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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XIII
2.
Mercoledì 11 febbraio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Russo Paolo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL FENOMENO DEI DANNI CAUSATI DALLA FAUNA SELVATICA ALLE PRODUZIONI AGRICOLE E ZOOTECNICHE

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale ARCI Caccia:

Russo Paolo, Presidente ... 3 4 7
Giuliani Giovanni, Tecnico faunistico dell'Associazione nazionale ARCI Caccia ... 3 4
Veneziano Osvaldo, Presidente dell'Associazione nazionale ARCI Caccia ... 3 6

Audizione di rappresentanti della Legambiente:

Russo Paolo, Presidente ... 7 9
Morabito Antonio, Responsabile per la fauna di Legambiente ... 7

Sui lavori della Commissione:

Russo Paolo, Presidente ... 9 10
Bellotti Luca (PdL) ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 11 febbraio 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PAOLO RUSSO

La seduta comincia alle 14,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale ARCI Caccia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale ARCI Caccia.
Do la parola al presidente di Arci Caccia, dottor Osvaldo Veneziano.

OSVALDO VENEZIANO, Presidente dell'Associazione nazionale ARCI Caccia. Desidero ringraziare per questa opportunità e lasciare la parola ai tecnici per l'esposizione del documento che abbiamo predisposto e che vorremmo lasciare agli atti.
In questo ultimo periodo, è stata avvertita una escalation di tensione attorno al tema dei danni causati dalla fauna selvatica talvolta a ragione, altre a torto. Si tratta infatti di una realtà molto articolata e complessa. Centreremo la nostra comunicazione in particolare su una specie, il cinghiale, perché dalle informazioni raccolte emerge che l'ammontare dei danni causati da cinghiali corrisponde a circa il 90 per cento dell'intero pacchetto dei danni rimborsati. Riteniamo quindi necessario collocarlo al centro della riflessione, per poi affrontare anche l'ipotesi di un intervento in materia. Consentitemi dunque di lasciare la parola a Giovanni Giuliani per illustrare il documento.

GIOVANNI GIULIANI, Tecnico faunistico dell'ARCI Caccia. Innanzitutto ringrazio il presidente e i componenti della Commissione per l'opportunità. Affrontare la questione danni in termini gestionali non può prescindere da un'analisi - seppur sintetica - dei cambiamenti socio-economici, naturalistici, faunistici del nostro Paese negli ultimi decenni. Per una serie di motivazioni, infatti, si è assistito ad una esplosione faunistica di specie ungulate selvatiche. Questa esplosione ha toccato tutto l'arco alpino e appenninico, con distribuzione settentrionale-meridionale.
Nel panorama faunistico che concerne gli ungulati, è tuttavia opportuno operare distinzioni sia geografiche, che specifiche sulle diverse specie presenti in Italia. Dagli ultimi studi europei in materia emerge che un livello di emergenza su tutta l'area paleartica (compresa anche l'Italia) si registra solo per la specie cinghiale. Contestualmente, in Italia per alcune specie come il cervo nell'arco alpino si registrano dimensioni di danni molto localizzate a carico di alcuni ecosistemi forestali, facilmente affrontabili con protocolli gestionali in atto già da tempo. Allo stesso modo, in area appenninica specie come cervo, daino e capriolo possono determinare situazioni locali di criticità, che sono legate non


