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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XIII
1.
Lunedì 19 dicembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Russo Paolo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'AGRICOLTURA SOCIALE

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni dell'agricoltura sociale, delle organizzazioni professionali e cooperative agricole, di enti pubblici, di studiosi ed esperti nonché dei rappresentanti dei Ministeri con competenze sulla materia:

Russo Paolo, Presidente ... 3 7 23 28 30 32 35 36 38 39
Biolghini Tiziana, Coordinatore del Forum delle fattorie sociali della provincia di Roma ... 20
Bosco Silvia, Segretario nazionale di Donne impresa della Coldiretti ... 27
Cardinale Adelfio Elio, Sottosegretario di Stato per la salute ... 30
Cirulli Francesca, Ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità ... 11
Cristaldi Bruno, Responsabile per le politiche sociali di Confeuro ... 37
De Bernardo Vincenzo, Direttore di Federsolidarietà-Confcooperative ... 33
Delfino Teresio (UdCpTP) ... 32
Di Giovannantonio Claudio, Dirigente responsabile dell'Area tutela risorse dell'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura del Lazio (ARSIAL) ... 13 16
Di Giuseppe Anita (IdV) ... 16
Di Iacovo Francesco Paolo, Professore associato di economia agraria presso l'Università degli studi di Pisa ... 21
Di Stefano Marco Berardo, Presidente della Rete delle fattorie sociali ... 4 16
Finuola Roberto, Esperto ... 5
Fiorio Massimo (PD) ... 19
Fravili Enrico, Responsabile tecnico dei settori produttivi della Copagri ... 28
Gandin Giuseppe, Presidente nazionale dell'associazione Turismo Verde-CIA ... 28
Giarè Francesca, Ricercatrice dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA) ... 7
Grossi Paola, Responsabile dell'ufficio legislativo della Coldiretti ... 25
Macrì Maria Carmela, Ricercatrice dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA) ... 9
Mangone Giuseppe, Responsabile per l'agricoltura sociale dell'Associazione nazionale produttori agricoli (ANPA) ... 36
Marcocci Marco, Dirigente del settore agricoltura di Legacoopsociali ... 35
Oliverio Nicodemo Nazzareno (PD) ... 38
Senni Saverio, Professore associato di economia e politica dello sviluppo rurale presso l'Università degli studi della Tuscia ... 23
Stingo Salvatore, Portavoce del Forum nazionale dell'agricoltura sociale ... 17 19
Zampetti Andrea, Docente collaboratore della Facoltà di scienze dell'educazione dell'Università Pontificia Salesiana ... 13

ALLEGATI:
Allegato 1: Documentazione consegnata da Marco Berardo Di Stefano, presidente della Rete delle fattorie sociali ... 41
Allegato 2: Documentazione consegnata da Roberto Finuola, esperto ... 45
Allegato 3: Documentazione consegnata da Francesca Giarè, ricercatrice dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA). ... 68
Allegato 4: Documentazione consegnata da Maria Carmela Macrì, ricercatrice dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA). ... 75
Allegato 5: Documentazione consegnata da Francesca Giarè e Carmela Macrì, ricercatrici dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA).. ... 85
Allegato 6: Documentazione consegnata da Francesca Cirulli, ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità ... 117
Allegato 7: Documentazione consegnata da Andrea Zampetti, docente collaboratore della Facoltà di scienze dell'educazione dell'Università Pontificia Salesiana.. ... 136
Allegato 8: Documentazione consegnata da Claudio Di Giovannantonio, dirigente responsabile dell'Area tutela risorse dell'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura del Lazio (ARSIAL)... ... 153
Allegato 9: Documentazione consegnata da Salvatore Stingo, portavoce del Forum nazionale dell'agricoltura sociale. ... 186
Allegato 10: Documentazione consegnata da Francesco Paolo Di Iacovo, professore associato di economia agraria presso l'Università degli studi di Pisa, e Saverio Senni, professore associato di economia e politica dello sviluppo rurale presso l'Università degli studi della Tuscia .. ... 201
Allegato 11: Documentazione consegnata da Enrico Fravili, responsabile tecnico dei settori produttivi di Copagri... ... 218
Allegato 12: Documentazione consegnata da Giuseppe Mangone, responsabile per l'agricoltura sociale dell'Associazione nazionale produttori agricoli (ANPA)... ... 222
Allegato 13: Documentazione consegnata da Bruno Cristaldi, responsabile per le politiche sociali di Confeuro ... 225
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud): Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

[Avanti]
COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di lunedì 19 dicembre 2011


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PAOLO RUSSO

La seduta comincia alle 15,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni dell'agricoltura sociale, delle organizzazioni professionali e cooperative agricole, di enti pubblici, di studiosi ed esperti nonché dei rappresentanti dei Ministeri con competenze sulla materia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'agricoltura sociale, l'audizione di rappresentanti delle organizzazioni dell'agricoltura sociale, delle organizzazioni professionali e cooperative agricole, di enti pubblici, di studiosi ed esperti nonché dei rappresentanti dei Ministeri con competenze sulla materia.
Come sapete, per questa indagine la Commissione agricoltura ha scelto di adottare un modulo seminariale che si svilupperà con l'audizione contestuale di tutti i soggetti in grado di offrire un utile contributo di conoscenza e di valutazione.
A nome della Commissione rivolgo, quindi, il benvenuto a tutti i presenti, rappresentanti di un mondo, quello della cosiddetta agricoltura sociale, testimonianza di un legame strettissimo tra le aree rurali, chiamate dai tempi più remoti ad esprimere i valori di solidarietà e di mutuo aiuto, e alcune categorie di persone che, per ragioni fisiche, psichiche o sociali, possono trarre profondo giovamento da una vita a contatto con la natura e con i suoi cicli produttivi.
Il ruolo multifunzionale dell'agricoltura di cui oggi molto si parla è quindi un'attitudine antica di questa attività, che oggi si arricchisce di nuove forme connesse allo sviluppo della civiltà moderna, ai processi di industrializzazione e di internazionalizzazione dei mercati, alla necessità, in particolare, di preservare il reddito degli agricoltori con la funzione sociale e di tutela del territorio cui è chiamata l'azienda agricola.
Siamo convinti che le risorse culturali di un Paese, tra le quali spicca il patrimonio rurale e la sua funzione di preservazione di un particolare stile di vita, non debbano essere considerate alla stregua di meri elementi di folklore, ma bensì come risorse immateriali centrali per meglio affrontare le sfide dell'economia.
In tal senso, l'agricoltura sociale, intesa come nuovo modello di welfare locale, potrebbe essere considerata a pieno titolo tra le leve strategiche dello sviluppo rurale. Poiché la Commissione è oggi chiamata esclusivamente ad ascoltare i contributi degli esperti del settore, non entrerò nel merito delle questioni.
Le considerazioni e i suggerimenti qui esposti serviranno alla Commissione per una riflessione ampia in ordine agli eventuali ed ulteriori interventi che si dovessero rivelare necessari.


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Nel rinviare al programma in distribuzione per l'indicazione delle numerose persone presenti che accompagnano gli auditi, lascio loro la parola, ringraziandoli nuovamente per essere intervenuti e invitandoli a presentarsi personalmente.
Al termine degli interventi prenderanno la parola i colleghi deputati, cui faranno seguito eventuali repliche degli auditi di volta in volta.
Chiederei a Marco Berardo Di Stefano, presidente della Rete delle fattorie sociali, di aprire la serie di interventi programmati.

MARCO BERARDO DI STEFANO, Presidente della Rete delle fattorie sociali. Egregio signor presidente, onorevoli commissari, gentili ospiti, «se un uomo ha fame non regalargli un pesce ma insegnagli a pescare», così recita un antico proverbio.
Il più alto riconoscimento avuto in epoca moderna nell'ambito dell'economia sociale è stato ottenuto dal premio Nobel Muhammad Yunus. Egli, con il microcredito, ha dimostrato che con poco, se speso bene, si possono ottenere dei risultati sociali sorprendenti.
La Rete delle fattorie sociali riunisce le fattorie sociali italiane, le associazioni di familiari di persone svantaggiate e tutti coloro che sono interessati al consumo etico. In essa confluiscono tutte quelle sigle sindacali che hanno ritenuto indispensabile collaborare su un argomento così importante, delicato e specifico, ritenendo che l'unione delle forze fosse fondamentale per lo sviluppo dell'agricoltura sociale italiana.
Nell'agricoltura sociale la parola «sociale» non significa assistenzialismo, ma solidarietà. Si è in presenza di una realtà che coinvolge nella propria attività agricola soggetti svantaggiati - ad esempio persone disabili, pazienti psichiatrici, ex detenuti, vittime della tratta, ex tossicodipendenti, rifugiati politici - il coinvolgimento dei quali avviene attraverso l'inclusione lavorativa, puntando ad arrivare all'autosostenibilità economica dell'occupazione creata, grazie a dei modelli commerciali che permettano alle fattorie sociali di essere competitive sul mercato.
Si è in presenza, inoltre, di prestazioni di servizi di carattere educativo, formativo, riabilitativo, terapeutico e di ospitalità. In termini economici, per le istituzioni pubbliche, investire nelle fattorie sociali è motivo di ottimizzazione dei costi. Una persona che da una situazione di assistenzialismo puro - con tutte le spese che questo comporta, come ad esempio le pensioni sociali, le rette dei centri diurni, l'accompagno - passi ad essere soggetto attivo della società attraverso il lavoro è fonte di grande risparmio per le istituzioni.
Per questo favorire lo sviluppo dell'agricoltura sociale nel nostro Paese rappresenta un interesse non solo morale ma anche economico. Il lavoro e i suoi prodotti non sono il fine ultimo dell'attività, ma diventano lo strumento per dare un'opportunità, se non l'opportunità, a quelle persone che apparentemente dalla vita hanno avuto meno possibilità di dimostrare di essere assolutamente come tutti gli altri e di avere diritto come tutti a una vita normale, trasformandosi così da soggetti passivi ed emarginati a soggetti protagonisti e attivi, in modo da non essere un costo bensì una risorsa per la nostra società.
L'obiettivo che noi ci proponiamo non è di fare cose straordinarie, è molto più ambizioso e si chiama «normalità». In quest'epoca di grandi cambiamenti e di gravissima crisi in cui l'agricoltura vive l'esperienza già sperimentata dai produttori di candele allorquando furono inventate le lampadine e dove dai nostri padri possiamo ricevere un'eredità morale e un amore viscerale per la terra, ma non conoscenze di carattere tecnico e di mercato perché tutto ciò che da questo punto di vista era vero per loro oggi non lo è più, è indispensabile saper leggere i tempi.
L'agricoltura sociale è utile non solo a tutte quelle persone che ne traggano dei benefìci per la propria salute, ma è anche un'importante risorsa per tutti quegli agricoltori che, in forma singola o associata, decidono di aprire le proprie aziende


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agricole a questo tipo di realtà e che, attraverso l'agricoltura sociale, possono da un lato raggiungere quella parte di mercati che valorizzano il prodotto etico e dall'altro aumentare l'offerta di servizi erogabile da una fattoria. Nell'agricoltura sociale non esiste emarginazione, perché la natura accoglie tutti.
Ora vorrei cedere la parola ad alcuni ricercatori che in questi anni hanno studiato il fenomeno, per poi concludere brevemente con delle proposte per lo sviluppo dell'agricoltura sociale nel nostro Paese.

ROBERTO FINUOLA, Esperto. Sono Roberto Finuola e fino allo scorso mese di marzo, quando sono andato in pensione, sono stato dirigente generale del Ministero dell'economia e delle finanze prima e poi dello sviluppo economico, nell'ambito del Dipartimento politiche di sviluppo e coesione. Seguo l'agricoltura, la materia rurale e - in particolare, da diversi anni - l'agricoltura sociale. Per questo sono stato invitato e vi ringrazio, sperando che il mio intervento possa essere utile.
L'oggetto del mio intervento riguarda le politiche che fanno riferimento all'agricoltura sociale. Quanto all'agricoltura sociale, non intendo dare definizioni, ma semplicemente delinearne i caratteri comuni. Si tratta di pratiche molto diverse l'una dall'altra nell'ambito di un'azienda agricola, rivolte a soggetti deboli. Questi possono essere persone con handicap fisico e psichico, persone in una situazione di svantaggio localizzato, per esempio detenuti ed ex detenuti, gli immigrati, gli anziani. Si tratta, però, anche di un modo diverso di definire i rapporti fra il produttore e l'utente, ossia il consumatore di prodotti dell'agricoltura sociale.
L'agricoltura sociale non è un fenomeno di nicchia. In realtà, è una componente molto importante della politica territoriale, per tutti gli aspetti che sono elencati (sui quali glisso per ovvi motivi di tempo), che vanno dall'abbandono alla possibilità di offrire servizi nelle aree rurali, al rapporto città-campagna, alle nuove opportunità per gli agricoltori. L'agricoltura sociale è poi un elemento fondamentale nell'ambito della riutilizzazione delle terre confiscate alle organizzazioni mafiose.
Il fenomeno delle politiche territoriali non riguarda solo l'Italia. Bisogna, infatti, considerare che in tutta Europa il 40 per cento della popolazione vive a mezz'ora di distanza o più da ospedali, e che il 43 per cento della popolazione europea vive a più di un'ora di distanza da un'università o da un centro di istruzione superiore.
Per questo l'OCSE, nel ridefinire nel 2006 il nuovo paradigma di sviluppo rurale, nel quale la componente agricola veniva fusa con le altre componenti che diventano sempre più importanti nella diversificazione dell'economia rurale, e nei casi studio che hanno riguardato l'Italia, ha avuto un occhio di particolare riguardo per l'agricoltura sociale.
Quella dell'agricoltura sociale è una realtà diffusa un po' in tutta Europa ma - come ormai si dice - in realtà, molto spesso si fa agricoltura sociale senza neanche sapere che la si sta facendo.
Vi sono caratteristiche che accomunano le fattorie sociali: per esempio, l'utilizzazione di animali, le coltivazioni per i disabili, l'essere aziende aperte e fortemente motivate, il fatto di collegarsi in rete, il fatto di svolgere molte attività, il biologico. Questi elementi sono comuni in tutta Europa.
Gli stadi di sviluppo sono diversi. In alcuni Paesi, ad esempio la Slovenia, ci sono iniziative spot. In altri Paesi, come il Belgio, l'agricoltura è l'elemento fondamentale e lo sviluppo è fortemente connaturato con lo sviluppo rurale. In altri ancora, ad esempio in Olanda, c'è un'agricoltura sociale che è fortemente orientata al mercato dei servizi sanitari, (le Care farms); c'è un'agricoltura che è un punto di riferimento, al quale forse ancora non si è arrivati, come un modello inclusivo che riesce a coniugare le realtà e a far parlare professionalità così diverse come quella agricola, sanitaria, sociale e così via.
Ci sono, dunque, politiche diversamente mature nei vari Paesi. Senza ripetermi, cito il Belgio e l'Italia per lo sviluppo


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rurale, l'Olanda per la sanità. Voglio però fare riferimento al nostro Paese, in cui sono fortemente presenti politiche rivolte all'inclusione sociale e all'inserimento lavorativo (le cooperative sociali), nonché la politica della sicurezza (è un fatto peculiare nostro l'utilizzazione dei beni dei mafiosi). In Francia e Germania, invece, sono molto più presenti politiche rivolte al sociale e all'inclusione dei soggetti disabili.
Sono numerose le politiche coinvolte dall'agricoltura sociale: i ministeri interessati sono ovviamente quello dell'agricoltura, della sanità, della giustizia e degli interni per i beni confiscati, il Ministero del lavoro e il Ministero dello sviluppo economico per i fondi strutturali.
Tutti sappiamo che l'agricoltura sociale è stata riconosciuta ufficialmente dal Piano di sviluppo rurale vigente, che l'ha definita come una delle azioni chiave dell'asse 3 nell'ambito della diversificazione. L'Italia ha la palma per essere stato il primo Paese a riconoscerlo in un documento ufficiale.
Forse meno noto è il ruolo che hanno svolto e svolgono i fondi strutturali, in particolare il Fondo sociale europeo. Non a caso, fra le dieci priorità del Quadro strategico nazionale, che è il documento base che definisce le priorità articolate nei programmi regionali, figurano l'inclusione sociale e i servizi per la qualità della vita e il rapporto città-campagna.
Quello che è avvenuto e sta avvenendo e che, purtroppo, mi corre l'obbligo di segnalare alla Commissione, è che lo sviluppo rurale e i fondi strutturali viaggiano in maniera parallela se non addirittura separata, a volte creando sovrapposizioni sul territorio. Non è un caso che la bozza di regolamento sui nuovi obiettivi del secondo pilastro dello sviluppo rurale per il 2014-2020 - oltre a prevedere fra i sei obiettivi il potenziale occupazionale dello sviluppo rurale e parlare di diversificazione, di inclusione sociale, di povertà, di sviluppo rurale - prevede anche, cogliendo questa frammentazione fra le due citate programmazioni, la realizzazione da parte di ogni Paese membro di un quadro strategico comune sia per i fondi strutturali, sia per il fondo di sviluppo rurale.
Noi ci auguriamo che il Ministero dell'agricoltura, così come ha fatto finora, possa, nell'ambito del negoziato, migliorare le possibilità offerte dal regolamento alle iniziative di sviluppo locale.
Accenno alle politiche sociali e alle politiche sanitarie per coglierne il punto essenziale. Nelle politiche sociali - lo sapete meglio di me - la competenza è delle regioni, in base alla nuova formulazione della Costituzione. Per quanto riguarda, invece, le politiche sanitarie c'è una legislazione concorrente Stato-regioni. La gestione degli interventi per le politiche sociali è affidata ai comuni, mentre per le politiche sanitarie alle ASL.
Il tema dell'integrazione sociosanitaria - che interessa così fortemente l'agricoltura sociale e che, attraverso la pet therapy, l'orticoltura eccetera, sviluppa un'offerta di servizi - si interseca fra queste due realtà. C'è una pluralità di strumenti di programmazione sia nelle politiche sociali sia in quelle sanitarie, che generano spesso sovrapposizione, confusione, disorientamento per gli operatori, in specie per gli operatori agricoli che si trovano a fronteggiare esperienze e realtà cui non sono abituati.
La nostra normativa non aiuta, mi riferisco, in particolare, alla formulazione un po' problematica del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2001 in tema di integrazione sociosanitaria; le diverse componenti che definiscono chi interviene (la parte sociale o la parte sanitaria) finiscono per costituire per gli operatori un momento di estrema difficoltà.
Queste realtà si superano quando si trovano sul territorio - esperienze in tal senso cominciano a essercene molte - uomini di buona volontà, nelle istituzioni sanitarie e nelle aziende agricole, che si incontrano per realizzare progetti e iniziative.
Un ruolo molto importante per creare questo momento di contatto - lo segnalo con molto piacere - lo hanno giocato le


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cooperative sociali agricole, che sono agricoltura, ma allo stesso tempo terzo settore, mondo del volontariato, sociale, e quindi hanno creato dei legami e dei ponti nei quali gli operatori privati hanno potuto trovare spazi.
Quella delle politiche per la sicurezza è una specialità tutta italiana, essendo questo un problema tipicamente nostro. In questo ambito rientra la creazione dell'Agenzia per l'utilizzazione dei beni confiscati. Ci sono realtà importanti che stanno crescendo, come Libera Terra, ma anche nelle realtà carcerarie. L'AIAB (Associazione italiana per l'agricoltura biologica) ha svolto una serie di ricerche molto mirate su questo alle quali rinvio.
Quello delle politiche per l'istruzione è un caso in cui abbiamo un'ottima normativa, forse una delle più avanzate in Europa, per l'inclusione scolastica di studenti difficili. Il problema è che spesso tali politiche non sono utilizzate, ma laddove lo sono - ancora una volta sono gli uomini che fanno le cose - ci sono iniziative estremamente interessanti.
Veniamo ora ai punti problematici. Nel grafico che adesso vi mostrerò ho schematizzato, rispettivamente con i frutti maturi e i frutti acerbi, le politiche che sono in qualche modo già avanzate, su cui l'agricoltore privato può anche trovare spazi, e le realtà difficoltose. Le difficoltà sono soprattutto nell'ambito delle attività terapeutico-riabilitative. Il filo spinato che separa il palazzo del Ministero delle politiche agricole da quello del Ministero della salute significa che c'è qualche problema. Si tratta essenzialmente di questo: le attività terapeutico-riabilitative che possono essere finanziate per lo start up nell'ambito dello sviluppo rurale (quindi il Ministero delle politiche agricole) non trovano un mercato perché nell'ambito dei Livelli Essenziali di Assistenza che il Piano sanitario nazionale prevede non sono riconosciute né l'orticoltura né la pet therapy né l'onoterapia e le altre terapie che prevedono l'utilizzo di animali.
Sono in atto degli sforzi di cui i colleghi dell'INEA e dell'Istituto superiore di sanità ne sono gli artefici, Ad esempio è stato costituito un tavolo presso l'INEA che sta lavorando su questo tema e sulle attività collaterali, come quelle sulla pet therapy, di cui parlerà meglio di me la collega Francesca Cirulli.
Sono numerose le iniziative di legge sul tema. Molte regioni hanno regolamentato al riguardo, ma probabilmente la materia dell'agricoltura sociale necessita di un momento di sintesi che, nel rispetto delle competenze regionali in materia, aiuti a creare dei legami tra questi mondi così diversi nell'ambito di progetti sperimentali e innovativi, che vedano coinvolti Stato e regioni.
Vi ringrazio per l'attenzione (Applausi).

