Sulla pubblicità dei lavori:
Stefani Stefano, Presidente ... 3
Audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Stefania Gabriella Anastasia Craxi, sulla situazione in Pakistan nell'ottica regionale (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Stefani Stefano, Presidente ... 3 6 9 11
Barbi Mario (PD) ... 8
Corsini Paolo (PD) ... 6
Craxi Stefania Gabriella Anastasia, Sottosegretario di Stato agli affari esteri ... 3 10
Pianetta Enrico (PdL) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 8,35.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei Deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Stefania Gabriella Anastasia Craxi, sulla situazione in Pakistan nell'ottica regionale.
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Con l'elezione di Asif Zardari alla Presidenza della Repubblica, il 6 settembre 2008, si è chiusa per il Pakistan la drammatica fase politica, iniziata nel novembre 2007, con l'imposizione dello stato di emergenza. Una fase di progressivo declino dell'era Musharraf, caratterizzata da forti tensioni interne, da una ondata terroristica senza precedenti, simboleggiata dall'assassinio di Benazir Bhutto il 27 dicembre, e culminata, dopo le elezioni dello scorso 18 febbraio, con l'insediamento del Governo Gilani in aprile e con l'assedio portato allo stesso Presidente Musharraf dai suoi storici oppositori che ne hanno ottenuto le dimissioni il 18 agosto scorso.
Se il quadro politico appare dunque totalmente rimodellato rispetto a un anno fa, sono tuttavia ancora numerose le pesanti incognite che incombono sulla fragile democrazia pakistana, soprattutto in ragione di una doppia emergenza connessa alle precarie condizioni di sicurezza e alla difficile situazione economica.
Sul primo fronte, l'intensificazione delle operazioni militari pakistane, volte a contrastare le milizie neo-talebane nelle aree tribali di confine con l'Afghanistan, è venuta, negli ultimi mesi, ad accompagnarsi a sempre più frequenti attentati terroristici che colpiscono varie parti del Paese non risparmiando le varie città; emblematico l'attacco contro il Marriott hotel di Islamabad il 20 settembre.
Anche in conseguenza della crisi economica internazionale, il Paese deve inoltre far fronte a un'emorragia della bilancia dei pagamenti e a una terribile spirale inflazionistica, che è arrivata quasi al 25 per cento, in parte connessa anche all'andamento dei prezzi dei prodotti energetici e alimentari, che ha portato, nelle scorse settimane, alla finalizzazione di un programma di assistenza da parte dell'FMI di circa 7,6 miliardi di dollari.
La situazione in Pakistan è strettamente legata a un contesto regionale e internazionale che è in continua evoluzione nel quale spiccano, come variabili di decisiva importanza, i rapporti di Islamabad con Afghanistan e India.
L'elezione del Presidente Zardari ha sicuramente inaugurato una nuova fase di sostegno internazionale al Pakistan, anche grazie all'evidente proposito della nuova
dirigenza pachistana di stabilire relazione più distese e cooperative sia con Kabul che con Nuova Delhi.
Visti in tale ottica, gli attentati di Mumbai delle scorse settimane, oltre a essere un intollerabile attacco alla democrazia indiana, intesa anche come modello di convivenza tra differenti culture e religioni, hanno rappresentato un gravissimo atto di destabilizzazione regionale, mirato proprio a provocare nuove tensioni tra India e Pakistan, nonché a inficiare il cruciale impegno militare pakistano ai confini con Afghanistan.
È pertanto assai importante che, a fronte delle proteste indiane per l'asserito coinvolgimento negli attacchi di Mumbai di ambienti radicati in Pakistan, Islamabad stia dichiarando la massima disponibilità a collaborare, proponendo lo svolgimento di indagini congiunte.
Pur permanendo allo stato una certa tensione verbale tra i due Paesi, appare per ora scongiurato il rischio di una escalation, anche grazie alla missione di Condoleezza Rice, nonché agli appelli internazionali giunti da più parti, inclusi i ripetuti contatti avuti, sia dal Presidente del Consiglio che dal Ministro Frattini, con i loro omologhi indiani e pachistani.