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tanto alle caratteristiche biologiche della specie, quanto alla distribuzione spaziale e stagionale delle risorse trofiche e comunque di portata molto limitata.
L'emergenza deve quindi essere registrata solamente per quanto concerne il cinghiale, che per sue caratteristiche biologiche, etologiche, ecologiche e soprattutto per i protocolli gestionali finora adottati in questo Paese può essere considerata oggi una specie ad alta criticità nell'impatto agli agrosistemi.
È necessario capire le cause di questa situazione in Italia. Alcune caratteristiche specifiche del cinghiale lo rendono una specie ad alta valenza ecologica, in grado di adattarsi ad ambienti anche molto rimaneggiati dall'uomo, di affrontare quindi situazioni e contesti ambientali molto differenti, con tassi annui di accrescimento delle popolazioni davvero notevoli, pari anche al 300 per cento della popolazione presente.
Le trasformazioni socioeconomiche e ambientali che hanno caratterizzato il nostro Paese negli ultimi decenni hanno giocato un ruolo fondamentale. La rimarginalizzazione delle aree rurali, l'aumento delle superfici forestali, l'abbandono di un'agricoltura estensiva a vantaggio di un'agricoltura intensiva, la mancata antropizzazione e quindi l'esodo dalle campagne sono fenomeni che hanno favorito gli ungulati selvatici, in particolare il cinghiale.
La crescente importanza in termini di impatto di questa specie nei confronti degli ecosistemi agrari, tuttavia, è proporzionale al crescente interesse venatorio che questa specie ha avuto negli anni. Le dimensioni notevoli devono essere ricollegate a questo fenomeno, in particolare ad alcuni eventi, quali innanzitutto le immissioni. Queste sono iniziate negli anni Cinquanta con soggetti provenienti dall'est europeo e si sono susseguite fino ad oggi, come testimonia la presenza del cinghiale in area alpina, dove sono da escludersi fenomeni di dispersione e popolamento naturale.
Nel tema delle immissioni deve essere collocata una delle grandi questioni sulla gestione del cinghiale, ovvero quella degli allevamenti. In Italia, molte amministrazioni concedono ancora autorizzazioni ad allevamenti di cinghiale. Le regioni e le province non hanno però gli strumenti adeguati per applicare un doveroso controllo sia sulle origini, che sulla destinazione degli animali presenti. La differenza tra allevamenti per carne e allevamenti a scopo di ripopolamento illegale diventa quindi solamente nominale. Questo è un punto pregnante e caratterizzante della questione.

PRESIDENTE. Che significa nominale?

GIOVANNI GIULIANI, Tecnico faunistico dell'Associazione nazionale ARCI Caccia. Nel senso che la differenza è solamente scritta. Si opera infatti in maniera ambigua dall'una e dall'altra parte in mancanza di un effettivo controllo sia a livello sanitario, sia per quanto riguarda i registri dei movimenti degli animali. In Italia, per quanto riguarda l'allevamento della specie, abbiamo un livello conoscitivo pari a zero. Questo è uno dei punti centrali per la diffusione di questo quadro di emergenza.
La presenza di molti allevamenti sul territorio nazionale, sui quali non si danno dati conoscitivi certi in termini sia qualitativi che quantitativi fa sì che negli ultimi anni si siano registrati problemi non solo di quantificazione degli animali presenti, ma anche di distribuzione di patologie nelle popolazioni naturali, aspetto molto importante, perché gli animali allevati sono portatori di alcune patologie importanti. Nel quadro nazionale si è quindi rilevata una crescita abbastanza veloce di patologie quali la peste suina a carico di popolazioni selvatiche.
Nel quadro analitico è necessario sottolineare come questa situazione di emergenza sia dovuta ai motivi sinteticamente esposti e all'assenza di criteri gestionali uniformi su scala nazionale e basati su un approccio tecnico-scientifico realistico. Questo è il punto centrale.
L'assenza di piani di gestione su scala diffusa ad esempio sui vari istituti previsti


