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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite (III-V-XIV Camera e 3a-5a-14a Senato)
12.
Mercoledì 6 febbraio 2013
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

Comunicazioni del Governo sul Consiglio europeo del 7-8 febbraio 2013:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 8 9 13 17 18
Bonino Emma (PD) ... 9
Cambursano Renato (Misto) ... 10
Catania Mario, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ... 8
Dini Lamberto, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica ... 13
Duilio Lino (PD) ... 9
Gottardo Isidoro (PdL) ... 12
Gozi Sandro (PD) ... 11
Marinaro Francesca Maria (PD) ... 11
Moavero Milanesi Enzo, Ministro per gli affari europei ... 3 13 17
Pianetta Enrico (PdL) ... 12
Polledri Massimo (LNP) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Intesa Popolare): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Centro Democratico: Misto-CD; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Italia Libera-Liberali per l'Italia-Partito Liberale Italiano: Misto-IL-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL; Misto-Diritti e Libertà: Misto-DL.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) - V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) - XIV (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 3A (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) - 5A (BILANCIO) - 14A (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 6 febbraio 2013


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 12.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Governo sul Consiglio europeo del 7-8 febbraio 2013.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni del Governo sul Consiglio europeo del 7-8 febbraio 2013.
Sono presenti, a tal fine, il Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, e il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Mario Catania, che abbiamo il piacere di ospitare, che ci daranno conto, in particolare, del quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea per il periodo 2014-2020.
Ringrazio i ministri intervenuti per avere accettato il nostro invito. Peraltro, finalmente, il tema oggi affrontato comincia a comparire anche sulla stampa generalista.
L'audizione odierna si tiene in un periodo particolare di campagna elettorale. Tanti di noi sono candidati, altri non lo sono. Cerchiamo, comunque, di tenere un profilo tecnico, asettico e istituzionale, come si conviene, appunto, a questa seduta.
Do ora la parola al Ministro Enzo Moavero Milanesi.

ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Grazie, presidente. Ringrazio tutti voi di essere qui. Il tema che oggi abbiamo davanti è particolarmente importante. Come nella vita di ogni istituzione, anche nella vita dell'Unione europea il momento del bilancio, delle decisioni relative alle risorse finanziarie rappresenta un momento particolarmente sensibile e delicato, in cui si incrociano varie priorità e interessi, al contempo europei e nazionali.
Come avete visto anche nelle dichiarazioni pubbliche di questi giorni, vi è un appello a pervenire a un risultato. Siamo ad una seconda tappa della discussione sul quadro finanziario che riguarda il periodo 2014-2020, la prima essendo stata lo scorso novembre. Peraltro, ci eravamo visti anche in quell'occasione, sia prima che dopo il vertice. È, quindi, sul filo conduttore dei nostri precedenti incontri che mi inserisco anche oggi, cercando di darvi soprattutto degli elementi precisi anche per quanto riguarda le cifre, oltre che per ciò che concerne il contesto.
Come ricordava il presidente Giorgetti, siamo in una fase in cui anche la stampa e i media incominciano ad accentuare la loro attenzione sul tema. Pertanto, cercherò di essere preciso. Mi scuso se in alcuni punti rischierò di essere un po' più lungo nell'esposizione, ma è importante che abbiate un quadro trasparente.
Il primo punto riguarda la situazione dell'Italia rispetto alle risorse finanziarie e al bilancio europeo.


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Come Paese, siamo caratterizzati da alcuni elementi specifici. Il primo elemento, che non dobbiamo dimenticare e di cui dobbiamo essere coscienti, è che siamo, oramai dal 2001, un contribuente netto al bilancio europeo. Per tanti anni siamo stati un beneficiario netto, soprattutto attraverso i fondi della politica di coesione, della politica agricola e quant'altro. Invece, dal 2001, tenuto conto dello stato della nostra prosperità economica, siamo diventati un contribuente netto. In sostanza, versiamo al bilancio dell'Unione europea più di quanto riceviamo. Siamo in compagnia di altri Paesi, quali, naturalmente, la Germania, la Francia, il Regno Unito, l'Olanda, la Svezia, l'Austria, la Danimarca e la Finlandia. Siamo, quindi, in una categoria differente rispetto alla Spagna, alla Polonia e a tanti altri Paesi membri, che sono, invece, dei beneficiari netti.
La situazione di contribuente netto dell'Italia si è progressivamente accentuata, dal 2001 in avanti. Sappiamo tutti - peraltro, questa mattina la memoria ci è stata anche rinfrescata da alcuni articoli di stampa - che nel 2011 c'è stato un saldo netto negativo di circa 6 miliardi di euro. Dal 2001 in avanti questa situazione si è, appunto, accentuata per alcuni fattori specifici.
Tra l'altro, questo è il motivo della presenza del Ministro Catania. Purtroppo, non è presente il Ministro Barca, che è impegnato in un'iniziativa fuori Roma. Comunque, abbiamo seguito il negoziato insieme. Infatti, il Governo ha lavorato in modo molto coordinato, anche con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro Passera per la parte che concerne lo sviluppo economico. In ogni modo, in particolare, i Ministri Catania, Barca, Grilli ed io abbiamo seguito la questione.
Come dicevo, i fattori che determinano questa posizione di crescente contribuente netto dell'Italia sono diversi. Anzitutto, vi è stato l'allargamento dell'Unione europea successivamente al 2004, di cui durante il periodo attuale di bilancio, che va dal 2007 al 2013, si è manifestato l'effetto. Si tratta di nuovi Paesi membri che hanno tutti un indice di prosperità inferiore al nostro. Pertanto, sono beneficiari anche della nostra componente di contributo.
Sempre con riguardo alla situazione italiana, per citare i dati precisi, nel 2011 siamo stati il terzo contribuente in termini assoluti, dopo la Germania e la Francia, e il primo contribuente in termini percentuali rispetto al reddito nazionale lordo, per un disavanzo netto rispetto al bilancio generale di 6 miliardi di euro in termini assoluti e dello 0,38 per cento sul reddito nazionale lordo.
Il dato del 2011 risente, in particolare, secondo l'analisi che abbiamo fatto, della lenta e scarsa capacità di assorbimento di spesa dei fondi strutturali che, naturalmente, più avanza il periodo di bilancio 2011 - siamo al terzultimo anno del periodo attuale, che scade nel 2013 - più si manifesta. Se volessimo fare una media tra il 2007 e il 2011 - anche se mancano ancora gli anni 2012 e 2013 per calcolare una media generale del periodo del bilancio attualmente in corso - questa è per noi di circa -4,5 miliardi di euro, equivalente a un -0,28 di percentuale sul reddito nazionale lordo dell'Unione europea.
Un'altra caratteristica del nostro Paese è che continuiamo a essere beneficiari importanti delle politiche di spesa, in particolare di quelle agricola e di coesione.
Un ulteriore fattore che ci caratterizza è che, con la Francia, siamo gli unici due Paesi contribuenti netti a non essere parte del sistema dei cosiddetti «sconti», o «correzioni» che dir si voglia. Alcuni sono dei veri e propri sconti, per esempio quello storico del 1984 di cui beneficia il Regno Unito; altre sono delle correzioni sul contributo dei rispettivi Paesi agli sconti, delle quali beneficiano, in particolare, la Germania e l'Olanda; altre ancora sono delle correzioni sui tassi di partecipazione ad altre categorie di entrate, di cui, per esempio, beneficiano, in una certa misura, il Belgio e il Lussemburgo.
Il risultato è che, essendo noi e la Francia Paesi che non beneficiano di queste correzioni, evidentemente paghiamo per le correzioni di cui beneficiano gli altri


