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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
6.
Mercoledì 6 aprile 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RISORSE AGGIUNTIVE E INTERVENTI SPECIALI PER LA RIMOZIONE DEGLI SQUILIBRI ECONOMICI E SOCIALI (ATTO N. 328)

Audizione del presidente e dell'amministratore delegato di Invitalia Spa:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 7 11 16
Arcuri Domenico, Amministratore delegato di Invitalia Spa ... 3 11 14
Cambursano Renato (IdV) ... 11
Franzoso Pietro (PdL) ... 10
Marini Cesare (PD) ... 8 14
Occhiuto Roberto (UdC) ... 7
Vannucci Massimo (PD) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 6 aprile 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 14,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del presidente e dell'amministratore delegato di Invitalia Spa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive e interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (Atto n. 328), l'audizione del presidente e dell'amministratore delegato di Invitalia Spa.
Sono presenti il dottor Giancarlo Innocenzi Botti, presidente di Invitalia Spa, il dottor Domenico Arcuri, amministratore delegato della stessa società e il dottor Stefano Andreani, direttore delle relazioni esterne.
Do la parola al dottor Domenico Arcuri.

DOMENICO ARCURI, Amministratore delegato di Invitalia Spa. Grazie, presidente. Cercheremo di fornire alcune informazioni e, se possibile, svolgere alcune considerazioni sullo schema di decreto legislativo in esame su cui avete ritenuto, e perciò vi ringraziamo, di audirci, il quale riguarda molto da vicino la principale attività che Invitalia Spa svolge.
Come sapete, Invitalia Spa è un'agenzia che agisce su mandato del Governo e ha l'obiettivo di provare a recuperare competitività nelle aree più deboli del Paese, di sostenere i settori industriali più strategici e di attrarre investimenti diretti dall'estero. Essa rappresenta ciò che è rimasto, dopo tre anni di ridimensionamento, per non dire di disboscamento o civilizzazione - come la definisco - di quella che fu a suo tempo Sviluppo Italia, un'esperienza della quale oggi siamo fortunati di non dover parlare.
Vorrei iniziare le mie brevi considerazioni col porre a tutti noi una domanda: è certo che sia utile un fondo con risorse finanziarie rilevanti destinato dal Governo a concorrere al superamento di un divario endogeno all'interno del nostro Paese e che questo fondo debba avere in dotazione risorse finanziarie pubbliche aggiuntive?
Io credo che bisogni partire onestamente dal porsi questa domanda. Sulla base della mia esperienza ritengo che la risposta sia positiva e osservo anche che in Italia esiste il divario di sviluppo più vecchio e più ampio d'Europa. Tale divario, qualora lo si analizzi con tutta onestà, è lo stesso che esiste da sessant'anni a questa parte.
Nel 1951, fatidica data di nascita della Cassa per il Mezzogiorno, il reddito prodotto nelle regioni meridionali rappresentava il 26,9 per cento di quello prodotto nel resto del Paese. Nel 2010, cioè sessant'anni dopo, il reddito prodotto nelle regioni meridionali rappresentava il 26,8


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per cento di quello prodotto nel resto del Paese. Ciò significa che il divario tra le regioni meridionali e le altre aree del Paese in questi sessant'anni è rimasto assolutamente lo stesso.
Se si osserva con ottimismo questo dato, si potrebbe affermare che l'intervento straordinario e aggiuntivo, ove sia mai stato straordinario e aggiuntivo, abbia prodotto almeno il mancato incremento di questo divario. Se lo si osserva da un'altra prospettiva, si deve affermare che l'intervento straordinario e aggiuntivo non è servito a colmarlo.
Nel frattempo, il mondo è diventato più complicato e l'Unione europea si è allargata. Nel 2009, considerato pari a 100 il PIL pro capite dell'Europa a 27, il PIL pro capite dell'Italia, come voi certamente sapete e come risulta dai dati di consuntivo, è 104, il che significa che nell'Europa allargata l'Italia è un po' più capace di produrre reddito per cittadino rispetto alla media dei Paesi a noi simili o meno.
Se si disaggrega il dato, si scopre che il PIL pro capite prodotto nelle regioni del nord est e del nord ovest è circa 126. Ciò significa che il nord est e il nord ovest ormai in ugual misura sono tra le cinque macroaree più ricche dell'Europa a 27.
È interessante rilevare che il PIL pro capite prodotto nel Mezzogiorno è pari a 69, ormai la metà di quello prodotto nel nord est e nel nord ovest del Paese, ed è inferiore a quello della Slovenia, dell'Estonia, della Slovacchia, di Cipro e di Malta.
Questo aspetto pone un problema significativo. Non c'è né il tempo, né la voglia da parte vostra di ascoltarmi, se mi metto a raccontare che uno dei punti fondamentali dell'intervento straordinario era quello di mettere in condizione i cittadini del sud di consumare prodotti che spesso erano altrove realizzati. È una discussione molto lunga e svolta talmente tante volte che è inutile riprenderla.
Il dato che, però, va segnalato è che a sud di Roma vivono 20 milioni di persone. Il divario con le altre aree del Paese è lo stesso, come abbiamo ricordato, da sessanta anni a questa parte. Secondo me, è lo stesso da 150 anni, però non abbiamo elementi statistici che supportino tale tesi. Non c'è alcuna area dell'Europa con cui noi oggi ci misuriamo che sia così vasta e abbia un ritardo di sviluppo tanto importante.
L'impressione che se ne trae è che non solo sia necessario avere un fondo per superare il divario tra le aree del Paese, ma oserei dire che è innanzitutto necessario usarlo, nonostante evidentemente le modalità e le policy che sono state adottate nei sessant'anni precedenti non abbiano colmato tale divario.
Non è più tempo di interrogarci sulle ragioni. Io affermo sempre, quando mi capita di parlarne, che l'intervento straordinario nel Mezzogiorno ha soprattutto concorso a creare una categoria di professionisti. Sui problemi del Mezzogiorno tutti sanno tutto. Ci sono alcune decine di migliaia di italiani molto più preparati di me, che me ne occupo tutti i giorni solo da quattro anni, che vivono e in alcuni casi proliferano proprio perché esiste il divario.
Occuparci di analizzare perché ciò è avvenuto, discutere sulle dinamiche di tale intervento straordinario non è interessante per questa Commissione e, se posso esprimermi con una dose di sbagliata presunzione, neanche per chi vi parla. Il problema è che tale divario esiste.
Io credo che la progressiva introduzione di regole, di procedure e di politiche in senso federalista sia un'occasione interessante. Risolverla semplicemente con i luoghi comuni per cui essa induce un ulteriore arretramento nello sviluppo possibile del sud significa pronunciare una fandonia tecnica, prima che svolgere una considerazione politico-sociale. È l'ultima occasione interessante, anche perché si associa all'ultimo ciclo di programmazione dei fondi strutturali comunitari.
Io vado molto in giro nel sud Italia e molti di voi lo fanno almeno quanto me. Sono certo che concorderete con me se sostengo che nel sud tutti strepitano perché mancano le risorse, molti ne invocano l'utilizzo, pochi si occupano di finalizzarle e di garantire l'efficacia dei relativi interventi