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dalla legge n. 157 del 1992 sulle aree protette è un elemento molto importante per valutare il livello di mancata applicazione di protocolli gestionali virtuosi, la difformità dei tempi e delle modalità di prelievo. Si rilevano infatti grosse differenze temporali di prelievo tra regioni, per cui non è necessario essere biologi della selvaggina per comprendere come gli animali siano sottoposti a spostamenti continui da unità territoriali diverse.
Tutti gli animali si comportano in base alle loro caratteristiche biologiche, per cui per capire l'impatto sulle biocenosi è necessario conoscere le caratteristiche biologiche. Questi animali per loro caratteristiche fisiologiche quali l'esigenza di un apporto calorico notevole e soprattutto per una caratteristica etologica che è il territorio di pascolo dei gruppi familiari, soggetti a questo spostamento e alla destrutturazione operata dalla forma di caccia principale, che è la braccata in Italia, che non consente quindi una scelta degli animali, aggravano la situazione rispetto alle dinamiche di popolazione in rapporto ai danni.
Anche il tema degli incidenti stradali è di crescente attualità. Nella valutazione di questo fenomeno, che può avere anche esiti estremi, è necessario non effettuare un'analisi semplice, ma considerare la complessità del tema, legato non tanto alla dimensione delle popolazioni, quanto alla distribuzione spaziale delle risorse, alla promiscuità, alla vicinanza di reti viarie principali. Per affrontare il tema, separato dai danni all'agricoltura, degli incidenti stradali, è dunque necessaria un'analisi ancora più approfondita, per definire almeno linee di monitoraggio.
Spesso, si è portati a ritenere che il danno sia strettamente correlato alle dimensioni di una popolazione, ma non sempre è così soprattutto per quanto riguarda il cinghiale, perché il danno è correlato non tanto alle dimensioni di popolazioni, quanto, come dimostrato dagli studi europei sul settore fauna in rapporto alla questione danni, alla costituzione, alla qualità della popolazione. Popolazioni sbilanciate a favore di cinghiali giovani hanno infatti un impatto sugli ecosistemi agrari tre volte maggiore rispetto a una popolazione ottimamente costituita nelle classi di età.
Il tema dei foraggiamenti è molto importante. L'assetto venatorio italiano ha sdoganato una pratica molto comune in altri Paesi europei, quella dei foraggiamenti, che non solo hanno aumentato localmente la dimensione di alcune popolazioni, ma soprattutto legano alcune popolazioni a una determinata area, con una concentrazione di danni soprattutto in fase invernale a carico di limitate e localizzate aree agricole.
Nel quadro analitico è opportuno considerare gli aspetti sociali, perché la ricaduta principale dei danni tocca gli aspetti sociali. Da parte del mondo agricolo si registra un forte malcontento dovuto principalmente alla mancata accettazione del danno, che si deve attribuire a due ordini di problemi, il primo dei quali di ordine culturale. In passato, infatti, il cinghiale non era così presente nella nazione. Si tratta di una presenza faunistica innovativa, di cui si stenta a metabolizzare la presenza, mentre in altri Paesi questa è storica. L'altro problema è di ordine psicologico, perché il raccolto è l'obiettivo principale di un agricoltore e il risarcimento non è sufficiente a placare il malcontento che si registra nel comparto agricolo professionale.
La questione dei danni coinvolge tutta la società civile, perché parte dei fondi utilizzati per il risarcimento deriva da tutti settori. I protocolli gestionali adottati finora prevedono anche locali operazioni di controllo numerico delle popolazioni sicuramente efficaci, soprattutto se condotte su una base tecnico-scientifica. Si registrano tuttavia malcontenti da parte dei cacciatori, poco inclini a riduzioni di popolazione del cinghiale, delle associazioni ambientaliste tendenzialmente contrarie all'abbattimento degli animali, degli agricoltori, che hanno esigenze opposte.
Dalle operazioni di controllo e dalla dimensione dell'emergenza in termini di criticità sociale dei danni si capisce come il punto fondamentale che determina l'approccio


