Sulla pubblicità dei lavori:
Stefani Stefano, Presidente ... 3
Comunicazioni dei ministri degli affari esteri e della difesa ai sensi dell'articolo 3, comma 27-bis, del decreto-legge n. 8 del 2008, sugli sviluppi relativi alle missioni internazionali:
Stefani Stefano, Presidente ... 3 5 14 18 20 22 24 27
28 29 30 31 33
Cirielli Edmondo, Presidente ... 9
Antonione Roberto (PdL) ... 21
Boniver Margherita (PdL) ... 24
Bosi Francesco (UdC) ... 14
Cicu Salvatore (PdL) ... 26 27
Dini Lamberto, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica ... 3
Divina Sergio (LNP) ... 16 18
Fassino Piero (PD) ... 18 20 32
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri ... 5 30 31
La Russa Ignazio, Ministro della difesa ... 9 30 31 33
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 28 29
Orlando Leoluca (IdV) ... 15
Paglia Gianfranco (PdL) ... 29
Perduca Marco (PD) ... 27 28
Pinotti Roberta (PD) ... 22 24
Ramponi Luigi (PdL) ... 25
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14,05.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso anche tramite la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni dei Ministri degli affari esteri e della difesa ai sensi dell'articolo 3, comma 27-bis, del decreto-legge n. 8 del 2008 sugli sviluppi relativi alle missioni internazionali.
Tenuto conto del tempo necessario allo svolgimento delle comunicazioni dei ministri e delle successive repliche, il tempo a disposizione per eventuali interventi dovrà essere contenuto nelle due ore, come detto in precedenza. Pertanto, al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei lavori, secondo quanto stabilito dall'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, si è proceduto a un contingentamento del tempo a disposizione di ciascun gruppo, che viene ripartito per metà in misura uguale e per metà in misura proporzionale alla consistenza di ciascun gruppo, come risulta dal prospetto, che credo e spero sia stato distribuito.
In particolare, i lavori saranno organizzati nel seguente modo: nella prima tornata gli interventi avranno una durata di dieci minuti, nella seconda il tempo sarà diviso come ognuno crede meglio.
Nei primi venti minuti della seduta i gruppi dovranno far pervenire alla Presidenza i nominativi di coloro che interverranno durante il primo giro, mentre i singoli componenti della Commissione dovranno prenotarsi per il secondo giro di interventi.
Avverto che dopo la prima tornata, come stabilito dall'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, che ha accolto questa proposta, è consentito ai gruppi, eventualmente, di accorpare i tempi loro a disposizione.
Do immediatamente la parola al presidente della 3a Commissione del Senato, Lamberto Dini, per una introduzione.
LAMBERTO DINI, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica. Noi presidenti delle Commissioni esteri e difesa del Senato, ma anche della Camera, vogliamo ringraziare i ministri Frattini e La Russa per aver voluto rispettare in modo rigoroso i termini previsti dalla legge n. 45 di conversione del decreto-legge n. 8, che impegna il Governo a riferire entro il 30 giugno di ogni anno sul contesto in cui si svolgono le missioni internazionali.
È essenziale che il Parlamento sia informato in modo analitico e tempestivo della dimensione e della qualità dell'impegno dei nostri militari presenti all'estero in missioni internazionali di pace, che
traggono tutte fondamento da obblighi assunti a livello internazionale.
È proprio l'esistenza di precisi impegni assunti nell'ambito di organizzazioni internazionali che giustifica la presenza dei nostri militari al di fuori dei confini, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 11 della nostra Costituzione.
L'Italia è attualmente impegnata all'estero con più di 8 mila militari, che operano in 31 missioni internazionali dislocate in 19 Paesi. Le missioni di maggiore impegno sono naturalmente, nell'ordine, quelle in Libano, dove sono presenti più di 2.500 militari italiani, in Afghanistan, dove operano circa 2.400 unità, e nell'area dei Balcani occidentali in cui sono impegnati più di 2 mila dei nostri soldati.
Vi sono, poi, altre missioni che impiegano un numero minore di unità e che vedono, in alcune di esse, una partecipazione italiana che dura da molti, anzi da moltissimi anni. A questo proposito sarebbe utile che venisse fornita, al di là dell'informativa al Parlamento in occasione del rifinanziamento annuale delle missioni - come è noto scadrà a dicembre - una panoramica sulla durata dell'impegno che ci viene richiesto.
Sarebbe infatti utile avere una valutazione sul senso di una presenza militare in alcuni scenari dopo moltissimi anni e, soprattutto in una legislatura che è appena iniziata, conoscere, per quanto prevedibile, l'orizzonte temporale del nostro impegno, specie nei teatri più impegnativi e complessi, nonché confermare la natura dell'impegno, come stabilito dalle regole di ingaggio.
Gli onorevoli ministri vorranno informare le Commissioni sulla missione in Afghanistan e su eventuali mutamenti nelle regole di ingaggio e clausole connesse per il nostro contingente, che opera nell'ambito, lo ricordo, del codice militare e civile.
L'attuale impegno in Afghanistan è al contempo militare e civile, un sostegno attento al continuo rafforzamento delle istituzioni di quel Paese, alla ricostituzione e alla crescita economica e civile di quella martoriata regione.
La conferenza di Parigi di domani, 12 giugno, vedrà riuniti i Paesi donatori, ai quali verrà richiesto uno sforzo maggiore, l'obiettivo del nostro intervento essendo proprio quello di addivenire ad un progressivo passaggio delle responsabilità nelle mani delle autorità afghane, quando saranno in grado di sostenersi da sole e di garantire sicurezza e giustizia per la popolazione. Ne avremo una prima testimonianza nel momento in cui, nei prossimi mesi, il nostro contingente cederà il comando della capitale della regione, Kabul, proprio alle autorità afghane e ridurrà la propria presenza nell'area di Kabul.
I recenti sviluppi politici ed istituzionali in Libano sembrano aprire un orizzonte meno denso di preoccupazioni per la presenza dei nostri militari che svolgono, nell'ambito della missione UNIFIL, una funzione da tutti gli attori ritenuta essenziale. Le Commissioni sono interessate ad avere più precisi elementi di valutazione al riguardo.
Nei Balcani, e in particolare nel Kosovo, l'Italia da tempo è impegnata nella missione KFOR. Suscita preoccupazione lo stallo in cui versa il varo della missione EULEX, in cui è previsto il coinvolgimento di circa 200 funzionari italiani, e che avrebbe dovuto essere avviata a metà giugno. Attualmente il Kosovo, lo ricordo, è stato riconosciuto come Stato indipendente solo da una quarantina di Paesi e da 20 dei 27 Stati membri dell'Unione europea. La comunità internazionale si presenta pertanto ancora divisa sull'assetto e sul futuro del Kosovo. Sappiamo che presso le Nazioni Unite è in corso un complesso negoziato volto a facilitare l'interazione tra le missioni UNMIK ed EULEX, ma il tutto è fortemente condizionato da diversi orientamenti circa il riconoscimento del Kosovo stesso.
In ragione delle nostre storiche relazioni con i Paesi balcanici, dobbiamo interrogarci sulla prospettiva della nostra presenza in tale area. Per quanti anni sarà necessaria una così massiccia presenza
internazionale nella regione? Quante risorse dovremo investire, tenendo aperta la prospettiva europea, per tutti i Paesi dei Balcani occidentali?
Per tutte queste questioni l'audizione di oggi è preziosa e, ne sono sicuro, fornirà chiarimenti ed elementi essenziali di valutazione.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Dini. Diamo il benvenuto al Ministro La Russa e la parola al Ministro Frattini per il suo intervento.
FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Signori presidenti, signori senatori e deputati, questa prima audizione a cui partecipo nella formula delle Commissioni riunite mette il Governo in primo luogo nella condizione, per la prima volta, di informare il Parlamento - il Ministro La Russa ed io lo faremo volentieri - e di svolgere alcune importanti riflessioni che riguardano gli scenari in cui l'Italia è impegnata con missioni internazionali.
Credo che la discussione di tutti sarà particolarmente opportuna se partiremo da una domanda, che voglio rivolgere a me stesso, a cui provo a dare qualche risposta. La domanda attiene al perché complessivo della partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali, ed è uno degli interrogativi ora posti dal presidente Dini. Credo che, nella misura in cui noi riusciremo a dare una risposta condivisa ad un interrogativo che certamente non è retorico, riusciremo a dare prova di uno spirito nazionale, non di parte, che è indispensabile per mettere a punto le linee programmatiche della nostra politica estera - questa è la mia convinzione profonda - ma riusciremo anche a far giungere ai nostri militari un messaggio di sostegno corale e compatto di tutto il Parlamento. Ritengo che sia un sostegno prezioso anzitutto quello di sapere che tutto il Paese e il Parlamento sono con loro.
La risposta a questo interrogativo - ed ecco le mie suggestioni sulla risposta - si può articolare su più livelli. Credo che anzitutto noi siamo presenti per tutelare la nostra sicurezza. In un mondo sempre più globalizzato, anche per noi è impensabile oggi immaginare di proteggerci da minacce, anch'esse globali, limitandoci a presidiare solo il nostro territorio. Inoltre, certamente partecipiamo per contribuire in maniera tangibile alle organizzazioni e alle alleanze di cui facciamo parte, di cui lealmente siamo attori importanti, direi a quel multilateralismo efficace che è un elemento basilare della politica estera italiana e di cui le missioni internazionali sono una delle più concrete espressioni.
Siamo anche impegnati nella gestione di aree di crisi importanti per affermare il prestigio internazionale del nostro Paese, per dimostrare che l'Italia può costituire un valore aggiunto nella discussione e nella riflessione nelle aree di crisi.
Credo che l'Italia debba un nuovo prestigio nel mondo anche all'impegno dei suoi militari di pace, dei suoi soldati che mantengono la pace e contribuiscono alla costruzione della democrazia. Da questo è scaturito certamente, nelle Nazioni Unite, nell'ambito della NATO, nell'ambito dell'Unione europea, un apprezzamento: un apprezzamento sempre più convinto sulla nostra possibilità di apportare un contributo all'azione multilaterale.
Posso dire che l'Italia ha una caratteristica che tutti i colleghi di Paesi stranieri nel mondo ci riconoscono, qualcosa che potremmo definire uno spirito italiano che ci rende apprezzati nel tempo e nei luoghi più complessi, dovunque noi operiamo. Io stesso posso testimoniarlo. Tornato alla Farnesina ho avuto subito importanti incontri internazionali: da ultimo ho incontrato il Primo ministro iracheno, il Segretario generale dell'ONU, il Segretario generale della NATO, e da tutti loro ho raccolto parole di apprezzamento. Le ho raccolte, ad esempio, dal Primo ministro Al-Maliki per la formazione che i nostri Carabinieri stanno svolgendo in Iraq a favore della polizia irachena o per il ruolo svolto dal contingente italiano in Libano al comando della missione UNIFIL 2.
Questo apprezzamento è dovuto alla capacità di sommare efficienza e professionalità ad una dimensione di spirito, ad
una dimensione umana fatta di sensibilità e apertura alla comprensione delle diversità culturali con cui entriamo in contatto. Credo che questo sia un valore aggiunto. Evidentemente intelligenza e umanità vanno insieme nelle azioni che conduciamo sul terreno. Certamente quel metodo richiama una relazione che si fonda sul rispetto dell'altro, sulla capacità di ascoltare gli altri, un atteggiamento fondato su quella che è la nostra convinzione di italiani, un sentimento di uguaglianza tra tutti i popoli e il rifiuto di ogni tentazione verso l'arroganza e il paternalismo. Questo è un altro elemento che fa delle nostre azioni sul terreno delle azioni con un alto valore aggiunto.
Noi siamo sempre disponibili e capaci di offrire ai popoli e ai Paesi, ad esempio nella formazione, la possibilità di costituire quella che si chiama una ownership, restituire il loro destino nelle loro mani. Questo evidentemente è un prestigio che conquistiamo anche per continuare a onorare il sacrificio di quei nostri connazionali che, in quanto soldati di pace, hanno creduto, ma sono caduti per onorare questo impegno.
Credo che sia importante, nel loro nome, ricordare che si deve scongiurare ogni rischio di cedimento al disimpegno e all'abbandono, proprio mentre governi e popoli delle nuove e fragili democrazie con cui entriamo in contatto ci chiedono di continuare ad aiutarli, di restare impegnati nel nostro lavoro.
Dobbiamo difendere questo patrimonio e credo che, nelle linee guida della nostra politica estera, si inserisca anche questo elemento.
C'è un dibattito in cui ovviamente si colloca anche l'esigenza di un utilizzo più flessibile del nostro contingente in Afghanistan, il tema dei caveat, su cui ovviamente il Ministro La Russa vi intratterrà, ma questo non può indurre a trascurare alcune considerazioni di partenza.
Abbiamo costituito negli anni un patrimonio di credibilità in questa dimensione del nostro impegno di politica estera. Il nostro prestigio ha comportato l'assunzione di responsabilità, compiti e competenze differenti. Abbiamo ampliato il nostro mandato italiano, dal militare tradizionale alle componenti civili e alle attività puramente umanitarie. E questo impegno credo debba essere oggi confermato, perché esso potrà contribuire a disegnare l'immagine, il ruolo e le ambizioni della nostra politica estera. Io credo che sia uno strumento indispensabile anche per facilitare la nostra proiezione all'estero e per farci divenire sempre di più attori di decisioni importanti e strategiche.
Qualche breve riferimento ai vari scenari, anzitutto l'Afghanistan. Da sei anni a questa parte si sono avuti progressi, ma molto resta da fare. Tali progressi hanno portato all'adozione di una Costituzione afghana, all'inizio di un ristabilimento di un sistema di giustizia, di un funzionamento ancora insufficiente, ma direi decoroso, dei tribunali e dell'organizzazione giudiziaria, e hanno comunque avviato il consolidamento delle istituzioni nazionali.
Ci sono, però, gravi problemi. Resta la presenza di una insorgenza territoriale di gruppi che sono collegati al terrorismo, che certamente profittano del traffico della droga e della sua coltivazione per finanziare attività terroristiche, che sono praticate non solo contro la presenza straniera, ma direi soprattutto verso le istituzioni afghane e la stessa popolazione civile, i loro stessi compatrioti.
Questo rende difficile avviare su basi solide quello che noi chiamiamo il processo di riconciliazione nazionale; rende anche problematico, come voi sapete, il rapporto tra il Presidente Karzai e il Parlamento afghano. Ecco perché la comunità internazionale deve semmai intensificare gli sforzi a sostegno della ricostruzione dell'Afghanistan.