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Paesi. Tuttavia, ci viene fatto osservare da altri Paesi che Francia e Italia beneficiano in modo importante delle politiche di coesione e della politica agricola.
A ogni modo, il sistema delle correzioni e degli sconti nasce da un principio che fu sancito al Consiglio europeo di Fontainebleau nell'ormai lontano 1984, secondo il quale, per equità, nessun Paese deve avere un disequilibrio eccessivo tra il suo dare e il suo avere. Pertanto, il cosiddetto «sconto» - sarebbe meglio parlare di correzione - corregge, appunto, questo disequilibrio eccessivo.
Ora, la nostra posizione rispetto al negoziato di bilancio, che vi ho esposto anche in altre occasioni, è sempre stata incardinata fondamentalmente su tre elementi.
Il primo è che il bilancio dell'Unione deve essere adeguato ai compiti che sono conferiti all'Unione europea, cosa che si traduce nel fatto che non abbiamo chiesto, come la maggior parte degli Stati contribuenti netti, dei tagli al bilancio come questione a priori del negoziato.
Il secondo è che il bilancio dell'Unione europea deve costituire uno strumento volto a favorire la crescita e la creazione di posti di lavoro. Questo significa che determinate politiche particolarmente vocate alla crescita - ricerca e sviluppo; il programma cosiddetto Connecting Europe che riguarda le grandi reti transeuropee; ma anche le politiche agricole, nella loro riforma, e le politiche della coesione che, per definizione, cercano di portare a livello competitivo le zone meno favorite dell'Unione - devono essere preservate.
Infine, il terzo elemento è il fatto che riteniamo che il bilancio europeo debba rispondere a criteri di solidarietà, efficienza ed equità. Questo è il motivo per cui riteniamo un a priori non condivisibile - anche se comprendiamo che questa è la tendenza maggioritaria in atto - l'idea che il bilancio europeo, per la prima volta, debba ridursi in questo negoziato che riguarda il periodo 2014-2020.
Il secondo elemento della mia esposizione riguarda la proposta del Presidente del Consiglio europeo Van Rompuy al citato vertice del novembre 2012, di cui abbiamo già discusso in questa sede. Per memoria reciproca, ricordo che la proposta prevedeva un taglio importante al bilancio, con una riduzione di circa 80 miliardi di euro rispetto alla proposta della Commissione del luglio 2012, che era stata di un quadro finanziario pluriennale - quindi di un bilancio propriamente detto - di 1.033 miliardi di euro a prezzi costanti 2011, pari all'1,08, quasi 1,09 per cento del reddito lordo dell'Unione europea, con un aumento di circa 39,4 miliardi (circa il 4 per cento) rispetto al periodo precedente. Vi erano, poi, alcune voci fuori bilancio che portavano il totale a 1.091 miliardi.
Con la proposta di riduzione messa sul tavolo dal Presidente Van Rompuy nel novembre scorso, il quadro finanziario pluriennale, quindi il bilancio in senso stretto, passava da 1.033 a 972 miliardi di euro, pari all'1,01 per cento del reddito lordo dell'Unione europea, anziché l'1,08. Si scendeva, quindi, sotto i famosi 1.000 miliardi, che qualcuno ha definito il trilione, anche se non so se è la denominazione corretta.
Dico questo anche per dare l'idea che stiamo discutendo di una grandezza che gira intorno - poco più nella proposta della Commissione, un po' meno nella proposta di novembre di Van Rompuy - a questi 1.000 miliardi di euro, che rappresentano uno 0,8-0,9 per cento di più o uno zero virgola qualcosina di più dell'1 per cento del reddito lordo dell'Unione europea. Questo è l'ordine delle grandezze di cui stiamo parlando, sia per i totali, sia per le riduzioni.
La proposta di Van Rompuy del novembre 2012 conteneva alcuni elementi che avevamo giudicato positivi. Anzitutto, vi era la proposta di dare all'Italia due compensazioni specifiche di un miliardo di euro ciascuna, per un totale di due miliardi, a compensazione del nostro disequilibrio: uno sulla politica di coesione e uno sulla politica agricola per lo sviluppo rurale. Inoltre, la proposta conteneva un'idea, con riguardo ai meccanismi di correzione e sconti, che portava questi


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meccanismi a essere finanziati da tutti gli Stati, mentre oggi gli Stati che beneficiano degli sconti non contribuiscono a finanziare gli sconti stessi.
Avevamo negozialmente dichiarato che non eravamo ancora totalmente soddisfatti. Comunque, come sapete, il vertice si era concluso con un rinvio al mese di febbraio 2013.
Per quanto riguarda il dato italiano di saldo netto negativo medio prevedibile per il periodo 2014-2020, tenendo conto anche di un miglioramento nella nostra capacità di assorbimento dei fondi strutturali, si sarebbe passati a 4,1 miliardi di euro medi l'anno e a uno 0,25 di percentuale sul nostro reddito nazionale lordo, con un miglioramento rispetto alle cifre medie di cui vi dicevo prima (la cifra assoluta, che si memorizza più facilmente, è -4,5 miliardi in media nel periodo 2007-2011; per quanto riguarda il rapporto al reddito nazionale lordo, siamo al -0,28 per cento, come già detto).
Quando parliamo di cifre assolute, che memorizziamo più facilmente, deve essere tenuto conto che, su questa base, gli Stati non sono comparabili direttamente, perché uno Stato che ha un reddito nazionale più alto versa più miliardi, per cui la vera comparazione si fa sulle percentuali che, nel nostro caso, con la proposta di Van Rompuy di novembre, arriverebbero a -0,25 all'anno sul nostro reddito nazionale lordo.
C'è un altro indice importante da tener presente, che facciamo valere sia nella discussione generale che in quella specifica per il nostro Paese. È il cosiddetto «indice di prosperità relativa» che misura, appunto, la prosperità relativa dei Paesi tra loro, dal quale poi discendono anche le conseguenze a livello di attribuzione dei fondi. Il nostro era di 105 nel 2005. Attualmente, si prende in considerazione quello medio del periodo 2009-2011, perché sono i dati consuntivi di cui dispone la Commissione: il nostro indice è sceso di 4 punti, quindi siamo a circa 101.
L'altro elemento è il contesto del negoziato. Ci sarà una nuova proposta. Comunque, prevediamo che i nodi siano in particolare quattro. Procedo in ordine di importanza materiale, anche se forse quello che accenno per ultimo è quello più importante, dal punto di vista del principio.
Il primo nodo è che ci saranno probabilmente ulteriori tagli proposti dal Presidente Van Rompuy, in quanto rimane forte la richiesta di riduzione dell'ammontare complessivo del bilancio. Si parla di cifre nell'ordine dai 40 ai 30 miliardi di euro di possibili ulteriori tagli, in aggiunta agli 80 miliardi già messi sul tavolo a novembre.
Come secondo elemento, si parlerà del meccanismo di correzione degli sconti. Infatti, probabilmente, l'idea dello scorso novembre di far partecipare anche i beneficiari degli sconti al finanziamento del meccanismo non passerà molto facilmente, quindi si pensa, comunque, a delle correzioni che dovrebbero portare, in ogni caso, un beneficio, in particolare a Paesi come Francia e Italia che ne hanno sopportato finora il maggior onere.
Il terzo nodo sarà l'eventuale attribuzione di ulteriori ammontari di compensazione, come quelli che erano stati attribuiti a noi. Questo potrebbe riguardare anche altri Paesi, ma, ovviamente, abbiamo mantenuto una forte richiesta da parte nostra.
Infine, il quarto punto, che definivo il più importante forse sotto il profilo dei princìpi, riguarda, appunto, le questioni di fondo. Insomma, per quale motivo dobbiamo ridurre per la prima volta il bilancio dell'Unione Europea proprio quando lo negoziamo per la prima volta a 27 Paesi? Questa riduzione è coerente con i nuovi obiettivi di crescita e di occupazione e, in particolare, con i nuovi compiti, anche materiali, che sono stati affidati all'Europa nel quadro dell'Unione monetaria? Infine, è coerente che il bilancio si riduca, visto che sappiamo che il prossimo luglio ci sarà uno Stato membro in più?
Questi sono gli elementi sul tavolo. Concretamente, sulla base delle anticipazioni che oramai leggiamo anche sulla stampa - ovviamente, vi do la nostra conoscenza attuale come Governo - riteniamo


