Sulla pubblicità dei lavori:
Stefani Stefano, Presidente ... 3
Audizione del Ministro dell'interno, Roberto Maroni, sui recenti sviluppi degli eccezionali flussi migratori dalla Tunisia e dalla Libia e sulle iniziative che il Governo intende assumere in materia di immigrazione (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Stefani Stefano, Presidente ... 3 12
Maroni Roberto, Ministro dell'interno ... 3
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dell'interno, Roberto Maroni, sui recenti sviluppi degli eccezionali flussi migratori dalla Tunisia e dalla Libia e sulle iniziative che il Governo intende assumere in materia di immigrazione.
Saluto e ringrazio il presidente Bruno e i colleghi presenti della Commissione affari costituzionali.
Ringrazio naturalmente il Ministro Maroni della consueta disponibilità a tenere sempre aggiornato il Parlamento sull'evoluzione della situazione nell'ambito dello straordinario impegno politico-istituzionale ed amministrativo che sta profondendo per fronteggiare la crisi in corso.
L'odierna audizione fa seguito all'informativa urgente resa giovedì scorso, all'indomani della sottoscrizione da parte dello stesso Ministro Maroni di un nuovo importante accordo con la Tunisia, nonché alla riunione di ieri del Consiglio affari interni dell'Unione europea sul cui esito il Ministro vorrà senz'altro riferire in Parlamento.
Do la parola al Ministro Maroni.
ROBERTO MARONI, Ministro dell'interno. Grazie, presidente. Illustrerò i recenti sviluppi degli eccezionali flussi migratori dalla Tunisia e dalla Libia e le iniziative che il Governo ha assunto e intende assumere in questa materia, dividendo l'intervento in cinque parti: una premessa, un'informativa sul numero degli sbarchi e sui primi interventi, l'accordo che abbiamo raggiunto con le regioni, il permesso di soggiorno temporaneo, le iniziative internazionali e gli accordi bilaterali, in particolare quello con la Tunisia.
Ci troviamo di fronte a una grave crisi geopolitica, che dal finire dello scorso anno sta interessando, con un susseguirsi di avvenimenti, tutti i Paesi della sponda sud del Mediterraneo e del Medio Oriente. Si è partiti da una rivolta, poi rientrata, in Algeria; si è poi avuta la rivoluzione in Tunisia, quindi in Egitto, e via via nei principali Paesi del Maghreb fino allo Yemen, per culminare poi negli sviluppi militari in Libia, che hanno trasformato il bacino mediterraneo in uno scenario bellico.
Questa crisi politica ha portato alla caduta dei vecchi regimi e, al momento, non è facile intravedere le prospettive e lo sviluppo di questa situazione. Non ho mancato di avvertire, fin dal primo sorgere
di queste manifestazioni, come l'evoluzione degli avvenimenti avrebbe determinato il rischio di un ingente spostamento di persone dall'area del Maghreb al nostro Paese.
Il Governo è intervenuto subito, nominando un commissario del Governo per pianificare una serie di interventi al fine di garantire non solo l'accoglienza dei cittadini extracomunitari, in maggioranza clandestini, ma anche la sicurezza dei cittadini italiani.
È stata istituita un'unità di crisi al Viminale per seguire costantemente l'evolversi della situazione. Abbiamo assunto, inoltre, una serie di iniziative su tre fronti: il fronte interno, dialogando con le regioni e gli enti locali; il fronte europeo, interagendo con l'Unione europea e gli altri Stati membri, in particolare con la Commissione; il fronte internazionale, offrendo collaborazione ai Paesi di provenienza degli immigrati.
Sul fronte interno abbiamo coinvolto le regioni e gli enti locali in un tavolo, prima al Viminale poi a Palazzo Chigi, per definire insieme un piano di distribuzione dei profughi sull'intero territorio nazionale. Il 30 marzo il Governo ha concluso un accordo in Conferenza unificata, che prevede una distribuzione secondo il criterio della popolazione, un criterio oggettivo, in tutte le regioni escluso l'Abruzzo. Dal maggio 2009, a seguito dell'accordo stipulato tra l'Italia e la Libia, il flusso di sbarchi di immigrati era quasi cessato, passando da 39.000 persone nel 2008 a 450 nel 2009.
Questo accordo, come è ovvio ed evidente, oggi non è più applicato dalle autorità libiche. La guerra che si è scatenata ha impedito persino ai trafficanti di riprendere la tratta. Tuttavia, recenti informazioni ci dicono che, purtroppo, nonostante le operazioni militari in corso, quel canale attraverso il quale vengono inviate persone provenienti dai Paesi dell'Africa subsahariana si sta riaprendo.