PRESIDENTE. Abbiamo innovato anche da questo punto di vista: nelle audizioni non c'è la consuetudine di applaudire, per quanto possa essere forte l'apprezzamento. Ringrazio il dottor Roberto Finuola anche per la documentazione grafica che ci ha fornito.
Nel dare la parola alla dottoressa Francesca Giarè, ricercatrice dell'Istituto nazionale di economia agraria, chiederei un maggiore rigore sui tempi. Ovviamente, quando i colleghi ritengono di dover intervenire su questioni specifiche per domande non devono far altro che segnalarmelo.

FRANCESCA GIARÈ, Ricercatrice dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA). Ringrazio il presidente e la Commissione per avermi invitato a offrire il mio contributo sul tema. Cercherò di essere breve il più possibile; ho anche portato alcuni lavori svolti dall'INEA che lascio alla Commissione.
Vi sono alcuni progetti nell'ambito dei quali abbiamo approfondito il tema dell'agricoltura sociale. Per quanto mi riguarda, cercherò di svolgere delle considerazioni generali senza soffermarmi troppo sui singoli aspetti e sui singoli progetti.
Per completare quanto già detto dal dottor Finuola, vorrei dare qualche informazione sul fenomeno nel complesso, partendo proprio dal fatto che mancano dati


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complessivi sullo stesso. L'unico dato certo è quello relativo alle cooperative sociali agricole, che nel 2010 erano 385. Al riguardo, stiamo ultimando un'indagine ulteriore per capire la consistenza e la tipologia di attività. Non sono, però, disponibili altri dati complessivi, nonostante alcune indagini negli anni siano state svolte. Regioni e Agenzie di sviluppo agricolo - sono presenti anche rappresentanti delle Università di Pisa e della Tuscia, e dell'AIAB - hanno cercato di approfondire, magari affrontando più alcuni aspetti e meno altri, ma allo stato manca un dato complessivo. Le stime dicono che sono oltre mille le realtà; in alcuni casi si arriva a ipotizzare che siano anche 2.000.
Quello che salta agli occhi immediatamente, analizzando la situazione, è che si tratta di realtà che riescono a realizzare contestualmente prodotti agricoli e servizi sociosanitari. Non mi addentro nel tema perché il dottor Finuola lo ha già presentato a sufficienza. Si tratta, in genere, di realtà aggregate - nel senso che coinvolgono imprese o cooperative sociali agricole, ma anche servizi sanitari pubblici, associazioni e altre realtà del territorio - che utilizzano le norme attualmente a disposizione a livello nazionale o regionale per formalizzare accordi o protocolli. Le forme sono molto varie, ne stiamo raccogliendo numerose e rispondono un po' alla creatività locale dei soggetti coinvolti.
Queste realtà sviluppano molte attività, oltre a quella agricola; in genere c'è una grande diversificazione delle attività con una predilezione per i canali della filiera corta e, quindi, un rapporto diretto con il consumatore. Inoltre, utilizzano terreni e strutture in comodato d'uso, in affitto, confiscati alle mafie. Questo è un problema sul quale forse è il caso di tornare in seguito.
Sicuramente, queste realtà producono una diversificazione dei servizi nelle aree rurali, rispondendo anche a bisogni locali molto specifici, e producono occupazione, in particolare per soggetti svantaggiati, ma non solo. Una loro caratteristica è quella di vedere il lavoro non come un costo dell'impresa o della cooperativa, ma come un valore; quindi, si punta in genere a diversificare e aumentare le attività per produrre lavoro. C'è un'offerta di prodotti agricoli sempre di qualità, legata al territorio, spesso anche a basso impatto ambientale e con un forte valore aggiunto di tipo sociale. Si tratta, quindi, di un'opportunità di reddito per le imprese agricole, ma soprattutto queste realtà tendono a creare e mantenere reti locali di soggetti che operano nell'ambito dell'agricoltura sociale. Peraltro, non si creano solo reti locali, ma vi sono anche diverse aggregazioni a livello regionale e, a livello nazionale, tentativi di gruppi di scambio di esperienze e di comunicazioni, anche con il tentativo di produrre proposte utili per lo sviluppo dell'attività.
Possiamo dire che c'è anche un contributo al consolidamento del capitale sociale e al miglioramento della qualità della vita. Più in generale, l'agricoltura sociale è un'attività che propone un modello di agricoltura multifunzionale, a basso impatto ambientale, radicato sul territorio. In sostanza, si tratta di un modello di agricoltura importante, che sempre più si va diffondendo e che dimostra di saper stare anche sul mercato. Sono esperienze che tendono verso un modello di coesione sociale e, inoltre, contribuiscono alla creazione di un welfare partecipato a livello locale. In questo senso, si tratta sicuramente di esperienze di tipo innovativo e che producono effetti molto interessanti.
Abbiamo incontrato, soprattutto negli ultimi mesi, molte realtà a livello locale in diverse regioni italiane e in tale attività abbiamo notato che le problematiche sollevate dalle realtà stesse riguardano la disparità di riconoscimento e trattamento nelle diverse regioni (in alcune regioni ci sono norme che in altre non esistono), un problema di comunicazione e collaborazione tra i diversi settori coinvolti, quindi le politiche sociali, agricole e sanitarie (in alcuni casi a livello locale si riesce a produrre protocolli interessanti e a svolgere attività molto interessanti e utili, in altri casi questa collaborazione manca e si lamenta una difficoltà), un problema di accesso ai finanziamenti pubblici (si pensi


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al PSR ma anche agli altri fondi agricoli e ai fondi sociosanitari, perché spesso le misure e i bandi sono costruiti in modo tale che queste realtà non possono parteciparvi), un problema di accesso al credito, un problema di riconoscimento di alcuni costi (spesso le politiche finanziano le spese per le strutture e meno quelle per il personale e, mi riferisco soprattutto alle politiche agricole, non finanziano costi per il personale occupato in attività di tipo sociosanitario), un problema di riconoscimento del valore aggiunto di tipo sociale, quindi anche un problema di far vedere ai consumatori e alla società qual è il tipo di prodotto che viene presentato, e una scarsità di terreni e di strutture a basso costo (spesso sono terreni in comodato d'uso o in affitto, ma questo sicuramente rappresenta un problema).
Molto brevemente, per chiudere, riporto alcune proposte che sono state formulate anche dalle realtà che abbiamo incontrato, e che abbiamo cercato di riassumere in qualche modo. Sicuramente è stata rappresentata la necessità di predisporre una norma quadro di riferimento a livello nazionale, che però non sia restrittiva o omologante, perché questo può essere visto come un problema e può chiudere la possibilità di innovare e di trovare altri percorsi interessanti. Sulla base di questa norma quadro potrebbero, poi, essere armonizzate le leggi regionali già predisposte oppure se ne potrebbero predisporre delle altre.
Un'altra proposta riguarda la promozione di forme di collaborazione tra le istituzioni a vario livello. Finuola citava il tavolo costituito presso l'INEA con il Ministero dell'agricoltura; esso sta andando un po' a rilento, perché mette insieme competenze diverse, quindi è anche difficoltoso riuscire a lavorare insieme. Sicuramente vanno proposte esperienze di questo tipo o anche altre forme di coordinamento e di concertazione ai vari livelli.
Altre proposte potrebbero essere quelle di favorire l'accesso ai finanziamenti pubblici e l'accesso al credito, trovando anche formule più adeguate per fare in modo che queste realtà possano partecipare; prevedere dei piani per lo sviluppo dell'agricoltura sociale, con la quantificazione di obiettivi, che dovrebbe però basarsi chiaramente su un sistema informativo adeguato; predisporre i piani di comunicazione, di assistenza tecnica, di divulgazione per sostenere l'avvio di nuove iniziative. Molto spesso ci arrivano richieste da cooperative, imprese, associazioni che ci chiedono come si fa a iniziare, quindi probabilmente a livello locale potrebbe essere utile avere forme di comunicazione di questo tipo.
Altra proposta è quella di facilitare l'assegnazione di terreni confiscati alle mafie e di quelli del demanio o in genere terreni pubblici, in modo che queste realtà possano avere a basso costo dei terreni disponibili.
Vi ringrazio per l'attenzione e rimango a disposizione per eventuali domande.

MARIA CARMELA MACRÌ, Ricercatrice dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA). Buonasera a tutti. Cercherò nel minor tempo possibile di descrivervi il progetto che abbiamo realizzato all'INEA sulla valutazione delle pratiche di agricoltura sociale, spiegando in base a quale logica abbiamo scelto i casi studio, qual era l'oggetto dell'analisi, i risultati e le prospettive di ricerca.
Questo è un tema molto vasto. Le pratiche che possono essere attivate in tale contesto sono davvero tante; gli utenti e i soggetti che erogano i servizi possono essere diversi. L'INEA ha deciso di avviare una valutazione su un aspetto specifico, quello dell'efficacia ed efficienza delle pratiche di riabilitazione e di inclusione sociale dei soggetti portatori di disabilità psichiche.
Questa attività è cominciata all'inizio del 2010, in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità, e ha condotto ad alcuni risultati che noi consideriamo fondamentalmente preliminari a una seconda fase di valutazione sperimentale che stiamo adesso avviando sul campo.
Come Istituto nazionale di economia agraria, abbiamo sin dall'inizio premesso


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che a noi interessava un aspetto prettamente settoriale: non ci interessava un'affermazione generica circa il fatto che il vivere in campagna aiuta a stare meglio, ma volevamo effettivamente verificare e sostenere in qualche modo che il settore agricolo - come settore produttivo - è in grado di offrire servizi sociosanitari in maniera efficace, producendo anche un risparmio di costi e ovviamente anche avvantaggiandosene come settore, in maniera economicamente sostenibile.
Per questa ragione, i casi studio dovevano verificare la condizione di contenere una realtà di tipo aziendale, una realtà comunque produttiva orientata al mercato, escludendo quelle situazioni, sicuramente interessanti però non proprio appartenenti all'oggetto della nostra ricerca, come ad esempio gli orti negli ospedali psichiatrici, che pure hanno un interesse ma di altro tipo (a noi, lo ripeto, interessava l'aspetto strettamente legato al settore agricolo).
Allo stesso tempo, l'azienda non era l'unico oggetto di interesse, perché comunque a noi interessava valutare anche altri aspetti legati al contesto, alla relazione con gli utenti ma anche con le famiglie.
I cinque casi studio che abbiamo selezionato sono diversi sia per collocazione geografica sia per altre caratteristiche, soprattutto rispetto alla natura del soggetto giuridico che lo ha attivato. Ad esempio, le esperienze della Valdera e di Pordenone sono nate su stimolo di un soggetto pubblico; l'esperienza di Pontinia nasce, invece, da un imprenditore privato che ha poi coinvolto i soggetti pubblici; a Grottaferrata si tratta di una cooperativa sociale e a Bassano del Grappa di un'associazione. Pertanto, queste realtà hanno una natura diversa dal punto di vista giuridico, ma anche da un punto di vista di ambito di competenza (sociosanitario e agricolo).
Abbiamo individuato, quindi, gli ambiti di analisi: come dicevo prima, non soltanto il soggetto erogante, non soltanto l'azienda, ma anche gli utenti, i beneficiari nonché le loro famiglie e il territorio inteso nel senso più ampio possibile. Per ogni ambito di analisi abbiamo cercato di individuare insieme quali fossero gli elementi interessanti da approfondire. Ad esempio, per i soggetti abbiamo considerato le modalità di coinvolgimento e quelle di presa in carico, la presenza di un progetto terapeutico, quindi anche indicatori di valutazione; per l'azienda abbiamo valutato le caratteristiche, la natura giuridica, ma anche le dotazioni di strutture disponibili, le pratiche realizzate; per le famiglie, innanzitutto l'esistenza delle stesse, il coinvolgimento, il livello di soddisfazione, l'esistenza di rapporti con altre famiglie e con la realtà esterna; per il territorio, abbiamo cercato di individuare i soggetti coinvolti e il tipo di rapporto dell'azienda con il territorio.
Per quanto riguarda gli aspetti aziendali abbiamo potuto constatare, dal punto di vista delle caratteristiche strutturali, che la superficie non è un fattore determinante. Ci sono aziende che vanno dai 4 ai 150 ettari. È importante, invece, la disponibilità di immobili, perché essa consente sia l'opportunità di diversificare la produzione (quindi occuparsi, oltre che della coltivazione, di attività quali la ristorazione, la trasformazione e la vendita diretta) sia anche di avere momenti di socializzazione e, quindi, attività che vanno al di là della vera e propria produzione.
Per quanto riguarda l'orientamento produttivo, l'orientamento è fondamentalmente verso le produzioni a ciclo breve, ad esempio quelle orticole, perché permettono all'utente di vedere concretamente il risultato del suo lavoro. Peraltro, queste produzioni generalmente hanno una maggiore intensità di lavoro. È ovvio infatti che deve trattarsi di produzioni che impiegano molta manodopera.
Generalmente, si tratta di produzioni biologiche, per vari motivi. In primo luogo, per un motivo etico, perché comunque si vuole sostenere un'agricoltura che ha cura non solo dell'individuo, ma anche del territorio, delle generazioni future e, quindi, si sostiene un'agricoltura diversa. Ci sono, inoltre, motivazioni molto pratiche, ad esempio il fatto di non dover


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utilizzare input chimici, per la sicurezza delle persone; infine, c'è un discorso di convenienza economica perché il biologico può spuntare prezzi di mercato più alti. In definitiva, le ragioni di questa scelta sono molteplici.
Analogamente, sono realtà abbastanza diversificate per motivazioni varie. Vi è un discorso relativo all'ampliamento delle opportunità di impiego dei soggetti, impiegando le persone ognuna in base alla propria abilità, ma anche all'entrare in relazione il più possibile con il contesto esterno all'azienda, perché anche questo crea integrazione. Inoltre, vi è un aspetto più prettamente economico: appropriarsi di margini di profitto che altrimenti andrebbero all'esterno dell'azienda, ad esempio la distribuzione. Tale aspetto è collegato anche con il discorso delle forme di commercializzazione: come è stato già detto, generalmente si preferisce il canale corto, più o meno sempre per le stesse ragioni, quindi vendita diretta in azienda o gruppi d'acquisto.
Per quanto riguarda il territorio e le famiglie, anche i rapporti con il territorio sono molto diversi; sicuramente sono sempre molto forti e molto intensi, perché comunque queste realtà si nutrono dei legami con il territorio. Più le relazioni sono importanti e intense, più queste esperienze sono vitali.
Il rapporto con le famiglie è un po' controverso. Questi soggetti sono tutti affidati alle famiglie perché non sono autonomi e le famiglie, in genere, assumono un atteggiamento di diffidenza e un po' conservativo, perché hanno paura di affidare completamente questi soggetti a un percorso che può non consentire loro il raggiungimento completo dell'autonomia, ma fargli perdere magari dei privilegi (Commenti di Tiziana Biolghini).
Non ho detto che le famiglie non sono d'accordo. C'è un rapporto che può essere a volte un po' controverso. Ad ogni modo, consideriamo questi risultati come un panorama, nel senso che adesso stiamo iniziando una nuova fase di ricerca, più sperimentale, nella quale vogliamo monitorare due gruppi di soggetti per valutare se c'è effettivamente una riduzione del disagio soggettivo, in termini di miglioramento dell'autonomia personale e di riduzione dell'utilizzo di psicofarmaci. Questo ovviamente si trasforma in un risparmio di costi sanitari, quindi consente di giustificare, in qualche maniera, l'intervento pubblico.

