Sulla pubblicità dei lavori:
Stefani Stefano, Presidente ... 2
Comunicazioni del Governo sulla politica estera italiana nel Mediterraneo e nel Medio Oriente:
Stefani Stefano, Presidente ... 2 6 10
Dini Lamberto, Presidente ... 22 28
Boniver Margherita (PdL) ... 8
Colombo Furio (PD) ... 8 20 25
Evangelisti Fabio (IdV) ... 10
Farina Renato (PdL) ... 17
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri ... 2 22 25
Livi Bacci Massimo (PD) ... 19
Maran Alessandro (PD) ... 6
Marcenaro Pietro (PD) ... 9
Mecacci Matteo (PD) ... 18 25
Motta Carmen (PD) ... 16
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 13
Perduca Marco (PD) ... 10 11
Pianetta Enrico (PdL) ... 21
Tempestini Francesco (PD) ... 10 15
Vernetti Gianni (PD) ... 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: (Misto-RRP).
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 15,05.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca comunicazioni del Governo sulla politica estera italiana nel Mediterraneo e nel Medio Oriente.
Ringrazio il Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, per la sua disponibilità a rendere comunicazioni sul tema in oggetto. Do inoltre il benvenuto ai colleghi delle Commissioni esteri di Camera e Senato che intervengono numerosi alla seduta odierna.
Prego il Ministro di svolgere il suo intervento, invitando i colleghi che poi intendessero prendere la parola ad iscriversi.
FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Presidente Stefani, presidente Dini, colleghi, l'occasione odierna mi permette in primo luogo di fare il punto di un anno di governo in cui abbiamo voluto - il Presidente del Consiglio ed io - rilanciare fin dal primo momento l'impegno della politica estera italiana verso i Paesi della sponda sud del Mediterraneo, del Medio Oriente e del Golfo.
Noi riteniamo che questa sia un'area non solo tradizionalmente prioritaria per l'Italia, ma anche un'area che ci offre nuove opportunità e presenta per tutti, non solo per l'Italia, nuove sfide strategiche per consolidare ulteriormente la proiezione politica ed economica del nostro Paese e contribuire ad una riflessione strategica sulla sicurezza della regione mediterranea del Medio Oriente.
I nostri due grandi obiettivi quadro sono, in primo luogo, quello di contribuire alla soluzione pacifica delle crisi e, al tempo stesso, lavorare per la stabilizzazione regionale; in secondo luogo, quello di rafforzare le intese e le relazioni bilaterali che l'Italia aveva già stabilito, ma che in questi dodici mesi sono state in alcuni casi rilanciate, in altri potenziate.
Possiamo dire oggi che siamo consapevoli del peso politico dell'Italia, che è ritenuta in Europa probabilmente il Paese che ha le migliori relazioni con lo Stato di Israele, ma al tempo stesso un Paese amico del mondo islamico moderato, che ha avuto recenti riconoscimenti da attori quali l'Egitto, la Giordania, la Turchia, i Paesi del Golfo e, da ultimo, i due Paesi del Maghreb, Tunisia e Marocco (è recente il mio viaggio in questi due Paesi). Su tutti questi Paesi rapidamente riferirò.
Per il Medio Oriente più volte ci siamo incontrati. Con il Parlamento il rapporto è e sarà continuo. Posso dirvi soltanto che nei colloqui, molto frequenti, che ho avuto in questi ultimi mesi con tutti gli attori mediorientali (Turchia, Siria, Libano, Egitto, Libia, Tunisia e Marocco) ho riscontrato
un profondo affidamento nel ruolo dell'Italia, sapendo gli uni e gli altri che l'Italia è al tempo stesso vicina a Israele e in condizioni di parlare con straordinaria sintonia di intenti e amicizia con gli Stati Uniti d'America.
Nelle ultime due settimane ho avuto occasioni di incontro sia a Washington, sia in Europa, durante il vertice Europa-Stati Uniti, con tutti i colleghi che negli Stati Uniti si occupano e si interessano al Medio Oriente, a partire da Hillary Clinton, Richard Holbrooke e il senatore Mitchell che, insieme al Consigliere per la sicurezza nazionale, hanno condiviso le linee guida della politica estera italiana su questa materia, ivi compresa la posizione più volte ribadita nei confronti della crisi e del processo di pace israelo-palestinese.
Su quest'ultimo, noi abbiamo confermato - in piena sintonia con i partner europei e con l'amministrazione del Presidente Obama - da un lato la non negoziabilità della sicurezza di Israele e del diritto di Israele a esistere come Stato ebraico. È un punto fermo che abbiamo ribadito senza ambiguità in occasione della Conferenza «Durban II», ma di questo abbiamo parlato specificamente proprio in quest'aula. Dall'altro, abbiamo ribadito - l'ho fatto nei miei incontri con gli Stati Uniti, con il Ministro degli esteri israeliano e con tutti gli interlocutori arabi - il sostegno di Roma a una soluzione della crisi israelo-palestinese basata su risultati concreti che vedano i due Stati autonomi e indipendenti vivere l'uno accanto all'altro.
Su questo abbiamo registrato la richiesta di Israele di definire - sarà fatto a brevissimo - la loro posizione strategica con un policy paper che il Primo ministro Netanyahu sta predisponendo. Abbiamo visto che dall'esito dei colloqui di Washington esce la convinzione chiara, da parte dello Stato di Israele, della necessità di rilanciare un processo di pace. Ebbene, io credo che debba uscire anche una univoca affermazione sulla necessità che uno Stato palestinese libero e indipendente si costituisca.
È evidente che questo impone agli Stati Uniti d'America di assumere una posizione proattiva nel negoziato, che si affianchi a quella dell'Unione europea e della Russia con il cosiddetto «Quartetto», che si dovrà riunire - spero - tra breve a livello ministeriale.
Al tempo stesso, l'Italia ha più volte ribadito il suo sostegno all'Autorità nazionale palestinese. Lo abbiamo fatto incontrando in molte occasioni il Presidente Abu Mazen in questi ultimi dodici mesi, partecipando alla Conferenza su Gaza a Sharm el-Sheik, con un consistente impegno anche economico per sostenere la riforma istituzionale e lo sviluppo economico e sociale. Abbiamo rilanciato il cosiddetto Piano Marshall, che vede un consenso crescente anche se una difficoltà pratica, date le condizioni di insicurezza ancora presenti sul terreno.
Dopo l'esplosione della crisi di Gaza, l'Italia è stata tra i primi attori a livello mondiale nell'intervento d'urgenza e di aiuto. Oltre a una mobilitazione bilaterale su cui pochi altri Paesi hanno fatto più dell'Italia, come ci viene pubblicamente riconosciuto dall'Autorità nazionale palestinese, abbiamo mobilitato il G8 a livello di coordinatori degli aiuti riunendo in ciascuno dei Paesi G8 un coordinamento più forte nei tre settori chiave: medico, farmaceutico e alimentare.
L'Autorità nazionale palestinese ha dunque potuto pubblicamente dare atto all'Italia di questo ruolo e continuiamo a coltivare questo rapporto privilegiato con il nuovo Governo palestinese del Primo ministro Fayyad, che accompagnerà l'Autorità nazionale alle elezioni del gennaio 2010.
Constatiamo con grande preoccupazione lo stallo nei negoziati per la riconciliazione interpalestinese. Questo è dovuto purtroppo al persistente rifiuto di Hamas di confluire in una soluzione che riconosca i princìpi del Quartetto ovvero l'acquis ormai consolidato, che tra le condizioni di base include l'esistenza e la sicurezza di Israele.
Nonostante gli sforzi egiziani che sosteniamo con forza, come abbiamo ribadito
al Presidente Mubarak la settimana scorsa in Egitto, purtroppo il risultato ancora non arriva. Ritengo però necessario compiere un passo avanti per una stabilizzazione regionale più ampia, che vada oltre la questione israelo-palestinese, un approccio regionale mediorientale, che vede nell'Egitto, nella Siria e nel Libano alcuni tasselli fondamentali. L'Egitto ci considera i suoi migliori amici in Europa, il primo partner commerciale dopo gli accordi siglati la settimana scorsa a Sharm el-Sheikh.
In Siria, nelle scorse settimane ho incontrato il Presidente Assad, proponendo l'apprezzato ruolo dell'Italia nel favorire la finalizzazione dell'accordo Siria-Unione europea, che darebbe alla Siria un mezzo per avvicinarsi maggiormente all'Europa e distaccarsi da posizioni più problematiche, chiedendo in cambio una disponibilità, che la Siria ha dato, a riprendere il negoziato con Israele sulla demarcazione dei confini e sulle alture del Golan.
In Libano, che ho recentemente visitato, siamo il primo attore per la stabilizzazione del sud del Paese. Il comando del generale Graziano è non solo universalmente apprezzato, ma ci permette di avere un ruolo politico importante, che il Libano ci chiede di mantenere. Il Presidente Suleiman e il Primo ministro Siniora ci considerano un interlocutore primario anche in vista della scadenza elettorale tra poche settimane. In Libano lavoriamo per due obiettivi immediati, il primo dei quali, di cui dobbiamo dare atto innanzitutto allo Stato di Israele, è stato raggiunto - lo diciamo con orgoglio - grazie alla pazienza e alla perseveranza del generale Graziano, dei suoi collaboratori e della diplomazia italiana.