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che sia prevedibile, innanzitutto, una probabile riduzione della spesa, dell'ammontare complessivo dai 15 ai 20 miliardi di euro in termini di stanziamenti di impegno, che graverebbe, in particolare, sulle spese generali di funzionamento e, probabilmente, sulla cosiddetta Connecting Europe Facility, dedicata alle grandi reti.
Se ci fosse questa ulteriore riduzione, essendo l'Italia un Paese contribuente netto, avremmo un minor contributo, quindi avremmo un beneficio - se così vogliamo definirlo - che possiamo valutare in circa 340 milioni di euro l'anno, da moltiplicare poi sull'intero periodo 2014-2020 per avere la cifra totale. A questa riduzione di 15-20 miliardi di euro in termini di stanziamenti di impegno si accompagnerebbe una riduzione che potrebbe andare dai 30 ai 40 miliardi di euro in termini di stanziamenti di pagamento, secondo quello che si sente in giro, di cui abbiamo discusso solo in parte, senza prendere ancora nessuna opzione.
Comprendere la differenza tra impegni e pagamenti è un po' per iniziati; tuttavia, per tradurla in termini più comprensibili, potremmo dire che, in termini di pagamento, si ragiona in termini di flusso effettivo di cassa, il che vuol dire che, per esempio, chi non riesce a spendere interamente le somme che gli sono assegnate nel periodo non le vede perse, perché vengono fatte slittare nel periodo successivo. Questo sta succedendo a noi, adesso. Infatti, tra il 2007 e il 2013 non abbiamo speso un ammontare abbastanza importante, che nel gergo europeo si chiama RAL (Reste à Liquider): questa somma non spesa slitta, appunto, nel periodo successivo. Pertanto, quando si ragiona in termini di riduzione di pagamento, potremmo avere una maggiore rigidità e veder slittare delle somme - che attualmente calcoliamo approssimativamente in possibili 2 miliardi di euro - nel periodo successivo al 2020.
L'altro nodo è la rimodulazione del sistema di sconti. Secondo le anticipazioni che si percepiscono, rivedendo in parte questo sistema, come Italia, potremmo risparmiare circa un centinaio di milioni di euro all'anno, rispetto alla nostra contribuzione che vi è stata fino a oggi.
L'ultimo punto concerne la posizione negoziale che stiamo assumendo, di cui, peraltro, abbiamo già parlato. Ci tengo, però, a ricapitolarla. Anzitutto, abbiamo posto come condizione molto netta che ci sia una riduzione del nostro saldo netto negativo. Ridurre il saldo netto negativo del Paese rimane, per noi, una condizione prioritaria, per tener conto sia dell'importanza di una tale riduzione rispetto alla spesa dello Stato - quindi ai nostri contribuenti - sia del fatto che, purtroppo, la cosiddetta «prosperità economica relativa» dell'Italia si è degradata negli anni.
Il dato è impressionante. Esistono delle tavole pubbliche della Commissione che mostrano che nel 2001 avevamo ancora un indice di prosperità relativa sostanzialmente identico alla Germania e alla Francia, dopodiché, purtroppo, siamo andati via via degradando, mentre la Germania, in particolare, ha migliorato la propria posizione.
Come ulteriore elemento, riteniamo necessario che ci sia un segnale chiaro di riforma dell'attuale sistema di correzioni e sconti. Il principio base - cioè il fatto che non ci siano dei disavanzi eccessivi - non è sbagliato. Tuttavia, sono criticabili il modo in cui questi sconti sono stati via via aggiunti, la loro poca leggibilità, la scarsa trasparenza e l'assenza di un sistema unico, uniforme e valido per tutti i Paesi che si trovino in certe condizioni. Chiediamo, dunque, che questo sistema sia rivisto e corretto.
Inoltre, valutiamo criticamente anche questo approccio di riduzione del bilancio europeo. Non pensiamo che sia coerente con quell'Europa in cui crediamo. Non dimentichiamo, del resto, che stiamo parlando dell'1 per cento del reddito lordo europeo, che poteva diventare un 1,09 per cento e che forse diventerà uno 0,99 oppure un 1,01. Insomma, siamo in ordini di grandezza significativi, ma comunque relativi rispetto a quelli a cui siamo abituati in sede nazionale.


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Abbiamo, quindi, lavorato lungo le linee di cui abbiamo spesso parlato. Ci battiamo per una conferma del miliardo di euro più un miliardo, quindi dei 2 miliardi di euro che ci sono stati evocati a novembre come possibile allocazione addizionale. Abbiamo, poi, l'obiettivo di ridurre il nostro contributo agli sconti. Vogliamo che siano preservate le risorse più tipicamente dedicate alla crescita e alla creazione dei posti di lavoro. Abbiamo proposto e stiamo molto insistendo affinché ci sia anche un'iniziativa specifica, con un segnale chiaro, sui fondi per lottare contro la disoccupazione giovanile, in particolare nelle regioni che ne sono più colpite in Europa e nel nostro Paese; vogliamo salvaguardare le politiche di spesa che sono più vicine al cittadino. Menziono solo il programma Erasmus, per parlare di un elemento che conosciamo tutti.
Comunque, intendiamo vedere riflessa quella riduzione della nostra prosperità relativa in una riduzione del nostro saldo netto negativo. Dico questo per un ricordo reciproco e per una puntualizzazione sulle cifre, ma soprattutto per ricapitolare la posizione negoziale che il Governo ha assunto in nome del Paese e che, avendola più volte confrontata con il Parlamento, si augura sia sempre sostenuta dal Parlamento medesimo.
Vi ricordo che, ai sensi anche della legge 24 dicembre 2012, n. 234, avete la possibilità di darci delle linee di indirizzo, dopodiché torneremo a riferire dopo il Consiglio europeo.

PRESIDENTE. Grazie, Ministro.
Do ora la parola al Ministro Mario Catania.

MARIO CATANIA, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. Sarò brevissimo, visto che il collega Moavero Milanesi ha fatto una panoramica esaustiva. Mi limito ad alcune considerazioni maggiormente connesse con il comparto agricolo, la prima delle quali è di carattere generale.
Sapete che, da tanto tempo, c'è una scuola di pensiero che tende a ritenere la spesa agricola europea come eccessiva, residuale e da ridimensionare. Abbiamo fatto un'approfondita valutazione. La nostra percezione è che questo tipo di approccio non è conforme, né coerente con la realtà economica che attraversiamo. L'agricoltura europea, per effetto dell'apertura del mercato mondiale e per la riduzione progressiva delle protezioni tariffarie, è in una situazione di forte contrazione di redditività. Le imprese europee sono particolarmente esposte alla concorrenza internazionale, molto di più di quanto non lo fossero 15 o 20 anni fa.
Questo giustifica la permanenza di una spesa agricola molto importante, ancor di più lo giustifica in Italia, atteso il fatto che le nostre imprese subiscono la compressione di redditività in modo maggiore rispetto alla media europea, perché sono particolarmente colpite dalle aperture commerciali fatte nei confronti dei Paesi nordafricani, che impattano in modo evidente sulle colture mediterranee del nostro Paese.
Fatta questa considerazione di carattere generale, aggiungo che auspicheremmo che la PAC (Politica agricola comune) e la spesa agricola evolvessero sempre di più verso una spesa finalizzata alla crescita della competitività delle imprese e non quindi verso una spesa che mantenga elementi di carattere non dico assistenziale, ma, comunque, non direttamente collegati alla capacità di crescere delle imprese. Per questo, per gli addetti ai lavori, preciso che il nostro auspicio è che si vada nella direzione di una crescita della spesa per lo sviluppo rurale, rispetto alla spesa tradizionale per il cosiddetto primo pilastro della PAC. Riscontriamo, però, forti resistenze in sede comunitaria di fronte a questo scenario. La tendenza è a mantenere la spesa del primo pilastro.
Inoltre, voglio sottolineare che la spesa agricola in Italia non ha mai avuto problemi assimilabili a quelli della spesa di coesione dei fondi strutturali, come li ha chiamati il Ministro Moavero. Infatti, spendiamo interamente le risorse della politica agricola, con tutte le ricadute del caso sulle imprese.


