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Commissioni Riunite (Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e V Camera)
AUDIZIONE
INDAGINE CONOSCITIVA
6.
Giovedì 9 dicembre 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

La Loggia Enrico, Presidente ... 3

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292) (ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati):

La Loggia Enrico, Presidente ... 3 8 12 14
Barbolini Giuliano (PD) ... 8 13 14
Borghesi Antonio (IdV) ... 10
Cambursano Renato (IdV) ... 10
Causi Marco (PD) ... 10
D'Ubaldo Lucio Alessio (PD) ... 9
Flaccadoro Enrico, Consigliere della Corte dei conti ... 12 14
Giampaolino Luigi, Presidente della Corte dei conti ... 3 12 14
Nannicini Rolando (PD) ... 11

ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti della Corte dei conti ... 15

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Seduta del 9/12/2010


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...
Audizione di rappresentanti della Corte dei conti nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione di rappresentanti della Corte dei conti nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292).
Ringraziamo il presidente Giampaolino e gli altri componenti della delegazione.
Do immediatamente la parola al presidente Giampaolino.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. La Corte ringrazia per quest'audizione, ritardata per un particolare riguardo nei confronti della mia persona, di cui non posso non essere grato. Ho da poco assunto il delicato incarico e sono stato immesso nell'esercizio di complesse funzioni, tra le quali quella dell'audizione presso le Commissioni parlamentari è una di quelle più proprie della Corte.
Con essa, infatti, come è noto, si attua la funzione ausiliaria della Corte nei confronti del Parlamento, che assume una valenza particolare allorché deve avere a oggetto una materia speciale quale il federalismo fiscale, per il quale la stessa Corte si ritiene specialmente impegnata.
Il referto che la Corte offre al Parlamento è, peraltro, il prodotto di un procedimento che vede coinvolto il suo apparato nelle sue diverse articolazioni, tanto che il referto che essa offre è connotato dal coinvolgimento delle diverse stanze interessate in sede magistratuale e dalle diverse professionalità in esse esplicantisi.
A seguito dell'istruttoria in merito allo schema di decreto legislativo su cui la Corte è oggi chiamata a pronunciarsi, non si può non rilevare come lo stesso prefiguri una modifica di particolare rilievo del sistema di finanziamento delle amministrazioni comunali.
Si prevede, infatti, che queste amministrazioni finanzino gli interventi di loro competenza sostituendo tra le fonti di finanziamento i trasferimenti erariali con i proventi della tassazione immobiliare, fino a ora solo in parte di competenza comunale, per poi, a regime, pervenire alla definizione di un nuovo tributo unico municipale (IMU) in sostituzione di alcuni


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prelievi diretti e indiretti gravanti sul reddito da immobili o sulle operazioni di trasferimento della proprietà.
Tale riforma si accompagna a una revisione della tassazione dei redditi da locazione di immobili a uso abitativo delle persone fisiche e con il passaggio da una tassazione progressiva a una fondata sulla cedolare secca, una riforma da tempo al centro del dibattito, ma che finora era stata accantonata in ragione soprattutto del suo costo.
Prima di entrare nel merito delle singole disposizioni dello schema di decreto legislativo, la Corte, nell'esercizio delle sue funzioni, non può non formulare, sia pure sinteticamente, alcune osservazioni nell'attuazione della sua funzione ausiliaria, facendosi carico di verificare la coerenza delle scelte operate con i princìpi cardine del disegno normativo introdotto dalla legge n. 42, la quale con l'articolo 2 ha previsto numerosi princìpi e criteri direttivi.
Tali princìpi sono riconducibili, a ben vedere, a quattro necessità principali: garantire una corrispondenza tra contribuenti e beneficiari dei servizi forniti a livello locale; disegnare un sistema che offra adeguati elementi di certezza nella disponibilità di risorse e margini di manovrabilità della disciplina fiscale, sia in termini di prelievi, sia di adattabilità del sistema; semplificare il quadro normativo e salvaguardare i princìpi di progressività del sistema e di capacità contributiva; contemperare il ridisegno con l'esigenza di potenziare le misure di contrasto all'evasione di specifici ambiti impositivi.
Invero, la scelta di puntare sulla fiscalità immobiliare è certamente coerente con la necessità di garantire un chiaro riferimento alla territorialità e risponde a esigenze da tempo avanzate dai comuni. Si tratta di una scelta che, tuttavia, risente fortemente del vincolo da rispettare di riconferma dell'esenzione da ogni forma di imposizione patrimoniale e reddituale sulla prima casa.
Sia nella fase transitoria, sia in quella a regime, il finanziamento dei servizi comunali ricade soprattutto sui possessori nel territorio di immobili non adibiti a residenza principale e, quindi, solo in misura minore sui residenti. Sembra venir meno, quindi, la corrispondenza tra soggetti beneficiari dei servizi e contribuenti, principio che è stato ritenuto dal legislatore cardine di un efficace sistema di controllo e di stimolo all'efficienza gestionale, mentre si determina una redistribuzione territorialmente squilibrata e concentrata sul prelievo, con effetti peraltro di lievitazione delle aliquote. Tali squilibri potrebbero essere in parte attenuanti da un'opportuna revisione dei valori catastali.
Il secondo indirizzo prefigurato dalla legge delega prevede che il nuovo sistema offra adeguati elementi di certezza nella disponibilità di risorse e margini di manovrabilità della disciplina fiscale, in termini sia di prelievi, sia di adattabilità alle caratteristiche delle amministrazioni decentrate.
Analizzando lo schema del decreto emerge, però, come nella fase transitoria la devoluzione dei gettiti dei tributi erariali non conferisca ai comuni un'ulteriore autonomia in termini di manovrabilità delle imposte. I tributi individuati, collegati agli immobili, finanziano un fondo di riequilibrio provvisorio e la disponibilità delle risorse finora garantite a mezzo di trasferimenti dipende dalla determinazione della compartecipazione riservata allo Stato e definita nel primo anno di attuazione.
È prevista una revisione della compartecipazione nel caso di ulteriori riduzioni dei trasferimenti. Non è specificato un meccanismo di adeguamento al fabbisogno, mentre il rispetto dei saldi programmati sembra prevalente su qualsiasi meccanismo di salvaguardia, soprattutto a fronte di tributi che finora hanno dimostrato un profilo di variazione molto ridotto.
Ovviamente, presidente, ho lasciato un documento in cui tutte queste affermazioni sono documentate, motivate e seguite da tabelle precise, oltre che dagli allegati.
Per quanto riguarda la cedolare secca l'impianto si basa sulla previsione di un recupero della base imponibile finora sottratta


