Sulla pubblicità dei lavori:
Bruno Donato, Presidente ... 3
Audizione del Ministro per i rapporti con le regioni, Raffaele Fitto, sulle linee programmatiche (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Bruno Donato, Presidente ... 3 7 16 20
Bianconi Maurizio (PdL) ... 13
Calderisi Giuseppe (PdL) ... 9
Fitto Raffaele, Ministro per i rapporti con le regioni ... 3 16
Giovanelli Oriano (PD) ... 11
La Loggia Enrico (PdL) ... 7
Lanzillotta Linda (PD) ... 8
Santelli Jole (PdL) ... 15
Vanalli Pierguido (LNP) ... 16
Vassallo Salvatore (PD) ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 13,35.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro per i rapporti con le regioni, Raffaele Fitto, sulle linee programmatiche.
A nome mio e di tutta la Commissione, ringrazio il Ministro per la sua presenza e gli do la parola per la sua relazione.
RAFFAELE FITTO, Ministro per i rapporti con le regioni. Grazie, presidente. Rivolgo un saluto a tutti i componenti della Commissione.
Cercherò di illustrare le linee guida dell'azione del Ministero per i rapporti con le regioni, anche in considerazione della delega su specifiche questioni assegnatami dal Consiglio dei ministri e alla luce dell'esperienza maturata in questi primi mesi di azione governativa.
È evidente che il ruolo di questo Ministero si colloca in una posizione particolarmente delicata, sul fronte dei rapporti con il sistema delle regioni (per quanto riguarda la Conferenza Stato-regioni) e anche sul fronte dei rapporti con gli enti locali (per quanto riguarda la Conferenza unificata), anche se, com'è noto, a questo Ministero non è stata assegnata una competenza diretta sul tema delle autonomie locali, come invece accadeva precedentemente.
Dalla modifica del Titolo V in poi si sono delineati rapporti e situazioni differenti e, quindi, nel contesto attuale, il quadro è profondamente mutato, sia in riferimento all'iniziativa legislativa, sia per quanto riguarda le funzioni amministrative.
Ritengo che in questo contesto sia particolarmente rilevante ed importante, da un lato, immaginare un ragionamento di prospettiva rispetto agli scenari che abbiamo di fronte - dai temi della modifica costituzionale ai temi collegati al federalismo fiscale - e, dall'altro, immaginare però anche come regolare in modo adeguato i rapporti fra lo Stato e le regioni nella quotidianità.
Sulle questioni collegate ai rapporti fra Stato e regioni occorre muoversi alla luce del contesto di riferimento, che è dato dal Titolo V della Costituzione così come è stato modificato. In modo particolare, il tema che in questi primi mesi è emerso molto chiaramente come la parte più complicata e difficile è quello inerente alle competenze costituzionali e, più nello specifico, alle materie a legislazione concorrente, che rappresentano uno dei livelli principali di confronto nel rapporto tra il sistema delle regioni ed il Governo.
In questo senso, penso che sia determinante e decisivo il ruolo delle conferenze alle quali mi sono richiamato. Penso che l'idea e la possibilità della loro riforma e modifica, anche in riferimento ad uno
scenario di cambiamento complessivo del sistema, rappresentino un tema sul quale confrontarsi, anche se ritengo che, in questo momento, la questione più importante stia nell'individuare, all'interno delle conferenze, le migliori modalità di dialogo e di confronto sulle questioni specifiche.
Non v'è dubbio che, da qui ai prossimi mesi, nel rapporto fra Governo e regioni, andranno affrontate alcune tematiche fondamentali e di grande rilievo. Penso, ad esempio, ai temi della sanità e del trasporto pubblico locale, che anche il documento della Conferenza delle regioni ha individuato come centrali nell'ambito del dialogo e del confronto che sicuramente la vedranno impegnata nei prossimi mesi.
Penso che sia importante citare qualche cifra in merito, per poter articolare un confronto sull'azione che si è sviluppata in questa fase.
Uno degli ambiti nei quali penso che bisognerà lavorare in modo molto intenso, infatti, è l'individuazione di forme atte a limitare quanto più possibile i contenziosi portati in sede di Corte costituzionale. La Corte rischia, altrimenti, di diventare l'unico luogo nel quale si possano verificare o chiarire le competenze e il loro eventuale superamento, tanto da parte delle regioni, quanto da parte del Governo, sulle diverse materie oggetto di legiferazione.
Penso che basti citare i dati relativi a questi primi mesi di azione: 16 delle 147 leggi regionali approvate nei mesi passati sono state impugnate presso la Corte costituzionale. La lettura e la valutazione di questo dato - se queste leggi siano molte o poche - credo possano essere tema di discussione e di dibattito.
Certo è che gli strumenti di conciliazione, che pure sono stati individuati e che in forma non ufficiale vengono portati avanti, talvolta possono funzionare, e talaltra invece no, perché comportano delle difficoltà oggettive.
Penso che ci sia bisogno di sviluppare, oltre al confronto sul merito, anche la modalità adatta ad affrontare tali questioni, non solo rinviando il tema alla nota ed evidente necessità di adeguare il numero eccessivo delle materie a legislazione concorrente mediante una modifica costituzionale, che pure è un punto centrale. Penso che, in questa fase, sia indispensabile individuare altre forme da portare avanti per cercare di delimitare tale ambito di intervento.
Un secondo aspetto molto importante sul quale si svilupperà l'azione del Ministero, anche in riferimento alla delega relativa ricevuta dal Governo, è quello collegato all'articolo 116, terzo comma. Mi riferisco, in modo specifico, alle maggiori forme di autonomia. Penso sia molto importante sottolineare che, nell'ambito di tale delega, l'individuazione dell'intesa tra le regioni e il Governo spetta a questo Ministero: questo è un elemento di approfondimento importante rispetto alle questioni oggetto della previsione dell'articolo 116 della Costituzione.
A questo ben si collega un altro aspetto molto importante, ossia il completamento della fase, collegata all'articolo 118, relativa al trasferimento dei beni e delle risorse per l'esercizio delle funzioni: penso che, rispetto alla situazione attuale, ci sia bisogno di un maggior coordinamento e di un'accelerazione.
Nell'ambito di questo quadro di riferimento alcuni altri aspetti sono collegati alla delega: la salvaguardia e la valorizzazione delle zone montane, delle minoranze linguistiche e delle isole minori; aspetti, questi, inseriti all'interno della delega, sui quali ritengo sia importante individuare forme e modalità per confrontarsi in modo specifico e ai quali bisogna cercare di prestare maggiore attenzione, trattandosi di problemi che, sebbene talvolta risultino marginali, riguardano invece parti importanti del territorio.
Un altro tema importante è quello dei servizi pubblici locali, che è già stato fortemente dibattuto nell'ambito della discussione sull'attuale manovra economica. L'articolato prodotto ha sicuramente già creato una prima fase di discussione e, nella fase regolamentare, sarà necessario concordare le diverse posizioni e cercare di individuare delle forme che, in coerenza con l'articolato stesso, possano dare delle risposte specifiche.
L'ultima considerazione, di carattere più generale, che vorrei fare - per poi lasciare spazio a un confronto più diretto con la Commissione - è collegata al tema del federalismo fiscale, che riguarderà una parte importante del confronto con le regioni e con il sistema delle autonomie locali, e per affrontare il quale penso che sia indispensabile individuare un metodo che, mi auguro, possa essere maggiormente efficace nel rapporto con le regioni.
Da Ministro per i rapporti con le regioni, non ho difficoltà a riconoscere che, anche nella fase di avvio di questi primi mesi, limitatamente ai temi portati nell'ambito della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza unificata, il dibattito non si è sviluppato in forma completa, così come, invece, su alcuni provvedimenti, sarebbe stato auspicabile.
In modo particolare, non ho difficoltà ad ammettere che il dibattito sulla manovra economica è stato fortemente contenuto nei tempi e nelle modalità, mentre avrebbe avuto bisogno di un maggiore approfondimento all'interno della Conferenza, sia per poter ascoltare in modo più specifico gli argomenti delle regioni e del sistema delle autonomie, sia perché ritengo che la Conferenza non debba essere un luogo di passaggio rapido dei provvedimenti, ma anzi un luogo di approfondimento specifico.
Per una serie di scelte del Governo e per la rapidità di approvazione dei provvedimenti, la fase di avvio ha rappresentato solo un momento iniziale, nel quale sono emersi questi aspetti. Tuttavia, ritengo sia molto importante individuare, a partire dalle prossime occasioni, all'interno della Conferenza, le modalità e le tempistiche giuste per poter avere un adeguato confronto di merito.