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Per quanto riguarda la ripartizione della spesa agricola tra gli Stati membri, usciamo da un accordo del 2005 che non è assolutamente favorevole all'Italia. Non aggiungo altre considerazioni rispetto a quelle del collega Moavero. È chiaro, infatti, che il recupero per l'Italia, in termini di spesa agricola, si innesta nella problematica complessiva del dare e dell'avere nei confronti dell'Unione europea.
L'ultimissima considerazione è un po' fuori sacco, ma ci tengo particolarmente. Il collega Moavero ha ricordato, tra le spese minori significative, il programma Erasmus. Vorrei ricordare che, attualmente, nell'ambito del bilancio europeo, c'è una linea di spesa che è quella che consente di dare aiuti alimentari agli indigenti, poco conosciuta, ma che l'Italia attiva. Sono particolarmente fiero del fatto che, lo scorso anno, il nostro ministero ha erogato oltre 100 milioni di euro di pasti alimentari ai poveri. Sarebbe bello che non ce ne fosse la necessità, ma, finché ci saranno queste situazioni, è importante farlo. Ebbene, questa è una linea di spesa importante che, per quanto piccola nell'ambito di una dinamica complessiva, credo vada guardata con attenzione nell'ambito di questo negoziato.

PRESIDENTE. Passiamo, ora, alla fase dei quesiti. Vi prego di porre eventuali domande in termini sintetici.
Inoltre, devo ricordare che, purtroppo, essendovi un regime di prorogatio, non è possibile per le Commissioni parlamentari ricorrere alla possibilità prevista dalla citata legge n. 234 del 2012 di formulare indirizzi al Governo. Ci saranno senz'altro altre occasioni per formulare indirizzi.
Do, quindi, la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti.

LINO DUILIO. Innanzitutto, ringrazio i ministri di questa comunicazione. È vero, come diceva il presidente, che siamo in una condizione di prorogatio, ma è altrettanto vero che si possano esprimere delle considerazioni in linea di assoluta continuità con quanto abbiamo sostenuto in diverse altre occasioni.
Visto che siamo, forse, all'ultima riunione dell'attuale Parlamento, colgo l'occasione per ringraziare, in particolare, il Ministro Moavero di averci dato una possibilità di confronto in diverse occasioni, nelle quali abbiamo anche registrato una convergenza di posizioni con il Governo, per cui credo che, pur trovandoci noi in regime di prorogatio, il Governo si possa sentire, sostanzialmente oltre che formalmente, legittimato a esprimere delle posizioni al Consiglio europeo nella pienezza dei suoi poteri.
Per quanto riguarda il merito, sono interessato ad alcune cose. Se non ho capito male, non si condivide il discorso dei tagli. Ecco, io condivido, appunto, il fatto che non si condivida. Immagino che la declinazione di questo approccio investa quelle rubriche che non sono preallocate nei diversi Paesi, quindi ciò si andrà a scaricare, in particolare, sulla ricerca e altri aspetti che sono strettamente connessi al tema della crescita, il che rende ulteriormente «odioso» che questo accada. Poi, a ciò si aggiunge il fatto che si sta parlando di una riduzione sotto il trilione, come lei ha citato, che è una cifra concreta, ma anche simbolica, negatrice dell'evidenza di un credo nell'Europa.
Allora, la mia domanda è se non sia il caso di porre, come Paese, il veto - cosa di cui sono convinto - rispetto ad accordi che prevedano la riduzione della dotazione di risorse a carico del bilancio comunitario, già di per sé risibile.

EMMA BONINO. Comunque vada, con un miliardo di euro in più o in meno, credo che questo bilancio vada semplicemente respinto. Nella fase attuale dell'Europa, con un nuovo Paese che entra e quant'altro, questo bilancio è un insulto. Non scendo dal pero, conosco perfettamente la situazione. Tuttavia, credo che un Paese come il nostro - non tanto e non solo perché contribuente netto o perché la nostra soglia di prosperità relativa è scesa a 96, con un trend verso il 94 - che pensa, come Parlamento e Governo, a un rilancio dell'Europa, debba utilizzare un'occasione come questa. Peraltro, neppure la proposta


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della Commissione era brillantissima. Poi, arriviamo all'ipotesi del Presidente Van Rompuy dello scorso novembre di una riduzione di 80 miliardi di euro. Se ho capito bene, a parte gli impegni di pagamenti, arriviamo a un'ulteriore riduzione di 30 miliardi e così via. So bene che nei corridoi si discuterà anche di questi dettagli, che sono importanti e di tutta evidenza, ma mi piacerebbe che il messaggio del nostro Paese fosse innanzitutto politico.
Questo non è neppure un bilancio! Vi rendete conto che, su sette anni, è di poco più di 100 miliardi all'anno? Stiamo parlando di poco più di 900 miliardi di euro, divisi per sette. Ecco, questa è la forza europea, la potenza europea, il rilancio europeo, la politica europea sulla crescita e via discorrendo. Sembra il bilancio della Lombardia, anche se non sono un'esperta di Lombardia. Se dividiamo per sette, siamo a circa 130-140 miliardi di euro all'anno per 28 Paesi.
A ogni modo, il negoziato è fatto di tante tappe, di interessi nazionali che capisco bene e di accordi su questa o quella voce del bilancio. Non è in discussione se il Governo sia titolato o meno perché siamo in regime di prorogatio. Quando si fa parte dell'Europa, non si può aspettare sempre per tutti le elezioni, anche se altri Paesi fanno spesso valere questo fattore. Credo, comunque, che il messaggio politico del nostro Paese debba essere francamente un «no» perché, in questi termini, non è possibile nemmeno discutere.

RENATO CAMBURSANO. Parlando più da cittadino italiano che da parlamentare, visto che sono in regime di prorogatio - se prima ero scadente, adesso sono in via di scadenza totale - mi preoccupa molto il fatto che in campagna elettorale il tema dell'Europa non sia in cima alla graduatoria di tutte le formazioni politiche, come dovrebbe. Se è vero - come è vero - ciò che ha detto la senatrice Bonino, che sottoscrivo integralmente, quello che stiamo discutendo è il nulla, rispetto agli obiettivi che abbiamo sempre posto, almeno da parte di chi ha sempre creduto per davvero nell'Europa.
Ringrazio, comunque, il Ministro per gli affari europei per quello che sta facendo, insieme al Presidente del Consiglio e agli altri ministri. Credo, però, che la questione vera sia per l'appunto politica. Del resto, c'è una preoccupazione in più per noi italiani perché, pur essendo migliorate le capacità di spesa del nostro Paese, non siamo ancora tra i migliori. Come ha detto lei, tra i vari punti di criticità c'è anche questo, quindi siamo i meno titolati a sostenere l'incremento - o quanto meno la non riduzione - delle risorse finanziarie. Per questo, quando ero relatore in Commissione bilancio proprio sul quadro finanziario, ero stato criticato per il fatto che esprimevo la volontà - come mi ha ricordato poc'anzi il collega Duilio - di sostenere non la quantità, bensì la qualità della spesa. Ecco, credo che questo sia ancora il nostro obiettivo. In cima a tutto, c'è, poi, la grande politica, come, giustamente, ricordava la senatrice Bonino.
Da piemontese, quindi da cittadino toccato - spero per davvero - da una grande infrastruttura che si chiama alta velocità Torino-Lione, mi preoccupa molto - è un'affermazione, ma anche una domanda al ministro - che gli ulteriori tagli previsti al bilancio, che andrebbero a colpire proprio le grandi infrastrutture, si abbattano anche su questa, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero. Sappiamo che ci sono stati degli incontri a livello bilaterale tra Francia e Italia proprio su questa grande infrastruttura. Gli impegni dei due Paesi sono stati di riequilibrare gli interventi a carico dei due singoli Stati. Se, però, si dovesse abbattere anche questa risorsa finanziaria europea, credo che ci dovremmo interrogare se esista davvero la volontà di fare queste grandi infrastrutture. Lo stesso discorso vale per la questione, che già altri hanno ricordato, del programma Erasmus e per la ricerca. Questa è la qualificazione vera della spesa. Quindi, occorre certamente fare una battaglia di principio sull'Unione europea per


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capire se ha ancora un senso così come viene intesa e, nell'ambito del bilancio, occorre qualificare meglio la spesa.