I Governi di India e Pakistan stanno nel complesso dando prova di misura e di prudenza necessarie a non interrompere, ma semmai a rilanciare, il dialogo composito in corso tra i due Paesi dal 2004.
L'avvio di una collaborazione operativa indo-pakistana, anche nel settore della sicurezza, potrebbe, infatti, risultare di grande utilità da entrambe le parti che dovranno, peraltro, guardarsi le spalle dai settori oltranzisti che avrebbero, invece, da guadagnare da un nuovo clima di tensione, analogo a quello verificatosi, per oltre due anni, dopo l'attacco terroristico al Parlamento indiano nel 2001.
Le misure restrittive già prese o annunciate da parte del Governo pakistano nei confronti di fazioni estremiste fortemente sospettate di essere coinvolte negli attacchi di Mumbai starebbero in tale contesto a confermare la consapevolezza di Islamabad di dover agire nel concreto, anche in relazione al delicato nodo delle collusioni, da più parti denunciate, tra spezzoni dei propri apparati di sicurezza e taluni ambienti dell'islamismo militante.
Sicuramente positivo, inoltre, il fatto che, anche dopo gli attentati a Mumbai, non sia stato comunque intaccato il nuovo clima di collaborazione esistente tra Islamabad e Kabul sin dall'insediamento del presidente Zardari.
I rapporti personali più cordiali tra i rispettivi vertici politici hanno, infatti, nelle ultime settimane, aperto nuove prospettive, sia sul piano della cooperazione lungo la frontiera, che in un'ottica di una maggiore integrazione economica.
Dopo le forti tensioni dei mesi estivi, caratterizzate da reciproci scambi di accuse, anche a seguito dell'attentato del 7 luglio contro l'ambasciata indiana a Kabul, Pakistan e Afghanistan stanno, in ogni occasione, ribadendo la volontà di coordinarsi anche nella lotta al terrorismo e nel dialogo con le varie fazioni tribali operanti lungo i confini, come da ultimo confermato nell'incontro con i presidenti Karzai e Zardari, che si è svolto qualche giorno fa a Istanbul.
I recenti sviluppi in Pakistan e il delicato quadro regionale confermano la necessità di un coordinato sostegno internazionale del Paese, nel cui ambito l'Italia sta svolgendo un ruolo di primo piano sia in ambito dell'Unione europea, sia in vista della nostra presidenza del G8 nel 2009.
Da questo punto di vista, il lancio a fine settembre a New York, ai margini dell'assemblea generale delle Nazioni Unite del gruppo Friends of Pakistan, cui ha partecipato per l'Italia il Ministro Frattini, insieme ai rappresentanti di Gran Bretagna, Germania, Francia, USA, Arabia Saudita, Cina, Giappone, Canada, Australia e Turchia, rappresenta una tangibile dimostrazione dell'impegno della comunità internazionale a garantire al Pakistan democratico un sostegno volto alla modernizzazione e allo sviluppo del Paese.
Se, peraltro, il gruppo Friends of Pakistan è impegnato a definire un piano di lavoro per il medio periodo, l'emergenza economica comincia a essere affrontata
nell'immediato, grazie all'avvenuta finalizzazione del citato programma di assistenza dell'FMI, che comporterà un serio impegno di risanamento e di politica economica da parte del Governo Pachistano.
Per parte nostra, anche a seguito degli incontri ai massimi livelli avuti a Islamabad, il 20 ottobre, dal Ministro Frattini, nonché dalla bilaterale di Pechino del 25 ottobre, tra il Presidente Berlusconi e il suo omologo Gilani, abbiamo negli ultimi mesi instaurato, con la nuova dirigenza pakistana, una proficua relazione di lavoro.
Siamo così impegnati sul piano bilaterale, a rafforzare una collaborazione già avviata negli scorsi anni in vari importanti settori: conversione debitoria di circa 80 milioni di euro, progetto di un nuovo politecnico a Karachi, con il sostegno di un consorzio di università italiane, intensificazione delle relazioni economico-commerciali, ma anche attivi in ambito Unione europea per un'intensificazione dei rapporti tra l'Europa e il Pakistan.