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tecnico-realistico nella gestione del cinghiale sia la dimensione umana. Il fattore umano deve infatti contraddistinguere la gestione del cinghiale e la valutazione della dimensione umana può portare a prevenire la comparsa di conflitti attraverso la loro mediazione socialmente condivisa.
Studi europei confermano l'impossibilità di un ritorno alla situazione faunistica del passato in Italia, in cui il cinghiale e gli ungulati non erano presenze faunistiche del nostro territorio. Ora, questi potrebbero scomparire dal nostro Paese solo per avvenimenti tragici e sconvolgenti. L'approccio alla questione deve quindi essere finalizzato al raggiungimento di un obiettivo condiviso, che deve prefiggersi da un punto di vista tecnico un punto di equilibrio tra tre diversi elementi: la sostenibilità socioeconomica del danno in termini di diffusione e di prevenzione, carnieri quantitativamente appaganti per il mondo venatorio e conservazione della specie. Questi tre elementi caratterizzano questo punto di equilibrio, che fa partire un volano virtuoso nella gestione del cinghiale.
Sarà fondamentale riorganizzare il prelievo in Italia, tema centrale laddove molte criticità derivano da una mancata applicazione di protocolli virtuosi nella gestione del cinghiale in Italia, con grandi differenze temporali e di modalità. Ribadisco quindi le indicazioni da tempo poste dall'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ex INFS, accogliendo le quali non si sarebbe arrivati all'attuale situazione di criticità.
Il passaggio essenziale che deve contraddistinguere la gestione consiste nel definire gli obiettivi in termini di concertazione con il mondo agricolo. Tutti i comparti sociali interessati al tema cinghiale dovranno definire in termini di concertazione gli obiettivi, un approccio tecnico-scientifico, il superamento della logica di contrapposizione di parte, per adeguare le consistenze del cinghiale a un uso plurimo del territorio, valutando sempre la sostenibilità socioeconomica dei danni, la conservazione della specie e la soddisfazione del comparto venatorio.

OSVALDO VENEZIANO, Presidente dell'Associazione nazionale ARCI Caccia. Mi permetto di esprimere una brevissima considerazione in questa sede. Alla luce del quadro in cui è stato incardinato il nostro documento, il legislatore potrebbe dare un contributo in tempi rapidi su alcune questioni. In primo luogo, è necessario adottare maggior rigore nell'intervenire per impedire il ripopolamento di questa specie. Rispetto a questo dato citato dal dottor Giuliani, dovremmo individuare con precisione il campo dell'allevamento a scopo alimentare e ai fini ludico-venatori individuare territori ove sia possibile praticare questa attività, sfuggendo alle logiche della conservazione, perché ben recintati.
In secondo luogo, vorrei porre un elemento di valutazione legislativa. Forse, mentre si sta lavorando per affermare criteri di gestione, laddove al Senato è in discussione un progetto di modifica della legge n. 157, sarebbe opportuno individuare uno strumento legislativo che non risponda alle logiche della caccia e quindi si occupi di questo tema al fine di intervenire individuando parametri di emergenza e valutando l'impatto per grandi aree, dove questa specie ha già arrecato danni e quindi si è dimostrata incompatibile con l'agricoltura, con interventi mirati nel tempo che premettano una conoscenza dei dati e rifuggano la logica della sola caccia. Mi permetto di citare una battuta spesso ricordata in Slovenia: per fare il controllo, non si abbatte l'animale grande da centocinquanta chili, si devono abbattere i piccoli; altrimenti, l' intervento persegue un obiettivo inverso rispetto al contenimento della specie.
Auspichiamo quindi una normativa molto stringata che con la supervisione dell'ISPRA garantisca alle regioni la possibilità di intervenire in tempi dati, con i mezzi opportuni, senza più limiti di intervento che facciano riferimento alle leggi che disciplinano la materia (la legge n. 157 del 1992 e la legge sui parchi) con la


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possibilità di usare anche i cacciatori per un'azione di riequilibrio, laddove attraverso dati congrui si dimostri una condizione di emergenza.
In questo quadro sarebbe anche opportuno riflettere sulla perizia dei danni, perché la situazione italiana appare assai articolata. Occorrerebbe una banca dati, perché il rimborso dei danni accentua le tensioni e consente anche interpretazioni molto soggettive.

PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti di ARCI-Caccia per i loro interventi.

Audizione di rappresentanti della Legambiente.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche, l'audizione di rappresentanti di Legambiente.
Do la parola al responsabile per la fauna di Legambiente, dottor Antonio Morabito.

