare agricoli. Inoltre, queste società di servizi sono tenute ad applicare il più favorevole inquadramento di cui godono questi lavoratori ai fini normativi, salariali, previdenziali e assistenziali.
In secondo luogo, è necessario considerare la forma del corrispettivo dell'appalto che, frequentemente, viene determinato con una tariffa ad ora di prestazione. Questo elemento non è compatibile con la disciplina dell'appalto, laddove viene a rappresentare un indiretto indice della totale assenza di rischio di impresa. Occorre prevedere, semmai, un corrispettivo che deve essere determinato a corpo.
Viene poi la compagine sociale. Quando le aziende ci chiedono un consiglio a tale proposito, chiediamo sempre alle nostre sedi di acquisire l'atto costitutivo e lo Statuto di questi soggetti. Generalmente, infatti, in posizione chiave di responsabilità troviamo soggetti in età molto avanzata, quindi poco credibili, o addirittura di provenienza extracomunitaria. Molto probabilmente, dunque, si tratta di teste di legno. Non sono dei soggetti reali.
Occorre prestare attenzione, ancora, alla data di costituzione della società. Abitualmente, infatti, si trovano soggetti societari di recente costituzione e peraltro con vita media molto ridotta, come per dire a durata temporanea.
Spesso infatti accade che i soggetti che si offrono a prezzi stracciati sul mercato, al primo sentore di attenzione da parte degli organi ispettivi, spariscono letteralmente, per ricomparire dopo qualche mese sotto altra forma o ragione sociale, di fatto lasciando alle imprese associate che si sono avvalse dei loro servizi di dover rispondere


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integralmente del carico sanzionatorio, oltre che in molti casi contributivo, assicurativo ed anche retributivo.
Oltretutto, lasciano spesso compromessa anche la posizione e i diritti dei loro stessi soci.
Purtroppo, tale fenomeno è molto ben distribuito tra nord e sud. Non ci sono grossissime differenze.
Volendo trarre da questa breve e certo non esaustiva relazione una possibile conclusione che possa esservi di indirizzo su quelle che sono, allo stato attuale, delle possibili proposte, occorre innanzitutto ribadire che ad un problema tanto complesso, articolato e di difficile esplorazione, quale il fenomeno del lavoro nero, non possono certo essere ipotizzate soluzioni semplici e meno che mai semplicistiche.
A tal proposito, è certamente rilevante il ruolo attivo di proposta che le parti sociali e agricole hanno svolto, e continuano a svolgere, con grande responsabilità, nell'ambito delle politiche di contrasto al fenomeno del lavoro nero.
Ricordo che l'agricoltura è caratterizzata da un ulteriore e altrettanto grave fenomeno, quello del lavoro fittizio, che sottrae ingentissime risorse, soprattutto al sud, alle imprese e ai diritti dei lavoratori.
Ricordo che gli sforzi tesi a ritrovare una nuova agricoltura, rispettosa dei diritti dei lavoratori, del cittadino consumatore e anche del giusto reddito che l'impresa ha diritto di conseguire, hanno trovato, nel corso del tempo, concreta trasposizione negli avvisi comuni. Mi riferisco appunto alle proposte e al ruolo attivo che hanno avuto le parti sociali agricole, le organizzazioni sindacali e le associazioni datoriali.
Parlo degli avvisi comuni del 2004, del 2007 e del 2009, il più recente, che solo in parte hanno trovato ad oggi sostanziale recepimento e applicazione in idonei supporti legislativi.
Più in generale, sul versante del mercato del lavoro agricolo, rimane evidente la necessità di trovare un'equilibrata misura, idonea ad accompagnare questa importante e complessa lotta e il contrasto al lavoro nero, per un coerente regime di semplificazione degli adempimenti burocratici che, soprattutto nell'ambito di un mercato del lavoro connotato dalla prevalente presenza di rapporti a termine, di breve o brevissima durata, ma ad altissima intensità, può rappresentare, e rappresenta, uno dei momenti di maggiore difficoltà che le imprese regolari devono affrontare.
Questo discorso vale anche e soprattutto tenendo presente una concorrenza nazionale e straniera non sempre attenta ad un modello produttivo di qualità o all'assunzione di comportamenti, sul versante occupazionale, di rispetto della legislazione e dei diritti.
Razionalizzare e semplificare gli adempimenti burocratici posti a carico dei datori di lavoro resta forse il più diretto ed efficace strumento per favorire le aziende maggiormente interessate ad operare all'interno dell'economia legale, in un contesto di occupazione regolare e per un prodotto di qualità che ne sia l'espressione finale.

ROBERTO CAPONI, Rappresentante della Confagricoltura. Signor presidente, sono Roberto Caponi, responsabile della direzione sindacale di Confagricoltura.
Grazie per questo invito che, purtroppo, i fatti di Rosarno rendono di estrema attualità. Benché gravi, tuttavia, tali fatti non ci devono distogliere da un problema più grande che attiene alla regolarità del lavoro nel nostro Paese.
Trattandosi di un'indagine conoscitiva, abbiamo ritenuto opportuno preparare un documento, che vi consegneremo e che peraltro è stata la traccia del convegno tenutosi recentemente, il 19 novembre 2009, sul lavoro vero in agricoltura.
Tenevamo a sottolineare in quell'occasione - e lo ripetiamo anche in questa sede - che in agricoltura c'è anche tanto lavoro vero, non soltanto lavoro nero.
Esistono 210.000 aziende che sono iscritte all'INPS e che versano regolarmente i contributi; ci sono oltre un milione di lavoratori dipendenti, regolarmente iscritti all'INPS, per i quali appunto esiste una posizione assicurativa regolare.