FRANCESCA CIRULLI, Ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità. Vorrei ringraziare la Commissione per aver portato un tema così importante all'attenzione del legislatore. Non so quanto sarò irrituale; sono un ricercatore, quindi non sono abituata a questo genere di lavori e, comunque, cercherò di essere anch'io il più breve possibile.
Vorrei spostare il riflettore sulla salute umana. Fino ad ora abbiamo considerato come l'agricoltura sociale interessa un settore produttivo, quello agricolo, tuttavia occorre ricordare che l'interesse maggiore è quello della salute umana.
L'Istituto superiore di sanità è stato chiamato in causa, sull'agricoltura sociale, dall'INEA, inizialmente grazie al tavolo interistituzionale che ha portato alla nostra attenzione questo fenomeno e, poi, grazie al progetto finanziato dal MIPAAF con cui si è cominciato a studiare l'agricoltura sociale anche dal punto di vista della salute umana.
Il messaggio che vorrei passasse oggi è che l'agricoltura sociale viene a intersecarsi perfettamente con una serie di obiettivi di salute che sono stati già individuati dai nostri piani sanitari nazionali. Tra questi, la promozione di stili di vita più salutari, il potenziamento della tutela dei soggetti definiti «deboli» o «fragili». Quello che vediamo è quasi un matrimonio perfetto tra l'agricoltura sociale e una serie di pratiche e di attività che possono concorrere a raggiungere questi obiettivi, creando quello che definirei un circolo virtuoso tra salute mentale e stile di vita salutare.
Forse non a tutti è noto che nel campo della salute mentale, ma più in generale della disabilità, esiste una necessità di trovare nuovi percorsi di inclusione che


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siano soprattutto lontani dai luoghi fisici delle istituzioni. Da questo punto di vista, l'agricoltura sembra il luogo ideale dove portare le persone diversamente abili per cercare interventi che siano non convenzionali. Dico questo perché esistono esigenze che non sono state soddisfatte nei luoghi tradizionali di cura.
In questo senso, l'agricoltura sociale può aiutare a colmare un vuoto. Può farlo perché l'agricoltura è in grado di mettere in campo la capacità di generare benefìci per una serie di fasce vulnerabili o svantaggiate, dando luogo a servizi innovativi che possano rispondere, da una parte, alla crisi dei sistemi di assistenza sociale, dall'altra a un problema sempre più di attualità, quello della riduzione della spesa sanitaria.
Di fronte all'invecchiamento della popolazione e, quindi, a una spesa sempre maggiore, sussistono allo stesso tempo necessità che non riescono a trovare una concreta risoluzione. Pertanto, creare dei percorsi innovativi, che abbiano la capacità anche di creare reddito o comunque di auto finanziarsi, è un'esperienza che, secondo me, vale la pena di essere sostenuta.
Non sappiamo quale sia esattamente il fattore che cura. Probabilmente sono tantissimi elementi: il ritmo delle stagioni, la luce, la crescita, l'attività fisica. Ci sono ormai moltissimi studi che dimostrano come l'attività fisica sia fondamentale per il nostro benessere. Probabilmente non c'è un unico elemento, ma è l'insieme di tutti questi elementi che crea le condizioni per la cura o per il benessere. Dobbiamo, però, ancora studiarli.
Sappiamo che esiste una ricerca della natura che probabilmente nasce dalla nostra storia evolutiva. L'evoluzione dell'uomo è avvenuta nella natura, quindi, questa nostra ricerca della natura in qualche modo segue questa evoluzione biologica.
Come possiamo promuovere la salute e, soprattutto, come possiamo valutarla? Attraverso il progetto iniziato e portato avanti insieme all'INEA, abbiamo sicuramente capito che per comprendere e studiare questi percorsi occorrono degli strumenti nuovi. Quindi, quello realizzato con l'INEA è stato un inizio di percorso, ma è chiaro che per comprendere appieno l'efficacia dell'agricoltura sociale dobbiamo studiare dei nuovi mezzi.
Esso non è quindi concluso, ma ha trovato un primo momento di aggregazione in un convegno, di cui abbiamo tirato le fila, i cui risultati sono stati raccolti in un rapporto ISTISAN pubblicato in rete.
Le linee principali che abbiamo identificato durante il progetto sono state in parte riassunte dalla dottoressa Macrì. Mi piace sottolineare, tra gli aspetti critici, la remunerazione come fattore qualificante dell'individuo. Nel momento in cui vogliamo inserire una persona fragile, un disabile o un malato psichiatrico nella società dobbiamo dargli dignità e questo l'agricoltura sociale lo permette. È chiaro che occorre prendere in considerazione numerosi parametri, perché c'è la necessità di forti motivazioni personali in tutti coloro che si adoperano in questo campo. La dimensione dell'azienda è un elemento fondamentale, come abbiamo scoperto, perché se è vero che l'inclusione è qualcosa che parte dalle interazioni sociali, un'azienda troppo grande potrebbe non essere quella ideale per creare un clima familiare e di interazione sociale. Inoltre, la multifunzionalità permette a ciascun individuo, con le sue peculiarità, di trovare una sua collocazione.
Sono state già dette molte cose, però è importante - repetita iuvant - ribadire che innanzitutto è necessario un sostegno a delle sperimentazioni che, utilizzando i metodi propri della ricerca, possano arrivare a degli strumenti di indagine che documentino i percorsi terapeutici. Dobbiamo sapere che cosa cura e come avviene questa cura.
Un altro aspetto fondamentale che vorrei ribadire in conclusione al mio intervento è l'importanza della comunicazione, sia a livello locale sia a quello nazionale, e la formazione degli operatori. Se vogliamo che questi diventino effettivamente percorsi di cura sostenuti dal sistema


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sanitario nazionale non possiamo non formare in maniera adeguata chi opera in questo settore.
Il dottor Finuola ha sottolineato l'importanza dell'integrazione sociosanitaria. Questa è un'esigenza particolarmente sentita, ma sottolineo anche l'importanza di iniziative interistituzionali, perché è necessario che le diverse istituzioni coinvolte si parlino per arrivare anche ad azioni legislative importanti.

ANDREA ZAMPETTI, Docente collaboratore della Facoltà di scienze dell'educazione dell'Università Pontificia Salesiana. Il mio intento è quello di mettere in luce le evidenze pedagogiche e formative dell'agricoltura sociale, di farlo in tre minuti e di far sì che lo ricordiate.
Comincio dicendo che lui (vedi allegato 6) è Giovanni: Giovanni è un'evidenza, bisogna vedere se positiva o negativa, ossia se in questo momento sta ridendo o sta piangendo. Prima di capire questo, credo che ci siano tre cose importanti da sapere sull'agricoltura sociale. Innanzitutto, l'agricoltura sociale è uno strumento che va usato al momento giusto. Dunque, non va bene per qualsiasi persona, ma va bene per le persone che in un dato momento hanno bisogno di quello. Inoltre, va usato al posto giusto; non basta un pezzo di terra per fare agricoltura sociale, ma bisogna farlo con passione, sapendo mettere a risorsa quel pezzo di terra. Infine, bisogna saper usare tale strumento, dunque le risorse umane sono fondamentali: risorse umane agricole e sociali, purché si tratti di soggetti davvero bravi. Solo in questo modo si usa bene l'agricoltura sociale.
Per radicare quanto è stato detto in una storia, vi racconterò la storia di Francesca (a sinistra), Andrea (a destra) e la carriola (in mezzo) (vedi allegato 6). È una storia di agricoltura sociale.
Francesca è in difficoltà con la carriola; Andrea interviene e l'aiuta. Si vogliono bene, forse nasce un'amicizia, si danno una mano. Se però noi non contestualizziamo l'intervento nel sistema di riferimento allargato forse non riusciamo a cogliere quello che veramente sta succedendo. Effettivamente la situazione forse è problematica, non è questo il momento di far nascere un'amicizia. Se andiamo avanti, ci rendiamo conto che la situazione peggiora e Andrea e Francesca rovinano nel fango. La parte importante è che l'agricoltura sociale mi dà il fango; è il fango che fa la differenza, che sia quello che volete voi. Chi ha fatto una passeggiata questa mattina ha visto e toccato il fango; chi sta sotto la pioggia, chi sta sotto il sole e così via. La situazione si risolve bene - non abbiate paura - e intervengono l'operatore agricolo e l'operatore sociale. Non vi dico chi è l'uno e chi l'altro; quando si fa agricoltura sociale si lavora tutti insieme anche se manteniamo distinte le professionalità. È possibile riuscire a fare agricoltura sociale. Valeria e Dario ci riescono e la fanno bene.
Tornando a Giovanni, vi assicuro che stava ridendo. Grazie (Applausi).

CLAUDIO DI GIOVANNANTONIO, Dirigente responsabile dell'Area tutela risorse dell'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura del Lazio (ARSIAL). Vi ruberò pochi minuti.
Sono stato chiamato a partecipare a questa audizione - e ringrazio il presidente della Commissione - anche per raccontare l'esperienza di animazione vissuta all'interno della pubblica amministrazione. Ho, infatti, avuto la fortuna di vivere una fase iniziale dell'animazione che ha investito anche le strutture regionali a partire dal 2007 in poi grazie all'opera della Rete delle fattorie sociali e di altri soggetti. Devo dire che in questi casi la pubblica amministrazione ci guadagna molto, sia in termini di nuove competenze, sia in termini di miglioramento di gestione degli strumenti di sostegno allo sviluppo rurale.
Citerò un caso, nel corso del mio intervento, di come in qualche modo all'interno di questo processo partecipato siamo riusciti, con il contributo dei rappresentanti del sistema, a migliorare anche la formulazione degli avvisi pubblici. Chiaramente, da dirigente, sono stato chiamato a


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fare una disamina della normativa regionale e della collocazione del sociale nella sfera della multifunzionalità.
Tuttavia, a mio avviso, per collocare l'agricoltura sociale nella multifunzionalità dobbiamo partire da un'evidenza. Gli oratori che mi hanno preceduto, anche in relazione all'estrazione culturale e ai processi tipicizzanti del loro lavoro, tendono a enfatizzare molto il ruolo dell'agricoltura sociale nella gestione del disagio.
Gli approcci più recenti tendono in generale a garantire lo strumento dell'agricoltura sociale come supporto al benessere della popolazione nella sua accezione più ampia. Vi ho portato una definizione rielaborata che ha una forte relazione con la necessità di collocare l'agricoltura sociale nell'attività connessa. In tal modo si intende dare evidenza del fatto che, insieme a risorse dell'agricoltura, sono coinvolte anche competenze extra-agricole. Mi sembra che questo sia un elemento chiave, che ha trovato caratterizzazione anche nelle normative più recenti.
L'agricoltura sociale, nell'accezione più estesa, ricomprende attività che utilizzando risorse proprie dell'agricoltura e competenze extra-agricole promuovono il benessere della persona nelle aree rurali.
Per discutere della relazione esistente tra agricoltura e attività connessa, devo parlare dell'elemento fondamentale di tutte le attività multifunzionali (l'agriturismo, i servizi che offre il sociale, la fattoria didattica, i servizi al territorio). Tutte le declinazioni dell'agricoltura multifunzionale determinano una prestazione di servizi che l'azienda agricola rende, a pagamento, sia a soggetti terzi, sia al territorio e al sistema pubblico. Nella legge di orientamento, la relazione è stata costruita su questo aspetto.
Chiaramente, questa relazione non esaurisce l'agricoltura sociale, dunque è inutile tentare di ricondurre tutta l'agricoltura sociale all'attività connessa. Ciò è importante perché è fonte inevitabilmente di mille problemi sul piano della normazione. Alcune regioni tendono a enfatizzare il ruolo della connessione in relazione all'inserimento lavorativo. L'inserimento lavorativo per sua natura non è un'attività connessa, perché non determina un servizio a pagamento per l'impresa. Non siamo nel modello olandese che funziona con i voucher erogati dal sistema, ma siamo in una situazione per la quale l'azienda si rende disponibile ad avviare un percorso senza determinare un elemento di connessione. Invece, otto norme su dieci insistono nella relazione con l'inserimento, tradendo aspetti che sono altrettanto importanti e che non vengono caratterizzati.
È importante dunque sottolineare che l'agricoltura sociale ha un perimetro molto più ampio dell'agricoltura multifunzionale e del legame della connessione. Tuttavia, poiché nella gestione degli strumenti di sostegno alle imprese agricole ci interessa in qualche modo il perimetro dell'agricoltura sociale nella sua natura di multifunzionalità e di attività connessa, vogliamo capire qual è la situazione esistente tra la vecchia legge di orientamento - ossia il decreto legislativo n. 228 del 2001 - e le normative regionali. A questo riguardo, mi preme sottolineare alcuni punti.
Il più importante è che fondamentalmente il decreto legislativo n. 228 del 2001 riconduce tutta la multifunzionalità all'agriturismo. Questo è un limite che ci portiamo dietro da dieci anni, tanto che l'impostazione di ricondurre tutta l'agricoltura multifunzionale ad agriturismo ha indotto regioni come l'Emilia-Romagna e la Lombardia a impostare una norma della multifunzionalità, all'interno della quale, per mantenere vivo il legame con lo stesso decreto, tutte le attività connesse vengono ricondotte all'agriturismo. Questa scelta è micidiale perché - come nel caso dell'azienda che la Commissione ha visitato stamattina, e come è successo anche nel Lazio - siccome in molti comuni il funzionario tende a leggere solo la norma positiva, molte aziende, per operare nel sociale, sono costrette a notificarsi come agriturismo. Pertanto, il primo elemento che vi sottopongo (e mi sembra il più importante) è che è necessario introdurre nel decreto in questione una previsione che metta sullo stesso piano tutte le attività connesse, prescindendo dalla relazione


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con l'agriturismo. Se vogliamo rendere il sistema meno burocratizzato, se vogliamo dare lo spazio giusto alle attività multifunzionali, dobbiamo prescindere da un simile approccio perché la notifica dell'agriturismo si porta appresso una gestione di controlli che chi è nel settore conosce benissimo. Peraltro, è anche concettualmente sbagliato: il fatto che l'azienda oggi visitata per essere sociale ha dovuto essere prima agrituristica (e per farlo ha impiegato due anni) qualche problema lo pone.
Esiste il problema della connessione, rispetto al quale mi limito a segnalarvi un importante aspetto: siccome la connessione si valuta in tempi di lavoro, l'Emilia-Romagna - è la prima regione ad averlo fatto - ha introdotto nella valutazione del tempo connesso anche l'apporto di lavoro delle professionalità extra-agricole. Al riguardo, la rappresentazione resa prima dal professor Zampetti è molto importante. Il fatto che per fare bene i progetti di agricoltura sociale servano competenze extra-agricole necessariamente qualificate è fondamentale e va qualificato nella misura della connessione.
Se bisogna fare una norma in questo campo secondo me bisogna dare solo indicazioni di orientamento rimarcando cose importanti.
La misura del lavoro connesso è molto importante perché in questo momento ogni regione si sta comportando in maniera diversa. Ci sono alcune regioni, come la Toscana, che per evitare fenomeni speculativi correlano l'attività connessa non solamente al lavoro, ma anche al reddito e ad altri parametri e, pertanto, risultano ancora più realiste del re.
Vorrei sottolineare questo aspetto. Inizialmente, fino alla revisione del citato decreto legislativo n. 228, erano poche le regioni che aveva legiferato in materia. Nel periodo tra il 2009 e il 2011 c'è stata, invece, un'accelerazione. Negli ultimi due anni le regioni che hanno emanato norme specifiche sull'agricoltura sociale sono state sei e in questo momento abbiamo un panorama molto variegato. Dieci regioni non hanno una propria normativa, mentre quattro hanno adottato norme organiche che collocano l'agricoltura sociale sullo stesso piano delle altre espressioni della multifunzionalità, risolvendo - si potrebbe dire in casa - la contraddizione normativa che andrebbe affrontata a livello nazionale. Due regioni, il Friuli-Venezia Giulia e il Molise, hanno adottato, invece, norme non organiche, ossia attraverso articoli di legge estemporanei hanno collocato il sociale all'interno delle fattorie didattiche, a loro volta collocate all'interno dell'agriturismo.
Capite, ancora una volta, quanta confusione ci sia in questo campo. Non si può verticalizzare la multifunzionalità, bisogna metterla in parallelo, così come non si può assimilare il sociale alle fattorie didattiche perché l'approccio è diverso. Altre regioni, in particolare la Calabria, hanno introdotto espressamente l'obbligo della formazione dell'agricoltore, mentre altre ancora prescindono dalla connessione. Lascio a disposizione della Commissione tutta la ricognizione sulla normativa regionale.
Non vorrei dilungarmi oltre, se non per segnalarvi che in molti casi l'agricoltura sociale è disciplinata nell'ambito di norme non agricole. Ad esempio, nella legge sui parchi si parla di fattorie sociali senza che la normativa agricola le abbia definite. Il quadro regionale, particolarmente confuso, merita un approfondimento specifico, anche perché tale confusione nasce dal fatto che il decreto legislativo n. 228 del 2001 è oramai datato.
Avviandomi alla conclusione, devo dire che il vero motivo che ha spinto il Presidente nazionale della Rete delle fattorie sociali Marco Di Stefano a proporre la mia audizione è quello di rappresentarvi la problematica dei fabbricati rurali da destinare ad attività di agricoltura sociale. Nel 2006 è stata emanata una norma sull'agriturismo che riconosce la natura agricola solamente ai fabbricati destinati agli esercizi agrituristici. Questo comporta inevitabilmente un problema. Poiché molti di questi fabbricati rurali non possono essere recuperati, se non nella loro accezione agricola, è fondamentale introdurre


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una norma positiva che ne permetta il recupero, anche per destinarli ad attività di agricoltura sociale.
I fabbricati rurali da recuperare sono nell'ordine delle centinaia di migliaia per effetto delle note trasformazioni in ambito zootecnico. Ci troviamo nella situazione paradossale in cui l'agricoltura sociale, che è uno strumento potente di recupero produttivo e di difesa della destinazione agricola di questi fabbricati, è inibita nella sua migliore vocazione di riconversione produttiva.

ANITA DI GIUSEPPE. Chiedo scusa, ma poiché una delle proposte di legge sull'agricoltura sociale è mia, vorrei fare una domanda.
Lei ha presentato un problema che ritengo sia di importanza fondamentale: quello di riportare l'agricoltura sociale all'agriturismo.
Come tutti sappiamo, gli obiettivi non sono gli stessi.

CLAUDIO DI GIOVANNANTONIO, Dirigente responsabile dell'Area tutela risorse dell'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura del Lazio (ARSIAL). Chiedo scusa, ma mi sono spiegato male. Attualmente il decreto legislativo n. 228/2001 riconduce tutte le attività legate alla multifunzionalità all'agriturismo. Ciò ha condizionato la formulazione delle norme regionali, le quali hanno gerarchizzato la multifunzionalità, ponendo al vertice l'agriturismo. È un grave errore concettuale che porta con sé la necessità di modificare gli esercizi di agricoltura sociale in esercizi agrituristici.
Occorre superare questa situazione. La multifunzionalità deve essere declinata in maniera orizzontale. Ogni settore ha la propria dignità e, pertanto, va difeso e non collocato sotto l'agriturismo.

ANITA DI GIUSEPPE. Certo, altrimenti l'agricoltura sociale perderebbe la sua fondamentale importanza.

CLAUDIO DI GIOVANNANTONIO, Dirigente responsabile dell'Area tutela risorse dell'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura del Lazio (ARSIAL). È ciò che sta già succedendo.

ANITA DI GIUSEPPE. Presidente, siccome nella mia proposta di legge non ho affrontato tale problema e siccome è chiaro che l'agricoltura sociale non produce soltanto beni tangibili - come i beni alimentari - ma anche beni non tangibili, quali il benessere della persona e l'inserimento nella società, vorrei che questo argomento fosse approfondito. Chiederei, quindi, al dottor Di Giovannantonio di lasciarci qualche contributo.
Sarà importante per le nostre proposte di legge.