ANTONIO MORABITO, Responsabile per la fauna di Legambiente. Ringrazio il Presidente e tutti i componenti della Commissione. Considero lodevole l'iniziativa della Commissione di svolgere un'indagine conoscitiva su questo fenomeno proprio per la sua complessità. L'indagine, che parte dal danno sulle attività agricole, zootecniche e forestali, potrebbe anche ampliarsi, perché alcuni incidenti stradali sono causati da animali selvatici, per cui il danno non si limita solamente al settore agricolo.
Come ambientalista, inoltre, non dimentico neanche il problema relativo alle biocenosi, giacché una delle principali minacce per la biodiversità a livello globale è legata alla presenza di specie alloctone, che nei corsi d'acqua italiani più che in altri habitat hanno gravemente perturbato la zoocenosi preesistente.
Si rileva quindi una pluralità di soggetti che subiscono uno svantaggio o che possono causarlo. Non si tratta solo della fauna autoctona nel caso del cinghiale, che rientra a pieno titolo nel patrimonio indisponibile dello Stato, ma anche di specie esotiche o alloctone come la nutria, sul cui status da un punto di vista giuridico è stata avviata una riflessione, così come della fauna domestica. Una parte dei danni giustamente lamentati rispetto alla produzione agricola è causata da maiali ibridi con cinghiali, che in buona parte dell'Italia meridionale sono allevati allo stato semibrado o brado senza nessun controllo.
Un ulteriore danno zootecnico è causato dai cani vaganti, non solo randagi. I danni all'allevamento vengono imputati al lupo, l'unico grande predatore oggi diffuso lungo la nostra penisola, di cui possiamo essere fieri essendo una delle poche aree in Europa fortemente antropizzate in grado di convivere con una specie così bella e importante. Molti cani vaganti, ovvero non randagi privi di proprietario, ma cani di proprietà tenuti liberi, causano danni all'allevamento domestico, che quasi sempre vengono addebitati al lupo, anche perché altrimenti non verrebbero risarciti.
L'indagine è dunque opportuna, perché da questa complessità emerge la carenza sostanziale e strutturale di dati raccolti in maniera omogenea con regolamenti utili alla pluralità dei soggetti istituzionali che hanno l'onere di raccogliere queste informazioni per creare una banca dati.
Per quanto riguarda la banca dati per l'anagrafe canina, è necessario un maggiore input affinché questa banca dati sia implementata. In assenza di questo strumento, diventerà però impossibile sconfiggere il randagismo canino, che ha numerose conseguenze non facili da gestire, compresa questa legata all'impatto sulla fauna domestica da allevamento.
Come ambientalista, sottolineo i gravi danni anche a scapito della microfauna vertebrata. Come istintivamente fanno anche i lupi sia per gioco che per esercizio, i cani vaganti uccidono animali selvatici quali piccoli rettili o piccoli mammiferi, creando un danno senza essere parte di quell'ecosistema.