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a tassazione, che appare di notevole portata. Andrebbero verificate in concreto le ipotesi particolarmente favorevoli assunte, che produrrebbero nel triennio un incremento del gettito tributario in grado di più che compensare la perdita delle risorse connessa al passaggio dalla tassazione progressiva alla cedolare.
Va, peraltro, osservato che il riferimento a un insieme di imposte sperequate nello spazio e caratterizzata da una determinata volatilità nel tempo sembra confermare i dubbi, da più parti sollevati, sul fatto che la riforma proposta possa effettivamente garantire la certezza di risorse che dovrebbe essere alla base di ogni prospettiva di responsabilizzazione degli enti decentrati e che anche nella fase a regime si conferma il forte ruolo del fondo perequativo.
Le differenze nel gettito pro capite effettivo ai fini ICI, confermate anche nelle stime della base imponibile dell'IMU fornite di recente dalla COPAFF - non posso che rinviare al documento depositato - oltre a richiedere un consistente intervento perequativo incidono in misura significativa sulla manovrabilità della disciplina fiscale, nel caso sia dell'imposta di possesso, sia di quella sulle transazioni.
Con riguardo al terzo indirizzo, ossia quello di semplificare il quadro normativo e minimizzare l'esigenza di revisione degli apparati di gestione, non si può non rilevare come il disegno che si viene delineando, ricalcando almeno in parte, in termini di basi imponibili, il quadro previgente, sembra minimizzare le esigenze di adeguamento degli apparati gestionali.
È comunque positivo l'intento di semplificare il sistema prevedendo l'unificazione di diversi tributi nella nuova tassazione introdotta con l'IMU. Va, tuttavia, considerato che l'opzionabilità nell'utilizzazione della cedolare secca data ai contribuenti, la facoltà di intervenire sul sistema dei tributi minori con l'IMU, con il conseguente emergere di sistemi tributari anche molto diversi, e la mancata definizione di un chiaro, ma regolato sistema di flessibilità applicative in termini di esenzione e agevolazioni rischiano di ridurre i margini di miglioramento sul fronte della semplificazione del sistema.
Anche in tema di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale le misure assunte con il decreto presentano elementi un po' contrastanti. Il passaggio alla cedolare secca è stato, infatti, indicato come misura che agevola la lotta all'evasione e la possibilità di attivare un contrasto di interessi tra proprietario e inquilino è stato visto come scelta fondamentale a tal fine.
A favore di una maggiore efficacia nella lotta all'evasione e all'elusione fiscale depone anche la previsione che il gettito derivante dall'accatastamento degli immobili mai censiti sia riservato interamente ai comuni e che la quota di gettito derivante dalla collaborazione all'accertamento dei tributi erariali a essi destinati salga al 50 per cento.
È importante, infine, che venga rafforzata la possibilità di accesso alle banche dati dell'anagrafe tributaria in relazione ai cespiti devoluti.
Va, tuttavia, rilevato, da un altro punto di vista, che la differenza di trattamento fiscale tra prime e seconde case e l'incremento del prelievo previsto con l'IMU, come già accaduto in occasione dell'abolizione dell'ICI sulla prima casa, potrebbe accentuare il ricorso a forme di elusione attraverso la costituzione di nuclei familiari fittizi, allo scopo di poter dichiarare come prima casa un'abitazione a disposizione. Anche per contrastare tale fenomeno andrebbe adottata una formulazione più adeguata di abitazione principale rispetto a quanto previsto nell'articolo 4, comma 3, del decreto.
Al di là delle osservazioni generali sulla struttura del decreto, alcuni aspetti della fase di attuazione delineata dal provvedimento richiedono, ad avviso della Corte, ulteriori approfondimenti.
Come è noto, i primi due articoli del decreto individuano le caratteristiche di quella che è definita fase transitoria e, al contempo, prevedono l'istituzione della cedolare secca in sostituzione, ma, come si è ricordato, con opzione di scelta per il