CLAUDIO DI GIOVANNANTONIO, Dirigente responsabile dell'Area tutela risorse dell'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura del Lazio (ARSIAL). Grazie per l'attenzione. Lavorando a Roma sono a vostra disposizione.

MARCO BERARDO DI STEFANO, Presidente della Rete delle fattorie sociali. In questa seconda parte del mio intervento vorrei porre l'attenzione su una serie di fattori utili per permettere lo sviluppo dell'agricoltura sociale in Italia.
L'agricoltura sociale produce benefici per le persone e per la salute, ma produce anche prodotti. L'inserimento lavorativo, infatti, avviene nel momento in cui c'è la possibilità di realizzare un prodotto per la vendita. Questa sera avremo la possibilità di assaggiare i prodotti provenienti da alcune fattorie sociali che vedete nelle foto proiettate.
Le misure che riteniamo possano essere utili allo sviluppo dell'agricoltura sociale in termini di programmazione sono le seguenti: avvio di un programma nazionale di sviluppo dell'agricoltura sociale mediante la costituzione di un fondo dedicato, al fine di cofinanziare progetti sperimentali da realizzare con le regioni; istituzione di un tavolo interministeriale sull'agricoltura sociale (MIPAAF, Ministero della salute, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Conferenza Unificata, organizzazioni


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agricole); miglioramento del raccordo tra MIPAAF e Ministero della salute per sviluppare la sperimentazione su efficacia ed economicità delle pratiche riabilitative e terapeutiche in agricoltura sociale, ai fini del loro inserimento nei LEA; avvio di un'iniziativa da parte del MIPAAF per migliorare la proposta di regolamento comunitario sullo sviluppo rurale 2014-2020 e in particolare per articolare in modo efficace la priorità individuata relativamente all'inclusione sociale e alla lotta alla povertà, dedicando la massima attenzione a questo obiettivo nella fase di definizione della nuova normativa; realizzazione di progetti da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per la diffusione della conoscenza dell'agricoltura sociale tra gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, incentivando tra l'altro la visita delle scuole presso le stesse fattorie e prevedendo apposite convenzioni per le attività svolte al di fuori dell'istituto scolastico.
Per sviluppare l'aspetto della produzione, dell'inserimento lavorativo e dell'erogazione di servizi, riteniamo che possono essere utili: la creazione di un marchio nazionale per i prodotti di agricoltura sociale e il sostegno alla realizzazione di tre o quattro piattaforme da dislocare nelle diverse aree del Paese, allo scopo di concentrare e distribuire i prodotti delle fattorie sociali, creando così una politica commerciale efficiente e razionale, che dia comunque priorità al chilometro zero; l'introduzione di particolari incentivi per la produzione di energie rinnovabili, anche nell'ambito della revisione delle tariffe attualmente in corso, alle aziende agricole che inseriscono persone svantaggiate per lo svolgimento di tali attività; l'emanazione di direttive alle amministrazioni pubbliche affinché prevedano, nei bandi di fornitura di prodotti agricoli e alimentari per le mense, criteri di priorità per i prodotti provenienti dall'agricoltura sociale; l'introduzione di criteri di priorità a favore delle fattorie sociali nelle assegnazioni di terreni di proprietà pubblica e di quelli confiscati alle mafie; l'individuazione di una serie di misure che facilitino l'inserimento lavorativo di persone svantaggiate e percorsi di integrazione di soggetti con disabilità psichiche e mentali medio-gravi in fattorie sociali e la fruizione di servizi presso di esse, rilasciando, ad esempio, voucher alle famiglie per le attività terapeutiche e riabilitative, che possano decidere loro dove spendere; il coordinamento delle attività formative e il sostegno alle aziende o ai gruppi di aziende che si dotino di team di operatori sociali, educatori professionali e psicologi.
Infine, sul piano dei provvedimenti di carattere fiscale e urbanistico, riteniamo utili: l'estensione della normativa fiscale urbanistica prevista per i fabbricati rurali adibiti ad agriturismo a quelli utilizzati per l'agricoltura sociale, introducendo anche una specifica agevolazione sull'IMU per le fattorie sociali e l'applicazione ai servizi erogati dalle fattorie sociali dell'esenzione IVA già prevista per le prestazioni socio-sanitarie e per le attività educative. Grazie.

SALVATORE STINGO, Portavoce del Forum nazionale dell'agricoltura sociale. Il Forum nazionale è nato a luglio di quest'anno con l'intento di coordinare tutte le diversificate realtà esistenti all'interno di un sistema aperto al confronto.
A oggi abbiamo raggiunto circa duecento adesioni, tra le quali quella di importanti strutture, come l'Associazione lavoratori e produttori dell'agro-alimentare (ALPA), l'Associazione italiana per l'agricoltura biologica (AIAB) e il Coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza (CNCA) che - mi è stato riferito questa mattina dal presidente - ha ricevuto la Bandiera verde agricoltura della Confederazione italiana agricoltori (CIA) proprio sul tema dell'agricoltura sociale. Tutte queste realtà si sono unite e stanno cercando di fare rete per promuovere questo tema che ci sta così a cuore.
È già stato detto molto sull'agricoltura sociale. Il Forum si è dato degli obiettivi. Quelli di quest'anno sono: contribuire, fornendo linee guida e indicazioni, alla presentazione di una proposta di legge sul


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tema, redigere una carta dei principi nella quale sia le realtà produttive sia quelle con scopi sociali potessero ritrovarsi e ragionare insieme sui temi del marchio e della valorizzazione dei prodotti a livello commerciale.
In questi sei mesi la carta dei principi è stata redatta - la trovate nella documentazione che abbiamo inviato -. Essa contiene i principi che condividiamo e rappresenta la piattaforma sulla quale incontrarci. I temi toccati sono molto importanti. Abbiamo anche redatto le linee guida per una proposta di legge, anch'esse inviate nella documentazione, e stiamo lavorando sul tema del marchio.
Per quanto riguarda la proposta di legge, abbiamo tentato di ragionare su un testo che non fosse omologante, ma unificante. Del resto, l'estrema diversificazione delle attività rende difficile porre dei paletti. Abbiamo cercato, quindi, di mantenere le maglie larghe. Ci interessa, in particolare, il territorio e far capire che l'agricoltura sociale non equivale alla semplice azienda agricola e nemmeno alla cooperativa sociale o a un servizio di assistenza. Si tratta al contrario di un sistema territoriale, nel quale le varie realtà si incontrano e programmano una diversa attività. Noi riteniamo che tale diversa attività sia un altro welfare, un modo diverso per creare opportunità lavorative e produttive e per dare slancio a due settori, l'agricoltura e il sociale, che insieme possono fare di più. Ci interessa, quindi, il livello territoriale e il sistema di insieme.
Abbiamo diviso le diverse realtà in tre modelli. Il primo è quello delle strutture rivolte prevalentemente alla produzione e al mercato, a prescindere dalla natura giuridica (possono essere sia cooperative sociali, sia aziende agricole private, sia soggetti imprenditoriali aggregati in consorzi). Tali strutture creano protocolli di intesa e di incontro con chi si occupa di sociale a livello territoriale sia come istituzione, sia come terzo settore.
Esistono poi le strutture terapeutiche, riabilitative e socio-sanitarie. Queste realtà, invece, operano prettamente a livello sociale e incontrano il sistema produttivo - sia privato, sia interno - per realizzare attività sociali secondo quella che è la loro funzione principale.
Infine, abbiamo interventi di carattere più complessivo e aperto. Mi riferisco alle fattorie didattiche, alle possibilità di impegno per gli anziani e a tutto ciò che l'azienda agricola può mettere in campo sul territorio con riguardo alla cittadinanza.
Anche noi crediamo necessario, sul piano degli strumenti di intervento, che sia predisposto un fondo per promuovere questo tipo di iniziative. Tale fondo dovrebbe essere delegato alle regioni e indicare i termini di selezione e di priorità delle scelte e dei percorsi da praticare. Riteniamo inoltre utile l'istituzione di un osservatorio nazionale che sia un luogo aperto e un punto di incontro per valutare il progresso di questo percorso.
Il responsabile dell'area tutela risorse dell'ARSIAL, Claudio Di Giovannantonio, ha citato una serie di elementi normativi molto importanti. In agricoltura non è pensabile ricondurre tutto all'agriturismo e questo mi pare evidente. Esiste anche il problema del come vengono riconosciute in agricoltura le associazioni e le strutture che svolgono attività sociali. Sono due mondi che dal punto di vista normativo non si incontrano. C'è bisogno di un tavolo interministeriale dove ascoltare i vari referenti e creare le condizioni affinché possano operare. Tra le misure a sostegno, credo che gli incentivi e le agevolazioni fiscali e contributive siano molto importanti, così come il riferimento al regolamento che riguarda i soggetti svantaggiati.
Un altro tema che ci sta molto a cuore è l'assegnazione delle terre pubbliche o confiscate alle mafie. Libera Terra, per esempio, aderisce al Forum nazionale. Crediamo importante che i beni restituiti alla società civile siano riutilizzati per attività di condivisione col territorio. Mi riferisco ai beni confiscati alle mafie, ma anche ai beni pubblici agricoli. In questo momento si dice di utilizzarli per questioni


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di economicità. Ebbene, all'agricoltura sociale dovrebbe essere attribuita una priorità di utilizzo.
Lo stesso vale per l'assegnazione degli spazi nei mercati agricoli e per tutto ciò che permette a questo tipo di iniziative di assumere valenza commerciale. Noi giudichiamo molto importante le potenzialità economiche dell'agricoltura sociale. La maggior parte delle aziende è certificata come azienda BIO. Oggi, il settore del biologico è una delle poche attività produttive agricole che mantiene un alto livello commerciale. Anche il mercato dei prodotti etici ed equo-solidali e di ogni altro prodotto riconducibile ai valori sottostanti alle nostre produzioni è un mercato con ottime capacità. È una forza che dobbiamo sfruttare, conferendo all'agricoltura sociale una valenza che abbia ricadute sul territorio e sui singoli imprenditori agricoli che intendano confrontarsi su questo terreno.
L'agevolazione contributiva per l'impiego di soggetti svantaggiati prevista dal regolamento n. 2204/2002 riguarda unicamente la cooperazione sociale di tipo B. Se si riuscisse a estenderla a chiunque crei possibilità di lavoro e impiego per soggetti svantaggiati costituirebbe un ulteriore elemento di forza. Inoltre, occorrono formazione e aggiornamento. Dobbiamo formare persone con competenze o conoscenze agricole sui temi sociali e viceversa. L'aspetto formativo è, quindi, fondamentale.
Chiediamo anche un coinvolgimento e un'agevolazione a carattere prioritario nel servizio civile nazionale ed europeo. Questa possibilità, infatti, riguarda soltanto le associazioni della cooperazione sociale, ma c'è grande interesse da parte dei giovani per l'agricoltura sociale e il servizio civile potrebbe rappresentare un'opportunità in più.
Il Forum sta lavorando su questi temi e sta cercando di mettere insieme tutti gli attori che vi partecipano. Siamo a disposizione per qualsiasi collaborazione.

MASSIMO FIORIO. Innanzitutto, una breve riflessione. Penso che il tema dell'agricoltura sociale rappresenti non una nuova sfida in agricoltura, ma piuttosto il recupero di una dimensione che una certa modernità ci ha fatto dimenticare. Lavorare la terra è la dimensione della comunità e del recupero di una prospettiva non puramente produttivistica.
Dal suo e dai precedenti interventi mi pare emergano due orientamenti. C'è chi sostiene che l'agricoltura sociale rappresenti anche un nuovo stile di produzione e di benessere. C'è chi, invece, intende l'agricoltura sociale come un'attività agricola strettamente legata a soggetti svantaggiati, vulnerabili e via dicendo. Al rappresentante del Forum chiedo se questi due orientamenti siano in conflitto all'interno del dibattito.
La seconda domanda è più puntuale. È emerso più volte il tema della formazione. Mi chiedo se esista, e credo che sia così, anche un problema di accreditamento. Sono state, ad esempio, proposte ipotesi di voucher per le famiglie da utilizzare nelle varie imprese.
Come Forum nazionale ritenete importante che la normativa individui meglio il tema dell'accreditamento di chi lavora e delle stesse strutture?

SALVATORE STINGO, Portavoce del Forum nazionale dell'agricoltura sociale. L'onorevole ha centrato un tema importante. Nelle linee guida della proposta di legge che abbiamo elaborato vengono considerati due mondi, quello produttivo e quello sociale, e per questo riteniamo che la legge debba essere ampia. I due ambiti non sono separati e non sono separabili. Esistono e si intersecano nelle varie attività. Può succedere che alcune realtà abbiano una valenza più produttiva e offrano inserimento lavorativo e posti di lavoro per soggetti svantaggiati, mentre altre hanno una valenza più di tipo terapeutico-riabilitativa, ma i due mondi non sono separati e devono parlare insieme.
Valgono le competenze. Se in un contesto è richiesto un importante intervento riabilitativo di tipo socio-sanitario, è evidente che devono essere presenti competenze socio-sanitarie. Nelle aziende agricole


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che mettono in primo piano la parte produttiva e la valorizzazione del prodotto, ci dovrà essere la capacità di integrare persone con svantaggio in quei sistemi.
L'importante è che tali sistemi siano in rete. La validità di queste realtà è data dal riconoscimento sul territorio. Dove il lavoro svolto è riconosciuto dalle istituzioni, dalle ASL di collegamento eccetera, lì c'è agricoltura sociale, sia essa orientata alla produzione agricola o ad attività riabilitative e terapeutiche.
L'accreditamento è un altro nodo nevralgico. Dovunque si è reso necessario, ha fissato dei paletti. Noi abbiamo l'accreditamento nella parte sociale, ad esempio per centri riabilitativi e centri di formazione. Deve, quindi, essere gestito con molta attenzione. Sicuramente c'è bisogno di una validazione per chi fa agricoltura sociale. Sono contesti nei quali è evidente una rete e in cui devono essere riconosciuti l'ambito territoriale e il lavoro svolto.
Come diceva Claudio Di Giovannantonio, esiste il problema legato ai beni agricoli e ai fabbricati. Il mondo agricolo ha una sua strutturazione molto rigida, ad esempio per quanto riguarda il recupero dei fabbricati rurali.
Il focus sul quale concentrarci è, quindi, la validazione della rete e del sistema coordinato.

TIZIANA BIOLGHINI, Coordinatore del Forum delle fattorie sociali della provincia di Roma. Ringrazio la Commissione agricoltura per questa indagine conoscitiva. Il Forum della provincia di Roma esiste da cinque anni. È stato istituito con delibera di iniziativa consiliare e vi aderiscono 84 soggetti, che rientrano tra i casi di ricerca menzionati all'inizio dell'audizione. Si tratta di situazioni vere, in cui vivono centinaia di ragazzi autistici, pazienti psichiatrici, giovani con varie tipologie di svantaggio. Rappresentiamo, quindi, molti «casi di ricerca».
Essendo io una «basagliana», sono stata un po' polemica durante l'intervento della ricercatrice dell'INEA perché, come sapete, con la chiusura dei manicomi la psichiatria cosiddetta democratica ha abolito l'espressione «casi di ricerca». Da questo è derivata la mia intemperanza e insofferenza e me ne scuso. Sono stata altresì un operatore psichiatrico ai tempi della chiusura dei manicomi, i nostri lager.
Nel mio intervento vorrei sostenere l'importanza di avere una legge. Alcune realtà stanno sperimentando da almeno trent'anni - a costo di grandi sacrifici personali delle famiglie, della cooperazione sociale e delle associazioni di volontariato - le azioni in agricoltura sociale o in zootecnia. La fase di sperimentazione, signori deputati, dovrebbe finire.
Credo che nel momento storico che stiamo vivendo ci sia bisogno di una grande moralizzazione. Ve lo chiediamo a nome degli oltre ottanta casi di ricerca e delle migliaia di famiglie che vedono con gioia le possibilità di inserimento dei propri figli, prima e dopo di loro - i nostri figli non sono dei pacchi -, in una situazione protetta e che conduca all'integrazione.
Chiediamo il vostro sostegno affinché si arrivi a una legge che, come detto dal portavoce del Forum nazionale, Salvatore Stingo, sia una legge condivisa e che rappresenti gli interessi di tutti. Per tutti non intendo i vari «clinicari», istituti che attraverso il PSR hanno tentato - un nome per tutti, quello di Colle Cesarano - di trasformare dei veri e propri manicomi, dove si attuano solo terapie farmacologiche e di contenimento, in fattorie sociali per accedere ai fondi dell'agricoltura sociale.
Noi vogliamo una legge che sappia includere sia gli imprenditori che, in base alle leggi già esistenti, creano inserimento lavorativo per i soggetti svantaggiati, sia tutte le forme di cooperazione sociale e di associazionismo, sia gli istituti agrari. Al Forum della provincia di Roma, infatti, aderiscono gli istituti agrari di Roma e provincia. Ogni istituto è frequentato da oltre cento ragazzi disabili che svolgono attività integrate e integranti con i ragazzi normodotati.


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Oggi i ragazzi disabili che frequentano le superiori sono 3.700, mentre otto anni fa erano 53. Non sono aumentati i disabili: il fatto è che i nostri figli non sono più agli arresti domiciliari e per fortuna vanno a scuola.
Vogliamo una legge che sia in grado di garantire questi processi in maniera semplice. Non c'è bisogno di sperimentare o di ricercare ancora. Io credo che siano sufficienti le azioni svolte dai territori in cui si inseriscono le fattorie sociali, alcune delle quali stanno sopravvivendo solo con la forza e la passione delle famiglie e degli operatori socio-sanitari, senza un forte riconoscimento da parte delle istituzioni. Saranno i piani di zona e gli altri strumenti già esistenti a garantire il monitoraggio della qualità dei percorsi di riabilitazione.
Dopo trent'anni di sperimentazione, dovete darci una mano a chiudere i nuovi manicomi, che sono tanti, ve lo assicuro. Ci sono migliaia di ragazzi disabili che non vorrebbero essere chiusi nei centri di riabilitazione ex articolo 26 - abbiamo qui la testimonianza della Marcigliana -, e che non possono accedere alle fattorie sociali perché non c'è il riconoscimento dell'azione della legge.
Vi ringrazio.