Sul tema del federalismo, invece, dal punto di vista metodologico si sta individuando un percorso coerente che, quanto alla tempistica, va incontro alle esigenze del confronto. Mi riferisco, in modo particolare, al fatto che, com'è noto, sul testo in questione c'è già stato un momento di incontro preventivo con le regioni e con le autonomie locali.
Penso che una fase di approfondimento su questo tema sia importante, data la rilevanza dell'argomento, per giungere alla definizione di un testo che, nella fase preliminare, sia già stato discusso all'interno delle conferenze, le quali potranno così darne una valutazione iniziale e preliminare che sia parte integrante del confronto con l'intero sistema delle autonomie locali.
Visto che siamo in una fase di discussione preliminare, su questo svolgerò alcune valutazioni e riflessioni che, evidentemente, sono legate anche al dibattito politico che si sta sviluppando nel nostro Paese.
Noi stiamo andando incontro all'approvazione di un disegno di legge delega sul tema del federalismo fiscale. Dirò alcune ovvietà al riguardo, ma penso che questa sia la sede opportuna anche per sottolineare alcune ovvietà. Un disegno di legge delega non può che fare riferimento ai princìpi costituzionali e rispettarli in modo assolutamente coerente. Penso che questa prima ovvietà abbia una sua rilevanza ed una sua importanza e che si ricolleghi ad altre ovvietà molto importanti che mi sento di sottolineare.
La prima è collegata al tema della perequazione, che è un tema centrale nell'ambito della discussione sul federalismo: mi piace sottolineare, seconda ovvietà, che la perequazione è una competenza esclusiva dello Stato e che, pertanto, il disegno di legge delega in materia non può che richiamarsi in modo coerente e preciso ai riferimenti costituzionali. Quello della perequazione è, quindi, un tema verticale, che sicuramente non potrà che essere un punto centrale di riferimento in questo disegno di legge.
Una seconda esigenza importante che mi sento di poter sottolineare è che, in questo disegno di legge delega, la questione delle aree con maggiori difficoltà sia caratterizzante, perché essa è sicuramente correlata ad un altro importante aspetto della Costituzione. Mi riferisco al tema delle risorse speciali e alla loro addizionalità rispetto a quelle ordinarie, secondo quanto previsto - anche in questo caso - dalla Costituzione, all'articolo 119, laddove si dice che le risorse speciali e le risorse
comunitarie non possono che essere aggiuntive rispetto alle risorse complessivamente previste.
Questi sono punti di riferimento essenziali che, certamente, accompagneranno il disegno di legge delega, e sui quali - dopo l'approfondimento nell'ambito della Conferenza unificata e, preventivamente, nell'ambito del rapporto con le regioni e con il sistema delle autonomie locali nel suo complesso - si troveranno un chiarimento e un riferimento precisi anche nell'ambito dell'iter parlamentare.
È evidente che alcune questioni fondamentali non possono che essere sancite con chiarezza, all'interno di un disegno di legge delega, proprio perché anche gli strumenti per la sua attuazione richiedono una rapidità ed una modalità di discussione che, certamente, dovranno essere fortemente coerenti con i princìpi indicati all'interno del testo stesso.
Penso che ci saranno tutte le condizioni per poter avviare un confronto molto positivo e propositivo, in modo particolare, con questa Commissione. Per quanto mi riguarda, non posso che dichiarare la mia piena disponibilità ad iniziare questo confronto già nella giornata odierna.
Proprio per questo non mi dilungo ulteriormente con la mia relazione: preferisco ascoltare le considerazioni dei componenti della Commissione e, magari, avere utili suggerimenti in tal senso, salvo poi sottolineare il dato che quello di oggi è, sì, un incontro importante ma, per quanto mi riguarda, solamente un primo incontro.
Non mi sfugge, infatti, che sulle tematiche alle quali faccio riferimento il raccordo con il Parlamento ed il suo coinvolgimento sono fondamentali, considerato che il ruolo di questa Assemblea è decisivo, rispetto alla capacità di mettere in piedi provvedimenti compatibili con la rilevanza delle argomentazioni e con il loro impatto.
Su questo penso che, certamente, in questa fase di predisposizione di alcuni provvedimenti importanti, possano essere forniti suggerimenti utili.
Mi piace sottolineare nuovamente un elemento collegato alle modalità d'intervento su alcuni aspetti delicati dell'azione del Ministero, che rappresentano - come ho detto all'inizio di questo mio intervento - un problema complessivo di rapporti tra Governo e regioni. Ne parlavo prima riferendomi al tema delle materie a legislazione concorrente e all'esperienza maturata nel corso di questi primi mesi: è il tema del rapporto tra le regioni e il Governo, laddove alcuni provvedimenti del Governo invadono le competenze costituzionali delle regioni e, viceversa, alcuni provvedimenti delle regioni invadono abbondantemente le competenze costituzionali del Governo.
Penso che su questo ci sia bisogno di una riflessione approfondita, perché l'obiettivo è quello di alleggerire il lavoro della Corte costituzionale e di non creare le condizioni perché questi conflitti si possano risolvere solo presso la stessa Corte. Questo è un elemento che potrà dare una risposta positiva anche sul merito dei provvedimenti e sulla loro efficacia, perché un ricorso alla Corte costituzionale su di una normativa di carattere regionale e/o nazionale rischia di non dare carattere di certezza agli effetti che la stessa normativa può produrre in termini positivi.
Penso, quindi, che ci sia bisogno di ragionare - lancio tale prima considerazione nell'attuale fase, preliminare alla discussione più ampia sulla riforma costituzionale - anche su forme di conciliazione che permettano di trovare punti di convergenza, non solamente grazie alla disponibilità reciproca del Ministero e delle regioni, ma anche legislativamente, offrendo dei punti di riferimento in grado di agevolare il dialogo e, quindi, di limitare notevolmente la necessità di utilizzare il contenzioso presso la Corte costituzionale.
Credo che questo sia un tema molto importante, sul quale senza dubbio bisognerà ritornare, da qui a breve, con proposte operative tali da interpretare al meglio le esigenze in campo.
Proprio per rimanere coerente con la mia premessa, non intendo dilungarmi: ad una lunghissima relazione e ad un dibattito
contenuto preferisco una limitata relazione e un più ampio dibattito, che ritengo molto più utile per le scelte e l'impegno che mi competono alla guida di questo importante Dicastero. Grazie.
PRESIDENTE. Siamo noi che ringraziamo lei, signor Ministro, per i suoi suggerimenti, ma anche per aver offerto un'apertura a un continuo dialogo con la nostra Commissione.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
ENRICO LA LOGGIA. Signor presidente, vorrei ringraziare lei e, naturalmente, il Ministro Fitto per questa sintetica ma esauriente relazione sulle diverse iniziative in campo, nella quale non ha nascosto - e ha fatto bene - i diversi problemi, le criticità e le situazioni che, in questa lunga stagione di transizione, comportano un supplemento di attenzione e di lavoro.
Tale transizione è iniziata con la modifica del Titolo V della seconda parte della Costituzione e ha visto come protagonisti di un insieme di necessità e di bisogni da soddisfare, in un quadro normativo purtroppo non sempre chiarissimo, dapprima il sottoscritto, poi la collega Lanzillotta e, oggi, il Ministro Fitto.
Interverrò solamente su due questioni. La prima riguarda il problema del federalismo fiscale, sul quale ritengo - lo dico anche al presidente Bruno e agli altri colleghi della Commissione - che potrebbe, forse, essere opportuno, magari all'inizio di settembre, alla ripresa dei lavori, svolgere una sorta di analisi preliminare. Non so sotto quale forma il regolamento ce la consenta, ma possiamo vederlo in un secondo momento: se non fosse possibile farla formalmente, si potrebbe svolgere anche solo in maniera informale...
PRESIDENTE. Potrebbe trattarsi di un'indagine conoscitiva...
ENRICO LA LOGGIA. Non volevo usare questo nome pomposo ma, se fosse necessaria, si potrebbe prevedere anche un'indagine conoscitiva, da svolgere, però, in termini estremamente rapidi.
Con la partecipazione del Ministro Calderoli e del Ministro Fitto si potrebbe così comunicare al Governo anche l'opinione della nostra Commissione su uno degli argomenti che io reputo tra i più delicati e difficili tra quelli che abbiamo davanti, in riferimento non soltanto a questa legislatura, ma forse anche ai decenni a venire.
Non esagero, nel senso che il futuro del nostro Paese si gioca realmente su un'equiparazione quanto più possibile equilibrata delle risorse, delle funzioni e dei compiti delle singole regioni del nostro Paese, con particolare riguardo - questa è la particolarità che mi permetto di aggiungere - alle regioni a statuto speciale.
