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Commissioni Riunite
(Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e V Camera)
AUDIZIONE
INDAGINE CONOSCITIVA
3.
Mercoledì 24 novembre 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

La Loggia Enrico, Presidente ... 2

Audizione del Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali di cui all'articolo 3, comma 4, della legge n. 42 del 2009, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292) (ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati):

La Loggia Enrico, Presidente ... 2 4 5 8 10 13
Causi Marco (PD) ... 5
Cosimi Alessandro, Sindaco di Livorno e presidente regionale dell'ANCI Toscana ... 2 11 12
D'Ubaldo Lucio Alessio (PD) ... 6 12
Errani Vasco, Presidente della regione Emilia-Romagna e presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome ... 4 12
Marchi Maino (PD) ... 9
Stradiotto Marco (PD) ... 10
Tosi Flavio, Sindaco di Verona ... 3 10
Vitali Walter (PD) ... 7

ALLEGATI:
Allegato 1: Documentazione consegnata dai rappresentanti dell'ANCI ... 14
Allegato 2: Documentazione inviata dall'UPI ... 23

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Seduta del 24/11/2010


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...
Audizione del Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali di cui all'articolo 3, comma 4, della legge n. 42 del 2009, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5 del regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione del Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali di cui all'articolo 3, comma 4, della legge n. 42 del 2009, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292).
Diamo il benvenuto al presidente Errani e al sindaco Tosi, componenti del Comitato dei dodici in rappresentanza dei comuni e delle regioni, che sono accompagnati dal sindaco di Livorno, Cosimi. Dall'UPI, che si è scusata molto, abbiamo già ricevuto un documento sull'argomento, che penso sia stato distribuito ai componenti della Commissione.
Do subito la parola ai nostri ospiti.

ALESSANDRO COSIMI, Sindaco di Livorno e presidente regionale dell'ANCI Toscana. Vorrei ringraziare il presidente per averci consentito questa interlocuzione. Vorrei segnalare che da parte nostra, in maniera molto sintetica, si pongono alcuni punti estremamente chiari rispetto al problema che proponiamo come principio.
Innanzitutto, noi riteniamo che ci siano un problema di risorse e un problema di autonomia e che le questioni si leghino l'una all'altra rispetto alla materia che oggi stiamo trattando.
Da parte nostra ci sono condizioni, all'interno del percorso tra la fase transitoria e la fase definitiva, che possono e debbono essere chiaramente garantite, come il fatto che i trasferimenti erariali non siano al di sotto di quelli attuali.
Si tratta di un principio sul quale noi riteniamo che si possa garantire una modalità all'interno della quale i comuni possano mantenere una dinamica di solidità. Altrimenti tutte queste questioni, che anche oggi stiamo evidenziando, determinano l'impossibilità da parte degli enti locali ad attuare forme di investimento capaci di guardare alla pluriennalità voluta dalla legge, nonché al principio di essere interpreti dei propri territori.
La seconda questione è un problema di autonomia. Stiamo discutendo del riordino e della possibilità di utilizzare cespiti che


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abbiano la capacità, attraverso l'articolazione delle aliquote, di determinare condizioni per le quali ci sia un'autonomia fiscale reale, per le quali, cioè, questa autonomia sarebbe capace, tra aliquote e Regolamento, di determinare la possibilità per l'ente locale di essere capace di articolare proprie proposte.
Porto anche alcuni esempi, se volete, rispetto all'articolazione, alle seconde case e a questioni che sono oggettivamente un punto sul quale noi vorremmo poter avere, all'interno del dettato della legge, la possibilità di poter essere interpreti di questo percorso. Altrimenti si lede un principio generale: legando la questione dei trasferimenti e delle risorse alla questione delle aliquote, si determina il principio per il quale raggiungiamo una carenza di autonomia dell'ente locale.
La terza e ultima questione è quella della compartecipazione. Se la compartecipazione diventa, in questo momento, nella fase transitoria, un elemento per il quale vigono le norme espresse nel dettato, possiamo anche essere d'accordo. La finalità della norma, però, deve essere tale per cui alla fine tale questione torni ai comuni e che si determini un innalzamento reale del percorso di risorse che vengono fiscalizzate verso i comuni. Se così non fosse, si tratterebbe di un elemento che lede ulteriormente l'autonomia dei comuni.
Non vorremmo approfondire ulteriormente e affaticare la discussione. In fase tecnica, da parte degli organi dell'ANCI, abbiamo elaborato alcune osservazioni e proposte. Credo, però, che questi tre punti rappresentino lo spirito sostanziale delle questioni che riguardano, per parte nostra, la possibilità di essere protagonisti all'interno di questo elemento di riforma.