Le conclusioni, approvate dal Consiglio affari generali e relazioni esterne dell'8 dicembre scorso, sintetizzano una posizione europea nei confronti del Pakistan, alla cui elaborazione l'Italia ha attivamente contribuito.
Si prevede in particolare un pieno sostegno alla cooperazione regionale e ai rapporti di collaborazione tra Pakistan, India e Afghanistan, anche per ciò che attiene alla lotta al terrorismo, all'intensificazione del dialogo politico Unione europea-Pakistan e all'istituzionalizzazione di incontri politici ad alto livello, nonché di riunioni tecniche tra le parti, volte ad approfondire la questioni di reciproco, primario interesse: non proliferazione, diritti dell'uomo, temi migratori, lotta al terrorismo e alla radicalizzazione, istruzione e dialogo interculturale, cooperazione economica, sostegno alla transizione democratica pakistana, già avviata con un importante contributo europeo, grazie all'invio, in occasione delle elezioni del febbraio 2008, di una missione di monitoraggio elettorale fortemente apprezzata.
Si intende dare sostegno al Pakistan, sia nell'ambito delle istituzioni finanziarie internazionali, sia nelle contesto dei Friends of Pakistan.
L'impegno europeo è volto a incrementare la cooperazione finanziaria allo sviluppo a favore del Pakistan.
Infine, tenuto anche conto dei limiti imposti alla stessa Unione europea dall'attuale congiuntura internazionale, appare opportuno immaginare anche nuove forme di sostegno al Paese, ad esempio mostrando una maggiore apertura europea in materia di accesso commerciale per i prodotti pakistani.
L'impegno politico dell'Italia nei confronti della regione è poi naturalmente già proiettato anche in direzione della nostra presidenza del G8 nel 2009, nel corso della quale intendiamo rilanciare l'iniziativa di dialogo Afghanistan-Pakistan, già avviata sotto la presidenza tedesca e ripresa dalla presidenza giapponese.
Alla luce della evidente dimensione regionale dello sforzo di stabilizzazione e pacificazione nell'Afghanistan, stiamo tra l'altro lavorando a un evento di outreach, cui saranno invitati a partecipare, con i ministri degli esteri del G8, i grandi attori della regione e altri Paesi in grado di contribuire al dialogo e alla collaborazione fra Kabul e Islamabad.
Islamabad è, in conclusione, alle prese con una serie di sfide cruciali sul piano politico-diplomatico come su quello della sicurezza e su quello economico finanziario.
In tale contesto, vi sono oggi in Pakistan particolare apprezzamento e buona disposizione nei confronti del crescente impegno italiano, dell'Unione europea e del G8, a favore della stabilizzazione dell'Asia meridionale.
La sfida da portare avanti consiste proprio nel mobilitare un forte e coordinato impegno internazionale, a favore della ancora fragile democrazia pakistana, al fine di piegare le resistenze di quanti vorrebbero ancorare il Pakistan a un'agenda di esasperata conflittualità interna e di sostanziale ostilità nei confronti di India e Afghanistan.
Vorrei poi, prima di terminare, condividere con voi alcune considerazioni, dato che sono stata domenica a rappresentare il Governo italiano nella riunione di Parigi sull'Afghanistan.
La presidenza francese, in chiusura del suo semestre, ha inteso lanciare anche questo esercizio diplomatico.
La mia sensazione - avuta in quelle poche ore, in cui c'è stato comunque modo di ascoltare scambi di opinioni - è che, a fronte di un clima caratterizzato da una certa rilassatezza tra India, Afghanistan, e Pakistan determinato anche dalla definizione secondo cui il nemico comune da battere è il terrorismo internazionale, non si percepisce ancora, da parte di tutti gli attori presenti, comprese le Repubbliche dell'Asia centrale, una reale consapevolezza che la questione vada affrontata in termini regionali multilaterali coordinati.
La mia impressione è che stiamo ancora abbastanza fermi a dei rapporti che si sostanziano nei rapporti bilaterali e che manchi proprio un substrato culturale. Prima di arrivare alla formalizzazione di un organismo multilaterale che si occupi della questione, credo che si debba lavorare ancora molto per superare diffidenze reciproche e anche una sorta di non volontà che qualcun altro possa ingerire nei loro rapporti. Insomma, credo che il lavoro da fare sia ancora molto.