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e nessuno si mette a misurare i risultati dell'utilizzo delle risorse che vengono stanziate.
Si potrebbe affermare, ma è assolutamente noto a tutti, che noi non siamo proprio campioni nell'utilizzo dei fondi strutturali comunitari, anzi, siamo piuttosto scarsi. Abbiamo, come si usa dire fuori dall'Italia, un track record alquanto modesto nella capacità di utilizzarli e soprattutto nell'efficacia del loro utilizzo.
Rispetto a questo tema, a me sembra che nei contenuti attuali dello schema di decreto legislativo in esame alcune soluzioni vengano trovate. Proverò poi a precisare quali.
Svolgo un'ultima considerazione generale. Mi sono convinto che il divario strutturale in un'area così vasta non si colmi semplicemente perché le si destinano risorse finanziarie. Forse il fatto che aprioristicamente le si destinino risorse finanziarie è più un potenziale male che non un potenziale bene rispetto alla riduzione del divario.
Mi sono, invece, convinto che la riduzione del divario possa essere resa inesorabile nel tempo, ossia in un tempo piuttosto lungo, se si definisce e si stabilizza un concetto coerente di policy il più possibile stabile nel tempo.
Questo negli ultimi vent'anni, forse anche negli ultimi trenta, in ogni caso dalla metà degli anni Ottanta, non è avvenuto. Negli anni immediatamente successivi al 1950 la Cassa per il Mezzogiorno ha attuato tante iniziative negative, ma anche alcune straordinariamente positive. Ne cito alcune: ha insegnato l'italiano a una molteplicità di cittadini, soprattutto giovani, e ha costruito le strade rurali, ha bonificato aree del Paese che non erano in condizioni di avere standard accettabili per la sopravvivenza, ha costruito acquedotti, ha lasciato opere a chi è succeduto.
Finita quella stagione, che aveva, per converso, anche alcune negatività, la sostenibilità e la stabilità delle politiche sono venute meno. I risultati sono nei numeri che ho dato all'inizio.
Quali, secondo me, devono essere le caratteristiche che devono avere le suddette policy in questa materia? Innanzitutto esse devono essere davvero aggiuntive, secondo il principale contenuto dello schema di decreto in esame. È troppo semplice affermare che, se le risorse destinate a recuperare un divario di un'area rispetto a un'altra sono sostitutive e non aggiuntive, per definizione il divario non si recupera.
Devono essere tempestive, cioè garantire l'efficienza degli interventi nel tempo. Il tempo medio per progettare un'opera nel centro sud dell'Italia è il doppio, il triplo e a volte il quadruplo di quello necessario negli altri Paesi con i quali noi ci misuriamo.
Noi viviamo in un mondo in cui ormai la vera variabile competitiva ha smesso di essere il danaro ed è diventata il tempo. I Paesi, i sistemi economici e i blocchi di Paesi si confrontano e competono ormai innanzitutto rispetto alla loro capacità di usare il tempo per far sì che le azioni siano possibili e non rimangano solo mere dichiarazioni. Si confrontano sempre meno in funzione della quantità di danaro che i Governi riescono a stanziare per garantire lo sviluppo dei propri sistemi economici.
Le policy devono poi essere misurabili. Tale aspetto è presente nello schema di decreto legislativo, nel quale si comincia a sostenere la necessità di immaginare un insieme di indicatori di risultato. Devono essere concentrate. Io penso che, se si realizza in dieci anni la linea ad alta velocità da Napoli a Bari, per la quale ci vogliono dieci anni, come tutti sappiamo, anche se noi sosteniamo che ce ne vogliono di meno, invece di costruire 500 fontane nelle 500 piazze principali dei 500 comuni a più alta popolazione della Campania e della Puglia, si può fare la differenza. Domandarsi che differenza ci sia è che cosa sia meglio è davvero sciocco.
Noi abbiamo costruito un sacco di fontane con i fondi strutturali e non abbiamo realizzato l'alta velocità. Riesco a stento a occuparmi di quello che più o meno conosco e non sono neanche sicuro che in molte di queste 500 fontane oggi ci sia l'acqua.