FLAVIO TOSI, Sindaco di Verona. Signor presidente, la ringrazio per questa opportunità. Anche noi ribadiamo la preoccupazione sulla fase transitoria, che assume una valenza di assoluto rilievo, perché, come comuni, ci troviamo a dover impostare il bilancio 2011 con molte incertezze - anzi purtroppo con certezze negative - e con la prospettiva che il 2012 potrebbe essere ancor più difficile,.
Al di là del fatto che poi ci sarà l'applicazione concreta e continuativa di questa parte del federalismo fiscale, vale a dire quella municipale, la fase transitoria deve essere comunque affrontata da parte degli enti locali. Noi vorremmo affrontarla con certezza e con risorse commisurate allo sforzo che compiono i comuni, e quindi i loro cittadini, nel produrre ricchezza e nel trasferirne una parte allo Stato centrale, avendo la possibilità di partire da una base ragionevole.
Il rischio che gli enti locali correranno nel 2011 (e ancor più nel 2012) è quello di ritrovarsi a ragionare sul passaggio definitivo al federalismo fiscale municipale in una situazione di grave carenza finanziaria, non tanto per incapacità dell'ente locale di produrre un gettito, ma in quanto la parte trasferita e restituita parzialmente dallo Stato centrale rischia di essere decisamente esigua rispetto alla ricchezza prodotta dagli enti locali stessi.
Faccio presente, andando a guardare nelle diverse categorie di spesa pubblica, che gli enti locali nel loro complesso presentano alcune differenziazioni. Esistono, infatti, differenziazioni non solo di natura geografica, in quanto esistono sicuramente alcune realtà al Sud che si giovano di un maggior trasferimento storico da parte dello Stato, ma parimenti, soprattutto nelle regioni a Statuto speciale, alcune realtà nel Nord Italia che forse in misura ancora maggiore godono di trasferimenti sproporzionati rispetto al resto del Paese. Già oggi esistono, dunque, enti locali che, in termini calcistici, possono essere considerati di serie A e di serie B.
Di fronte a questo tipo di situazione vorremmo che la fase prospettica tenesse conto di questo fenomeno. I tagli attuati con la manovra finanziaria assomigliano a tagli lineari e, quindi, non vanno a perequare parzialmente questo tipo di situazione: alcuni comuni, pur essendo virtuosi, si sono, infatti, visti ridurre i trasferimenti da parte dello Stato nella stessa misura proporzionale rispetto agli altri comuni.


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Il comparto degli enti locali, pur avendo nel suo complesso ampie differenziazioni interne - ci sono infatti comuni che ricevono proporzionalmente il doppio o anche di più rispetto a quanto riceve il mio, tanto per capire quali sono oggi le iniquità - nel corso degli ultimi anni ha comunque risposto positivamente alla richiesta, pur legittima, dello Stato centrale di ridurre la spesa: tuttavia rischia di essere l'unico comparto a rispondere a tale richiesta.
Le regioni hanno sicuramente compiuto uno sforzo e, in fase prospettica, ne dovranno ancora compiere uno, mentre agli altri corpi della spesa pubblica, in particolare quelli che afferiscono allo Stato centrale, non è stato chiesto un uguale sforzo, benché forse siano quelli sui quali si potrebbe incidere maggiormente.
Credo, quindi, che il Governo debba tenere conto di queste differenze, che sono assolutamente vistose e che vanno a creare difficoltà. Il Ministro Tremonti parla spesso di finanza creativa. Gli enti locali, soprattutto quelli virtuosi, ne hanno attuata molta, ma siamo veramente al limite. Poi non saremo più in grado di gestire i comuni.

PRESIDENTE. Le parole del sindaco Tosi mi confermano che non avevamo visto male - parlo per me stesso, ma penso che molti membri della Commissione fossero d'accordo con me - sul fatto che, al di là di un problema tra Nord e Sud, se ne pone uno tra comuni e comuni.
Nell'ultimo decreto che abbiamo esitato la settimana scorsa abbiamo fatto inserire specificamente l'articolo 1-bis sui costi standard proprio per consentire ai quasi 4.000 comuni che non hanno determinati servizi e che non possono scendere dal costo storico al costo standard, ma al limite devono salire dal costo zero al costo standard, realizzando quello che non hanno, di poterli avere quanto meno nel corso di un tempo ragionevolmente breve.
La distinzione tra comuni di serie A e di serie B purtroppo esiste. Il problema dei trasferimenti da parte dello Stato ai comuni, quando è buono e quando è cattivo, ossia quando è bene amministrato e quando non lo è, interessa la gran parte,, se non l'intero Paese. Ciò rende, da un canto, più facile l'approccio per cercare una soluzione, visto che non interferisce nel rapporto tra Nord e Sud, ma, dall'altro, richiede un'attenzione molto particolare nel trovare rimedi adeguati.
Consideriamo - svolgo un'ultima osservazione - che l'autonomia impositiva ha un senso per comuni da un dato numero di abitanti in su e con una base impositiva adeguata, mentre da un dato numero di abitanti in giù bisogna ragionare di percentuale di compartecipazione, che può andare da 0 a 10 o a 100, ma che sicuramente non può essere lasciata alla capacità impositiva dei comuni, che è quasi inesistente. Questo era l'approccio sul quale ci muovevamo in Commissione e sul quale eventualmente potremmo preparare opportune modifiche.

VASCO ERRANI, Presidente della regione Emilia-Romagna e presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Considerato che siamo in una sede pienamente consapevole e condividendo le considerazioni svolte dai comuni, mi permetto di sollevare tre questioni rapidissime.
Esiste, secondo me, un problema molto importante, su cui anche la Commissione ha certamente già riflettuto e rifletterà ulteriormente. Siamo di fronte a continui decreti attuativi che rinviano ad altri provvedimenti, in particolare a DPCM.
È un bel problema, che alla fine potremmo sintetizzare in questi termini: non sappiamo che cosa sarà il federalismo fiscale. Siamo al massimo grado del generico. Esiste un problema di impianto, che ormai si sta disperdendo.
Oggi, peraltro, si tiene una riunione con il Governo, dove finalmente, per la prima volta dopo tantissimo tempo, comuni, regioni e province si siedono insieme per vedere se esiste ancora un filo di applicabilità delle norme.
Chiedo scusa se mi esprimo in questo modo, ma lo faccio senza alcuna intenzione polemica. Mi pongo questa domanda, perché io, per esempio, non lo