È stata una occasione per lanciare la nostra iniziativa di outreach del G8, che credo si terrà a giugno a Trieste e che sarà un'altra occasione per andare avanti su questa strada.
Nel contempo, la presidenza francese ha anche annunciato che si dovrebbe tenere una riunione, sempre sul tema regionale della questione afghana, nel corso del 2009 - non hanno specificato quando - addirittura nella regione.
Naturalmente, monitoreremo quello che avviene. All'Italia, peraltro, è stato riconosciuto un ruolo. Siamo stati comunque invitati dalla presidenza francese, insieme alla Germania, a partecipare in virtù del nostro impegno in Afghanistan in questi anni.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
PAOLO CORSINI. È quasi una conversazione salottiera, svolta in modo molto dimesso.
Mi trovo sempre in difficoltà a prendere la parola su temi che vanno ben al di là degli orizzonti delle mie conoscenze, premesso che leggo in modo molto diligente le schede che il Servizio studi ci consegna. In proposito, voglio complimentarmi con gli estensori delle schede, che sono molto puntuali e offrono una gamma molto vasta di elementi di conoscenza.
Innanzitutto, penso che si debba guardare al Pakistan, superando interpretazioni che credo non siano adeguate alla realtà contemporanea.
Quanto a me, l'impatto con il Pakistan è stato causato dall'assassinio di Ina; il caso di cronaca della ragazza pakistana uccisa dai suoi genitori. Mi ero raffigurato un Paese sostanzialmente pre-moderno, arcaico, familistico, neotribale, patriarcale e così via.
In effetti, in questi ambiti del Pakistan, scaturisce la cultura e l'antropologia del delitto. In realtà, il Pakistan è un Paese estremamente modernizzato, con punte di disponibilità di tecnologia avanzatissima. Dispone degli arsenali atomici, delle bombe atomiche, quindi è un Paese per il quale è giusto pensare a una grande politica, che non credo potrà essere promossa singolarmente dal nostro Paese, ma sarà l'esito di una pressione internazionale, di cui l'UE da un lato, e soprattutto gli Stati Uniti dall'altro, dovranno essere protagonisti.
Detto questo, la crisi pakistana è accompagnata da una persistente instabilità politica. Infatti, la rottura tra Al Zardari e il leader della lega musulmana non ha ancora stabilizzato, sotto il profilo della politica interna, una situazione che, al di là del giudizio che ne possiamo dare, Musharraf aveva reso stabile.
Il secondo problema all'attenzione è inerente ai rapporti con l'India. Sono stato molto colpito dalla lettura di un intervento
su la Repubblica che il Presidente pakistano ha pubblicato qualche giorno fa, in cui dava un'interpretazione dell'ultima vicenda terroristica di Mumbai che mi sembra particolarmente suggestiva e della quale trovo conferma anche nella parte conclusiva della scheda che ci è stata consegnata.
La tesi alla base di questa interpretazione è che l'attentato terroristico non scaturisce esclusivamente dagli ambienti musulmani del Kashmir, che peraltro è un territorio a cavallo tra India e Pakistan, ma - e questa è la chiave di interpretazione che mi pare più utile anche ai fini di una definizione delle mosse politiche e diplomatiche e delle iniziative di pressione che l'UE, gli Stati Uniti e l'Italia debbono fare - viene in qualche misura preordinato, al di là della manodopera che viene utilizzata, da chi persegue un disegno di destabilizzazione complessiva dell'area. Pertanto, le sue radici vanno ricercate nei circoli afgani-talebani, quindi fondamentalisti, Al-Qaida e così via.
Questo significa che, accanto ai fattori endogeni di produzione dell'attività terroristica e di esasperazione della crisi che scaturiscono dall'interno del Pakistan - in modo particolare, dalle tensioni che vengono coltivate dai gruppi pashtun, che punterebbero a una secessione o addirittura a un'autonomizzazione della regione in chiave di conduzione di governo fondamentalista - vi sono fattori esogeni che rimandano, ancora una volta, all'epicentro della crisi, ossia all'Afghanistan.