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Le policy devono essere premiali e, quindi, anche sanzionatorie. Fino a quando non si premia la parte marginale della pubblica amministrazione virtuosa e non si sanziona la parte sostanziale della pubblica amministrazione del sud che non è virtuosa, chi non è virtuoso se la cava sempre, per esprimersi come in un telefilm.
Soprattutto le policy devono essere produttive di una modifica vera nei comportamenti delle istituzioni locali, che rappresenta una questione suscettibile di aprire nuovamente una discussione troppo complicata e a voi troppo nota perché io mi limiti soltanto ad accennarla.
Io sono coprotagonista di un esempio evidente di una buona idea politico-economica, che però è stata maldestramente messa in pratica. Quando nel 1999 e poi nel 2001 si raggrupparono tutte le aziende residue della Cassa per il Mezzogiorno e fu creata Sviluppo Italia, l'idea politica ed economica era sacrosanta. Purtroppo, però, ci siamo dimenticati di misurarla e, quindi, nella pratica essa è stata tutt'altro che efficace ed efficiente. Oserei dire oggi, con la consapevolezza e il peso della fatica compiuta per ricondurla a normalità, che sarebbe stato meglio che quell'idea politica non fosse diventata realtà. È stata messa in pratica male, spesso nel silenzio generale.
Parlo due minuti dello schema di decreto legislativo e poi mi fermo. I suoi punti di forza secondo me, sono i seguenti: è prevista l'introduzione della programmazione davvero pluriennale delle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione; si sancisce - non sarei onesto se non sottolineassi che non è la prima volta che lo si fa - il principio dell'aggiuntività delle risorse; si introducono gli indicatori di risultato quale elemento fondante per la sua applicabilità; si insinua per ora la possibilità di prevedere misure di accelerazione della spesa; si sancisce che il fondo per lo sviluppo e la coesione debba essere usato per interventi speciali e per grandi progetti strategici, ragion per cui l'idea della ristrutturazione della fontana si allontana, e si introduce lo strumento di concertazione aprioristica tra il Governo, le istituzioni locali e tutte le pubbliche amministrazioni interessate rappresentato dal contratto istituzionale di sviluppo, uno strumento necessario per cominciare a rendere possibili le iniziative.
Quali sono, invece, secondo me - immagino che la mia opinione non conti nulla, però l'esprimo ugualmente - i punti di possibile miglioramento? Intanto si capisce che all'applicazione di questo strumento deve sottostare una cornice normativa molto stabile.
Uno dei problemi principali che si riscontrano nel tentativo di indurre politiche reali di sviluppo nel centro sud non è l'impostazione, né l'intuizione, e a volte neanche la pianificazione, ma l'effettiva implementazione. Il punto saliente sul quale spesso l'implementazione si ferma è quello che io chiamo il «wafer» della pubblica amministrazione. Noi abbiamo nel sud soprattutto una pubblica amministrazione composta per così dire a strati, in cui tutti discutono, nessuno collabora e molti spendono le energie che hanno per evitare che altri strati attuino le iniziative e non per far sì che le iniziative si attuino insieme.
Questo aspetto si insinua in presenza di una cornice normativa debole. Se si afferma che noi dobbiamo programmare le risorse in un ambito temporale pluriennale, stipulare il contratto istituzionale di sviluppo e poi per attuare le iniziative impattiamo con questa dialettica fine a se stessa, che da troppi decenni occupa le menti dei nostri concittadini, temo che come minimo gli interventi si fermino e poi riprendano, riprendano e poi si fermino e non possano serenamente andare in porto, come pure succede in molte altre parti del mondo, nei tempi definiti.
La seconda riflessione riguarda il coordinamento tra il fondo per lo sviluppo e la coesione che lo schema di decreto prevede e i fondi strutturali che l'Unione europea per l'ultima volta mette in campo. In questa stagione voi sapete che il Ministro Fitto, delegato alla programmazione dell'utilizzo dei fondi strutturali, sta compiendo uno sforzo meritevole, teso prima


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alla conoscenza, poi alla razionalizzazione e - speriamo presto - all'utilizzo di questi fondi, che giacciono spesso in stanze di cui neanche il proprietario pro tempore conosce il contenuto.
Voi sapete anche che Invitalia Spa è il soggetto delegato a supportare il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale in questa attività di utilizzo dei fondi, riguardo la quale stiamo maturando una copiosa esperienza, a volte sorprendendoci sia per il livello di consapevolezza delle pubbliche amministrazioni locali sull'entità delle risorse che esse avrebbero a disposizione sia per come le utilizzano.
Passo all'ultima considerazione. Pur comprendendo e avendo vissuto tale situazione - noi abbiamo avuto molte misure agevolative finanziate in misura modesta negli ultimi anni e, in alcuni casi, non finanziate proprio, per via dei vincoli di bilancio, della situazione della finanza pubblica e della prevalente destinazione delle risorse pubbliche in chiave anticrisi - lo schema di decreto legislativo in esame introduce la possibilità che gli stanziamenti del Fondo per lo sviluppo e la coesione vengano determinati, annualmente, nei limiti dei vincoli di bilancio, il che induce ad alcune necessarie incertezze intorno alle risorse che effettivamente, di anno in anno, possono essere destinate.
Invitalia Spa si occupa tutti i giorni di tale vicenda, nelle diverse forme in cui oggi è declinabile. In questa stagione supporta il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale nella sua attività che tenta di ricentralizzare e rendere efficace la spesa, altrimenti decentrata e inefficace, potendo dare qualsiasi ulteriore contributo le venga richiesto su tale materia. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie, dottor Arcuri, per il suo contributo.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ROBERTO OCCHIUTO. Ringrazio l'amministratore delegato e il presidente di Invitalia Spa. In particolare, apprezzo la franchezza dell'audizione, che rende giustizia anche di molti luoghi comuni e, per la verità, riprende temi tipici della discussione attuale sul Mezzogiorno e sull'impiego produttivo delle risorse per tali aree del Paese.
Il dottor Arcuri svolge, peraltro, considerazioni condivise, per esempio, dalla Svimez. Il pregio di questa audizione, secondo me, sta nella circostanza che, a differenza di un istituto di ricerca, Invitalia Spa ha come missione quella di essere un soggetto protagonista nell'impiego produttivo delle risorse per la convergenza.
Ciò premesso e andando, invece, al merito dello schema di decreto legislativo per formulare una domanda, innanzitutto rilevo che sono assolutamente persuaso della bontà dell'argomentazione del dottor Arcuri, quando sostiene che il problema delle strategie di impiego delle risorse per lo sviluppo del Mezzogiorno non sta tanto nella quantità delle risorse o nella programmazione delle risorse. In questo schema di decreto legislativo, per esempio, si assumono come princìpi alcuni valori assolutamente condivisibili - e che tutti condividiamo - come la necessità di impiegare le risorse in progetti strategici al fine di evitare la parcellizzazione, peraltro secondo criteri che anche nel Quadro di sostegno nazionale erano assolutamente evidenziati.
Il problema sta nell'implementazione. È utilissimo, in linea di principio, il contratto istituzionale di sviluppo, nella misura in cui esso favorisce l'utilizzo, attraverso una migliore programmazione, delle risorse verso iniziative strategiche, ma il problema vero, secondo me, che lo schema di decreto legislativo non risolve, è quello della governance nelle politiche di sviluppo e di coesione. Lo schema di decreto, da un lato, dispone giustamente che queste risorse debbano essere accentrate e riprogrammate in maniera strategica, ma, dall'altro, non individua come il percorso della governance debba essere implementato.


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Mi spiego meglio. Molte di queste risorse sono rivenienti dalla programmazione comunitaria, che vede le regioni assolutamente protagoniste. Il Governo, secondo lo schema di decreto, si occupa di stabilire le priorità e di riprogrammare in maniera strategica le risorse. Benissimo, ma ciò va effettuato di concerto con le regioni, che peraltro proprio su questo punto hanno evidenziato una criticità nello schema di decreto.
Noi chiediamo a Invitalia Spa, che svolge questo lavoro quotidianamente, se ha un'idea di come costruire un modello per la governance di questo sistema. Per esempio, mi interesserebbe sapere se esiste la possibilità di far tesoro degli errori del passato e di pensare anche a una struttura tecnica che non ripeta le sciagurate esperienze del passato e che non si limiti soltanto ad affiancare il ministro competente, ma si occupi di recuperare il ritardo che finora c'è stato sulla qualità e sulla programmazione delle risorse, sul monitoraggio nell'utilizzo delle stesse e sulla misurabilità dei risultati.
In particolare, vorrei chiedere al dottor Arcuri o al presidente di Invitalia Spa se, alla luce della loro esperienza, non vedano la possibilità di fornire a questa Commissione anche un utile suggerimento in ordine alle modifiche che potrebbero essere apportate allo schema di decreto, soprattutto per rendere più efficace l'implementazione delle politiche di sviluppo e di coesione.