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vedo. Sono convintissimo della legge n. 42 e del federalismo fiscale e vorrei l'applicazione della legge nella sua interezza, perché, se essa fosse applicata bene, risolverebbe moltissimi problemi in relazione alla perequazione e al rapporto tra Nord e Sud. Non trovo, però, questo filo di applicabilità nei diversi decreti che sono stati presentati.
Vengo alla seconda questione. Quando i comuni, come del resto le regioni, pongono il problema delle risorse e dell'autonomia, sollevano un problema sacrosanto e giustissimo. Stiamo attuando il federalismo fiscale, ma in realtà siamo in un processo nel quale siamo vicini allo zero di autonomia, sia per i comuni, sia per le regioni, per un motivo molto semplice e fondante.
I costi standard sono una questione, ma il fabbisogno è un'altra. Non so se mi spiego. Questo punto dovrebbe essere chiaro a tutti noi. Se il fabbisogno viene determinato solo dal Governo, qualsiasi esso sia, di centrodestra o di centrosinistra - per me è uguale - non stiamo parlando di federalismo, ma di una forma diversa di trasferimenti.
Il problema che poneva il presidente rispetto ai comuni che non presentano determinati standard di servizi diventa, pertanto, abnorme. Parliamo di standard di servizi che non esistono in una parte del Paese e corriamo il rischio che i comuni che li hanno se li vedano, di fatto, decurtati, mentre quelli che non li hanno non abbiano la possibilità di realizzarli.
Forse è il momento per sviluppare una riflessione tra tutti coloro che vogliono il federalismo e lo ritengono una riforma seria e importante.
Il terzo problema riguarda le risorse. I primi due problemi sono di impianto, mentre il terzo, in sintonia piena con le tematiche sollevate dai comuni, è economico.
In verità, nella manovra di 25 miliardi di euro, lo Stato centrale si è ridotto la spesa di 200 milioni di euro. Questa è la verità. Tutto il resto è a carico delle regioni e delle autonomie locali.
Dopodiché, i decreti attuativi inglobano la manovra. Di che cosa stiamo parlando? La lettera m) è perequata al 100 per cento con i costi standard in tutto il territorio - sanità, istruzione, capitale, trasporto pubblico locale e assistenza - mentre la parte dove si dovrebbe attuare il federalismo fiscale, rispetto anche alla contribuzione dei diversi territori, per le regioni è azzerata.
Dove applichiamo il federalismo fiscale? Forse in televisione.

PRESIDENTE. Grazie, presidente Errani. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARCO CAUSI. Grazie molte al presidente Errani e ai sindaci Cosimi e Tosi, cui pongo alcune domande secche.
Nel decreto-legge n. 78 è stato scritto che i tagli ivi apportati sarebbero stati sterilizzati nel momento in cui si sarebbe attuato il federalismo fiscale. Quando sarà questo momento, secondo voi, nel vostro parere? È già in questi decreti, obbligando quindi il ministro dell'economia e delle finanze a trovare fin da subito le necessarie coperture finanziarie, o in successivi decreti, in un secondo tempo? In tal caso, anche la definizione della delega non può essere affrettata e veloce come qualcuno vorrebbe, perché occorre trovare il momento in cui reperire le coperture.
Passo alla seconda domanda. Siete preoccupati, come comuni, per la disomogeneità territoriale delle basi imponibili che teoricamente vi verrebbero trasferite sulla base del decreto?
Ieri, in Commissione, il Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze ha reso noto un pregevolissimo lavoro compiuto calcolando tutte le basi imponibili, comune per comune, per tutta Italia. Ciascun sindaco può vedere anche la sua. Ha ricevuto i nostri complimenti per questo lavoro, anche se ancora va completato, perché andrebbero esaminati almeno i dati pro capite.
Si vede già da questo lavoro, comunque, che c'è, per quanto riguarda sia le


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seconde case, quindi la base imponibile dell'IMU, sia i trasferimenti immobiliari, quindi le attuali imposte di registro e ipocatastali, ci sono basi imponibili molto difformi. Che tipo di preoccupazione nutrite rispetto a questo punto?
La terza domanda - mi pare che nel documento siate molto chiari - è se non preferiate, come comuni, anche un pezzo di compartecipazione.
L'impressione che abbiamo avuto come commissari è che il Governo abbia cercato in questo decreto di chiudere il finanziamento dei comuni usando soltanto autonomia tributaria e perequazione, senza la compartecipazione. Secondo voi ciò è possibile, oppure occorre anche la compartecipazione, anche alla luce delle basi disomogeneamente distribuite per quanto riguarda l'autonomia tributaria, con una disomogeneità che non è soltanto tra Nord e Sud, ma anche tra grandi e piccoli comuni e tra comuni turistici e non turistici.
Passo al quarto punto. Nel vostro documento chiedete, almeno nella fase transitoria, lo sblocco delle addizionali IRPEF per i comuni che non erano arrivati al massimo legalmente consentito prima che intervenisse il blocco.
Nella fase a regime vedete ancora l'addizionale IRPEF comunale o ritenete, invece, come sembra di capire dallo schema di decreto sulle regioni, che i comuni potrebbero rinunciarvi per avere in cambio una compartecipazione all'addizionale IRPEF regionale? Qual è il vostro punto su questo tema?
In merito ai fondi perequativi, in questo decreto non sono disegnati. Come l'ANCI giustamente afferma nel suo documento, questo non è il decreto finale sul fisco comunale, ma ce ne vorrebbero almeno altri due, uno sulla compartecipazione e uno sulla perequazione. Qual è la vostra idea in merito?
Infine, l'ultima domanda riguarda la cedolare secca. Avrete certamente visto che l'introduzione della cedolare secca, secondo la relazione tecnica che il Governo ha fornito, comporta una perdita di gettito di circa un miliardo.
Contemporaneamente il Governo sostiene, però, che già dal 2011, quindi dall'anno prossimo, grazie anche all'aiuto e alla compartecipazione dei comuni alla lotta all'evasione, si potrebbe essere in grado di recuperare 440 milioni di imposta evasa. Ergo, conclude il Governo, la perdita prevista per il 2011 non sarebbe di un miliardo, ma soltanto di 550 milioni.
Dato che questa attività di accertamento, che dovrebbe far emergere in un solo anno 440 milioni di euro, è un'attività su cui il Governo, come molto spesso ha ripetuto, si aspetta un grande aiuto da parte dei comuni, la mia domanda è se ve la sentite di accettare questa scommessa.
È una scommessa per i comuni, perché, nel momento in cui vi danno la cedolare secca, avrete un miliardo in meno. Ve la sentite di affrontare la scommessa di recuperare 440 milioni di euro in un anno su questo miliardo?

LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Innanzitutto volevo utilizzare questa audizione, perché non solo noi apprendiamo alcuni elementi, ma anche i nostri auditi hanno la possibilità di acquisire formalmente le novità che emergono.
Ci siamo dilettati, nel corso di questi sei mesi, a toccare un dibattito che riguarda la dottrina e la politica: se il federalismo sia competitivo o solidale. È in corso una discussione che attraversa tutti gli schieramenti politici.
Ieri il Ministro Calderoli ha affermato che il Governo, la maggioranza, vuole un federalismo solidale e competitivo. Credo, dunque, che abbiamo inquadrato correttamente la questione e che siamo arrivati a un punto sintetico di tutto il dibattito finora sviluppato.
Le mie domande sono molto semplici. Chiedo al Presidente Errani, che, come tutti i presidenti di regione, gestisce un bilancio per il 70 per cento afferente al comparto sanità, se può aiutarci a sciogliere un nodo. Abbiamo sempre considerato il dibattito sul fabbisogno e sui costi standard come un tema necessario da trasferire nel comparto regioni ed enti locali, soprattutto enti locali, perché contestualmente


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nella sanità eravamo già molto avanti in questo dibattito. Noto, ma credo che lo facciano anche i colleghi, che nell'ultimo decreto, quello riguardante la sanità, su questo versante ci si è bloccati.
La domanda è la seguente: ci si è bloccati per una regione teorica, ossia perché è difficile compiere questa operazione ulteriore, oppure perché non è vero che la sanità è più avanti rispetto agli enti locali, ovvero perché ci sono difficoltà politiche?
Ai sindaci di Livorno e di Verona, Cosimi e Tosi, chiederei, invece, se, a loro giudizio, il decreto che stiamo discutendo sulla nuova imposta si possa configurare come un decreto che aumenta l'autonomia impositiva. Per farla breve, io penso non che la riduca, ma che la annulli. Volevo conoscere, però, proprio per comodità del nostro dibattito, almeno il loro giudizio.
Vorrei, poi, sapere se, rispetto a una tradizione consolidata nella nostra amministrazione, secondo la quale i dati riguardanti i comuni sono stati sempre identificati come dati fisici, bruti ma reali, andando verso un questionario che deve ora elaborare la SOSE insieme a IFEL, in cui si chiederanno ai comuni elementi non più precisamente fisici, ma sfuggenti, non inneschiamo un meccanismo per il quale un Governo della Repubblica che voglia ridurre i trasferimenti o comunque lo spazio di autonomia al comune di Verona non possa farlo. Personalmente penso che lo possa fare in futuro con questo tipo di meccanismo, ragion per cui auguro al sindaco di Verona di avere sempre un Governo amico, che lo potrà sicuramente tranquillizzare.
Passo all'ultima questione. Ammettiamo, signor presidente, che D'Ubaldo abbia per una volta ragione in merito alla domanda che ho posto ieri e che insisto a proporre ai nostri amici dirigenti qui presenti. Otteniamo una fotografia rispetto a ciò che è avvenuto in vent'anni di imposta comunale sugli immobili, dal momento che tra il 1992 e il 2010 sono passati ormai diciotto anni.
Perché nella figurazione ritengo di avere ragione e, quindi, compio un gesto arbitrario? Sicuramente è avvenuto quanto segue. Le basi imponibili fissate dai valori catastali sono strutturalmente diverse. Chi ha dimestichezza con questi problemi potrebbe ricostruire in filigrana, attraverso il catasto, la storia politica della nazione italiana dal 1861 ai giorni nostri. È evidente che nel Mezzogiorno ci sono valori catastali ridotti.
Ciò significa che in diciotto anni noi abbiamo consentito al sistema delle autonomie locali di avere un drenaggio diverso. Esprimendosi in termini semplici, che possa capire anche chi non è interessato a questi problemi, se vado al bar e prendo una bibita di un litro con la cannuccia, dove la cannuccia rappresenta l'autonomia impositiva, attingo a un litro di quella bibita. Se accanto a me c'è un signore, sempre con la cannuccia, ma con una bibita di 25 centilitri, il suo drenaggio è molto diverso. Si arriva a una situazione per cui lui, a un dato punto, ha finito di drenare, mentre io posso ancora tranquillamente continuare.
Se questa è una rivoluzione, come sostengono gli amici e colleghi della Lega, nostri avversari politici, non dovremmo mettere le mani prima e innanzitutto, non in modo esoterico ma strutturale e politicamente chiaro, alla parificazione e all'eguaglianza dei comuni?
Come si fa? Aumentiamo le basi catastali e quindi chiediamo più imposizione ai cittadini che abitano da Roma in giù, oppure manteniamo l'equivoco e, quindi, la disparità nella costruzione dell'autonomia impositiva e nella sua gestione concreta?