Dall'inizio dell'anno ad oggi sono sbarcati sulle coste italiane 28.000 immigrati extracomunitari, di cui 25.000 giunti nelle sole isole Pelagie. Nel complesso, i tunisini sbarcati sono 23.000 circa, mentre gli immigrati provenienti da altri Paesi africani, i profughi, sono 4.681 ad oggi.
Questa è una distinzione importante perché, come ha detto anche il Commissario europeo Cecilia Malmström, quelli che vengono dalla Tunisia sono migranti economici, quindi senza i requisiti per essere considerati rifugiati o richiedenti asilo, mentre quelli che vengono dalla Libia sono quasi tutti provenienti dai Paesi del centro Africa e del Corno d'Africa, di etnia principalmente somala o eritrea. Si tratta di famiglie, minori, donne, che sono stati sistemati nei centri di accoglienza gestiti dal Ministero dell'interno.
Alcuni di questi sono anche andati nel Villaggio della solidarietà a Mineo, una struttura che abbiamo allestito proprio per i richiedenti asilo, per creare un modello di accoglienza per coloro che molto probabilmente, anzi quasi certamente, avranno diritto a rimanere, avendo i requisiti per la richiesta di asilo e lo status di rifugiato.
Si intende, infatti, definire in quella sede un modello di intervento che contempli non solo l'accoglienza e l'assistenza, che vengono garantite sempre a tutti, ma quelle attività che possano rendere più facile, agevole e rapido il successivo inserimento nella società di coloro che non possono essere rimpatriati nei Paesi di origine, in considerazione delle condizioni socio-economiche e di guerra che là esistono.
Abbiamo voluto investire in questo modello perché riteniamo che l'assistenza per i rifugiati debba andare oltre la semplice accoglienza. A Mineo verranno svolte - e sono già in corso - attività di formazione, l'insegnamento della lingua e una serie di altre attività, coinvolgendo anche le comunità locali. Vogliamo che questo villaggio possa essere un modello da portare in Europa.
Abbiamo altresì investito sulla sicurezza di quei territori, firmando un patto per la sicurezza a cui hanno aderito tutti i sindaci dell'area. Anche se ci sono stati
un po' di effervescenza e di timore all'inizio, alla fine tutti i sindaci hanno firmato il patto per la sicurezza per Mineo.
Come in tutti gli insediamenti che sono stati realizzati, nonostante qualche tensione iniziale, le preoccupazioni che si sono manifestate sono state superate da un investimento forte in materia di sicurezza, sia rafforzando la presenza delle forze dell'ordine sia, attraverso i patti territoriali, investendo in sistemi di controllo preventivo del territorio.
Tutti questi sbarchi che ho citato hanno avuto una caratteristica, quella di essere concentrati in pochissimi giorni. Questo è il motivo che ha causato grandi disagi alla piccola isola di Lampedusa. Qualcuno ha fatto riferimento ai circa 39.000 clandestini arrivati nel 2008, prima che l'accordo con la Libia ponesse fine agli sbarchi dalla Libia stessa. Un conto, però, è avere 39.000 cittadini extracomunitari nel corso dell'anno, un conto è averne quasi 28.000 nel corso di poche settimane, come è avvenuto a Lampedusa. Tutto ciò anche per la natura di questi soggetti che, come abbiamo appreso dalle interviste che sono state fatte, sono tutti giovani tunisini di età compresa fra i sedici e i trenta anni, tutti ansiosi di andarsene per ricongiungersi con amici e parenti, quasi tutti in Francia o in altri Paesi europei.
Questi soggetti sono stati tutti identificati e fotosegnalati; a tutti sono state prese le generalità dichiarate e le impronte digitali. Sono state fatte anche le interviste per capire qual era il motivo dell'entrata nel nostro Paese e quale la loro destinazione. La stragrande maggioranza ha risposto che è venuta in Italia per andare in altri Paesi europei.
È un'emergenza, questa, che abbiamo affrontato con la tempestività e i mezzi necessari per far fronte a questa concentrazione di sbarchi in pochissimi giorni. Il Consiglio dei ministri, come sapete, ha incaricato il sottosegretario Sonia Viale, assieme ad altri, di definire un piano di interventi compensativi per i disagi che Lampedusa e i lampedusani hanno avuto.
Siamo dunque intervenuti per spostare queste persone in strutture di emergenza, che si sono rese necessarie proprio per l'intensità e la concentrazione degli sbarchi in pochissimi giorni; strutture di emergenza, centri di prima accoglienza che abbiamo organizzato in alcune località proprio per tamponare la situazione e dare un ricovero adeguato a queste persone, cosa che è avvenuta, e per procedere all'identificazione delle stesse. Tutto ciò per distinguere chi avesse diritto alla protezione e chi no, chi fosse gravato da precedenti penali e chi no. Queste operazioni sono state tutte compiute all'interno di questi centri.