FRANCESCA MARIA MARINARO. Penso che non possiamo non sottolineare il fatto che abbiamo ritenuto - in particolar modo di fronte all'incalzare della crisi economica - che ci fosse la necessità di un rilancio e di una rinascita dell'Europa per affrontare le questioni che abbiamo davanti e, soprattutto, la grande piaga della disoccupazione. In questo senso, la discussione sul bilancio europeo che si è aperta e che si preannuncia difficile, per quanto mi riguarda, deve avere un valore di investimento rispetto alla situazione attuale. Il bilancio non può essere concepito come una riduzione e un ripiegamento continuo sul livello nazionale rispetto ai problemi di ogni Paese.
Penso, quindi, di interpretare le parole del Ministro Moavero, nel senso di sostenere una linea che dia forza e ragione all'Unione europea rispetto ai problemi che si devono affrontare, ma anche in termini di indicazioni rispetto al futuro. Per quanto mi riguarda, mi ritrovo benissimo nella posizione del Parlamento europeo, che ha già messo le mani avanti, essendo anche un soggetto istituzionale codecisore con il Consiglio dei Ministri, affermando che se si continua con questa riduzione difficilmente potrà sostenere e varare un bilancio di questo tipo. Siamo, quindi, allineati con la posizione del Parlamento europeo.
Tuttavia, vorrei che il Ministro ci riferisse delle possibili alleanze che si possono creare con gli altri Paesi: visto che ci sono stati degli incontri, vorremmo capire - per così dire - cosa bolle in pentola.

SANDRO GOZI. Sarò molto breve, anche perché è già stato detto tutto. Lei teme che il 7 e l'8 febbraio non finisca tutto, invece io spero che il 7 e l'8 febbraio non finisca tutto, perché questo quadro è desolante. Credo che il tema citato en passant sia centrale, perché un'Europa che diminuisce le spese per la mobilità, per la cittadinanza e per il programma Erasmus non solo nega se stessa, ma non ha capito nulla di se stessa. Infatti, se c'è un elemento che ha reso l'Europa un successo è il programma Erasmus, piccola linea di bilancio, ma paradigmatica di un bilancio che, a questo stadio, credo che sia da respingere.
Peraltro, vengono meno anche alcuni punti che durante il negoziato, con molta correttezza, il Governo ci aveva segnalato come elementi correttori di una linea generale che non ci soddisfaceva. Penso, ad esempio, al meccanismo «Connettere l'Europa», che doveva compensare le possibili riduzioni della politica di coesione per alcune regioni del nord e del centro dell'Italia, che viene anch'esso tagliato. Quindi, signor ministro, spero che non sarà un'eventuale apertura a diminuire un poco il contributo netto dell'Italia a spingere il Governo italiano ad accettare il bilancio, perché questo sarebbe profondamente sbagliato.

MASSIMO POLLEDRI. Nel Medioevo una delle più grosse invenzioni fu il giogo che consentiva di migliorare la produzione, senza ammazzare il bue. Mi sembra che siamo tornati indietro e che per tirare il carretto dell'Europa stiamo ammazzando il bue che, purtroppo, non si può riprodurre per vari motivi.
Come ha detto lei, rispetto agli altri siamo andati indietro. Dal 2007 al 2011 ci abbiamo lasciato 22 miliardi di euro, 2 meno della Francia che ha un reddito superiore di un quarto e 5 miliardi meno rispetto al Regno Unito. Saranno anche conti della serva, ma, oggi come oggi, è un bilancio che dobbiamo fare. Non so se si lima da una parte o dall'altra, ma non siamo più in grado di poter sopportare una situazione del genere: non ci sono 6 miliardi di euro da poter mantenere.
Inoltre, vedo anche un grande numero di pacche sulle spalle da parte di chi a volte ci sbertuccia. Mi sembra, infatti, che siamo tra i più europeisti. Accettiamo l'unione bancaria, l'unione economica, l'unione di bilancio, l'unione politica, ma gli altri non si sforzano affatto. La Germania è contro l'unione economica, gli


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Eurobond, gli Stability bond, i Project bond, ma riesce a migliorare le sue esportazioni e i suoi tassi di interesse, per cui il divario aumenta.
Sarà - ripeto - anche un conto della serva, ma, in questa Europa, noi stiamo perdendo pesantemente. Quindi, nel vedere grandi apprezzamenti da parte di chi oggi dovrebbe essere chiamato ad avere il freno e, magari, qualche critica, non vorremmo che il nostro europeismo fosse di fatto funzionale allo strapotere di qualche altro Paese.

ENRICO PIANETTA. Ringrazio i ministri. Sappiamo tutti che, salvo qualche Paese, l'Europa sta attraversando un periodo di grande preoccupazione. Siamo in recessione, con i disoccupati e quant'altro di negativo sta attraversando, ormai da un po' di tempo, quest'area del mondo. Allora, a fronte di una corretta posizione di fiscal compact, credo che sia necessario impostare la cosa in termini strategici come growth compact.
A parte le posizioni della Germania o del Regno Unito circa possibili tagli, credo che dobbiamo insistere - sarà banale dirlo - sugli investimenti, sulla ricerca e sull'innovazione. Come leggevo anche oggi in un articolo su Il Sole 24 Ore, bisogna puntare sul rilancio di tutto il comparto manifatturiero, perché la quota di manifatturiero in Europa, in questi ultimi anni, è scesa. Bisogna ritornare a investire. Ha detto bene il Ministro Catania quando ha affermato che, anche in agricoltura, non si tratta di assumere delle posizioni assistenziali, bensì di impostare la questione sul rilancio della crescita e della competitività. Lo stesso vale nel comparto manifatturiero. Bisogna attirare investimenti ed evitare che la delocalizzazione continui.
Insomma, è chiaro che bisogna investire, quindi credo che il taglio del bilancio sia un fatto estremamente negativo, collegato anche alla necessità di sburocratizzare e di semplificare. Sarà banale - ripeto - dire che le imprese sono il cuore di tutto il funzionamento dell'Europa. Fa bene, dunque, il Commissario dell'Unione europea per l'industria e l'imprenditoria Tajani a sottolineare questo aspetto. Pertanto, condivido la posizione che altri colleghi hanno espresso in ordine, da una parte, alla possibilità di ottenere sconti, correzioni e quant'altro e, dall'altra, a incentivare questi aspetti.
A fronte di un'eventuale posizione così negativa che noi non possiamo condividere, vorrei capire qual è il comportamento negoziale del Governo italiano. Siamo, infatti, davanti a un fatto fondamentale per i prossimi sette anni, per cui bisogna assumere una posizione molto drastica per evitare che ci siano effetti negativi, appunto, nei prossimi sette anni.