MASSIMO VANNUCCI. Anch'io ringrazio il dottor Arcuri per quest'audizione. L'analisi è corretta in relazione alle criticità. Del resto, come ha osservato lui stesso, tutti ripetiamo le stesse considerazioni, mentre il problema è come affrontare le criticità.
Su come affrontarle mi permetto di svolgere un'osservazione. Il riferimento alle 500 fontane mi è sembrato un po' troppo superficiale, se posso usare questo termine. Il nostro Paese deve fare i conti col suo stato in generale. Io ho visto Paesi, quelli con economie programmate da piani quinquennali, in cui si realizzavano grandi opere, ma poi crollava tutto per mancanza di manutenzione.
Non so se il fatto che lei riconosca come positivo il concentrarsi su grandi opere, perché altrimenti alla fine costruiamo 500 fontane, corrisponda alla realtà. Per esempio, se valutiamo i 30 miliardi di euro fermi al CIPE da 18 mesi destinati ai piani delle regioni e valutiamo i progetti delle regioni - pur riconoscendo che occorrono capacità di indirizzo, di misurazione, i premi, le sanzioni, i comportamenti e tutto ciò che lei ha citato - questa filosofia della concentrazione sulle grandi opere mi sembra molto pericolosa. È un Paese che rischia di finire a pezzi, in questo modo.
Ricordo una sua audizione nella precedente legislatura. Lei ci riferì di essersi insediato a Sviluppo Italia e di aver trovato 12 o 18 società controllate e 174 società partecipate. Il Parlamento approvò delle norme, contenute nella legge finanziaria per il 2007, per cui le società controllate avrebbero dovuto diventare 3 e le società partecipate 12. Mi sembra di ricordare così. Poi il Governo successivo modificò sostanzialmente quest'iniziativa. Le volevo chiedere che cosa sia successo nel frattempo.
L'ultima domanda è tesa ad avere una sua opinione sul dibattito che si è aperto. Il Governo ha adottato un decreto-legge che reca norme in merito alle partecipazioni dello Stato attraverso la Cassa depositi e prestiti nel capitale delle aziende e nella governance per salvare le aziende italiane. Siete stati chiamati dal Ministro Tremonti per essere attori di questa partita? Vedo, infatti, che una vostra vocazione è anche quella di partecipare a società pubbliche.

CESARE MARINI. Mi rivolgo al maggiore amministratore e responsabile di Invitalia Spa, che saluto con piacere. Le osservazioni che svolgerò non la riguardano, perché dirige da poco Invitalia Spa, ma riguardano tutto il passato.
Vorrei capire come funziona e come lo Stato, e quindi il Parlamento, affronta una questione spinosa, che è quella del Mezzogiorno,


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e come opera una società come Invitalia Spa.
Noi abbiamo una forte carenza di imprese. Molte hanno fatto una fine ingloriosa e non c'è, al di là della continua nascita di partite IVA, un processo di creazione di nuove imprese nel Mezzogiorno, per via di alcuni elementi negativi, come l'ambiente, la mancanza di cultura imprenditoriale - è un dato - e delle infrastrutture materiali. Chiunque sia stato nel Mezzogiorno e abbia percorso l'autostrada del Sole si rende conto di come l'arteria principale in alcuni tratti sia una specie di mulattiera.
Mancano le infrastrutture immateriali, perché la banda larga è a disposizione di pochissimi, per portare un esempio. Ci sono alcuni programmi di investimento, ma siamo sempre a livello di programmi di investimenti futuri. Sulle linee ferroviarie si è espresso il Ministro Tremonti, che le ha visitate di recente, ma è stato nelle linee che funzionano bene, cioè quelle della tratta tirrenica che serve la Sicilia. Se poi si pensa al trasporto ferroviario dell'area ionica che collega la Puglia con la parte meridionale della penisola, siamo grossomodo a livello di Far West.
I costi sono alle stelle e la burocrazia non è attrezzata per servire un processo di sviluppo. Si aggiunge il prezzo della delinquenza organizzata, di cui non si possono far carico i cittadini del Meridione. Se ne deve fare carico lo Stato, anche se esiste già un suo impegno forte, che riconosco.
È giusto quanto afferma il dottor Arcuri sugli investimenti strategici, però essi hanno tempi lunghi. Gli investimenti strategici attrezzano l'area, ma non risolvono il problema dello sviluppo. Creano le precondizioni dello sviluppo. Siamo a livello di precondizioni dello sviluppo.
Le grandi opere sono necessarie, ma se non rientrano in un quadro di rete, servono a poco o a nulla. Occorre la rete. Non basta l'autostrada costruita bene, se poi manca il trasporto ferroviario veloce che cammini di pari passo.
In questa situazione qual è la politica che si propone di realizzare attraverso gli incentivi, che sono fondamentali? Io sono stato sempre contrario a dare funzione salvifica al credito di imposta, per il semplice motivo che il credito di imposta premia le aziende che vanno bene e che, quindi, destinano parte degli utili a investimenti aziendali, ma non aiuta la nascita di nuove imprese. La nuova impresa non può pagare tasse, in quanto all'inizio non si può pensare che, appena nata, possa produrre reddito. Lo capisce chiunque. Il credito di imposta, in realtà, serve a poco o a nulla per le nuove imprese.
Nasce il problema Invitalia Spa. Essa nel passato svolgeva questo compito in materia di agevolazioni. Come è finita la funzione di aiutare le nuove imprese? Stiamo parlando dell'imprenditoria giovanile. In questo sta il punto fondamentale. La legge n. 44 del 1986, di conversione del decreto-legge n. 786 del 1985, era pessima proprio per come fu concepita e per come fu attuata, per il semplice motivo che non basta e non serve dare credito se non si sa poi come sostenere le nuove imprese. Il problema è proprio quello. Conosco la situazione dell'antenato di Invitalia Spa. Ho letto e mi sono dato da fare, ho cercato di capire prima di parlare nella mia attività di parlamentare e, quindi, ritengo che questo sia un nodo importante.
Ci sono, per esempio, alcuni agglomerati industriali in tutto il Mezzogiorno, aree attrezzate all'interno delle quali lo Stato ha speso l'ira di Dio, ma che non hanno ricevuto investimenti da parte delle imprese per il semplice fatto che non basta avere un'area attrezzata per avere un'impresa. Ci sono i problemi delle diseconomie esterne, che sono tali e tanti che non consentono ai prodotti di poter reggere il mercato. L'antenato di Invitalia Spa avrebbe dovuto svolgere una grande funzione nella preparazione dell'imprenditoria giovanile. Una parte è andata bene e una parte è andata male.
Quelli che hanno avuto difficoltà - esprimo un giudizio personale - non hanno ricevuto l'assistenza necessaria da Sviluppo Italia, perché essa ha agito come una comune banca. Non occorreva Sviluppo Italia, avrebbero potuto fare lo