Domani a Parigi parleremo di questo, nell'ambito di una conferenza internazionale che sarà testimonianza immediata di questo e che ragionerà su una revisione strategica dell'intero quadro di riferimento per la ricostruzione e per il consolidamento istituzionale dell'Afghanistan, che è indispensabile per migliori prospettive di sviluppo economico-sociale del Paese.
Lo slogan che noi usiamo, «afghanizzazione del Paese», è quello giusto. Dobbiamo riportare la responsabilità afghana in tali processi e quindi incanalare, attraverso il bilancio afghano, sempre più gli aiuti internazionali.
Certamente l'Italia, in questo, vuole svolgere un ruolo di primo piano. Ampiezza e qualità, non solo quantità, del nostro contributo ci sono riconosciuti da tutti. Io credo che qui siano anzitutto le armi della politica e dell'institution building a poter fare la differenza. Ma è evidente che il nostro contributo porta anche a consolidare la presenza in Afghanistan sotto il profilo della sua dimensione militare. Questo è il ragionamento politico - che non sarà ovviamente da me sviluppato, ma il raccordo con il Ministro La Russa è e sarà assolutamente totale in questo - sulla necessità di rivedere, rendendole più flessibili, quelle cosiddette regole di caveat, cioè i limiti all'impiego delle nostre forze nella missione ISAF.
Questo evidentemente è un aspetto politico e simbolico, anzitutto, perché contribuirebbe - e io spero contribuirà - a dare un segnale di piena solidarietà a tutti gli altri alleati. Alleati che ce lo chiedono, che ci riconoscono da un lato la straordinaria qualificazione delle nostre donne e dei nostri uomini, ma che ovviamente ci chiedono lealtà piena nei confronti di una missione NATO alla quale noi abbiamo creduto e crediamo.
Se volete, questa riflessione sui caveat è lo sviluppo della decisione che è stata assunta proprio dalla NATO a Bucarest, nel vertice recente, quando, presente il Segretario generale dell'ONU, si è deciso di rafforzare il sostegno militare e politico all'ISAF. Quindi, la sintesi dell'impegno militare e di quello politico sono il risultato del vertice di Bucarest, a cui tutti gli attori, vale a dire i Paesi parte, hanno partecipato.
Voi sapete che l'Italia di recente ha ricevuto un segnale importante: un nostro giovane e capace diplomatico, il consigliere d'ambasciata Gentilini, è stato nominato rappresentante civile della NATO in Afghanistan. Questo è un riconoscimento per il ruolo che la nostra diplomazia, ma il sistema Italia in genere, svolge in quel Paese.
Ecco perché è così importante che dimensione politica, cooperazione civile, impegno militare e cooperazione regionale siano intimamente connessi. C'è un'azione di coordinamento, c'è un rappresentante delle Nazioni Unite, ma c'è anche un nuovo sforzo per la collaborazione regionale. Sapete che il G8 ha lanciato un'iniziativa per la collaborazione e la cooperazione nella zona di frontiera Afghanistan-Pakistan. Questa iniziativa di cooperazione sarà proseguita durante la presidenza italiana del G8 il prossimo anno. Non abbiamo solo questo in Afghanistan, ma non c'è tempo per dire tutto quello che facciamo in quella regione.
Siamo il secondo Paese contributore alla missione EUPOL, la missione sviluppata nell'ambito dell'iniziativa Unione europea, sicurezza e difesa. È evidente che proprio per questo richiederò ai colleghi ministri degli esteri degli altri Paesi un maggiore impegno di collaborazione, non dell'Italia, che è il secondo contributore, ma dei Paesi che ancora non contribuiscono in modo adeguato a questa attività che serve alle forze di polizia afghane.
Come ha accennato il presidente Dini, in Kosovo viviamo una situazione di particolare delicatezza. Più in generale, come sapete l'Italia è fortemente impegnata su tutto lo scenario dei Balcani occidentali, ma in Kosovo viviamo una stagione di transizione. Tra pochi giorni la Costituzione kosovara sarà adottata ed entrerà in vigore. Questo, evidentemente, vedrà Pristina aumentare le proprie capacità di governo, ma vedrà anche la riconfigurazione della presenza internazionale sul terreno.
L'iniziativa chiave è la missione europea EULEX. È una missione che si dovrà dispiegare sul territorio, prendendo gradualmente il posto di UNMIK, la missione delle Nazioni Unite. È evidente che il Kosovo indipendente avrà più responsabilità, non meno; sarà più responsabile per
i diritti delle minoranze, per lo Stato di diritto, per la giustizia, per la sicurezza sul territorio.
Tra oggi e domani il Segretario generale dell'ONU trasmetterà i dettagli del suo programma di riconfigurazione della presenza internazionale. Come accennava il presidente Dini, la transizione non avverrà domani e neanche dopodomani, arriverà presumibilmente in autunno. Stiamo delineando le strategie per la transizione, ne stiamo parlando a livello di ministri degli esteri, ma certamente l'Italia ha già deciso che darà un grande contributo - circa 200 uomini - al dispiegamento di EULEX, una missione in cui fortemente crediamo.
Occorre un ombrello ONU per EULEX, è vero; occorre che ci muoviamo nel quadro assolutamente stretto del rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite. È necessario farlo per evitare ambiguità rispetto ai compiti residuali di UNMIK.
Per quanto riguarda la sicurezza, nessuno può immaginare che KFOR svolga funzioni di forza di polizia, anche se soltanto transitoriamente. KFOR e la NATO non potrebbero accettare questo.
È chiaro, però, che anche ciò non basta per rasserenarci sul Kosovo. Occorre lavorare con gli attori politici; occorre lavorare con la Serbia, spingendola a tenere atteggiamenti costruttivi e ovviamente incoraggiandola nella sua prospettiva europea e atlantica. Ho avuto ieri sera a Roma la visita molto gradita del Ministro degli esteri della Serbia, che mi ha raccontato l'evoluzione della situazione. Posso auspicare, unendomi al suo ottimismo, che in tempi molto brevi il Presidente Tadic sia nelle condizioni di formare un Governo pro-europeista in Serbia. Se questo, come mi auguro, accadrà, la strada si aprirà verso la possibilità per la Serbia di fare grandi passi, a breve, verso la presentazione della candidatura di adesione all'Unione europea. Questo sarebbe un passo che, se posto in parallelo con lo sviluppo della dimensione NATO da parte della Serbia, rassicurerebbe tutti noi sul fatto che i Balcani occidentali si avviano verso
una normalizzazione in chiave europea e atlantica. Questa è la destinazione che io vedo per questi Paesi.
Per quanto riguarda il Libano, la situazione migliora dopo l'accordo di Doha. Ho avuto stamani, ancora una volta, una conversazione col Primo ministro Siniora che, tra l'altro, a suo nome e a nome del Presidente Suleiman, porge a tutti voi, onorevoli parlamentari, i suoi saluti personali e anche il ringraziamento per quanto l'Italia sta facendo per il Libano. Ho tenuto ad informarlo che oggi sarei stato ascoltato dal Parlamento italiano e mi ha trasmesso questo messaggio.
Siniora sta cercando di formare un Governo. Noi sosteniamo senza riserve il Governo Siniora. Lo sosteniamo perché è il frutto di un accordo che è il migliore possibile nelle condizioni da cui si era partiti; perché il Presidente Suleiman è persona rispettata da tutti; perché questo potrà portare un passo avanti nella dimensione politica, dal disarmo delle milizie all'apertura di un negoziato con Israele per la demarcazione dei confini, alla normalizzazione dei rapporti con il vicino siriano. Questi sono obiettivi chiave che noi vogliamo per il Libano, per prospettive sempre migliori nel futuro.
Quello di UNIFIL 2 è un contributo importante e da tutti apprezzato. Lo è quando i nostri uomini garantiscono una zona cuscinetto libera dalle armi, lo è quando i nostri uomini hanno iniziato - anche nel quadro delle regole esistenti di ingaggio, che non si possono cambiare stanotte o domani notte - a dare una interpretazione più efficace alle regole esistenti. Come il Ministro La Russa ovviamente sa meglio di me, nelle ultime settimane oltre 10 mila veicoli sospetti sono stati ispezionati e circa 20 mila persone sospette sono state identificate. È chiaro che questo significa una presenza più incisiva anche per lo svolgimento di questo ruolo, che io credo sia una delle pre-condizioni per la sicurezza di Israele nella frontiera nord. È evidente che a noi, come Governo italiano, preme molto che la sicurezza di Israele sia uno dei tasselli di tutto questo scacchiere, quando parliamo
di Libano. Ed è anche evidente che noi siamo impegnati in Libano perché crediamo fortemente che il Libano sia uno dei punti chiave per il successo della stabilizzazione in quella regione.
Infine, per quanto riguarda l'Iraq, in quel Paese i nostri uomini svolgono un compito straordinario per la formazione della polizia irachena; tanto straordinario che qualcuno - non vi dico chi, se lo facessi non sarei un buon Ministro degli esteri - mi ha detto che quando le forze di polizia sono formate dai nostri Carabinieri, quelle pattuglie sono le migliori per l'attività di prevenzione antiterrorismo sul territorio. È un motivo di orgoglio di cui devo farvi partecipi.
È evidente che quella missione di formazione, missione in ambito NATO, è importante ed apprezzata. Io auspico che con un larghissimo consenso politico essa possa continuare, rispondendo a una domanda fortissima del Governo iracheno, che, come sapete, vorrebbe nostri addestratori anche in settori come la marina militare, l'aviazione. Al riguardo, il Ministro La Russa ha tutti gli elementi per esprimere delle valutazioni. Quel che conta, però, è che c'è una domanda forte di questi compiti di collaborazione.
Sapete anche che esiste una missione europea importante di formazione di magistrati e di funzionari civili iracheni, EUJUST LEX.
Un'ultima parola, anche se i tempi sono strettissimi, sull'Africa. Non ce ne dimentichiamo, anche lì abbiamo compiti molto importanti e grandi attori globali si stanno interessando all'Africa sempre di più. Uno dei primi temi che ha affrontato il collega cinese degli esteri è la collaborazione sull'Africa. È chiaro che l'attenzione dei cinesi ci deve far accendere un riflettore forte su questa questione.
Quando l'ho incontrato a Lima, il Presidente Lula mi ha riferito l'interesse del suo Paese a lavorare sull'Africa con l'Italia, e questo mi ha colpito particolarmente.
Noi che siamo lì, che conosciamo quel terreno meglio di molti altri, dobbiamo svolgere il nostro ruolo. Operazioni di pace, azioni di sensibilizzazione sul terreno ne abbiamo svolte tante. Abbiamo lavorato molto per promuovere un'idea di pacificazione tra le due parti in Somalia, subito boicottata dalle forze islamiste, che sono purtroppo legate direttamente e indirettamente ad Al-Qaeda. Ma noi sulla Somalia dobbiamo continuare a svolgere questa azione innanzitutto politica.
Ho chiesto al Segretario generale delle Nazioni Unite che cosa succederà della missione in Darfur e lui mi ha detto che quella missione ONU si dispiegherà in tempi molto rapidi (conta di avere, entro la fine dell'anno, l'80 per cento di dispiegamento rispetto alle previsioni, e forse anche di più).
Ecco il nostro lavoro: un supporto straordinario alla nostra politica estera, una soddisfazione per il prestigio che la bandiera italiana nel mondo ha dato, continua a dare e mi auguro darà.
Vi ringrazio.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro degli esteri Frattini e avverto i colleghi parlamentari che è scaduto il termine per iscriversi a parlare.
Do la parola al Ministro della difesa, onorevole Ignazio La Russa.
IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Saluto i presidenti delle Commissioni che hanno voluto invitarci a questo doveroso atto parlamentare, che noi - io e naturalmente il Ministro Frattini - affrontiamo con grande desiderio di collaborazione e grande volontà di schiettezza. Sono certo che lo stesso è avvenuto, come abbiamo sentito, da parte del Ministro Frattini.
Voglio assicurare, da parte mia, l'assenza di ogni reticenza nel rispondere alle vostre domande, se ce ne saranno. Il rapporto che voglio instaurare con queste Commissioni deve essere assolutamente franco, perché parto dalla considerazione
che in questo Parlamento sono rappresentate forze politiche che hanno mostrato, anzi mostrano attenzione alle nostre missioni, alla sorte dei nostri soldati. So che avete a cuore il loro impiego tanto quanto l'abbiamo noi. Questo mi consente un rapporto di assoluta franchezza, schiettezza e collaborazione.
Credo che il primo argomento da trattare sia certamente quello del teatro afghano. Voglio premettere che concordo pienamente con tutte le argomentazioni, nessuna esclusa, esposte dal Ministro Frattini e che, quindi, non avrò bisogno di ripetere alcune delle cose che egli ha già detto, mentre alcune dovrò inevitabilmente sottolinearle.
Credo che la disamina debba necessariamente cominciare - visto che il mio intervento sarà incentrato sui teatri di intervento più significativi, in termini di numero di militari italiani che vi operano - dal teatro afghano, che risulta probabilmente quello di più immediato interesse anche in relazione agli sviluppi futuri accennati dal Ministro Frattini, che interessano il nostro contingente lì dislocato.
La missione assegnata all'ISAF dal 2001 consiste nel condurre operazioni militari, secondo il mandato ricevuto, in cooperazione e coordinazione con le forze di sicurezza afghane e in coordinazione con le forze della coalizione internazionale, guidata dagli Stati Uniti d'America, al fine di assistere il Governo afghano nel mantenimento della sicurezza, favorire lo sviluppo delle strutture di governo, estendere il controllo del Governo su tutto il Paese ed assistere gli sforzi umanitari e di ricostruzione.
L'ISAF conta circa 50 mila uomini (49.300 in questo momento), appartenenti a quaranta nazioni. Dal comando ISAF - incarico attualmente ricoperto dal generale McKiernan dell'esercito statunitense - dipendono i cinque comandi regionali: quello del nord, dell'ovest, del sud, dell'est e della capitale. Il nostro contingente è ripartito tra l'area di Kabul, nell'ambito del comando regionale della capitale, di cui l'Italia ha assunto temporaneamente il comando per un periodo di nove mesi - scade se non mi sbaglio ad agosto - a partire dal 6 dicembre scorso, e la regione ovest (Regional Command West), che pure è sotto il comando italiano.
Attualmente abbiamo 2.600 militari schierati in Afghanistan. Dico subito che sono circa 300 in più rispetto alla media - non per nulla si chiama «media» - che il Parlamento ha autorizzato.