ISIDORO GOTTARDO. Vorrei rivolgere una domanda al Governo. Il conferimento netto è un calcolo matematico. Il Governo ha ipotizzato di quanto si potrebbe ridurre attraverso un recupero di efficienza dei fondi strutturali? Abbiamo sempre parlato di calcolo sugli sconti in sede europea, ma sappiamo benissimo che c'è una parte italiana che può migliorare questo carico del conferimento netto, che dipende da un coordinamento stretto fra Governo, regioni e quant'altro. Insomma, conosciamo bene tutta la questione. Sarebbe opportuno avere questo calcolo, come indicazione alle Camere, in modo tale da valutare quanto riguarda sia la discussione europea sia quello che possiamo fare per ciò che concerne la riduzione.
Come seconda valutazione, credo che dobbiamo anticipare il voto del Parlamento europeo con un secco parere contrario rispetto a questa proposta di mediazione, perché parto dal presupposto che l'Italia abbia tutto l'interesse a un'integrazione europea. Più si integra l'Europa, più noi abbiamo un interesse. Questa è la proposta di coloro che, in questi ultimi anni, sono stati ostili all'Italia, non hanno riconosciuto il contributo che abbiamo dato e hanno dimostrato una politica egoistica rispetto all'Europa.
La vicenda concernente il programma Erasmus mi tocca particolarmente, signor ministro. Infatti, a ideare l'Erasmus è stato un mio concittadino friulano, mio caro amico, Domenico Lenarduzzi, poliomielitico


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dalla nascita, figlio di un minatore e presidente del Fogolâr Furlan del Belgio. Fu lui a inventare l'Erasmus quando era direttore della Direzione generale istruzione e cultura dell'Unione europea. Non so ora, ma eravamo arrivati a 700 università che usufruivano dell'Erasmus. Poi, siamo passati a Erasmus Mundus. Questo progetto è un forte segnale per l'integrazione dei giovani e delle nuove generazioni. Ora, pensare che si metta in discussione un progetto del genere, di fronte alla necessità del taglio del quadro finanziario, vuol dire che la politica europea e dei governi europei ha perso il senso del messaggio che dobbiamo dare alle nostre popolazioni per il futuro. Abbiamo, quindi, la negazione dell'idea di creare il cittadino europeo.
Credo che, di fronte a questi fatti, il Governo italiano debba assumere una posizione molto dura che è la seguente: saremmo anche straccioni, avremmo anche qualche pezza nei pantaloni, ma abbiamo dignità, una storia e, soprattutto, la forte volontà di costruire questa Europa. Coloro che mettono in atto determinate mediazioni egoistiche e vorrebbero darci lezioni vogliono far apparire noi come quelli che non sono in sintonia con l'Europa. Invece noi abbiamo un'idea forte dell'Europa, diversa da quella che in questo momento viene espressa attraverso questa posizione di mediazione.

LAMBERTO DINI, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica. Ringrazio il Ministro Moavero Milanesi per la presentazione brillante che ha fatto sullo status del negoziato. Tuttavia, per quanto riguarda il Governo italiano, riprendendo anche quanto detto ora dal senatore Pianetta, le chiedo se c'è una linea rossa su uno o l'altro di questi punti che lei ha sollevato, cioè: ulteriori tagli al totale, la nostra situazione di contribuente netto troppo elevata, la riconsiderazione degli sconti, l'Erasmus e quant'altro.
Insomma, l'Italia ha una linea rossa oppure vogliamo soltanto mediare, cercando di trovare una compensazione tra un fattore e un altro?

PRESIDENTE. Do ora la parola al Ministro Moavero Milanesi per la replica.

ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Grazie, anche per l'animus europeo che promana dalla nostra audizione. Giusto per riprendere una battuta che ha appena fatto il presidente Dini, l'obiettivo era soprattutto di darvi la massima trasparenza sugli elementi in gioco, sulla linea e sulle questioni, che cerco di completare nella risposta.
Intervengo, innanzitutto, su due o tre punti specifici per un chiarimento ulteriore.
La riduzione proposta nel mese di novembre - quindi quegli 80 miliardi di euro evocati dal Presidente Van Rompuy - era di tipo lineare, anche se un po' asimmetrico poiché, per esempio, era stato detto con chiarezza che si volevano preservare i fondi relativi al programma Erasmus e ad altre iniziative specifiche. Comunque, impattava linearmente sulle politiche pro quota, quindi politiche come quella agricola o di coesione venivano toccate in quanto sono le più capienti e da sole occupano oltre i due terzi dell'intero bilancio. Invece, queste nuove riduzioni sono più focalizzate, quindi non toccherebbero più la politica agricola e quella di coesione, ma altri capitoli di spesa, per esempio - come dicevo prima - le spese di funzionamento e la politica delle grandi reti.
All'interno della politica delle grandi reti, che oggi è stata ribattezzata Connecting Europe, si tocca meno o addirittura molto poco la quota relativa ai trasporti. Con questo rispondo, in particolare, a una preoccupazione. Peraltro, consideriamo questo un mosaico di piccoli successi, che non è detto che faccia il successo finale. Comunque, lo consideriamo - ripeto - una tesserina del mosaico, un punto che abbiamo molto fermamente posto fin dall'inizio, in questo caso in piena sinergia proprio con i francesi, pensando in particolare all'esempio che faceva l'onorevole Cambursano.
È chiaro, quindi, che, nell'ambito delle grandi reti, la componente trasporti nel


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cosiddetto CEF (Connecting Europe Facility) sarebbe toccata il meno possibile, così come non sarebbe toccata, secondo le anticipazioni che abbiamo ricevuto nei lavori preparatori, la componente ricerca e sviluppo. Non dimentichiamo, però, che queste rubriche specifiche di bilancio, all'evidenza vocate a favorire gli investimenti e la crescita, sono minoritarie rispetto a un bilancio che al 50 per cento è impegnato dalla politica agricola e per un altro 25 per cento dalla politica di coesione. Stiamo parlando di capitoli di spesa che fanno parte del rimanente quarto del bilancio dell'Unione, insieme ad altri capitoli, come la politica esterna e quant'altro ancora l'Unione europea è abituata a finanziare.
Questo porta a un'altra considerazione che dobbiamo avere presente, sempre nel quadro della dinamica che caratterizza questo tipo di discussione, quando se ne parla a livello europeo. Da un lato, infatti, è molto frequente che si sentano discorsi a favore delle politiche di investimento, per la ricerca, per le grandi reti e quant'altro, mentre, dall'altro, le varie delegazioni nazionali misurano i loro ritorni e sono poi misurate nel loro successo o insuccesso molto su due fattori. Il primo è quanto si versa, quindi il differenziale tra ciò che si versa e ciò che si riceve; il secondo è quanto si riceve soprattutto su quelle politiche che sono attribuite agli Stati, ovvero politica agricola e politica di coesione.
Se prendiamo l'esempio della politica della ricerca, questa non è attribuita a priori a degli Stati pro quota, ma è distribuita a seguito di bandi di gara gestiti dall'Unione europea. Per essere molto franchi e trasparenti fra noi, su questo abbiamo un altro tradizionale elemento di debolezza della nostra posizione come Paese: c'è sempre stata, infatti, una scarsa capacità, per i nostri sistemi - imprese, centri di ricerca e quant'altro - di attingere sufficientemente alla rubrica dei fondi europei della ricerca. Un calcolo molto grezzo ci porterebbe a dire che, là dove il nostro contributo medio al finanziamento delle politiche europee può essere quantificato intorno al 12-13 per cento, sulla ricerca raccogliamo intorno al 6-6,5. Purtroppo, questo è un dato non solo negativo, ma storico, che ci portiamo dietro da numerosi anni. C'è stato un grande sforzo, anche del nostro stesso Governo: continueremo sicuramente su questa strada. Peraltro, ne ho parlato molte volte anche ai soggetti più direttamente interessati. Tuttavia, questa è la situazione. Dobbiamo, pertanto, sapere che per ogni euro che mettiamo nella ricerca riceviamo più o meno 50 centesimi. Ovviamente, questa è una semplificazione, probabilmente molto eccessiva, ma serve per dare un'idea.
Passo, ora, agli elementi fondamentali sollevati dalle domande, cioè la situazione del negoziato, la nostra linea rossa, le posizioni che si delineano e su che cosa possiamo verosimilmente confrontarci nella giornata e probabilmente nella nottata di giovedì 7 febbraio.
Per fortuna, questa volta si comincia alle 15 e non alle 19, come si era presa la tendenza. Quindi, incominciando alle 15, si riceverà la proposta del Presidente Van Rompuy; poi, verrà dato tempo alle delegazioni per studiarla; dopodiché, inizierà la discussione al tavolo che riunisce, unicamente - senza assistenza - i Capi di Stato e di Governo, che sono soli, l'uno di fronte agli altri. Insomma, è prevedibile una lunga notte di giovedì.
L'Europa presenta, sostanzialmente, tre gruppi di posizioni asimmetrici, come ordine di grandezza.
Il primo gruppo riunisce i contribuenti netti che chiedono esplicitamente riduzioni; tra questi c'è chi ne chiede di molto profonde, in particolare il Regno Unito, e chi ne chiede di più leggere. All'estremo opposto potremmo collocare la Germania e in mezzo l'Olanda, la Svezia e la Finlandia. Questi sono i Paesi che chiedono con maggior vigore le riduzioni. Anche la Danimarca, parallelamente, chiede di avere, a sua volta, un meccanismo correttivo, che non aveva. Il primo dato da tenere presente è che quegli stessi Paesi che chiedono la riduzione dell'ammontare complessivo del bilancio beneficiano del