FRANCESCO PAOLO DI IACOVO, Professore associato di economia agraria presso l'Università degli studi di Pisa. Ringrazio il presidente. L'Università di Pisa da una decina di anni sta lavorando attivamente su questo tema e con piacere oggi prendiamo parte a questa audizione.
Lavoriamo sul campo e lavoriamo con soggetti portatori di pratiche, siano essi singole aziende o istituzioni. Volevo riagganciarmi al punto di vista illustrato dall'onorevole Fiorio. L'attività di agricoltura sociale non è un'attività nuova. Infatti, già nel 1911 sono documentate pratiche codificate di agricoltura sociale nei rapporti tra istituzioni pubbliche e aziende agricole. Quello che stiamo cercando di fare in questo momento è riscoprire l'innovazione. In letteratura la retro-innovazione è codificata, e l'agricoltura sociale è esattamente questo: ci stiamo riappropriando di conoscenze passate per applicarle a questioni contemporanee cruciali.
Il tema dello sviluppo rurale oggi ha sicuramente a che fare con lo sviluppo sociale delle comunità. È sempre più difficile che l'attività agricola ed economica riesca a trovare fondamento lì dove non esistono servizi equivalenti e, come sappiamo, nelle nostre campagne per le donne e per gli anziani avere servizi equivalenti a quelli delle città è problematico.
Questo è un primo tema. L'agricoltura sociale può consentire un potenziamento della rete di protezione sociale nelle campagne, mobilizzando le risorse che lì sono presenti. Con la crisi del welfare che stiamo vivendo, infittire i servizi è problematico, ma farlo valorizzando le risorse presenti nelle campagne lo è di meno.
Com'è stato detto, esistono varie tipologie di servizi ed è chiaro che, nel momento in cui la Commissione agricoltura si appresta a intervenire o ad affrontare questo tema, la loro codifica è importante. Concordo con molte delle cose che sono state dette da chi mi ha preceduto e, quindi, procederò semplicemente per differenza e complementarietà.
Alcune aziende stanno erogando servizi strutturati. Hanno compiuto investimenti e si attendono un riconoscimento, anche economico, per le prestazioni che stanno assicurando. È il caso, ad esempio, di chi pratica ippoterapia. Chi ha compiuto un investimento strutturale e ha investito in formazione ha un duplice problema: il primo è relativo al fatto che la sua competenza non è riconosciuta, a meno che non venga creata un'associazione non lucrativa di utilità sociale, perché come azienda agricola non riesce a presentarsi come interlocutore di servizi; il secondo è che la sua prestazione non è completamente riconosciuta dal punto di vista economico.
Se un'azienda agricola produce e fornisce accompagnamento e formazione all'inserimento lavorativo di soggetti a bassa contrattualità, non realizza investimenti strutturali specifici, ma accompagna tali persone nei processi produttivi ordinari


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presenti in azienda. Chiaramente avrà un impegno di lavoro e di tutoraggio e potrebbe avere fabbisogni in termini di strutture utili a potenziare l'attività economica e creare le condizioni di inclusione. È, però, tutt'altra cosa rispetto a un servizio.
Altre realtà, come ad esempio un agriturismo dotato di strutture già validate per accogliere turisti e visitatori che degustano vino, possiedono alloggi o spazi che potrebbero essere valorizzati - parlavo di mobilizzazione delle risorse - per assicurare servizi alle persone. Il problema, come diceva il portavoce del Forum nazionale, Salvatore Stingo, riguarda il tipo di accordo che si riesce a realizzare sui territori.
Noi abbiamo seguito e stiamo seguendo, ad esempio, la Società della salute della Valdera, forse la prima struttura ad aver codificato tredici servizi di agricoltura sociale. Essendo state individuate le procedure di accesso, su quel territorio le aziende agricole sanno a chi rivolgersi e come fare per entrare nelle pratiche di agricoltura sociale e partecipare alla gestione con i responsabili dei servizi.
Mi preme, in secondo luogo, porre alla vostra attenzione che realizzare pratiche sul territorio implica un processo di creazione di conoscenza collettiva. Far parlare un operatore sociale con un agricoltore non è scontato, perché ognuno adotta proprie prassi e proprie conoscenze. Molto del lavoro che occorre fare, un lavoro classicamente di innovazione sociale nell'ambito di quanto stabilito dalla strategia «Europa 2020» per l'innovazione dell'Europa, è riuscire a creare conoscenza collettiva, mediando i saperi diffusi sui territori.
Non è un incentivo economico che realizza la pratica. Sono piuttosto quelle attività di animazione e di confronto attivo sul territorio in grado di creare una nuova conoscenza, sulla base della quale attivare nuove procedure ed erogare nuovi servizi. Nel campo dell'agricoltura sociale questo è un problema che si pone in continuità con un altro aspetto richiamato negli interventi precedenti, compreso quello sul tema dell'accreditamento.
Dobbiamo capire se abbiamo o meno necessità di un'agricoltura sociale specializzata, ossia orientata sul modello olandese, che oggi peraltro è in crisi per problemi di budget. In tale modello le aziende fanno investimenti cospicui (250.000, 300.000 euro) per riadattare le strutture utilizzate, ad esempio, per mantenere foraggi in strutture capaci di assicurare accoglienza, ricevono rette pro capite giornaliere di 80 euro, ma considerano la persona come un cliente. Alle ore 18, quando l'azienda chiude, il servizio non viene più erogato.
Questo tipo di modello - la mia impressione è che cozzi con le indicazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità sulla creazione di contesto in cui il benessere si realizza e di capitale sociale di cui abbiamo bisogno per assicurare resistenza agli choc che si generano nelle comunità - oltre ad essere costoso, crea competizione tra chi oggi, nelle pratiche del sociale, è abituato a offrire servizi e il mondo agricolo.
Viceversa il tema è quello della collaborazione, cioè riuscire a mettere insieme le competenze in possesso della cooperazione sociale e degli operatori sociali con le competenze che gli imprenditori agricoli hanno nel gestire processi produttivi e fare mercato. Lo scopo è quello di creare reti in cui vi siano poli più presidiati dalle competenze socio-sanitarie, com'è giusto che sia lì dove sussistono problemi gravi che implicano la presenza di competenze specifiche, ma connessi ad altre esperienze, progetti e reti, magari più informali, come ricordava la dottoressa Cirulli, che non ricreino nelle campagne il piccolo ospedale o la piccola struttura medicale, ma che viceversa consentano la progressiva uscita delle persone da strutture formali verso la società complessiva, in una logica di giustizia sociale e non assistenziale.
Su questo binario si gioca una normativa, che può privilegiare aspetti più codificati di agricoltura specializzata o meno codificati di agricoltura sociale, che noi abbiamo definito di comunità, dove la rete di protezione sociale per l'anziano passa


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attraverso il rapporto con il vicino agricoltore già dotato di strutture in grado di erogare pasti a turisti. Probabilmente quei pasti sono buoni anche per il vicino di casa.
Avviandomi alla conclusione, onorevole presidente, non voglio entrare nelle dinamiche di richiesta di specifici interventi. Questo non è un aspetto la cui trattazione compete all'università, però probabilmente all'università compete cercare di fornire alcune indicazioni e piste di lavoro sulle quali si possano risolvere alcuni dei nodi che oggi si pongono sui territori.
Quello del riconoscimento è chiaramente uno di tali nodi. Noi abbiamo bisogno non di poche, ma di molte aziende che pratichino agricoltura sociale e che la pratichino per le tre declinazioni che ho cercato di esemplificare.
Perché ciò avvenga occorre chiarezza. Un intervento a misura, come quello della diversificazione, è disatteso, perché non è realistico nel contesto in cui siamo. Stiamo incentivando le aziende agricole a compiere investimenti con un tasso di cofinanziamento al 45-55 per cento, il che presuppone un mercato che oggi non esiste. Quella misura, quindi, è inutile agli occhi dell'imprenditore agricolo. In assenza di contesto di riferimento normativo è inapplicabile o assai poco applicabile. Abbiamo bisogno di supporto all'innovazione sociale nelle aree rurali, perché le dinamiche di cambiamento sono complesse e richiedono un intenso sforzo di facilitazione.
Vi porto un esempio. Noi lavoriamo con i territori nella parte dell'area del monte Amiata compresa nella provincia di Grosseto. Da tre anni stiamo lavorando svolgendo una funzione terza, ossia cercando di mediare e negoziare i rapporti tra mondo del sociale e mondo dell'agricoltura, una funzione che ci viene riconosciuta sul territorio. È tuttavia difficile passare dall'enunciazione del tema alla sua applicazione.
Non abbiamo più il tempo per cercare di promuovere l'innovazione nelle campagne. Abbiamo la necessità - con l'ENEA abbiamo svolto una ricerca specifica sulla governance dell'innovazione nelle aree rurali, che è disponibile sul sito - di bruciare le tappe, cioè di passare da quelle che sono a oggi novità o nicchie di progetti a sistema, a paradigma, a regole condivise di lavoro. Tutto ciò richiede, nelle politiche di sviluppo rurale, azioni integrate, che a oggi mancano.
Probabilmente il Piano strategico nazionale ha nelle sue corde la possibilità di lavorare in questo ambito, perché ci sono i Piani integrati territoriali, che sono enunciati, ma ancora non applicati. Un Piano integrato territoriale può consentire di allineare più strumenti su un territorio e di farli dialogare tra aziende agricole e sistemi del sociale per riuscire a fare la differenza.
Vi ringrazio e consegno alla Commissione la documentazione prodotta e una nota esplicativa.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Di Iacovo anche per la documentazione grafica che ci ha fornito.

SAVERIO SENNI, Professore associato di economia e politica dello sviluppo rurale presso l'Università degli studi della Tuscia. Ringrazio la Commissione di questo invito. Voglio aggiungere, onorevole presidente, che - come è scritto anche nell'introduzione alla nota redatta insieme al professor Francesco Di Iacovo, a testimonianza del fatto che come mondo universitario cerchiamo di condividere questo percorso di attenzione, di ricerca e di formazione - noi consideriamo altamente meritoria questa iniziativa della Commissione.
Infatti il nostro tema costituisce un caso eclatante di un fenomeno che dai dati statistici non emerge. Noi stessi l'abbiamo compreso in anni di lavoro, andando sul campo, scoprendo e girando. Sabato ero in Lombardia e ho scoperto altre realtà. Il fenomeno non appare nelle fonti informative ufficiali e tantomeno nel censimento di cui si stanno pubblicando i dati. È un percorso utile per tutti e noi lo svolgiamo - io, il professor Di Iacovo e altri colleghi - da diversi anni, in collaborazione anche con molte realtà che hanno parlato prima


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di noi. C'è un tentativo di scambiarsi informazioni e di condividere esperienze anche da parte del sistema universitario. Non ci sono libri, manuali o guide.
Svolgerò un intervento molto breve, perché è stato già detto molto. Mi preme sottolineare alcune parole chiave che sono emerse negli interventi che mi hanno preceduto.
La prima è il «contesto». L'innovazione che mi pare importante, condivisa con tante persone, operatori e studiosi di questa tematica, è che, nel caso dell'agricoltura sociale, il contesto agricolo e territoriale diventa una risorsa abilitante e inclusiva.
Il professor Canevaro, uno dei più grandi pedagogisti, parla di contesto competente. La competenza non è solo sulle persone, ma anche sui contesti. Lasciar agire o allearsi con alcune situazioni contestuali è fondamentale. Un'azione di sostegno e di riconoscimento normativa deve guardare a questo aspetto e non soltanto allo scambio del servizio di chi lo offre. Questa è la grandissima innovazione, o retro innovazione, come è stato affermato dall'onorevole Fiorio e ribadito anche dal professor Francesco Di Iacovo.
La seconda parola chiave è il «tessuto», che è emerso da molti discorsi. Noi usiamo molto nel dibattito economico - io sono un economista agrario - il mantra della competitività. È sicuramente importante, ma è una metafora: non c'è un torneo. Le imprese agricole non cercano di far perdere qualcun altro. Nell'economia è possibile che vincano tutti, in alcuni progetti economici e in alcuni percorsi, se usiamo la metafora del tessuto economico, che esiste, ma è meno utilizzata.
Il tessuto è un ordito, un intreccio di fili anche deboli, ma che insieme possono creare qualcosa di forte. Io sono convinto che qualunque azione politica e normativa debba tenere conto di questo punto di riferimento, ossia guardare ai sistemi socioeconomici in chiave di un tessuto e non in chiave di una competitività, in cui singoli attori devono cercare di rafforzarsi per essere più forti. C'è anche questo aspetto, ma esiste comunque questa visione diversa. I progetti territoriali che sono stati presentati sono progetti condivisi, a molteplicità di attori e in tal modo vanno avanti e funzionano.
La terza parola chiave è il «contratto». Mi riferisco a norme, regole, leggi, eccetera. Sono stati menzionati i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Il contratto in questo caso è importante, ma è insufficiente e non potrà mai essere una buona pratica di agricoltura sociale, dalla mia esperienza, regolata interamente da contratto. Nessuna persona svantaggiata viene affidata a un agricoltore con un protocollo che dettaglia tutto. È evidente che ci rimane uno spazio legato all'informalità, alla capacità dell'agricoltore di accogliere, anche se non ha un titolo di studio, una formazione che va salvaguardata.
In merito alla regolarizzazione troppo intensa, io vedo con pericolosità anche i LEA o gli accreditamenti. È stato affermato che possono essere importanti, ma possono anche soffocare una realtà che, invece, esiste, può maturare ed è una risorsa in un approccio informale. Perché l'agricoltore sa accogliere? Perché qualcuno ha notato che «accogliere» e «raccogliere» hanno la stessa radice. L'agricoltore lavora per la raccolta e, quindi, sa che cosa significa accoglienza.
La raccolta, consentitemi di precisarlo, è anche un accogliere da piante e animali un prodotto che non è scontato. Non esiste un contratto con la natura per cui io do qualcosa e ricevo qualcosa in cambio. Potrei anche non riceverlo. Molti agricoltori lo sanno e si sintonizzano bene in questo approccio di reciprocità.
La quarta parola chiave è la parola «risorse». Si sostiene spesso che mancano le risorse e si intendono i soldi. La parte monetaria è una risorsa, ma non è l'unica. L'agricoltura sociale, come è stato affermato dal professor Di Iacovo e da altri, valorizza risorse latenti, che sono pronte a uscire con azioni anche di riconoscimento monetario. È errato, però, a mio avviso, partire da quel punto. Non è il primo problema o il primo punto. Rischieremmo di soffocare aspetti, per esempio, di motivazioni intrinseche, che sono una risorsa


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importante anche economica. L'economia sta scoprendo il valore delle motivazioni intrinseche, dopo che le ha considerate elementi di tipo personale. L'economia è una questione e poi, se nel processo economico, metto anche i miei aspetti motivazionali, sono fatti miei. Non è così. In alcuni casi e in molte pratiche dell'agricoltura sociale le motivazioni intrinseche - scusate se parlo come ai miei studenti - sono un fattore di produzione: io continuo questo progetto e mi impegno, perché ciò consente di esprimere le mie motivazioni intrinseche, il mio progetto di vita dentro il progetto d'impresa, altrimenti non mi interessa.
Sono numerosi i casi in cui la eccessiva monetarizzazione ha fatto chiudere, invece che dilatare, le possibilità. Bisogna stare, quindi, molto attenti. Esiste tutto un filone dell'economia civile e dell'economia responsabile che invita a prestare attenzione a monetarizzare realtà che si sono sviluppate spontaneamente, perché si sono sviluppate al di fuori di contesti normativi.
Voglio fare anche un accenno al fatto che l'Italia in tale ambito è un punto di riferimento europeo. Io e il professor Francesco Di Iacovo abbiamo partecipato, nominati dal Ministero dell'università e della ricerca, a un'azione COST (iniziativa di cooperazione scientifica e tecnologica), che si è sviluppata dal 2006 al 2010 su questo tema e che ha coinvolto 15 Paesi europei.
In tale sede ci siamo scambiati tutte le conoscenze e gli elementi reciproci rispetto ai casi nazionali. L'Italia è un Paese riconosciuto per essere quello in cui sono più consolidate e diffuse queste pratiche, ma anche per avere carattere di fortissima originalità. Salvaguardiamo questo aspetto rispetto ai percorsi effettuati da altri Paesi.
L'ultima parola chiave è «responsabilità». È emerso tra le righe, è in filigrana, ma è evidente che l'agricoltura sociale si coniuga con un'economia responsabile e con un consumo responsabile, che, in un periodo di crisi, diventano un fattore fondamentale da riconoscere. L'agricoltura sa che cosa significa la responsabilità, perché all'agricoltore è affidata la responsabilità di esseri viventi, quindi capisce al volo il suo significato.
Questa è una leva di forza che sta tornando fuori. Non è solo la responsabilità sociale d'impresa in senso classico, che si attua con soggetti lontani e distanti, ma quella che si compie nella quotidianità, nella difficoltà e nella complessità.
In conclusione, lascio anch'io alcuni prodotti. Ne voglio presentare uno in particolare al presidente, perché l'abbiamo realizzato con la RAI ed è stato presentato nel 2011. È un documentario, La Buona Terra: esperienze di agricoltura sociale in Italia, l'unico in Italia e uno dei pochi europei, perché anche con le immagini si conosce. Si conosce con le visite che avete effettuato e che effettuerete, con le audizioni, ma anche ascoltando e vedendo un prodotto multimediale. Ne ho portate 40 copie, essendo questo -più o meno - il numero dei componenti la Commissione.
Lascio anche altri documenti tra cui un lavoro molto recente, un viaggio, svolto in occasione del 150o anniversario dell'Unità d'Italia, nell'Italia della nuova agricoltura civica, etica e responsabile, con 40 esperienze di agricoltura sociale e civica.
L'agricoltura sociale non solo dialoga col mondo agricolo, col mondo sociale e col mondo economico di un'economia responsabile e di un'economia civile. Io la vedevo così fino a poco tempo fa, ma mi sono reso conto negli anni che le interpella, le interroga e pone anche alcune sfide: quale agricoltura vogliamo, quali servizi sociali vogliamo, quelli soliti o vogliamo innovarli, quale economia vogliamo sviluppare? L'agricoltura sociale ha la capacità non solo di incrociare tre settori, ma anche di pungolarli, di interrogarli e di porre orizzonti che prima non erano neanche emersi.
Vi ringrazio.