Quindi, credo che - e qui concludo, perché non mi piacere parlare di argomenti di cui non ho una compiuta e perfetta cognizione - la chiave di volta del problema sia una duplice azione portata avanti, in parte, dalle grandi potenze.
Personalmente, auspico che l'Unione europea diventi sempre più una grande potenza. Credo che noi abbiamo bisogno di una grande Europa che attui una politica da grande potenza. E con questo termine mi riferisco a un soggetto che sia anche forte degli strumenti di cui una grande potenza può disporre a tutti i livelli.
Occorre, dunque, una duplice iniziativa: da un lato nei confronti del Pakistan per favorire una stabilizzazione del quadro politico e, quindi, una forte istituzionalizzazione dei ruoli che ciascuno in Pakistan svolge; dall'altra parte, una correzione di linea e di direttiva per quanto riguarda l'epicentro della crisi che è, appunto, l'Afghanistan.
Mi auguro che le scelte che l'amministrazione Obama si accinge ad assumere - o almeno così dice di voler fare - cioè una diversa impostazione della crisi irachena, un potenziamento invece dell'investimento di controllo sull'Afghanistan, sia in termini repressivi, sia in termini di contributo al processo di nation building, possano in qualche misura favorire ed avere ripercussioni positive anche su tutta l'area regionale. Sono importanti, dunque, da un lato la regionalizzazione degli obiettivi dell'iniziativa politico diplomatica, dall'altro l'insistenza sull'epicentro della crisi che è ancora l'Afghanistan.
In realtà, infatti - e qui veramente concludo - mi convince la tesi, che anche la stampa italiana sosteneva, secondo la quale l'attentato di Mumbai sarebbe servito anche a destabilizzare la volontà di normalizzazione dei rapporti pachistano-indiani, che credo possano costituire una risorsa fondamentale per la pacificazione dell'area. D'altronde, noi tutti sappiamo che fin dal 1947, quando il Pakistan sostanzialmente è diventato un Paese autonomo, i rapporti con l'India sono sempre stati di fortissima tensione. È evidente, dunque, che chi vuole destabilizzare deve ulteriormente approfondire questi contrasti e queste tensioni, ed impedire un processo di normalizzazione di un rapporto di convivenza tra Paesi confinanti.
Credo, pertanto, che la linea politica che il nostro Governo può assumere debba andare nella direzione di favorire questi processi: un riallineamento delle scelte che vengono condotte in Afghanistan, la regionalizzazione dell'iniziativa e la distensione del rapporto tra India e Pakistan, che altrimenti può essere foriero di nuovi e drammatici disastri.
ENRICO PIANETTA. Ringrazio il sottosegretario. Vorrei fare un breve intervento. Parto da una sua affermazione, secondo me molto corretta, relativa al fatto che il Pakistan è in una fase di ulteriore transizione, una transizione democratica. Si tratta di un grande Paese che indubbiamente ha queste caratteristiche, con tanti problemi di carattere culturale, economico, sociale e quant'altro; un Paese, quindi, veramente molto delicato per quanto riguarda questo percorso.
Tra l'altro, le tensioni storiche con l'India non sono state ancora sopite completamente; questo è un ulteriore elemento di tensione interno, oltre che con il grande vicino indiano.
Quella di cui vorrei, però, parlare - è stata oggetto anche di particolare approfondimento da parte del sottosegretario - è la questione del terrorismo in ragione del fatto che tale fenomeno, che ha come epicentro l'Afghanistan, evidentemente deve essere valutato e considerato a livello della comunità internazionale per quanto riguarda tutta quella regione. Tra l'altro, cito anche il Premier britannico, il quale è stato forse il più esplicito e il più duro per quanto riguarda gli aspetti collegati alla collusione. Egli ha espresso un giudizio veramente molto critico nei confronti del Pakistan, per quanto riguarda la sua capacità o addirittura l'intendimento di svolgere - ovviamente non a livello governativo, ma per quanto riguarda i servizi e quant'altro - anche azioni attive di collusione nei confronti del terrorismo.