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Emerge quindi l'esigenza di riorganizzare la filiera della raccolta delle informazioni e di dare indicazioni affinché la pluralità dei soggetti (regioni, province, aree protette, ambiti territoriali di caccia, come i comprensori alpini) che hanno una gestione su questo tema abbiano una uniformità di schede, di formazione per chi rileva il danno. A tal proposito, sussistono non poche conflittualità rispetto alle modalità e alla quantità dei risarcimenti nei vari territori. Se il cinghiale o il maiale passa in un castagneto e si ciba delle castagne provoca un danno per il produttore. Se il tecnico che effettua il rilievo del danno, per esempio, ignora che il maiale e il cinghiale che appartengono alla stessa specie sputano le bucce, non valutando se in quel terreno arato dal modo di fare tipico del maiale e del cinghiale ci siano le bucce, può pagare un danno inesistente, perché il raccolto della castagna era già stato fatto e il maiale è passato in seguito. L'omogeneità della formazione di chi rileva i danni è importante per evitare discrasie e anche conflitti, perché i cittadini possono ritenersi danneggiati perché in un'altra provincia si risarcisce in modo diverso.
Appare quindi importante garantire coerenza a tutta la filiera del danno e a una banca dati in grado di dialogare, aspetto non secondario, laddove ciascuna regione potrebbe attrezzarsi a tal fine senza però coordinare gli elementi per comunicare alle altre le informazioni raccolte. Dare un indirizzo nazionale si rivela quindi fondamentale.
Questo induce anche a considerare la disomogeneità presente nell'attività di prevenzione. Occuparsi del danno significa infatti essere a «fondo valle», alla fine del percorso. Sul territorio si possono realizzare disparate azioni di prevenzione in grado di ridurre significativamente la difficoltà di coesistenza tra alcune forme animali, alcune attività antropiche o alcuni contesti.
Anche su questo è auspicabile un indirizzo per un significativo investimento degli enti che hanno queste competenze delegate, affinché la prevenzione anticipi e copra, riducendo significativamente il potenziale danno.
Per quanto riguarda il dissesto idrogeologico, constatiamo il dramma vissuto dall'Italia, forse più dal centro-sud, per la mancata gestione di una serie di contesti, dal semplice fosso al bordo strada, a una serie di disattenzioni nella pianificazione. Intervenire per la prevenzione anche rispetto a questo tema significa ridurre drasticamente i conflitti, i costi, le situazioni non gestite, come purtroppo oggi avviene in alcune aree per il cinghiale a causa di una gestione non complessiva di quella specie e dell'unica attenzione rivolta all'attività venatoria. Una gestione c'è stata e il cinghiale è anche cresciuto in termini numerici - e come ambientalista ne sono contento - perché un forte interesse venatorio ha indotto a far crescere numericamente la presenza della specie. Questo è un punto che ambientalisti e cacciatori condividono, desiderando che un territorio rurale sia ricco di fauna, noi senza dover fare un carniere, i cacciatori perché vogliono fare un carniere.
La preponderante presenza del cinghiale in alcune aree è dovuta dunque al prevalere di quella finalità di gestione, che purtroppo oggi spesso viene coinvolta nel momento in cui si cerca una soluzione. Se però il cacciatore è soddisfatto quando ha il carniere ricco, è impossibile che si attivi per debellare il suo carniere in un territorio. La norma infatti parla a tale proposito di controllo faunistico, non di attività venatoria, essendo questa mossa dalla passione di chi la pratica, non finalizzata alla gestione di una problematica.
L'attività venatoria intesa come riduzione dovuta all'abbattimento rischia di essere ingannevole, perché per quanto riguarda il cinghiale in alcune aree ha rappresentato la genesi, essendo stata l'unica attività realizzata, senza valutare altri aspetti.
Purtroppo, ero fuorisede e non ho avuto modo di definire un documento, che comunque in questi giorni faremo pervenire alla Commissione. Nell'affrontare opportunamente questo problema prima che


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diventi una delle ennesime emergenze italiane - da ambientalista e da meridionale sento il peso soffocante di dover affrontare in Italia molti aspetti in emergenza piuttosto che in gestione ordinaria -, è necessario tenere conto della percezione sociale, della human dimension. Questa coesistenza con le altre forme animali domestiche o selvatiche, autoctone o alloctone crea aspetti di potenziale conflitto che necessitano di gestione, ma nella nostra società sta crescendo la percezione nei confronti degli altri esseri viventi, ovvero il benessere dell'animale. Alcuni come il cinghiale sono meno simpatici, ma non è semplice far ritenere opportuno decimare i pappagallini che vivono a Villa Ada o gli ermellini scappati dagli allevamenti, che producono difficoltà e conflitti da gestire.
Si tratta di una riflessione necessaria, perché, se è opportuno valutare come gestire il possibile danno causato anche da specie esotiche, ci sono non solo la nutria, che sembra un grosso topo molto brutto e magari poco simpatico, ma anche gli scoiattoli grigi che competono con lo scoiattolo rosso italiano e per i quali la percezione diffusa della nostra società, aumentando l'attenzione nei confronti della vita e quindi anche delle altre forme viventi, rende impossibile sostenere la necessità di ucciderli solo perché causa di difficoltà. È quindi molto importante tener conto di questo diffuso aspetto di sensibilità anche nell'inquadramento giuridico di queste specie, che non appartengono al nostro patrimonio faunistico.
Come Legambiente, plaudiamo a questa iniziativa perché è il momento di affrontare il problema, prima che diventi un'emergenza più di quanto rilevato dai media o dalle categorie che subiscono il danno, che oggettivamente appare allarmante solo in aree puntuali, in cui sarebbe stato opportuno intervenire con gli strumenti tecnici già disponibili. L'ex Istituto nazionale per la fauna selvatica oggi Istituto per la ricerca e la protezione dell'ambiente (ISPRA) ha redatto linee guida che non sono mai state adottate con peso cogente, la cui applicazione probabilmente avrebbe evitato il verificarsi di quei casi.
Intervenire oggi per dare omogeneità e coerenza a questa complessità di relazioni rappresenta un'iniziativa più che lodevole.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Morabito per il contributo offerto alla Commissione e dichiaro conclusa l'audizione.