PAOLA GROSSI, Responsabile dell'ufficio legislativo della Coldiretti. Grazie, presidente. Ringraziamo la Commissione di questa iniziativa, che ci vede particolarmente


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interessati proprio per lo sviluppo che abbiamo avuto anche come associati alla nostra organizzazione in questo settore.
Svolgo una prima notazione per quanto riguarda l'inquadramento giuridico di quest'attività. Noi condividiamo soprattutto l'impostazione economica adottata dal professor Di Iacovo e dal professor Senni per quanto riguarda l'inquadramento dell'attività dal punto di vista economico.
Dal punto di vista giuridico, invece, ci troviamo su una posizione diversa da quella che ha esposto il rappresentante dell'ARSIAL. Noi riteniamo, infatti, e ne abbiamo riscontro anche da esperienze che stiamo svolgendo, che l'attività di agricoltura sociale non rientri assolutamente nel concetto di multifunzionalità disciplinato dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 228 del 2001, ma nell'attività connessa definita in maniera molto precisa dall'articolo 2135 del Codice civile. Si tratta di un'attività di prestazione di servizi e la formulazione dell'articolo 2135 del Codice civile ci consente nella sua giusta ampiezza di ricomprendervi un dato numero di attività di prestazione di servizi, che vanno dagli appalti ambientali, che, come tutti sappiamo, consentono agli agricoltori di spalare la neve attraverso contratti con le pubbliche amministrazioni, fino a tutte le attività di fattorie didattiche che vengono svolte non solo da agriturismi, ma anche da qualsiasi tipo di attività agricola e che, secondo noi, rientrano nell'agricoltura sociale come servizi in senso lato all'individuo, alla famiglia e alla comunità, nell'ambito della multifunzionalità dell'agricoltura e di quella produzione di beni immateriali che, non dimentichiamolo, è alla base della legittimazione della riforma della Politica agricola comune.
Come emerso anche dalla presentazione della proposta di riforma della PAC del Commissario Ciolos, ciò che legittima un grande investimento di tutti i cittadini europei nel sostegno all'agricoltura è il fatto che l'agricoltura produca non solo food, non solo beni materiali, ma anche beni immateriali. Tra questi rientrano tutte le attività che noi riteniamo in senso lato di agricoltura sociale e che non sono, quindi, soltanto, anche se sono molto importanti, l'inserimento e l'inclusione dei soggetti diversamente abili, ma anche le fattorie didattiche che avvicinano i giovani all'agricoltura, con tutto ciò che questo rappresenta per l'investimento educativo dal punto di vista delle famiglie, ma anche economico, per il sostegno di un'attività agricola e per il mantenimento di un'agricoltura vivace, come settore economico, in Italia, ovviamente legato ai giovani, i quali saranno i consumatori di domani. Tale attività costituisce un avvicinarsi al mondo dei consumatori attraverso la vendita diretta, l'indicazione dell'origine, la garanzia di sicurezza alimentare.
Per tornare al discorso specifico dell'agricoltura sociale, le prestazioni di servizio a essa collegate rientrano nell'attività connessa dell'articolo 2135 del Codice civile. In questa veste noi abbiamo anche tutti i sostegni che vengono non solo dai Piani di sviluppo rurale ma, e questa è una prospettiva che ci può far vedere il futuro con un certo ottimismo, anche nella nuova riforma della Politica agricola comune si prevede anche la partnership pubblico-privato e la necessità di coordinamento tra gli interventi dei diversi fondi.
Come è stato giustamente evidenziato, è una delle difficoltà che si sono verificate finora quella di conciliare le risorse che vengono dal Fondo sociale europeo con quelle dei Programmi di sviluppo rurale e, quindi, dei fondi strutturali destinati alle attività agricole. Potrà essere superata perché l'impianto della nuova Politica agricola per lo sviluppo rurale è improntato alla massimizzazione dell'utilizzo delle risorse, consentendo progetti integrati e utilizzo integrato dei diversi fondi.
Noi confidiamo che proprio su questo versante dell'agricoltura sociale, potrà essere concesso alle imprese agricole un maggiore ricorso al Fondo sociale, per esempio ai Fondi sociali europei, che altrimenti sarebbero destinati ad altre specificità.
Ancora, noi riteniamo che con l'agricoltura sociale si possa venire incontro alle esigenze di flessibilità che fanno sì che ormai si parli sempre più di un welfare che non è soltanto quello reso dalle istituzioni


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pubbliche, ma è anche quello reso da reti private come gli agriasilo, che offrono una flessibilità alle famiglie che in molti casi le strutture pubbliche non possono offrire.
Per quanto riguarda la proposta di legge che naturalmente poi la Commissione prenderà in considerazione, se lo vorrà, noi concordiamo con coloro che hanno affermato che l'eccesso di codificazione può essere pericoloso, proprio perché l'agricoltura sociale, insieme in generale a tutte le attività multifunzionali che si sono sviluppate grazie alle innovazioni del Codice civile e del suo articolo 2135, hanno consentito di realizzare un'attività multifunzionale e di riconoscere come agricola la multifunzionalità svolta in questi campi. Se l'avessimo, invece, codificata, avremmo impedito lo svolgimento di quest'attività.
È in questa ottica che io ritengo, per esempio, che il riconoscimento dei fabbricati rurali dedicati a questo tipo di attività rientri assolutamente nella destinazione prevista per i fabbricati rurali. Sono tali, infatti, a nostro avviso, non solo quelli dedicati allo svolgimento delle attività principali, ma anche quelli legati alle attività connesse.
In tutti i casi in cui le amministrazioni contestassero questo tipo di qualificazione, secondo noi ci sono i presupposti giuridici per rispondere a tali contestazioni. Se si codificasse ogni volta e, quindi, si precisasse che è fabbricato rurale quello destinato all'agricoltura sociale, si potrebbe per negatività affermare che non lo è quello destinato ad altra attività, come può essere quella dell'appalto ambientale. Invece tutta la multifunzionalità è esplicazione di attività agricola, ovviamente nei limiti in cui essa è connessa con l'attività principale e, conseguentemente, è rurale il fabbricato destinato, così come il lavoratore agricolo.
La collega Silvia Bosco, a riprova di ciò che io ho cercato di esprimere, forse con molta approssimazione, porterà alcuni casi di nostre aziende associate che, come attività agricole, e quindi non come attività agrituristiche, svolgono attività di agricoltura sociale.

SILVIA BOSCO, Segretario nazionale di Donne impresa della Coldiretti. Grazie, presidente. Grazie ai componenti della Commissione.
Coldiretti in questi anni, ancora prima della legge di orientamento, ossia prima del 2001, ha iniziato elaborare e, se vogliamo, a dividere lo spaccato che la mia collega ha descritto in attività sociali, quelle rivolte ai bisogni effettivi della famiglia.
Possiamo ricordare le fattorie didattiche, che oggi sono una rete strutturata sul territorio che coinvolge aziende agricole e aziende agrituristiche. Sono oltre 1.400 in tutta Italia. Ciò ha fatto sì che ci sia un protocollo di intesa - si parlava prima di un protocollo di intesa con gli enti e con i ministeri e questo per Coldiretti è avvenuto.
Il sociale si può esplicare grazie anche agli agriasilo e agli agrinido. Si trovano soprattutto nel Nord Italia, ma si stanno strutturando anche altrove. Una delibera recente della regione Marche sta strutturando un agrinido anche in quella regione. È un necessario bisogno che viene in tal modo soddisfatto.
Ci sono poi anche i bisogni per gli anziani, cui le nostre aziende agricole e anche agrituristiche cercano di sopperire.
Ciò premesso, si può fare riferimento a tutti gli episodi che in Italia incontriamo per quanto riguarda il sociale. Per esempio, ad Avellino c'è stata, sempre con una rete di tessuti sul territorio e con le relative case circondariali, la possibilità di impiegare persone detenute che escono da una dipendenza, o comunque rei confessi, in agricoltura.
Alcune aziende agricole a Pavia si sono adoperate nel sociale affidando ad operatori portatori di handicap diversi l'attività di redazione del loro marketing aziendale, con bottiglie di vino recanti l'etichetta scritta in braille.
Questi sono solo alcuni esempi. L'Italia è veramente piena di opportunità e soprattutto le nostre imprese al femminile hanno saputo cogliere tutti i bisogni che dalla società emergono. Facendo riferimento - e concludo, presidente - a quello


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che asseriva il professor Senni, sono d'accordo sulle risorse, ma sarei anche d'accordo che ci fosse un maggiore dialogo tra l'impresa agricola e lo Stato e che si snellisse la burocrazia. Noi spesso siamo di fronte a imprenditori agricoli che fanno una fatica incredibile a portare avanti la loro idea imprenditoriale.
Nell'opuscolo che vi ha lasciato il professor Senni è citata l'azienda Settimo miglio di Roberto Moncalvo, che ha in divenire l'opportunità di aprire un agroasilo da ormai quattro anni. Questo ritardo non soddisfa più un bisogno. Occorrerebbe tentare di evitare dunque questa burocratizzazione, che impedisce anche la libertà imprenditoriale. Grazie.

PRESIDENTE. Saluto i rappresentanti della Confagricoltura, ingegner Paolo Perinelli, il dottor Adelino Lesti e il dottor Massimiliano Giansanti, che hanno attribuito la delega di rappresentanza - se non l'hanno fatto loro, l'ho fatto io - al dottor Di Stefano.

GIUSEPPE GANDIN, Presidente nazionale dell'associazione Turismo Verde-CIA. Sarò molto breve, anche perché è stato già detto molto e condivido totalmente le considerazioni già svolte.
L'associazione Turismo Verde-CIA lavora nelle fattorie sociali da parecchio tempo ed è arrivata a un buon risultato e a una buona presenza sul territorio. Ritengo che l'attività di fattoria sociale venga svolta soprattutto per passione e non solamente per una questione finanziaria e di reddito. Se viene svolta solamente per quel fine, infatti, significa che non si ha un grande risultato in quello che si intende fare verso i diversamente abili, da qualsiasi luogo provengano.
Ritengo che ci sia una buona presenza di fattorie sociali specialmente nel Nord Italia, che si sta estendendo anche nelle parti del Sud, che lavorano anche con animali, in particolare cavalli e cani, che sono quelli che si adattano di più a questo tipo di attività.
All'interno di quest'attività agricola rientra a pieno diritto anche la biodiversità. La biodiversità, purtroppo, è andata persa e si sta distruggendo con la globalizzazione. A mio avviso, se vogliamo mantenere una razza, mangiamola, altrimenti non ha senso. La biodiversità rientra a pieno titolo in quest'attività.
È importante anche salvaguardare le zone montane, le zone svantaggiate, per mantenere l'agricoltura e dare reddito agli agricoltori in queste zone. Purtroppo, infatti, si parla sempre di tali questioni - io sono un agricoltore e, di conseguenza, vivo la situazione in prima persona; peraltro, lavoro su un'area svantaggiata - ma sento che ci manca moltissimo l'appoggio delle regioni, delle province e dello Stato in quest'attività.
Non siamo sostenuti assolutamente, anzi ci complicano la vita quando abbiamo problemi, ad esempio in caso di frane, perché purtroppo ci troviamo a doverci confrontare con una burocrazia paurosa. Ci costa di più il lato burocratico che il lato operativo, nel senso di intervento diretto nel territorio. Oltretutto dobbiamo versare anche una cauzione sopra queste iniziative.
Ho divagato dalle fattorie sociali, però ci tenevo anche a precisare questi aspetti, che non vengono mai riferiti o non vengono mai portati avanti. Vi ringrazio.

ENRICO FRAVILI, Responsabile tecnico dei settori produttivi di Copagri. Grazie ai componenti della Commissione. Saluto tutti i presenti a questo tavolo.
Oggi siamo riuniti per discutere e dibattere di questioni di grandissima importanza. Mi ha fatto molto piacere ascoltare l'intervento dell'imprenditore agricolo che mi ha preceduto, perché mi ha dato la possibilità di inserirmi in un discorso che vorrei svolgere in modo leggermente diverso, ma comunque integrato rispetto agli altri ragionamenti che ho sentito nel corso di questa serata, tutti estremamente interessanti, da quelli delle componenti sociali a quelli del mondo universitario.
Copagri ritiene che lo sviluppo dell'agricoltura sociale sia senz'altro meritevole di forte considerazione e che sia un settore che meriti un grandissimo sostegno,


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in quanto mostra un dinamismo superiore a quello di altri comparti del mondo agricolo.
Una questione è certa: è venuto il momento di dare anche un quadro normativo, in un certo senso, sicuro a tutto questo contesto. Questo mondo coinvolge, infatti, mondi, aspirazioni e necessità anche molto distanti tra di loro, ma che, giustamente collegati, possono dare un contributo di grande rilevanza alla crescita culturale e materiale della nostra società.
Oggi parliamo molto spesso di ruolo multifunzionale dell'agricoltura e di come sia possibile - ho sentito prima il rappresentante di Coldiretti - recuperare spazi economici a favore delle nostre aziende. Da rappresentante di aziende agricole, posso riferire che molte di esse sono vicine al collasso. Probabilmente ciò è dovuto ad altri problemi, per esempio al problema strutturale delle aziende agricole in seno alla filiera agroalimentare, ma questo fa parte di altri ragionamenti.
Quando si parla di ruolo multifunzionale, ci riferiamo anche all'affiancare alla produzione di alimenti - ne parleremo verso la fine del mio intervento - la capacità di generare servizi orientati alla pubblica utilità e, in un certo senso, al mercato, perché esiste anche un mercato di questo tipo di necessità.
Come organizzazione noi ci rendiamo conto della grandissima importanza di integrare presso lo stesso imprenditore economico, sia esso un imprenditore singolo, come la persona che ha parlato prima di me, o un soggetto collettivo, persone che diversamente avrebbero enormi difficoltà a partecipare allo sviluppo della società civile.
Noi riteniamo che questo sia un fatto che ricopre un grande valore aggiunto rispetto alla semplice produzione di beni alimentari, con la crescente preoccupazione di riuscire a sfamare comunque un pianeta sempre più popolato, che richiede sempre più cibo e in quantità crescenti. Non possiamo dimenticare questo tema.
Per tutti i motivi appena accennati noi riteniamo che la figura attorno alla quale dovrebbe ruotare il quadro normativo organico relativo a questo tipo di contesto sia quella dell'imprenditore agricolo nelle sue diverse forme, in forma sia privata, sia associata.
Dobbiamo inquadrare anche il contesto. Molte persone che mi hanno preceduto hanno sostenuto che abbiamo un'agricoltura sociale estremamente evoluta rispetto ad altri contesti. È vero, però dobbiamo anche ragionare sulle differenze che esistono fra la nostra agricoltura sociale e sul supporto che essa riceve rispetto a quella di altri contesti europei. In contesti differenti da quello italiano il lavoratore e l'imprenditore agricolo sono sollevati dal problema di trovare un equilibrio fra servizi messi a disposizione e produttività in senso generale e ciò vale sia per gli imprenditori singoli, sia per quelli sociali.
Per esperienza diretta nelle nostre aziende, posso affermare che molto spesso la gestione di personale con particolarità e con problemi può essere anche fonte di grandi complicazioni, sia per quanto riguarda il lavoro vero e proprio, sia dal punto di vista dell'inquadramento del lavoro. Bisogna che ci riferiamo alcune questioni, non possiamo svolgere soltanto un ragionamento aulico, altrimenti non si riesce ad arrivare al punto fondamentale del problema.
Sarebbe il caso che a farsi un po' carico di tutta una serie di problematiche fosse lo stesso ambito che dall'agricoltura sociale trae beneficio. Per esprimersi in termini molto diretti, se vengono richiesti spazi e opportunità, ossia in definitiva si chiedono funzioni sociali, dovrebbe essere la stessa collettività a caricarsi il differenziale fra lavoro produttivo e lavoro sociale.
Anche le nostre aziende più sensibili ai problemi sociali accusano problemi. Personalmente ho amici che fanno gli agricoltori e sono impegnati in questo senso e li frequento, quando a tempo perso mi dedico alla professione di agronomo. Spesso mi fanno notare che a volte ci sono rapporti piuttosto difficili in campagna fra il datore di lavoro, la persona che ha in mano l'azienda agricola, e questo tipo di «operai» - passatemi il termine - non


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tanto perché queste persone possono essere di serie B o di serie C, bensì per la complessità e la tipologia dei lavori che esistono in campagna. Per un'azienda agricola non è facile già coordinare il lavoro del personale, figuriamoci se l'imprenditore si trova a combattere anche con disagi di altra natura.
Probabilmente, allo stato attuale, con la normativa vigente e privi di un quadro normativo di riferimento, sono proprio i soggetti collettivi, le cooperative e le associazioni, i soggetti che, per dimensioni, mentalità e anche probabilmente per storia, sono dotati del bagaglio tecnico necessario ad affrontare questi problemi.
L'obiezione che più di frequente mi capita di sentire, quando parlo con queste persone, è che possono fare l'imprenditore, possono affiancare queste persone, però non riescono a diventare psicologi, perché non è nelle loro corde, non è nella loro natura, non ne sono capaci. È un mestiere diverso. Hanno fatto bene dunque a rimarcarlo alcune persone che hanno parlato prima di me, quando spiegavano che occorre una connessione fra un mondo lavorativo e un mondo che si occupi di problemi più strettamente sanitari e sociali. Occorre una sinergia. Non si può lasciare sulle spalle dell'azienda agricola lo sviluppo di questo tipo di attività.
A me è capitato - mi avvio molto velocemente al termine dell'intervento - di essere testimone di progetti in cui alcuni nostri agricoltori hanno pilotato lo sviluppo di lavori di materiale e di attrezzature apistiche presso case circondariali con detenuti e altre strutture di questo genere. Il risultato finale è stato che, se non ci fosse stato un supporto alle spalle, l'attività produttiva non sarebbe stata sufficiente - mi riferisco anche ai ragionamenti che sono stati sviluppati dal professor Senni - a supportare e a mantenersi, perché sarebbe stata fuori mercato. Alcune questioni vanno inquadrate in un dato modo rispetto a ciò che avevo anticipato anche prima.
Non intendo svolgere un discorso mercantile. Per carità di Dio, non posso sottacere e dimenticare tutto il valore aggiunto che può avere l'agricoltura sociale e multifunzionale rispetto a quella propriamente economica. Non possiamo pensare, però, di mantenere e di avere un'agricoltura sociale senza un'agricoltura economica, anche se in senso lato.
Come organizzazione per noi è necessario, pur mantenendo fermo il concetto di progresso, anzi non disgiunto dal concetto di progresso, recuperare i valori della civiltà contadina e del mondo rurale, che nel passato comunque si facevano carico dei problemi sociali e riuscivano ad assegnare un ruolo lavorativo anche a persone che, diversamente, nella società urbana non sarebbero riuscite a trovare né una collaborazione, né un sostegno. Grazie.

PRESIDENTE. Abbiamo il privilegio da un po' di tempo di avere tra chi ci ascolta il sottosegretario di Stato per la salute, il professor Adelfio Elio Cardinale, che inviterei a darci il suo contributo.