Nella regione di Kabul le responsabilità di comando, che come ho detto abbiamo assunto dallo scorso dicembre, sono state onorate in pieno dal nostro contingente. Mi piace segnalare, uno fra tutti, il lusinghiero giudizio espresso dal quartier generale dell'ISAF circa i risultati raggiunti dalla task force italiana che opera nel distretto di Surobi. Da quando sono stati lì dislocati i militari italiani, si è assistito ad un incremento esponenziale nella scoperta di depositi clandestini di armi: si è passati da sette a un numero elevatissimo (non ricordo se 700 o 1.700, ma comunque la crescita è stata veramente esponenziale).
Chi prima di noi, con scelta legittima, occupava quella zona - erano i militari turchi - aveva assunto un atteggiamento prudente, quello di stare chiusi nella base. I nostri militari, invece, si sono aperti molto verso la popolazione e ne hanno conquistato la collaborazione. Il generale Camporini mi segnalava che due giorni fa, per la prima volta - è un piccolissimo episodio, ma vale la pena di segnalarlo - un civile afghano ha fermato i nostri soldati di pattuglia e li ha avvisati della presenza di una mina. Non era mai capitato prima. È la prima volta in assoluto che un civile aiuta i nostri soldati ad individuare una mina, che poteva essere per loro un pericolo.
Questa collaborazione è preziosa e ci aiuta nella collaborazione che, a nostra volta, prestiamo con le forze afghane che operano congiuntamente con noi.
L'azione italiana a Surobi è stata giudicata in maniera talmente positiva dalla NATO da essere ora citata come vero e proprio modello da replicare anche in altri distretti afghani.
Nell'ambito della regione ovest, che è affidata come dicevo al comando italiano fin dall'inizio, opera con efficacia anche la squadra provinciale di ricostruzione di Herat, che è il capoluogo. Il PRT italiano - la squadra provinciale di ricostruzione - così come le analoghe squadre provinciali di ricostruzione messe in campo dagli alleati sono uno strumento fondamentale per consentire l'avvio di quella ricostruzione morale e materiale dell'Afghanistan, sia delle sue strutture statuali sia del tessuto della società civile.
Sempre nella regione ovest, il nostro contingente opera attraverso quattro squadre di addestramento e collegamento, che servono ad assistere le forze militari afghane sia nella fase di preparazione sia durante il loro impiego operativo. Anche queste squadre sono strumenti indispensabili a raggiungere gli obiettivi che la NATO si è prefissata.
L'Italia partecipa a questo sforzo alleato - condotto come sapete sotto l'egida della NATO e sotto quella dell'Unione europea nel quadro della missione EUPOL - anche mediante l'attività di istruttori forniti dall'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza per ricostruire (ma forse sarebbe meglio dire per costruire ex novo) forze di polizia capaci di sorvegliare il territorio e le frontiere del Paese.
A questo proposito, è all'esame la proposta - è solo una possibilità, per adesso - di incrementare sia pure leggermente il nostro sforzo, affiancando alle attuali azioni formative anche il supporto alla formazione dell'Afghan National Civil Order Police, attualmente condotto dalle forze statunitensi. L'impiego complessivo per queste attività richiederebbe circa quaranta unità dell'Arma dei carabinieri. Vi dico che stiamo esaminando questa possibilità non tanto per il numero delle forze da impiegare, ossia quaranta carabinieri, che verrebbe compensato dal fatto che a settembre cominciamo a ridurre considerevolmente il numero delle unità del contingente, quanto per la modalità di impiego, che è sicuramente in linea con gli obiettivi della missione, ma che porterebbe i nostri militari ad essere alle dipendenze dell'esercito degli Stati Uniti d'America. Stiamo verificando se esiste un modo perché questo
impiego possa essere ricondotto alla missione autorizzata dal Parlamento: in tal caso - questo è un esempio della schiettezza di cui parlavo prima - la cosa diventa più fattibile, altrimenti ci dovremo riflettere di più.
Va sempre ricordato come queste azioni di assistenza alle autorità afghane e alla popolazione non possono avvenire se non all'interno di un'adeguata cornice di sicurezza. A questo è dedicato l'utilizzo del resto del nostro contingente: la parte che non è impiegata in azioni umanitarie e in opere di formazione assicura una cornice di sicurezza a quella che opera per la ricostruzione e per la formazione.
Le prospettive di impiego del nostro contingente nei prossimi mesi vedranno dal mese di agosto venir meno la responsabilità nella regione della capitale, che attualmente è comandata dagli italiani e che passerà alla Francia. Questo ci consentirà di ridurre in maniera significativa - forse addirittura di 400 unità, ma sicuramente di 250 - la presenza nazionale in detta area. Si manterranno, comunque, forze di manovra idonee a garantire il passaggio graduale della responsabilità per la sicurezza della capitale alle forze afghane, secondo i tempi e le modalità pianificati dalla NATO.
Per quanto attiene alla regione ovest, è stata da tempo rilevata la necessità di aumentare la capacità di sorveglianza e di controllo del territorio nella sua porzione più meridionale, che attualmente ha dato qualche problema. Questa esigenza può essere soddisfatta a partire dal mese di ottobre attraverso un graduale utilizzo delle economie che registreremo nell'area di Kabul, dove diminuiamo la nostra presenza. Questo ci consentirà di disporre di maggiori capacità di manovra e di incrementare ulteriormente il contributo alla formazione e all'assistenza all'esercito nazionale afghano.
C'è un'altra piccola notizia da comunicare. Sebbene sia ancora in una fase embrionale, vi comunico - voglio dirvi tutto quello che so - che esiste una
richiesta, ancora non formalizzata, di rafforzamento della componente aerea per conferire un maggior livello di efficacia e di protezione al contingente già schierato. Come sapete, la protezione aerea attualmente viene assicurata da Gran Bretagna e Germania, che provvedono a proteggere, all'occorrenza, anche il nostro contingente. Soprattutto da parte tedesca si vorrebbe un nostro coinvolgimento in questa opera di protezione che riguarda tutto il contingente, ma in particolare il nostro, che attualmente è affidato a loro.
Ribadisco l'importanza di trasferire la responsabilità di sicurezza alle forze afghane. Si tratta del vero obiettivo strategico da perseguire, pienamente condiviso da tutta l'alleanza.
In sintesi, la ristrutturazione che vi ho esposto per l'intero teatro afghano vedrà nel breve periodo - entro agosto 2008 - una significativa riduzione della presenza dei nostri militari dagli attuali 2.600 a circa 2.000-2.100 (esclusi i quaranta che potremmo aggiungere); nel medio periodo, a partire da ottobre 2008, si avrà invece un parziale rischieramento, raggiungendo entro dicembre 2008 circa 2.400 unità, che sono comunque inferiori alle 2.600 che adesso stiamo impiegando.
Il tema del caveat è stato abbondantemente trattato dal collega Frattini. I caveat, come sapete, sono delle regole. È un termine giuridico, fra l'altro. Negli Stati Uniti indica un'eccezione, una limitazione a una regola.
I caveat, in realtà, sono regole che le singole forze nazionali inseriscono nel quadro delle regole generali, che invece sono dettate per tutta la missione. Nel nostro caso - questo non è tanto chiaro alla stampa, ma a voi probabilmente sì - noi non abbiamo alcuna limitazione all'utilizzo del nostro contingente nelle regioni ovest, nord e della capitale: lì il dispiegamento è già autorizzato. Nelle regioni est e sud, invece, a differenza di molte altre nazioni che operano nel contingente, il nostro contingente può essere dislocato solo per operazioni di eccezionale necessità e urgenza, senza bisogno di alcuna autorizzazione politica, per una scelta che può fare direttamente il comandante della missione. Si tratta di quelle che vengono definite in gergo in extremis operation.
C'è anche la possibilità che, in queste regioni, il comando ISAF, per specifiche e limitate operazioni in tempi ben definiti, chieda che il nostro contingente venga dispiegato. In quel caso il caveat prevede che si possa fare, purché ci sia l'ok delle autorità italiane. Il tempo che gli italiani si sono riservati per dare una risposta è di 72 ore. In sostanza, non si è mai verificata, fino ad ora, una utilizzazione in questa direzione.
Perché riteniamo utile andare incontro alla richiesta, che ci viene da tutti gli alleati, di consentire una maggiore flessibilità di impiego del nostro contingente? Perché di fatto, essendo il tempo stabilito per rispondere 72 ore, se ci venisse una richiesta e non rispondessimo in termini brevi, saremmo veramente tacciati di strano modo di concepire i tempi, in un ambito in cui la comunicazione è istantanea. A mio avviso - è una mia valutazione e spero che la condividiate - oggi il tempo massimo è di 72 ore, ma il tempo politico che ci si aspetta in caso di richiesta è brevissimo. Il permanere del caveat con 72 ore costituisce quella sorta di «nebbiolina» che esiste nei confronti del giudizio sul nostro contingente, che lo fa apparire meno disponibile di altri, senza che questo corrisponda a verità, in caso di emergenza a tutela di contingenti di altre nazioni.
Noi, invece, nell'ipotesi in cui ne avessimo bisogno, non avendo gli altri questi caveat, otterremmo in tempi immediati la disponibilità da parte di altri, sempre su richiesta del comando dell'ISAF. Occorre una nota di chiarificazione per mettere nero su bianco quello che già sappiamo, ossia che la risposta deve arrivare in tempi brevissimi: entro 6 ore anziché entro 72 ore.
Credo che questa sia una conseguenza dell'accelerazione di tutte le decisioni con cui ogni giorno anche noi politici siamo costretti a convivere. Probabilmente quando la regola è stata pensata ancora non ci si era resi conto che 72 ore, in
termini militari, sono la differenza tra la vita e la morte di numerose persone. Questa variante non deve portare a preoccupazioni in ordine ad un eventuale nuovo utilizzo del contingente, come erroneamente riportato da alcuna parte della stampa nei giorni scorsi. Voglio ricordare che l'eventuale uso della forza da parte dei nostri militari avviene unicamente in funzione delle circostanze e in misura proporzionale alla situazione, nel rispetto del diritto internazionale, delle norme e degli usi sui conflitti armati, nonché delle leggi e dei regolamenti nazionali e in coerenza con quelli delle forze cooperanti. Non modificheremo assolutamente nulla della qualità di impiego dei nostri soldati.
Mi piace prendere in prestito le parole del Segretario generale della NATO, che ha recentemente ribadito come la missione in Afghanistan rappresenti uno dei compiti più impegnativi che l'Alleanza abbia mai assunto dalla sua costituzione, ma essa costituisce un contributo determinante alla sicurezza internazionale.
Per questo intendiamo continuare a onorare il nostro impegno in Afghanistan, in uno spirito di coesione, continuità e condivisione con i nostri partner della NATO e dell'Unione europea, nel pieno rispetto delle pertinenti risoluzioni dell'ONU.
Sono queste condizioni le parole chiave che caratterizzano la nostra visione di politica militare sull'Afghanistan: continuità nell'impegno e condivisione delle responsabilità.
Passiamo ora alla situazione del Libano. Come è noto, il Paese ha attraversato nelle ultime settimane una fase di particolare tensione. Questa tensione sembra nettamente scemata dopo l'elezione alla presidenza di Suleiman, accettato da tutte le parti in lotta.
L'obiettivo della missione UNIFIL, vale anche qui la pena di ricordarlo, è quello di sostenere le forze armate libanesi sulla base delle loro richieste. Non siamo noi - voi lo sapete bene, ma certa stampa non lo sa - che possiamo prendere iniziative. La missione prevede che noi possiamo intervenire solo sulla scorta di esplicita richiesta delle forze armate libanesi, per garantire la sicurezza di una specifica area di responsabilità (la nostra è localizzata nel sud del Libano) e per assicurare che questa zona non venga utilizzata per alcun tipo di atto ostile.
L'UNIFIL, che come sapete è comandata dal generale Graziano, ha raggiunto una consistenza di circa 13 mila militari appartenenti a 28 nazioni. L'attuale contributo di forze nazionali è di circa 2.700 militari. Il principale elemento di novità relativo a questa missione, nell'anno in corso, è rappresentato dall'impiego della forza navale europea - EUROMARFOR, i cui quattro Paesi sono Francia, Portogallo, Spagna e Italia - quale comando multinazionale della maritime task force in Libano; la task force include anche unità navali di Germania, Grecia e Turchia.
Dal 29 febbraio scorso EUROMARFOR è subentrata alle forze navali tedesche ed è attualmente a guida italiana. L'Italia, da parte sua, garantisce la presenza di due unità navali della marina militare.
Non credo che al momento sul Libano - mi limito a dire questo, sintetizzando la relazione per ragioni di tempo - occorra modificare regole di ingaggio; in verità, non credo che occorra modificare alcunché, prima di tutto perché non tocca a noi fare modifiche, in secondo luogo perché nella zona del nostro contingente il pericolo è lo stesso dei mesi precedenti e infine perché a parlare troppo di modifica di regole d'ingaggio si crea una tensione che non è affatto utile.
La situazione dei Balcani la conoscete, peraltro l'ha spiegata benissimo il Ministro Frattini. So che l'interesse maggiore riguarda queste due missioni, dunque potrei fermarmi qui e rispondere ad eventuali domande che riguardino le altre missioni. Comunque, non sono previste sostanziali modifiche rispetto allo spiegamento di forze attualmente in essere.
Scusate se mi sono dilungato, ma del resto il tempo che il nostro dibattito e la stampa hanno dedicato alle due missioni in Afghanistan e Libano non poteva che
indurmi a darvi un'informazione più ampia e completa possibile. Vi ringrazio per la pazienza.
PRESIDENTE. La ringrazio, signor Ministro, per aver colto il problema dei tempi.
Nel dare parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, avverto che sarà mia cura assicurare il rispetto dei tempi previsti, salva naturalmente la possibilità di essere ancora più concisi.
FRANCESCO BOSI. Ci proveremo, signor presidente. Credo di poter tralasciare tutte le valutazioni, che sono state espresse molto bene dal Ministro Frattini, sullo spirito delle nostre missioni, su quello che queste missioni hanno significato anche in termini di prestigio per l'Italia, sui valori che i nostri contingenti hanno messo in campo, non solo sotto il profilo militare, ma anche umanitario. Personalmente e a nome del partito dell'UdC, che rappresento, credo di poter dire che su questa linea possiamo concordare.
Approfondirò, invece, alcune valutazioni su elementi che mi sembrano meno chiari in ordine alle questioni più strettamente militari che sono state accennate dal Ministro Frattini e giustamente rimandate alla relazione del Ministro della difesa La Russa.