Mi riferisco alla consegna da parte di Israele delle mappe di localizzazione delle bombe a grappolo che sono cadute nel 2006, e che sono ancora inesplose. Tali mappe consentiranno un'attività di sminamento che è fondamentale. Si tratta di un risultato che, fino ad un anno fa, sembrava assolutamente irrealizzabile.
Il secondo risultato sul quale stiamo lavorando con buone prospettive è il ritiro israeliano dal villaggio di Gajar. Essendo tutti addetti ai lavori, sapete di che cosa parliamo: un piccolo villaggio molto simbolico che Israele potrebbe in tempi rapidi annunciare di voler abbandonare, come segno di un contributo alla pacificazione di quell'area.
Si tratta di un lavoro su cui ancora una volta vi è un dialogo trilaterale, tra il Libano, Israele, UNIFIL e il generale Graziano. Tutto questo noi lo stiamo facendo in raccordo stretto con gli egiziani - consideriamo l'Egitto il Paese chiave in quell'area - e allo stesso modo lavoriamo a nord con la Turchia, della quale siamo uno dei principali sostenitori, se non il principale, nel processo negoziale verso l'Europa.
La Turchia è grata all'Italia per questo e di conseguenza evidentemente siamo coinvolti nelle iniziative meritorie che questo Paese ha svolto in passato e che ha dichiarato di voler svolgere ancora, ad esempio, nel facilitare il negoziato tra Israele e la Siria.
Dell'Egitto ho già detto. Il vertice intergovernativo del 12 maggio ha segnato un passo in avanti con la sigla di ben 14 accordi bilaterali economici e di natura politica in tutti i campi. Quindi, evidentemente questo ci pone con l'Egitto in una condizione di speciale partnership e amicizia.
L'Egitto ha indicato l'Italia, insieme alla Francia, come unici invitati europei ad hoc nel panel organizzatore del vertice dei non allineati, che si terrà in Egitto a luglio. Condivideremo questo onore con gli Stati Uniti d'America e con la Federazione Russa. Pertanto, questo è il segnale ulteriore dell'apprezzamento che l'Egitto e il Presidente Mubarak hanno nei nostri confronti.
Con la Siria abbiamo lavorato e lavoreremo. La Siria ha dimostrato un'apertura coerente con l'apertura realizzata dagli Stati Uniti d'America. Inoltre, i miei colloqui ripetuti con il senatore Mitchell confermano la condivisione di obiettivi tra l'Amministrazione Obama e il Governo Berlusconi sulla modalità di coinvolgimento della Siria in un processo di avvicinamento
all'Occidente, che includa un ruolo positivo e di stabilizzazione anzitutto nei rapporti bilaterali del Libano, e con il Libano, per garantire la stabilità interna di questo Paese, che è assolutamente fondamentale.
Conoscete la situazione in Libano: l'elemento di maggiore preoccupazione è la tendenza di alcune forze politiche a cercare, direttamente o indirettamente, un indebolimento del ruolo del Presidente Suleiman. Dobbiamo reagire a questi tentativi e confermare il pieno consenso e la piena fiducia al ruolo di equilibrio del Presidente libanese. Dunque, attendiamo con evidente interesse il risultato delle elezioni libanesi.
A questo punto, permettetemi di spendere una parola sull'Unione per il Mediterraneo, oggetto di incontri recenti a Tunisi e a Rabat, e sul dossier iraniano. L'Unione per il Mediterraneo versa in una situazione di stallo, lo sapete tutti. Mi è stato chiesto dall'Egitto - co-presidente dell'Unione - di esplorare con gli altri Paesi del Maghreb la possibilità di rilanciare l'Unione per il Mediterraneo su dossier non politici, per far ripartire almeno qualcosa che non sia solo una discussione sugli assetti organizzativi del segretariato. Dunque, ho portato avanti quanto mi è stato chiesto e a seguito dei miei colloqui in Tunisia, anche con il Presidente Ben Ali, e in Marocco, con il Primo ministro del Paese e con gli altri interlocutori che ho incontrato a Rabat, è emerso il consenso sull'iniziativa italiana di un Forum economico euromediterraneo. Ebbene, questo evento si terrà a Milano nella terza settimana di luglio e
vedrà la presenza politica dei Paesi mediterranei del sud.
Trattandosi di un vertice economico e informale, esso sarà lo strumento per rilanciare l'Unione nell'ambito di una tematica che è sicuramente di interesse condiviso, quale il volet economico e l'attrazione degli investimenti dalla riva sud alla riva nord.
In questo anno, abbiamo esercitato un ruolo chiave nei rapporti con la Libia e di ciò sapete tutto, dal momento che più volte ne abbiamo parlato in Parlamento. Stiamo definendo le modalità operative della visita del leader libico, Gheddafi, a Roma a partire dal 10 giugno. Sarà una visita strutturata sui temi della politica e della collaborazione economica; si tratta di una visita che noi riteniamo storica, dato che è la prima occasione di incontro con il leader libico in Italia. Certamente, questo è stato considerato dai Paesi arabi mediterranei e dall'Unione africana come il primo segnale concreto, offerto, per altro, a un Paese che presiede l'Unione africana in quanto eletto dalle altre nazioni africane.
Infine, abbiamo in cantiere l'organizzazione di un vertice bilaterale Italia-Algeria. Anche l'Algeria sarà, quindi, strettamente coinvolta. Svolgeremo questo vertice intergovernativo nella seconda metà dell'anno e posso dire che, in questi dodici mesi, l'Italia ha stretto rapporti intensi, personali e certamente di natura politica con tutti i Paesi dell'Africa settentrionale (Maghreb-Mashrek).
Da ultimo, vorrei trattare del dossier sull'Iran. È un dossier che tocca molte questioni, innanzitutto il tema della proliferazione nucleare, materia su cui la comunità internazionale deve oggi più che mai essere unita sulla strada tracciata con l'Europa dal Presidente Obama: la linea politica di una mano tesa e di un'offerta di dialogo a cui deve seguire, però, una risposta dell'Iran in termini di disponibilità ad un'azione trasparente di dialogo con la comunità occidentale.
Abbiamo partecipato, quindi, alle iniziative positive dell'amministrazione americana, confermando, nel quadro europeo, la nostra disponibilità alla coerenza con questi obiettivi, che consideriamo obiettivi comuni.
Abbiamo preso atto dell'indicazione della dirigenza iraniana - malgrado la fase elettorale, infatti, credo che tali indicazioni resteranno le medesime, qualunque sia l'esito delle elezioni presidenziali in Iran - di volersi confrontare nel quadro dell'Agenzia dell'ONU per l'energia nucleare. Ciò vuol dire che esiste un dialogo da svolgere all'interno dell'ONU; un dialogo che non si limiti più al formato
«cinque più uno», che oggettivamente, ci piaccia o meno, per quelli che ne fanno parte e per quelli che non ne fanno parte, non ha portato risultati di rilievo negli ultimi due anni.
C'è, inoltre, un dossier su cui l'Iran ha invece dato sostanziali segnali di volontà di impegno. Parlo della stabilizzazione di Afghanistan e Pakistan che oggi, per la politica estera italiana, è la priorità numero uno, una priorità di medio termine.
Condividiamo le parole che John Biden ha pronunciato qualche giorno fa: «Parliamo certamente di Medio Oriente, parliamo di Mediterraneo, parliamo di Balcani, ma se non ci occupiamo subito e oggi di Afghanistan e Pakistan non risolveremo la madre di tutti i problemi per la sicurezza del mondo».
Io condivido queste parole di John Biden e, in questo senso, il G8 a presidenza italiana conta sulla conferenza internazionale di Trieste, che si svolgerà a fine giugno, per il coinvolgimento dell'Iran.
Riteniamo che il vertice trilaterale di Teheran, che ha coinvolto il Presidente iraniano, il Presidente afghano e quello pachistano, dimostri che i tre Paesi chiave per la stabilizzazione di quella regione sono tutti e tre interessati. Noi lo siamo altrettanto e, quindi, credo che dovremo dire con assoluta chiarezza che il dossier nucleare va affrontato nel contesto della comunità internazionale, come l'Europa e l'America decideranno insieme.
Afghanistan e Pakistan vanno affrontati ora, in tutti i quadri multinazionali possibili, a cominciare dall'evento che la presidenza del G8 intende organizzare, ovviamente, per ottenere dei risultati concreti sui temi transfrontalieri, sul traffico della droga, sul modo di occuparsi della questione delle tribù locali e delle organizzazioni estremiste talebane e terroriste legate ad Al Qaeda, sul traffico delle armi, sul transito per la stabilizzazione dei mezzi e delle attrezzature occidentali attraverso quella regione e così via.
Abbiamo invitato a Trieste, come sapete, non solo il G8, ma una gran quantità di attori importanti: Pakistan, Afghanistan ed Iran, ma anche Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Turchia, Turkmenistan, Uzbekistan e, ovviamente, Cina e India.