Sono stati allestiti centri a Trapani, nell'ex pista aeroportuale dell'Aeronautica militare; a Caltanissetta, nei pressi del CARA di Pian del Lago; a Mineo, nel già citato Residence degli aranci; a Manduria, in Puglia, un centro di prima accoglienza; a Potenza, in località Piani di Palazzo San Gervasio; a Santa Maria Capua Vetere, presso la caserma «Fornaci e Parisi»; a Civitavecchia, presso la caserma «De Carolis»; in Molise, a Campochiaro, presso il centro funzionale del servizio regionale di protezione civile; a Cagliari, presso la caserma di via Elmas; a Ventimiglia, come centro di prima accoglienza. Oltre a questi, cito tutti i CIE esistenti in Italia, in Piemonte, a Milano e in altre regioni.
In Toscana è stato definito, d'intesa con il presidente della regione, un dispositivo diverso. La regione ha individuato, in cooperazione con il Ministero dell'interno, una decina di siti, per una capienza complessiva di circa 500 persone. È un modello diverso dagli altri, un modello interessante che ho riconosciuto e ho accettato in sostituzione della nostra proposta; è un modello che può essere utilizzato terminata la fase acuta dell'emergenza che ci ha costretto a realizzare questi siti temporanei.
Il piano definito con le regioni finora non ha avuto attuazione, perché i rifugiati arrivati sono stati ospitati nelle strutture del Ministero dell'interno (CARA e centri di prima accoglienza), ma è pronto nel caso in cui questo flusso dalla Libia continui con grande intensità. Proprio in questo momento è in corso al Ministero
dell'interno una riunione tra la Protezione civile, gli esperti del Ministero dell'interno e le regioni, per discutere questo piano elaborato, sulla base dell'intesa Stato-regioni, dalla Protezione civile.
Infatti, nell'accordo con le regioni del 30 marzo, si parlava di questo piano che è stato elaborato e viene già discusso; si parlava anche del problema dei minori stranieri non accompagnati. Abbiamo accolto con favore la disponibilità di posti aggiuntivi messi a disposizione dallo SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), il sistema gestito dal Ministero dell'interno con i comuni per i richiedenti asilo. Abbiamo individuato risorse stabili e pluriennali a sostegno della collocazione nelle case-famiglia, attraverso i comuni, di tutti i minori stranieri non accompagnati.
C'è stata qualche polemica su questi minori, nei giorni scorsi, relativa al fatto che fossero rimasti troppo tempo a Lampedusa. Tutti i minori arrivati non accompagnati - che, lo voglio sottolineare, non saranno rimpatriati in quanto minori, neanche se vengono dalla Tunisia naturalmente - sono stati affidati alle case-famiglia attraverso i comuni. Gli ultimi sono partiti tra ieri e oggi, ma non c'è stato un ritardo. La procedura prevede l'individuazione delle strutture in cui metterli, il coinvolgimento dei comuni e il controllo, come è giusto che sia, dell'autorità giudiziaria, senza il nulla osta della quale non possono essere trasferiti da Lampedusa. Sono stati accelerati i tempi, anche da parte dell'autorità giudiziaria, e gli ultimi minori, come ho detto, sono stati trasferiti ieri.
Nell'intesa raggiunta con le regioni il 6 aprile (in un secondo incontro rispetto al 30 marzo) è stato previsto il coinvolgimento della Protezione civile nella definizione del piano e l'impegno del Governo ad avviare un'iniziativa presso l'Unione europea per attivare la direttiva n. 55 del 2001 sulla protezione internazionale.
Ho avanzato ieri questa richiesta nel Consiglio affari interni, ma essa è stata respinta dal Consiglio stesso, il quale ha sostenuto che non esistono i presupposti per l'applicazione della direttiva n. 55 del 2001. Il Governo ritiene che ci siano i presupposti e le regioni italiane ci hanno chiesto di attivare la relativa procedura.
Noi l'abbiamo attivata, ma, come sapete, la procedura prevede l'attivazione da parte di uno Stato membro, il seguito a opera della Commissione e la maggioranza dei membri del Consiglio dei ministri dell'interno, che deve esprimersi. Ieri la maggioranza, anzi la quasi totalità, esclusi Malta, Grecia e altri Paesi del Mediterraneo, si è espressa nel senso che questa direttiva non è applicabile, perché non ci sono i presupposti, le condizioni, la fuga di massa e l'emergenza umanitaria.
Si tratta di una valutazione che io non ho condiviso e che ho fortemente, ma inutilmente contrastato, perché l'opinione degli Stati membri come Francia, Germania e Regno Unito era contraria all'applicazione della direttiva. Mi pare davvero un'occasione persa per l'Europa, perché esiste lo strumento giuridico per far fronte a una situazione di grave emergenza umanitaria, quale quella che si è verificata, che si sta verificando e che io temo continuerà a verificarsi, non più con la Tunisia, perché, come spiegherò, gli strumenti adottati possono ragionevolmente portarci a pensare che tale crisi sarà risolta, ma con la Libia.