Parto subito dalla questione un po' più spinosa, quella dei caveat, sulla quale credo che dobbiamo intenderci. Faccio parte della delegazione parlamentare NATO e sono vicepresidente della commissione difesa dell'Assemblea parlamentare NATO, dunque potrei leggervi - ma ve li risparmio - tutti i documenti che vengono puntualmente approvati all'unanimità da tutti i Paesi. Ebbene, i nostri alleati della NATO, nelle sedi istituzionali, invitano costantemente a un maggiore impegno in Afghanistan, ritenendo tutt'altro che vinta la missione in quel Paese; una missione difficilissima, non solo ma anche militare. Al riguardo, mi sembra alquanto strano che l'Italia, che dà un apporto importante nel comando della regione di Herat, nella regione ovest, pensi di diminuire il contingente.
Soprattutto, l'Italia è costantemente invitata da tutti i partner che hanno una maggiore presenza militare in Afghanistan a rimuovere queste famose «limitazioni» - questo forse il termine più proprio - ossia i caveat. Oltre il 75 per cento degli episodi di conflitto avvengono in un'area ristretta, che non è quella che ci appartiene. Evidentemente l'idea che il contingente italiano, nella regione ovest, possa essere militarmente sottoutilizzato, a fronte di rischi importanti che vengono sopportati da altri contingenti - segnatamente quello canadese, quello statunitense e quello polacco - nella regione sud, rappresenta un problema.
Noi lo abbiamo già segnalato nella scorsa legislatura al Ministro della difesa e al Ministro degli esteri del Governo precedente, ma la questione è sempre stata rimandata. Dalle dichiarazioni rese dal Ministro degli esteri, in prima battuta, dopo il suo insediamento, in un incontro con il Segretario generale della NATO, mi è parso di capire che vi sia la disponibilità a rivedere in maniera seria la questione dei caveat. Mi è sembrato, invece, un po' più sfumato il concetto espresso nell'intervento del Ministro della difesa, che dovrebbe invece poter fornire indicazioni più precise (se lo vorrà fare nella replica gliene sarò grato).
Appare strana, come dicevo, la riduzione del contingente, mentre credo che la copertura aerea, perlomeno nella regione ovest, l'Italia dovrebbe garantirla autonomamente.
IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. La questione dei caveat non riguarda la copertura aerea.
FRANCESCO BOSI. Stavo passando a un altro punto. Lo so, quella dei caveat è
un'altra storia. Tra l'altro, sono stato varie volte in Afghanistan nei cinque anni che sono stato al Ministero della difesa, quindi conosco la situazione, così come conosco l'apprezzamento di cui godono i nostri contingenti militari (e segnatamente l'Arma dei carabinieri, per la grande capacità di relazionarsi con la popolazione e nell'addestramento). Conosco, altresì, per averne preso direttamente visione, l'importanza delle infrastrutture civili che i nostri contingenti militari hanno realizzato; mi riferisco alla ricerca dell'acqua, al ripristino delle infrastrutture eccetera.
Indubbiamente, però, credo che l'Italia sia di fronte a una grossa questione, Ministro La Russa. Noi facciamo parte a tutti gli effetti della NATO e la missione in Afghanistan è la missione più importante dalla quale dipende - non credo di dire nulla di spropositato - la sopravvivenza della NATO. Immaginiamo solo per un attimo che questa vicenda debba finire male o comunque non debba concludersi bene: che senso avrebbe il permanere della NATO e quali sarebbero gli equilibri all'interno delle forze che la compongono?
Credo che l'Italia debba fare qualcosa di più, ed è quello che ci viene sollecitato. Tralascio gli altri prosceni, perché condivido le impostazioni espresse principalmente dal Ministro degli esteri, tanto per le vicende libanesi che per quelle kosovare. Tuttavia, devo dire che sulla questione della NATO abbiamo utilizzato forse poco, nei due anni della scorsa legislatura, il collegamento fra le Assemblee parlamentari della NATO e il Parlamento nazionale.
Credo che al riguardo dovremmo stabilire un maggior raccordo. Quando la componente italiana si reca nelle sedi parlamentari della NATO e segnatamente nelle commissioni più importanti (la commissione politica, la commissione difesa) non può farlo come un Paese che ha qualcosa da farsi perdonare. Questo non avrebbe senso, soprattutto per rispetto dei nostri contingenti militari, che sono impegnati in una missione importante ai fini della pacificazione e della stabilizzazione, e lo fanno in rappresentanza del nostro Paese, portando come simbolo la bandiera italiana.
Credo che i nostri militari - li ho incontrati diverse volte - siano disponibili, naturalmente con tutti gli elementi di protezione necessari, a fare fino in fondo il proprio dovere.
LEOLUCA ORLANDO. Signor presidente, vorrei esprimere un apprezzamento ai ministri per la loro presenza e per l'informativa che hanno voluto rendere all'inizio di questa legislatura.
Vorrei iniziare sottolineando due aspetti: credibilità e sicurezza. C'è un patrimonio di credibilità - questo emergeva dagli interventi dei ministri - che riguarda il nostro Paese; quel patrimonio, vorrei ricordarlo, lo si è costruito anche e soprattutto nella sede parlamentare. Negli ultimi anni abbiamo costantemente registrato un clima di coesione e di volontà di collaborazione per rafforzare questo patrimonio di credibilità, che è certamente nell'interesse del ruolo internazionale del nostro Paese, ma anche a garanzia dei nostri uomini, militari e civili, presenti all'estero, che indubbiamente si avvantaggiano se il nostro Paese si muove in maniera credibile nelle zone di azione.
Per quanto riguarda la sicurezza internazionale, mi pare sia ormai consolidata la convinzione che occorre procedere attraverso il rafforzamento della dimensione multilaterale e comunitaria della nostra presenza all'estero e che tale dimensione è a sua volta - il cerchio si chiude - elemento di garanzia e sicurezza.
Fatta questa breve premessa, non devo aggiungere nulla, se non confermare quello che ho detto missione per missione. Questo clima positivo si è registrato e si registra in tutte le missioni. Si registra nel Kosovo, missione che è in parte ormai alle nostre spalle, e nella quale tutti avvertiamo uno scarto tra la dimensione dell'impegno italiano e il riconoscimento del nostro impegno nei Balcani. C'è un grande bisogno di presenza di Italia nei Balcani, c'è un grande impegno italiano in quella zona, ma non c'è un riscontro adeguato,
probabilmente per interferenze americane e francesi, rispetto al nostro ruolo.
Per quanto riguardo il Libano, credo che siamo tutti d'accordo che occorre far sì che il Libano non sia un luogo di scorribande, ma uno Stato organizzato secondo criteri democratici. Da questo punto di vista, mi sembra che si stiano compiendo passi avanti sulla strada della formazione di un Governo che meriti di essere chiamato tale, considerando ovviamente le difficoltà di un Paese che sta costruendo una dimensione statuale, in passato più virtuale che reale.
In Iraq il ruolo civile è certamente apprezzato, anche nel settore giudiziario. Per l'Africa subsahariana mi permetto di suggerire un apposito confronto con il Governo, per evitare che questo buco nero resti tale, pur apprezzando - ma anche diffidando - le disponibilità alla collaborazione di cinesi e brasiliani. Dico che dobbiamo apprezzare e diffidare al tempo stesso, in mancanza di un quadro di riferimento chiaramente leggibile.
Fatta questa premessa passiamo all'Afghanistan. Credo che anche in questo caso il nostro ruolo sia consolidato. Stiamo parlando di due missioni radicalmente diverse: la missione americana e la missione italiana, nell'ambito dell'ISAF. È difficile affermare che la missione americana ha avuto successo. Mi permetto sommessamente di dirlo, se è vero come è vero che tutti i vertici del terrorismo talebano sono ancora liberi e continuano ancora, dopo sette anni, la loro attività. Tuttavia, non è questo il tema che stiamo discutendo, non essendo noi coinvolti in questa missione.
Siamo coinvolti, invece, nella missione ISAF nella regione ovest. Credo che dall'informativa che abbiamo ricevuto possano emergere due rischi di rottura del clima che si è creato in questa sede parlamentare. Il primo rischio è quello di spostare verso le zone sud ed est della regione la nostra missione, zone molto più pericolose dell'attuale area di intervento (parliamo delle aree al confine col Pakistan, per essere più chiari).
È evidente che esiste un rischio di sovrapposizione tra la missione ISAF e la missione che, invece, non ci vede coinvolti. Sarà difficile spiegare alla popolazione che siamo parlando di due interventi diversi, quando tali interventi si dispiegano sullo stesso territorio e da parte di persone che agiscono inevitabilmente in maniera coordinata.
Pongo, dunque, una domanda, e gradirei una riposta: quali iniziative si stanno avviando perché la garanzia delle zone sud ed est dell'Afghanistan sia effettuata da parte del Governo pachistano?
Inoltre - questo è il secondo rischio di cui parlavo - con riferimento a questa zona più esposta a pericolo, la modifica del caveat aumenta ulteriormente i rischi. La riduzione a sei ore del tempo massimo per dare la propria disponibilità credo significhi privare l'eventuale intervento dei nostri uomini del supporto del confronto parlamentare che le 72 ore potrebbero in qualche modo garantire.
Credo che introdurre un termine così ridotto equivalga a dire che, con riferimento agli interventi nelle zone più delicate dell'Afghanistan, si può prescindere sostanzialmente dal conforto parlamentare. Mi permetto di dire che questo non comporta solo una possibilità di rottura del clima che si è creato in sede parlamentare, ma anche un rischio reale per i nostri uomini impegnati in quella regione. Vorrei che questo rischio venisse fugato attraverso una diversa impostazione della questione; altrimenti potrebbe sorgere il dubbio che si sta modificando la natura della nostra presenza in Afghanistan.
Vorremmo, invece, che ci fosse continuità nell'impegno e condivisione di responsabilità, a prescindere dalla collocazione all'interno di queste Commissioni.
SERGIO DIVINA. Egregi ministri, innanzitutto dobbiamo esprimervi la nostra gratitudine per aver messo da parte una vecchia ipocrisia che si trascinava da molto tempo, quella di dire che la nostra presenza militare all'estero servisse per esportare modelli di democrazia, per partecipare fattivamente a organizzazioni internazionali. Per la prima volta, in un'aula istituzionale, sentiamo un Ministro affermare
che siamo presenti in una zona per garantire la nostra sicurezza. Sembra poco, ma per noi è un passo notevole verso l'affermazione che la nostra presenza in alcune zone non si limita più al controllo dei confini in modo tradizionale, perché ormai ci raffrontiamo con insidie che non sono più, appunto, di carattere tradizionale. La data dell'11 settembre del 2001 ha segnato un passo nella storia che ha lanciato a tutte le democrazie occidentali il seguente messaggio: non si è più sicuri da nessuna parte, non si combatte un nemico invisibile.
Questo giustifica la nostra presenza in tutti quegli scenari che comportano grandi instabilità internazionali. Ma in che modo? Forse dovremmo formulare qualche proposta o qualche osservazione parzialmente critica.
È stata affrontata la questione delle regole di ingaggio e dei caveat. Innanzitutto, per la nostra sicurezza significa che non possiamo esporre contingenti militari a una situazione che non sia in totale sicurezza e non possiamo condizionare a tal punto i soldati mandandoli - come si suole dire - su un teatro di guerra «con una mano legata dietro la schiena». Occorrono, dunque, dotazioni adeguate. Il precedente Governo si rifiutava di inviare ulteriori dotazioni ai nostri militari anche perché condizionato da una maggioranza non omogenea sul fronte del giudizio sulla nostra presenza militare all'estero.
Per quanto riguarda la questione delle coperture aeree - non so se sia stata risolta per l'Afghanistan - sembra che i nostri militari non siano autorizzati a utilizzare elicotteri militari, se non per atterrare in «avio aree» autorizzate. I nostri contingenti, però, sono presenti anche in zone dove non esistono «avio aree»; questo significherebbe pertanto impiegarli sapendo di non poterli assistere con un'adeguata copertura.
Sull'Afghanistan i ministri affermano di essere soddisfatti, parzialmente soddisfatti. Sappiamo che in quei territori la resistenza è garantita non da fattori ideologici, ma da un fatto puramente prosaico: lo Stato afghano riesce a retribuire un militare con 70-80 euro mensili, mentre i talebani riescono a reclutare resistenti offrendo esattamente il doppio. La popolazione non ha scelta. È giusto, dunque, essere presenti su scenari di guerra, ma è giusto anche sapersi raffrontare con fatti di natura venale. Anche la presenza di coltivazioni di un certo tipo piuttosto che altre dipende solo dalle redditività e da chi riesce a condizionarle in tal senso.
Veniamo al Kosovo. Oggi sul Kosovo si commette forse una grande ingiustizia storica, ma bisogna pure mettere fine a uno stillicidio fatto di violenze perpetrate negli anni. Oggi si fa una fotografia e si dice che dovrebbe rimanere questa, nel tempo e nella storia.
Da trentino, sono particolarmente soddisfatto del fatto che, nelle varie conferenze internazionali, per dare vita alla nuova Costituzione del Kosovo si sia fatto riferimento anche allo statuto speciale del Trentino-Alto Adige, che negli anni ha retto a tensioni forti, non attuali ma pregresse, fra gruppi etnici diversi.
Quello statuto ha retto ed ha più di sessant'anni. Non so quanto di quel testo è stato ripreso nella nuova Costituzione, ma ricordiamoci del fatto che oggi verrà perpetrata una grossa ingiustizia, in ogni senso. Se spostiamo la fotografia nel tempo, nel 1946 vediamo un Kosovo con il 92 per cento di popolazione serbo-kosovara e l'8 per cento di popolazione albanese. La fotografia di oggi è quasi l'opposto: il 90 per cento di popolazione albanese e meno del 10 per cento di popolazione serbo-kosovara. Questo significa che c'è stata un'autentica pulizia etnica. Oggi fermiamo questo pendolo di violenza, ma sappiamo di perpetrare una grande ingiustizia, che non so se quell'area geografica perdonerà mai alla comunità internazionale. Certo, rimane il fatto che qualcosa s'ha pur da fare.
Sul Libano abbiamo già avuto modo di discutere con il Ministro Frattini. Si sta verificando quasi una situazione di paradosso: l'esercito regolare è in netta inferiorità rispetto alle milizie di Hezbollah; i caschi blu delle missioni UNIFIL 1 e 2 hanno avuto soltanto l'incarico di gestire il
conflitto sul fronte libanese-israeliano. Su quel fronte, stranamente, si va a garantire che incursioni israeliane non abbiano effetti negativi sul Libano, consentendo però che in quel Paese tutto si realizzi al di fuori delle regole. Si è consentito addirittura ad Hezbollah di occupare gran parte della capitale Beirut, in maniera indisturbata e fuori dai nostri controlli.