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sistema di correzione - o sconti che dir si voglia - sul loro dare e avere rispetto al bilancio stesso.
Questo, da un lato, appare per ciò che è, quindi una sorta di doppia esigenza messa sul tavolo, dall'altro, per essere onesti, ha una sua coerenza. Infatti, questi sono i Paesi che hanno il maggior disavanzo nel dare e avere, per cui, di conseguenza, chiedono il correttivo per ridurre questo disavanzo. Si potrebbe, ovviamente, porre un interrogativo sotto il profilo della concezione di questa Europa solidale che, in teoria, vorrebbe che chi ha di più dia proporzionalmente di più. Il «proporzionalmente di più», nell'ambito dell'Unione europea, riceve tradizionalmente, dal 1984, questa correzione che viene volgarmente chiamata «sconto». Si è iniziato con gli inglesi e poi si è continuato.
La prima posizione è, quindi, quella di coloro che chiedono i tagli, ovvero la maggior parte dei contribuenti netti. A un estremo possiamo collocare la Gran Bretagna, all'altro la Germania.
La seconda posizione è quella dei beneficiari netti del bilancio, cioè la situazione beata in cui eravamo anche noi fino al 2001. Comunque vada il bilancio, che sia grande o piccolo, il beneficiario, per definizione, ne ha, appunto, un beneficio. I beneficiari potrebbero puntare ad avere maggiori benefici, di conseguenza ambire a un bilancio più grande, in maniera da rendere più ampio il beneficio proporzionale. In realtà, per come si è dipanata la discussione nel corso oramai di buoni 10 mesi, i beneficiari hanno l'aria di essere non dico contenti, ma, comunque, «di starci» quale che sia l'ammontare complessivo del bilancio, purché mantengano il loro saldo attivo. I beneficiari, che teoricamente potrebbero essere una forza trainante per un bilancio più ambizioso ed europeista, nella direzione di quanto abbiamo appena sentito nelle vostre domande, in realtà sono su una posizione che cerca di arrivare a una conclusione, visto che, comunque, hanno la garanzia di avere un beneficio dal bilancio. In questo gruppo troviamo Paesi come la Polonia - non sono, quindi, Paesi del tutto irrilevanti - via via fino ai Paesi più classici a cui possiamo pensare come beneficiari di un bilancio europeo.
Abbiamo, poi, un piccolo gruppo intermedio. Ci sono, per esempio, Belgio e Lussemburgo, che sono dei contribuenti netti; hanno dei meccanismi specifici di correzione molto limitati; ricevono un indiretto beneficio dall'essere sede delle istituzioni europee, che rappresentano, comunque, un indotto che li agevola; in generale, quindi, hanno un'attitudine costruttiva di intermediazione, per cui difficilmente assumono una posizione contraria.
Vi è, infine, la posizione della Spagna, della Francia e dell'Italia.
Nell'ordine, la posizione spagnola è quella di un Paese beneficiario netto, che, però, vede oramai assottigliarsi, grazie alla prosperità che nel frattempo ha raggiunto, il suo margine di beneficio, quindi comincia a ragionare nella prospettiva del contribuente netto. Pertanto, è sensibile alle conseguenze dei tagli perché, comunque, riceve un beneficio importante dalla politica di coesione e dalla politica agricola in particolare, e anche all'assottigliarsi del suo saldo netto per ora attivo, per cui vede molto negativamente i meccanismi di sconto e di correttivo.
La Francia è in una posizione analoga alla nostra. Abbiamo valori diversi, ma, sostanzialmente, la tendenza e il contesto sono analoghi. La Francia ha una prosperità maggiore; un reddito nazionale maggiore; riceve in proporzione più di noi, sulla politica agricola, ma meno sulla politica di coesione; è probabilmente più brava di noi; ha dati che possiamo valutare non in modo preciso nell'attingere alle politiche delle grandi reti e alle politiche della ricerca; essenzialmente, però, ha il nostro stesso problema sul saldo dare/avere e sulla questione degli sconti.
Da qui, rispondo alla domanda sulle alleanze. In una geometria di questo tipo, dopo aver più volte - e non da soli - cercato di comprendere e di sollecitare verso un'attitudine più propositiva e combattiva i beneficiari netti, ci troviamo a


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dialogare su un terreno di visione comune con la Francia e con la Spagna. Infatti, con il Presidente del Consiglio, siamo stati a Parigi domenica scorsa e avremo ulteriori contatti in questi giorni con i due Paesi. Questa è la situazione delle posizioni.
Il Parlamento europeo, come abbiamo visto, si è pronunciato pubblicamente in maniera molto critica su questa riduzione di bilancio. Non ha, però, negato l'idea che ci possano essere dei tagli poiché ha parlato, invero, di tagli contenuti. Riguardo a come poi il Parlamento europeo avrà modo di esprimersi in termini istituzionali, sappiamo che ha un potere sostanzialmente di blocco e di ritocco marginale, ma non ha un vero potere di riforma più radicale dell'accordo preso dal Consiglio europeo.
Siamo a un anno dalle elezioni europee. Quindi i parlamentari europei potrebbero avere dei contatti anche con i rispettivi Governi e partiti di appartenenza. Esiste, insomma, una dinamica nel Parlamento europeo che nell'annuncio è di forte criticità, ma, poi, va vista nella realtà del voto. Peraltro, si parla molto della possibilità che nel Parlamento europeo alcuni gruppi, quindi un numero sufficiente di parlamentari, domandi il voto segreto, il che, come in ogni Parlamento, può cambiare notevolmente le dinamiche.
Noi condividiamo la posizione del Parlamento europeo. Anche il Presidente francese Françcois Hollande è stato ieri a Strasburgo, dove ha fatto un discorso di notevole sintonia con il Parlamento. Il problema è che i momenti si svolgeranno in differita.
Vero è che il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz avrà l'opportunità di dare un messaggio - speriamo il più chiaro possibile - al Consiglio europeo all'inizio dei lavori, che si apriranno proprio con un intervento del Presidente del Parlamento europeo, il quale, poi, lascerà la sala perché vi rimangano solo i Capi di Stato e di Governo, il Presidente della Commissione e il Presidente del Consiglio europeo.
Alla luce di questo, la dinamica che si può presentare è che si cerchi - sono gli appelli delle ultime ore; anche pochi minuti prima che venissi qui ho visto le dichiarazioni del Presidente Van Rompuy, del Presidente Barroso e di altri - di trovare un compromesso, con grande buona volontà europea.
Trovare un compromesso, oggi come oggi, significa fare dei tagli non eccessivi lungo le linee che vi ho esposto prima e rivedere il meccanismo delle correzioni, ma non troppo, altrimenti si riaccentuano i disequilibri. Occorre, comunque, l'unanimità, da qui l'espressione che viene sovente usata della possibilità di veto individuale che può avere un Paese.
Prima di arrivare alla conclusione, vediamo - come chiedeva il presidente Dini - qual è la nostra linea rossa. Ho cercato di esporla in precedenza, ma ne ripeto i termini fondamentali.
Innanzitutto, tenuto conto anche della linea di indirizzo quantomeno verbale che emerge dalla nostra audizione di stamattina, trasmetterò al Presidente del Consiglio il sentimento delle Commissioni riunite, quindi la forte criticità rispetto a un bilancio all'insegna del contenimento piuttosto che dell'espansione. Questo, quindi, già rappresenta, per noi, una linea importantissima, che va coniugata con la posizione del Parlamento europeo e il tavolo generale.
Inoltre, non accetteremo mai - questa è una linea non rossa, ma rossissima - un peggioramento del nostro saldo netto negativo. Viceversa, vogliamo un miglioramento del nostro saldo netto negativo. Non stiamo facendo un'affermazione astratta di principio. Come ho detto prima, la nostra prosperità è, purtroppo, scesa, per cui la conseguenza è che dobbiamo migliorare il saldo netto negativo, cioè dobbiamo versare meno, in particolare se, alla luce dei vari tagli, riceviamo meno.
Una terza importante linea rossa è che alcune politiche di spesa non possono essere ridimensionate oltre un certo limite. Come ha affermato prima il Ministro Catania, dico, in termini più crudi, che si può criticare quanto si vuole l'idea che la