In tale Paese io temo che siamo solo all'inizio. Nessuno sa quanto può durare l'attuale situazione in Libia. Negli ultimi giorni si sono intensificati gli sbarchi provenienti proprio dalla Libia, in particolare da Misurata, di profughi che scappano dalla guerra. L'attivazione della direttiva n. 55 del 2001 è, come tutte le questioni europee, una procedura molto lunga. Mi sono davvero rammaricato ieri che il Consiglio affari interni, contrariamente alla richiesta mia e anche del Commissario Malmström abbia deciso per ora di non attivarla.
Voglio, quindi, ringraziare, come ho fatto pubblicamente e privatamente, il Commissario Cecilia Malmström per l'impegno che ha profuso. Oggi il Presidente Barroso è in Tunisia per cercare di convincere le autorità tunisine non solo a dare
attuazione all'accordo stipulato tra l'Italia e la Tunisia, ma anche ad accettare il piano che sta elaborando la Commissione europea di sostegno e di aiuti alla Tunisia per fermare le partenze.
Voglio anche ringraziare il commissario straordinario, il prefetto Giuseppe Caruso, per il grandissimo impegno che ha profuso nei giorni della drammatica emergenza e insieme a lui tutti i prefetti e le forze dell'ordine, Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza e Vigili del fuoco, che hanno dimostrato un'eccezionale professionalità nella gestione di questo drammatico fenomeno.
Abbiamo raccolto l'invito dei presidenti delle regioni per applicare l'articolo 20 della legge Bossi-Fini per quanto riguarda i permessi di soggiorno temporaneo. Il 5 aprile il Presidente del Consiglio dei ministri ha adottato un provvedimento per la concessione di un permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari nei confronti dei cittadini tunisini presenti in Italia a quella data, con esclusione di quelli entrati nel territorio nazionale prima del 1o gennaio scorso, di chi appartiene a categorie socialmente pericolose, di chi è destinatario di provvedimenti di espulsione e di chi si è macchiato di gravi reati, tra i quali associazione a delinquere, estorsione, traffico di droga e terrorismo. A tutti costoro naturalmente non verrà concesso il permesso di soggiorno temporaneo e, a mano a mano che verranno identificati, essi verranno trasportati nei Centri di identificazione ed espulsione per il rimpatrio in Tunisia.
I destinatari sono, invece, i cittadini appartenenti ai Paesi del nord Africa affluiti nel territorio nazionale dal 1o gennaio al 5 aprile, data in cui - ve lo ricordo - è entrato in vigore l'accordo bilaterale tra Italia e Tunisia, il quale prevede che tutti coloro che arriveranno in Italia dal 5 aprile in poi saranno rimpatriati in Tunisia. I voli di rimpatrio sono già iniziati. Sono due al giorno per ora direttamente da Lampedusa e proseguiremo con questa tempistica.
La previsione che ha consentito l'emanazione di questo provvedimento, che è stato proprio oggi valutato positivamente dal Consiglio d'Europa attraverso il Commissario per i diritti umani Hammarberg, si fonda sulla disposizione dell'articolo 20 del Testo unico n. 286 del 1998, che prevede la possibilità di adottare, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e d'intesa con altri ministri, in via straordinaria misure di protezione a carattere eccezionale, derogatorio e temporaneo per rilevanti esigenze umanitarie.
Il permesso di cui si prevede il rilascio è riconducibile alla disciplina generale sui titoli di soggiorno prevista dall'articolo 5 del già citato Testo unico e a quella relativa al permesso di soggiorno per motivi umanitari disciplinata dall'articolo 11, comma 1, lettera c)-ter del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e, in quanto tale, è assoggettato alla previsione della Convenzione di Schengen.
La stessa Convenzione prevede, come è noto, la possibilità per tutti i possessori di un titolo di soggiorno validamente rilasciato da uno Stato membro, come è il caso di questi permessi, di circolare negli altri Paesi dell'area Schengen, fermo restando che la residenza rimane nello Stato che ha emesso il titolo di soggiorno. In questo senso si è espressa l'avvocatura dello Stato e in questo senso si sono espressi ieri anche il Commissario Malmström e i colleghi ministri dell'interno di altri Paesi, i quali non hanno contestato la validità del titolo a consentire la libera circolazione, ma hanno semplicemente affermato, come è giusto che sia, che ciascuno Stato membro verificherà se le condizioni sussistono, come è ovvio.