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stesso la Cassa depositi e prestiti o una banca di credito ordinario. Ce ne sono tante. Sviluppo Italia avrebbe dovuto svolgere una funzione diversa, prendendo per mano l'attività imprenditoriale giovanile e portandola sul mercato, eventualmente anche con le partecipazioni.
Non so se il numero che lei ha citato in materia di partecipazioni riguardi anche i rapporti partecipativi con aziende che erano messe male, nel qual caso ha fatto bene Sviluppo Italia ad aiutare tali aziende, rilevando parti delle loro quote. Vorrei capire se esiste una politica in tal senso.

PIETRO FRANZOSO. Condivido molte considerazioni che ho ascoltato e che ha svolto il dottor Arcuri. C'è, però, un aspetto che non è stato affrontato oppure che mi è sfuggito.
Esiste un dato. Condivido l'analisi sul fatto che bisogna smettere, anche per le esperienze vissute con la Cassa per il Mezzogiorno, con i finanziamenti a pioggia erogati senza guardare con attenzione all'incidenza che questi finanziamenti possono avere sul piano dello sviluppo.
Lei ha svolto una considerazione che io ritengo sacrosanta. Come previsto, peraltro, dallo schema di decreto legislativo le risorse devono essere davvero aggiuntive, il che oggi purtroppo spesso viene meno, e non sostitutive delle risorse ordinarie provenienti dal bilancio dello Stato e degli enti decentrati. Finalmente per la prima volta lo sento affermare da un ente che è nel nostro Paese per attrarre investimenti e sostenere investimenti nel territorio.
Gli investimenti, però, non possono, come sostenevano giustamente i colleghi prima, essere solo in termini infrastrutturali. Io ritengo che l'aspetto principale per un territorio di 20 milioni di abitanti, nell'era della competitività anche all'interno di un Paese - di questo si tratta, perché, se non guardiamo questi aspetti ci prenderemmo in giro - sia la positività del federalismo fiscale, perché mette queste aree, la politica, la società e le istituzioni, di fronte alle proprie responsabilità. Finalmente si vengono a creare le condizioni per fare in modo di non costruire più 500 fontane, ma infrastrutture che aiutino il tessuto produttivo di una determinata parte del Paese a essere competitivo con la rimanente parte del Paese.
Vedo di buon grado, per esempio, l'indirizzo che si sta dando in termini di infrastrutture per quanto riguarda il Piano per il sud, perché spesso e volentieri le risorse destinate a tali interventi non vengono utilizzate e restituite.
Io vengo dalla regione Puglia. Sappiamo benissimo che spesso e volentieri c'è stata un'incapacità di utilizzo delle risorse persino nella fase di inizio progettazione e che le stesse sono state restituite.
Sono consapevole, peraltro, che nel 2013 finiscono i fondi di provenienza europea, per lo meno per quanto riguarda la regione Puglia, ma mi voglio soffermare - mi auguro che si introduca un nuovo metodo di realizzazione delle infrastrutture - anche sul quadro della governance, come ricordava prima il collega, del coinvolgimento delle regioni o delle istituzioni, nelle responsabilità sui tempi di esecuzione delle opere, un altro aspetto fondamentale.
Si pone un problema, però, per quanto riguarda le aziende. Oggi non si può parlare più di inventare nuove attività e di imprenditoria giovanile. Vivendo nel Mezzogiorno, ho la sensazione che non ci sia stato un grande risultato, se non quello di aprire alcuni bar o ristoranti, almeno nell'esperienza che ho vissuto. Sono dell'idea, invece, che le aziende vadano accompagnate in quella dimensione che tutti esprimiamo a parole, per poter esistere e confrontarsi nel mercato della produzione e del lavoro, sul piano della competitività.
Attorno a tutto ciò, poiché oggi ci si misura con investimenti in cui si guarda particolarmente all'innovazione tecnologica delle aziende, perché continuare a parlare di aree o non aree? Se andiamo in Basilicata, troveremo un cimitero dei capannoni. Sono venute aziende del nord, li hanno utilizzati, li hanno svuotati dopo cinque anni e sono scappate via, per esprimersi fuori dai denti.


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Vorrei quanto meno rafforzare l'esistente. Esiste la dinamica del federalismo fiscale che viene incontro. Poiché nel nostro sistema Paese la testa è al nord e al sud ci sono le braccia e le gambe, mi auguro che in termini di sviluppo e di ricadute con il federalismo chi ha la testa al nord e la produzione al sud sarà obbligato a riportare per quella quota parte che gli interessa la testa anche al sud.
Si pone un problema fondamentale, su cui mi rivolgo a lei per la sua esperienza, e che riguarda il sistema bancario. Qual è l'incidenza che lei ha incontrato attualmente in termini di costo del denaro quando si è trovato ad assistere un'azienda del Mezzogiorno, quali sono i tempi di intervento del sistema bancario e quali garanzie il sistema bancario richiede a un'azienda del sud, nel momento in cui deve investire e il progetto presentato è stato dichiarato da parte degli analisti degno di investimento?

RENATO CAMBURSANO. Ringrazio il dottor Arcuri per l'ottima esposizione. Come ha ricordato giustamente, sono tanti gli analisti e i diagnostici, che abbiamo sentito anche ora. Credo che i chirurghi e gli operatori siano un po' carenti. Uso un'espressione mia, sperando di avere interpretato il suo pensiero.
Da uomo del nord concreto, le chiedo in modo bruciante, anche per recuperare il tempo dei colleghi Marini e Franzoso, di indicarci - so che può essere letta come una provocazione, ma credo che solo così si stimoli davvero la riflessione complessiva - tre grandi iniziative strategiche per le aree con squilibri economici e sociali, perché questo è il tema, nel sud e una per il nord. Non si può far finta di non sapere che se è vero che il prodotto interno lordo del nord è quasi doppio di quello del sud, è altresì vero che con la grande crisi che si è verificata, alcune aree già industrializzate, parlo, per esempio, dell'area del biellese, noto territorio del tessile, hanno subìto profonde sofferenze in termini di produttività e di ricchezza complessiva.
Con la seconda domanda, collegata a questa, vorrei sapere chi traduce e definisce queste idee strategiche, che sono certo che esistano. È il «Fitto pensiero», è il dicastero guidato dal Ministro Fitto?