È chiaro che con questi attori, insieme alla NATO, alle Nazioni Unite, all'Unione europea, il G8 deve arrivare a quello che noi chiameremo un compact Afghanistan-Pakistan, che definisca al suo interno dei benchmark concreti, area per area, per stabilire una road map per ciascuno di questi obiettivi, a partire dalla formazione della polizia e delle forze di sicurezza, per proseguire con il controllo delle frontiere, con la lotta alla droga, con il coinvolgimento delle tribù locali che vivono sulle frontiere.
Su tutti questi grandi temi noi pensiamo che dei benchmark, materia per materia, darebbero quella concretezza di cui soltanto un'ora e mezza fa ho parlato con il Segretario generale della NATO, venuto a Roma per incontrare me e il Presidente del Consiglio.
Su tutti questi argomenti, ovviamente, terrò informato il Parlamento, come sempre ho fatto. Credo che, in questo momento, l'Italia abbia bisogno, su queste grandi tematiche, di una forte convergenza tra le parti politiche in Parlamento, che ci permetta, come presidenza del G8, di essere ancora più forti, contando non solo sulla nostra maggioranza politica, che c'è, ma su un consenso che vada ben oltre la maggioranza.
È un consenso politico di cui noi godiamo all'interno del G8, avendo concordato con i nostri partner l'agenda, con i Paesi arabi, con lo Stato di Israele.
Vorremmo che questo consenso fosse il consenso di tutto il Parlamento italiano.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi deputati e senatori che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, invitandoli, ove possibile, ad essere particolarmente concisi, dal momento che vi sono già numerosi iscritti a parlare e penso che altri se ne aggiungeranno.
ALESSANDRO MARAN. Signor Ministro, poiché trovo molte considerazioni condivisibili e considero apprezzabile l'intento,
al quale vorremmo contribuire, di rilanciare l'iniziativa italiana e il peso politico dell'Italia nell'area, vorrei soffermarmi su un aspetto.
Non serve che io riepiloghi - ma cercherò di farlo rapidamente - i fatti recenti. Alludo alla questione dell'annullamento, all'ultimo, della visita concordata in Iran, che avrebbe dovuto preparare la conferenza di Trieste su Afghanistan e Pakistan prevista per la fine di giugno. L'annullamento, lo ricordo, è avvenuto dopo che la mattina dello stesso giorno il Financial Times aveva pubblicato un editoriale molto duro, dal titolo «L'Italia rompe le fila dell'Unione con la visita a sorpresa in Iran», poiché lei, Ministro, aveva evocato la necessità dell'unità europea. Nell'articolo si affermava che la decisione del nostro Ministro degli esteri aveva suscitato disappunto tra le diplomazie occidentali e, secondo le fonti citate dal giornale, Washington aveva lamentato che la stessa rischiava, a meno di un mese dalle previste elezioni in Iran, di offrire un sostegno elettorale implicito al presidente iraniano.
Svolgo molto rapidamente una serie di considerazioni. La linea dell'amministrazione americana non è priva di una strategia politica; essa appare improntata a grandi aperture e, nello stesso tempo, ad una buona dose di realismo molto concreto. Da un lato, si apre al dialogo - ricordo il messaggio di Obama anche alla società civile iraniana nel mese di marzo - e si coinvolge l'Iran nella soluzione dei conflitti regionali, dall'altro si mantiene una linea molto dura sulle posizioni più intransigenti.
Non si può dire lo stesso della linea politico-diplomatica tenuta dal Governo italiano, che in questa girandola di aperture e chiusure, visite annunciate e poi annullate nell'imminenza del loro svolgimento, sembra prospettare un buon grado di approssimazione, di improvvisazione, con una conseguente perdita di credibilità e di peso politico del nostro Paese nelle relazioni internazionali.
Non occorreva il pretesto del cambio di città richiesto da Ahmadinejad per cogliere l'inopportunità di una visita ufficiale ad altissimo livello a meno di un mese dalle elezioni iraniane, con i conseguenti rischi di strumentalizzazione da parte dell'attuale Presidente iraniano per fini elettorali interni.
In questo senso, la svolta annunciata a fine febbraio dal Governo Berlusconi e in parte ritrattata, nonché il rinvio di un incontro ufficiale al 20 maggio, poi nuovamente annullato, pongono l'Italia in una posizione che sembra più il frutto di avvenimenti contingenti, che non il risultato coerente di una chiara strategia politica. Sembrano più i singoli rapporti di forza con l'Amministrazione americana, con esponenti dello Stato di Israele, con singoli Paesi europei a determinare in modo molto estemporaneo la posizione italiana, piuttosto che una chiara e coerente strategia, che tenga nella dovuta considerazione gli interessi geopolitici cui lei ha ampiamente accennato.
Sottolineo in particolare come tenere una linea di apertura e dialogo con l'Iran non equivalga necessariamente a effettuare incontri ai massimi livelli. L'Amministrazione americana sta trattando con proprio personale incontri formali da diversi mesi, mentre è diverso in un dossier complicato come quello iraniano e in un momento complicato come quello attuale l'implicito accreditamento ufficiale di un leader molto controverso come Ahmadinejad.
Siamo da tempo favorevoli al cambio di strategia che il Governo italiano ha provato a operare fino al febbraio scorso, in quanto si trattava di una linea che ci sembrava di aver sostenuto anche in passato. Pur essendo favorevoli a questo cambio di strategia, l'incontro con Ahmadinejad a un mese dalle elezioni iraniane appariva palesemente improvvido, come anche alcuni diplomatici italiani non hanno taciuto. Sin dall'inizio, questo incontro non doveva essere fissato in una data così ravvicinata alle elezioni iraniane e l'improvviso annullamento dell'incontro determina quel continuo oscillare della linea politica italiana con una conseguente perdita di credibilità e dunque di forza nei
rapporti internazionali, mentre invece lei ha accennato all'intento di rilanciare il peso politico dell'Italia.
Colpisce anche il ripetuto isolamento rispetto ai Paesi europei. Ricordo l'audizione che tenemmo in questa sala in relazione all'annunciato boicottaggio di «Durban II», assumendo una posizione autonoma. Il Ministro allora lamentò l'impossibilità di una convergenza con i Paesi membri fino a quel momento, ribadendo comunque che un dialogo con loro sarebbe rimasto aperto settimanalmente. Nella strategia seguita dal Governo italiano, però, non sembra sussistere uno stabile sforzo per concordare le posizioni italiane con gli altri Paesi membri, né uno sforzo concreto per far giungere l'Europa a parlare con una sola voce, l'appello all'unità da lei ora espresso.
Resta da capire che cosa succederà, signor Ministro, nella conferenza di Trieste a margine del G8, anche alla luce delle polemiche conseguenti all'annullamento della visita. Il portavoce del Ministero degli esteri iraniano ha infatti affermato che la delegazione italiana è attesa a Teheran per riorganizzare la visita, mentre, secondo quanto riportato dal Ministero degli affari esteri, per il momento lei si è limitato a dire «vedremo».
Vorremmo quindi sapere come stiano le cose, signor Ministro.
MARGHERITA BONIVER. Mi ero preparata un intervento, ma in realtà ne farò un altro, perché sono rimasta molto sorpresa dall'irrompere in quest'aula della campagna elettorale. Non so quanti voti vi farà non perdere attaccare il Governo sulla politica internazionale.
FURIO COLOMBO. Memoria cortissima, non ricordate come le fate voi le campagne elettorali.
MARGHERITA BONIVER. Francamente, caro collega, sono molto stupita, perché parlare di improvvisazione e di isolamento nei confronti della politica estera dell'Italia in questo momento mi sembra francamente sbagliato.
Ho letto anch'io l'articolo sul Financial Times, che era isolato e non ha avuto eco su altri giornali internazionali. Francamente, dopo i ripetuti errori di valutazione, che molto spesso questi «autorevoli» organi di stampa compiono nei confronti di realtà che conosciamo forse meglio di loro, non mi sento più di definirli autorevoli.
Mi chiedo però come si possa parlare di improvvisazione dal momento che probabilmente fin dai tempi del ministero del Presidente Dini il dialogo con l'Iran ha sempre rappresentato una prerogativa della Farnesina, e in generale dei nostri Governi di qualsiasi colore, ed è sempre stato pienamente concordato con gli Stati Uniti d'America.
Anzi, va detto che la cancellazione su due piedi di questa visita, che era stata programmata su un argomento assolutamente cruciale e prioritario, quale la stabilizzazione di Afghanistan e Pakistan, è stato un ulteriore merito della Farnesina e dell'operato personale del Ministro Frattini. Quest'ultimo, in apertura al suo intervento, ha sottolineato - parlando dell'area del Mediterraneo e del Medio Oriente - quanto sia riconosciuto dal Governo israeliano il ruolo positivo, creativo, di grandissima amicizia e comprensione nei confronti dell'Esecutivo israeliano, che ci permette evidentemente di spaziare là dove forse alcuni altri Paesi non possono farlo, disponendo di adeguate credenziali.
Detto ciò, vorrei passare molto brevemente a un argomento più ampio che riguarda la relazione del Ministro, che mi è sembrata particolarmente apprezzabile. Infatti, non c'è un solo Paese, un solo spunto, una sola questione multilaterale che non ci sia stata spiegata e che non sia stata arata ed esplorata fino in fondo.