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contribuente dell'IRPEF sui proventi delle locazioni percepiti per abitazione e relative pertinenze da persone fisiche.
Al riguardo va innanzitutto osservato che i tempi di elaborazione dei fabbisogni standard, secondo quanto previsto dal decreto legislativo, richiedono un passaggio graduale a tale metodologia di calcolo. I fabbisogni standard verranno determinanti nel 2011 riguardo ad almeno un terzo delle funzioni fondamentali ed entreranno in vigore nel 2012 e a regime entro i successivi cinque anni. Risulta, quindi, difficile prevederne un'utilizzabilità nella ripartizione delle risorse del fondo nella fase transitoria.
Non vengono, inoltre, precisati i criteri per l'individuazione della percentuale del gettito devoluto destinato al comune, né viene chiarito se essa debba essere parte del gettito della cedolare secca. L'individuazione di quote relative ad altri tributi, come quelle per le transazioni immobiliari, risulta più variabile e si potrebbe prestare a dare minore certezza di entrate.
Infine, la temporaneità dei criteri di riparto del fondo, che dovrebbero essere a breve sostituiti con quelli previsti in altro decreto in corso di elaborazione, renderebbe poco utile la previsione di un nuovo sistema di riparto. Più semplice sarebbe forse mantenere per il momento il riferimento ai trasferimenti aboliti.
Fino al 2011 è prevista l'introduzione della cedolare secca, il cui gettito è devoluto definitivamente ai comuni. Il nuovo prelievo è opzionale, come si è riferito, ossia a scelta del contribuente, ed è riservata alle persone fisiche proprietarie di immobili a uso abitativo dati in affitto. La cedolare secca è sostitutiva dell'IRPEF e delle imposte di bollo e di registro.
La relazione tecnica al decreto ipotizza un rilevante recupero di base imponibile oggi sottratta all'IRPEF. Il recupero è stimato pari al 15 per cento nel 2011, al 25 per cento nel 2012 e al 35 per cento nel 2013, contando sulla deterrenza recata dalle nuove norme sanzionatorie inserite nel decreto e al rafforzamento del contrasto all'evasione per il concorso dei comuni. L'effetto è valutato al netto della diminuzione del carico fiscale. In media i redditi immobiliari vengono oggi tassati con l'IRPEF al 32 per cento.
Sul piano generale non si può non osservare come con l'introduzione della cedolare secca si operi un'ulteriore riduzione della base imponibile soggetta a tassazione progressiva, che verrebbe ricondotta essenzialmente al solo reddito da lavoro, un'evoluzione di cui sarebbe forse più opportuno valutare le implicazioni all'interno di un più organico disegno di riforma della fiscalità generale.
Sempre con riguardo alla cedolare secca si possono poi avanzare più specifiche considerazioni. Ai fini IRPEF andrebbe chiarito che l'opzione per la cedolare non dovrebbe comportare anche l'esclusione del reddito dai fabbricati ai fini del computo del tetto - 2.841 euro - oltre il quale il familiare non è più a carico. Diversamente, la scelta per la cedolare si trasformerebbe anche in un veicolo di elusione.
La perdita di gettito IRPEF che si determina in capo a soggetti che optano per la cedolare secca e che attualmente dichiarano redditi da locazione è stimata costante in 3 miliardi 295 milioni di euro in ciascun anno del periodo di riferimento, mentre il maggior gettito derivante in capo ai medesimi soggetti dall'applicazione della cedolare secca presenta un andamento crescente dal 2011 al 2013.
L'asimmetria merita alcune spiegazioni aggiuntive. Seppure a decorrere dal 2014 con l'introduzione dell'imposta municipale propria si modifichino, con la previsione del dimezzamento dell'IMU rispetto al triennio precedente, le condizioni di convenienza fiscale che sarebbero in parte alla base dell'effetto di emersione della base imponibile, non sembra, tuttavia, che la relazione tecnica consideri tale circostanza, dal momento che ipotizza che la quota di base imponibile emersa si stabilizzi al 35 per cento a decorrere dal 2013.
Va, infine, rilevato - si veda al riguardo il quadro 2 del documento che deposito - che nelle quantificazioni della relazione tecnica permangono alcuni elementi di