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Arcuri per la replica.

DOMENICO ARCURI, Amministratore delegato di Invitalia Spa. Procedo nell'ordine delle domande.
L'onorevole Occhiuto osserva che siamo tutti d'accordo sulla quantità e sulle modalità di destinazione delle risorse, capiamo che il problema ha a che fare con l'implementazione di queste politiche e con l'effettiva capacità di rendere efficace la destinazione delle risorse stesse, ma sembra che lo schema di decreto legislativo non risolva il problema della governance. Mi chiede, pertanto, se io abbia un suggerimento intorno a un possibile soggetto che possa concorrere alla soluzione di tale questione.
Poiché l'odierna audizione è resa pubblica mediante impianti audiovisivi a circuito chiuso, sarò moderato nella risposta, anche se non lo vorrei essere. Chiedo scusa se l'efficacia della mia risposta, che è inversamente proporzionale alla moderazione e al rispetto che debbo a chi mi ascolta, sarà relativa, perché a me è chiarissima la soluzione, ma sono la persona meno adatta a poterla proporre.
Nelle altre nazioni europee in cui esisteva ed esiste un divario di sviluppo endogeno, in Spagna, nel Regno Unito e, in particolare nel Galles, in Irlanda, nonché in Germania dopo la caduta del muro di Berlino e oggi nei Paesi delle ex repubbliche socialiste sovietiche, la soluzione per cercare di risolvere questo problema si è fondata, talvolta con risultati, se pensiamo alla Germania Est, su due capisaldi: la destinazione di risorse effettivamente aggiuntive per il recupero del divario e il conferimento del potere di implementare le relative politiche a un soggetto terzo rispetto ai Governi, ai Parlamenti o ai Länder o, nel caso dell'Irlanda, al Consiglio della repubblica irlandese, ma controllato dal Governo centrale di tali Paesi.


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In Germania, ultimo caso e più vicino al nostro per dimensioni, quando si è trattato di dover integrare la Germania dell'Est, il Parlamento tedesco ha costituito un'agenzia, le ha fornito le risorse finanziarie, ha definito le linee strategiche, le ha attribuito i compiti, l'ha tenuta sotto controllo misurando la sua capacità o meno di trasformare i ferri vecchi dell'industria manifatturiera post-bellica esistenti a Berlino Est in una struttura produttiva competitiva e moderna.
A ben pensare all'origine della Cassa per il Mezzogiorno c'era la stessa riflessione, basata sull'idea di costituire un soggetto deputato a occuparsi di questa materia, che non passasse il suo tempo, come purtroppo accadeva, accade e accadrà, in riunioni circolari tra dirigenti di alto livello dei singoli ministeri, in cui la parola chiave è circolare - sapete che i percorsi circolari alla fine non conducono da nessuna parte - e che, invece, si mettesse a bonificare le paludi, a fornire l'acqua alla popolazione e ad aiutarla ad andare a scuola.
La Cassa per il Mezzogiorno nel momento più alto della sua performance aveva 300 dipendenti. Nel 2007, quando mi sono insediato a Sviluppo Italia, ce n'erano 1.800. La differenza di performance tra questi due soggetti è abissale, anche se il mondo è cambiato.
Svolgendo sempre con moderazione alcune considerazioni, mi rifaccio a una breve riflessione che avevo svolto prima sul fatto che non basta demandare questa attività ad alcuni soggetti, ma bisogna controllarli, correggerli e in alcuni casi valutarli; che serva un soggetto moderno e tecnico che supporti questo sforzo, che con lo schema di decreto legislativo si comincia a definire, a me sembra, al di là di chi esso debba essere, lapalissiano.
La mia esperienza in questi anni, però, mi suggerisce di prestare attenzione, perché, dopo aver demandato qualcuno a fare ciò, bisogna controllarlo. La questione sulla quale si misura l'efficacia dell'incontro tra il federalismo fiscale e il ritardo dello sviluppo sta nella consapevolezza, che io ho ormai consolidato - con questo rispondo un po' anche alla questione delle fontane - che la capacità strategica delle pubbliche amministrazioni regionali del Mezzogiorno è scarsa, non identica in tutte le regioni, ma mediamente scarsa. Le ragioni di questa situazione sono storiche e non si colmano in un tempo breve.
Continuando nel paradosso, per definizione un pubblico amministratore meridionale è più a suo agio con la realizzazione di una fontana che non con la progettazione di una politica moderna di incentivi alle imprese della sua regione. C'è bisogno di molto tempo perché questa situazione cambi.
È un'ovvietà, ma io sostengo sempre che il federalismo ha un effetto simbolico decisivo e che mette i pubblici amministratori davvero di fronte a se stessi. Se il pubblico amministratore è virtuoso, ossia efficace, si confronta con se stesso serenamente. Se non lo è, non potrà più sostenere che qualcun altro non è virtuoso e che, quindi, non lo è neanche lui. Lo affermerà sempre, ma sarà ascoltato sempre meno.
In questo senso io penso che il contratto istituzionale di sviluppo sia una prima pietra lungo la quale cercare di rendere convergente una materia che, per sua definizione, è divergente e vicina alle stanze dei palazzi delle istituzioni locali.
L'introduzione del concetto di multiregionalità, cioè di interregionalità degli interventi, aiuta, perché, se si compie un intervento come l'alta velocità Bari-Napoli, è difficile pensare che a guidare questo intervento debba essere il presidente della giunta regionale della Puglia o quello della Campania. Forse nella migliore delle ipotesi devono essere tutti e due, oppure deve essere un altro.
L'onorevole Vannucci pone questioni ampie, cui rispondo in sintesi. La concentrazione è pericolosa? Mi permetto di non essere d'accordo. Forse è anche pericolosa, ma a questo punto è necessaria.
Sul discorso della manutenzione lei non mi ha posto una domanda, ma condivido completamente. Sarebbe bello trovarsi qui di nuovo fra dieci anni a discutere di come manutenere opere che intanto