Noi siamo certi che le condizioni sussistano, ragion per cui la polemica che è stata svolta e in base alla quale questi titoli non consentirebbero la libera circolazione nell'area Schengen è sbagliata, perché questi titoli consentono effettivamente tale libera circolazione. Ieri ciò è stato accertato, sulla base di presupposti che fanno parte della Convenzione di Schengen, come il permesso di soggiorno, il titolo di viaggio, il riconoscimento, tutti documenti che noi formiamo e forniamo,
perché, come ho precisato all'inizio, per tutti gli interessati avviene il preventivo riconoscimento, il foto segnalamento, la raccolta delle impronte digitali, l'inserimento dei dati nel sistema europeo Eurodac, tutto in piena conformità alle normative europee e alla Convenzione di Schengen.
Da questo punto di vista, quindi, ciò che noi abbiamo fatto è assolutamente in regola e io mi aspetto, come ho affermato ieri, che in questo periodo di tempo l'Unione europea possa studiare le misure più adeguate per consentire che le persone a cui è stato concesso il permesso di soggiorno e a cui sarà concesso nei prossimi giorni vengano accolte e inserite laddove vogliono andare o vengano rimpatriate.
Esistono le condizioni tecnico-giuridiche a tal fine, ma finora è mancata un'iniziativa comune dei Paesi europei per affrontare il fenomeno. Ieri la decisione non della Commissione, ma dei ministri, ha diffuso il messaggio per cui si tratta di un problema italiano, di cui si deve occupare solo l'Italia. Non credo che sia stata una grande dimostrazione di solidarietà a livello europeo.
Passo alle iniziative internazionali e agli accordi bilaterali. Tra gli strumenti comunitari utilizzabili per far fronte alla crisi vi è la citata direttiva n. 55 del 2001. Noi insisteremo su di essa. La direttiva prevede una condivisione tra tutti gli Stati membri dell'Unione europea nella gestione del fenomeno dell'immigrazione.
Si tratta di uno strumento straordinario e anche innovativo rispetto alle competenze dei singoli Stati membri. Mi rendo conto della contrarietà di alcuni Stati membri, ma è una visione miope quella di sostenere che se dalla Tunisia arrivano profughi in Italia si tratta di un problema italiano, perché lo stesso potrebbe succedere in altri Paesi. Soprattutto, non essendoci più il controllo alle frontiere, oggettivamente quello dei clandestini non è e non può essere un problema solo italiano.
Purtroppo, invece, il Consiglio affari interni, che si è tenuto a Lussemburgo, nelle sue conclusioni non ha menzionato la possibilità di avvalersi della direttiva, nonostante la richiesta congiunta di Italia e di Malta e ciò perché la sua attivazione significa l'applicazione di quel principio che il Governo italiano sostiene da tempo in materia di profughi e non solo, ossia il principio della condivisione degli oneri e della redistribuzione di queste persone sull'intero territorio europeo, in base a criteri da definire, ma oggettivi, il cosiddetto burden sharing, principio al quale si oppongono molti Paesi europei.
Il principio del burden sharing, la suddivisione di profughi e clandestini, è quello che abbiamo applicato in Italia nell'accordo con le regioni, affermando il fatto che ogni regione nel piano che verrà definito dalla Protezione civile si prenderà carico di un numero di profughi in proporzione agli abitanti, con la sola eccezione dell'Abruzzo. Questo principio deve essere applicato a livello europeo, se davvero si vuole dimostrare una condivisione nella gestione del tema dell'immigrazione.
Ieri ho anche insistito per inserire nelle conclusioni un esplicito riferimento al principio del burden sharing fra i Paesi membri e ancora una volta molti Paesi hanno espresso a parole la loro solidarietà, ma nei fatti la loro contrarietà, impedendo di fatto ogni sua possibile attuazione. Pensate che nel Programma di Stoccolma, che riguarda la sicurezza dell'Unione europea, è previsto il sistema europeo comune di asilo, da realizzarsi entro il 2012. È un impegno che tutti hanno assunto, ma siamo purtroppo lontanissimi da attuarlo, perché c'è il veto di alcuni Paesi europei, i quali non mancano di ricordare all'Italia i doveri di attuazione e applicazione dei princìpi generali, dei criteri di assistenza e di umanità, ma che poi, quando si tratta di condividerne gli oneri e le responsabilità, rispondono sempre che sono solo problemi nostri.
Onestamente credo che l'attuazione della direttiva n. 55 del 2001, che anche ieri abbiamo sollecitato con forza, non sarà possibile. Il Commissario Malmström è d'accordo, come ho ricordato, come anche il Parlamento europeo. Su questo
punto rilevo positivamente che vi è stata una condivisione delle forze politiche italiane rappresentate nel Parlamento europeo.