ADELFIO ELIO CARDINALE, Sottosegretario di Stato per la salute. Ringrazio il presidente, gli onorevoli di questa Commissione e tutti i partecipanti per l'invito che mi è stato formulato e che mi permette di fornire un contributo sui profili di competenza che il Ministero della salute ha nel tema dell'agricoltura sociale.
Mi debbo complimentare innanzitutto per quest'indagine conoscitiva svolta in forma seminariale, perché - permettete una deformazione di un anziano professore universitario - secondo me, questa è la struttura migliore per avanzamenti di conoscenza.
Il professor Senni ha sostenuto giustamente che l'agricoltura sociale interagisce con il mondo sociale, con il mondo economico e anche con il mondo della salute e della sanità. L'agricoltura è un vero e proprio universo, un pluriverso della vita, nel senso che interagisce con la catena agroalimentare, con tutte le conseguenze positive o nocive che si possono avere, a seconda degli impieghi più o meno corretti, ma anche e soprattutto con l'ecosistema.
Io credo che noi abbiamo - qualcuno degli oratori che mi hanno preceduto ne


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ha fatto cenno - il dovere, come classe dirigente, di pensare a quello che sarà l'ecosistema nei prossimi decenni, ecosistema che, se non è guidato con ragionevolezza, con attenzione e con risvolti che non siano solo economico-finanziari, ma che guardino a tutto il complesso del nostro pianeta, può portare danni irrevocabili e irreparabili, soprattutto per le generazioni future. Credo che sia un dovere di chi a diverso titolo, come coloro che sono qui oggi convenuti, è classe dirigente quello di guardare alle generazioni future.
I temi e le relazioni che ho sentito, assai interessanti, confermano innanzitutto una cosa, ossia la pluridisciplinarietà di tutte le attività in cui si vuole avere un progresso di conoscenza e di realizzazioni utili e positive, perché si sono visti temi sociali, economici e agricoli strettamente intesi.
Qualcuno ha fatto riferimento all'interazione con gli psicologi, per esempio. Fra parentesi, da professore di medicina, lasciatemi dire che l'apporto degli psicologi in Italia è molto limitato, soprattutto nelle strutture sanitarie pubbliche o anche in queste, che, in senso lato, nell'agricoltura sociale possiamo definire parasanitarie, perché si avvicinano alla terapia dell'uomo.
Voi sapete che in alcuni Paesi del Nord uno degli indici di benessere è il numero degli psicologi impiegati nelle strutture pubbliche, che da noi è molto basso. Certamente, come ha affermato l'oratore che mi ha preceduto, ciò dimostra che si debbono avere interrelazioni con la medicina, con la psichiatria e con la riabilitazione. Voi sapete meglio di me che cosa si intende per agricoltura sociale, nel senso di un'agricoltura che mira al benessere dell'uomo e in particolare in questo caso - credo che questo sia stato quanto richiestomi come contributo - a quello della salute mentale e della riabilitazione.
È noto fin dall'antichità che la vicinanza con gli animali, soprattutto nei soggetti più giovani o nei soggetti con disabilità fisiche o psichiche, è sempre stata di sussidio e di aiuto. Io credo che anche in questo ambito bisogna avere la capacità di fare sistema, di integrare tutte le realtà. Mi sembra dagli interventi che ci sono stati e che mi hanno preceduto che ce ne siano tante e di qualità.
Mi è sembrato di capire, anche se non è il mio stretto settore di competenza, che l'Italia non è seconda a nessuno in questo campo. Dobbiamo sfatare alcuni concetti, perché noi spesso amiamo l'autoflagellazione. Per quanto riguarda il sistema sanitario, il nostro è il secondo valutato in campo internazionale per solidarietà, sussidiarietà e qualità.
Sono lieto che anche in questo settore l'Italia abbia un primato, però bisogna fare sistema e credo che un'altra strada certamente da seguire - anche questa mi pare che sia stata segnalata da un oratore - è quella della sussidiarietà pubblico-privato, perché è una necessità che via via col tempo dobbiamo tenere presente.
Dicevo che l'interazione zooantropologica è un dato conosciuto. Per esempio, l'ippoterapia è una delle attività più antiche che esistano. Voi sapete della pet terapia, di cui si fa tanto uso negli ospedali. Questa è una delle campagne che si attuano a livello sia nazionale, sia regionale.
C'è un effettivo miglioramento della disabilità in questo contesto lavorativo. Una questione un po' più complessa è quella degli animali da reddito, soprattutto di grossa taglia, tranne per il cavallo; sarebbe meglio forse - questi sono gli studi disponibili - privilegiare gli animali di piccola taglia.
Comunque esiste certamente una positiva esperienza emozionale nel rapporto fra l'individuo disabile e l'animale. Questo è noto in tutti i settori, dall'ipovedente al disabile, al bambino down. Rispetto all'animale essi hanno un senso di compartecipazione che già è, come sapete, al di là del miglioramento fisico e farmacologico, un supporto forte per il miglioramento di una terapia.
Esiste anche la cosiddetta «terapia verde», cioè l'agricoltura come sussidio per una vita più serena. Nell'ultimo Rapporto sulla sanità si è visto che in Italia c'è


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una crescita sempre maggiore dell'assunzione di psicofarmaci, perché ci sono molte persone che sono depresse. Io credo che una migliore qualità della vita nel mondo dell'agricoltura possa rappresentare un sussidio anche in questo senso. In genere tutta la terapia verde può dare un contributo non indifferente per il miglioramento di questa patologia.
Lo ripeto sempre, perché mi pare che ci siano impensabili parallelismi fra questo mondo e quello della salute e della sanità. Qualcuno ha sostenuto giustamente che non si vuole creare piccoli ospedali. È la stessa politica che si deve attuare nella sanità, cioè devolvere al territorio, a un territorio attrezzato e che abbia le sue competenze, questo tipo di terapia, che può migliorare la salute.
C'è anche la necessità di un'acquisizione culturale. Dobbiamo tutti insieme cercare di convincere l'opinione pubblica, e non solo i soggetti interessati, di questo vantaggio che si può avere per il bene di alcune fasce più deboli della popolazione.
Riguardo alle potenzialità terapeutiche, oltre a quella della pet terapia e a quella di tipo psicologico, bisogna ancora approfondire il mondo delle evidenze scientifiche, perché ci sono ancora alcune carenze.
Alcune iniziative sono già state svolte nel programma «Guadagnare salute», dove figurano le attività salutari della popolazione. Tutto ciò può essere perfettamente inserito, con la valorizzazione della multifunzionalità delle aziende agricole e delle fattorie sociali (qualcuno al riguardo ha parlato di LEA, di livelli essenziali di assistenza, come se fossimo in medicina).
Francamente, ci sono tante questioni che insieme si possono e si debbono studiare.
Io credo che sia importante in questo campo la collaborazione con gli enti locali e non solo con lo Stato. Qualcuno ha fatto riferimento ai comuni e soprattutto alle regioni, che devono fare sistema. Come asseriva il professor Di Iacovo, è necessario stipulare accordi sul territorio. A livello nazionale, a livello statale si possono dare alcune linee guida e compiere alcuni interventi di carattere generale, ma è sul territorio che se ne può poi vedere la realizzazione.
Concordo anche, visto che ne ho fatto cenno, che ci sono alcune carenze dal punto di vista strettamente scientifico sui rapporti che debbono portare, ove tali carenze siano acclarate, anche a un aumento di fondi. Il professor Senni ha sostenuto che c'è una necessità di sistematizzare anche la materia. Io credo che da questa sistematizzazione, con studi che debbono essere pluridisciplinari e approfonditi in questo settore, si possa avere un forte successo e un contributo utile.
Su un punto solo mi permetto di dissentire. Non ricordo chi fosse l'oratore che parlava e che ha sostenuto che esiste il mantra della competitività. Io, invece, sostengo che in questa globalizzazione, che può piacere o non piacere, ma che durerà tanto, l'elemento caratteristico è la competizione sempre più dura, che segue la legge di Darwin, per cui i più deboli periranno. Per questo motivo noi, lo ripeto, come classe dirigente, dobbiamo dare tutti gli strumenti culturali e sociali ai nostri giovani per competere in questo mondo, che si preannuncia non facile.
Vi chiederei, infine, perché ho visto che c'è molta documentazione, se è possibile averla, perché vorrei approfondire questo settore in termini più analitici.

PRESIDENTE. Professore, gliela faremo avere assolutamente.

TERESIO DELFINO. Vorrei molto brevemente svolgere due considerazioni. La giornata di oggi è stata per me molto interessante e anche l'ultimo incontro del professore e sottosegretario ha rilevato alcuni aspetti problematici per capire bene quello che, a mio avviso, deve essere fatto per questa straordinaria esperienza dell'agricoltura sociale. È una realtà oggi molto interessante e molto positiva, come hanno sostenuto diversi partecipanti, e largamente sperimentata. La documentazione che acquisiamo oggi sicuramente mi aiuterà a colmare le numerose lacune che personalmente ho.


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Certamente in un punto individuo il vero nodo: dobbiamo capire veramente qual è la normativa da implementare rispetto alla situazione nazionale. L'intervento della dottoressa Paola Grossi riferisce che è già tutto normato e chiaro con l'articolo 2135 del Codice civile. In tal caso, dovremmo compiere uno sforzo, perché, a mio sommesso parere, questa realtà, che è una realtà straordinaria, che coglie la peculiarità di una possibilità di garantire dignità alle persone e ai soggetti più deboli, non può essere costretta in una normativa che impedisca la creatività e la capacità imprenditoriale di tutte le aziende che vogliano impegnarsi in questa agricoltura e vogliano valorizzare una possibilità di risposta rispetto a problemi sui quali le normali strutture che esistono, meritevoli e meritorie, sono però insufficienti e incapaci di offrire possibilità di dignità personale a tante persone che si trovano in difficoltà.
Per me il nodo è questo e la legge di orientamento, secondo me, ha dentro di sé tutte le potenzialità. Non deve essere esaustiva delle indicazioni di attività connesse che esistono, perché la legge di orientamento era un'indicazione largamente programmatica rispetto allo straordinario strumento della terra e, quindi, degli imprenditori agricoli, che con questa loro disponibilità possono dare le risposte più diverse da quelle di carattere ambientale a quelle, come in questo caso, di carattere sociale.
Volevo, inoltre, sottolineare sicuramente la necessità di un'armonizzazione. Noi dobbiamo impedire che ci sia nel Paese una risposta che non tenga conto della finalità dell'agricoltura sociale. Le risposte, anche in termini di qualità, devono poter essere verificate, ma non preventivamente, bensì successivamente. Noi dobbiamo dare uno spazio a chi vuole percorrere questa strada, ma poi ci deve essere una capacità di fare sistema a livello nazionale, nel rispetto delle competenze che le regioni hanno, sia nel campo agricolo, sia nel campo della sanità e dell'assistenza. Al tempo stesso, però, occorre trovare alcuni elementi di valutazione che debbono garantire a queste esperienze e a queste iniziative imprenditoriali una risposta.
L'ultima considerazione che volevo svolgere è che mi ha colpito molto favorevolmente - naturalmente mi documenterò meglio - la questione di un Osservatorio nazionale e di analoghe iniziative in sede regionale, perché, secondo me, si può mettere in rete proprio dall'osservazione concreta ed empirica delle attività che vengono portate avanti una comunione, una partecipazione e anche una capacità di miglioramento complessivo del sistema dell'agricoltura sociale a favore dei soggetti più deboli del nostro Paese. Grazie.

VINCENZO DE BERNARDO, Direttore di Federsolidarietà-Confcooperative. Buongiorno. Anch'io ho portato un po' di testi, ma non molti, quindi non appesantirò il presidente della Commissione. Parto proprio dalla documentazione che oggi sottoponiamo all'attenzione della Commissione: il Libro bianco che la Federsolidarietà ha predisposto, dal titolo: La cooperazione sociale per l'inserimento lavorativo, e l'Atlante della cooperazione sociale, sempre della Federsolidarietà-Confcooperative, predisposto sulla base dei dati del 2010, che si riferisce fondamentalmente alla domanda e all'offerta.
Di che domanda e offerta stiamo parlando? Parliamo di offerta di servizi sociali, sanitari, educativi, assistenziali e di inserimento lavorativo prodotti dalle cooperative sociali e di domanda di inserimento lavorativo da parte delle persone disabili oppure di erogazione di servizi per tossicodipendenti e disabili. L'abbiamo fatto comune per comune e, quindi, siamo in grado, comune per comune, di entrare nel merito di quanti sono i disabili di quell'area, di quante cooperative sociali ci sono e di «matchare», quindi, la nostra risposta.
Da questo Atlante si evince che al mondo vi sono 17 mila cooperative sociali, di cui 14 mila sono in Italia. Di queste, 9 mila sono rappresentate dalle tre centrali, AGCI, Legacoopsociali e Federsolidarietà.


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L'Atlante riguarda solo le nostre 6 mila cooperative sociali, quelle di Federsolidarietà. Vi sono solo 2-3 mila cooperative sociali che sono iscritte ad altre centrali.
Perché parto dalla soggettività giuridica? Poiché ho sentito molte questioni con le quali sicuramente la cooperazione sociale si può relazionare. Vedo che molte di queste tematiche sono già nello spirito della legge n. 381 del 1991, che ha prodotto la nascita della cooperazione sociale.
Quest'ultima svolge due attività che, come voi avete spiegato egregiamente bene, si svolgono e che è giusto che anche altri svolgano, come la costruzione di servizi sociali, sanitari, educativi e assistenziali, anche attraverso un fondo nel quale sperimentare questi servizi. Nella Federsolidarietà le cooperative sociali che svolgono tale attività sono 3.800 e, quindi, si possono sperimentare nei piccoli comuni, oltre che nelle grandi città.
La seconda attività è l'inserimento lavorativo. Di quali soggetti svantaggiati parliamo? Di disabili ed ex carcerati. Noi abbiamo 1.800 cooperative sociali che, come sapete, hanno un obbligo, altrimenti non si potrebbero chiamare cooperative sociali, di inserire almeno il 30 per cento di soggetti svantaggiati, non quelli, come prima qualcuno ha riportato, della normativa europea, ovvero soggetti con uno svantaggio sociale, che pur meriterebbero un'attenzione, visto che c'è grandissima disoccupazione e che andiamo verso una popolazione la cui età media si alza, ma quelli con uno svantaggio fisico.
Si tratta di persone che hanno grandi difficoltà. Ciononostante, in queste 1.800 cooperative sociali di inserimento lavorativo, solo, ma non è un piccolo numero, 81 al momento producono e vendono direttamente prodotti agricoli.
Che cosa fa dunque la cooperazione sociale? Per un verso fa integrazione sociosanitaria, fa assistenza ed eroga azioni educative, non tutte ovviamente, ma una parte di esse, utilizzando il fondo come campo di allenamento e, quindi, il rapporto con l'agricoltura e con l'ambiente come campo di allenamento affinché queste persone in difficoltà non siano ghettizzate, ma anzi trovino una risposta terapeutica. Dall'altro verso, diversamente dagli altri Stati, la cooperazione sociale italiana si proietta direttamente sul mercato, dicendo in sostanza: «Noi siamo in grado persino di far emergere dalle persone disabili una certa produttività, che consenta in tutte le attività, compresa l'agricoltura, di produrre beni che vanno sul mercato e vengono venduti».
Questa è la parte di presentazione. Sulle proposte che ho sentito oggi, invece, svolgo le mie considerazioni, che introdurrei con uno slogan che potrebbe essere: «Lavorare per normare sì, lavorare per premiare forse».
Quando si parla di agricoltura sociale bisogna, se si costruisce un provvedimento, prestare attenzione affinché non vi siano confusioni tra strumenti di premialità a vantaggio di soggetti giuridici specifici, che possono essere profit o no-profit, e oggetti di attività. Per esempio, la cooperazione sociale gode di alcuni vantaggi fiscali, ma non può ripartire utili, non può costruire utili. C'è tutta una tematica di mission dunque che è centrata sul soggetto e non sull'oggetto.
Se l'oggetto è l'inserimento lavorativo, perché vi sono più proposte in merito, come mi pare di aver capito, bisogna al contempo calibrare gli strumenti per premiare l'inserimento lavorativo. In molti casi noi abbiamo proposto il credito d'imposta come strumento per l'inserimento lavorativo di lavoratori svantaggiati. Vi sono fortissime strozzature su questa tematica.
Sul tipo di vantaggio, come vi accennavo, vi sono due normative diverse. C'è una normativa europea, che è molto ampia, in cui addirittura il disoccupato è considerato uno svantaggiato. In Italia la legge n. 381 del 1991 in un suo articolo indica svantaggi fisici, cioè il disabile e non il disoccupato. Se si costruiscono premialità per l'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, bisogna evitare che gli svantaggiati sociali siano più beneficiari degli altri.
Mi sembra che la politica di marchio sia una politica che si possa perseguire,


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così come i tavoli nazionali. Noi crediamo che forse un approfondimento ulteriore su questa tematica così complessa, perché l'agricoltura sociale può essere svolta da diversi soggetti, debba essere ulteriormente sviscerata e ulteriormente analizzata per arrivare a un'attenta produzione di manutenzione normativa.
Bisogna poi, in ultimo, tener conto dell'esperienza della cooperazione sociale, che sicuramente potrebbe essere coinvolta su azioni integrate a livello territoriale e, quindi, collegare in maniera più forte l'esperienza dell'agricoltura con quelle relative a campi molto delicati, come il sociosanitario, l'educativo e l'assistenziale, campi che devono essere padroneggiati con grande cura, competenza e attenzione. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie. Quest'ultimo intervento mi richiama la necessità di chiarire che la nostra iniziativa nasce proprio dall'aver compreso che la complessità dei punti di vista, le differenti letture che si danno del fenomeno dell'agricoltura sociale non sempre sono complementari: a volte si sovrappongono le une alle altre e talvolta rischiano di confliggere fra loro, soprattutto in assenza di un sistema armonizzato.

MARCO MARCOCCI, Dirigente del settore agricoltura di Legacoopsociali. Intervengo a nome del dottor Piscopo, che purtroppo ha avuto un problema ed è dovuto andare via. Sono Marco Marcocci della Lega delle cooperative.
Con riferimento al sistema Lega delle cooperative parliamo di 15 mila cooperative a livello nazionale e di circa 2 mila cooperative sociali.
Vorrei semplicemente intervenire su alcuni punti, visto che la Legacoopsociali già partecipa alla maggior parte delle iniziative che sono in campo, sia quella del Forum delle fattorie sociali, sia quella della Rete delle fattorie sociali.
Non vado pertanto a duplicare gli interventi, , che sono stati molto ricchi, ma cerco - e spero - di integrarli (visto anche l'orario). Una parte del nostro contributo è stata già presentata e, quindi, mi sembrerebbe di ripeterla ulteriormente. Mi preme, invece, svolgere un'analisi che forse è stata ricordata da alcuni.
Il punto di partenza è che, quando parliamo di agricoltura sociale, parliamo veramente di un modello di sviluppo. È stato ricordato, ma, secondo me, si deve svolgere un'analisi un po' più importante.
In questo momento soprattutto, in cui la crisi economica ci pone di fronte a una ricerca e a un elaborazione di un modello di welfare diverso, quando parliamo di agricoltura sociale, possiamo iniziare immaginare questo welfare diverso, un welfare che non parte dalla richiesta di soldi.
Oggi, la maggior parte dei contributi che sono stati presentati non ha posto al centro una richiesta di risorse finanziarie. L'argomento di cui oggi, a me almeno, ma anche a noi, preme parlare è proprio fatto che quello che serve è dare a queste realtà, che svolgono un'attività economica importante, il riconoscimento del ruolo che svolgono in quanto tali, dare quindi loro la possibilità di avere una riconoscibilità normativa, una riconoscibilità per quello che riguarda il fatto di svolgere un'attività diversa da quella che viene svolta normalmente.
A mio avviso, quindi, gli interventi di tutti noi che oggi abbiamo preso la parola ci consentono di spostare e di rivoltare il paradigma: noi non siamo qui a chiedere aiuto, ma lo offriamo, dal punto di vista proprio sociale. L'inserire e il mettere insieme due settori come l'agricoltura e il sociale può sembrare un'associazione di debolezze, perché partiamo da due settori che hanno debolezze storiche (l'agricoltura ha difficoltà nel ricambio generazionale e il settore sociale oggi più che mai vive questo problema enorme). Ma nell'inserimento lavorativo c'è un grande bisogno di individuare settori in cui poter inserire al lavoro le persone. Allora perché non poter unire questi due settori, che possono rivelarsi solo apparentemente deboli?
Posta la questione in questi termini, il settore può avere realmente una funzione anticiclica, perché riesce a ottimizzare le risorse esistenti, proponendo l'utilizzo dei


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terreni abbandonati, che molti hanno citato, dei casali abbandonati e la possibilità soprattutto di governare il territorio e di offrire un decoro urbano, che è attualmente anche uno dei problemi più sentiti dalla cittadinanza.
Legacoop ha registrato un marchio, che si chiama Sapori sociali. È un marchio che è a disposizione di tutti, se si vuole ragionare su un marchio unico, come in gran parte delle proposte che sono pervenute. Legacoop cercherà soprattutto di compiere un'azione, ossia quella di proporre e di lavorare insieme a chi già sta lavorando sull'elaborazione di proposte. Non intende proporre - questa è stata una scelta importante - un ulteriore modello o un'ulteriore proposta. Cerca e spera che sia possibile arrivare a un'unica proposta elaborata da tutte le realtà che compongono questo arcipelago così ricco, per arrivare veramente a dare a questi due settori, che sono teoricamente due debolezze, la forza unica di cui hanno bisogno. Il modello che si propone, lo ripeto, è un modello di nuovo welfare e di nuovo sviluppo territoriale. Da qui, secondo noi, bisogna partire. Grazie.