WALTER VITALI. Svolgo una piccola premessa e formulo due brevi domande.
Il nostro Gruppo, quello del Partito Democratico, condivide l'esigenza posta dal Presidente Errani di fare il punto della situazione e capire se il filo della legge n. 42 venga attuato o meno. Anche noi nutriamo il dubbio che non siamo di fronte a un'attuazione della legge n. 42, ma a un suo tradimento.
Il Gruppo condivide anche le osservazioni dell'ANCI circa il fatto che questo


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decreto manchi degli elementi necessari di sostenibilità finanziaria e di definizione dell'aliquota base dell'IMU a regime e che anche nella fase transitoria rischi di produrre molti più problemi di quelli che non si propone di risolvere.
Le due domande riguardano le regioni e i comuni. La prima, rivolta al Presidente Errani in modo particolare, riguarda il fondo di riequilibrio previsto all'articolo 1 di questo decreto.
Come lei sa, presidente, in base alla legge n. 42 la perequazione è effettuata dalle regioni attraverso linee di indirizzo stabilite dalla legge nazionale e le regioni possono anche, nel caso di intesa con il sistema delle autonomie regionali, modificare i criteri di riparto.
Siamo di fronte, dunque, a cinque anni di fondo sperimentale di riequilibrio, dopo i quali può iniziare ad avere applicazione quanto previsto dalla legge n. 42. Poiché essa prevedeva un periodo transitorio di cinque anni a decorrere dall'anno immediatamente successivo alla scadenza della delega, quindi a partire dal 2012, non le pare che siamo di fronte, anche in questo caso, a un venir meno dei princìpi previsti dalla legge? In questo modo non solo c'è un rinvio, ma tutto il meccanismo fondato sui costi e sui fabbisogni standard dei comuni viene eluso.
Pongo una domanda all'ANCI, chiedendo scusa al presidente La Loggia perché, tutte le volte in cui abbiamo occasione di tenere queste audizioni, oltre a chiedere il parere sul decreto legislativo del Governo, propongo ciò che come Partito Democratico abbiamo intenzione di fare anche formalmente, a partire dalla prossima settimana.
Sindaci Cosimi e Tosi, noi ci stiamo orientando su un impianto un po' diverso da quello che il Governo ha presentato, il quale, secondo noi, consentirebbe di risolvere il problema citato dal collega D'Ubaldo in precedenza, un problema non irrilevante, che riguarda il grado di autonomia effettivamente consentito ai comuni. Si tratta di una delle osservazioni principali che muove l'ANCI, tanto che si chiede di intervenire sul meccanismo della cedolare secca, il che è concettualmente un po' contraddittorio. Ne capisco, però, la ragione.
Noi ci stiamo orientando su un'imposta comunale sui servizi, che avrebbe il vantaggio di recuperare a tassazione l'insieme dei residenti del comune. La dottoressa Scozzese lunedì svolgeva un'osservazione molto interessante sul fatto che i residenti, sulla base di questo sistema, vengono esclusi dal meccanismo di tassazione. Di fatto, siamo di fronte a una superpatrimoniale sulle seconde e sulle terze case, che, partendo sicuramente da un'aliquota base molto alta, non consente neanche un effettivo margine di manovra da parte dei comuni.
Occorre, dunque, recuperare a tassazione l'insieme dei residenti e naturalmente cercare di agire in sostituzione, quindi con TARSU, tariffa di igiene ambientale (TIA) e addizionali IRPEF sostituite dall'imposta comunale sui servizi, con un meccanismo anche di riordino per quanto riguarda l'imposizione immobiliare.
Ho presente ciò che è stato asserito lunedì dal dottor Ferri dell'IFEL: tutto ciò era stato originariamente proposto anche dal Governo, ma poi, da un dato punto in avanti, se ne è persa traccia. Mi piacerebbe conoscere l'opinione dell'ANCI in relazione a una proposta di questo genere.

PRESIDENTE. Avrei anch'io una domanda, di cui stavo parlando a margine con il Presidente Errani.
L'imposta che dovremmo applicare non alle prime, ma alle seconde case dove andrà pagata, nel comune dove esiste la seconda casa o nel comune di residenza fiscale? È di tutta evidenza - non devo spiegarlo - che si ottengono risultati totalmente diversi anche sul piano dell'omogeneità del Paese. Non tutti i comuni sono sede di seconde o terze case. Ci sono comuni che hanno normalmente 1.000 residenti e che in alcuni periodi dell'anno arrivano a 20-30.000 proprio a causa di questo fenomeno.
Non so sino a che punto per la legislazione vigente sia possibile attuare un


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provvedimento o l'altro o se addirittura occorra una modificazione, anche parziale, della legislazione vigente. È uno dei temi che ancora mi riservo di approfondire. Il problema, però, esiste.