Arriva oggi il momento - da molti temuto, da altri sperato - in cui, nel contesto della riforma del federalismo fiscale, si deve tener conto dell'attuale situazione delle regioni a statuto speciale, per eventualmente valutare quali prospettive di modifica ci siano.
So bene che abbiamo davanti un disegno di legge ordinario - sarà tale, con delega o senza delega - che non può, quindi, in nessun modo, modificare statuti con rango di legge costituzionale, ma io penso che un ragionamento su un tema così delicato sia assolutamente indispensabile, in ogni caso. Questa era la prima cosa che mi piaceva ricordare.
La seconda cosa, oltre che un'affermazione è, in un certo senso, una domanda. L'articolo 8, comma 6, della legge n. 131 del 2003, con riferimento alla possibilità di raggiungere intese su diversi temi tra lo Stato e le regioni - ed, eventualmente, anche con le associazioni di categorie esterne a questo rapporto - prevede una particolare procedura che non richiede di distinguere, almeno in quella sede, se il tema sia di competenza delle regioni ovvero dello Stato.
Questo strumento è stato utile in passato, in determinate circostanze, e può ancora tornare utile, sia nel contesto odierno, sia in futuro; non escludo nemmeno - ecco qual è la mia domanda, ma
anche la mia affermazione - che esso possa risultare lo strumento idoneo anche nel contesto della riforma sul federalismo fiscale, al fine di trovare una soluzione quanto più possibile condivisa.
Ovviamente, quella procedura ha dei limiti che conosco bene e non sempre, quando si inizia un percorso, si riesce poi ad arrivare al suo compimento, ma forse vale la pena di fare un tentativo, accompagnando, in un certo senso, o sostituendo il lavoro della Conferenza Stato-regioni in quanto tale, cioè le sue funzioni e i suoi compiti.
Mi permetto non già di suggerirlo - non mi permetterei mai - ma di offrirlo come spunto di riflessione, che può forse essere utile approfondire.
LINDA LANZILLOTTA. Rivolgo anch'io un ringraziamento al Ministro per la sua esposizione e per la disponibilità manifestata a confrontarsi con la Commissione.
Vorrei fare qualche considerazione e porre alcuni quesiti. Anzitutto, lasciatemi esprimere sinceramente qualche rammarico per aver dovuto constatare l'arretramento che il Ministero, e comunque, il Ministro - in quanto istituzione, ovviamente, non come persona - ha avuto, in termini di ruolo nella ridefinizione del suo compito.
Nella passata legislatura, infatti, si era tentato di fare un'operazione per riconfigurare il ruolo del Ministro per i rapporti con le regioni e con gli enti locali, delegato dal Presidente del Consiglio, come lo snodo interistituzionale di una governance multilivello, cioè come il luogo istituzionale ed anche fisico in cui realizzare il disegno del sistema di governance a rete, delineato dall'articolo 114 della Costituzione.
Con quell'operazione si affermava, soprattutto, un principio che, rivendicato a lungo dal sistema delle autonomie, era stato poi costituzionalizzato proprio con l'articolo 114, sottraendo il sistema delle province e degli enti locali da un rapporto gerarchico con il Ministero dell'interno: il ruolo di coordinamento, di definizione delle funzioni e di raccordo era stato trasferito dal Ministero dell'interno alla Presidenza del Consiglio.
Anche dal punto di vista simbolico, si è trattato di un'evoluzione molto significativa. Il Ministero per le regioni e gli enti locali, proprio in quanto riconfigurato con questa missione, diventava così la cabina di regia dell'attuazione del Titolo V.
Questo rimane in parte vero, ma per alcune parti molto significative il Ministero viene invece nuovamente ricondotto a competenze settoriali; su questo andrò ora a formulare alcuni interrogativi specifici.
Il Ministro ci ha ricordato - ed io concordo pienamente con lui - l'urgenza di applicare e attuare una parte fondamentale del Titolo V, che tende a razionalizzare e semplificare il sistema delle funzioni degli enti locali, con l'attuazione dell'articolo 118.
Il Ministro Maroni, che ascolteremo nuovamente dopodomani mattina, ci ha anticipato di voler ripartire dal testo predisposto nella precedente legislatura. Vorrei sapere in che misura il Ministro Fitto sarà coinvolto nell'elaborazione di questo disegno di legge e se egli condivida questa impostazione o, invece, quali correttivi andrebbero, a suo avviso, apportati.
Vorrei avere, inoltre, degli approfondimenti su alcuni temi molto significativi toccati dal Ministro nella sua esposizione.
Anzitutto, lei ha ricordato che il ruolo di coordinamento interministeriale ai fini del raggiungimento delle intese previste dall'articolo 116, comma terzo, della Costituzione (federalismo differenziato) è stato mantenuto in capo al Ministro per le regioni e gli enti locali.
Ricordo che la regione Lombardia aveva attivato questa procedura e che in merito era già stato avviato un tavolo di confronto. Vorrei sapere se questo confronto sia ripreso; se ci sia una calendarizzazione di questo processo; se il Governo intenda ripresentare - io, per parte mia, l'ho fatto con un'iniziativa parlamentare - il disegno di legge di definizione della procedura di adozione dell'intesa (una procedura definita in Costituzione che deve, però, essere poi declinata attraverso una serie di passaggi); e, quindi, se e quando il Governo intenda presentare questo disegno di legge.
In secondo luogo, vorrei avere qualche approfondimento su quella che, mi è sembrato di capire, è una valutazione in termini di opportunità circa il rinviare o il rinunciare a un'ipotesi di riforma della modalità di funzionamento delle conferenze.
Questo tema è molto delicato, ne sono consapevole, e io stessa avevo cercato di elaborare un disegno di legge al riguardo, che si è sostanzialmente bloccato per la resistenza delle regioni e delle autonomie locali. A mio avviso, però, se quelle sedi vogliono effettivamente divenire un luogo di confronto e di concertazione intergovernativa, devono accettare alcune modifiche significative; ad esempio, devono rompere il principio dell'unanimità.
Richiamerei, infatti, il Governo e i colleghi a riflettere su un fenomeno che si sta determinando nella nostra forma di Governo: le sedi della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza unificata sono luoghi in cui si concertano molte politiche, perché le materie di competenza concorrente che sono portate in quelle sedi sono sempre più ampie. Ebbene, poiché in quelle sedi le regioni trovano, di fatto, un punto di sintesi all'unanimità ciò determina una tendenziale omogeneizzazione delle politiche e dell'indirizzo politico, tale per cui, salvo alcuni provvedimenti fondamentali, all'interno di quei consessi si tende ad una progressiva standardizzazione, derivante dal principio dell'unanimità.
Per trovare la sintesi ed evitare ricorsi in Corte costituzionale, il Governo si adegua così a dei punti di vista che costituiscono sempre il minimo comune denominatore; credo che questo attenui la potenzialità innovativa - quale che sia la maggioranza - dell'azione di Governo e del suo indirizzo politico.
Ritengo che questo aspetto meriti una riflessione e che sia necessario un intervento di riforma della Conferenza, in seno alla quale - io credo - occorrerebbe instaurare anche un principio di reciprocità. Non dimentichiamo che siamo in un sistema in cui, nelle materie concorrenti, le regioni codeterminano l'indirizzo politico dello Stato, mentre lo Stato non codetermina l'indirizzo politico delle regioni. Credo che questo sia un punto di forte asimmetria che, al fine del mantenimento di un indirizzo nazionale, andrebbe considerato e risolto attraverso dei meccanismi di maggiore incisività del modo di funzionare delle conferenze.
In terzo luogo, il Ministro ha fatto riferimento alla proliferazione delle leggi regionali. Vorrei chiedere se sia stato riattivato, nell'ambito delle procedure di semplificazione legislativa, il tavolo che aveva come obiettivo il «taglialeggi regionali». Spesso, infatti, noi abroghiamo delle leggi statali che ormai non vengono più utilizzate da decenni - è una forma di pulizia dei codici che, pur aiutando gli operatori del diritto, non ha un impatto effettivo sul funzionamento delle attività economiche e sociali - mentre tutto il corpus normativo regionale, che è più recente, grava pesantemente sull'attività economica e sociale.
Vorrei sapere, quindi, che cosa ci si propone di fare per operare su questo corpus, perché, nell'ambito della semplificazione normativa, erano state avviate sia l'operazione «taglialeggi», sia un'operazione di semplificazione a livello regionale.
Sul federalismo fiscale mi astengo dall'intervenire. Abbiamo ricevuto la bozza che è stata presentata nella Commissione per le questioni regionali, che credo rappresenti il punto di partenza.