È chiaro, dunque, che questa regione rappresenta per il mondo un'area di particolare attenzione e, ovviamente, di preoccupazione. La domanda è sempre come agire. È chiaro che noi, per quanto ci riguarda e anche per quanto riguarda l'impegno che ci viene prospettato per la presidenza del G8 del 2009, siamo impegnati a indirizzare, a proporre un calendario, un'agenda, un insieme di percorsi che possano contribuire a compiere azioni nei vari scenari del mondo e, anche, conseguentemente, in questo scenario particolarmente inasprito.
Il sottosegretario ha già evidenziato l'aspetto multilaterale e l'impegno che dobbiamo configurare attraverso una maggiore azione coordinata da parte dell'Unione europea, pur considerando quello che potrà essere anche l'atteggiamento della nuova Amministrazione statunitense che, indubbiamente, se ha espresso un atteggiamento e un certo intendimento nei confronti dell'Afghanistan, è chiaro che dovrà anche esprimersi nei confronti del Pakistan, sebbene già nei confronti del Pakistan, in ordine all'evoluzione che è avvenuta in questi mesi, ci sia stata una reazione più guardinga, di maggiore difficoltà o, comunque, di minore apertura nell'ambito di questi rapporti. Si tratta, dunque, di un tema quanto mai critico, che non può essere affrontato neanche dalla stessa superpotenza statunitense da sola, ma che, evidentemente, deve essere affrontato in termini più ampi.
Poiché questo è il tema e questo è l'atteggiamento generale per quanto attiene alle azioni di impostazione multilaterale, vorrei sapere quali possono essere - e le chiedo un passo ulteriore rispetto alla enunciazione di carattere generale - gli strumenti, come conferenze o quant'altro, che noi immaginiamo di mettere in atto per poter affrontare uno scacchiere e un'area così problematica e così pericolosa per lo sviluppo del terrorismo, ma in cui deve essere realizzato un momento di rappacificazione e di stabilizzazione.
MARIO BARBI. Cercherò di essere brevissimo. Parlando del Pakistan, io credo che l'aspetto che colpisce - o che, almeno, colpisce me - sia l'impressione di avere a che fare, più di quanto accade per altri Paesi, con una realtà in cui c'è una dimensione visibile e una dimensione che ci sfugge. Si tratta di un luogo in cui si concentrano e si raccolgono spinte, tensioni, conflitti e dal quale partono impulsi e azioni che riguardano dimensioni di vario genere - nazionali, etniche, religiose - in un territorio dei più popolosi, dei più dinamici del mondo, in cui sono aperti il conflitto in Afghanistan e le questioni tra India e Pakistan.
Da questo punto di vista, dunque, è l'intreccio di più situazioni a rendere il tutto estremamente difficile e sfuggente, reso ancor più complicato da questa dimensione di azioni «coperte», che sappiamo esistere ma che non controlliamo e che credo nemmeno la classe dirigente, quella eletta, quella che governa il Paese, controlli.
Nei giorni scorsi mi è capitato di soffermarmi a guardare un film in televisione che raccontava la vicenda di quel giornalista americano rapito qualche hanno fa in Pakistan e poi ucciso e decapitato da un gruppo fondamentalista islamico. Già nella fiction era evidente questa duplice dimensione, questo sopra e sotto che poi ritroviamo nelle vicende dell'hotel Marriott o di Mumbai, e quindi la presenza, all'interno degli apparati dello Stato, di spinte contrastanti che sono quelle che ci riguardano.
Fatta questa premessa, preciso che non ho assolutamente alcuna presunzione di poterne afferrare i contorni più complessi; tuttavia, l'aspetto che mi ha più colpito della sua presentazione, sottosegretario, sulla quale vorrei chiederle di fornirci qualche elemento di più, è la dimensione multilaterale che vede il Pakistan al centro di un'area più vasta, in cui io includerei anche l'Iran. Credo che l'Iran non fosse presente a Parigi; ebbene, questo ci pone di fronte a una questione di non poco momento. Tuttavia è proprio questo il punto sul quale vorrei chiederle di darci qualche notizia in più.