MAINO MARCHI. Anch'io mi volevo inserire rispetto ad alcune valutazioni, innanzitutto sulle risorse. Credo che sia evidente che quanto scritto nel decreto-legge n. 78 fosse molto difficile da attuare, perché, se lo si fosse attuato come era scritto, si sarebbe creato un buco nel bilancio. Si sarebbe, quindi, dovuta trovare un'altra copertura rispetto a quelle reperite con la manovra estiva e la dimensione era tale che l'operazione non sarebbe stata certamente facile.
Si è scritta, pertanto, una disposizione in quel decreto, pur sapendo di non potervi e di non volervi corrispondere. Subito dopo, infatti, con questo decreto legislativo il ministro dell'economia e delle finanze, attraverso lo strumento della compartecipazione al fondo e decidendo autonomamente con una propria aliquota, ha stabilito le modalità con cui si rispettano i saldi così come sono stati determinati dopo la manovra estiva.
Vedo che la proposta avanzata nel documento è che ci sia l'intesa e non una decisione unilaterale. Credo che questo possa essere un elemento importante, però il problema è simile a quello che riguarda la legge di stabilità: se si vuole mantenere l'effetto della manovra estiva e non c'è un cambiamento netto di politiche su questo versante, sarà molto difficile che ci troviamo con strumenti per l'attuazione del federalismo fiscale che non partano da una base simile a quella che si è determinata con la manovra estiva.
Mi pare che questo sia il problema fondamentale che abbiamo di fronte rispetto all'attuazione della legge n. 42. Ce ne sono poi molti altri, come quelli emersi sui fabbisogni standard, ma questo è il principale.
Il secondo aspetto è che i comuni in tutti questi anni hanno avuto come leva fiscale fondamentale quella legata all'urbanistica e all'edilizia, con ICI e oneri di urbanizzazione. Ciò ha determinato anche alcune distorsioni, perché finanziare i servizi col mattone ha causato alcuni problemi.
Poi si è verificata l'abolizione dell'ICI prima casa, mentre adesso viene proposto un sistema che ha una base fondamentale ancora sugli immobili, ma con alcune differenze rispetto al sistema precedente, in quanto si basa sugli immobili diversi dall'abitazione principale e sul trasferimento di immobili.
Inoltre, come altra fonte - credo che proprio per questo motivo debba essere svolta una valutazione anche rispetto al decreto legislativo sulla fiscalità regionale - è prevista la compartecipazione all'addizionale regionale, all'IRPEF.
Risulta, quindi, importante avere una valutazione da parte dell'ANCI e degli enti locali sul fatto che questo sistema corrisponda all'esigenza di finanziamento sostanziale dei servizi. Sotto questo aspetto incontriamo problemi, a mio avviso, perché non esiste un collegamento diretto tra residenza, quindi tra chi usufruisce dei servizi, e il tributo principale. Certamente ci sarebbe da riprendere quanto meno una discussione sulla possibilità, invece che di adottare questo sistema, di introdurre un'imposta comunale sui servizi che possa essere meglio collegata alle attività e alle risposte ai problemi dei cittadini che danno i comuni.
Mi sembra, inoltre, che quella che avrebbe dovuto essere un'entrata importante sul versante del reddito dei cittadini venga molto limitata con la previsione dell'esclusiva compartecipazione all'addizionale regionale.
Sulla cedolare secca volevo porre una domanda. Esiste un problema di gettito, che è stato già sottolineato, ma anche di politiche per la casa. Il sistema che abbiamo avuto fino a oggi ha collegato, infatti, le agevolazioni fiscali anche alla possibilità di contrattazione collettiva che tendevano a calmierare, in un certo senso, gli affitti, con un vantaggio che andava anche verso gli inquilini e che poteva favorire le politiche per la casa.


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La domanda che rivolgo in modo particolare all'ANCI, ma anche al Presidente Errani, è la seguente: questo provvedimento, che porterebbe immediatamente tutti i contratti di locazione, non solo i nuovi, all'applicazione della cedolare secca al 20 per cento, oltre che essere ovviamente più vantaggioso per chi ha redditi più alti, non può determinare anche un problema nel senso che il doppio canale che esisteva soprattutto nelle situazioni in cui vi è una maggiore tensione abitativa venga meno? I comuni non avrebbero più in mano un'altra leva che hanno avuto fino a oggi per lavorare in riferimento alle politiche per la casa e soprattutto per porsi certamente nell'ottica dei proprietari, ma anche per favorire e per cercare di agevolare gli inquilini.

MARCO STRADIOTTO. Mi pare che sia i sindaci, sia il Presidente Errani abbiano evidenziato alcune questioni. Poiché chi mi ha preceduto ha già osservato i temi che ci interessano, mi limito solo a uno sollevato dall'ANCI, quello relativo ai comuni delle regioni a Statuto speciale.
Credo che sia un problema aperto. La legge n. 42 in pratica ha già definito che sono esclusi, però il problema esiste. Occorre, quindi, svolgere un ragionamento di equità e di giustizia, soprattutto nei territori di confine, dove ci sono tensioni non indifferenti, dal punto di vista di referendum ma non solo, e su cui credo che dobbiamo dare risposte.
Per la seconda questione chiedo ai rappresentanti dell'ANCI di utilizzare i dati che siamo riusciti ad avere ieri dalla COPAFF, ossia i dati forniti dal Dipartimento delle finanze. Credo che la soluzione migliore sarebbe quella di eseguire alcune proiezioni rispetto a taluni enti di riferimento, in termini di situazioni diversificate per l'imposta sui trasferimenti immobiliari, l'imposta catastale e le altre, in maniera da riuscire a capire la situazione.
La verità, come affermava giustamente il sindaco Tosi, è che ci sono comuni di serie A, serie B, ma anche C o D. Credo che troveremmo tutto l'alfabeto. I dati che sono stati forniti ieri alla Commissione, sia i dati imponibili, sia quelli di gettito delle relative imposte di tutti i comuni italiani, possono far compiere a ognuno di noi, per le proprie competenze e per ciò che conosce, alcune proiezioni rispetto al futuro.
La mia impressione è che, se il meccanismo del federalismo municipale è come impostato dal decreto, rischiamo il pericolo che in alcune situazioni e per alcuni enti le entrate dovranno derivare solo dai servizi o dal fondo perequativo. Ciò significa che non siamo riusciti ad attuare bene il federalismo, perché, se abbiamo ancora bisogno di fondi perequativi molto alti, non abbiamo centrato l'obiettivo nei cespiti da affidare agli enti territoriali e, in questo caso, agli enti comunali.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri auditi per la replica.