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Questo per dire che purtroppo i fatti di questi giorni tendono ad accreditare una immagine dell'agricoltura e del lavoro in agricoltura che non è corrispondente alla realtà.
Certo, il fenomeno del lavoro nero esiste in agricoltura, così come in altri settori produttivi.
È un fenomeno non esclusivamente agricolo, ma trasversale, che presenta connotazioni diverse a seconda dei settori di appartenenza.
Comunque, al termine di questa audizione vi lascerò il nostro documento che contiene un'analisi della situazione del lavoro in agricoltura e una serie di proposte che possono essere utili, spero, anche ai fini dei vostri lavori.
Contestualmente, consegnerei il testo dei tre avvisi comuni che abbiamo sottoscritto con i sindacati, già citati dal collega della Coldiretti, nel 2004, nel 2007 e nel 2009, che contengono una serie di proposte, fatte congiuntamente con i sindacati, per cercare di combattere questo fenomeno, che solo in parte hanno trovato accoglimento nella nostra legislazione.
Paradossalmente, tra quelle presentate, vi sono tante proposte che non costano nulla - del resto, il problema che viene sollevato è quello dei costi - e che in ogni caso non hanno trovato ad oggi diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento.
Tale aspetto testimonia, se ancora ce ne fosse bisogno, il forte impegno di tutte le organizzazioni agricole, insieme ai sindacati, per combattere questo fenomeno e la forte e inequivocabile condanna per qualunque forma di sfruttamento della manodopera.
Nessuna crisi economica, nessun calo dei prezzi, nessuna situazione particolare, infatti, può giustificare in alcun modo lo sfruttamento della manodopera.
Da questo punto di vista, quindi, esprimiamo la nostra più assoluta e ferma contrarietà.
Seguendo anche la traccia dell'indagine che state svolgendo, vengo alle dimensioni del fenomeno. È sempre difficile riuscire a quantificare un fenomeno come quello del lavoro sommerso.
Vengono pubblicati dati e studi in merito che spesso danno indicazioni di segno opposto.
Certo è che l'agricoltura viene sempre indicata tra i settori in cui il fenomeno ha una certa consistenza.
Come ho già detto, tuttavia, riteniamo che il fenomeno del lavoro sommerso sia trasversale nel nostro Paese e non sia prettamente agricolo.
Un altro tema importante, venuto alla luce nei recenti i fatti di cronaca, è quello del mercato del lavoro.
Oggi, in alcune realtà del nostro Paese, il mercato del lavoro non è nelle mani delle istituzioni, dei soggetti preposti a svolgere queste funzioni, come i centri per l'impiego, ex uffici di collocamento, oppure i soggetti privati, come le agenzie di intermediazione, autorizzate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali a svolgere queste attività, ma ad altri soggetti collegati con la criminalità organizzata.
Tali individui svolgono una funzione illecita e illegittima di intermediazione, taglieggiando - questo è bene precisarlo - sia il lavoratore, a cui trattengono una parte della retribuzione, sia le aziende che li utilizzano.
Credo che in proposito si debba fare qualcosa e che si debba fare di più.
Come associazione di categoria, in uno degli avvisi comuni che ho citato in precedenza, avevamo chiesto di poter partecipare, insieme alle istituzioni - noi che conosciamo il territorio e la realtà - ad organismi trilaterali, composti dalle istituzioni, dalle parti datoriali e dalle parti sindacali, per poter contribuire a gestire in maniera più trasparente il mercato del lavoro e toglierlo dalle situazioni di diffusa illegalità in cui oggi si trova.
Purtroppo, le proposte che avevamo presentato, che veramente non costano nulla e che sono contenute negli avvisi comuni, ad oggi non hanno trovato alcuna possibilità di intesa.
Da parte nostra, siamo anche disponibili a esplorare situazioni di controllo del mercato del lavoro, nel rispetto di quanto previsto dalle attuali legislazioni, attraverso gli enti bilaterali. A questi ultimi,