Devo ricordare che un quotidiano israeliano ha accusato i militari italiani di essere scarsamente efficaci, in quanto non riescono a contrastare il continuo passaggio di carichi di munizionamenti e di armi diretti verso il sud del Libano. Addirittura il rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite ha stabilito che vi è stata una grossa violazione della risoluzione: i caschi blu hanno dovuto farsi indietro di fronte a milizie Hezbollah ad armi spianate e lasciar correre un carico di armi per chissà quale destinazione. Nessuno riesce ad incanalare quella componente più eversiva. Quando si parla di Hezbollah, forse tutti sappiamo di che cosa stiamo parlando, ma è bene chiarire che parliamo di qualcosa che non ha paragoni in tutto il mondo. Una formazione politica che è anche...
PRESIDENTE. Senatore, la prego di concludere.
SERGIO DIVINA. Una formazione politica che è anche organizzazione militare, ma anche una organizzazione umanitaria che gestisce scuole e ospedali. Questo non ha paragoni in nessuna parte del mondo. Capiamo che è molto difficile rapportarsi con una macchina che gode in parte del sostegno popolare, ma ha una grande pericolosità.
Sarebbe interessante parlare del Corno d'Africa, una polveriera che sarebbe meglio disinnescare prima ancora che esploda. Tuttavia, se i tempi non lo consentono, mi fermo qui.
PIERO FASSINO. Ringrazio naturalmente i ministri. Anch'io mi auguro, a nome del nostro gruppo, che si possano avere frequenti occasioni come queste di confronto tra il Governo e le Commissioni parlamentari.
Ho ascoltato le due relazioni e mi pare che da esse emerga una sostanziale conferma degli impegni che il Parlamento ha deciso di assumere in questi anni a larghissima maggioranza. Naturalmente, ne prendo atto con soddisfazione.
Vorrei, tuttavia - lo dico proprio nello spirito del confronto che è stato auspicato dai ministri in queste Commissioni - che il Governo decidesse a quale comunicazione affidare le proprie decisioni. Infatti, di fronte alle Commissioni, è stata rivendicata una continuità di gestione e di conduzione delle missioni, al punto che, per due volte, uno dei due ministri ha detto che non cambia nulla. Fuori di qua, sui giornali, ogni giorno si evoca il fatto che ci sono strappi, svolte, cambiamenti radicali nella conduzione della politica estera italiana.
Sulla base delle relazioni che sono state presentate in questa sede, penso che, in effetti, siamo in presenza di una continuità con le scelte di politica estera assunte in questi anni. Me ne compiaccio, perché, come ha detto il Ministro Frattini, considero che la continuità di una politica estera, la convergenza sulle grandi scelte di politica estera di un ampio schieramento parlamentare siano un valore politico che risponde all'interesse del Paese.
Pertanto, chiederei al Governo di dare, d'ora in avanti, anche fuori dalle aule del Parlamento, questa comunicazione e non di - mi si permetta l'espressione - giocare a due verità: una leggermente propagandistica per l'opinione pubblica e per i giornali e l'altra, invece, più veritiera per le sedi istituzionali.
Detto questo, ribadiamo il sostegno alle missioni che abbiamo votato sia quando eravamo al Governo, sia quando eravamo all'opposizione.
Pensiamo, infatti, che non sia sufficiente evocare la pace e la sicurezza, ma che bisogna anche costruirle. A nostro avviso, nel mondo di oggi, ogni nazione deve assumersi le proprie responsabilità e ogni Paese ha il dovere di essere non solo
consumatore di sicurezza prodotta da altri, ma anche produttore di sicurezza.
Inoltre, crediamo che l'Italia in questi anni abbia contribuito in maniera significativa, nell'ambito degli scacchieri di cui stiamo parlando, a garantire una sicurezza per noi, per l'Europa e per il mondo. Dobbiamo continuare a fare questo nel quadro multilaterale in cui agiamo, ossia all'interno di presenze militari internazionali che sono state autorizzate dall'ONU e che vedono il coinvolgimento delle altre istituzioni multilaterali di cui facciamo parte, segnatamente l'Unione europea e la NATO.
Degli aspetti più direttamente attinenti alle questioni militari parlerà la collega Pinotti.
Quanto a me, voglio dire che l'uso della forza, soprattutto quando praticato a fini di tutela della pace e della sicurezza, non può essere mai disgiunto dalla politica. Anzi, la differenza tra l'uso della forza per portare avanti la guerra tradizionale e l'uso della forza ai fini di tutela della sicurezza e della pace consiste nel fatto che si ritiene di usare la forza in funzione della politica e di soluzioni politiche che richiedono anche l'uso della forza.
Ritengo che, in ciascuno degli scacchieri di cui abbiamo parlato, abbiamo bisogno non solo di ribadire l'impegno di una presenza militare che ottemperi alle responsabilità che dobbiamo assumerci in quei settori, ma abbiamo bisogno anche di rafforzare il nostro ruolo politico e di essere protagonisti di un'azione politica che, sia sul piano bilaterale, sia sul piano multilaterale, si caratterizzi intorno ai temi politici.
Per quanto riguarda il Kosovo, ad esempio, sono d'accordo con quanto ha detto il Ministro.
Il 15 giugno avverrà un passaggio delicato: entrerà in vigore la Costituzione e cesserà l'amministrazione UMNIK, che verrà trasferita alle autorità kosovare, in un quadro caratterizzato da una dichiarazione unilaterale di indipendenza che ha la delicatezza che conosciamo.
Dobbiamo sostenere con grande convinzione la missione EULEX e credo che dobbiamo rendere più chiara una connessione tra tutto questo e una scelta politica.
La stabilizzazione definitiva dei Balcani ha come asse centrale la soluzione del processo di integrazione europea di tali Paesi. In funzione di tale elemento, è questione fondamentale mantenere la pace, presenziare in quelle aree con i soldati ed evitare che scoppi nuovamente la guerra.
In proposito, dunque, chiedo al Ministro e al Governo non solo di ribadire la posizione, che l'Italia ha sempre sostenuto, di favore nei confronti dell'integrazione dei Balcani occidentali nell'Unione europea, ma di essere parte attiva, perché si individui una road map di questa integrazione.
Fin qui, tutti gli impegni europei sono stati volti a integrare questi Paesi. Credo, quindi, che sia necessario rendere più concreta questa nostra scelta strategica, indicando anche tappe e modalità con cui realizzare tale obiettivo.
Lo stesso ragionamento di necessità di una maggiore relazione tra impegno militare e scelta politica vale per il Libano. Siamo andati in quel Paese per impedire che scoppiasse nuovamente un incendio, che bruciasse il Medio Oriente, nell'agosto del 2006. Sappiamo quanto sia travagliata la vicenda di quello scacchiere. Abbiamo tutti salutato con soddisfazione, assumendola come un segnale di speranza, l'elezione di Suleiman dopo un lungo periodo in cui le autorità istituzionali del Libano non riuscivano ad acquisire alcun accordo.
La nostra presenza in quel luogo non può prescindere da uno scacchiere mediorientale che trova nel conflitto israelo-palestinese la sua questione fondamentale.
Siamo nel giugno del 2008. Ricordo che ad Annapolis è stato assunto un impegno molto significativo e anche molto impegnativo - ribadito dal Presidente Bush nel discorso che ha svolto davanti alla Knesset qualche settimana fa, in occasione del sessantesimo anniversario della nascita dello Stato di Israele -, ossia quello di arrivare a un accordo di pace entro il 2008.
Dal momento che si tratta di un impegno grande, coraggioso e molto ambizioso, è necessario rimettere in campo una forte iniziativa politica, di cui credo che l'Unione europea debba essere protagonista. Chiedo, quindi, al Governo italiano di caratterizzarsi con una posizione attiva anche su questo fronte.
Vengo, infine, alla questione dell'Afghanistan. Voglio dire con grande chiarezza che per noi la questione centrale non è quella relativa ai caveat. Domani, a Parigi, si riunirà mezzo mondo per discutere dell'Afghanistan e non si parlerà dei caveat.
Non dico che tale questione sia ininfluente, ma che il tema centrale per noi non è questo (peraltro, mi pare che anche l'impostazione del Ministro Frattini avesse questo taglio).
Il problema è che la comunità internazionale deve darsi una strategia che consenta di ottenere il successo che vogliamo in Afghanistan, perché non può perdere la scommessa che ha fatto di fronte ai talebani e alle organizzazioni terroristiche. Per farlo, tuttavia, abbiamo bisogno di mettere a punto una strategia che rafforzi il volée politico.
Del resto, ci troviamo in quel Paese da otto anni e, probabilmente, dovremo rimanerci per un periodo di tempo non breve.
Evidentemente, dunque, per vincere quella partita abbiamo bisogno di confermare un impegno militare, ma anche di rafforzare nettamente una strategia politica.
Personalmente, non ho mai trovato convincente l'espressione di gergo, che è stata usata spesso, dell'exit strategy. Essa, infatti, allude a una strategia per venire via.
Dal canto mio, invece, parlo di success strategy. Voglio capire quale è la strategia che ci consente di vincere. Una strategia di questo genere ha bisogno di un impegno militare adeguato - discutiamo allora di ciò che occorre fare, affinché questo impegno sia adeguato -, ma necessita anche di un rafforzamento netto del volée politico.
Questo significa, intanto - mi pare che nella relazione del Ministro Frattini si sia accennato a questo aspetto -, che c'è uno scenario regionale con cui fare i conti, che include la situazione del Pakistan, dell'Iran e la questione di come l'Italia sia parte attiva di un'iniziativa che affronti lo scacchiere regionale e determini, sui vari fronti dello stesso, processi di distensione politica.
È trascorsa una settimana da quando è stato attuato un attentato gravissimo in Pakistan, che ci dice quanto la situazione in quel Paese sia precaria, nonostante le elezioni e nonostante tutto.
Ricordiamo tutti che, prima delle elezioni in Pakistan, è stata assassinata Benazir Bhutto, nel modo che conosciamo.
Occorre rafforzare effettivamente il coordinamento ONU che, a questo punto, viene chiesto anche dagli Stati Uniti - credo che questo sia un dato politicamente significativo e rilevante - e che si esplichi sia sul fronte militare, sia sul fronte civile.
Karzai, il Presidente dell'Afghanistan, ha più volte rilanciato...
PRESIDENTE. La prego di concludere, grazie.
PIERO FASSINO. Un minuto soltanto. Karzai ha rilanciato con forza, più volte, la necessità di attuare una strategia di riconciliazione nazionale con coloro che, pur trovandosi dall'altra parte della barricata, sono disponibili a sospendere le attività militari e ad aprire un negoziato. Che cosa facciamo per sostenere e rafforzare questo aspetto?
Infine, il volée civile significa costruire la democrazia, e la transizione democratica in quel Paese, con operazioni di democratic institution building.
Oggi siamo impegnati sul fronte della giustizia. Possiamo allargare questo fronte?
Parlo di lotta alla droga, di formazione della polizia e di rafforzamento delle istituzioni locali, in un Paese che, per come è fatto e per come è storicamente vissuto, vive molto più di potere locale che di potere centrale.
Insomma, come poniamo in essere un di più di politica? Questa è la nostra richiesta.
In questo modo, anche la discussione sul caveat in Afghanistan e il dibattito relativo alla nostra posizione nei teatri che comportano rischi dal punto di vista militare assumono un significato piuttosto che un altro, in quanto parte di una strategia.
Da questo punto di vista, chiederei che ci fosse la consapevolezza che lo sforzo militare che i nostri soldati producono ogni giorno, e di cui tutti dobbiamo essere grati - naturalmente anche io ribadisco la nostra gratitudine alle nostre forze armate -, avrà tanta più efficacia e tanto più valore, se sarà inserita in ogni scacchiere una strategia politica, che abbia degli obiettivi e delle finalità chiare.
ROBERTO ANTONIONE. Signor presidente, voglio innanzitutto ringraziare i ministri per gli interventi puntuali e precisi con i quali hanno voluto affrontare questo incontro con le Commissioni congiunte.
Cercherò di essere il più sintetico possibile, svolgendo alcune considerazioni generali e lasciando che siano i colleghi del gruppo a entrare nel merito delle singole questioni.
Rivolgo un apprezzamento sincero e profondo per l'approccio con cui i due ministri hanno affrontato questo dibattito. Credo che la domanda più importante, fondamentale, alla quale dobbiamo cercare di dare una risposta sia proprio quella che il Ministro Frattini ha sottolineato e ha definito come il perno centrale della guida politica del ministero di sua competenza e anche, più in generale, del Governo: perché l'Italia partecipa alle missioni internazionali?
Le motivazioni che sono state date trovano il nostro sostegno. Siamo contenti che, anche da parte dei gruppi dell'opposizione, siano state svolte considerazioni analoghe.
Se posso, vorrei fare un piccolo cappello polemico all'onorevole Fassino. Per quanto riguarda la continuità di Governo, l'onorevole Fassino sa benissimo che, nella passata legislatura, questo era un argomento che noi sostenevamo quotidianamente. Le dichiarazioni che il Governo Prodi andava facendo sul fatto che non c'era continuità col Governo precedente erano propaganda politica, perché di fatto tutti gli impegni internazionali, assunti precedentemente dal Governo Berlusconi, sono stati puntualmente assecondati dal Governo Prodi. Quindi, se questo fa parte della tradizionale dialettica all'interno delle Commissioni, possiamo prenderla per tale, ma alcune differenze esistono.
Non abbiamo alcuna difficoltà a dire che i riferimenti espliciti che i ministri hanno fatto al filoatlantismo, alla capacità di avere un rapporto preciso e puntuale con gli Stati Uniti, il Governo Prodi non poteva attuarli.
Se si vuole, vi è una differenza di fondo da questo punto di vista. Per quel che ci riguarda, infatti, non abbiamo bisogno di infingimenti o di dichiarazioni di ipocrisia, perché è del tutto evidente che ci riconosciamo nel solco tradizionale della politica estera del nostro Paese. Quindi, quello che oggi è stato ribadito dai due ministri non fa altro che ricollocarsi in questo senso.
Sul piano generale, dunque, questo è l'approccio più serio e concreto che potevamo auspicare. Lascerò ai colleghi il compito di intervenire sulle questioni di merito, sull'Afghanistan, sul Libano e quant'altro. Voglio però svolgere alcune riflessioni di ordine politico sulla situazione del Kosovo, ribadendo anche che la stabilizzazione dei Balcani è da sempre un impegno del nostro Governo.