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sono state realizzate. Se non si realizzano, però, non si riesce a discutere su come manutenerle, considerando che è altrettanto necessario farlo.
A che punto è il nostro riordino? Più tempo passa, più tento di parlarne meno, però rispondo. Nel 2007 - conosco i numeri a memoria e, quindi, non pensiate che me li sono inventati - Sviluppo Italia aveva 216 società partecipate, 17 società regionali, 15 società controllate, che a loro volta controllavano altre 33 società. Tutto questo è stato realizzato nel silenzio generale, tengo a precisarlo anche in questa sede, in soli quattro anni, dal 2002 al 2006, il che è sconcertante.
Le norme di riordino imponevano al sottoscritto di ridurre questo set di partecipazioni a 3 società controllate e a definirne alcune come strategiche. Quelle definite strategiche dal Piano di riordino approvato dal Governo e dal Parlamento all'epoca furono 16. Le norme erano meritevoli, ma scontavano un limite: quando bisogna vendere un bene, sia esso una penna o un'azienda, non c'è bisogno solo di chi vende, ma anche di chi compra, perché a se stessi non si può vendere.
Allo stato attuale noi abbiamo di fatto concluso, e vi sto per spiegare come, il processo di riordino, salvo per due partecipazioni che ancora non abbiamo dismesso. Le 17 società regionali sono state cedute alle regioni che le hanno volute comprare. Inutile specificarvi che le hanno volute comprare solo le regioni del sud e non quelle del centro nord. Esse sono state liquidate quando le regioni del centro nord ci hanno comunicato di non volerle comprare.
Ce ne sono rimaste quattro, che sono tutte in liquidazione, ossia le società operanti in Calabria, in Campania, in Abruzzo e in Sardegna. A diverso titolo, con un'incessante opera di persuasione che ha prodotto un esito in tre casi, tranne che in Sardegna, entro la fine di aprile noi confidiamo di concludere il trasferimento di queste società alle amministrazioni regionali, oppure di concludere le procedure di mobilità dei dipendenti che abbiamo avviato e che, purtroppo, dovremo accompagnare all'uscio.
È stata affermata una mezza verità: i Governi che si sono succeduti hanno solo prorogato il termine per concludere questo riordino, ma non ne hanno mai cambiato i contenuti. Se avessero cambiato i contenuti, io avrei rassegnato le dimissioni, perché sono stato chiamato con uguale enfasi da Governi di entrambi gli schieramenti politici a risanare un gruppo, non a riprendere le consuetudini di chi mi aveva preceduto.
Le tre società controllate adesso sono quattro. Abbiamo ormai solo quattro società controllate, una che si occupa di banda larga, una di turismo, una di porti turistici e una di bonifiche e di ingegneria. Le altre società strategiche sono sempre 16 e tutte le altre, che sono 200, sono state accompagnate alle procedure concorsuali - se non ci fosse la pubblicità dei nostri lavori si direbbe al fallimento che meritavano - e messe in liquidazione o, in alcune decine, cedute sul mercato.
I 1.800 dipendenti oggi sono 1.100 e, all'esito del trasferimento delle quattro società regionali residue, saranno 800.
Nel 2006, nel bilancio pubblico del gruppo Sviluppo Italia, fatti 100 i ricavi del gruppo, che erano molte centinaia di milioni di euro, i costi esterni erano 55. Ogni 100 euro di ricavi ne venivano destinati all'esterno 55. Oggi, fatti 100 i ricavi di Invitalia Spa, i costi esterni sono 8, cioè noi destiniamo all'esterno l'8 per cento dei nostri ricavi. Voi avete più dimestichezza di me per sapere cosa rappresenta e come chiamare tale differenza tra 55 e 8. Io utilizzo la denominazione di «costi esterni», perché mi occupo di aziende.
Nel 2007 c'erano 492 consiglieri di amministrazione in tutte queste società, senza deleghe, che da soli costavano 6 milioni di euro di gettoni di presenza l'anno. Quei 492 consiglieri oggi sono ridotti a 9. Tutti gli altri sono dirigenti di Invitalia che svolgono la loro funzione a titolo gratuito, perché percepiscono lo stipendio da dirigenti.


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Noi siamo molto contenti del nostro operato. L'abbiamo svolto, pur con alcune discontinuità, con il sostegno di tutti i Governi e di tutti i ministri dal 2007 a oggi. Non vorremmo, però, che esso fosse fine a se stesso e vorremmo che adesso subentrasse una stagione in cui noi diamo un contributo allo sviluppo e non solo al risanamento dell'Agenzia a causa di ciò che è accaduto nel passato.
Non siamo stati chiamati dal Ministro dell'economia e delle finanze in merito alla questione delle partecipazioni strategiche per una banale ragione: nel nostro statuto figura già la possibilità per noi di acquisire partecipazioni e, quindi, non c'è bisogno. Peraltro, noi non acquisiamo partecipazioni strategiche, se qualcuno non ce lo impone. Il citato decreto-legge, però, come sapete, prevede che, oltre a ribadire che la Cassa depositi e prestiti possa acquisire queste partecipazioni, esse possano essere acquisite anche da altre società controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze, quali noi siamo.
L'onorevole Cesare Marini vuole sapere come ha funzionato la legge sull'imprenditorialità giovanile.

CESARE MARINI. Non ho chiesto questo, perché so già come ha funzionato. Ho svolto una premessa ed esprimo un giudizio negativo, però il mio giudizio non ha alcuna importanza. È solo il giudizio di un cittadino. Ho chiesto quale politica occorra verso le nuove imprese.