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infatti, è consentito di svolgere determinate funzioni per quanto riguarda l'attività di intermediazione.
Credo che questo strumento possa essere adeguatamente esplorato per verificare se sia in grado di aiutare a contrastare questo preoccupante fenomeno.
Viene poi la questione della vigilanza.
Di sanzioni ve ne sono tante. È prevista la maxi sanzione per il lavoro sommerso e anche la sospensione dell'attività imprenditoriale, nel caso in cui il lavoro nero superi il 20 per cento degli occupati.
Esistono poi tutta un' altra serie di sanzioni di carattere penale, amministrativo e via dicendo. Quindi, le sanzioni sono molto rigorose da questo punto di vista. Evidentemente, tuttavia, non bastano. Serve anche un sistema di controlli efficace.
Abbiamo l'impressione - non so se ci sbagliamo o meno - che l'attività di vigilanza si concentri verso situazioni che definisco di sostanziale regolarità. Vale a dire che si agisce sempre nei confronti delle stesse aziende conosciute, che operano alla luce del sole, andando a cercare il cavillo, l'irregolarità formale, la piccola questione facile da rinvenire in certe situazioni.
In questo modo, tra l'altro, si produce, da un lato, un dispendio di energie e di costi, per quanto riguarda la pubblica amministrazione e, dall'altro, un fastidio da parte di queste aziende, sostanzialmente regolari, che vedono poi il vicino al di là della strada puntualmente non controllato.
Ecco, credo che si debba fare di più sotto questo profilo sia nell'attività di intelligence per individuare le aziende a rischio, che per focalizzare gli accertamenti verso le situazioni di lavoro sommerso, lavoro clandestino e sfruttamento, piuttosto che verso situazioni di irregolarità pressoché formale.
In realtà, esiste una direttiva del Ministro Sacconi in questo senso che stabilisce di concentrare l'attività di vigilanza su questo tipo di irregolarità, ossia sul lavoro sommerso.
Dal punto di vista pratico, tuttavia, devo dire che, ad oggi, non abbiamo riscontrato grandi differenze nella scelta dei soggetti.
A nostro parere, dunque, occorre anche valutare l'opportunità, per quanto riguarda l'attività di vigilanza, di verificare che vi sia una certa mobilità.
Quando un soggetto opera sempre nello stesso territorio, infatti, finisce per «affezionarsi» a determinate imprese, non esercitando la propria attività di vigilanza a trecentosessanta gradi.
Credo che questa potrebbe essere una possibile soluzione quella di prevedere una certa mobilità per quanto riguarda gli ispettori, in modo che siano controllate tutte le imprese, tutti i territori e non ci siano delle zone franche.
Mi rendo conto che per gli ispettori non sia semplicissimo recarsi in determinate realtà. Ovviamente, tuttavia, lo Stato non può abdicare alle proprie funzioni in nessuna area del nostro Paese.
Sicuramente le sanzioni, la repressione, la vigilanza, la lotta alla criminalità e quindi il recupero della legalità del mercato del lavoro in certe aree sono importanti, ma tutto questo non basta.
Come dico sempre in una battuta, che spero che possa essere efficace, ritengo che per combattere il lavoro sommerso sia necessario abbassare l'acqua. Se l'acqua è troppo alta, emergere è difficile.
L'acqua è rappresentata dalla pressione fiscale, contributiva e, non ultima, da quella burocratica, già ricordata dal collega, che grava sul lavoro dipendente.
Sulla base dei nostri studi, abbiamo considerato che per assumere un lavoratore dipendente, nonostante alcune semplificazioni intervenute, oggi necessitano quindici adempimenti e che ne occorrono diciannove se si tratta di un lavoratore extracomunitario.
Riteniamo, dunque, che su questo versante si possa e si debba fare molto.
Come sapete benissimo, volevamo una conferma delle agevolazioni per le aree difficili del nostro Paese. Tale conferma è arrivata, ma soltanto fino al luglio del 2010.


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Questo non ci può che incoraggiare, perché comunque è stata data una conferma temporale, ma anche preoccupare per quello che succederà a partire da agosto.
In fondo si tratta di costi non particolarmente rilevanti. Credo, infatti, che per coprire l'interno anno basterebbero 80 milioni di euro. Se questo serve a mantenere il livello dell'occupazione in agricoltura e favorire la legalità, credo che sia un prezzo sufficientemente adeguato.
Peraltro, occorre tener presente che non si può pensare di combattere il fenomeno della crisi intervenendo soltanto a valle, cioè nel momento in cui il rapporto di lavoro è cessato o è sospeso, attraverso gli ammortizzatori sociali. Questi rappresentano una misura sicuramente importante, importantissima e utile, ma non sufficiente.
Forse bisogna fare qualcosa per prevenire che il rapporto cessi o che venga sospeso.
Mantenere la pressione contributiva entro certi limiti può sicuramente aiutare da questo punto di vista.
Espongo un'ultima questione e chiudo la mia rapida esposizione. Voglio riferirmi all'immigrazione e al lavoro degli extracomunitari. In agricoltura ve ne sono sempre di più. Oggi, le persone regolarmente assunte sfiorano la cifra di 100.000. Questo è un dato da considerare.
Il 20 per cento di tali individui sono assunti a tempo indeterminato, ossia con un rapporto strutturale, e sono perfettamente inseriti nel tessuto sociale. Quindi, esiste anche tanto lavoro immigrato regolare.
Per cercare di evitare qualunque tipo di fenomeno distorsivo, a nostro avviso, bisogna lavorare sulle procedure e sui tempi.
Oggi, infatti, i tempi per la gestione delle autorizzazioni continuano a essere abbastanza lunghi. Si sono fatti dei passi in avanti, ma la situazione è a macchia di leopardo, perché in alcune realtà si riesce ad avere l'autorizzazione nell'arco di due o tre mesi; mentre in altre ne occorrono molti di più.
Dico sempre che l'agricoltore non può attendere i tempi della burocrazia. Se deve raccogliere le fragole a maggio, non può decidere di farlo a settembre perché non arriva l'autorizzazione. Quest'ultima deve arrivare a maggio, altrimenti l'agricoltore si trova nella difficoltà di dover rinunciare alla raccolta.
Su questo aspetto abbiamo presentato una serie di proposte. Ad esempio, nei confronti delle aziende che già in passato hanno dato buona prova di sé - che hanno richiesto le autorizzazioni e hanno regolarmente denunciato i lavoratori, compresi i soggetti extracomunitari che già sono entrati nel nostro territorio e nei confronti dei quali sono stati fatti tutti i controlli che devono essere effettuati - si potrebbe immaginare una corsia preferenziale.
Invece, si comincia sempre daccapo. Se l'anno successivo occorre riassumere un lavoratore extracomunitario, si riparte dall'inizio, con controlli nei confronti dell'azienda e del lavoratore, come se si trattasse di una nuova autorizzazione. E i tempi vanno per le lunghe.
Credo dunque che uno snellimento delle procedure, un'accelerazione nei tempi di smaltimento nelle richieste di autorizzazione possa aiutare ad evitare fenomeni distorsivi, fermo restando che, come ho detto in apertura, niente e nessuno può giustificare situazioni di sfruttamento del lavoro nero.