Ho letto un'intervista al Ministro Fitto in cui egli dichiarava - forse con qualche realismo, non voglio negarlo - che per attuare il federalismo sarà necessario molto tempo. Vorrei capire che cosa intendesse, quali analisi avesse alle spalle questa affermazione, quali siano le condizioni economico-ordinamentali perché il federalismo si esplichi nella sua pienezza e quale sia l'arco temporale che il Ministro ritiene necessario per portare a compimento il processo di riforma del federalismo fiscale.
GIUSEPPE CALDERISI. Signor presidente, anch'io ringrazio il Ministro per la sua presenza, per la sua esposizione e per la sua disponibilità.
Credo che il Ministro rivesta un ruolo che gli affida competenze su materie di estrema importanza, che indubbiamente caratterizzano questa legislatura.
Mi limito qui a rivolgergli due domande: una di merito, che riguarda la riforma costituzionale, ed una più di metodo, che riguarda invece la questione del federalismo fiscale. Su entrambe le questioni il Governo si appresta a presentare delle proposte e, quindi, è bene che si colga anche questa occasione per dare un contributo al riguardo.
Per quanto concerne la riforma costituzionale, in particolare, mi preme sottolineare una questione che è stata affrontata in maniera, a mio giudizio, assolutamente insoddisfacente sia nella proposta elaborata nella scorsa legislatura, sia in quella che fu sottoposta a referendum due legislature fa. Mi riferisco - tocco un punto obiettivamente difficile - al cambiamento del ruolo del Senato e dei senatori, quindi al paradosso del riformatore che deve riformare se stesso; obiettivamente è un grossissimo problema, che non si può sottovalutare e che bisogna comprendere.
La riforma, infatti, in prima lettura, metodologicamente - e credo giustamente - spetta al Senato: è stata operata questa scelta, ma credo che sia utile approfondire la discussione.
Il punto è che, se vogliamo che questa riforma sia soddisfacente, per quanto riguarda la possibilità di attuare un sistema di tipo federale nel nostro Paese, bisogna che questo Senato svolga, in particolare, un ruolo di raccordo tra Stato e regioni, ossia tra i due soggetti titolati a fare le leggi. Il problema fondamentale è capire chi fa che cosa.
Infatti, se vogliamo evitare il problema del contenzioso davanti alla Corte in chiave patologica e riportarlo in chiave fisiologica (anche se la sua portata è diminuita rispetto alla fase iniziale di attuazione del - a mio avviso - molto criticabile Titolo V), dobbiamo comprendere che esso non dipende solo dal riparto delle materie.
Sappiamo benissimo che, anche se facessimo l'elenco delle materie più bello di questo mondo, non ci sarebbe mai la possibilità di distinguere perfettamente le competenze perché, quando affrontiamo un problema, non affrontiamo mai una singola materia, ma anzi sul singolo problema convergono molte materie (alcune di competenza dello Stato, altre di competenza regionale, altre ancora di competenza concorrente) e il groviglio è inevitabile.
Bisogna, dunque, capire bene chi fa che cosa. A questo fine è fondamentale, a mio avviso, che nel Senato riformato - non voglio discutere se debba essere di primo o di secondo grado, perché è una questione molto complicata, cui i senatori dovranno fornire una soluzione, spero accettabile - il soggetto regionale titolato a fare leggi sia presente per mezzo dei presidenti di regione.
Se vogliamo responsabilizzare le regioni, far sì che il Senato sia sede di raccordo e fare in modo che gli accordi raggiunti non vengono contestati il giorno dopo in sede di Corte costituzionale, credo che ci sia questa necessità, perché sul piano delle intese riguardanti le leggi gli accordi devono essere raggiunti in sede parlamentare, non in sede di Conferenza Stato-regioni. Quest'ultima, infatti, dovrebbe occuparsi più degli ambiti amministrativi che non di quelli legislativi, che dovrebbero invece spettare alla sede di raccordo, ossia al Parlamento, al Senato.
Come si raggiunge un'intesa in Senato se non sono lì presenti entrambi i soggetti che devono fare le leggi? Io non sposo alcun modello, né quello del Bundesrat, né un altro, perché è inutile fare discorsi sui modelli, ma in ogni caso credo che questa presenza debba essere prevista.
L'errore del «testo Violante» - chiamiamolo così - o «testo Amici - Bocchino» è stato di aver previsto (a parte il Senato di secondo grado) una presenza dei consigli regionali. Che significato ha prevedere la presenza dei consiglieri regionali in Senato? Sappiamo benissimo, infatti, che il sistema parlamentare funziona con
la dialettica del continuum Governo e maggioranza da una parte e opposizione dall'altra.
Se vogliamo che l'intesa regga e che non sia disconosciuta dai presidenti di regione, bisogna che essa coinvolga i presidenti di regione stessi, e non dei consiglieri che non si sa bene chi rappresentino, in sede di Senato.
Credo che sia fondamentale approfondire questo aspetto e capire in che modo il Senato possa divenire effettivamente un Senato federale, al di là del nome e dell'etichetta, riuscendo a essere la sede di raccordo dove si decide chi fa che cosa.
Occorre anche uno strumento di elasticità, che rompa la rigidità degli elenchi. Occorre uno strumento di flessibilità, come ad esempio la clausola di salvaguardia nazionale o la clausola di supremazia. Tutti gli Stati federali hanno una «clausola di flessibilità» - io la chiamo così - che consente di stabilire chi fa che cosa, caso per caso, legge per legge, questione per questione, al di là della rigidità degli elenchi. Credo che questo sia fondamentale e vi prego di dedicare particolare attenzione a questo aspetto.
Concludo con una breve osservazione di merito sul federalismo fiscale. Si tratta di una questione che tutto il centrodestra - e, quindi, tutto il Governo e tutta la maggioranza - ha presentato agli elettori, impegnandosi in merito. In particolare, il Popolo della Libertà ha deciso di approfondire specificatamente questa questione.
Io rivolgo un invito a tutti i gruppi parlamentari - perché queste questioni possono riguardare trasversalmente ciascun gruppo - ad approfondire adeguatamente il tema anche presso i rispettivi soggetti politici.
Il Popolo della Libertà si farà carico, eventualmente, anche di formulare delle proposte, se lo si riterrà opportuno, o comunque di sviluppare un approfondimento: lo farà in proprio, nella specifica sede parlamentare. Se in questa Commissione sarà possibile svolgere tale approfondimento, credo che si affronterebbe una questione metodologica estremamente importante. Pur senza entrare nel merito, in questa sede, ripeto che si tratta di una questione che interessa tutta la maggioranza e, in particolare, il Popolo della Libertà, il quale intende farsi carico anche di aiutare il dibattito, eventualmente fornendo delle proposte e, se necessario, verificando in questa Commissione con quali strumenti il percorso possa essere facilitato.
Spero, però, che anche gli altri gruppi si muovano analogamente, riuscendo così a comporre problematiche che attraversano trasversalmente, io credo, tutti i gruppi parlamentari.
ORIANO GIOVANELLI. Signor presidente, mi unisco anch'io al ringraziamento al Ministro Fitto per la disponibilità manifestata nei confronti della nostra Commissione e colgo l'occasione per formulargli i miei auguri di buon lavoro.
Devo dire che da questo Ministero - ancorché ridimensionato nelle sue competenze, come giustamente evidenziava la collega Lanzillotta - noi ci aspettiamo un ruolo politico-istituzionale molto importante e molto forte. Non c'è dubbio che molte delle questioni che riguardano il nostro Paese e il suo futuro istituzionale, ma anche economico e fiscale, dipendono da come riusciremo a gestire l'attuazione del Titolo V, ossia le relazioni fra lo Stato, le regioni e il sistema delle autonomie.
Dico questo, signor Ministro, perché francamente a me non è bastato, dal punto di vista politico, ascoltare il suo collega Calderoli, l'altro giorno, nella Commissione bicamerale per le questioni regionali, rammaricarsi dell'abolizione dell'ICI sulla prima casa, quando proprio dal sistema delle autonomie era venuta una critica molto forte ad andare avanti su quella decisione.
Non mi basta nemmeno che lei registri la sua insoddisfazione rispetto alla gestione del decreto-legge n. 112 per le materie importanti che riguardano il rapporto tra lo Stato e le regioni, perché sono questioni troppo rilevanti - ai fini di un corretto dispiegarsi delle relazioni tra lo Stato centrale, le regioni e le autonomie - per essere soddisfatte soltanto da una
sorta di ammissione di colpa, piuttosto che di impotenza.
Solleciterei, quindi, un suo ruolo più attivo e più incisivo all'interno del Consiglio dei ministri, per far pesare - com'è giusto che sia - il sistema delle regioni e delle autonomie, nonché il principio della leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali.