FLAVIO TOSI, Sindaco di Verona. Fornisco un dato, ma ripeto che la situazione va considerata in maniera più completa rispetto anche alle regioni a Statuto speciale.
Il trasferimento complessivo dello Stato al comune di Verona, nel 2010, quindi recentemente, è stato di 226 euro per abitante, mentre il comune di Napoli ne ha ricevuti 557. Noi avremmo, pertanto, 90 milioni in più, una cifra enorme, se fossimo trattati nello stesso modo. Non è, però, una questione di Napoli; il fenomeno riguarda tutte le regioni a Statuto speciale, chi più, chi meno.
Napoli è un esempio di un comune ordinario, ma, se andiamo a prendere tutte le realtà a Statuto speciale e, in misura maggiore, Trentino-Alto Adige e Val d'Aosta, vediamo che esse ricevono fondi in maniera assolutamente sperequata. Non si tratta di avercela con loro. Beate loro che hanno questo tipo di possibilità, però ciò è iniquo rispetto a i nostri concittadini.
Ci sono diversi aspetti che possono essere toccati in merito alle domande poste. Cercherò di essere sintetico.
Anche la questione del recupero sull'evasione, all'articolo 1, è un tema di cui


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si è già discusso. Una parte del gettito attualmente evaso viene riconosciuta ai comuni. Non si sa quale sarà l'effetto definitivo, però, perché non si sa a quanto ammonterà il recupero. Esso potrebbe portare, comunque, a sua volta a una sperequazione, perché, per esempio nelle nostre realtà, dove sicuramente vi è meno evasione, bisognerà vedere, alla fine della fiera, chi avrà recuperato di più, chi di meno e quanto varrà la cifra.
Posso anche capire la ratio, perché spesso i comuni che godono di un maggior trasferimento da parte dello Stato sono quelli dove magari c'è più evasione, però la questione andrebbe vista con una fotografia sul dato finale.
Esiste un'incertezza sostanziale già in fase transitoria. Parlo per il mio comune, ma credo che molti siano nelle stesse condizioni: si chiedono alle fondazioni bancarie risorse straordinarie, ma non dovrebbe essere quella la soluzione; si vendono immobili, patrimoni dell'amministrazione, quote. Sono misure di finanza più o meno creativa, che però non dovrebbero rappresentare lo strumento per riuscire a far quadrare i bilanci.
Anche in fase definitiva, soprattutto per quanto riguarda l'articolo 1, non c'è certezza sulle risorse che saranno a disposizione dei singoli enti locali. In realtà, mentre nel passato i comuni bene o male sapevano quale potesse essere la loro disponibilità per poter costruire i bilanci, guardando oggi il provvedimento - parlo come ente locale - vedo che non esiste una certezza, né nella fase transitoria fino al 2014, né nella fase definitiva, su quelle che potranno essere le risorse a disposizione dell'ente locale a seguito di questa modifica normativa.
Per quanto riguarda l'autonomia consentita agli enti locali, sull'addizionale IRPEF sarebbe opportuno - è una proposta che mi viene in mente e credo che questa sia la sede dove la si può proporre - che lo Stato possa indicare un limite minimo e massimo, come è stato in passato, entro il quale l'ente locale si può muovere. L'ente locale, però, dovrebbe poter avere almeno questa forma di autonomia per cercare di regolare le proprie attività.
Si sostiene, invece, che ci sia un'eccessiva ingerenza dello Stato centrale per quanto riguarda sia il montante complessivo, sia le singole voci e capitoli di spesa, mentre un comune dovrebbe avere l'autonomia di poter valutare come gestire in maniera autonoma il proprio bilancio.
Un'altra questione che dovrebbe essere maggiormente esplicitata è quella del potere di intervento dello Stato nei confronti degli enti locali che non si comportino correttamente. Si rischia che, per evitare che un comune, qualsiasi esso sia, non si comporti in maniera corretta, lo Stato fissi alcune griglie all'interno delle quali non ci si può muovere.
Sarebbe, invece, molto più corretto che lo Stato fissasse limiti di spesa minimi e massimi all'interno dei quali esiste l'autonomia dei comuni. Dopodiché, se qualcuno si comporta in maniera non corretta, lo Stato interviene, con un intervento che invece fino adesso non si vede.
Parlando del comune di Napoli o di Palermo, per portare alcuni macroesempi, forse sarebbe il caso che, al di là del dibattito politico in corso su chi abbia o meno la responsabilità, su chi debba nominare il commissario e se debba nominarlo d'intesa con gli enti locali o con le province, lo Stato intervenisse, quando è opportuno che lo faccia, ossia laddove ci sono evidenti casi di mala gestione.
Lo Stato dovrebbe, quindi, lasciare autonomia agli enti locali di potersi organizzare e di gestire il proprio bilancio se non in maniera più libera, comunque con un grado di autonomia consono a un'amministrazione. Altrimenti tanto varrebbe nominare un amministratore condominiale, perché il comune non ha più alcuna libertà, né responsabilità. Lo Stato dovrebbe incidere in maniera pesante nei confronti degli enti locali che non si comportano correttamente, un atteggiamento che fino a oggi non si è visto.