Sui lavori della Commissione.

PRESIDENTE. L'onorevole Bellotti ha chiesto di intervenire sui lavori della Commissione.

LUCA BELLOTTI. Oggi la Commissione è riunita per valutare i danni provocati alle produzioni agricole e zootecniche da parte della fauna selvatica. Credo che la finalità della nostra indagine sia quella di quantificare l'entità del danno, per specie e per aree del nostro Paese.
Al di là delle enunciazioni di principi, giacché nelle relazioni sono stati citati pochi numeri, sarebbe interessante effettuare anche una valutazione sull'assenza di alcune specie. A volte occorre tenere assolutamente in considerazione i danni, ma altre volte il dato della quantificazione può non essere l'unico da tenere presente. Sono stati citati i cinghiali, ma non i cormorani, che determinano disastri in alcune zone del nostro Paese in cui ci sono allevamenti intensivi lagunari, vallivi, oltre ad avere un impatto negativo per quanto riguarda alcune patologie, perché i cormorani vanno e vengono dalle discariche, creando problemi non di poco conto. Sono stati citati solamente in un passaggio i danni notevolissimi prodotti dalle nutrie non solo nel settore delle produzioni agricole, ma anche in quello ambientale e della salute. In buona parte della pianura padana, almeno della provincia di Rovigo, da cui provengo, gli argini sono addirittura bucati, causando un pericolo. Chi è esperto di sicurezza idraulica ha ben presente come i danni provocati da questi animali abbiano causato forti inondazioni.


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Si tratta quindi di danni alle strutture, ai raccolti, di patologie presenti, e di incidenti stradali provocati dalle nutrie.
Alcune specie sono presenti nei parchi e rientrano nell'elenco delle specie protette all'interno della legge n. 394 sui parchi e della n. 157 sulla caccia. Ritengo dunque che questa possa essere l'occasione per allargare la riflessione valutando non solo i danni, ma anche gli eventuali interventi normativi atti a correggere alcune «disfunzioni» nel nostro sistema degli enti. Purtroppo, infatti, regioni confinanti legiferano in maniera diversa in materia. Poiché gli animali selvatici non sono federalisti, sarà opportuno prenderne atto e cogliere l'occasione da queste audizioni concernenti i danni prodotti dalla fauna selvatica sulle produzioni agricole per focalizzare gli interventi immediati che il Parlamento può adottare.

PRESIDENTE. Considerato che il programma dell'indagine è suscettibile di eventuali ampliamenti, inviterei il collega Bellotti a formulare proposte riguardanti ulteriori soggetti, enti e istituti da audire per avere un panorama più compiuto, al fine di acquisire elementi, dati, numeri e valutazioni sulla questioni evidenziate, tra cui anche quella relativa ai cormorani (sulle nutrie vi è stato già più di un intervento). L'indagine intende infatti pervenire ad una valutazione complessiva.

La seduta termina alle 15.

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