Il Ministro Frattini sa benissimo - e credo che l'onorevole Fassino e gli altri colleghi di questa Commissione lo ricorderanno perfettamente - che nel Consiglio europeo del 2003 di Atene noi eravamo presenti. È stato proprio in quel momento che si è stabilita la strategia per includere tutti i Paesi dei Balcani all'interno dell'Unione europea. Abbiamo compiuto molti sforzi, perché possano essere fatti passi in avanti in questa direzione.
Che la Croazia - per citare uno dei Paesi più importanti in questo scenario -
abbia potuto avere lo status di candidato ed essere ormai molto avanzata nel traguardo dell'ingresso nell'Unione europea, è indubbiamente un successo importante che il nostro Governo, e in generale il nostro Paese, è riuscito ad ottenere. Quindi, è del tutto evidente che riteniamo strategico questo nostro ruolo all'interno dei Balcani.
Tuttavia, signor Ministro, anzi signori ministri, credo anch'io che sia giusto che il nostro Paese diventi protagonista all'interno dell'Unione europea, per fare in modo che la credibilità, che ci siamo conquistati nel tempo in quello scenario, possa essere in qualche modo giocata proprio nei confronti di Belgrado (sappiamo perfettamente che questa è la parte più delicata della questione dell'indipendenza del Kosovo). Allo stesso tempo, però, non possiamo dimenticare che anche la Federazione Russa ha un ruolo importante in questo risultato.
Quindi, proprio per i rapporti eccellenti che il nostro Paese, il nostro Governo, ha costruito negli anni, nei confronti degli amici russi e serbi, credo sia giusto da parte nostra sottolineare la necessità di porre in essere una nostra azione, all'interno delle organizzazioni internazionali, per consentire che questi due attori principali - di quello che posso ritenere un successo del nostro Paese - siano coinvolti.
PRESIDENTE. Passiamo ora al secondo gruppo di interventi. Ricordo che sono rimasti a disposizione venti minuti per il Popolo della Libertà e tredici minuti per il Partito Democratico. Questo tempo verrà gestito come i gruppi riterranno più opportuno.
ROBERTA PINOTTI. Anche io ringrazio i ministri, per l'attenzione rivolta al Parlamento, attraverso la puntuale presentazione della relazione rispetto alle missioni.
Ho ascoltato con estrema attenzione le loro relazioni. Infatti, pur essendo esclusivamente relative alle missioni, è ovvio che da relazioni di questo tipo si deducono le linee di politica estera e di difesa, dal momento che le missioni rappresentano gran parte di tali politiche.
Condivido quanto ha detto l'onorevole Fassino a proposito del fatto che la comunicazione data, che di fatto sostiene una condivisione, una continuità rispetto a quanto realizzato dal Governo precedente, è in realtà distonica rispetto ad alcune accentuazioni che abbiamo appreso invece dalla stampa o dalla comunicazione esterna.
Credo che la coerenza e la chiarezza siano un presupposto essenziale per queste politiche.
Del resto, penso che sia condiviso il quadro complessivo entro cui ci muoviamo, quindi l'articolo 11 della Costituzione, che definisce il rifiuto della guerra come principio a cui si ispira tutta l'azione politica internazionale del Paese e, coerentemente con questo, la scelta di fare dell'Italia un soggetto attivo nella complessa architettura di istituzioni e di alleanze internazionali che si sono formate dopo la seconda guerra mondiale.
L'Italia è protagonista di questa architettura, riconosce l'importanza del ruolo delle Nazioni Unite, è un'attrice essenziale e attiva nella costruzione europea - di questo penso che parlerà più diffusamente il Ministro Frattini nell'audizione che terrà sulle linee di politica estera - e partecipa all'alleanza atlantica.
Da questo punto di vista, dunque, la scelta del multilateralismo efficace è per noi essenziale.
Quindi, onorevole Antonione, mi permetto di dire che la politica del Governo Prodi non pensava di dover essere complessivamente diversa da quella del precedente Governo Berlusconi. Tuttavia, si differenziava su un punto specifico legato alla missione in Iraq, dove noi, coerentemente con le nostre posizioni, abbiamo deciso per il rientro ordinato e serio dei nostri militari, che hanno lasciato la situazione nelle mani dei governanti. Ciò è avvenuto, perché quella missione non era stata decisa dall'ONU.
Sulle altre missioni, tuttavia, c'è sempre stata una condivisione molto ampia, quasi
totale. Ricordo solo un dissenso rispetto alla missione UNIFIL - se non sbaglio - della Lega.
Se così stanno le cose, alcune delle discussioni che stiamo facendo francamente mi sfuggono. Si era cominciato, ma poi si è chiuso subito - anzi, ringrazio il Ministro La Russa che quando è andato in missione in Libano ha specificato subito questo tema - il discorso relativo alle regole di ingaggio nella missione UNIFIL 2, dicendo che forse non erano appropriate (in qualche modo il tema è stato ripreso oggi nell'intervento dell'onorevole Divina). Successivamente, si è visto che le regole - alla cui formulazione, tra l'altro, hanno partecipato attivamente i nostri militari, perché potessero essere efficaci rispetto al mandato ONU - corrispondono perfettamente a quello che era il mandato.
Quindi, pensiamo che, come adesso ritiene anche il Governo, questa missione debba essere portata avanti nel modo in cui sta procedendo.
Dei Balcani ha parlato diffusamente l'onorevole Fassino. Sottolineo soltanto che, in questa situazione, anche quella che è sempre stata una missione relativamente tranquilla, almeno da alcuni anni a questa parte, per il nostro contingente può comportare motivi di preoccupazione. Infatti, con l'entrata in vigore della Costituzione, il 15 giugno, possono crearsi situazioni di tensione.
Credo, dunque, che sarà nostra cura, anche come Commissioni parlamentari, monitorare la situazione particolare della missione nei Balcani, attraverso audizioni che potremo indire.
Arriviamo alla vicenda dell'Afghanistan. Condivido totalmente l'impostazione data dall'onorevole Fassino rispetto al fatto che, a nostro avviso, il punto fondamentale di tale questione è relativo al tipo di strategia politica che viene attuata a sostegno dell'azione militare.
Questo è un punto centrale, perché non si può lasciare il presidio militare del territorio in Afghanistan senza capire nello stesso tempo in funzione di quale strategia ciò avviene.
È per questo motivo che non capisco perché dobbiamo discutere a lungo di una questione che ritengo un dettaglio, a meno che dietro ai simboli e alla «nebbiolina» vi sia qualcosa di non detto.
Prendo per buono il discorso del Ministro La Russa che, molto correttamente, ci ha anche posto due questioni che afferma di voler approfondire, perché possono porre dei problemi.
Egli sostiene che quaranta carabinieri potrebbero andare a formare le forze di polizia. Da questo punto di vista, non ci sono problemi. Tuttavia, questi partirebbero nell'ambito non della missione ISAF, ma della missione Enduring Freedom. Quindi, il Ministro chiede di approfondire tale aspetto. È corretto. Lo ringrazio e penso che dovremo valutare tale questione.
Egli afferma, inoltre, che terrà informato il Parlamento anche rispetto all'invio di altri mezzi. Apprezzo questa prudenza e questo tipo di intervento. Riesco a capire molto meno, perché si sia collegata una maggiore flessibilità, dando quindi un'immagine di maggiore disponibilità, a una questione legata ad un termine temporale di 72 o di 6 ore.
Come ha detto correttamente il Ministro, sappiamo che in situazioni straordinarie e di emergenza possiamo intervenire immediatamente e che il comandante non ha bisogno di chiedere il permesso al Governo. Invece, per quanto riguarda la dislocazione di nostre truppe al di fuori del territorio che ci è assegnato, quindi non in una situazione di emergenza, è necessario chiedere l'autorizzazione al Governo. Questo aspetto si mantiene, ma in realtà la flessibilità che a volte veniva richiesta era proprio di questo tipo. Alcuni alleati chiedevano che si togliesse il caveat territoriale. Non ho mai sentito porre un problema rispetto ai tempi.
Se la questione riguarda la possibilità di dare risposte rapide, il Governo può provvedere anche in due o tre ore, in un'ora e mezza, insomma nel tempo necessario per valutare la situazione. Tuttavia, lasciare il margine di settantadue ore consente - lo dico anche prudenzialmente,
per il compito importante che deve svolgere il Governo - di mantenersi un limite, che non dovremo necessariamente utilizzare tutto. Potrebbe darsi il caso che venissero poste richieste molto complicate, in merito alle quali il Governo potrebbe anche sentire l'esigenza di avere un conforto parlamentare, per decidere quali scelte assumere. Allora, perché toglierci questa possibilità? Sinceramente, non riesco a capirne il motivo.
Quindi, visto che ha dato la disponibilità a rispondere alle nostre domande, chiedo al Governo, nel caso in cui si riduca il limite a sei ore, in quale modo si penserà eventualmente di coinvolgere il Parlamento, per effettuare delle scelte, per le quali si possa considerare di avere l'esigenza di consultarlo. È un problema che lascio al Governo.
Sotto questo profilo, prendo per buone le parole del Ministro La Russa che secondo il quale non cambia nulla, così come prendo per buone le parole di grande elogio del lavoro delle nostre forze armate che ho sentito pronunciare dai ministri Frattini e La Russa.
Nelle relazioni relative alle missioni, ho sentito dire che le nostre Forze armate stanno agendo benissimo. Lo stanno dicendo anche gli alleati e Karzai.
Allora, se questa è la situazione, e stanno operando in questo modo, perché si pone questa necessità? Perché abbiamo bisogno....
PRESIDENTE. La prego di concludere.
ROBERTA PINOTTI. Perché abbiamo bisogno di diradare una «nebbiolina»?
Dobbiamo avere l'orgoglio di rispondere alla stampa straniera, quando denigra l'operato dei nostri militari, che tutti sosteniamo, apprezziamo e ringraziamo per il pericoloso lavoro svolto.
Dunque, forse, anche questo elemento simbolico di «nebbiolina» potrebbe non essere necessario e l'Italia potrebbe mantenere le regole che fino ad oggi, a mio avviso, hanno funzionato.
MARGHERITA BONIVER. Non sfuggirà ai colleghi che il nostro dibattito si svolge esattamente durante le stesse ore in cui è previsto l'arrivo a Roma, per la sua ultima visita ufficiale, del Presidente americano George W. Bush, il quale avrà incontri ai massimi livelli, sia con il Governo che con il Vaticano.
Anche sulla base di quello che ha detto il Ministro Frattini nella sua introduzione, credo che il Governo Berlusconi troverà ancora una volta un sistema molto efficace e coerente di rinnovare lo spirito della alleanza transatlantica, che ritengo sia la cifra con la quale si è mosso, da subito, l'Esecutivo presieduto da Berlusconi dopo le elezioni del mese di aprile.
Non sfuggirà anche un ulteriore episodio, che si è svolto qualche giorno fa in Slovenia, ossia il vertice USA-Unione europea, dove si è trovata una voce univoca sulla strategia da adottare nei confronti della questione nucleare iraniana.
Ritengo che anche questo sia un elemento di straordinaria novità politica, perché purtroppo, troppo spesso, l'Unione europea, o singoli Paesi dell'Unione europea, procedevano in ordine sparso nei confronti di quello che è, probabilmente, il dossier più complicato, più pericoloso, più denso di incognite nello scenario internazionale.
Per quello che riguarda le relazioni del Ministro degli esteri e del Ministro della difesa, che ringrazio per la loro disponibilità e per la completezza delle loro relazioni, dico subito che non vorrei ripetere quanto già è stato detto dai colleghi del PdL, ma anche, per alcuni versi, dai colleghi del Partito Democratico, riguardo a una continuità di strategia, nei confronti di alcune delle nostre missioni all'estero.
Ricordo ancora una volta che l'Italia è un major player all'interno del sistema dell'ONU, perché è fra i primi dieci contributori di truppe di pace sui diversi scenari.
Dico subito che siamo molto fieri del contributo che l'Italia ha dato alla ricostruzione della provincia di Dihar in Iraq, proprio in conseguenza della copertura che l'ONU aveva dato alle truppe multinazionali, due anni dopo l'intervento anglo-americano.
Vengo ora a una questione che è stata toccata da tutti, e che evidentemente è centrale nel dibattito politico di queste ore, ossia quella relativa all'Afghanistan.
Sappiamo che la riunione del Compact per l'Afghanistan, a Parigi, nei prossimi giorni, dovrà affrontare una serie di problemi. Il Governo italiano, come tutto il mondo, sa che non ci sono abbastanza militari presenti sul territorio dell'Afghanistan.
Basta ricordare che in Afghanistan vi è circa un quarto delle truppe che sono state impiegate in Bosnia-Erzegovina e che le risorse finanziarie per la ricostruzione ammontano all'incirca a un decimo di quelle investite per la ricostruzione dell'Iraq. Queste due cifre danno la dimensione esatta dell'impegno internazionale che, evidentemente, viene usato con una lesina particolare, e incomprensibile dal nostro punto di vista, nei confronti di un Paese, verso il quale l'Italia è stata uno dei Paesi in assoluto più importanti, fin dal dicembre del 2001.
Sull'Afghanistan, vorrei semplicemente dire che non soltanto ci vorrebbero più truppe, più mezzi e più ricostruzione, ma certamente quello che manca in questo momento - e che spero emerga dal Compact per l'Afghanistan di Parigi - è una rinnovata strategia che tenga conto soprattutto delle tre priorità, a mio avviso assolutamente fondamentali per quel Paese, che sono le questioni della sicurezza, della governance e della legalità, rispetto alla quale l'Italia ha dato un suo importante contributo. Mi permetto di concludere, dicendo che una strategia per l'Afghanistan che non tenesse conto del fondamentale rapporto che deve esistere nei confronti del Pakistan, ma anche dell'Iran, sarebbe fallimentare.
Quello che succede a Kabul è strettissimamente collegato con quanto accade a Islamabad e con quello che potrebbe verificarsi un domani anche a Teheran.
LUIGI RAMPONI. Sarò brevissimo. Rivolgo una prima richiesta a entrambi i ministri.
Oggi teniamo questa seduta in ossequio a una disposizione di un decreto, il quale però prevede la presenza a giugno, o a luglio, dei due ministri per riferire sulle operazioni e invece, a dicembre, del Ministro degli esteri, per riferire sulla componente civile.
Anche in passato cercai di annullare tale disposizione con un emendamento, ma non fui ascoltato. In realtà, credo che, ogni sei mesi, entrambi i ministri debbano venire a riferire, anche per la stretta connessione fra l'azione militare e civile che ho sentito ripetutamente citare.
Do un piccolo suggerimento al Ministro degli esteri. Egli ha detto che l'impiego dei nostri uomini è stato caratterizzato e apprezzato per intelligenza e umanità; direi per professionalità e umanità, non per intelligenza e umanità.