Credo che il ruolo che l'Italia si è costruita negli anni in Medio Oriente, nelle relazioni bilaterali, all'interno dell'Unione per il Mediterraneo (che evidentemente è nata un po' troppo pesante e quindi fatica a decollare) sia un ruolo di primissimo piano, estremamente fertile e assolutamente da continuare, sul solco di una
tradizione che - come ha detto il Ministro Frattini in apertura - vuole in ogni occasione far svolgere all'Italia un compito di pace, di stabilizzazione e di rafforzamento economico e culturale dei tanti nostri Paesi amici in quell'area.
PIETRO MARCENARO. Il punto principale sul quale vorrei fermare la mia attenzione in questa discussione è relativo al fatto che mi sembra - questo è almeno il mio giudizio - che non siano state abbastanza sottolineate nell'introduzione del Ministro la serietà e la gravità della situazione in corso.
In particolare, penso al Medio Oriente. Infatti, siamo in una situazione nella quale, dopo il risultato delle elezioni politiche israeliane e la formazione del nuovo Governo, ci troviamo di fronte ad uno scenario nuovo nel quale gli itinerari seguiti fino a questo punto dal negoziato, ovvero i tentativi portati avanti, sono radicalmente messi in discussione.
Non penso che per realizzare la pace si possano aspettare le prossime elezioni politiche, o il prossimo Governo. Al contrario, credo che il negoziato debba essere realizzato con i gruppi dirigenti che oggi hanno la responsabilità dello Stato di Israele. Tuttavia, mi chiedo quali sono le iniziative politiche che possono costituire le condizioni in una situazione così difficile, nella quale sul campo le circostanze si modificano in modo molto grave.
La soluzione di due Stati non basta che sia evocata come una soluzione teoricamente sostenibile. Al contrario, se non interviene qualche fatto nuovo tale soluzione sarà logorata sul campo, e non solo per la volontà politica manifesta dell'attuale Governo israeliano - che su questo ha una posizione molto netta - ma per la crisi obiettiva e per il logoramento al quale è sottoposta nel contesto attuale.
A me è capitato di essere in Israele e nei territori palestinesi poche settimane fa. Ebbene, come sapete, c'era una situazione di enorme attesa per l'incontro di Washington del 14 maggio fra il Presidente americano e il Primo ministro israeliano. Pertanto, mi pare difficile una discussione politica fra di noi che espunga questo dato come un elemento di valutazione e di analisi.
Come lei sa bene, quel punto non ha avuto il suo momento più acuto semplicemente con la riaffermazione generica della nascita dei due Stati, ma con il problema degli insediamenti e delle posizioni che vengono prese oggi su questa materia molto concreta, e con le pressioni e le politiche che vengono messe in atto.
Allora, da questo punto di vista desidererei sapere se il Governo italiano - proprio perché è un Governo profondamente amico di Israele, come dei Paesi arabi - esercita su questo punto una iniziativa chiara, che punti a ricostruire le condizioni della discussione. Non ho sentito nulla su questo argomento nella sua relazione, ma ritengo che tale tema oggi rappresenti un punto politicamente determinante, al centro dell'agenda sulla quale si svolge il confronto su questo tema.
Naturalmente, il nuovo Governo israeliano, in tutto questo periodo e non solo nell'incontro del 14 maggio, ha sollevato una questione. Quando a Roma ho sentito il Ministro Lieberman dire che la questione non è tra palestinesi e israeliani, ma tra moderati e radicali, io ho condiviso tale analisi, salvo il fatto che, probabilmente, il Ministro Lieberman non è tra i moderati in questa divisione di campo.
Detto ciò, vorrei passare a trattare di come oggi si interviene e si influenzano le scelte in riferimento al dossier iraniano.
Penso che la linea della Presidenza americana generi tante preoccupazioni in Israele; anche di questo bisognerebbe parlare. È un fatto del tutto normale, del tutto legittimo. L'attuale linea della presidenza Obama ha suscitato molte preoccupazioni in quanto, alla fine, in cerca di un appeasement, la questione iraniana è stata trattata senza sufficiente energia. E abbiamo sentito molti echi di ciò.
A me pare che la linea della Presidenza americana muova da una considerazione sulla quale è difficile non convenire; si tratta, cioè, non solo del bilancio degli ultimi due anni, la domanda in questione mi pare che sia dove abbia portato la
politica che è stata seguita nei confronti dell'Iran negli ultimi trent'anni. Dove ha portato? Quali risultati ha dato? Quali conseguenze ha determinato? Mi pare che questo oggi implichi un cambiamento. In tutto ciò - e finisco - la domanda da porci è come noi possiamo giocare un ruolo. Davvero possiamo pensare di giocare un ruolo dell'Italia che non si svolga in primo luogo nella ricerca di un concerto europeo e che metta i nostri rapporti bilaterali, sia con gli Stati Uniti che con Israele, davanti all'esigenza di un concerto europeo?
Signor Ministro, forse noi tutti abbiamo oggi la giustificazione di uscire - per fortuna, infatti, si sta avviando alla fine - da un semestre di presidenza ceca particolarmente sterile. Tuttavia, rassegnarsi al fatto che su tutti questi temi della grande agenda politica internazionale l'Europa scompaia come soggetto politico fondamentale e che non sia per noi una priorità quella di costruire, proprio su questi temi, un concerto e un'unità europea, a me non pare sia una scelta prudente. A mio avviso, si tratta di una scelta che ci espone a rischi che possiamo controbilanciare solo se ritroviamo il contesto in cui i nostri rapporti bilaterali, il nostro prestigio e la nostra forza possano avere la loro massima valorizzazione; tale contesto è quello di un'Europa che riprenda un ruolo di primo piano su questo punto.
Penso che a partire dalle prossime settimane questo debba essere un grande tema su cui spendere il massimo delle nostre energie.
FRANCESCO TEMPESTINI. Vorrei soltanto che, rispetto ai tempi, fosse consentito a tutti, naturalmente anche al Ministro, di intervenire senza che all'ultimo momento una corda al collo strozzi il dibattito.
PRESIDENTE. Che cosa suggerisce? Io non posso che chiedere interventi più brevi.
FRANCESCO TEMPESTINI. Non sono io il presidente!
PRESIDENTE. Concordo sull'opportunità di contingentare i tempi, nei limiti del possibile; in ogni caso, non sarò assolutamente fiscale. Comunque, se prevediamo quattro o cinque minuti per ogni intervento dovremmo farcela. Non voglio fare come in Europa ...
MARCO PERDUCA. Forse si dovrebbe chiarire fino a che ora possiamo rimanere o possa rimanere il Ministro per rispondere eventualmente a ulteriori domande.
PRESIDENTE. Dovremmo essere in grado di continuare i nostri lavori fino alle 17. Tuttavia, più sono le domande più tempo dovrebbe avere a disposizione il Ministro per la replica.
I colleghi che prenderanno la parola avranno allora a disposizione per ciascun intervento quattro minuti, rispetto ai quali ho già ribadito che non intendo essere fiscale. Comunque, sta anche a loro rispettare i tempi.
FABIO EVANGELISTI. Grazie, signor presidente. La prego di avvisarmi quando avrò finito il tempo.
Vorrei, innanzitutto, ringraziare il Ministro perché la relazione che ha proposto è ampia e, per alcuni versi, anche esaustiva. Spero di non suscitare ire e di non urtare la suscettibilità di qualche collega permettendomi di dichiarare che avrei preferito, gradito e apprezzato una maggiore problematizzazione della situazione. Se, infatti, mi attengo alla lettura di quanto sono riuscito a rendicontare, emerge che abbiamo ottimi rapporti politici e personali con l'Egitto, la Siria, il Libano, la Tunisia, il Marocco e la Libia. Siamo i migliori amici di Israele, siamo i migliori amici anche della parte araba moderata, dell'Egitto e di tutti gli altri Paesi, come se non dovessimo fare altro a parte quanto abbiamo già messo in cantiere.
La situazione mi sembra invece più problematica. Sono state espresse osservazioni che mi convincono di questa valutazione e che provo a evidenziare. Il Ministro ha approfittato dell'occasione di
oggi per compiere anche una sorta di bilancio di questo anno di attività politica e mi riesce difficile non notare un calo dell'autorevolezza del nostro Paese sullo scenario internazionale, ad esempio in Libano.
Non voglio fare propaganda su certe figure che abbiamo fatto a livello internazionale, ma sto ad alcuni temi. Per quanto concerne l'Iran, di cui abbiamo già avuto modo di parlare in più di un'occasione, non è possibile programmare un incontro a gennaio, quando arriva Nancy Pelosi, e annullarla il giorno dopo, in seguito all'arrivo del Ministro degli esteri israeliano, per poi rimetterla in calendario e annullarla nuovamente. Giustamente, il Ministro si è infine rifiutato di andare all'incontro con Ahmadinejad, che intendeva utilizzarlo a fini esclusivamente propagandistici interni. Questo era però facilmente intuibile e sarebbe stato opportuno riflettere prima sull'inopportunità della data, più che della location. La sensazione è che siamo non solo titubanti, ma anche ondivaghi.