Quando si rompe unilateralmente un patto come quello sottoscritto dallo Stato centrale e dalle regioni in termini di salute, ad esempio, si aprono dei varchi che hanno effetti pesanti sulle persone e sulle famiglie. Su questo lei avrebbe potuto giocare un ruolo non irrilevante, proprio nel quadro di una leale collaborazione.
Quando si fanno patti tra livelli istituzionali, tali patti devono essere onorati anche se sono stati sottoscritti da Governi di altro colore. Si possono, poi, impostare le politiche in un altro modo, però, finché quei patti sono in vigore, vanno onorati fino in fondo.
Posso rilevare la stessa cosa - anche se, ovviamente, la portata è minore - anche relativamente all'inopinato ed ulteriore taglio del Fondo ordinario per le comunità montane, a proposito del quale ho letto le sue dichiarazioni rese in sede di Conferenza unificata e messe a verbale.
Lei si è lamentato di questo taglio, riconoscendo, di fronte all'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani (UNCEM) che tale atto è stato scorretto nei confronti del sistema delle comunità montane, essendo stato compiuto, oltretutto, proprio mentre è in corso la loro riforma.
Proprio mentre voi, col «decreto mille proroghe» mettete a loro disposizione altri mesi per portare a termine detta riforma, tagliando progressivamente il loro fondo ordinario di funzionamento le state mandando verso il dissesto finanziario, del quale, ovviamente, dovremo poi farci carico tutti. D'altra parte, però, con un atteggiamento schizofrenico, prorogate i tempi per la loro auto-riforma che, tra l'altro, avevamo avviato noi con la legge finanziaria per il 2008.
Dico ciò perché questi dibattiti e queste discussioni hanno, sì, rilevanza rispetto ad approfondimenti importanti su questo o quell'articolo della Costituzione che dobbiamo applicare, ognuno per le proprie competenze, ma poi c'è la politica, c'è la sostanza delle cose: non ci sono soltanto le norme. A me sembra che su questo punto siamo proprio partiti con il piede sbagliato.
Analogamente, direi che si può richiamare lo stesso giudizio in merito alla questione dei servizi pubblici locali, sulla quale non aggiungo niente rispetto ad un giudizio che è stato ampiamente condiviso anche da opinionisti che si occupano di questa materia.
Con quella modalità avete introdotto surrettiziamente una riforma dei servizi pubblici locali, che sapevamo essere così complessa, in particolare proprio nel rapporto con quelle autonomie che detengono quote parziali o totali di tali società; e avete sostanzialmente chiuso la porta ad un'effettiva possibile riforma del comparto dei servizi pubblici locali.
Ciò significa aver messo una pietra - speriamo non tombale - su un tema che avrebbe potuto essere giustamente affrontato attraverso un disegno di legge ordinario, sul quale avremmo ovviamente avuto un confronto duro, anche con alcune posizioni interne allo stesso sistema delle autonomie, ma che probabilmente ci avrebbe permesso di elaborare una sintesi un po' più avanzata rispetto a quella che è stata trovata e che, sostanzialmente, lascia le cose assolutamente inalterate.
Anch'io ho letto - e concludo - la sua intervista sul federalismo fiscale e ne sono rimasto un po' preoccupato, perché lei, se non ricordo male, ha sostanzialmente detto che una cosa è il disegno di legge delega, altra cosa sono i decreti delegati attuativi del disegno di legge delega. Per il primo, i tempi possono essere quelli indicati dal Ministro Calderoli, mentre per gli altri ci vorrà molto più tempo.
Mi consenta una malignità: se qui qualcuno pensa di dare in pasto il disegno di legge delega sul federalismo fiscale alla Lega Nord - ma io non mi limito a questo
e dico anche: al sistema delle regioni e delle autonomie locali - per poter alzare la bandiera del federalismo fiscale, giocando però poi al rinvio continuo sui decreti delegati di attuazione del disegno di legge stesso, sappiate che, per quanto ci riguarda, noi non staremo a questo giochino, ma anzi incalzeremo con forza la maggioranza ad essere coerente. Occorre stabilire dei tempi certi, entro i quali portare a termine il lavoro sul federalismo fiscale.
Ovviamente è ben evidente da dove possano venire gli intralci e i rinvii. Se avete problemi di maggioranza, dovete gestirveli da soli. Certo, per quanto riguarda noi, siamo interessati a che quel disegno venga portato a termine quanto prima, per uscire da questa situazione di indeterminatezza, di limbo e di progressiva irresponsabilità perché, nel frattempo, con la manovra che avete fatto, voi avete tolto autonomia tributaria agli enti locali.
Su questo punto, signor Ministro, benché lei possa certamente essere, per il ruolo che ricopre, la figura realista che garantisce l'approfondimento del dibattito, lei non può però certo essere la figura che frena.
In secondo luogo, lei può pretendere - questo, forse, sì - dal Ministro Calderoli che la delega venga scritta in modo molto più dettagliato di quanto non sia già, in modo tale che alcuni princìpi siano molto più circoscritti; che ci sia molta più certezza rispetto al risultato finale del disegno di legge sul federalismo fiscale; che esso non sia la semplice enunciazione dei princìpi contenuti nell'articolo 119 della Costituzione.
Lei dovrebbe poi farsi carico, sempre relativamente all'approvazione del disegno di legge sul federalismo fiscale, del fatto che, strada facendo, i decreti delegati attuativi siano sottoposti alla discussione - che non potrà assolutamente essere marginale - nelle Commissioni competenti ed anche nel sistema delle regioni e delle autonomie.
Questo è quanto ci si aspetta da lei, signor Ministro.
Infine, si è parlato del Senato federale, rispetto alla cui urgenza non aggiungo nient'altro. Dico solo che lei, intanto, può forse avere un ruolo attivo - l'ascolteremo domani, mi pare, nella Commissione bicamerale per le questioni regionali - nel sollecitare i Presidenti delle Camere sulla modifica dei regolamenti parlamentari, relativamente all'attuazione dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. La Commissione bicamerale per le questioni regionali, infatti, invece di essere quella poca cosa che oggi è, potrebbe diventare una sede integrata con le rappresentanze delle regioni e delle autonomie ed avere così un ruolo di interlocuzione vera con il sistema.
MAURIZIO BIANCONI. Signor presidente, anch'io ringrazio il Ministro per la sua comunicazione. Egli ha ampia esperienza nella materia, avendo esercitato la funzione di presidente di una regione, quindi sa bene di cosa si parla.
Vorrei porre l'accento su un problema che è stato trattato solo a volo d'uccello ma che, invece, ha rischiato e rischia di mettere gravemente in discussione i rapporti già complessi fra Stato e regioni, ossia i ricorsi alla Corte costituzionale.
I colleghi sapranno che, molte volte, questi ricorsi sono stati usati, non tanto per il contenuto che essi avevano in sé, quanto per il significato politico che rivestivano. A seconda dei Governi che si susseguivano a Roma, ci sono state regioni che hanno incentivato o disincentivato i rispettivi ricorsi, in relazione alla fruibilità politica degli stessi.
Da questo emerge un errore fondamentale - o un atto di eccessiva buona fede - presente nell'articolo 117, che prevede troppa legislazione concorrente. Da parte dello Stato c'è una malintesa interpretazione della sovranità, connessa alla sua sovraordinazione gerarchica che è patrimonio culturale della politica italiana. Non si rispetta l'eguaglianza e la sussidiarietà degli enti, perché abbiamo alle spalle una politica ormai plurisecolare di sovraordinazione dello Stato, tale per cui, non appena una regione fa qualcosa in più di quanto
stabilito, l'intero apparato statale si difende, cerca di conservarsi e di ristabilire la propria sovranità. È un fatto culturale, prima di tutto.
Questo è un problema serio che, secondo me, i costituenti hanno voluto demandare a una sorta di chiarificazione in progress, attraverso un'iperattività della Corte costituzionale. Rispetto a questo disegno però, si è poi manifestata la lotta politica, con i risultati che dicevo e con quel difetto culturale che ho sottolineato.
Effettivamente oggi buona parte del lavoro che dovrebbe fare la Conferenza Stato-regioni - avevo sentito parlare di una sorta di conciliazione dei temi - consiste nel raggiungere un'intesa di fatto sulle materie concorrenti e sui relativi limiti, non coinvolgendo più di tanto il contenzioso, che non dura un mese, ma anni e che comporta il fermo delle attività amministrative e di governance in attesa dell'esito del ricorso. Mi permetto di dare questo consiglio.