CLAUDIA MERLINO, Rappresentante della CIA. Signor presidente, sono la responsabile delle relazioni sindacali della Confederazione italiana agricoltori. Vi ringraziamo in particolare per questa audizione.
Il nostro presidente, alla vigilia dei fatti drammatici recentemente accaduti, ha chiesto ufficialmente al Governo l'apertura di un tavolo sull'immigrazione illegale.
Chiaramente parliamo di vicende che, purtroppo, hanno poco o nulla a che fare con quello che un'organizzazione professionale può oggettivamente fare.
È altrettanto chiaro, tuttavia, che non vogliamo nasconderci dietro un dito.


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Quindi, se ci sono degli ambiti di intervento - e secondo noi ci sono - in cui è possibile contribuire a migliorare determinate situazioni, è bene che ci venga data la possibilità di offrire questo contributo.
Il primo canale per cercare di intervenire sul lavoro irregolare e sul lavoro nero, da parte di un'organizzazione professionale, non può che essere quello di operare affinché vengano rimossi tutti i vincoli e le difficoltà di natura legislativa e normativa, ma anche amministrativa, di procedura che rendono particolarmente complicato e difficile alle aziende operare nel rispetto delle regole.
Credo che questa sia la prima missione che debba avere un'organizzazione professionale.
Come diceva il collega Borgoni, occorre togliere gli alibi. Una volta fatto questo, avremo veramente una distinzione, una selezione tra le aziende che vogliono lavorare e che vogliono far lavorare, le cosiddette aziende sane che fanno parte dei percorsi di rappresentanza, e le aziende che speculano non solo sul lavoro, ma anche sui fenomeni di concorrenza sleale.
Chiaramente, questa scrematura si opera con molti interventi.
I due filoni vitali, principali per agevolare i percorsi di trasparenza e di regolarità delle aziende agricole riguardano innanzitutto i costi.
Dico questo pensando proprio alla Calabria e alla situazione del settore agrumicolo. Abbiamo a che vedere, infatti, con un settore in cui il prodotto viene pagato all'origine 0,27 centesimi al chilo; mentre il consumatore lo paga 1,27 euro.
Questa è la situazione della redditività del settore agricolo in determinati comparti che purtroppo si stanno estendendo sempre più, vista anche la situazione di crisi che ci portiamo dietro quest' anno e che, secondo noi, non è stata adeguatamente affrontata.
Come diceva il collega in precedenza, ci troviamo in una condizione di precarietà delle agevolazioni in zone montane svantaggiate, quindi particolarmente a rischio rispetto a determinati fenomeni e certamente tutto questo non contribuisce.
Intervenire sui costi, dunque, significa agire non soltanto sui costi di produzione, ma anche sugli oneri non salariali e sui costi del lavoro. Ciò significa abbassare la pressione fiscale e soprattutto la pressione contributiva.
Abbiamo delle norme che già esistono, che sono già legge. Abbiamo la legge n. 247 del 2007 che prevede determinate misure. Ne cito una per tutte, perché è particolarmente significativa per il nostro settore.
Il nostro settore paga un'aliquota contro gli infortuni sul lavoro pari al 13,24 per cento. Chiaramente, tale aliquota è fuori da ogni media possibile.
Proprio su questa misura, il legislatore è intervenuto recependo le indicazioni delle parti sociali e affermando che le aziende virtuose, quelle che sono in regola con la sicurezza e con tutti gli adempimenti, possono usufruire di uno sgravio su questa aliquota contributiva così alta.
Sta di fatto che anche questa misura non è stata ancora attuata ed è rimasta lettera morta.
Ho riportato tale esempio, per citare uno dei piccoli interventi possibili.
Chiaramente, come si diceva prima, non esiste un intervento di tipo miracolistico che farà sparire il lavoro sommerso. Esistono tuttavia una serie di piccole attività che si possono realizzare. Siccome alcune di esse sono già legge, attuiamole.
Un'altra azione necessaria è quella di abbassare la pressione contributiva e fiscale su quelle aziende che non operano in zone soggette ad agevolazioni contributive, previdenziali e fiscali, quindi le aziende che pagano l'aliquota piena che, rispetto agli altri Paesi europei, è molto alta.
Questa parte del mio discorso è relativa al costo del lavoro.
Vengo ora alla semplificazione. Alcuni interventi sono stati già enunciati.
Ritenendo che il lavoro nero, soprattutto con riferimento agli ultimi episodi, riguardi sostanzialmente il lavoro di soggetti immigrati, quindi di persone che