Per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, ho ascoltato affermazioni convincenti, però sono indotto a chiedere quali iniziative specifiche abbia intrapreso il nostro Governo nei confronti di Israele e dell'Autorità nazionale palestinese, se si stia lavorando a una posizione comune dell'Unione europea e se, in seguito all'incontro fra il nuovo Primo ministro israeliano e il Presidente Obama, siamo allineati a questa posizione degli Stati Uniti. Immagino di sì, ma vorrei sapere come questo diventi patrimonio dell'Unione europea.
In Libano, il 7 giugno si svolgeranno delicatissime elezioni politiche. Con il Governo Prodi siamo stati attori fondamentali. Oggi, si ha la sensazione che si stia monitorando poco la situazione del Paese e non si sa quale sia l'iniziativa politica, al di là dell'incontro, di cui ci ha riferito, con la Siria.
Potrei allargare ancora per quanto riguarda il tema dell'immigrazione, probabilmente ci troveremo di fronte a nuove ondate migratorie provenienti dall'Algeria e dalla Tunisia. Siamo sotto il mirino da parte dei grandi organismi sovranazionali e possiamo affidare soltanto alla Libia il compito di governare le richieste di asilo?
Ho letto di un'iniziativa sul piano europeo, giacché oggi si rileva una maggiore attenzione. Il Ministro Frattini fa sempre riferimento al ruolo dell'Unione europea, ma fino a un anno fa il Ministro Frattini era Vicepresidente della Commissione europea e si occupava proprio di questi temi. Mi chiedo quindi quale sia la coerenza fra gli interventi effettuati un anno fa e quelli di oggi.
Dobbiamo trovare una linea per una politica estera sulla quale ottenere la convergenza di tutti. Un Paese senza politica estera è un «non Paese» e la politica estera non può essere soltanto appannaggio della maggioranza o di chi sta al Governo, ma deve coinvolgere le responsabilità nazionali. Ognuno di noi è pronto a fare la propria parte, ma serve linearità, coerenza nei comportamenti, il dispiegarsi di un'azione diplomatica più incisiva di quella dell'ultimo anno.
MARCO PERDUCA. Io sarei d'accordo su quasi tutto il quadro presentato dal Ministro, a parte il capitolo Libia, con però il problema di fare il passo successivo. Se infatti riesco a capire la strategia della Farnesina e del Governo italiano, di buon vicinato anche con chi non è geograficamente vicino a noi, credo però che manchi eventualmente l'elaborazione di cosa si ritiene di dover fare con i vari partner e interlocutori menzionati, per arrivare a una serie di obiettivi che chiaramente variano da contesto a contesto.
In questa prospettiva, vorrei toccare quattro questioni: Israele, il G8, l'Iran e la Libia. Partendo da quest'ultima, la delegazione radicale alla Camera e al Senato si è opposta alla ratifica dell'accordo e continua ad opporsi. Ebbene, non che non si debba o non si possa prendere in considerazione - dialogare forse è un termine un po' forte - problematiche di contesti civili, politici, economici e sociali che ci sono vicini, ma essere attenti a ciò che avviene dall'altro lato del Mediterraneo
è sicuramente un'azione che l'Italia deve continuare a fare, ma non facendo l'economia della necessità di imporre (mi verrebbe da dire) ciò che la nostra Costituzione, le nostre leggi, e tutti gli strumenti di diritti umani che abbiamo ratificato - buon ultima, anche, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo - ci impongono.
Ciò basterebbe come faro di guida ogni qualvolta abbiamo a che fare con un regime non solo non democratico, ma antidemocratico, visto e considerato che proprio la settimana scorsa è morto, in condizioni molto misteriose, l'unico dissidente libico, che negli ultimi cinque anni era emerso come possibile promotore di apertura della società nazionale libica.
Sappiamo che Gheddafi sarà in Italia dal 10 al 12 giugno. Per l'occasione è stato offerto il Senato per un'audizione, e spero che ci sia un ripensamento in questo senso. Tuttavia, se non ci sarà, comunque al Senato ci daremo da fare perché avvenga.
Per quanto riguarda Israele, lei ha ricordato che c'è bisogno di ridisegnare una mappa, di insistere anche con gli aiuti economici e di cercare di tenere presente la necessità per Israele di vivere come Stato ebraico.
Io sono un po' allergico a tutti i nazionalismi, quindi anche anteporre o posporre un aggettivo ad uno Stato mi crea dei problemi, non perché sia particolarmente contrario al fatto che quello possa essere uno Stato ebraico, ma perché in una prospettiva federalista europea questo tipo di preoccupazione la si può includere, non dico più facilmente, ma magari con pienezza di politicità, se si prende in considerazione il fatto di iniziare a ingaggiare Gerusalemme in un dialogo che possa portarli almeno a creare le condizioni per porsi il problema - loro tanto quanto noi - di una possibile accessione di Israele all'Unione europea.
Tale questione, che viene sempre considerata un'utopia, o addirittura non desiderata dagli israeliani, resta però sempre fuori da qualsiasi tavolo di trattativa. Questo per quanto è a nostra conoscenza, magari invece negli ultimi sviluppi - non che questo Governo possa essere più aperto di quelli del passato, parlo di quello israeliano - avete iniziato a discutere la questione proprio perché il Governo italiano, come gli è stato sempre riconosciuto da tutti, ha un atteggiamento diverso nei confronti di Israele.
Per quanto riguarda l'Iran, credo che, ancora una volta, il programma ambizioso di candidarsi - al di fuori del 5 più 1 - a tenere comunque vivo un canale di contatto tra comunità internazionale, ancora «occidentale» con la «o» maiuscola, e un'altra parte del mondo, che potrebbe essere quella dei non allineati, è sicuramente importante.
Credo che forse il luogo migliore sia quello identificato della AIEA, dove in effetti poter ingaggiare gli iraniani. Poco fa è stata ricordata la nostra reputazione - non che questa sia da imputare alla Farnesina - all'interno della comunità internazionale per quanto riguarda gli ultimi comportamenti relativi all'immigrazione, che forse non è delle migliori.
Tuttavia, occorrerebbe sapere come gli iraniani rispondono a questa vostra richiesta visto e considerato che Obama ha parlato sì agli iraniani, ma ha parlato anche al Governo di Teheran, il quale ha detto che è pronto e vuole parlare direttamente. Dunque, visto e considerato che oggi Teheran non ha mai avuto a Vienna un punto di riferimento, bisognerà capire quanto invece stia cambiando l'atteggiamento. Magari aspetteranno le elezioni per andare avanti in maniera parallela all'interno del contesto delle Nazioni Unite e all'interno del dialogo diretto che gli iraniani vogliono avere con gli Stati Uniti.
Per quanto riguarda il G8, alla Camera è stata adottata una mozione - qualche collega magari ne parlerà - in cui, non solo si ricordava il fatto che in quanto presidenti del G8 si ha a che fare anche con il cosiddetto Forum per il futuro, ma si chiedeva al Governo di impegnarsi per sostenere tutte quelle iniziative che, all'interno di questo nuovo ambito di dialogo tra Governi e società civile, sarebbero state portate avanti.
Lei ha detto che è stato in Marocco e volevamo capire se ci sono delle date per le famose riunioni che erano previste per la prossima estate e inizio dell'autunno, ed eventualmente quali sono i tempi per cui anche questo finanziamento verrà finalmente dato ai vari attori che sono impegnati. Infatti, sia parlando informalmente con i diplomatici americani, sia con quelli marocchini qui in Italia, par di capire che ancora ci sia una zona grigia, che è meglio per tutti riuscire a riempire di un colore un po' più certo.
FIAMMA NIRENSTEIN. Signor presidente, prima di tutto faccio un comma sulla questione iraniana intesa nel senso più ristretto, quella in cui l'abbiamo trattata in precedenza e poi vengo invece al tema più generale.
Penso che le critiche che sono state sollevate qui non tengano conto dello scenario complessivo in cui si è mosso anche il tentativo italiano, su cui poi sono state appuntate le critiche. Non si riesce a capire la spaventosa drammaticità dello scenario in questo momento proposto al mondo intero, giacché siamo di fronte a un tentativo disperato che parte dall'amministrazione Obama e cerca di coinvolgere - felicemente per quanto riguarda l'Italia - una serie di Paesi europei in un tentativo estremo di dialogare con l'Iran sulla questione del nucleare e non sull'insieme delle questioni. A latere vi è la questione strategica, sollevata dal Ministro, dell'Afghanistan, che a me è sempre sembrata una strada per cominciare un dialogo sull'altra faccenda e lo trovo anche un modo intelligente di affrontare l'argomento.
Il Presidente Obama ha lanciato questo grido d'allarme, suggerendo di provare a parlare con l'Iran. Non ha mai detto che lui parlerà con l'Iran, né che ci riuscirà. Ha detto di fare disperati tentativi. Questo è il messaggio che ho recepito.