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incertezza sulla coerenza dei dati utilizzati e di quelli provenienti da altre fonti informative dell'Agenzia del territorio.
Da un primo esame dell'impianto previsto per la fase a regime sembrano emergere, altresì, alcuni interrogativi.
Non sembra ben chiaro se l'applicazione della cedolare secca continui a essere una scelta facoltativa del contribuente o un'opzione esercitabile discrezionalmente ogni anno.
Per quanto riguarda l'imposta municipale sul possesso sembrano permanere diverse tipologie di problemi. Sono da considerare i problemi di equità che si pongono con il nuovo sistema. Se, come sembra, l'aliquota IMU sarà stabilita su livelli più elevati della somma dell'aliquota implicita IRPEF e dell'ICI per i soggetti a basso reddito con immobili a disposizione o ceduti ad alcun titolo, vi potrà essere un aggravamento del carico fiscale.
Inoltre, per evitare problemi di applicazione sarà necessario pervenire a un'univoca definizione di abitazione principale ai fini IRPEF e ICI. Nell'attuale normativa la definizione prevista nel caso dell'ICI è più estensiva.
Il sistema di esenzione e di agevolazione dell'attuale configurazione delle norme delegate appare poco manovrabile e non attento alle caratteristiche dei diversi contesti economici e sociali. Vanno, in particolare, valutati gli effetti del superamento di alcune agevolazioni previste nell'attuale normativa, quali quelle relative a musei, biblioteche ed edifici favoriti dalla legge sull'handicap del 1992. Si tratta di un peggioramento del trattamento fiscale non sempre riconducibile alla necessità di eliminare benefici non giustificati, come nel caso di associazioni che si rivelano nascondere ristoranti o pub.
La nuova normativa (cedolare e IMU) potrebbe anche determinare la possibilità di comportamenti elusivi da parte di soggetti possessori di immobili ceduti ad altro titolo. Tali soggetti si trovano, infatti, a subire un aggravio di imposta, soprattutto se a basso reddito, e potrebbero trasformare la cessione in locazione con canone fittizio molto basso - non vi sono limiti per la definizione del canone rispetto alla rendita - con potenziali perdite di gettito di dimensioni rilevanti. Ciò avverrebbe fatto salvo quanto previsto dall'articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 in termini di fissazione dei canoni minimi ai fini dell'esercizio dell'attività di accertamento fiscale.
La conferma dell'esclusione dalla tassazione dell'abitazione principale comporta la sottrazione dalla platea contributiva di gran parte dei cittadini residenti. Va poi osservato che in termini di copertura gli effetti dell'introduzione dell'imposta municipale propria nell'ipotesi di possesso potranno essere apprezzati solo a seguito della fissazione della relativa aliquota, tenendo conto delle agevolazioni introdotte dai commi 7 e 8 dell'articolo 4.
Per valutare, inoltre, l'operare dell'imposta municipale relativa alle transazioni è necessario considerare l'attuale normativa che regola le imposte di registro, catastali e ipotecarie. La praticabilità del passaggio a un sistema semplificato come quello proposto dipende dall'effettiva applicabilità a una stessa base di regimi molto diversi e alla presenza di elementi in cifra fissa, necessari sia per valutare l'impatto sul gettito, sia per verificare la distribuzione della convenienza. Sul punto non si può non rinviare al documento.
Concludendo, vanno innanzitutto sottolineati i profili di positività del disegno proposto dallo schema del decreto legislativo, in particolare per quanto riguarda lo sforzo di riordino e di finalizzazione della fiscalità immobiliare e dei risultati che esso potrà produrre in termini di stimolo all'asfittico mercato delle locazioni.
Analogamente, non può non essere condiviso il pieno coinvolgimento dei comuni nella lotta all'evasione con la previsione dell'attribuzione a essi del gettito derivante dall'accatastamento degli immobili mai censiti.
Ritornando, invece, alle osservazioni, l'attenzione va centrata su come prevenire i principali rischi emersi dall'analisi, che attengono sostanzialmente alla coerenza con gli obiettivi e con i criteri della legge


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delega, alla reale fattibilità dei risultati attesi e alla sostenibilità delle soluzioni proposte.
A questo riguardo occorrerebbe comunque assicurare maggiore certezza per quanto riguarda le basi imponibili e l'autonomia impositiva. Nella prospettiva del medio-lungo periodo l'individuazione delle risorse per la copertura integrale dei fabbisogni standard dei servizi pubblici essenziali propone, infatti, possibili motivi di attenzione.
Dalla limitazione dell'ambito impositivo municipale, stante l'esclusione della tassazione sulla prima casa, risulteranno fortemente penalizzanti i comuni che non abbiano una decisa vocazione turistica e quelli con scarse attività industriali e commerciali, comuni che nella maggior parte dei casi sono già tra i più poveri d'Italia.
Inoltre, difficoltà si potrebbero porre anche riguardo alle esigenze dei comuni, soprattutto nell'hinterland delle grandi città in forte espansione demografica, che avranno necessità di erogare maggiori servizi a imposizione municipale pressoché invariata, dovendosi presumere che la nuova edilizia abitativa sia destinata a prima casa.
Si tratta di una prospettiva sicuramente delicata, che potrebbe essere fronteggiata solo ricorrendo a un fondo perequativo che fosse in grado di coprire una quota rilevante della spesa per servizi pubblici essenziali, dal momento che per un numero consistente di comuni potrebbe non essere sufficiente l'imposizione locale.
Sotto un profilo più generale, quindi, andrebbe verificata la concreta realizzabilità del modello proposto di fisco municipale, anche attraverso il recupero di ipotesi di tassazione quali, per esempio, la service tax, maggiormente in grado di far corrispondere l'onere della contribuzione agli effettivi beneficiari dei servizi locali. Non muoversi in tale direzione rischierebbe di ostacolare l'attuazione di un disegno di federalismo finalizzato a un processo di razionale ricostruzione di uno Stato moderno ed efficiente.

PRESIDENTE. Presidente Giampaolino, la ringrazio moltissimo. Il suo è un contributo per noi estremamente prezioso. Già da alcune settimane stiamo valutando in che modo sia possibile migliorare l'assetto del decreto e molti problemi da lei evidenziati sono già stati, come è ovvio, oggetto di esame da parte della Commissione, in particolare del collega senatore Barbolini e del sottoscritto, che siamo anche relatori di questo decreto.
Alcune possibili ipotesi di miglioramento sono già state verificate insieme con il Governo, che, peraltro, si è dichiarato estremamente disponibile ad accogliere le nostre indicazioni.
La ringraziamo davvero molto. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIULIANO BARBOLINI. Ringrazio il presidente per il documento. Quello più esteso con tutti i riferimenti anche tabellari ci consentirà di andare più in profondità rispetto alle osservazioni svolte. Molte questioni evidenziate sono del tutto condivisibili e già presenti nella nostra riflessione, almeno come lavoro dei due relatori.
Mi interessava, però, soffermarmi sulle sue conclusioni, che trovo molto interessanti, laddove è stata svolta una sintesi delle criticità che accompagnano l'applicazione del provvedimento, ossia il rispetto dell'esigenza di un'autonomia impositiva sufficientemente solida e il problema della distribuzione sperequata di determinati cespiti; soprattutto si è colto il punto di un elemento particolarmente problematico, cioè che il decreto legislativo, così come è costruito, di fatto toglie una grande platea di cittadini residenti dal rapporto di verifica e di controllo nei confronti degli amministratori di riferimento.
Richiamo anche il riferimento che avete fatto alla service tax o a un'idea del genere. Trattandosi di un punto su cui ci si sta interrogando anche all'interno della Commissione - avremo modo di andare meglio al fondo di questa questione quando ne discuteremo più in dettaglio -


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mi interessava sapere se avete svolto alcune riflessioni o elaborazioni più definite e compiute per raccogliere ulteriori indicazioni e suggerimenti.

LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Sollevo due questioni correlate. La prima non è una domanda secca, ma un ragionamento che a me servirebbe per vedere se la Corte ci può aiutare. Un po' ambiziosamente e sfrontatamente spero di trovare nella Corte un alleato.
Stiamo ragionando, come legislatori, su uno schema che ha una premessa, come tutte le grandi operazioni legislative e politiche, le quali hanno sempre un elemento scatenante. Giorni fa è venuto in audizione il sindaco di Verona, Tosi, il quale si lamentava del fatto che esiste una grande sproporzione nei trasferimenti. Incidentalmente ha compiuto il paragone tra la sua città, Verona, e la città di Napoli.
Noi siamo vittime - i legislatori per primi, ma la società italiana in generale e, quindi, credo, anche se spero di no, anche coloro i quali operano nelle istituzioni, come la Corte - di un'idea astratta secondo la quale la sproporzione nei trasferimenti che registriamo oggi è colpa dell'albero storto di cui ha parlato il Ministro Tremonti: lo Stato centralistico, cioè, avrebbe determinato questa distorsione, mentre invece è l'esatto contrario.
Si tratta di quella operazione straordinaria, l'unica vera operazione che ha creato le basi dell'autonomia impositiva - il resto è ancora da vedere - che nel 1992, introducendo l'ISI e poi l'ICI, ha provocato una riassestamento strutturale.
Il primo anno, il 1992-1993, essendo il versamento stato effettuato come cittadini a giugno del 1993, abbiamo pagato l'ISI, l'imposta straordinaria sugli immobili, con aliquota fissa al 4 per mille. Non esistevano margini. Il gettito di quell'imposta, che ha avuto ovviamente un esito diverso, dal momento che a Verona ha prodotto 100 e a Crotone 50, ha sostituito il trasferimento. Lo Stato ha verificato quanto un comune avesse ricavato con il 4 per mille obbligatorio e, se esso aveva incassato 100, lo Stato ne riduceva per un pari importo di trasferimenti.
Anche noi che siamo inesperti capiamo che, in quella circostanza, i trasferimenti in favore del comune di Verona sono crollati. Diversi studiosi hanno dimostrato che in alcuni casi i comuni, specialmente quelli piccoli, hanno avuto un saldo negativo: avrebbero dovuto avere trasferimenti che non hanno più avuto. Nel centro-sud, dove le basi imponibili sono molto diverse, per quanto si voglia pompare, ciò che si ottiene ora, non lo si ottiene mai più. Già nella prima fase di ristrutturazione il 100 di Verona era il 50 di Crotone. Lo Stato ha dato 50 a Crotone e si è ripreso 50 di trasferimenti. Questa differenziazione è rimasta.
Oggi stiamo lavorando nel tentativo di dare una risposta a questa disarticolazione: la maggioranza di Governo ci viene a riferire che il problema di un'impostazione finanziaria contro l'autonomia impositiva è dovuto all'accentramento. Non è così, ma è l'inverso: questa distorsione strutturale è dovuta al fatto che l'autonomia impositiva ha finalmente creato le basi per l'autonomia reale e per la responsabilizzazione e ha evidenziato visivamente tale distorsione.
Chiedo, se fosse possibile, che la Corte, qualora lo ritenesse opportuno, ci fornisse una ricostruzione, se quella che io ho effettuato è impropria.
La seconda questione è che ci sono stati quindici anni di imposizione immobiliare parziale, non completa, in mano ai comuni, ma non sappiamo quale effetto essa abbia prodotto. Fino al 2006 esistevano i dati, ma poi il Parlamento e il Governo hanno varato la riforma della riscossione dei tributi ed è venuta meno l'unicità del soggetto, per cui, non esistendo più la riscossione obbligatoria tramite il concessionario ex banca, noi non disponiamo più dei dati.
Se chiediamo, come ho fatto, al Ministero dell'economia e delle finanze di avere i dati di questi quindici anni per


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capire che cosa ha avuto questo Paese e come ha funzionato l'autonomia impositiva, non lo possiamo sapere.
Io sono un semplice parlamentare e non ho grandi responsabilità, essendo all'opposizione, ma credo che la Corte dei conti, che ha una responsabilità diversa, cioè quella di gettare l'allarme su ciò che non va nel Paese e su ciò che non si conosce, dovrebbe aiutarci a capire se sia giusto che deliberiamo senza conoscere. Noi deliberiamo, infatti, senza sapere che cosa abbia prodotto in questi quindici anni l'autonomia impositiva.
Passo alla conclusione vera e propria. La Corte ci riferisce, in questa memoria stilata, come sempre, con grande cura e per la quale rivolgo un grazie sincero, che l'imposta, così come viene congegnata, fra i diversi problemi lumeggiati rivela fin da subito una scarsa manovrabilità. A oggi non sappiamo che manovrabilità essa possa avere.
Talvolta, a fronte di qualche domanda su questa materia, mi trovo a rispondere che stiamo creando le condizioni per l'autonomia impositiva e per la responsabilizzazione degli amministratori. Ma se essi non hanno, almeno a oggi, alcuna prefigurazione di un ambito di manovrabilità dell'imposta, che responsabilità avranno mai? E io come legislatore che contributo do affinché questo ipotetico amministratore abbia una sua responsabilizzazione?