Inoltre, vorrei chiedere sempre al Ministro Frattini se essendo EULEX una missione di tutti gli Stati dell'Unione europea, essa potrà essere influenzata, in termini di partecipazione, dal fatto che alcuni di essi non hanno approvato l'indipendenza del Kosovo.
Il Presidente Sarkozy si è recato in Libano e ha manifestato espressioni di ottimismo e di speranza analoghe a quelle che lei ha appena avuto, e che ebbe in Aula, nei confronti della situazione libanese. Sarkozy ha confermato questa idea e ha anche aggiunto che intende assicurare a Suleiman e Siniora un appoggio politico, come anche lei ha detto, ma anche finanziario.
Sarei curioso di sapere se l'intenzione nazionale, al di là dell'appoggio politico che è apparso chiarissimo dalle sue affermazioni, è quella di fornire anche un sostegno finanziario per lo sviluppo e l'assestamento del Libano.
Al Ministro La Russa, che ringrazio insieme al Ministro Frattini perché hanno esposto un punto di estrema chiarezza, vorrei dire che mi è sfuggito se abbia chiarito o meno in che cosa consiste la richiesta di supporto aereo.
In secondo luogo, mi pare giustissimo il discorso relativo al passaggio dalle settantadue alle sei ore. Se, come lei ha detto, il
possibile intervento nel sud dell'Afghanistan era già previsto in casi di eccessiva urgenza, in quelle che si chiamano extremis operation, mi sembra abbastanza ridicolo dire che per un intervento simile si possa aspettare per settantadue ore. Trovo giusto, dunque, che si passi alle sei ore.
Oggi, in realtà vi è la possibilità di un'approvazione politica. Invece, portando il limite temporale a sei ore, il discorso riguarderà un incarico devoluto al comandante in zona.
D'altra parte, se vi è un'azione estrema non si può pensare di intervenire con calma.
A questo proposito - e concludo - è chiaro che, comunque, aumentano gli impegni e cresce la delicatezza dell'impiego eventuale delle nostre forze.
Siccome ho appena presentato un progetto di legge con il quale si intende fare di tutto per rinforzare la protezione e la capacità di prevenzione dei nostri uomini in occasione delle operazioni di pace, sarei grato se avessi anche l'appoggio del Governo per realizzare questo miglioramento delle capacità di protezione e di prevenzione delle offese per i nostri uomini. Infatti, tutti tributano loro grandi elogi, ma sarebbe anche bene ricordarsi di loro quando si tratta di armarli e proteggerli.
SALVATORE CICU. Voglio ringraziare i ministri degli esteri e della difesa che hanno dato una rappresentazione importante della posizione assunta da questo Governo, che mi sembra collocarsi in una linea di continuità rispetto alla politica estera e della difesa che, in questi anni, si è delineata e sviluppata.
Quello che voglio sottolineare è che questo nostro primo incontro costituisce sicuramente un appuntamento centrale, fondamentale, importante, essenziale, di proiezione verso un confronto che, finalmente, rispetto al nuovo panorama parlamentare, alla composizione parlamentare, può avere risultati di sviluppo importantissimi.
Mi sembra di aver colto nelle parole dell'onorevole Fassino, della presidente Pinotti, al di là di qualche svista e di qualche inesattezza rispetto alla strategia di uscita dall'Iraq (ma non voglio assolutamente sottolineare questo aspetto che fu deciso dall'allora Governo Berlusconi), che il concetto di intervento - per cui si agisce sulla base della stessa cultura, quella della tutela, della sicurezza e della difesa e quella della cooperazione civile sia un qualcosa di condiviso. Quindi, possiamo rafforzare insieme tale aspetto, partendo da domani, dall'importante incontro che si svolgerà a Parigi.
È anche evidente, colleghi, che forse bisognerebbe approfondire meglio e maggiormente quali sono gli sviluppi e le evoluzioni dei diversi contesti in cui operano i nostri militari, in maniera efficace ed importante.
Dovremmo verificare se siano nate nuove ed importanti difficoltà, come quella relativa all'Afghanistan. Non dimentichiamoci che le azioni di guerriglia e le azioni terroristiche hanno avuto una escalation; non dimentichiamoci che il problema dell'oppio si è abbinato ad una questione mondiale, quella della fame e del raddoppio dei prezzi del frumento e del grano; non dimentichiamoci che ci sono situazioni - che credo facciano sorridere poco, e se fanno sorridere qualche collega mi dispiace - serie e reali che stiamo vivendo.
Pertanto, ritengo che i nostri militari, ma in generale la nostra politica di difesa e quella estera, abbiano bisogno di maggiore credibilità della politica italiana, di una maggiore autorevolezza attraverso l'individuazione unitaria di una linea che raccolga in tutta la sua essenza la forza centrale che deve essere trasferita e proiettata in contesti di amplissima difficoltà.
Onorevole Fassino, quando parliamo di UNIFIL, della necessità di rafforzare un certo tipo di cooperazione e anche di interessarci maggiormente dal punto di vista politico dello scenario internazionale, dobbiamo anche ricordarci che ci troviamo in quel teatro dal 1978. Inoltre, se i Governi che si sono succeduti avessero fatto altro, invece di divaricarsi, distrarsi o contrapporsi rispetto a mancati sostegni -
l'ultimo episodio è accaduto all'interno del Governo Prodi, ad opera di una parte importante della vostra maggioranza - in termini di coerenza e linearità, forse oggi avremmo ottenuto risultati migliori e diversi.
Sottolineo questo aspetto, perché la situazione è diversa, lo scenario è differente, soprattutto quello politico.
Quindi, condivido la possibilità e l'opportunità di procedere insieme, evitando di rafforzarci su posizioni, ruoli, o protagonismi che, in qualche modo, sono stati carenti e deboli, soprattutto in questi ultimi anni. Altrimenti, non c'è onestà intellettuale e rivendichiamo aprioristicamente delle posizioni che nella realtà non sono esistite.
PRESIDENTE. Onorevole Cicu, la invito a concludere.
SALVATORE CICU. Ho finito, grazie.
PRESIDENTE. Grazie di aver aderito così tempestivamente al mio invito.
MARCO PERDUCA. Cercherò di mettere un po' di veleno in coda alla discussione, altrimenti sembra che siamo tutti d'accordo.
Il Ministro Frattini ha iniziato il suo intervento parlando di multilateralismo efficace. Tuttavia, il resto delle due relazioni - credo sia stato notato da tutti - ci porta di fronte a uno scenario in cui non c'è niente di nuovo, se non fosse per la revisione dei limiti temporali relativa ai caveat.
Non credo di poter condividere l'idea che non ci sia niente di nuovo, perché, se di multilateralismo si deve parlare, niente dell'intervento del Ministro Frattini in effetti ha fatto riferimento alle istituzioni multilaterali che vanno oltre il coordinamento della presenza militare, necessaria ma non sufficiente, in tutti i teatri che ci sono stati presentati.
Tanto in Kosovo, quanto in Libano, quanto in Africa esistono delle corti internazionali ad hoc, penali, riconosciute da almeno 106 Stati - una per la ex Jugoslavia, creata dal Consiglio di sicurezza -, con le quali, oltre alla presenza militare, bisogna necessariamente raffrontarsi.
Ministro, lei non ha speso una parola relativamente a tutto questo. Penso al caso del Darfur, limitatamente al dispiegamento di una missione che non si sa neanche quando partirà, perché il «se» è stato più o meno acquisito.
Quindi, ancora non è dato di sapere dove stia questo multilateralismo efficace. Speriamo che nelle prossime settimane, anche con l'aiuto di alcuni colleghi parlamentari, si riesca a capire quale è la direzione che questo Governo vuole seguire, che ci auguriamo vada ben oltre il lustro alla bandiera sul quale tutti possiamo concordare, ma che mi pare abbia poco a che fare con le considerazioni di carattere politico e anche militare.
Vengo ora ai vari teatri. Non ripeto le parole dette poco fa dall'onorevole Fassino che sposo in pieno. Mi riferisco a un maggiore coinvolgimento politico, con particolare riferimento ai luoghi in cui può arrivare l'Unione europea. Essa può spingersi ben oltre i Balcani occidentali, può giungere anche in Medio Oriente. Dico questo, anche pensando a quella che viene continuamente venduta come necessità di acquisire sicurezza per Israele, non soltanto perché si vuole garantire la non belligeranza con gli Hezbollah che continuano a essere presenti e addirittura anche al Governo nel Libano, ma anche perché un maggiore coinvolgimento politico di Israele all'interno dell'Unione europea - proposta che i radicali portano avanti da venti anni - potrebbe rappresentare un ulteriore scenario.
Concludo con l'Afghanistan, visto e considerato che ci sono pochi minuti a disposizione.
Dal punto di vista governativo, il Governo Prodi e la maggioranza variegatissima, in parte non presente in questa legislatura, negli ultimi due anni avevano dato un segnale di chiara discontinuità con i fallimenti di buona parte della presenza internazionale in Afghanistan.
Non parlo della gestione del territorio. Anzi, mi pare che, mondialmente, la nostra
presenza a Herat e anche la gestione di Kabul - che ho potuto vedere di persona tre anni fa - siano esemplari e da tutti riconosciuti. Pertanto, non c'è bisogno di «diradare nebbioline», per far capire la qualità della nostra presenza.
Il problema si pone relativamente alla guerra all'oppio. Il Governo italiano si era posto come problema il fattore oppio, non per continuare a finanziare una missione fallimentare di eradicazione forzata delle colture, ma per cercare di gestirla differentemente in maniera creativa.
Lo stesso tipo di argomentazioni erano state portate avanti da Emma Bonino al suo ritorno dalla missione di monitoraggio delle elezioni nel settembre del 2005. Il Parlamento europeo, non più tardi dell'ottobre dell'anno scorso, su iniziativa dell'eurodeputato radicale Cappato, ancora una volta ha posto al centro la questione.
Il multilateralismo efficace - lo ripeto - all'interno...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MARCO PERDUCA. Ho finito. Il multilateralismo efficace all'interno dell'Unione europea in primis e delle Nazioni Unite in seconda battuta va ben oltre lo slogan e la bandiera che sventola in tutto il mondo.
FIAMMA NIRENSTEIN. Grazie mille ai ministri e un saluto affettuoso a tutti i colleghi presenti. Cercherò di essere telegrafica.
Credo che questa relazione abbia portato effettivamente elementi di discussione nuovi, perché nuova è la situazione. Inoltre, alcuni elementi di continuità che l'onorevole Fassino ha riscontrato sono senz'altro evidenti ed esistono.
D'altra parte, però, si è sentita nelle relazioni la sensazione della dinamicità e della necessità di adattare la nostra presenza nel mondo ai cambiamenti legati al grande tema, al grande nome del gioco: quello della alleanza e del contenimento rispetto alla terribile questione della minaccia globale che patiamo insieme al resto dell'Occidente, in una situazione che si è venuta a creare nel corso di questi anni.
Sulla questione afghana, penso che queste settantadue ore servano a diradare una «nebbiolina». A me le «nebbioline» non piacciono e penso di dimostrarlo in ogni cosa che scrivo o che dico.
Questa «nebbiolina» ci parla del fatto che il pericolo è effettivo, che la danza è sull'orlo dell'abisso pakistano in cui succedono e sono accadute, nel passato, cose che hanno una dimensione sicuramente globale.
Basta ricordare che in quell'ambito si gioca il grande gioco di Al Qaeda, dei talebani e della atomica, la quale fu chiamata la bomba islamica (che ha portato più guai che altro al Pakistan, ma questa è un'altra storia).
Quindi, anche la questione relativa alle 72 ore ci lancia un messaggio preciso e semplice. Ci dice che se non si resiste, nei tempi dovuti e con la necessaria forza, agli attacchi che vengono da questa parte, i nostri soldati rischiano la pelle molto di più che non affrontando il problema come deve essere fatto.
Sono molto d'accordo con quello che ha detto la collega Boniver sulla questione delle alleanze internazionali. Mi rifaccio solo al fatto che Sarkozy il 27 di marzo ha detto che non possiamo accettare il ritorno dei talebani e di Al Qaeda a Kabul e che il 14 marzo il Canada si è impegnato a mantenere le truppe in quelle aree fino al 2011.
Voglio ora svolgere una considerazione che ritengo importante, a proposito della questione libanese. Condivido le speranze rispetto a tale vicenda. Voglio sperare che si sia raggiunta una situazione in cui l'equilibrio possa essere ristabilito in quelle zone; ma non lo credo affatto.
In quel Paese, infatti, il nome del gioco è quello di Iran e Siria. Se si osservano gli ultimi eventi - ne cito soltanto alcuni, ma ne avrei tanti da ricordare -, il 27 di maggio vi è stata una grande esercitazione militare degli hezbollah, condotta a sud di quella che sarebbe la loro zona. Hanno mostrato molti esempi: 35 mila missili che
hanno messo da parte. Di questo esercizio, chiamato homeland fence, ne trovate diversi record a livello sia locale che internazionale. È stata una grossa esercitazione bellica molto importante. Il discorso di Nasrallah ne ha sottolineato il significato, che è sempre quello di attaccare Israele e di dichiarare guerra all'Occidente intero. In quell'occasione, ha anche dichiarato di essere fiero di far parte di quel millet (come l'ha chiamato con un termine turco), che in questo momento è quello dell'Iran.
Vengo ora ad un altro argomento. Suleiman è senz'altro un militare di pregio, ha una storia importante come capo di stato maggiore. Tuttavia, non si può negare che non abbia fatto granché nel corso di questa occupazione del centro di Beirut e in occasione degli scontri avvenuti che sono stati molto violenti. Sembra che gli hezbollah abbiano perso 70 uomini nei loro scontri periferici, non a Beirut, ma nelle campagne, quando si trattava di scontrarsi con gli altri gruppi.
PRESIDENTE. Onorevole, la invito a concludere.
FIAMMA NIRENSTEIN. Concludo. Il Presidente Suleiman ha detto a Sarkozy che la strategia di difesa sarà discussa dopo la liberazione delle fattorie di Sheba, come a dire che non se ne parla, se non da qui a qualche anno. Di conseguenza, siccome il nostro rapporto è tutto incentrato sull'esercito libanese, che è quello che deve dare il via anche alle operazioni compiute dall'UNIFIL, cerchiamo di riproporre all'ONU il problema dell'esercito libanese e dei rapporti con lo stesso.
Mi sembra che questa sia un'azione pratica e sensata, che potrebbe fare da perno per una politica più garantita nei confronti anche degli hezbollah.