Lei ha sottolineato come la dimensione multilaterale in queste aree e tra i Paesi che ne fanno parte - ha fatto riferimento anche alle Repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale - non sia sentita. D'altra parte, però, o c'è una consapevolezza e una collaborazione tra i rappresentanti ufficiali dei vari Paesi che sono in grado di trattare le questioni della regione, o altrimenti noi, da fuori, possiamo fare ben poco. Si tratta di situazioni su cui l'impero britannico sbatté la testa e tornò indietro; lo stesso succederà anche a quello americano, quindi figuriamoci come possiamo intervenire noi. Le dimensioni dei fenomeni sono di altro genere.
Come promuovere, dunque, tale consapevolezza? Quali possibilità ha visto in più rispetto ai tentativi precedenti?
Lei poco fa affermava che tutti si rendono conto che c'è il terrorismo internazionale, questo è forse l'unico elemento noto. Ebbene, mi chiedo - e le chiedo - se anche questa non sia una nozione che comincia ad essere un po' logora. Non è il caso di cominciare a differenziare?
Vi è certamente una dimensione, quella di Al-Quaeda, per intenderci, il califfato, la restaurazione di quest'ultimo e la destabilizzazione come condizione per qualsiasi rigenerazione. Questa, però, è una delle dimensioni, non è la sola, credo. Ci sono altri fenomeni, altri fatti, altri gruppi, che magari sono collegati a questo, ma che hanno altri obiettivi e che quindi converrebbe distinguere, in modo da affinare lo sguardo. Fare di ogni erba un fascio e usare una categoria sola per fenomeni che sono molto più complessi che richiederebbero una trattazione che punti a distinguerli anziché ad unificarli, non è una questione politica di un qualche rilievo che converrebbe tenere in considerazione?
È lo stesso problema politico che abbiamo in Afghanistan, peraltro. Ebbene, vorrei chiederle soltanto se può darci qualche elemento in più su questo.
Infine, le pongo una domanda da ignorante: cos'è questo outreach che è un termine che ha usato più volte?
PRESIDENTE. Visto che abbiamo ancora due o tre minuti, vorrei aggiungere una osservazione telegrafica, agganciandomi a quanto ha detto il collega Corsini. Credo che l'ottica nella quale si è visto l'attentato di Mumbai cercando di collegarlo all'Afghanistan sia realistica solamente in parte. Vorrei sapere cosa ne pensa lei.
Vi è il problema territoriale del Kashmir ed è vero che si tratta di un contendere continuo che risale al 1947. La parte musulmana dell'India vede più di 100 milioni di individui, ma è completamente
divisa dalla realtà indiana e di sviluppo di quel Paese. Lo stesso deve pensarsi per il Pakistan, dove è in corso una guerra di religione dal 1947, che ha visto centinaia di migliaia di morti da ambo le parti, che ha visto uno spostamento di popolazioni - soprattutto da parte indù, dal territorio pachistano - che si sono rifugiate in India e che rivendicano, tuttora, proprietà territoriali in Pakistan. Il problema indo-pachistano non è mai stato risolto, è sempre lì, sotto la cenere, pronto ad accendersi al minimo impulso.
In questa chiave, forse, va visto anche l'attentato di Mumbai; io la chiamo ancora Bombay, perché mi ricordo i miei tempi di gioventù. Mi pare che venga prestata poca attenzione a questo fatto storico che ha visto, lo ripeto ancora, centinaia di migliaia di morti nel 1947 e che, ancora adesso, si trascina. Ogni tanto, infatti, ci sono localmente altri nuovi attacchi.
Do la parola al sottosegretario per la replica.
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Vorrei innanzitutto rispondere all'onorevole Pianetta. L'Italia ha organizzato da tempo questa conferenza - e l'abbiamo annunciato nella Conferenza di Parigi - come outreach del G8, ovvero come esercizio diplomatico, conferenza che non rientra nell'ambito del G8, ma coinvolge Paesi che al G8 sono esterni. È un'espressione molto banale, ha ragione; è che sei mesi al Ministero degli affari esteri hanno fatto il loro effetto, ahimè! Saranno coinvolti tutti gli attori regionali e speriamo che questa volta l'Iran, che non è voluto venire, benché invitato, alla Conferenza di Parigi, sia presente, così come altri attori che possono comunque contribuire in tanti modi al processo di stabilizzazione del Pakistan, nonché di tutta la
regione, a cui noi siamo interessati, evidentemente.