DOMENICO ARCURI, Amministratore delegato di Invitalia Spa. Nel 1986 è stata approvata la legge che sostiene i giovani che vogliono diventare imprenditori nel sud, una legge ideologicamente meritevole. L'Italia è il primo Paese d'Europa che ha introdotto questa legislazione, che fu poi imitata in molti altri, ma che mette sul tavolo un punto sul quale ideologicamente sono contrario: se si hanno 34 anni si può fare l'imprenditore, se se ne hanno 36 no, il che è un po' strano.
Nel 2000 alla predetta legge viene affiancato il decreto legislativo n. 185 sul prestito d'onore. È prevista l'erogazione di una somma fino a 50.000 euro a cittadini che vogliono avviare piccolissime attività d'impresa; in merito a tali iniziative legislative fornisco solo due dati. Negli ultimi 25 anni lo Stato ha erogato in ragione di questi due provvedimenti legislativi 2 miliardi di euro, 4.000 miliardi di vecchie lire, di cui 1 miliardo sotto forma di contributi in conto capitale e 1 miliardo sotto forma di mutui agevolati, che, come dice la parola stessa, il cittadino deve restituire.
Nel 2007, i crediti che Sviluppo Italia aveva nei confronti di questi cittadini ammontavano a 800 milioni di euro, in rapporto alla somma di 1 miliardo di euro erogata. Oggi questi crediti ammontano a 400 milioni di euro. Noi abbiamo recuperato 400 milioni di euro con i quali, a fronte delle difficoltà della finanza pubblica, abbiamo mantenuto in vita la legge.
Io debbo iscrivere la differenza tra 400 e 800 milioni di euro a un problema di capacità di compiere il proprio mestiere da parte dell'agenzia. Debbo, invece, iscrivere la differenza tra 0 e 400 milioni di euro al cattivo funzionamento della legge.
La mia valutazione è che in quattro casi su dieci quei soldi non andavano dati. Negli altri sei sì. Sono certo che, se l'osserviamo nei prossimi dieci anni, avendo banalmente introdotto procedure più rigorose tre anni fa, la percentuale si abbasserà. La legge, però, non è risolutiva. Non è attraverso il sostegno ai giovani imprenditori che si colma il divario.
Volevo, invece, rilevare una questione che ho trovato, all'inizio, molto sconcertante e alla quale poi ho fatto l'abitudine. Nel 2010 la percentuale di incremento maggiore delle domande di agevolazione è stata dovuta alle richieste di queste misure da parte della regione Veneto e della regione Lombardia. Quello è stato il primo anno, vista la crisi, che anche nelle suddette regioni i cittadini hanno domandato microsostegni per provare a intraprendere l'attività di impresa.
Oggi noi gestiamo tutte le agevolazioni alle imprese, non solo nel sud, ma in tutto il Paese, ultimi e più importanti i vecchi contratti di programma, che oggi si chiamano


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contratti di sviluppo, prima gestiti dal Ministero dello sviluppo economico e oggi dall'agenzia. Come sapete, sono i contratti che stipulano le imprese più grandi per compiere investimenti. Il taglio minimo degli investimenti è di 40 milioni di euro, rispetto ai quali esiste un problema, vale a dire la scarsità di risorse finanziarie che il CIPE destina alla loro attuazione. È un problema del quale io sono buon ultimo a mettervi al corrente e che ha a che fare con variabili di carattere temporale e quant'altro.
Molte considerazioni che voi avete svolto io le condivido completamente. Va bene immaginare alcune politiche, però poi, se non ci sono i soldi per realizzarle, lo sforzo di immaginarle è uno sforzo vano.
L'onorevole Franzoso richiama la necessità che i fondi siano davvero aggiuntivi e voleva sapere che ne pensassi del sistema bancario. Il mercato finanziario è come tutti gli altri: si misura sull'incontro tra la domanda e l'offerta. Quanto maggiore è l'offerta di danaro, tanto più basso è il tasso d'interesse, quanto minore è l'offerta di danaro, tanto più alto è il tasso d'interesse.
La pratica per cui i soldi dei risparmiatori meridionali vengono utilizzati per essere investiti in Trentino-Alto Adige comincia a essere desueta, perché oggi essi vengono utilizzati per essere investiti in Francia o in Polonia dalle nostre banche, che si sono giustamente internazionalizzate.
Osservare che il costo del denaro al sud è più alto che al nord è sacrosanto, ma non riesco ad ascrivere la responsabilità alle banche, bensì al funzionamento normale del mercato. Se in un luogo non c'è domanda, i soldi si usano da un'altra parte e se in tale luogo la domanda di denaro è maggiore dell'offerta, il tasso d'interesse è più alto.
Di sicuro, però, si tratta di uno dei problemi più importanti che gli imprenditori meridionali si trovano a dover affrontare. Il Governo l'ha parzialmente attenuato con il fondo centrale di garanzia, perché tale fondo ha una dimensione piccola e copre la garanzia delle imprese comprese nella fascia piccolissima, piccola e media, ma non di quelle comprese nelle fasce più alte.
Noi ci eravamo candidati a gestire questo fondo, che sapete essere stato storicamente gestito dal Mediocredito centrale, poi UniCredit. Ci sembrava strano che non fosse un soggetto pubblico a gestirlo. Poi per ragioni tecniche è rimasto in queste condizioni. Un maggiore intervento dei fondi che il Ministro dell'economia e delle finanze ha costituito nel tempo e che servono a sostenere le imprese ha portato un ulteriore contributo. Il problema, però, esiste con tutta la sua portata.
Devo rispondere anche all'onorevole Cambursano, che vuole conoscere la mia opinione in merito a tre grandi iniziative strategiche necessarie per il sud e una necessaria per il nord. Cito prima quella per il nord, ma sono veramente opinioni. Nel nord sarebbe il caso che ci si occupasse di sostenere il consolidamento e il mantenimento dell'apparato produttivo esistente per evitare che vada da un'altra parte, mentre nel sud credo che urga una riforma degli incentivi alle imprese. Sono in vigore alcune centinaia di incentivi alle imprese. Alcune centinaia delle centinaia di incentivi che sono in vigore non sono note neanche più ai ministeri che le gestiscono e tanto meno alle imprese.
Il Ministro Romani, attraverso la stesura di uno schema di decreto legislativo, si sta occupando di progettare questa riforma. Credo che la riforma per il sud sia sacrosanta e che debba essere realizzata nella logica che abbiamo usato nelle vicende che vi ho raccontato prima: il 95 per cento di quegli incentivi vanno semplicemente abrogati e ne vanno costituiti o mantenuti in vita alcuni, per non dire pochi.
Credo che la riforma degli incentivi debba trovare un equilibrio ragionevole tra l'automatismo e la programmazione negoziata. Sono d'accordo sul fatto che il credito di imposta serva soltanto a chi c'è già e mi permetto di affermare che il


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credito di imposta per la nuova occupazione serve anche a chi non c'è e che, se ci fosse, darebbe un contributo.
Credo che l'automatismo secco significhi assoluta rinuncia a programmare lo sviluppo e che la programmazione negoziata tout court significhi altre questioni, che, vista la pubblicità dei lavori della Commissione, non cito, ma che noi dobbiamo sempre di più evitare. Penso che un equilibrio tra questi due momenti sia la soluzione necessaria. Nel sud questo è molto importante.
La seconda iniziativa strategica è, fatti 100 i turisti stranieri che sono arrivati in Italia nel 2010, che sono pochi, soltanto 8 sono andati a sud di Roma e di questi 8 soltanto 6 in una regione diversa dalla Campania e dalla Sicilia. Credo che il turismo sia un asse strategico possibile e nemmeno troppo costoso. Mi fermerei qui. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie ai nostri ospiti di Invitalia Spa.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,20.

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