La difficoltà deriva solo dall'ostilità che al principio della condivisione degli oneri derivanti dall'immigrazione nei Paesi di confine viene opposta dai Paesi europei che di confine non sono. È un brutto esempio di ciò che l'Europa dovrebbe essere e non è. Penso che la scelta di lasciare la competenza sul tema dell'immigrazione agli Stati membri finora abbia avuto un significato, quello di un residuo di sovranità che consente agli Stati di decidere le politiche sull'immigrazione all'interno del proprio confine. Ciò, tuttavia, contraddice il principio della libera circolazione nei Paesi, almeno in quelli di area Schengen.
È, quindi, opportuno che, a partire proprio da questa crisi umanitaria, che non è solo, come ho sempre affermato e come ribadisco, una questione di immigrazione clandestina, ma una crisi geopolitica che coinvolge movimenti di massa che ancora non si sono manifestati nella loro complessità, l'Europa colga l'occasione per trasformare un sistema di 27 politiche sull'immigrazione, di 27 sistemi diversi sull'asilo e di 27 sistemi diversi di contrasto all'immigrazione clandestina in un unico grande sistema basato sul modello sociale europeo, di cui tanto si parla, ma che poi concretamente, quando ce n'è bisogno, non viene mai attuato.
Non si tratta, quindi, solo di un sistema europeo di asilo, ma di un sistema europeo per gestire i rapporti con i Paesi extracomunitari ed extraeuropei, in particolare con quelli del nord Africa, per prevenire questi fenomeni e non solo per contrastarli.
L'Italia, e solo l'Italia, ha finora attuato una forte politica nei confronti della Tunisia, muovendosi da subito, dall'inizio del mese di febbraio, con una serie di incontri bilaterali da parte del Ministero degli esteri, del Presidente del Consiglio e del sottoscritto. Questo intenso rapporto con un Governo provvisorio, che ha cambiato numerosi ministri - tra cui due volte il Ministro dell'interno - che ha deciso di non candidarsi alle prossime elezioni politiche di luglio, e quindi è oggettivamente in una posizione di debolezza, al di là della buona volontà di chi ne fa parte, ci ha consentito di stipulare il 5 aprile un accordo con il Governo tunisino il contrasto all'immigrazione clandestina. L'accordo prevede una serie di iniziative che illustrerò, ma è ovvio che non basta a contrastare le partenze o rimpatriare i tunisini. Occorre intervenire sulle cause attraverso politiche di cooperazione internazionale che impediscano a una intera
generazione di giovani tunisini - di questo parliamo - di abbandonare il proprio Paese per l'impossibilità di crearsi lì una vita degna di tal nome.
L'accordo con la Tunisia firmato il 5 aprile fa seguito a quello del 1998, quando Ministro dell'interno era il Presidente Giorgio Napolitano. Si è trattato allora del primo accordo stipulato con questo Paese e si è rivelato molto utile, anche se rispetto agli accordi bilaterali stipulati con altri Paesi, come l'Egitto, non ha funzionato nell'attuale situazione.
La differenza è molto semplice e consiste nel fatto che l'accordo con l'Egitto ci consente di rimpatriare immediatamente tutti i cittadini egiziani che arrivano in Italia nel giro di 24 ore con formalità burocratiche e consolari rapidissime. L'accordo con la Tunisia del 1998, che da parte tunisina è sempre stato interpretato in modo molto restrittivo, prevede la possibilità di rimpatriare non più di tre o quattro cittadini tunisini al giorno anche se i numeri sono molto elevati.
Questa differenza non ha creato problemi fino all'inizio di quest'anno. Pensate che nello stesso periodo, tre mesi, in cui quest'anno sono arrivati circa 20.000 cittadini tunisini, l'anno scorso ne erano arrivati 25, per cui anche il rimpatrio di tre o quattro cittadini al giorno poteva essere gestito bene. Quest'anno, peraltro, c'è qualche problema in più.
È per questo che, oltre all'accordo del 1998 e all'accordo di cooperazione in materia di lotta alla criminalità del dicembre 2003, che ho rinnovato e aggiornato
nel gennaio 2009, abbiamo negoziato un nuovo accordo, sottoscritto appunto il 5 aprile, che prevede voli di rimpatrio per tutti coloro che arriveranno a Lampedusa a partire dalla stipula di questo accordo direttamente da Lampedusa stessa. Voli già iniziati quattro giorni fa, proseguiti ieri e che proseguiranno oggi e da qui in avanti. L'accordo prevede anche altre iniziative, mirate, in particolare, alla prevenzione dei flussi oltre che al rimpatrio.
Oggetto della cooperazione è rafforzare la collaborazione tra le forze di sicurezza italiane e tunisine al fine di prevenire gli sbarchi di clandestini verso le coste italiane. L'accordo prevede, inoltre, procedure semplificate per i rimpatri: l'Italia e la Tunisia concordano sul rimpatrio di tutti i cittadini tunisini che arriveranno in Italia dopo che l'autorità consolare tunisina ne avrà accertato la cittadinanza sulla base, appunto, di procedure rapide e semplificate.