Per essere chiaro, voglio fare una premessa di carattere generale, perché quando arriveremo a parlare di queste cose le intese saranno molto più trasversali di quanto le rispettive appartenenze politiche non lascino prevedere, fatte salve le discipline di partito che saremo poi eventualmente tenuti ad osservare.
Tutto nasce da un errore culturale di fondo: in Italia abbiamo sempre parlato di federalismo, sebbene nel nostro Paese non si farà mai e non si può fare il federalismo, perché esso prevede che ex pluribus si passi ad unum, mentre da noi si va ex uno ad plures. Il processo è cioè inverso: non c'è il foedus di cessione di sovranità convenuto, ma c'è uno Stato dotato di tutte le sovranità, il quale ha progressivamente rilasciato alcune di esse a enti che, in qualche modo, gli sono sempre stati sotto ordinati.
In questo modo, attraverso questa confusione semantica, si è fatta anche una confusione normativa perché, in realtà, noi abbiamo dato luogo, più che altro, a un decentramento, ma non abbiamo ancora creato le autonomie, considerato che l'autonomia impositiva e tutto ciò che viene chiamato federalismo fiscale è, per adesso, in buona parte, soltanto nella Costituzione.
Se noi capissimo che dobbiamo dar luogo, anche culturalmente, a un processo di realizzazione dell'autonomia, nell'ambito di un contesto nel quale, allargandosi i confini degli Stati nazionali all'Europa e allargandosi le visioni economiche in seno alla globalizzazione, i territori hanno sempre più bisogno di Governi efficienti, vicini ai loro interessi, ma con pari facoltà normative e impositive, allora potremmo fare una cosa serena.
Se invece facciamo tutto questo spinti dalle urgenze di chi vuole il federalismo fiscale in tre minuti e di chi vuole utilizzare la realizzazione del federalismo fiscale - lo chiamo così, pur non approvando questo nome - per vedere se è un grimaldello capace di sfasciare la maggioranza; se facciamo questa operazione in corsa, perché la nave va e non si può fermare in cantiere; ecco che, allora, con tutte queste urgenze, con il conflitto permanente in sede di Corte costituzionale, che non mette a posto le cose, io temo che arriveremo a ingenerare una gran confusione senza risolvere nulla. Secondo me, occorrono, dunque, molta misura e molta responsabilità.
Svolgerò ora un'ultimissima osservazione sul Senato delle regioni. La nostra Conferenza Stato-regioni è un simulacro di fotocopia del federalismo esecutivo e non possiamo farne un sistema di Senato. In Italia il sistema assembleare è tipicamente intermedio tra il potere degli esecutivi e il popolo. Non usiamo il nome di una cosa che non esiste nella tradizione costituzionale e istituzionale italiana, a differenza di quella germanica. In Germania - non ne sono certo, ma così mi si dice - il capogruppo vota per tutto il gruppo, mentre qui siamo in una situazione ben diversa.
Non facciamo, dunque, il Senato delle regioni, se questo deve essere una fotocopia un po' meno slavata della Conferenza Stato-regioni. Il Senato lo elegge il popolo, altrimenti facciamo un'altra cosa: decidiamo se il Senato serve a qualcosa oppure
se non serve a nulla e, in tal caso, rafforziamo la Conferenza Stato-regioni ma, per favore, non prendiamoci in giro.
SALVATORE VASSALLO. Signor presidente, anch'io ringrazio il Ministro Fitto per la sua disponibilità.
Poiché altri argomenti sono già stati trattati, vorrei rivolgere al Ministro una domanda molto specifica, che probabilmente gli darà la possibilità di sviluppare un argomento a cui ha solo accennato, a proposito del federalismo fiscale.
Così come ha fatto in altri interventi pubblici, il Ministro ha detto - cito a memoria, forse in maniera imprecisa - che il progetto del Governo dovrà prevedere un sistema di perequazione finanziaria verticale tra le regioni, che faccia perno intorno al ruolo «redistributivo» dello Stato.
Vorrei chiedere al Ministro se l'uso del tempo futuro, riferito a questo tema, vada inteso nel senso che lo schema attuale del disegno di legge proposto dal Ministro Calderoli deve essere in qualche modo ritoccato o ripensato, a questo riguardo; e, in particolare, se la modifica debba avvenire in linea con la filosofia espressa in maniera piuttosto chiara nella relazione che accompagna il testo stesso, laddove si dice che è necessario contemperare il principio di eguaglianza con quello della sana amministrazione.
Questo argomento ritorna spesso nella relazione, dove si legge che «una semplice forma di monitoraggio multilaterale può far leva sul contrasto di interessi tra le regioni che finanziano il fondo perequativo e le regioni che ricevono i contributi perequativi, in quanto le prime hanno interesse, se non a limitare i trasferimenti perequativi, quantomeno a sollecitare un impiego produttivo dei fondi da parte delle regioni riceventi».
Qui la filosofia sembra - da un certo punto di vista, anche ragionevolmente - voler incentivare la sana amministrazione attraverso un esplicito contrasto-conflitto di interessi tra le regioni che alimentano il fondo e quelle che ne beneficiano. D'altro canto questo è reso tecnicamente dal fatto che - come dice l'articolo 6, comma 1, lettera a) di questo progetto - il fondo perequativo è alimentato dai gettiti prodotti, nelle singole regioni, dalla compartecipazione regionale al gettito dell'IVA e dall'addizionale regionale all'IRPEF.
La filosofia rintracciabile nella bozza presentata dal Ministro Calderoli sembrerebbe puntare ad una perequazione orizzontale, più che ad una verticale.
Le chiedo se può essere specifico su questo punto: quando lei dice che il progetto del Governo dovrà, alla fine, prevedere un sistema di perequazione verticale che faccia perno sullo Stato, lei ritiene che questo principio sia già contenuto nella filosofia della bozza Calderoli oppure ritiene che, a questo riguardo, sia necessario, nelle prossime settimane o nei prossimi mesi, un'ulteriore riflessione da parte della maggioranza e del Governo?
JOLE SANTELLI. Signor presidente, contrariamente a quanto hanno detto altri colleghi - soprattutto il collega Giovanelli, - mi auguro che lei non intenda interpretare il suo Ministero come una sorta di sindacato delle regioni ma, al contrario, come un effettivo elemento di cerniera, anche per dargli un significato politico vero e proprio.
È evidente che in questo elemento di cerniera le richieste e le pretese da parte delle regioni sono spesso sovraordinate, mentre troppo poco, al contrario, sono sottolineate le grandi lacune riscontrabili nella loro attività.
Per riferirmi a quanto ha detto il collega, è vero che ci sono stati dei tagli, ma è altrettanto vero che buona parte del deficit pubblico deriva non tanto da spese che lo Stato può controllare ma, al contrario, da una divaricazione tra i finanziamenti ottenuti e la gestione della spesa, non sempre in presenza di un reale rendiconto.
Sulla base di queste considerazioni, signor Ministro, vorrei chiederle - sebbene la competenza rispetto agli enti locali sia passata, in qualche modo, al Ministero dell'interno, in ogni caso ci sono, ovviamente, anche forti ambiti di rilevanza del
suo Ministero - se sia possibile affidare il controllo della finanza locale alle regioni, considerato che l'attuazione del Titolo V ha tolto allo Stato qualsiasi elemento di controllo. Di fatto, la spesa pubblica degli enti locali è oggi totalmente fuori controllo e, soprattutto, non abbiamo alcuna possibilità preventiva di intervento: possiamo soltanto attenderne il dissesto.
Ebbene, vorrei chiederle - al di là delle indicazioni e delle pretese da parte delle regioni, che conosciamo - quali doveri e quali contributi in più, sia in termini di conferenze, sia in termini di dialogo, si possano chiedere alle regioni, proprio per assicurare un virtuosismo reale e politico e per non arrivare, nell'allargamento delle competenze, agli effetti distorsivi che tutti temiamo.
PIERGUIDO VANALLI. Signor presidente, vorrei innanzitutto esprimere il mio compiacimento per il fatto di essere in questa Commissione e di poter sentire esponenti di tutti i gruppi parlare di federalismo e mostrarsi così ben disposti a tal riguardo.
Naturalmente, dopo le alterne vicende che si sono registrate in questi anni, l'aspettativa in tal senso c'è, sebbene a volte le parole spese siano state rimangiate, ragion per cui il risultato finale non è stato quello sperato.
Il mio auspicio è che questa Commissione, alla pari delle altre che sono investite del problema, possa lavorare per arrivare in fretta a questo traguardo, che i vari gruppi si sono adesso detti disponibili a raggiungere.