La sensazione che ho avuto a Parigi, come ho detto prima e ora ribadisco, è che non tutti gli attori regionali siano consapevoli e abbiano la percezione profonda che la sicurezza e la stabilità di aree quali il Pakistan e l'Afghanistan, e il loro sviluppo economico si possano raggiungere, o che comunque questo sia un problema su cui si ragiona in termini collettivi. Io ho avuto la sensazione che, su questa strada, c'è ancora molto cammino da fare.
C'è stata una proposta uzbeca, di un gruppo di contatto fra i sei Paesi confinanti, più Russia, Stati Uniti e NATO, ma anche questa fatica, per così dire, a «vedere la luce». Credo che siamo di fronte a un percorso cominciato, ma che il percorso da compiere sia ancora lungo. Questa è la sensazione che ho avuto. Anche il fatto che l'Iran non sia venuto è un segnale in questo senso.
Insomma, ci sono gravi difficoltà su questo cammino. Per questo, è difficile immaginarsi, in tempi stretti, la creazione di un organismo multilaterale regionale che possa occuparsi del conflitto.
Tuttavia, questo è l'obiettivo. Questo significa che non bisogna cessare di perseguirlo e che il Governo italiano farà la sua parte.
È ovvio, e lei ha fatto bene a sottolinearlo, che non ci troviamo di fronte ad un esercito. La stessa definizione di «terrorismo» è vasta e impropria, perché connette e collega, evidentemente, tante realtà. Noi, però, crediamo - e questa è la convinzione che ho registrato anche nei fori internazionali - che, sebbene le realtà siano tante, ci sia un unico cervello.
È vero che, probabilmente, tale cervello utilizza, di volta in volta, gruppi terroristici che vogliono l'indipendenza del Kashmir; questa è una questione annosa ed è uno dei temi che bisognerebbe disinnescare, perché poi il terrorismo si nutre di tanti conflitti, peraltro giacenti da innumerevoli anni. L'idea che è emersa è che, comunque, si tratti di un unico cervello che dirige questo esercito invisibile, che utilizza non solo tanti gruppi ma anche tante questioni che sono interne e regionali. Questa è l'opinione che io sento quando andiamo in questi fori.
Lo si vede anche in relazione a questi ultimi attentati; è impensabile che siano stati realizzati da piccoli gruppi sciolti, perché hanno una tale potenza di fuoco -
come si diceva una volta - che è difficile ipotizzare che piccoli gruppi che abbiano rivendicazioni regionali da fare siano in grado di mettere in piedi attentati di quella portata.
Inoltre, come sempre, c'è il grande ragionamento che sta a monte: è evidente che se il terrorismo - ed è un aspetto che a me personalmente fa grandissima impressione - trova tante persone, tanti giovani disposti a morire, quindi a lasciare questa vita, è evidente che trova anche tante persone per cui questa vita è insopportabile. Questo è il motivo per cui anche il Governo italiano pensa che l'opzione militare, per quanto necessaria, non sia assolutamente una risposta sufficiente. La lotta al terrorismo, infatti, è strettamente collegata alla cooperazione, al lavoro per lo sviluppo di questi Paesi.
Il terrorismo si nutre di disperazione, di mancanza di speranza; non c'è pace dove si muore di fame. Il problema complessivo e grande, che purtroppo dobbiamo citare, è che in questo momento il mondo occidentale, ovvero l'Europa ma anche la stessa America, non è in grado di mettere a disposizione tutte le risorse necessarie. Servirebbero, infatti, uomini e risorse, ma in questo momento il mondo occidentale è in difficoltà. Questo è un grande tema.
Noi conosciamo le difficoltà del Governo italiano e del Ministero degli affari esteri, ma queste sono le stesse difficoltà che affronta in questo momento tutto il mondo occidentale. Purtroppo, per risolvere questi grandi conflitti regionali servirebbe di più e in questo momento di più è difficile fare.
PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 9,20.