Ancora più importante è la cooperazione operativa definita nell'accordo per prevenire fenomeni di fuga dalla Tunisia, aumentare i controlli, rafforzare la sorveglianza, l'intervento e il soccorso sia in mare sia sulla terraferma, dove oggi i controlli di polizia, soprattutto nel sud della Tunisia, sono praticamente svaniti.
Questa cooperazione operativa avviene con lo scambio in tempo reale di ogni informazione utile e attraverso la fornitura di strumenti necessari previsti nell'accordo stesso, mezzi di terra e marini. Quattro motovedette sono pronte a partire già nei prossimi giorni, assieme ad autoveicoli, fuoristrada, che mettiamo a disposizione per un valore complessivo di circa 30 milioni di euro. Sono previste, inoltre, cooperazione e attività di formazione delle forze di sicurezza tunisina.
Il personale delle forze di sicurezza dell'Italia e della Tunisia parteciperà, infatti, alle attività di formazione in materia di sorveglianza marittima e aerea di contrasto all'immigrazione irregolare e di utilizzo di sistemi elettronici di navigazione per contrastare meglio il fenomeno.
Procederemo, inoltre, come previsto dall'accordo, alla realizzazione di un centro di formazione nautico con sede in Tunisia e allo scambio di ufficiali di collegamento, tanto utili e utilizzati nell'attuazione degli accordi bilaterali, che con la Tunisia non c'erano, per rafforzare il sistema di cooperazione.
L'accordo è molto importante perché definisce le procedure, le modalità e gli strumenti per contrastare efficacemente l'immigrazione clandestina da quel Paese. Adesso è nostro compito, naturalmente, darvi piena e rapida attuazione. Abbiamo già cominciato a farlo con i voli di rimpatrio. Per questo motivo abbiamo istituito un gruppo ministeriale di contatto sotto il coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, con la presenza del Ministero dell'interno, degli affari esteri, della difesa e degli altri ministeri interessati per seguirne giorno dopo giorno l'attuazione.
Ho parlato del Ministero della difesa perché nell'accordo si fa riferimento anche alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay, fondamentale nella sua attuazione anche per la prevenzione di questi fenomeni attraverso il salvataggio di chi è in difficoltà. La Convenzione prevede il soccorso in mare di natanti in difficoltà da parte di unità dei vari Stati e che a questo soccorso ne segua il trasferimento nel porto più vicino che, se le navi si trovano nei pressi delle acque territoriali della Tunisia, non è certamente Lampedusa.
In queste condizioni, riteniamo che l'accordo nella sua piena attuazione possa aiutare a risolvere la questione. Non basta, come ho detto: serve anche un accordo di cooperazione per lo sviluppo, che è l'oggetto della visita di oggi del presidente Barroso a Tunisi.
L'Italia per parte sua ha fatto molto anche su questo fronte: abbiamo aperto una linea di credito di 150 milioni di euro nei confronti del Governo tunisino per sviluppare una serie di attività di sostegno alle iniziative economiche di quel Paese. Ricordo che in Tunisia ci sono centinaia di aziende italiane che danno, peraltro, lavoro anche a moltissimi lavoratori tunisini. È interesse del Governo italiano rafforzare
i rapporti di cooperazione con la Tunisia e non il contrario. Abbiamo, quindi, evitato ogni azione di forza nei confronti di questo fenomeno per cercare una soluzione concordata e negoziata. Non è stato facile, non è ancora finita del tutto, ma abbiamo preso in tempi difficili e molto rapidi una serie di iniziative che nessun altro Paese né l'Europa hanno saputo prendere nonostante gli impegni e le parole di solidarietà espresse.
Infine, in merito alla questione del rapporto con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo, come ho già ricordato, funzionano bene gli accordi con l'Egitto, con l'Algeria e con il Marocco. Con la Tunisia questo nuovo accordo apre prospettive molto interessanti, ma il fronte europeo è quello che abbiamo aperto e che merita un'attenzione e un'azione più intense.
Per questo contiamo sull'alleanza con gli altri Paesi rivieraschi, anche se fino a oggi l'attenzione alla questione che ho illustrato è stata piuttosto tiepida, per usare un eufemismo, se non addirittura ostile da parte di Paesi a noi molto vicini. Si tratta, come ho detto, di una visione miope.