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entrano nel nostro Paese per lavorare - la maggioranza per lavorare, alcuni per fare altro -, crediamo che i nodi da sciogliere siano molti.
Intanto, a distanza di vari anni, probabilmente sarebbe opportuno per tutti noi effettuare una verifica sul funzionamento effettivo della legge.
Parlo di una verifica i cui esiti sono assolutamente aperti. Magari si potrebbe riconfermare la stessa impostazione, ma cercando di capire quali sono i meccanismi della legge che è possibile modificare. Non si chiede uno stravolgimento, né una nuova legge.
Le aziende hanno bisogno di certezza, hanno bisogno di sapere che vi è una legge e che quella deve essere applicata.
Necessariamente, tuttavia, occorre cercare di capire perché determinati fenomeni si manifestano. Intanto, come veniva detto in precedenza, si pone il problema dei tempi che è drammatico.
Uno studio del Ministero dell'interno sui nulla osta per il lavoro stagionale è stato presentato alle parti sociali nel 2008. Non abbiamo i dati del 2009, ma tale analisi è comunque significativa.
Ebbene, lo stesso Ministero dell'interno parla di una durata media nell'evasione delle pratiche relative al lavoro stagionale di 85 giorni; il che vuol dire che in molte situazioni si va ben oltre tale limite.
A fine anno, lo stesso Ministero dell'interno, in base a questi dati, diffusi dall'amministrazione, parlava di una percentuale di evasione delle pratiche del 45 per cento. Tutto il resto a fine anno.
Le domande vengono presentate in genere a marzo di ogni anno, laddove il decreto è presente.
Ecco, a fine anno, soltanto il 45 per cento di queste domande riesce ad essere evasa.
Pertanto, in primo luogo, dovremmo cercare di capire per quale motivo si crea questo accumulo di tempi, posto che quanto detto in precedenza è valido. Vale a dire che nel tempo la situazione è migliorata.
La procedura ormai è telematica. Le organizzazioni professionali garantiscono - lo stesso rapporto del ministero lo riporta - massima correttezza e qualità delle domande; il che significa che gli uffici non perdono neanche tempo a chiedere documentazione integrativa.
Cerchiamo allora di capire per quale motivo vi è questa lentezza procedurale che diventa veramente disincentivante per un'azienda che ha bisogno, soprattutto nel settore agricolo, di avere lavoratori per le varie fasi stagionali.
Probabilmente, in alcuni meccanismi questa legge ha avuto un'attenzione molto centrata sull'aspetto contenutistico dell'immigrazione - giustamente, è un fattore da tenere sempre presente e da non dimenticare mai - e meno su altri.
Facendo maggiore leva sul primo fattore, si è in qualche modo accentuata una precarizzazione dello straniero e dell'immigrato che, secondo noi, non favorisce chi vuole operare nel rispetto delle regole.
Tra i vari elementi, anche la minor durata dei permessi di soggiorno costringe gli uffici ad un accumulo di lavoro. Anche in questo caso, dunque, è immaginabile un alleggerimento del carico burocratico rispetto a determinate pratiche. Non mi riferisco a quelle attinenti all'ingresso nel territorio dello Stato, che sono necessariamente di pertinenza dello Stato, ma penso ad esempio ai rinnovi che sono molteplici e molto frequenti e che potrebbero essere dati in capo ad altre amministrazioni, come i comuni, comportando anche un evidente risparmio di costi.
Immaginiamo, dunque, di fare una verifica costruttiva, cercando di capire laddove si possa intervenire.
Le ulteriori questioni relative al tema in esame sono state affrontate dai colleghi.
Ormai, il 38 per cento dei lavoratori richiesti ogni anno corrisponde a quelli richiesti l'anno precedente; il che significa che si tratta di lavoratori ormai conosciuti alla pubblica amministrazione, così come è conosciuta l'azienda.
In questi casi, è immaginabile un percorso semplificato, più accelerato?
Da ultimo, le organizzazioni di categoria, soprattutto sulla partita del lavoro stagionale


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e immigrato, hanno garantito e garantiscono una filiera, come dicevo prima, corretta formalmente e trasparente.
Possiamo immaginare di attrarre più imprese e più lavoratori in questa filiera trasparente, incentivando questo percorso, rendendolo più accelerato, più breve e con tempi meno drammatici?
Queste sono alcune delle proposte che abbiamo presentato, sia in fase di concertazione con le altre parti, che singolarmente. Probabilmente, tuttavia, sarebbe utile effettuare una verifica sulla legge, per migliorare questi meccanismi.
Infine - e concludo -, occorre effettuare anche una verifica sulla legge, relativamente a un aspetto che secondo noi è stato poco considerato, ma che si rivela fondamentale proprio in casi come quelli che abbiamo vissuto di recente. Sto parlando del fattore integrazione.
Questa certamente è materia demandata prevalentemente ai comuni, agli enti locali.
A nostro parere, tuttavia, è necessario fare molto di più.
Vi è la percezione che esistano dei momenti istituzionali, ma non una reale concertazione decentrata su questo aspetto.
Riporto in proposito l'esempio degli alloggi. Il datore di lavoro garantisce gli alloggi ai lavoratori, a sue spese, ristrutturando parte di edifici rurali. Questo è ben noto a tutti. Chiaramente in questo, l'imprenditore, molto spesso è lasciato da solo.
Quando tutto ciò si verifica in picchi di attività stagionale, in cui i lavoratori sono dieci, venti o trenta, garantire un alloggio adeguato a questa massa di persone diventa sicuramente complicato.
È immaginabile che a livello locale ci siano dei momenti di concertazione in cui il capitolo integrazione, che non è soltanto alloggio, ma sanità, scuole e servizi, venga affrontato, in modo concertato con le parti sociali, e risolto?
Queste non sono delle domande, chiaramente sono delle disponibilità che noi diamo rispetto a questioni che le organizzazioni professionali, per la loro esperienza e anche per il polso che hanno sul territorio e sulle imprese, possono contribuire a risolvere.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