ANTONIO BORGHESI. La mia è solo un'osservazione riferita al punto in cui si faceva rilevare che i comuni che non abbiano una vocazione turistica e con scarse attività industriali e commerciali risulterebbero fortemente penalizzati. Ciò è vero e lo era anche con l'ICI, perché già con l'ICI, essendo le seconde case molto più presenti nei comuni turistici, tali comuni si trovavano avvantaggiati, potendo ricavare da queste seconde case ben più degli altri.
È anche evidente che, se guardiamo a dove il turismo è industrializzato e a dove pesa molto, solo alcune regioni - quali il Veneto, l'Emilia-Romagna, la Liguria, la Toscana, la Sardegna probabilmente - risulteranno avvantaggiate. Le altre, oltre ad alcune a vocazione turistica nel Sud, risulteranno comunque penalizzate, perché il loro non è un turismo industrializzato.
La mia domanda è se, dal suo punto di vista, non si dovrebbe trovare prima un meccanismo non di riequilibrio, ma comunque di normalizzazione della situazione. Non si dovrebbero togliere di mezzo gli elementi di vantaggio che esistono per alcuni prima di passare alla definizione delle modalità con le quali dar luogo alla capacità dei comuni di intervenire attraverso l'IMU?

MARCO CAUSI. Nell'associarmi ai ringraziamenti, pongo due domande.
La prima è se potete chiarirci meglio ciò che è scritto a pagina 7 della relazione del presidente. Voi rilevate che nelle quantificazioni della relazione tecnica permangono alcuni elementi di incertezza sulla coerenza fra i dati utilizzati e quelli di altre fonti informative dell'Agenzia del territorio. Visto che nelle audizioni precedenti ci siamo posti questo tema - un tema su cui stavamo cercando anche di avere lumi dalle tecnostrutture del Governo - ci interesserebbe approfondirlo.
La seconda domanda riguarda, invece, il disegno fiscale complessivo di questo decreto. Si propone di conferire ai comuni il gettito di numerosi tributi, addirittura un gettito più che sufficiente a fiscalizzare gli attuali trasferimenti e che renderebbe inutile - così almeno pensa il legislatore delegato che ha proposto questo testo - attivare una compartecipazione al gettito di un grande tributo erariale.
Dato che, invece, in legge delega è prevista la compartecipazione al gettito di un grande tributo erariale, vorrei capire il vostro pensiero dal punto di vista sia del disegno fiscale complessivo, sia dell'attinenza della legislazione delegata rispetto alla legge delega originaria. Grazie.

RENATO CAMBURSANO. Ringrazio anch'io dell'ottima relazione il presidente della Corte. Nel primo intervento svolto il relatore richiamava le conclusioni della


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relazione medesima. Io, invece, mi rifaccio alle premesse, laddove, da una parte, vengono ricordati i princìpi ispiratori scritti e contenuti nella legge delega n. 42 (da cui dovrebbe discendere il testo che rispetti tali principi), dall'altra, immediatamente dopo, vengono elencate quattro necessità principali, che non sto a ripetere, ma dalla cui analisi nelle pagine successive si evincerebbe - ed è questa la domanda - che, al di là delle buone intenzioni del Governo nell'attuare la delega, di fatto nel decreto, che si rifà a quei principi, essi non sono rispettati. Mi sbaglio?

ROLANDO NANNICINI. Ringrazio per la relazione e credo di non dovermi accodare a un ringraziamento, e poi assumere un atteggiamento ipocrita che non porta a cambiare il decreto.
Abbiamo a livello nazionale un'aliquota marginale media IRPEF sui fabbricati e sul reddito dominicale sugli edifici sottoposti alla nostra attenzione del 29,97 per cento. Dando la facoltà di scegliere, i contribuenti proprietari di immobili che hanno le aliquote medie sotto il 23-24 per cento, preferiranno continuare a utilizzare l'ordinario regime di tassazione IRPEF. Non compiranno, quindi, la scelta della cedolare.
La scelta della cedolare sarà, pertanto, destinata a una platea non del 29,97 per cento, ma superiore. Se per comodità arrotondiamo al 30 per cento, nel primo anno, con una aliquota del 20 per cento non si recupera il gettito fiscale. In merito all'invarianza, anche se si svolge il ragionamento di cassa, essendo il nostro bilancio per cassa e considerando che gli effetti si hanno sull'anno successivo in base alle denunce dell'anno precedente, sul saldo netto da finanziare ci saranno conseguenze in termini di cassa del bilancio dello Stato.
Su questo punto vorrei non una critica, ma un approfondimento maggiore. Non sono contrario al tema della cedolare, anche se si dà un aiuto a chi ha un alto reddito e inoltre viene meno il principio della progressività della tassazione. Chiedo un approfondimento maggiore su questa invarianza indicata sia nella relazione tecnica originaria, sia nelle relazioni tecniche successive.
Passo a un altro aspetto. Sappiamo quali sono i tributi e le tasse che danno un gettito maggiore agli enti locali. Di questi è rimasta la TARSU-TIA, un'imposta non solo sullo smaltimento e sulla raccolta, ma anche sulla pulizia e sul degrado, in sostanza sulle condizioni della città. Non sono convinto della proposta del decreto del Governo di non considerarla.
Non ho paura a ritornare sulla questione della tassazione della prima abitazione, perché si tratta di un tema tutto televisivo e che riguarda l'immediato. Davanti agli italiani è stata fatta la promessa di toglierla e questa promessa è stata mantenuta. Non attacco nessuno, ma scatto una semplice fotografia alla Benigni: lo si è promesso e lo si è fatto. Il tema reale è di non limitarci a considerare soltanto l'immediato, ma di pensare un po' al nostro futuro, al futuro di chi amministrerà. Su un'imposta che tenga conto dei servizi e sia flessibile in capo all'amministrazione comunale siamo tutti d'accordo. Non scegliamo aree forti o deboli, perché si pone un tema di flessibilità da tenere in conto.
Pongo un'altra domanda secca. Se si lavorasse sull'invarianza nei confronti del cittadino, che con quella promessa televisiva si è trovato a risparmiare per l'ICI sulla prima casa 300-400 euro, come Stato continueremmo nell'immediato a farlo risparmiare, però dovremmo considerare nella dimensione del servizio reso il possesso della casa, piccola, grossa o intermedia che sia, in cui c'è pulizia delle strade, in cui ci deve essere un ambiente e un quartiere ben curato.
Dovremmo ricomprendere la TARSU-TIA e riunificare l'ICI. Peraltro l'ICI sulla seconda casa finirà per essere pagata solo dagli artigiani e dai commercianti; apriremo uno scontro tra i contribuenti, un contenzioso di cui non vedremo mai la fine. Dovremmo reintrodurre un'imposta unica in cui, considerando sia la residenza che il patrimonio, si rende più facile anche