ALESSANDRO COSIMI, Sindaco di Livorno e presidente regionale dell'ANCI Toscana. Chiedo scusa se faccio perdere un


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po' di tempo, ma vorrei entrare nel merito delle questioni sollevate.
Nella breve introduzione avevamo posto tre punti, tra cui la questione delle risorse e quella dell'autonomia, che mi sembra siano state anche alla base delle domande formulate. Ovviamente noi tendiamo a valorizzare tutte le questioni che pongono l'autonomia come elemento di fondo.
Poniamo, però, un problema di cui discutevamo tra di noi: o una strada trova una propria dimensione - l'armonizzazione che abbiamo pensato anche rispetto alle aliquote proiettate nel futuro è un elemento anche di ricerca di un punto di incontro - oppure ci ritroviamo un problema contingente, ovvero l'incertezza dei bilanci.
Vorrei sottolineare che stiamo discutendo di una questione che in questo momento ha una prospettiva. Si può discutere la sua applicazione, ma esiste un dato oggettivo: siamo dentro una fase nella quale non chiudiamo i bilanci, se non si applicano alcune soluzioni.
Forse è questo il messaggio più immediato rispetto alle tre questioni che abbiamo cercato di esporre. Sull'IRPEF, da un punto di vista dell'addizionale, si può discutere. L'ANCI, però, è un'associazione bipartisan e il suo problema è che cerca di costruire una modalità per dare un'autonomia e risorse certe che consentano di partire verso un'ipotesi attuale.
Se non si attueranno alcune questioni, come, per esempio, quelle che indicava il sindaco Tosi sull'addizionale IRPEF, a parte il fatto della sperequazione oggettiva, con cui puniamo tutti coloro che hanno tenuto l'imposta bassa e tutti coloro che hanno cercato di non aumentare la pressione fiscale, il problema di fondo è che questo ragionamento non parte dall'idea dell'autonomia. Bisogna, invece, mettere i due aspetti insieme.
Mi permetto di svolgere una considerazione. Stiamo provando a chiudere i bilanci compiendo simulazioni, peraltro senza gli oneri di urbanizzazione. Eticamente condividiamo che non debbano entrare nella spesa corrente.

LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Visto che lei fa parte dell'ANCI, chieda al suo presidente perché a lui l'hanno consentito.

ALESSANDRO COSIMI, Sindaco di Livorno e presidente regionale dell'ANCI Toscana. Io credo che sia giusto consentirlo a tutti.
Sto notando che, mentre discutiamo di una questione che noi consideriamo come un elemento certo di necessità, siamo di fronte a una situazione nella quale complessivamente queste parole non trovano risposta nel concreto. Alla fine, noi difendiamo la realtà dei comuni.
Per esempio, a proposito della domanda se accettiamo che l'innalzamento dell'addizionale entri nella questione del rapporto con l'IRPEF regionale, sinceramente non pensiamo che sia un elemento particolarmente grave. Riteniamo, però, che autonomia e risorse siano il punto sul quale in questo momento siamo in un mondo piuttosto fantasioso, se devo essere sincero.

VASCO ERRANI, Presidente della regione Emilia-Romagna e presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Premetto che sono d'accordo con il collega D'Ubaldo. A parte le battute, devo dare due risposte.
Sui costi standard è vero che siamo più avanti, nel senso che ci sono moltissimi dati sulla sanità e non sugli altri comparti. Bisogna chiarire, però, che un conto sono i costi standard e un altro il modo in cui si determina il fabbisogno attraverso i LEA e i LEP, altrimenti non arriviamo mai al punto. Questo problema è decisivo.
Tutta questa discussione è appesa al nulla, anche per i comuni. Non stiamo discutendo del federalismo fiscale, ma di come gestire i trasferimenti in un altro modo. È di questo che state parlando voi. Bisogna che qualcuno lo affermi. Questo Paese, invece, immagina che stiamo parlando di federalismo fiscale. Ci vorrà pur qualcuno che lo smentisca: stiamo parlando, invece, di come gestiamo in maniera diversa i trasferimenti, con tutti i problemi connessi.


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Non mi permetto di intervenire nel merito rispetto alla questione dei comuni, ma, secondo me, ci saranno circa 5.000 comuni che, stante così la situazione, andranno perequati al 100 per cento. Confermo che la legge n. 42 dispone che la perequazione debba essere effettuata attraverso le regioni. Non si può cambiare una delega; la lettera della legge è chiara.
In verità, però, non si capisce più nemmeno quali siano i tempi. Forse il 2019?. Il decreto-legge n. 78 ha introdotto una norma programmatica di bandiera, che dispone che non si parte dalla manovra. I decreti partono dalla manovra per tutti, comuni, province e regioni, quindi la questione è già risolta.
Secondo me qualcuno dovrebbe fare chiarezza. Capisco la dialettica politica nella Commissione, ma davvero stiamo pensando di attuare il federalismo in questo modo? Secondo me non andiamo avanti, non ci sono le condizioni per farlo. La Commissione bicamerale dovrebbe porre il problema in modo concreto, altrimenti emaneremo questi decreti, li voteremo e poi ci troveremo in una condizione ancora peggiore.

PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Errani e i sindaci Tosi e Cosimi. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti dell'ANCI e di quella trasmessa dall'UPI (vedi allegati).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,45.

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