Vorrei, inoltre, porre una domanda ben precisa al Ministro, relativamente alla perequazione verticale, a cui faceva poc'anzi riferimento il collega. Vorrei sapere se il Ministro ritenga che il risultato finale di questa perequazione verticale, visto che essa prevede un passaggio da una regione più ricca ad una più povera, corrisponda ad uno spalmare il gettito su tutte le regioni e, quindi, a un'opera di livellamento; oppure se, invece, il risultato finale possa essere una sorta di graduatoria, in base alla quale poter stabilire quale regione sia stata la più «virtuosa», riconoscendole tale ruolo e il primato nella classifica.
Ripeto, vorrei capire se tale meccanismo ci conduca invece a ritenere che siamo tutti a pari merito e, quindi, se esso rappresenti un disincentivo per la regione virtuosa a darsi da fare, considerato che farebbe tutto per ottenere niente. Questo è, terra terra, il mio ragionamento: non vorrei che la perequazione verticale portasse a questo risultato.
PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Fitto per la replica.
RAFFAELE FITTO, Ministro per i rapporti con le regioni. Grazie. Ho ascoltato con grande attenzione gli interventi dei colleghi, che ringrazio, perché da ciascuno di essi sono emersi in modo molto chiaro diversi contributi alla mia relazione introduttiva.
Visto che i temi toccati sono vari e numerosi, vorrei dare rapidamente qualche risposta e qualche chiarimento, onde evitare che possano esserci interpretazioni particolari.
In primo luogo, si è parlato di un ridimensionamento del mio Ministero. La delega che mi è stata attribuita è una delega differente da quella del Ministro precedente, ma anche da quella ricoperta, ancora prima, dall'onorevole La Loggia.
Tale delega non risente di scelte particolari, ma solo dello spacchettamento dei ministeri e di quanto stabilito dall'ultima legge finanziaria, varata dal precedente Governo, anche nella sua fase di attuazione.
In secondo luogo dobbiamo ricordare che, talvolta, l'aver assegnato ad un Ministro la delega in materia di autonomie locali non ha portato, di per sé, a nulla di particolare, se non a far rivestire un ruolo politico al Ministro in questione (che pure non è cosa da mettere in discussione, per carità). Con la scelta e con il confronto sereno che abbiamo avuto a tal riguardo, abbiamo invece ristabilito delle condizioni precise all'interno della delega. Lo dico perché non penso che, su questo tema, i risultati a cui l'accorpamento della delega
ha complessivamente portato in questi ultimi anni siano tali da ritenere funzionale l'accorpamento stesso.
Diverso è l'auspicio, fatto dalla collega Lanzillotta, relativo alle modalità di attuazione dell'articolo 118 e alla possibilità di immaginare un ruolo complessivo. Tali obiettivi, secondo il mio punto di vista, non possono certamente essere delineati e definiti con una delega da parte del Consiglio dei ministri, in assenza di una normativa a supporto dell'attuazione di tale delega.
La seconda questione che vorrei chiarire è collegata al tema della riforma delle conferenze. Non mi addentrerò in una serie di considerazioni che sono state fatte, che sono molto interessati e che ci vedranno dibattere e discutere nei prossimi mesi e nei prossimi anni in materia di riforma costituzionale, la quale riguarderà inevitabilmente, di fatto, il ruolo delle conferenze.
Questa mia riflessione è collegata solamente alla necessità di individuare - proprio perché la riforma costituzionale avrà i suoi tempi - delle modalità che potrebbero anche essere recuperate sulla base di un disegno di legge organico di riorganizzazione delle conferenze, al cui interno, com'è noto, coesistono punti di vista diversi e divergenze, che proprio la collega Lanzillotta ha verificato direttamente negli anni.
Siccome mi accompagna l'esperienza di cinque anni da presidente di regione, la mia visione delle cose comprende sia una parte del tavolo, sia l'altra; cerco, quindi, di differenziare le posizioni e di comprendere fino a che punto la rivendicazione di una parte del tavolo sia legittima e fino a che punto, invece, ecceda rispetto alla legittimità.
Il tema del ruolo delle conferenze è, quindi, abbastanza delicato ed è inimmaginabile riprenderlo in una logica di non totale collaborazione con il sistema delle regioni e delle autonomie locali. Penso che immaginare di varare un disegno di legge non condiviso, da portare in questa Commissione e, poi, in Aula, sia probabilmente una perdita di tempo, perché questo alimenterebbe divisioni e contrasti, ma non realizzerebbe l'obiettivo che ci proponiamo nel momento in cui chiediamo che le conferenze funzionino in forma e modalità differenti.
Venendo al tema delle leggi regionali, anche in riferimento al «taglialeggi» e agli obiettivi che ci si è posti nell'ambito della riorganizzazione e del proliferare delle leggi regionali, in ogni Consiglio dei ministri si portano all'attenzione dei membri circa una trentina di leggi: due o tre per essere impugnate e le altre senza impugnativa, ma la mole e anche la qualità delle leggi regionali certamente non aiutano sul fronte della semplificazione legislativa. Talvolta si varano, anzi, delle leggi eccessivamente specifiche su materie e aspetti che non agevolano il rapporto del cittadino con le istituzioni.
È chiaro che, su questo, il mio ruolo può essere solo di stimolo e coordinamento ma, sulle materie di loro competenza, l'autonomia legislativa resta in capo alle regioni e consente loro di legiferare in forma del tutto autonoma su quelle che ritengono essere le loro necessità e ragioni di opportunità, per come sono determinate dalla giunta regionale o dal consiglio regionale. Nel merito di questo, evidentemente, non si può entrare.
Fatte queste premesse, vorrei però tornare ora a considerare due o tre aspetti che sono stati oggetto di alcuni interventi mirati.
Il primo è collegato alla mia insoddisfazione circa il rapporto fra Stato e regioni, alla quale avrei fatto riferimento nel mio intervento iniziale.
Ci sono due possibilità di interpretare il rapporto tra Stato e regioni. Tecnicamente e legislativamente, il rapporto con le regioni previsto dal decreto-legge n. 112 è stato rispettato, nell'ambito dei passaggi previsti dalla Conferenza, dal punto di vista della tempistica.
C'è, però, una questione di opportunità che emerge laddove il testo di un decreto-legge viene messo all'ordine del giorno della Conferenza unificata e, fino al giorno in cui lo si discute in quella stessa Conferenza, intervengono degli emendamenti
che ne modificano sostanzialmente i contenuti. Ecco che, allora, si pone un problema di opportunità, che mi ha personalmente portato ad esprimere il giudizio al quale ho fatto riferimento all'inizio.
Il giudizio riguardava la necessità - fermo restando il rispetto dei tempi parlamentari, delle previsioni regolamentari circa l'iscrizione all'ordine del giorno dei provvedimenti, dei tempi stabiliti per la formulazione dei pareri, procedure che evidentemente non possono essere messe in discussione - di ritagliare uno spazio di carattere maggiormente politico, per cercare di rendere fertile il terreno di confronto con le regioni, le province, i comuni e le comunità montane, evitando di giungere ad una fase in cui il contrasto si amplia.
Alcune cose vanno però chiarite, e lo dico anche al collega Giovanelli.
La prima questione riguarda il patto per la salute. Non inseguiamo considerazioni generali, perché noi non abbiamo violato il patto per la salute: su questo io voglio essere molto chiaro. Il patto per la salute, sottoscritto con il Governo Prodi da parte delle regioni, riguardava gli anni 2007, 2008 e 2009. Nella fase iniziale, ossia nella proposta di decreto di accompagnamento al DPEF, questo patto prevedeva un taglio di un miliardo sul Fondo. Tale circostanza è poi rientrata, ed è rimasto aperto esclusivamente il tema molto controverso e discutibile della copertura del ticket. Il precedente Governo dapprima ha inserito questa misura e poi, a metà percorso, l'ha sospesa, creando una condizione per la quale ha trovato una copertura per gli 834 milioni di euro di riferimento a valere sulle risorse del cofinanziamento dei fondi strutturali.
Dico ciò perché noi non possiamo immaginare di affrontare il tema con una formula differente. Abbiamo compiuto uno sforzo importante, dando una copertura del 50 per cento a quella previsione, ma l'impianto complessivo dell'accordo, che prevedeva quel tipo di copertura e quelle modalità, rimane comunque molto discutibile. Se, in considerazione di questo, vogliamo dire che il Governo ha messo in discussione il patto per la salute, diciamo una cosa non esatta, dal mio punto di vista.
Quanto agli anni 2010-2011, il Governo non ha operato un taglio - anche su questo bisogna essere molto chiari - bensì ha previsto un minor trasferimento per l'adeguamento del Fondo, rispetto alle aspettative delle regioni. Si tratta, quindi, di una minore crescita dei trasferimenti al Fondo (che saranno pari a 2 miliardi nel 2010 e a 3 miliardi nel 2011), che riporta il quadro di riferimento alle sue questioni originali.