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l'unificazione della giusta intuizione del decreto di unificare la tassazione della casa e degli immobili.
Se, però, procediamo facendo riferimento all'articolo 47 della Costituzione sulla tutela del risparmio, non concludiamo bene questa vicenda. Essa deve essere analizzata con la storia di ognuno di noi, ma considerando anche il futuro, quindi con un'imposizione che tenga conto di alcune flessibilità e che unifichi la tassazione sugli immobili, ridando anche all'imposta municipale una certa flessibilità sulla proprietà immobiliare. In tal modo, senza far pagare di più o di meno a nessuno, si potrà compiere finalmente un'operazione che guardi al futuro, alla possibilità di detenere immobili mantenendo un legame tra contribuenti e amministrazione, che potrà essere valutata per ciò che sa fare o non sa fare. In questa maniera, invece, trovo molta casualità, molta rissa e molta televisione nella proposta del decreto.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri auditi per la replica.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Cercherò insieme ai colleghi di darvi alcuni elementi tecnici di valutazione e risponderò ad alcune domande per gli aspetti che attengono alla possibilità di fornire alcuni dati tecnici per le vostre considerazioni e valutazioni.
Pregherei il collega Flaccadoro di intervenire per quanto riguarda sia la service tax, sia il problema dell'imposizione dell'imposta straordinaria sugli immobili, sia sulle ultime questioni.

ENRICO FLACCADORO, Consigliere della Corte dei conti. Cercherò di seguire in ordine le tante domande che sono state poste, a cominciare dalla prima del senatore Barbolini.
Non abbiamo elaborato ipotesi relative alla service tax. Le analisi che abbiamo svolto per arrivare all'elaborazione del contributo che vi è stato fornito ci hanno portato a porci il problema della forte distorsione che i tributi proposti nel decreto accusano nella distribuzione territoriale. Questo è stato uno dei punti alla nostra attenzione. Esistono anche alcune elaborazioni che non abbiamo inserito, ma che, se la Commissione ha interesse ad averle, possiamo fornire.
Siamo partiti proprio dai dati della COPAFF per cercare di capire quanto effettivamente sia distorta la nuova struttura che si viene delineando. Per questo motivo nella parte finale del documento ci siamo permessi di riportare l'attenzione sul dibattito che avevamo seguito prima dell'estate e che riguardava la determinazione di una service tax, proprio per sottolineare come la riconversione degli attuali trasferimenti in tributi come l'IMU rischi di generare un peggioramento degli squilibri che il senatore D'Ubaldo sottolineava essere ormai cronicamente caratteristici del sistema di finanziamento degli enti territoriali.
Per rispondere al senatore D'Ubaldo, credo che la sua riflessione sia sicuramente corretta, ma che non completi l'intero quadro delle distorsioni che hanno portato all'attuale finanziamento degli enti territoriali. Certamente la svolta del 1992 ha creato un'ulteriore distorsione in termini di trasferimenti, però credo che ci sia anche un elemento precedente a tale anno nell'aver coperto la spesa storica. Le precedenti riforme del finanziamento delle amministrazioni locali sono tutte bloccate proprio sulla necessità di riequilibrare i trasferimenti.
Da qui la difficoltà che il decreto, secondo me, inevitabilmente affronta di dover individuare un meccanismo di passaggio dal sistema dei trasferimenti a un sistema di finanziamento tributario con troppi vincoli. Essi sono, da una parte, la distorsione, l'albero storto del passato, ma, dall'altra, anche l'impossibilità di rivedere in una chiave diversa - per questo motivo abbiamo parlato di service tax - le scelte assunte nel recente passato.
In merito alla ricostruzione, se interessa, sarà utile poter scambiare elementi. Naturalmente non li abbiamo con noi e