Ritengo che il tentativo del Ministro Frattini di scambiare due parole faccia parte di questa consapevolezza del mondo occidentale di avere a che fare con una situazione disperata. Quando il Presidente Obama sottolinea l'esigenza di parlare con l'Iran in particolare sul nucleare, non vuole dire di andare con loro a vedere come distruggere Israele. Quando dunque Ahmadinejad trasforma questa visita in un momento di propaganda legato a un missile che fa 2.000 chilometri e può arrivare fino a Tel Aviv, quando a fronte di una strategia condivisibile quello dichiara di volere ammazzare gli israeliani, compiere un passo indietro mi sembra un gesto coraggioso dell'Italia.
Se approvate l'idea di compiere un tentativo in extremis di dialogo con questo folle Paese che minaccia di distruggere non solo Israele, ma in generale l'Occidente, bisogna capire che si va per tentativi.
Lunedì, Ahmadinejad ha dichiarato che non avrebbero assolutamente partecipato alla conferenza per parlare di nucleare, perché il nucleare è una questione chiusa, come ribadiscono continuamente, nonostante i disperati tentativi del Presidente Obama e di chi cerca di stargli al fianco di proporre la questione in altri termini.
Questo è l'ambito in cui ci muoviamo, se vogliamo parlare con l'Iran.
Il nostro approccio regionale-mediorientale ha sempre visto l'Egitto e i Paesi moderati nel ruolo di Paesi chiave, scelta a mio parere opportuna non soltanto perché sono moderati e consentono una serie di collegamenti in grado di fare intravedere una pace possibile, che altrimenti non balena all'orizzonte, ma anche perché nell'ambito strategico del Medio Oriente la presenza dell'estremismo, del terrorismo e soprattutto la presenza iraniana è centrale. Se non rafforziamo l'Egitto e i Paesi moderati e se loro non rafforzano il tentativo di far progredire il processo di pace, non c'è alcuna possibilità che Israele e i palestinesi possano trovare un accordo.
La chiave risiede infatti nei Paesi moderati, che tuttavia adesso sono minacciati dalla presenza iraniana. Se non ci fosse stato l'Iran, Hamas non avrebbe battuto Abu Mazen, non avrebbe fatto di Gaza un Iranistan da cui si sparava contro Israele e non ci sarebbe stata la guerra. Se non ci fosse stato l'Iran con le sue pretese egemoniche,
l'Egitto non sarebbe stato attaccato meno di un mese fa da un tentativo di sovversione globale che ha quasi messo fuori gioco il governo di Mubarak. Se non ci fosse l'Iran, oggi non ci troveremmo di fronte al problema delle elezioni del 7 giugno in Libano, che possono vedere la vittoria degli Hezbollah e rovesciare una situazione libanese sempre in bilico.
Potrei continuare a lungo parlando del Qatar, di come ora tutti i Paesi sunniti stiano cercando di dotarsi della bomba atomica per la paura della presenza iraniana, di come gli israeliani e i palestinesi siano ostacolati nel trovare un accordo da questo elemento spurio, che si presenta incessantemente in Medio Oriente e che ha spaccato il mondo palestinese e rafforzato anche all'interno di Fatah una componente estremista, di cui probabilmente non siete a conoscenza, perché non siete dei maniaci lettori di giornali palestinesi come me.
Se per caso non ne foste al corrente, vi vorrei comunicare che il nuovo Governo, quello di Fayyad, non è stato approvato né da Hamas né da Fatah. Questa è la situazione.
Purtroppo, questa presenza iraniana è, quindi, il grande challenge, la grande sfida a portare avanti una strategia di pace.
Bene facciamo, quindi, a dare tutto il nostro appoggio e a cercare un rapporto soprattutto con i Paesi arabi moderati. Ci troviamo in bilico su un trampolino, in cui da una parte c'è questo tentativo, dall'altra c'è l'ultimo, drammatico momento in cui Obama - come vedrete a Il Cairo, il 4 giugno, quando si recherà in visita - cerca di ripristinare un rapporto con il mondo islamico e non soltanto con il mondo arabo.
Io sono pronta a scommettere - purtroppo lo temo - che le cose non andranno come previsto.
La policy review di Bibi Netanyahu va esattamente nella direzione desiderata, tant'è vero che stamattina due outpost sono stati sgomberati. Sia Lieberman che Barak hanno proposto in Parlamento che la road map venga nuovamente votata dal Parlamento intero. Lieberman e Barak, come ben sapete, sono agli estremi opposti della mappa politica, quindi la richiesta di Obama è stata in certo senso accolta. Israele si rende conto che c'è un ambito di alleanze da cui non si può scansare più di tanto. Mi pare, quindi, che l'Italia abbia giocato bene le sue carte anche in questo campo: togliere, infatti, l'amicizia ad Israele per avere eletto un Governo che ha una caratteristica di difesa a fronte di una situazione di attacco come quella iraniana, in questo momento, mi sarebbe sembrato quantomeno innaturale.
GIANNI VERNETTI. Vorrei anche io ringraziare il Ministro. Tra l'altro, se mi si concede una battuta, il Governo israeliano è sostenuto dal partito laburista, che è un proud member dell'Internazionale socialista; è un partito, cioè, che rappresenta la storica sinistra in Israele e ha fatto una scelta curiosamente anomala. Intendevo solo ricordarlo al collega Marcenaro.
Al di là di ciò, esporrò la questione in modo molto sintetico. Il 7 giugno si vota in Libano; sicuramente, leggendo i sondaggi, c'è preoccupazione, da parte della comunità internazionale, per questo appuntamento elettorale.
Il Ministro ha esposto un resoconto che io condivido sulla situazione libanese e sul ruolo di UNIFIL. Penso, infatti, che nonostante le regole di ingaggio molto contenute, l'avvio della missione in Libano sia stata una scelta fortunata: il semplice dispiegamento di una così numerosa forza al confine tra Israele e Libano credo abbia garantito la sicurezza di Israele e dato un contributo alla stabilità.
Il secondo punto della risoluzione n. 1397, tuttavia, non è stato attuato; esso implicava il sostegno all'esercito libanese nel disarmo di Hezbollah.
Questo ovviamente è un elemento di preoccupazione. Hezbollah si è fortemente riarmata e non serve leggere i rapporti di intelligence per saperlo, è sufficiente leggere la stampa internazionale. Vorrei, pertanto, conoscere la sua opinione e come pensa si possa collocare il futuro di UNIFIL per una vera tutela della sovranità libanese; di ciò, infatti, si tratta.
In secondo luogo, credo che l'Iran rappresenterà nel futuro l'elemento di maggiore pericolo per la stabilità mediorientale e per la stabilità regionale. Abbiamo assistito, infatti, al recente test missilistico, al ruolo negativo dell'Iran nel sostenere organizzazioni terroristiche nell'area mediorientale e alla rottura delle relazioni diplomatiche con il Marocco, sebbene quest'ultima notizia sia passata un po' inosservata sotto i riflettori della comunità internazionale. Quando, infatti, Ahmadinejad, in una sua esternazione in cui non ha parlato di Israele, ha dichiarato per la decima volta che il Bahrein, quel piccolo Stato indipendente - Stato sovrano e membro delle Nazioni Unite - è un errore della storia e che quella è la ventesima o ventunesima provincia iraniana, il Marocco ha deciso di rompere le relazioni diplomatiche.
Il tema della formazione del sostegno a un coordinamento e a una coalizione di Paesi arabi moderati sunniti, in funzione di contenimento iraniano, credo debba essere una delle priorità della nostra politica estera. Il Ministro ha ben ricordato le buone, ottime relazioni che intratteniamo con i grandi e importanti Paesi arabi sunniti, ma credo che dovremmo essere più incisivi su questo tema.
Su ciò, vorrei svolgere un paio di considerazioni velocissime. Noi sosteniamo l'ingresso della Turchia nell'Unione europea; la Turchia potrebbe essere, infatti, un importante modello di Stato islamico-moderato, secolare, con una forte impostazione laica e potrebbe anche essere uno modello di conciliazione proponibile per dimostrare come l'Islam sia compatibile con la democrazia. Sono, tuttavia, un po' preoccupato per alcune posizioni recentemente assunte dalla Turchia. Il ministro ricorderà l'abbandono del forum di Davos da parte di Erdogan e le dichiarazioni fortemente ideologiche in sostegno di Hamas.
Ciò preoccupa e, paradossalmente, allontana la Turchia dall'Europa, mentre noi vorremmo includerla. Noi vorremmo tenere fortemente stretta la Turchia a un processo di avvicinamento all'Unione europea perché credo che ciò sia interesse strategico dell'intero occidente, ma sicuramente anche del Medio Oriente. Vorrei conoscere la sua opinione.
Per quanto riguarda la Siria, credo che l'Italia debba svolgere un ruolo importante nei confronti di questo Paese, perché si tratta di un altro Stato che bisogna tentare perlomeno di coinvolgere ed includere. La Siria è cruciale: se noi riuscissimo a dare un piccolo contributo - noi Italia, noi Europa - per ridurre la dipendenza della Siria dall'Iran, e quindi rendere quel Paese un interlocutore credibile e favorire un processo di avvicinamento della Siria all'Europa, io riterrei questa un'altra azione strategica importante e possibile del Governo italiano.