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politica agricola comune metta l'agricoltura in una situazione fuori dal mercato e quant'altro. A parte che tutta la riforma va nel senso di accentuare qualità, produttività, mercato e così via, sta di fatto che i settori agricoli in Europa, dai Trattati del 1957 in avanti, sono vissuti intorno alla politica agricola. Non possiamo accettare, dunque, una riduzione della politica agricola oltre un limite minimo ragionevole. Stesso discorso vale per la politica di coesione e per le politiche simbolo che sono state riprese nella nostra discussione di oggi, come l'Erasmus, che, però, non vediamo più in pericolo, ma anche i trasporti nel cosiddetto Connecting Europe.
Certamente, politiche come l'Erasmus non solo non meritano di essere in pericolo, ma dovrebbero essere rese più ampie. Ho visto, per esempio, con i miei figli che con l'Erasmus si costruisce quel cittadino europeo che poi diventa la base dell'Europa. Non per parafrasare Cavour, ma se si vuol fare l'Europa, bisogna fare gli europei ed Erasmus è proprio uno dei veicoli fondamentali che permette questo.
Il Ministro Catania ha ricordato il fondo per gli indigenti. Per parte mia, ricordavo la nostra battaglia su un fondo per la disoccupazione giovanile. Ecco, tutti questi rappresentano degli elementi della linea rossa.
Per arrivare al punto nodale e conclusivo, questa linea rossa potrà essere più flessibile proprio sulla questione cruciale che, a un certo punto, planerà sul tavolo dei Capi di Stato e di Governo, che consiste nel cercare di concludere con il comune denominatore che si starà delineando in quel momento, oppure no. A quel punto, ciascuno dovrà prendersi le proprie responsabilità.
Se guardiamo la tendenza dei tavoli preparatori, incluso quello dei ministri europei al tavolo del Consiglio affari generali, la previsione ad oggi è che saranno soprattutto Paesi come la Francia, la Spagna e l'Italia a dover, a un certo punto, decidere che cosa fare. Vi ho detto dei beneficiari e dei contribuenti. Spostiamo, però, il paradigma del problema.
Devo dire che a me spiace che i beneficiari netti siano pronti ad accogliere anche delle riduzioni del bilancio. Infatti, se si delineasse una chiara maggioranza numerica, con il voto di ogni persona presente al tavolo, senza considerare il peso specifico di ciascuno, a favore di un bilancio più ambizioso, questo metterebbe gli Stati che chiedono i tagli nella posizione di dire no e, di conseguenza, nella difficile posizione di chi farebbe saltare questa tornata di negoziato.
In ogni modo, la nostra posizione è pienamente cosciente del fatto che, intorno a questo tavolo, il Presidente del Consiglio italiano dovrà porsi seriamente la domanda, ad un certo punto, se dover dire di no. Il quesito è se dovrà porsi questa domanda anche qualora, malgrado la vicinanza di idee e di situazioni, anche la Francia e la Spagna siano accondiscendenti verso un compromesso. Questo - ripeto - è il quesito.
Se sento quanto si è detto, devo rispondere che il Presidente del Consiglio dovrà dire di no anche da solo, qualora si trovasse di fronte a una situazione contraddittoria con gli obiettivi della nostra visione europea e con le linee rosse che ho enumerato. Certamente, se le linee rosse fossero superate con una situazione di saldo netto negativo, che per il gioco combinato dei meccanismi si dovesse aggravare o restare inalterato all'attuale, diremmo di no.
Di fronte a un miglioramento del saldo netto negativo, il problema ce lo dovremmo porre. Comunque, ci sarà modo di tenere conto di tutto quanto è emerso.

PRESIDENTE. Non scopra troppo le carte.

ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Non scopro troppo le carte. Tuttavia, il problema esiste. In realtà, scopro le carte solo in parte, perché credo che il dialogo che abbiamo avuto nel corso di questi mesi sia stato - non sta a me giudicare se buono o cattivo; questo lo dovete giudicare voi - molto importante, per parte mia.


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Il fatto di venire a spiegare, come Governo, di fronte al Parlamento, che cosa si intendeva fare nelle varie occasioni europee importanti credo che sia un dovere per il Governo, in particolare per un Governo come il nostro che trovava nel Parlamento la sua legittimazione, ma anche in una situazione di un normale Governo di maggioranza politica.
L'ultimissima questione che vorrei toccare è che, nel valutare le conseguenze di un eventuale nulla di fatto dell'appuntamento del Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimo a Bruxelles, dobbiamo tenere conto di un elemento che è presente, per esempio, nelle preoccupazioni francesi e di molti altri Paesi ed è l'impatto che potrebbe avere, al di là dell'esercizio di bilancio, una non decisione in sede europea su una questione peraltro molto visibile come quella del bilancio, cioè l'impatto più ampio che potrebbe derivare da un'Europa che, di nuovo, non fosse in grado di decidere.
Questo sarà un altro elemento che deve inevitabilmente gravare sulla responsabilità di ciascuna delle persone che sarà seduta intorno al tavolo.
Qualora non ci fosse una decisione, tecnicamente che cosa succede? Evidentemente, se ne deve parlare un'altra volta. Difficilmente se ne parlerebbe al Consiglio europeo del prossimo marzo, ma più probabilmente la questione slitterebbe più avanti, quantomeno al Consiglio di giugno. È possibile, a quel punto, che, qualora vi fosse una decisione, non ci siano i tempi tecnici legislativi per tutti i regolamenti che devono venire a valle della decisione di principio del Consiglio europeo e che, quindi, si entri nel cosiddetto regime della gestione provvisoria del bilancio, che, in sede europea, prevede come riferimento il bilancio dell'ultimo anno precedente, ovvero il 2013, che diventerebbe, a quel punto, un tetto. Dopodiché, si deciderebbe a maggioranza - nell'ambito di una procedura annuale - la divisione.
Quindi, laddove non vi sia l'unanimità, con il conseguente cosiddetto veto nella discussione generale del bilancio pluriennale, se si andasse all'esercizio provvisorio, si deciderebbe poi a maggioranza, avendo come riferimento l'ultimo anno precedente. Ovviamente, l'esercizio provvisorio non a caso si chiama in questo modo. Infatti, si suppone che, a un certo punto, intervenga una decisione sul periodo pluriennale. Questo è il quadro.
Anche questo, comunque, è un elemento da considerare perché, supponendo che questi siano i parametri di maggioranza e minoranza tra gli Stati intorno al tavolo, in una decisione che sarebbe poi assunta a maggioranza, noi sappiamo dove ci potremmo eventualmente trovare.
Credo, con questo, di avere risposto alle vostre domande. Spero soprattutto - ci tengo molto - di avere dato la massima trasparenza sull'attuale situazione.

PRESIDENTE. Nel ringraziare il Ministro Moavero Milanesi e il Ministro Catania per il loro contributo, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,25.

VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici)

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