TERESA BELLANOVA. Signor presidente, come tutti ho ascoltato con grande attenzione le comunicazioni delle associazioni agricole. Inoltre, credo che il materiale che ci lasceranno meriti, almeno da parte mia, una rilettura e un grande approfondimento.
Mi ha colpito l'affermazione di uno dei rappresentanti, il quale ha detto che in agricoltura c'è lavoro vero, non solo lavoro nero. Sicuramente è così. Credo che tutti noi lo pensiamo.
Il dramma è che anche a Rosarno era lavoro vero. Rosarno ci dice che, oltre al lavoro nero che purtroppo siamo abituati a conoscere - che non prevede la contribuzione, non rispetta i contratti e in cui l'orario di lavoro è un optional -, nel nostro Paese esiste una vera e propria riduzione in stato di schiavitù di molti lavoratori immigrati, che continuiamo a definire stagionali.
Tuttavia, già su questo aspetto mi porrei qualche domanda. Del resto, a Rosarno abbiamo la raccolta degli agrumi, a Foggia la raccolta del pomodoro, nella provincia di Lecce la raccolta delle angurie, vi è poi la situazione della Campania e quella del nord con la raccolta delle mele e delle pesche.
Insomma, credo che questi siano lavoratori stagionali itineranti, ma che siano stagionali nel singolo territorio, perché poi di fatto coprono la filiera delle grandi campagne di lavorazione in agricoltura.
Quello che non cambia per questi lavoratori è che i vari passaggi da territorio a territorio sono segnati comunque da una condizione assolutamente indegna, in un Paese che vuole considerarsi civile come il nostro.
Rispetto a Rosarno, tutti noi abbiamo ancora negli occhi non solo i momenti di violenza, ma anche i luoghi dove queste


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persone erano costrette a vivere, a dormire e a mangiare.
Questo ragionamento mi riporta, anche se le relative immagini forse non sono state trasmesse spesso in televisione, ad un territorio che conosco meglio della Calabria, ossia la Puglia, il foggiano.
Come abbiamo visto, a seguito di una missione compiuta da questa Commissione nella legislatura precedente, in quelle zone purtroppo vi sono le stesse identiche situazioni. Inoltre, abbiamo incontrato persone alle quali, oltre alla dignità nel lavoro, è stato sottratto il permesso di soggiorno, il passaporto e la documentazione di identità.
Come mi pare si evidenzi dall'intervento che unifica le tre associazioni, queste persone vivono sicuramente in una realtà dove c'è uno Stato debole, dove spesso la politica si interroga alimentando la paura di queste persone, piuttosto che favorirne l'integrazione.
Inoltre, e soprattutto, queste persone sono nelle mani di vere e proprie associazioni malavitose. Il caporalato è proprio questo.
La prima domanda, alla quale in qualche modo avete già dato una risposta, riguarda proprio il caporalato. Tale fenomeno si limita a taglieggiare i lavoratori, a renderli così vulnerabili nell'esercizio dei loro diritti o taglieggia anche l'impresa, mettendo quindi sotto scacco il sistema agricolo nel suo complesso?
Inoltre, vorrei chiedere se il fenomeno può ridursi solo ad una scelta da parte delle aziende. Quello del dumping sociale, della competizione illegale tra i vari sistemi di impresa è un tema che mi trova molto sensibile.
Quanto abbiamo visto in questi giorni - richiamo Rosarno non perché dobbiamo agire sull'onda dell'emozione, del resto avevamo lanciato questa indagine già parecchio tempo fa, ma perché è il caso più recente - dipende solo dalla scelta dell'impresa che decide di lavorare abbattendo i costi e non riconoscendo i diritti a queste persone, o anche da un limite intrinseco della nostra legislazione, laddove non si riconoscono i diritti fondamentali dei lavoratori stranieri?
Credo che questo sia un punto importante se vogliamo costruire non una polemica politica, ma una strumentazione legislativa che ci metta in condizione di dare gli strumenti necessari all'impresa che vuole competere rispettando la legalità.
Oltre a ciò, dobbiamo dare a questi lavoratori gli strumenti che li mettano in condizione di non essere sotto ricatto del caporale che talvolta è anche del loro stesso colore.
Ebbene, a vostro avviso, oltre ad una serie di proposte che avete avanzato e che credo approfondiremo tutti con grande attenzione, in aggiunta alla strumentazione che già esiste e alle sanzioni previste per l'utilizzo del lavoro nero, che purtroppo spesso si rivelano inefficaci, sarebbe utile l'inserimento del reato di grave sfruttamento del lavoro nel nostro ordinamento penale?
A mio avviso, infatti, posto che un lavoratore viene pagato 25 o 15 euro al giorno per dieci o dodici ore di lavoro, se al momento della visita ispettiva tutto si riduce ad una sanzione amministrativa, non credo che questo sia sufficientemente dissuasivo verso quell'impresa che purtroppo, a volte volontariamente, decide di fare ricorso al lavoro nero e alle condizioni che abbiamo richiamato in precedenza.
Il rappresentante della Confagricoltura, se non sbaglio, ha parlato di un mercato del lavoro che non è nelle mani dello Stato, ma della criminalità e della sottrazione di risorse per quanto riguarda le imprese e i lavoratori.
Se ho capito bene, ci si riferiva alla questione della contribuzione e della previdenza.
Pongo dunque una domanda sulla base della mia esperienza. Oltre a un mercato del lavoro gestito dai caporali, non esiste anche un mercato dei contributi agricoli gestito illegalmente?
Non ci sono forse tanti e tante lavoratrici e immigrati che lavorano in agricoltura,