GIUSEPPE MANGONE, Responsabile per l'agricoltura sociale dell'Associazione nazionale produttori agricoli (ANPA). Parlando quasi per ultimo, consentitemi intanto di apprezzare il clima positivo di questa audizione. È veramente bello. C'è una grande voglia positiva di confrontarsi...

PRESIDENTE. So che la politica viene troppo spesso associata all'idea di una rissa, ma in genere le assicuro che il clima della Commissione agricoltura è storicamente questo.

GIUSEPPE MANGONE, Responsabile per l'agricoltura sociale dell'Associazione nazionale produttori agricoli (ANPA). Era appunto questo, presidente, che volevo sottolineare.
Vado subito ad affrontare e a concentrarmi su un aspetto soltanto, perché è stato già detto molto, e inizio col rilevare che, più la crisi incalza, più l'agricoltura è obbligata a cercare nuove vie.
L'agricoltura ha intrapreso la strada della qualità per potersi mantenere sulla scena economica e produttiva di questo Paese e di questa Europa, ma non è bastato. In questo momento io posso riferire che vi sono produttori che hanno migliaia di quintali di prodotti certificati di agricoltura biologica e che non riescono a venderli. Penso agli agrumi della Calabria e della Sicilia, penso all'olio extravergine d'oliva biologico certificato, per il quale al produttore si offrono 3 euro al litro, e potrei continuare.
L'agricoltura si è rapportata e ha utilizzato l'opportunità dell'agriturismo. Sta tentando la strada delle fattorie sociali e della produzione di energie alternative, tutte opportunità per affrontare la crisi che investe l'agricoltura e le aziende. L'elemento nuovo di cui oggi ci occupiamo e che interessa l'azienda è rappresentato dall'agricoltura sociale, che è sicuramente cosa diversa dall'agriturismo e dalle fattorie didattiche.
A mio modo di vedere, non si fa agriturismo se non c'è la voglia o l'obiettivo di fare reddito e nello stesso tempo la passione. Senza passione l'agriturismo realizza alberghi e ristoranti, ma non l'obiettivo di far conoscere il proprio territorio, le tradizioni legate ai prodotti e quanto altro. Le fattorie didattiche, se sono considerate solo come ipotesi di integrazione del reddito, permetteranno la permanenza in azienda dei bambini, ma non saranno mai soggetti che si pongono l'obiettivo di riavvicinare le nuove generazioni al mondo dell'agricoltura e delle tradizioni del mondo rurale.
Lo stesso vale per l'agricoltura sociale. Sicuramente vi ci si proietta per tentare di creare un'attività che produca un minimo di reddito, ma ci vuole la volontà, la voglia e la passione per questa attività completamente inedita per l'agricoltore in senso lato. La novità è che la voglia e la volontà da parte dell'agricoltore di fare agricoltura sociale oggi esistono.


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Ricordo l'impegno che abbiamo profuso quando sono stati elaborati i Piani di sviluppo rurale a livello regionale. Ho sentito più volte Alfonso Pascale e gli ho chiesto spesso consigli per come contribuire a fare sì che i Piani di sviluppo rurale contenessero le misure idonee e più utili possibili all'impresa per cimentarsi in questa attività. In Calabria, da dove io provengo, si è per esempio riusciti a inserire misure relative alle fattorie sociali nella legislazione regionale, senza però imporre l'obbligo, per fare agricoltura sociale, di essere già riconosciuti come azienda agrituristica, perché questo l'avevamo già risolto impostando la legge regionale.
Sempre parlando della Calabria, la realtà che conosco meglio, vorrei dire però che se c'è qualche agricoltore che si è cimentato con questa attività è solo ed esclusivamente perché in ambito parentale aveva un problema di disagio. D'altra parte ciò è comprovato dal fatto che le risorse e le misure del Piano di sviluppo rurale della Calabria non sono state utilizzate come invece avrebbero potuto essere utilizzate.
Cosa dobbiamo fare per impedire che questo accada? Io credo, e sicuramente la Commissione lo farà egregiamente, anche grazie ai supporti che le rappresentanze stanno fornendo questa sera, che dobbiamo assecondare, potenziare e rafforzare quanto è già stato realizzato attraverso le cooperative sociali, le comunità e le associazioni di volontariato di vario genere, consolidando e rendendo questi risultati un sistema, come è più volte stato ribadito dai professori che sono intervenuti.
Nello stesso tempo, tuttavia, dobbiamo avere un occhio attento per capire come poter aiutare il singolo imprenditore agricolo che oggi si vuole cimentare con questa attività. Se guarda a questa ipotesi da solo, l'agricoltore si spaventa e si ritira. Dobbiamo, quindi, saper offrire tutti gli strumenti di contesto.
Si parlava della necessità di considerare il sistema territoriale e di valutare come la ricerca possa aiutarne l'implementazione. La ricerca, però, non può essere quella effettuata dal Ministero e dalle regioni nel settore agro-alimentare. Come si può pensare di porre una base minima per progetti di ricerca in Calabria, dove la media aziendale è 2,33 ettari, con importo minimo di 5 milioni di euro? Forse si potrà fare in Argentina, ma certamente non Italia con questa base aziendale. Tant'è che, a fronte di una grande esigenza di ricerca, i soldi non vengono spesi. Sono contraddizioni che vanno sanate.
Gli agricoltori hanno bisogno di quel fondo nazionale di cui si è parlato oggi. Tuttavia, osservando quanto sta avvenendo, se da una parte servirebbe un fondo nazionale, dall'altra la manovra finanziaria impone l'ICI sulle stalle chiuse. Inoltre, secondo la burocrazia di ambito comunale, se qualcuno possiede una casa che vuole utilizzare per un'attività complementare a quella agricola, ma non vi si risiede, quella casa viene considerata seconda casa. Sono esempi questi di difficoltà di contesto che vanno affrontate e superate.
Se la Commissione intenderà proseguire questa indagine a livello territoriale, la disponibilità dall'ANPA a compiere, nei tempi e nei modi che si riterrà opportuno, la propria parte e a dare il proprio contributo sarà totale.

BRUNO CRISTALDI, Responsabile per le politiche sociali di Confeuro. Ringrazio la Commissione per l'invito. Parlerò a nome del presidente della Confeuro, che non ha potuto partecipare per un imprevisto dell'ultimo momento, e vi porto i suoi saluti.
Oggi è stata una giornata molto importante perché abbiamo raccolto le istanze e soprattutto le esperienze e la ricerca proprie dell'ambito dell'agricoltura sociale, che noi stiamo approcciando per la prima volta. Siamo un'organizzazione giovane e ci stiamo interessando a questo tema che si configura all'interno di un nuovo modello di welfare integrativo.
La Confeuro sostiene senz'altro la necessità di una legge nazionale che regolamenti


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il ruolo svolto dall'agricoltura sociale, nell'esigenza di porre in essere una serie di meccanismi di verifica e monitoraggio, accompagnati da agevolazioni fiscali e contributive per le aziende, affinché il tema dell'agricoltura sociale si possa integrare con i temi economici. Come diceva il professor Senni a questo proposito, l'agricoltore si configura come un custode e l'integrazione di politiche socio-sanitarie all'interno di quelle relative all'agricoltura, che è sociale di per sé, è quindi molto importante.
La giornata di oggi per noi è stato un momento di riflessione e soprattutto di accoglimento di tutte le istanze riferite. Per quanto riguarda la Carta di principi che è stata sottoscritta, vorremmo porre l'attenzione su alcuni aspetti molto interessanti dal nostro punto di vista. Il primo di essi è la promozione di collaborazioni tra istituzioni pubbliche e aziende agricole per la formazione e l'inserimento socio-lavorativo e formativo di soggetti svantaggiati.
Un altro punto fondamentale è l'assegnazione da parte dello Stato di fondi ad hoc per progetti di agricoltura sociale che prevedano percorsi terapeutici e riabilitativi. Le esperienze che abbiamo raccolto oggi, come per esempio quelle dell'onoterapia e dell'ippoterapia, sono molto interessanti. Da ultimo, l'assegnazione con priorità ai progetti di agricoltura sociale di terreni demaniali o confiscati alla mafia, che sarebbe anche un importante segnale di lotta alle organizzazioni mafiose.
La Confeuro ritiene che la predisposizione di una legge sull'agricoltura sociale sia importante per la collettività e per far conoscere anche ai cittadini l'integrazione tra il settore agricolo, fortemente in crisi, e l'istanza assistenziale che questo tipo di attività porta avanti. Come diceva il rappresentante della Legacoop, si tratta di un nuovo modello di welfare integrativo e non solo centralista.
Chiediamo, quindi, che si pervenga all'adozione di una legge quadro nazionale che regolamenti il settore.

PRESIDENTE. Le regioni, che sono state ovviamente coinvolte in questo percorso, mi informano di non avere ancora definito una posizione condivisa, pertanto sarebbero giunte qui varie impostazioni. Sono in una fase avanzata di riflessione e di individuazione di un punto di equilibrio fra le varie posizioni e si sono riservate di farci pervenire nelle prossime giornate la proposta condivisa della Conferenza delle regioni.
Se non ci sono altri interventi da parte dei commissari, chiederei al collega Nicodemo Oliverio, capogruppo del Partito Democratico, di aiutarmi a trovare una sintesi che concluda questa giornata di lavoro.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor presidente, anche in questo clima nuovo - benché per noi non lo sia - di impegno nazionale, vorrei ringraziarla per l'occasione che lei oggi ci ha fornito, un'occasione privilegiata e graditissima per conoscere intanto la fattoria sociale e l'esperienza di Marco Bernardo Di Stefano. A Fossanova abbiamo potuto constatare un grande lavoro, un fiore all'occhiello dell'agricoltura e una modalità nuova di essere presenti nel sociale.
Vorrei poi ringraziare tutti gli auditi, i ricercatori e soprattutto gli operatori qui presenti che oggi sono qui in tanti e che insieme ai ragazzi che vivono questo disagio sono i veri protagonisti dell'agricoltura sociale. A loro va il ringraziamento mio e di tutta la XIII Commissione (Agricoltura).
Mi sembra che proprio Marco Bernardo Di Stefano abbia detto che la natura accoglie tutti. È vero, la natura accoglie tutti e ora sta alla politica, quella buona che non guarda alle appartenenze partitiche, percepire e capire bene qual sia il nostro percorso, come possiamo aiutare questo settore e come possiamo far sì che esperienze così belle e gratificanti come quella di Fossanova possano diventare esperienze pilota per altri operatori che le vogliano intraprendere. Ho conosciuto Marco solo oggi, ma ho visto che anche la sua famiglia lo aiuta - prima era qui


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anche il figlio Emanuele -, perciò forse il compito è più facile. Ma, secondo me, deve essere questo l'elemento che ci aiuta a entrare nel vivo di tale tematica.
L'agricoltura sociale può diventare uno strumento per qualificare il welfare e credo che anche la dottoressa Cirulli, a modo suo, abbia sostenuto questo concetto. È in grado di rendere il welfare meno costoso, ma allo stesso tempo più a misura d'uomo. La centralità della persona, anche di quella diversamente abile o svantaggiata, e la distintività della nostra agricoltura sono un binomio inscindibile per far crescere il settore primario della nostra economia e per garantire ai cittadini, a parità di costo, come spesso gli intervenuti hanno ribadito, la sicurezza alimentare con prodotti di qualità o altri strumenti, come la filiera corta.
Tutte queste belle esperienze ci hanno fatto capire che l'agricoltura sociale si poteva fare e si può fare, e per questo ringrazio nuovamente il presidente della Commissione. Noi abbiamo lavorato a lungo sull'esperienza dell'agricoltura sociale perché volevamo intervenire a livello legislativo su questo settore. Ci abbiamo lavorato, anche insieme ad altri colleghi, con passione. Questa giornata ci fornisce l'occasione di dare nuovo slancio all'azione della politica, la politica che non è fatta solo di appartenenze partitiche, come dicevamo, al fine di predisporre un progetto di legge comune e condiviso che punti ad alcuni obiettivi.
Dei tanti che avete sottolineato, cito l'avvio di un programma nazionale di sviluppo dell'agricoltura sociale. Capiamo che sia importante e che bisogna partire da lì, ma ci sono strumenti che servono a facilitare il tutto e a rendere più facile quest'operazione. Credo che uno di questi sia la fiscalità di maggior favore (non chiamiamola di vantaggio). Qualcuno ha poi parlato di credito di imposta. Chi si avventura in un'iniziativa così forte e deve comunque combattere con la concorrenza e le regole di mercato deve essere favorito, come sono favoriti altri settori, né più e né meno.
Un altro obiettivo importante è il riconoscimento di un marchio, che per noi deve essere un marchio di qualità, e bisognerà ritornare sull'argomento dei fabbricati rurali, anche alla luce del nuovo provvedimento che torna a parlare di IMU.
Vi è poi un problema che riguarda la PAC. Nell'ambito di quel negoziato, a mio avviso, anche questo segmento deve rientrare nel capitolo della multifunzionalità dell'agricoltura. Non possiamo perdere l'occasione offerta dalla PAC e dalle risorse per il 2013-2020 di trovare risorse aggiuntive utili al rilancio di questo settore.
Inoltre, bisogna procedere a una sburocratizzazione. Qualcuno questa mattina diceva di aver perso «soltanto» due anni per ottenere il riconoscimento dell'agricoltura sociale nel settore dell'agriturismo. È un primo passo, certo, e anch'io ritengo che l'agricoltura sociale non sia solo agriturismo. Bisognerà anche lavorare alla realizzazione di binari privilegiati affinché chi vuole diventare protagonista dell'agricoltura sociale possa ottenere sia i terreni confiscati che quelli demaniali.
Sono tanti gli aspetti che tocca a noi che facciamo politica esaminare e valorizzare, ma credo che l'incontro di oggi sia stato indispensabile. Esso sarà il motore di ciò che faremo in questi giorni, credo con l'aiuto e con la disponibilità di tutti i gruppi che sono presenti nella Commissione agricoltura.
Il presidente della Commissione si è mostrato disponibile e lo ringrazio per la terza volta, ma ben volentieri. Credo che questa sia un'occasione vera per rilanciare l'agricoltura partendo da bisogni reali. Grazie per questa attenzione.

PRESIDENTE. Ringrazio il collega Oliverio. Abbiamo iniziato a vangare questo campo vivace, interessante, stimolante e suggestivo. Nella mia esperienza personale, professionale e politica ho sentito tante volte ragionare di disabilità in chiave di opportunità, ma raramente ho toccato con mano


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il fatto che queste condizioni possano rappresentare davvero un'opportunità.
Credo che attraverso la sollecitazione, che mi è stata rivolta da tutti i gruppi della Commissione che mi onoro di presiedere, a iniziare un'indagine conoscitiva sul fronte dell'agricoltura sociale ci siamo finalmente avventurati su un terreno che ci consente plasticamente di constatare come queste opportunità siano praticabili e come queste diversità possono diventare magicamente ricchezze grazie al mondo unico rappresentato dall'agricoltura.
Non credo che ciò sia facile in altre dinamiche. È proprio la tipicità dell'agricoltura che riesce a trarre da ogni diverso qualità straordinarie. Questa mattina ci spiegavano come le opportunità di lavoro si attaglino alle potenzialità dell'individuo. Io credo che nell'agricoltura, più che in altri settori, si possa riuscire a tagliare un vestito cucito sulla persona, si possa riuscire a dare attenzione ad ogni persona e ogni persona è posta in condizione di rispondere con la propria sensibilità, con la propria straordinaria voglia di fare, con la propria intelligenza, con la propria saggezza e con la propria voglia di essere non più dimenticato.
Servono più norme? Lo vedremo. Tutta la documentazione che è stata prodotta oggi ci imporrà di riflettere approfonditamente anche su questo. Mi permetto, tuttavia, di dire che, forse, più che nuove norme serve qualche norma che coordini di più l'esistente. Serve certamente lavorare e lavorare con tutti i vari elementi che ci avete fornito. Siamo stati tutti attenti e abbiamo percepito che ci sono varie angolature, varie sfaccettature, varie esperienze e il vario portato delle proprie sensibilità ed esperienze.
Prima di lasciarvi alle sapienti mani dei cuochi dell'Associazione ristoratori volontari della Protezione civile, che hanno preparato i cibi di cui ci hanno fatto omaggio le aziende aderenti alla Rete delle fattorie sociali, consentitemi però di ringraziare - ce ne dimentichiamo spesso - gli uffici della Commissione e gli uffici tutti della Camera. Pur se sottoposti di anno in anno a sfide sempre nuove sul piano della valutazione e dell'approfondimento di merito, ma anche su quello delle responsabilità organizzative, rispondono sempre con straordinaria capacità, offrendoci la misura del fatto che il nostro Paese, come bene ha detto il Sottosegretario, anche in questo settore rappresenta eccellenze di cui possiamo andare fieri.
Ringrazio nuovamente tutti gli intervenuti per il lavoro svolto e per il contributo importante che ci hanno fornito. Sarà foriero per noi di ulteriori approfondimenti.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico dell'audizione odierna della documentazione consegnata dagli ospiti intervenuti in audizione (vedi allegati).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 18,55.

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