I nuovi assetti dell'area del Maghreb e di quella del Medio Oriente sono tuttora in corso di definizione. Può accadere, e ce lo auguriamo, che tutto si stabilizzi in tempi rapidi, ma nessuno può garantire questa prospettiva. Credo che la visione miope finora adottata da alcuni Paesi europei - ripeto, non dalla Commissione, ma dai singoli Paesi europei - secondo i quali si tratta solo di una questione italiana, per cui deve sbrigarsela l'Italia, è frutto di una concezione sbagliata del ruolo che l'Europa deve avere in questo contesto e su questo argomento.
Abbiamo, pertanto, sollecitato la Commissione europea non solo a prestare assistenza immediata alle strutture di Frontex nel Mediterraneo, ma anche a definire con una visione più ampia e lungimirante politiche di intervento proattivo nei confronti dei Paesi in questione.
Nelle conclusioni del Consiglio affari interni di ieri abbiamo fatto inserire un esplicito riferimento alla necessità di avviare pattugliamenti congiunti al largo delle coste tunisine nello spirito e in attuazione della citata Convenzione di Montego Bay.
In un colloquio avvenuto ieri sera con il Presidente Barroso - che, come ho già ricordato, oggi si trova a Tunisi - il Presidente Berlusconi ha sollecitato un intervento del Presidente stesso a nome dell'Unione europea affinché le autorità tunisine intraprendano un'azione credibile di contrasto ai flussi migratori e rispettino gli impegni presi anche per quanto riguarda i rimpatri.
Sul fronte della cooperazione internazionale, come già detto, è questo il sistema per prevenire i flussi migratori irregolari. Di questo si è fatto carico il Presidente Berlusconi, che al Consiglio europeo ha sottoposto la questione. Di questo ci faremo carico nell'incontro tra la delegazione italiana e quella francese fissato ai massimi livelli il 26 aprile prossimo con la presenza dei Presidenti Berlusconi e Sarkozy e di numerosi ministri.
Questa è la dimensione europea che finora è mancata e che abbiamo chiesto, fino a questo momento inutilmente, oltre a quella dell'accoglienza e del principio del burden sharing, una politica attiva che superi il sistema degli accordi bilaterali. Tali accordi tra Italia e, rispettivamente, Tunisia, Egitto, Libia e Marocco si sovrappongono a identiche iniziative di Spagna, Francia, e Grecia con contenuti e modalità spesso molto diversi, i quali creano, oltre che confusione, un sistema diversificato di cui i trafficanti di esseri umani approfittano, scegliendo dove mandare cittadini di determinate nazionalità. Sanno, infatti, che, sulla base degli accordi bilaterali, questi possono o non possono essere rimpatriati. Si tratta di una situazione nata per ragioni storiche indubitabili, ma che oggi non è più attuale né più sostenibile e che deve essere immediatamente e rapidamente modificata. È la richiesta
che abbiamo rivolto, anche questa, ahimè, finora inutilmente, all'Europa.
L'Europa deve assumere, se vuole essere solidale, un ruolo come Unione europea per definire anche accordi bilaterali:
da una parte l'Europa e dall'altra i vari Paesi extraeuropei, extracomunitari, in particolare quelli del Maghreb. La nostra è una sollecitazione forte.
Qualcosa forse si sta muovendo. Il Presidente Barroso è in contatto con il Presidente Berlusconi su questo punto specifico. Mi auguro davvero che, anche grazie all'esperienza che l'Italia ha maturato in tutti questi anni e che abbiamo sempre messo e continuiamo a mettere a disposizione dell'Unione europea, si possa aumentare la velocità di reazione di quest'ultima, finora assolutamente lenta nel lasciare all'Italia, e solo all'Italia, il carico della gestione di un'emergenza umanitaria oltremodo complessa.
Voglio concludere ringraziando ancora una volta tutti coloro che hanno collaborato con me nella gestione di quest'emergenza che, purtroppo, non è ancora finita. Possiamo dire che l'accordo con la Tunisia ha segnato la conclusione della fase acuta. Rimane l'emergenza umanitaria, ma possiamo dire che si apre una fase nuova, che potrà portare anche a risultati di contrasto efficace all'immigrazione clandestina, come tutti ci auguriamo che avvenga, proprio in attuazione dell'accordo con la Tunisia e, soprattutto, attraverso una maggiore responsabilizzazione di tutti i Paesi europei. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro.
Da parte dei gruppi parlamentari del PdL e del PD mi viene fatto presente che c'è la necessità di essere in Aula alle 15.
Al momento vi sono nove iscritti a parlare ed è impensabile che quanti lo richiedano possano intervenire, anche se dovesse farlo uno per gruppo. Poiché il Ministro ha dato la propria disponibilità a ritornare, potremmo convocarci domani mattina alle 8,30 compatibilmente con i lavori dell'Aula. Peraltro, lo stesso Ministro potrebbe essere impegnato in Consiglio dei ministri.
Colleghi, vi convocheremo e nella prossima seduta terremo presenti le iscrizioni già pervenute.
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 14,50.