FRANCESCO TEMPESTINI. Voglio innanzitutto esprimere un'opinione di consenso di larga massima rispetto all'intervento del Ministro. Naturalmente, se me lo consente, vorrei fare un'osservazione di carattere generale.
All'interno di quello schema, nel quale il Ministro ha evidenziato il complesso delle iniziative, io penso che forse alcuni punti di silenzio debbano essere colmati.
Sono d'accordo sullo schema generale, che mi pare non solo l'Italia, ma la comunità internazionale di questa parte del mondo debba seguire. Mi riferisco al tentativo americano di ricostruire relazioni diplomatiche internazionali, area per area, che abbiano un senso, dopo anni nei quali purtroppo la politica americana ha lavorato quasi esclusivamente a picconare la possibilità di questo tipo di relazioni. Tali relazioni presuppongono ovviamente - è necessario che sia così - il conferire ruoli a ciascuno, cercando di ricostruire ruoli nazionali e regionali in grado di edificare queste reti che si tengono.
Mi pare che lo sforzo americano nel grande Medio Oriente si stia sviluppando su questa linea. Dunque, si tratta di un lavoro molto faticoso. Io sono convinto che il momento scelto dal Ministro per questa visita in Iran si è prestato - è meglio storicizzare le cose - ad un gioco, che mi pare qualche osservatore abbia evidenziato.
Infatti, Ahmadinejad in realtà tratta non gli italiani, ma tutti, salvo forse gli americani, con quel classico sistema molto orientale - un cliché in questo caso - per cui solo all'interlocutore principale si riconosce importanza. Ebbene, mi pare che questo sia stato in qualche modo il rischio.
Tuttavia, ciò non vuol significare, a mio parere, la non considerazione del fatto che quella strategia generale americana, che richiede un approccio multiplo, complesso, fatto di tentativi riusciti e meno riusciti, deve - perché questo è il punto - tentare di riportare l'Iran ad un ruolo strategico regionale, che è un ruolo inevitabilmente importante, senza che questo abbia conseguenze sul terreno della proliferazione. In analoga misura, per quel che riguarda la questione israelo-palestinese, questo tentativo va perseguito.
Io penso che da questo punto di vista, dobbiamo continuare a lavorare, incoraggiando tutte le iniziative del Governo italiano che vanno in questa direzione.
Detto questo, volevo far osservare all'onorevole Nirenstein che naturalmente il contesto regionale sta pesando sempre di più nella relazione israelo-palestinese, e questo, naturalmente, non lo dico come una osservazione banale o pragmatica. Tuttavia, debbo osservare - mi rivolgo all'onorevole Nirenstein, ma anche al Ministro Frattini - che ciò non può non significare che, proprio per le caratteristiche più complicate che il ruolo iraniano sta determinando in quell'area, c'è un'assunzione di responsabilità forte del Governo israeliano rispetto ad alcune questioni.
Noi, Ministro, abbiamo cambiato opinione rispetto ai due Stati? Di fronte a questa posizione israeliana del nuovo Governo, quale valutazione dà il Ministro degli esteri italiano rispetto alla nuova politica israeliana, in relazione alle risposte e alle questioni che gli ha posto il Presidente degli Stati Uniti? È un punto, questo, su cui vorrei qualche chiarimento perché, ripeto, esso richiama una questione di responsabilità, anche dello Stato di Israele, in un contesto nel quale - certo, il quadro regionale ha acquistato il valore e il peso che ha, con l'Iran e le sue dissennate politiche - tale questione si pone.
Io non sono stato mai amante della retorica sulle grandi organizzazioni internazionali. Tuttavia, penso che per quanto riguarda la Libia - sono un convinto sostenitore di quello che ho votato in Parlamento, ovvero l'accordo con la Libia - dobbiamo stimolare le grandi organizzazioni internazionali ad assumersi tutte le loro responsabilità.
Se c'è qualcuno inadempiente sulle politiche di immigrazione, in questo caso certamente è l'Europa. Vorremmo che le politiche che portano anche all'evidenziazione delle lacune delle politiche europee fossero attuate in modo da stimolare la critica in questi organismi e osservare quanto l'Europa sia assente senza essere accusati su terreni delicati come quello dei diritti umani.
CARMEN MOTTA. Colgo l'occasione della sua cortese presenza, signor Ministro, per sottoporle una questione meno nota all'interno della Regione del Maghreb, perché oscurata dai media e poco sottoposta alla nostra attenzione di legislatori, ovvero la questione del Sahara occidentale.
Una nota dell'ANSA del 7 maggio ha infatti dato notizia del suo viaggio nel Regno del Marocco, durante il quale nel corso dei colloqui con il Primo Ministro Abbas El Fassi e il Ministro degli esteri Taieb Fassi Fihri avrà potuto affrontare questo tema. Nella stessa ANSA si evidenziava però l'intenzione dell'Italia di affrontare il tema in ambito ONU.
Per esigenze di brevità e per corrispondere alla richiesta del presidente non mi soffermerò sulla lunga storia che riguarda il Sahara occidentale e sulle rivendicazioni del popolo Saharawi e del fronte Polisario. Ricordo, però, come l'ultima deliberazione del Consiglio di sicurezza dell'ONU, la n. 1871 del 30 aprile di quest' anno, non accolga le posizioni marocchine sull'autonomia, ma demandi a ulteriori contatti diretti tra Marocco e fronte Polisario per la ricerca di una soluzione definitiva,
«mutualmente accettabile», ma che «garantisca l'esercizio del diritto all'autodeterminazione del popolo Saharawi».
Dopo questa premessa e dopo aver espresso l'opinione che la questione del Sahara occidentale è purtroppo non risolta, perché il Marocco continua a considerarla una questione di rapporti tra Algeri e Rabat - secondo molti in maniera errata -, le chiedo se nel corso dei colloqui abbia avuto modo di affrontare il tema nella direzione affermata da un comunicato apparso sul sito del Primo ministro marocchino, secondo cui lei avrebbe espressamente dato il sostegno dell'Italia all'iniziativa marocchina per il negoziato di uno statuto d'autonomia nelle province del sud del Regno. Questa è la prima richiesta.
Vorrei sapere inoltre se all'interno di questi colloqui, e qualora lei avesse davvero espresso il suo sostegno a tale posizione, lei abbia potuto rappresentare al Regno del Marocco il problema della violazione dei diritti umani nei territori occupati del Sahara occidentale, come testimoniato dall'Alto Commissariato dell'ONU, da Amnesty International e da Human Rights Watch.
Vorrei sapere infine se all'interno di questi colloqui abbia potuto chiarire che i fondi destinati allo sviluppo economico non devono essere investiti nei territori illegittimamente occupati nel Sahara occidentale.
RENATO FARINA. Ringrazio il Ministro Frattini per la sua relazione. Mi permetto questa mia sintesi: la priorità assoluta è quella che il Ministro Frattini chiama «Afpak» e che mi sembra più giusto definire «Talibanistan», ovvero il conglomerato dei Paesi Afghanistan e Pakistan, questione connessa al nucleare. Questa è la priorità assoluta, da cui discendono le altre questioni che senza di essa sarebbero prioritarie.
Ritengo che questo motivi il grande attivismo del Governo italiano, che non è affatto disgiunto da quanto sta facendo l'Unione europea. Essere insieme non significa muoversi in gruppo, scelta che sarebbe anche indice di scarsa capacità diplomatica, tanto più che la tradizione italiana è sempre stata di questo genere. Noi siamo sempre stati i migliori amici degli americani e anche i migliori nemici dell'Unione Sovietica. Questo ci ha permesso di ricoprire un ruolo interessante, anche durante la Prima Repubblica. Credo, dunque, che questa sia la nostra prerogativa, come dimostra il tentativo svolto dall'Italia quando, rimanendo fedele alla NATO, ha cercato di tendere la mano alla Serbia durante il 1999, con alterni successi. Questa è la nostra identità, insieme all'identità di difesa dei diritti umani.
Mi rendo conto che in questo momento siamo sotto attacco per la questione dei respingimenti, ma bisogna sapere che, alla fine, quel che stiamo facendo lo facciamo nel rispetto della Convenzione di Montego Bay, anche se capisco che la questione possa essere controversa.
Io sono convinto che il nostro Governo abbia oggi una funzione importante, e si chiarisca anche il motivo della nostra politica, che è stata di forte amicizia sia con gli Stati Uniti, a prescindere dalla presidenza, oggi di Obama, sia con la Russia di Putin e oggi di Medvedev. Dinanzi alle crisi internazionali, è nefasto che vi siano sospettosità tra le superpotenze. L'Italia, in questo momento, grazie agli ottimi rapporti che ha con queste superpotenze, può giocare un ruolo essenziale nei quadranti di crisi. Sono anche convinto, quindi, che le trattative, quando si intraprendono, non debbano mai riguardare un solo punto ma, a partire da quello più cocente - che in questo caso è la situazione del «Talibanistan» - debbano poi coinvolgere anche gli altri punti in gioco. Credo che questo accadrà a Trieste.