A partire da questo, vorrei svolgere una seconda considerazione, inerente al taglio sulle comunità montane, che è stato operato nottetempo in Commissione bilancio, dopo che, ad un'ora tarda della notte, io mi ero allontanato (Commenti dei deputati Linda Lanzillotta e Roberto Zaccaria).
Questo è avvenuto a fronte di un rapporto molto positivo con le comunità montane e con l'UNCEM: si è passati da una visione ad un'altra e la proposta di inserire la proroga di ulteriori mesi nel «decreto mille proroghe» è stata fatta da me in Consiglio dei ministri, perché alcune regioni non avevano rispettato il termine entro il quale legiferare sulla riorganizzazione delle comunità montane.
Diciamoci le cose come stanno: non è stato il Governo a fare qualcosa, ma sono state alcune regioni a non aver rispettato i tempi della riforma legislativa regionale di riorganizzazione delle comunità montane. La proroga è stata, quindi, varata in quella direzione: per offrire un quadro complessivo di riferimento sulle comunità montane - giungo così a toccare un altro tema che è stato sollevato - nel momento in cui si affronterà il codice delle autonomie. Su questo troveremo insieme al Ministro Maroni - che interverrà per la parte di sua competenza - un punto di valutazione comune, da sottoporre poi all'attenzione e alla discussione della Conferenza unificata, presieduta da chi vi parla, quale Ministro per i rapporti con le regioni. Su questo tema, dunque, vi sarà la presenza specifica e costante del Ministro Maroni, con cui lavorerò in perfetta sintonia, senza alcuna difficoltà.
Avviandomi alla conclusione, passo ora al tema del federalismo fiscale, per rispondere alle diverse considerazioni svolte.
Vorrei partire da una riflessione legata all'intervista che è stata richiamata, non sfuggendomi le valutazioni di carattere politico ed anche le sensibilità differenti che vogliono essere evidenziate su questo.
Nella mia intervista - lo ripeto senza alcun problema - alla domanda che mi chiedeva se il federalismo fiscale sarebbe partito dal gennaio 2009, ho risposto che, a mio parere, è molto difficile poter affermare che questo accadrà, anche qualora noi procedessimo rapidamente, bruciando tutti i tempi e andando incontro a qualsiasi esigenza. Stiamo infatti parlando di un disegno di legge delega, che sarà collegato alla legge finanziaria; che sarà approvato, se tutto andrà secondo l'iter previsto, entro il 31 dicembre; cui seguiranno i decreti legislativi di attuazione, che sono una fase molto articolata, dal punto di vista tecnico.
Questo è il senso delle mie considerazioni sulle materie indicate. In merito, ho citato anche considerazioni di persone diverse dal sottoscritto, per le quali, rispetto alle previsioni, c'è la possibilità che il federalismo fiscale vada a regime già dall'anno successivo al 2009.
Sull'altro tema che è stato affrontato - dal collega Vassallo, se non sbaglio - mi limito ad alcune considerazioni collegate al tema della perequazione. Noi siamo in presenza di un testo predisposto dal Ministro Calderoli che è oggetto di una riflessione con le regioni, con i comuni, con le province e con l'opposizione e che sicuramente vedrà proposte di modifica e di integrazione. Certamente non è un testo blindato, per cui nessun Ministro, nessun componente del Parlamento o nessun rappresentante delle regioni potrà dire alcunché: non è così, tant'è che abbiamo iniziato un percorso lungo il quale accoglieremo suggerimenti al riguardo.
All'inizio io mi sono limitato a dire delle ovvietà, che ora ribadisco. Stiamo parlando di un disegno di legge che deve fare riferimento alle previsioni costituzionali: ci si muove in quell'ambito. Se mi ponete la domanda rivoltami dai colleghi Vanalli e Vassallo sull'applicazione della perequazione, vi rispondo che noi stiamo attivando il processo del federalismo fiscale non solo perché è una rivendicazione politica, ma perché c'è l'esigenza chiara di ottenere due risultati fondamentali: il miglioramento della qualità della spesa pubblica e una responsabilizzazione delle classi dirigenti sul territorio.
Questi due elementi racchiudono forse, in sintesi, i ragionamenti che andremo a fare nell'ambito della fase di attuazione. Se la domanda riguarda invece la perequazione, non dobbiamo porcela tra di noi e la risposta in merito non posso darla né io, né alcun altro, ma solo la Costituzione e, più precisamente, la lettera e) del comma secondo dell'articolo 117, laddove si annovera la perequazione tra le competenze esclusive dello Stato.
È evidente che il principio della perequazione, che deve essere portato avanti, si regola a partire da questo articolo; così come è evidente che, nell'ambito del processo di ridefinizione complessiva del quadro nazionale rispetto al tema della perequazione, l'addizionalità delle risorse speciali, previste dal comma quinto dell'articolo 119 (mi riferisco, per esempio, alle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate e alle risorse comunitarie), rispetto alla quantificazione complessiva del tema, è un altro elemento la cui risposta non viene dal Ministro o dal parlamentare, bensì dalla Costituzione.
Ebbene, in quest'ambito noi lavoriamo per predisporre un testo che consideri le diverse posizioni presenti nel Paese (anche le dichiarazioni del Ministro Calderoli vanno in questa direzione, così come quelle di tutti gli esponenti del Governo, perché non può che essere così); che sia coerente con la Costituzione, visto che è un disegno di legge; e, soprattutto, che sia in condizione di rispondere a tutte le differenti esigenze che emergono nell'intero Paese, nell'ambito delle previsioni costituzionali.
Sul tema della perequazione è evidente che la risposta si trova nell'ambito delle previsioni costituzionali. Parimenti, sulle
altre questioni alle quali si può fare riferimento, penso che ci sia l'esigenza di guardare con attenzione al lavoro molto positivo che è stato svolto in passato. Visto che nel testo si parla di una cabina di regia, penso che recuperare il lavoro della Commissione Vitaletti sarebbe una buona base di partenza.
Da presidente della regione, in quella fase, ho seguito quel percorso e mi sono confrontato sul lavoro prodotto dalla Commissione Vitaletti che, a mio avviso, rappresenta una buona base di partenza sulla quale costruire anche gli aspetti collegati ai decreti legislativi di attuazione.
Le cose che noi diciamo, infatti, hanno una loro proiezione numerica sulla base delle indicazioni che dovessero poi emergere. Credo che, anche su questo, sia indispensabile individuare degli elementi di riflessione e di approfondimento da inserire all'interno del disegno di legge.
Penso che su queste questioni ci sia un problema complessivo, collegato al rapporto tra le regioni, il Governo e il sistema delle autonomie locali. Non sfugge a nessuno, infatti, che il confronto sulle tematiche del federalismo fiscale trova un'interlocuzione differente se affrontato con le autonomie locali, con i comuni e con le province o se questa discussione viene articolata con le regioni. C'è anche un problema di rapporti tra le diverse istituzioni locali, che costituisce un altro elemento molto importante, da tenere nella debita considerazione, e che deve riguardare anche le scelte specifiche.
Penso che sul tema ci sarà la necessità di ritornare a confrontarsi, proprio perché si è scelto di percorrere una strada diversa da quella più affrettata, percorsa con alcuni altri provvedimenti. Si è scelta la strada di un confronto preventivo: le regioni, le province e i comuni avranno una bozza di testo sulla quale iniziare ad interloquire, a discutere e a dare indicazioni. Ci sarà un confronto più ampio con l'opposizione, da parte del Governo, e si predisporrà un testo di disegno di legge frutto di questo confronto preventivo che, quindi, agevolerà l'iter parlamentare, se è vero - come è vero - che sarà predisposto sulla base di questa fase di confronto preventivo, a mio avviso molto utile ed importante.
Da parte mia, signor presidente e onorevoli colleghi, su questo c'è la piena disponibilità a ritornare in questa Commissione per continuare a confrontarci proficuamente e ad avere tutti gli stimoli e i suggerimenti utili che sono emersi anche nel corso dell'incontro di oggi e per i quali vi ringrazio.
PRESIDENTE. Siamo noi che ringraziamo il Ministro Fitto, anche per i chiarimenti forniti.
Siamo riusciti a contenere il tutto nei tempi previsti, nonostante i numerosi interventi che i colleghi hanno voluto svolgere in maniera molto appropriata (di questo li ringrazio veramente). Abbiamo così aperto una ulteriore «finestra» sui lavori che proseguiranno da settembre in poi.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.