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ai quali si dà solo un magro salario, senza riconoscere alcuna contribuzione?
Non esistono poi altre persone che vengono dichiarate come lavoratori agricoli, in un mercato che è sempre nelle mani della criminalità organizzata?
Non voglio richiamare alcune indagini, timide per la verità, della magistratura in alcune aree del nostro Paese, tuttavia mi pongo una domanda.
I lavoratori irregolari che stavano a Rosarno, quelli che l'estate scorsa stavano a Foggia e via dicendo, che essendo irregolari non hanno nessuna dichiarazione all'INPS, nella previdenza agricola non vengono sostituiti da persone che forse la campagna non l'hanno mai vista e hanno solo acquistato i contributi da quelle stesse organizzazioni malavitose che offrono alle imprese la manodopera immigrata?
Inoltre, avete parlato di 100 mila lavoratori stranieri regolari in Italia, ma come associazioni agricole, per quello che si può fare in modo empirico, avete una idea di quanti siano invece i lavoratori immigrati irregolari utilizzati sul nostro territorio nelle varie campagne di lavorazione?
Infine, mi dispiace che i colleghi della Lega abbiano ritenuto non interessante questa audizione, ma chiedo se la nostra agricoltura, al nord e al sud, reggerebbe senza l'utilizzo dei lavoratori extracomunitari.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri auditi per la replica.

ROBERTO CAPONI, Rappresentante della Confagricoltura. Volevo intanto fare una precisazione. Quando parlavamo di lavoro vero, ovviamente non intendevamo dire che questo non sia lavoro effettivamente prestato. Anche a Rosarno si tratta di lavoro effettivamente prestato.
Parlavamo di lavoro vero in contrapposizione al lavoro nero, come lavoro regolare e di qualità.
Del resto, spesso, quando si parla di lavoro agricolo si finisce per riferirsi esclusivamente al lavoro nero e si rischia di non parlare dei problemi che pure ci sono nell'ambito del lavoro regolare.
Questa era la preoccupazione che abbiamo messo in evidenza in quel convegno e che è contenuta nel documento che vi abbiamo consegnato.
Evidentemente, la questione dello sfruttamento degli immigrati è complessa ed è innanzitutto di ordine pubblico, nel senso che evidentemente esistono nel nostro Paese degli ingressi irregolari, quindi dei cittadini extracomunitari che entrano e che soggiornano nel nostro Paese in modo irregolare.
Si pone poi un altro problema che attiene invece alla gestione del mercato del lavoro e alla criminalità.
In alcune aree - tengo a precisare che non mi riferisco al nostro Paese in assoluto, ma solo ad alcune aree -, esiste un influente controllo di soggetti che ovviamente non rappresentano le istituzioni e che gestiscono il mercato del lavoro.
Quando si parla di caporalato, è difficile avere una contezza precisa di tutto quello che accade. Quindi, ci riferiamo più che altro a sensazioni.
In ogni caso, la sensazione forte che avvertiamo è che ad essere taglieggiato non sia solo il lavoratore, ma anche l'impresa. Intendo dire che in alcune realtà non esistono altri canali e forse si pongono delle grosse limitazioni alla libertà di impresa. Tuttavia, siamo sempre nell'ambito di un problema di ordine pubblico.
Con riferimento al discorso delle sanzioni, ritengo che l'apparato sanzionatorio e repressivo sia abbastanza forte nel nostro Paese.
A parte le sanzioni già esistenti da tempo, è stata anche introdotta la maxisanzione per il lavoro sommerso che arriva fino a 12.000 euro per lavoratore, più 150 euro al giorno per ogni giorno di utilizzo irregolare del lavoratore. In seguito, viene la sospensione dell'attività imprenditoriale.
Se il rapporto tra lavoratori in nero e lavoratori regolari supera il 20 per cento, è prevista la sospensione dell'attività imprenditoriale. Questo è un deterrente molto forte.


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Per quanto riguarda gli immigrati, esistono delle norme di carattere penale che accompagnano tali disposizioni.
Riteniamo, dunque, che l'apparato sanzionatorio attuale non sia giustamente mite nei confronti di chi utilizza questi soggetti, ma evidentemente non si è rivelato efficace allo scopo. Bisognerà trovare ulteriori soluzioni a questo problema.
Altro tema di interesse è quello del lavoro fittizio. Come ha già detto il collega, in agricoltura esistono - questo è documentato dall'INPS, a seguito di una serie di accertamenti effettuati - rapporti di lavoro denunciati all'INPS, ma mai svolti. Tali lavori vengono denunciati al solo fine di far percepire indebitamente delle prestazioni a soggetti che non hanno mai lavorato.
Tale fenomeno esiste, è stato accertato e verificato dall'INPS nei suoi controlli.
Da tempo denunciamo tale situazione, perché gonfia la spesa previdenziale agricola e finisce per fornire prestazioni indebite in favore di soggetti che con l'agricoltura non hanno a che fare e che magari la campagna non l'hanno mai vista.
Chiaramente, dunque, questo fenomeno purtroppo esiste ed è prettamente agricolo. Non mi risulta che negli altri settori produttivi esso esista (forse esiste in misura minore).