GIANFRANCO PAGLIA. Vorrei innanzitutto ringraziare il Governo perché ha finalmente accettato la richiesta - o almeno spero che lo faccia - sul caveat relativo alle 72 ore. Voglio ricordare ai presenti che non è una questione di strategia, ma di dignità. Lavorare sul teatro di guerra «col freno a mano tirato» non è il massimo per i nostri soldati; è un errore appellarsi al fatto che non vogliamo che i nostri soldati rischino la vita.
Ufficialmente l'Italia non ha caveat per l'intervento al di fuori della nostra area di competenza; ufficiosamente, però, abbiamo un caveat per il quale il comandante in teatro ha l'obbligo di avvisare il nostro Ministro, che ha sei ore per decidere. Fondamentalmente, dunque, è una questione di dignità nazionale.
Quello che è stato detto poc'anzi sull'utilizzo degli elicotteri non è corretto, poiché il Governo precedente ha dato pieno supporto all'utilizzo degli elicotteri in teatro afghano, quindi non ci sono limiti in tal senso. È anche giusto dire ciò che ha fatto il Governo precedente, che in questo caso ha agito in maniera giusta.
Tornando al Libano, dovremmo evitare di dire che la missione è ottima perché è sotto l'egida delle Nazioni Unite. Non è così. Quando il Ministro della difesa ha sostenuto che eventualmente si possono cambiare le regole di ingaggio non ha detto una stupidaggine. Voglio ricordare ai presenti che l'azione del nostro contingente è fortemente limitata; ad esempio, se ferma un camion che trasporta armi, non può fare altro che chiamare l'esercito libanese. Questo prevede la risoluzione, e noi la rispettiamo, ma per favore evitiamo di innalzare barricate Governo-opposizione, quando ci sono soldati che rischiano la vita.
Mi riferisco all'intervento di alcuni colleghi, i quali hanno addirittura affermato che la richiesta di eliminare il caveat non era mai stata avanzata al Governo precedente. L'ultima richiesta risale al febbraio 2008.
Per quanto riguarda la strategia politica, l'onorevole Fassino ha ragione, ma voglio ricordargli che qui nessuno ha la bacchetta magica. In Bosnia siamo presenti dal 1995, ma purtroppo i problemi continuano a esistere. Le organizzazioni internazionali hanno paura di ritirare i contingenti dalla Bosnia, per il rischio che possa scoppiare un nuovo conflitto.
Chiedo solo - e questo vale per il Governo e per l'opposizione - che quando si parla di Forze armate e di nostri uomini e donne che rischiano la vita si mettano da parte le ideologie.
PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Frattini per la replica.
FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Sarò brevissimo, perché tutti coloro che sono intervenuti hanno dato contributi di cui terrò conto. Come dicevo al Presidente Stefani, se il Parlamento vorrà ancora ascoltarmi sono pronto a proseguire questa riflessione insieme.
Sui Balcani, onorevole Fassino, condivido la sua idea di road map. L'Europa una road map l'ha scritta già in molti settori: quello di cui mi occupavo prima, il settore della sicurezza e della politica dei visti, è il primo settore in cui la road map dovrà svilupparsi.
Posso dire che, se vi sarà buona volontà di tutti, noi potremo dare ai Paesi dei Balcani occidentali un sistema privo degli obblighi di controllo preventivo sui visti dalla primavera 2009.
Questo sarebbe un risultato fattibile, secondo i negoziati che si stanno tenendo. In cambio chiederemo a tutti questi Paesi di dotarsi di strumenti biometrici per l'identificazione e per i documenti di identità. È chiaro che le due cose debbono andare di pari passo.
La seconda parte di questa road map politica è accelerare l'ingresso della Croazia nell'Unione. Se faremo entrare la Croazia nell'Unione europea entro la fine del 2010, avremo dato un segnale a tutti gli altri Paesi dell'area. Evidentemente, se consentiremo alla Serbia di presentare la domanda di candidatura all'adesione all'Unione europea entro lo stesso anno 2010, l'effetto domino sarà un effetto virtuoso, e probabilmente le preclusioni attuali della Serbia verrebbero fortemente ridimensionate.
Sull'Afghanistan, ascoltando da ultimo quanto ha sostenuto l'onorevole Paglia ma anche molti altri, vorrei dire che quella dei caveat - il Ministro La Russa ha detto che sostanzialmente si può fare anche adesso ed è corretto - è una questione politica. Noi dobbiamo dare un segnale di pari dignità e di pari trattamento ai nostri alleati americani, canadesi, inglesi; un segnale per dire che le regole non sono diverse, per cui un Paese deve avere un caveat particolare che può permettere di dilatare la risposta fino a 72 ore.
Anche se, di fatto, noi la risposta la diamo prima, la motivazione è simbolica e politica. È chiaro che di fatto non cambia nulla, ma noi diamo un segnale che vogliamo la pari dignità rispetto alle altre truppe. Come è stato detto dalla Presidente Pinotti, non ne posso più di sentir dire, falsamente, che i nostri sono nelle retrovie, quando non è vero. Lo dico e lo ripeto: l'ho sentito e l'ho letto su giornali internazionali a cui mi sono sentito di dover rispondere che non è vero e che, se il simbolo di tutto questo è avere un caveat, questo caveat lo dobbiamo eliminare per la dignità dei nostri uomini.
Nella sostanza, effettivamente, non cambia nulla, ma il segnale che noi diamo alla NATO e ai nostri alleati è quello di voler riconoscere che i nostri possono operare come tutti gli altri.
Infine, sull'Afghanistan, devo dire che il quadro regionale è fondamentale. Onorevole Fassino, io credo che quella tra Pakistan e Afghanistan sia la frontiera chiave per il passaggio delle armi, il passaggio dei fondi che arrivano ai talebani. Quello è il punto nel quale noi dobbiamo concentrarci. La presidenza italiana del G8 vorrà sviluppare questo «progetto G8». Credo che sarà molto importante arrivare a delle conclusioni.
Non sono assolutamente d'accordo con l'idea, che qualcuno avanzò in passato, che se si coltivasse la droga, magari per usi medici, le cose sarebbero diverse. Fu avanzata anche questa proposta. Credo che noi dobbiamo ridurre la coltivazione dell'oppio (Commenti)... L'oppio diventa droga (Commenti) ...
IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Non diventa caramelle!
FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. La coltivazione di oppio va eliminata, sostituita da colture di altro tipo, non incoraggiata in nessun modo. Questa è l'idea che il Governo italiano sosterrà negli scenari internazionali.
Sul Libano qualcuno mi ha chiesto giustamente se c'è la cooperazione civile. Io rispondo che c'è e ci sarà. Noi abbiamo già in corso dei programmi di cooperazione allo sviluppo sul Libano.
Vi posso dare una notizia di oggi: il Primo ministro Siniora ha chiesto a me, quindi al Governo italiano, un aiuto economico per migliorare le orribili condizioni dei campi profughi palestinesi. Non ho detto di no, quindi mi sono riservato di trovare, tra i fondi della cooperazione, un intervento per aiutare il ripristino del primo dei campi profughi palestinesi che si trovano in Libano. Sarebbe un segnale della cooperazione italiana. In cambio, come ho detto al Primo ministro Siniora, ci aspettiamo che un vivaio di organizzazioni terroristiche, che purtroppo usa questi campi profughi, sia fortemente combattuto. Sapete che il Governo Siniora nutre proprio per quei campi profughi grandi preoccupazioni, perché sa che infiltrati ed elementi collegati ad Al-Qaeda usano la disperazione di queste persone. Il Primo ministro del Governo libanese è molto preoccupato, quindi un aiuto italiano per alleviare le condizioni disperate dei profughi non mancherà.
PRESIDENTE. Ringraziamo e salutiamo il Ministro Frattini, che si deve allontanare per un concomitante impegno di assoluto rilievo.
Do la parola al Ministro La Russa per la replica.
IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Credo che la mia replica sarà ancora più sintetica, anche se prima di iniziarla voglio premettere un'informazione che non ho avuto il tempo di darvi prima e che riguarda il Kosovo. Ritengo sia importante informare il Parlamento che il battaglione di riserva operativa che l'Italia mette costantemente a disposizione - è una prassi NATO, credo si chiami Over the horizon force - dal 1o al 15 giugno, che è la data di entrata in vigore della nuova Costituzione kosovara, è ora passato al più alto stato di prontezza. Questo significa che vi sono maggiori probabilità che debba essere impiegato. È corretto che lo sappiate, anche se ci auguriamo che non debba essere necessario schierarlo, che rimanga over the horizon e non debba andare, invece, al di qua dell'orizzonte.
Un'altra piccolissima informazione: spero farà piacere a tutti sapere che nel Ciad sta avendo un grandissimo apprezzamento - ho potuto constatarlo anche nella riunione dei ministri degli esteri e della difesa di Bruxelles - l'ospedale da campo messo a disposizione dal nostro Governo, che sta dando un grande aiuto. Purtroppo il suo uso è ancora limitato, ma se fosse possibile cercherei di metterlo a disposizione non solo dei militari, che già ne avevano bisogno, ma anche dei civili.
Per quanto attiene alla replica vera e propria, mi pare che gli argomenti più concreti che sono stati sollevati - a parte alcune domande dell'onorevole Fassino su cui dirò una battuta, sperando che non si arrabbi - riguardano ancora una volta la benedetta vicenda dei caveat. Ho detto che voglio essere estremamente franco e senza reticenze. Potrei affidare la mia replica alle parole di una persona - mi scuserete se lo dico - che rispetto moltissimo, Gianfranco Paglia. In realtà, per essere franchi, non dobbiamo sottacere che da più parti, in via formale o informale, è pervenuta la richiesta di eliminare quel caveat, ossia di poter già considerare disponibili all'impiego in altri quadranti i nostri soldati. Chi ha seguito quello che ho detto - forse solo la presidente Pinotti si assume il compito di seguire persino quello che dichiaro io, e la ringrazio - sa che io sin dal primo momento ho cercato di sottolineare il
problema, dicendo che avremmo modificato il termine temporale all'interno del caveat. Non ho consentito che si aprisse una discussione su «caveat sì» o «caveat no». Spero che questo abbia
l'apprezzamento di tutti, perché non credo sia ancora maturo il tempo per dire che i nostri soldati possono essere dislocati pienamente, visto che esiste questa regola che ci siamo autoimposti, che il Parlamento conosce.
Al momento ci limitiamo a eliminare gli effetti negativi di immagine di quel caveat. Questo può avere delle conseguenze, non voglio sottacerlo. Può anche darsi che se fino a oggi non è stato chiesto l'impiego dei nostri soldati in altri quadranti sia dipeso dal fatto che la presenza del caveat che prevede le 72 ore scoraggiasse qualunque richiesta. Potrà anche capitare che, con questa modifica, avremo un effettivo maggiore impiego dei nostri soldati. D'altronde, non avremmo potuto evitarlo neanche con l'attuale previsione di 72 ore, come ho avuto modo di dire prima, perché da parte nostra sarebbe stato strano, a seguito di una richiesta urgente, aspettare 72 ore per rispondere.
È vero, questo elimina la possibilità di un coinvolgimento nella risposta, se non in tempi rapidissimi, del Parlamento, che però non era e non è prevista in questi casi. Il Parlamento ha il compito di licenziare la missione e noi abbiamo il compito di riferire immediatamente e puntualmente su vicende di questo genere. È sempre stato così e questo posso assicurarlo, da parte mia e da parte di tutto il Governo. Con il restringimento dei tempi dovremmo essere ancora più pronti, ancora più puntuali. Senza contare che nelle sei ore potrebbe anche capitare un coinvolgimento, quantomeno delle Commissioni competenti o dell'ufficio di presidenza delle stesse, per una rapidissima e a volte anche informale consultazione non dovuta e non prevista.
Un altro tema che è stato affrontato può essere riassunto nelle parole «continuità» e «cambiamento». La continuità riguarda la sostanza; il cambiamento sta soprattutto nel maggiore prestigio che noi speriamo di dare alla politica estera italiana o meglio al ruolo delle nostre missioni. Senza alcuna colpa di chi oggi è presente, non credo di dire una cosa fuori dal mondo se sostengo che il modo con cui veniva guardata la presenza dei nostri soldati nelle missioni, con un Governo che aveva al suo interno una discussione - chiamiamola così - molto ampia, è diverso dal modo in cui viene guardata la stessa politica sostanziale oggi. Il pericolo che quella politica non sia costante e sia sottoposta a cambiamenti oggi non c'è.
Basta sottolineare questo per capire che quello che è successo nei giorni scorsi era un episodio giornalistico. Come ho detto, solo la presidente Pinotti può aver esaminato tutte le mie dichiarazioni, e in quel caso avrà visto che non c'è mai stato un tentennamento. Ho detto e ripetuto sempre la stessa cosa, senza cambiare nemmeno una virgola.
Comunque, questa è la politica, che è fatta anche di valutazioni, di impressioni, di sensibilità, di credibilità delle cose che si dicono. Questo appartiene a quell'arte magica - non sempre magica - che si chiama politica.
Intanto ringrazio gli esponenti di maggioranza che hanno voluto contribuire anche con osservazioni puntuali, come quella del generale qui presente, che mi ha chiesto maggiori notizie. Non le ho ancora nel dettaglio, altrimenti ve le avrei riferite.
L'onorevole Fassino ha detto una cosa importantissima: sui caveat siamo d'accordo, ma bisogna rafforzare l'azione politica. Certo, onorevole Fassino, ma i temi sollevati sono: l'integrazione di tutti i Balcani nell'Unione europea; la pace israelo-palestinese; la strategia di successo per vincere in Afghanistan, ricostruirlo e dargli dignità di Nazione libera; la riconciliazione nazionale nello stesso Paese auspicata da Karzai. Forse, onorevole Fassino, ha sopravvalutato le forze di questi ministri che oggi dovevano rispondere a domande di questo genere e non l'hanno fatto in maniera adeguata! La ringrazio.
PIERO FASSINO. Però quando lei e il suo collega andrete a discutere con gli altri ministri troverete questi argomenti sul tavolo.
IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Non li sottovaluto. La nostra era una professione di umiltà!
PRESIDENTE. Ringraziamo i due ministri per aver voluto partecipare ad una così importante seduta. Faccio mia la proposta del senatore Ramponi, il quale auspicava che ci siano altre audizioni come questa, che sono di estrema importanza. Tali le considero anch'io.
Ringrazio i presidenti e tutti i commissari, soprattutto per la disponibilità dimostrata nel rispettare i tempi previsti per i loro interventi. Siamo riusciti, grazie al loro impegno, a svolgere l'audizione nei tempi previsti.
La seduta termina alle 16,35.