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non li abbiamo inseriti nella ricostruzione di questo percorso di distorsione dei trasferimenti.
L'onorevole Causi pone due domande specifiche, cui è più facile rispondere. In un riquadro nella relazione più ampia, il riquadro 2, abbiamo ricostruito esattamente quelli che, secondo noi, sono gli elementi discordanti tra la relazione tecnica e le fonti dell'Agenzia del territorio.
In sintesi, ricostruendo induttivamente e cercando di trovare le coerenze fra i due documenti, si nota che esiste una quantificazione implicita nella relazione tecnica di rendite e di beni locati molto superiore, a nostro avviso, a quella indicata nella pubblicazione dell'agosto scorso, dedicata proprio agli immobili in Italia. Vi si indica un monte rendite da beni locati sensibilmente inferiore, di circa il 30 per cento, a quello che effettivamente viene inserito nella relazione tecnica.
Si tratta di una discordanza che può avere diverse ragioni. Bisogna sempre considerare che dobbiamo muoverci anche noi nell'ambito delle informazioni disponibili, però i due elementi, come si vede nell'ultima riga, sono discordanti in merito sia alle rendite da immobili locati, sia alle rendite degli immobili a disposizione.
Per quanto riguarda la seconda domanda dell'onorevole Causi, in effetti proprio l'osservazione di come verrebbe a mutare la composizione del finanziamento delle amministrazioni locali pone indubbiamente un interrogativo, nel senso che una trasformazione nella direzione del decreto limita notevolmente gli spazi per una perequazione verticale.
È inutile negarlo. L'attribuzione di un set di tributi come quello delineato, insieme a una ripartizione territoriale molto particolare, determinano alcuni problemi. Nell'elaborazione cui mi riferivo, andando a vedere a livello di regioni, si osserva proprio come esistano differenze molto forti anche all'interno delle regioni. In merito ai gettiti, se si va a sommare l'intero quadro e si prova a effettuare una stima sul possibile quadro del gettito a regime, si vede come in alcune realtà territoriali si andrà ben oltre l'attuale livello che si va a sostituire, ossia ICI e trasferimenti.
Naturalmente, tutto ciò avviene al netto di una revisione dei fabbisogni standard. Non conoscendo ancora, al momento, l'entità del fabbisogno standard, se rimanesse questa configurazione, che prevede anche dopo la fase dei primi tre anni che gli enti sviluppino il riequilibrio solo sull'IMU quota-trasferimenti e non sugli altri elementi, si porrebbe la necessità di immaginare un meccanismo di travaso tra enti, non potendo più forse, se ciò verrà confermato nella realtà, essere sufficiente il fondo di riequilibrio nella sola componente trasferimenti, proprio perché un significativo insieme di enti territoriali finirebbe per avere un fabbisogno giustamente attribuito, ma superiore a quello necessario.
Per questa ragione probabilmente ripensando o rivedendo - ovviamente, non spetta a noi stabilirlo - scelte verso la service tax o immaginando un ruolo della compartecipazione IRPEF come previsto nella legge delega, si potrebbe agevolare una conformazione che consenta di evitare pericolosi meccanismi di travaso orizzontale. Essi non sono limitati, anche in base alle nostre analisi, solo alle tradizionali direttrici Nord-Sud, ma sono molto consistenti anche all'interno della stessa realtà regionale.
Sui princìpi si parlava della prima parte della nostra relazione. Abbiamo messo in rilievo, credo piuttosto nettamente, come, oltre a elementi coerenti con i princìpi delle deleghe, ne esistano anche alcuni di cui ci siamo permessi di sottolineare non l'incoerenza, ma la difficoltà a trovare una corrispondenza fra quanto previsto dalla normativa della legge n. 42 e l'attuale testo.
Per quanto riguarda l'ultima domanda, relativa alle aliquote, mi permetterei di correggere: l'aliquota implicita della cedolare secca è del 23,5 per cento, perché non esiste più la deduzione del 15 per cento.

GIULIANO BARBOLINI. La deducibilità del 15 per cento ritorna nel 2012.


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ENRICO FLACCADORO, Consigliere della Corte dei conti. Questo tipo di invarianza - tale dato è collegato anche alla domanda dell'onorevole Causi - è strettamente connesso a ipotesi di emersione che noi ci siamo permessi di definire ottimistiche, essendo particolarmente rilevanti. Nell'ipotesi, si parla di un terzo in più del gettito dopo tre anni da tassazione di canoni immobiliari. È molto ed è tutto affidato a questo punto.
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, ossia se siamo favorevoli a un ritorno all'ICI, non esprimiamo giudizi di alcun genere su questo tema. Non ho una risposta da darle, perché ci siamo limitati a osservare che l'attuale sistema previsto presenta più di un aspetto problematico.

GIULIANO BARBOLINI. Se fosse possibile acquisire i dati a cui di faceva riferimento e che integrano anche quelli presenti nel report più completo, sarebbe per noi un contributo importante.

ENRICO FLACCADORO, Consigliere della Corte dei conti. Queste tabelle, di cui sarà mia cura mandarvi una nota illustrativa, sono state elaborate partendo dai dati COPAFF. Come sapete, essi forniscono dati a livello di singolo comune sul gettito delle imposte di bollo e di registro e un set di altre informazioni molto interessanti. Forniscono anche il gettito IRPEF a livello locale e le due basi imponibili dell'IMU possesso, sia quella agevolata, sia quella non agevolata.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Vi faremo pervenire una nota illustrativa, anche perché tutti i documenti sono oggetto, come ho precisato nella premessa, di una riflessione collegiale negli opportuni organi della Corte.

PRESIDENTE. Vi ringrazio molto anche a nome di tutti i componenti della Commissione. Questo incontro è stato realmente molto prezioso. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti della Corte dei conti (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 18,10.

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