GIULIANO CAZZOLA. Che ne pensa se, per combattere questo fenomeno, si abolissero gli elenchi anagrafici?

ROBERTO CAPONI, Rappresentante della Confagricoltura. Non abbiamo nessuna obiezione di fondo rispetto ad una soluzione che possa garantire la trasparenza.
Da questo punto di vista, dunque, siamo disponibili ad esplorare tutte le strade possibili, compresa questa, per cercare di eliminare, o quantomeno ridurre, questo fenomeno.
Da parte nostra non vi è alcuna preclusione rispetto a questa tematica.
Volevo poi aggiungere una considerazione a proposito dei 100.000 lavoratori extracomunitari regolari nel nostro Paese. È chiaro che già il numero dà l'idea, nel senso che sono 100 mila su un milione circa, vuol dire il 10 per cento della forza lavoro.
Inoltre, tali lavoratori si concentrano in determinate tipologie di attività, quali la raccolta della frutta, dei prodotti ortofrutticoli, la zootecnia e altre attività.
È chiaro, quindi, che questi comparti hanno necessità in modo strutturale, in tutta la penisola, dell'apporto dei lavoratori extracomunitari. Oggi sarebbe inimmaginabile che l'agricoltura possa andare avanti senza il loro apporto. Il problema è appunto la regolarità.

CLAUDIA MERLINO, Rappresentante della CIA. Colgo l'ultima considerazione del collega per riferirmi alla domanda volta a comprendere se questi lavoratori servano o meno.
I lavoratori extracomunitari ed immigrati sono fondamentali e sono ormai strutturali per il lavoro agricolo.
Certo, parliamo di stagionalità, ma chiaramente ormai parliamo di lavoratori che sono una componente strutturale del lavoro agricolo. Lo dico perché c'è una preoccupazione su questa affermazione.
Non vorremmo che, visti gli episodi recenti, vista l'emotività collegata ad essi, si decidesse una restrizione drastica sull'ingresso e sulle quote dei lavoratori extracomunitari. Una restrizione che, come abbiamo già fatto presente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, andrebbe soltanto a ripercuotersi su quelle aziende che presentano la domanda tramite il decreto flussi, mente chiaramente tutto il resto dei soggetti non bene identificati non sanno neppure cosa sia il decreto flussi.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Il mondo agricolo non è stato mai immune dal fenomeno della irregolarità o della sommersione.
Mi colpisce soltanto un dato, ossia che l'agricoltura oggi registra quasi il 25 per cento di irregolarità e, man mano che passano gli anni, questo fenomeno aumenta in percentuale. Ciò significa che intervengono anche altri fattori.


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Nel sud, per intenderci, in Calabria, in Sicilia, in Campania tale fenomeno è molto più diffuso. Eppure, in queste zone ci sono le agevolazioni previdenziali.
Forse il problema non dipende solo dal fatto che bisogna abbassare il livello dell'acqua, perché nel sud il livello dell'acqua è a metà, eppure capita di più di riscontrare fenomeni di irregolarità nel lavoro e quindi di lavoro nero.
Pertanto, la questione non si risolve solo in questo. Probabilmente, occorre considerare anche un ulteriore aspetto legato al lavoro nero, ossia il problema degli incidenti sul lavoro, che sono tantissimi. Negli ultimi sei anni, sono stati quasi 500 mila e mille i morti.
Il lavoro nero, quindi, va sempre accompagnato alla sicurezza sul lavoro.
Nelle relazione che ha svolto, Borgoni della Coldiretti, che ringrazio, parla di contesto specifico del territorio e dice che manca lo Stato. La Confagricoltura, del pari, afferma che il mercato del lavoro è in mano ad organizzazioni non del tutto in linea con lo Stato.
Insomma, se questo fenomeno esiste significa che vi sono anche aziende che si prestano ad accoglierlo.
Capisco che a livello di Ministero dell'agricoltura forse occorre fare di più, che in questi due anni abbiamo fatto soltanto due leggi che riguardano l'agricoltura, che non ci siamo mai interessati dei problemi veri e che ci sono altri aspetti che riguardano il rilancio del sistema competitivo, quindi quello che diceva la dottoressa Merlino, però probabilmente vi è un aspetto della questione che riguarda anche il costume e il modo di approcciarsi sia delle organizzazioni di categoria professionale, che delle persone.
I medici senza frontiere fanno capire che i due terzi di questi lavoratori non hanno casa o vivono in tuguri, che non hanno acqua potabile, né servizi sanitari.
Forse, allora, è necessario istituire un tavolo di concertazione, che faccia capire che l'emersione di questo tipo di lavoro non è legata soltanto al fatto che mancano le agevolazioni previdenziali, rispetto alle quali occorre lavorare ad una stabilizzazione, perché nei territori con minor costo previdenziale questo fenomeno è maggiormente diffuso.
L'agricoltura è per certi versi trascurata sotto questo punto di vista e molti fenomeni non sono quasi percepiti.
Tuttavia, il caporalato è un fenomeno che esiste nel sud. In proposito, occorre pensare che dei 25 euro che si danno ad un lavoratore immigrato forse 5 vanno addirittura al caporale. Questi fatti, quelli di Rosarno, ma anche di Castel Volturno, rappresentano con evidenza il fallimento di un modello di integrazione, la sottovalutazione del fenomeno criminale, ma anche la mancanza della politica.
Una mancanza della politica che avvertiamo noi, ma che credo questo Governo debba avvertire con maggiore responsabilità.

PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,25.

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