Non da ultimo, io credo che il rafforzamento dei rapporti commerciali con questi Paesi, così come l'Iran sta chiedendo all'Italia da tempo, a partire dai più svariati settori - compreso quello agricolo, che non è, però, un settore sensibile dal
punto di vista delle tecnologie -, possa essere un buon modo per avere rapporti anche con i popoli.
Sono d'accordo con tutto quel che ha detto la collega Nirenstein, meno che su un punto, che credo di intendere giustamente ma che vorrei spezzare in due parti; la collega ha parlato di «un Paese folle come l'Iran». Il presidente è folle in questo momento, ma il Paese ha delle energie positive che chi va in Iran per lavoro conosce e che non devono essere gettate via insieme alla follia di un presidente. Dico questo per chiarire anche il modo in cui avere rapporti con questo Paese.
MATTEO MECACCI. Di fronte all'esposizione del Ministro cerco sempre di pormi con un certo grado di umiltà, anche per via della complessità dei temi trattati.
Pur da neofita di questa Commissione, confesso, tuttavia, che dall'analisi di questa relazione e, più in generale, dall'analisi dei rapporti del nostro Paese in politica estera, io avverto, in questo anno, un mutamento non indifferente; ormai, infatti, le capitali di riferimento della nostra politica bilaterale non tendono più ad essere Washington o Bruxelles, ma si stanno spostando in altra direzione: da Mosca a Tripoli ad altre capitali di Paesi che non sono in linea con i valori e con il sistema istituzionale che hanno retto il nostro Paese e la sua politica estera negli ultimi cinquant'anni.
Spererei che anche qualche collega della maggioranza possa trovare la possibilità di riflettere su ciò; non credo, infatti, che il rafforzamento di questo tipo di rapporti bilaterali sia di aiuto al nostro Paese nella politica estera, né a livello di rapporti bilaterali né all'interno delle istituzioni internazionali. Devo, per altro, dire che neanche in Parlamento mi pare ci sia una grande opposizione a questo fenomeno. Credo, quindi, che il dibattito che su questo argomento debba crescere.
Per venire ad alcune questioni precise, signor Ministro, le vorrei porre una domanda inerente alla Libia. La nostra posizione è chiara; tuttavia, lei, nella giornata di ieri, ha dichiarato di fare una valutazione positiva degli sviluppi in corso per quanto riguarda i rapporti della Libia con l'UNHCR e con l'Unione europea. Nella discussione in Parlamento, e anche successivamente, avevamo avanzato una richiesta chiara, ossia chiedere alla Libia un atto concreto, cioè la ratifica della convenzione ONU sui rifugiati, che è l'unica condizione che può consentire all'UNHCR di operare a pieno e di poter valutare le richieste di asilo in quel Paese.
Tutto il resto, vale a dire discutere di quello che si può fare e quello che si sta facendo, rischierà, purtroppo, solo di mettere l'UNHCR in una posizione ancora più difficile; se, infatti, si troverà ad operare in Libia e ad avere accesso magari ad alcune zone senza però potere applicare gli strumenti previsti dalla convenzione, credo che saremo al punto di partenza e nell'impossibilità di garantire il rispetto del diritto d'asilo che, in base alla nostra Costituzione e alle norme internazionali che vigono nel nostro ordinamento, è obbligatorio per noi come per tutti i Paesi europei.
Vorrei, inoltre, sottoporle una valutazione sulla questione iraniana. Sulla vicenda della Conferenza «Durban II», il nostro Paese è stato giustamente dalla parte di Israele. Le abbiamo dato atto di aver preso un'iniziativa anche a livello bilaterale, al di fuori del consenso dell'Unione europea, per porre la questione politica, che esiste all'interno dell'ONU, della discriminazione nei confronti di Israele.
Il nostro Paese si è esposto in quella direzione in un momento in cui però ogni giorno il nuovo Governo israeliano e in particolare il Primo Ministro Netanyahu diffondono dichiarazioni bellicose nei confronti dell'Iran, con l'intenzione non sopita di lasciare l'opzione militare sempre sul tavolo rispetto al programma nucleare iraniano.
Mi sembra difficile che l'Italia, che ha assunto questo ruolo di alleato privilegiato di Israele, possa al tempo stesso anche essere il primo Paese occidentale ad aprire un canale di dialogo con l'Iran sulla questione
del nucleare. Credo che nella scelta propagandistica di Ahmadinejad di mettere in difficoltà la nostra diplomazia nell'incontro programmato non sia da escludere il ruolo che il nostro Paese ha scelto di giocare rispetto a Israele, che sta vivendo un momento molto difficile per quanto riguarda i rapporti con gli Stati Uniti. Ritengo infatti che lo smantellamento di due insediamenti nella Cisgiordania non sia sufficiente a dare un segnale in linea con quanto richiesto dall'Amministrazione americana, ma che si debba fare molto di più. In seguito a quanto abbiamo sentito affermare da Lieberman e da Netanyahu, temo che l'impostazione nazionalista scelta da questo tipo di Governo non faciliterà questi rapporti.
Il 15 giugno, i Ministri degli Esteri si incontreranno a Bruxelles e discuteranno anche della questione dell'upgrading dei rapporti tra Israele e Unione europea. Alcuni Paesi hanno espresso la loro posizione a favore o contraria al miglioramento dei rapporti diplomatici ed economici con Israele, per cui vorrei conoscere la posizione del Governo italiano rispetto a questo appuntamento del 15 giugno.
MASSIMO LIVI BACCI. Ringrazio il Ministro. Come molti altri sto con il fiato sospeso rispetto a quanto sta succedendo o potrà succedere in Israele e in Palestina. Benché confidi nella regola secondo cui le persone più dure e di destra compiono i salti decisivi verso la pace, avendo assistito al dibattito del Ministro Lieberman con i senatori e deputati dell'amicizia Italia-Israele, sono rimasto perplesso e con i nervi tesi. Non mi sembra infatti che per ora le cose si siano ancora orientate in un senso positivo.
Non desidero entrare in polemica sulla questione dei respingimenti, laddove credo che l'Italia sia andata troppo al di là di quanto il diritto internazionale effettivamente le consentiva. Ritengo che si siano verificati episodi spiacevoli con il Ministro della difesa, che lei, Ministro Frattini, è riuscito fortunatamente a sopire, ma che una marcia indietro sia stata fatta, come deduco anche dalla presentazione del Ministro Maroni di due giorni fa in Senato circa l'apertura di un tavolo di discussione, di concertazione al Viminale con l'Unione europea, la Libia, l'Italia e l'UNHCR.
Speriamo che questo porti a un risultato nelle procedure del respingimento, perché i respingimenti non possono essere collettivi, ma devono essere individuali. Ogni respingimento collettivo, quindi, va contro i princìpi del diritto internazionale nel quale ci riconosciamo. Mi auguro che su questa via si possano compiere progressi e sarei felice se lei avesse qualche novità in proposito.
Del resto, ritengo che un articolo del trattato con la Libia imponga il rispetto dei diritti umani da parte dei libici. Emerge quindi un ampio arco di possibile intervento da parte del nostro Governo, perché questi diritti siano assicurati.
Un altro punto allarmante riguarda le difficoltà per le riammissioni con la Tunisia, Paese quasi alle nostre porte. Anche a questo riguardo vorrei sapere se si rilevino progressi. Il problema degli accordi di riammissione riguarda anche tutti i Paesi subsahariani. Non so se sono fuori tema su questo, ma ricordiamoci che nei Paesi nordafricani vivono diversi milioni di cittadini provenienti dai Paesi al sud del Sahara, che sono irregolari in quei Paesi. In Libia ce ne sono forse un milione e mezzo, ci sono due milioni e più di sudanesi in Egitto e diverse centinaia di migliaia in Marocco, in Algeria e in Tunisia. Quindi, questa è una potenziale pressione che esiste sulle rotte illegali tra Africa e Italia, e questo non si può naturalmente arrestare unicamente con i pattugliamenti. Credo che di questo il Governo e tutta la collettività debbano essere coscienti.
Certamente, noi riusciremo nel breve periodo ad interrompere questi traffici attraverso il canale di Sicilia, ma sappiamo che è tanta l'inventiva di coloro che fanno la tratta, i quali non sono solo trafficanti, ma sono quasi liberi imprenditori del sommerso che organizzano i passaggi attraverso il Mediterraneo. Dunque, con una potenziale clientela così ampia c'è da attendersi
un modificarsi continuo delle rotte, e quindi occorre vigilare su questo. Infatti, domani non passeranno più per i canali di Sicilia, ma passeranno per altre rotte, come è accaduto in Spagna quando si è in qualche modo interrotto il passaggio tra Marocco e Gibilterra, ma poi i flussi sono partiti dalla costa africana verso le Canarie. Inoltre, prima si andava con dei barconi grandi, mentre adesso con delle piccole imbarcazioni molto più veloci, eludendo i controlli.
Dunque, il mio riferimento era alla nostra politica non solo di riammissione verso i Paesi sub sahariani - penso al Ghana, al Mali, al Gambia, alla Nigeria da dove vengono considerevoli flussi illegali - ma a politiche di riammissione e cooperazione. Questo ci riporta al global approach dell'Unione europea, dell'OCSE, eccetera. Si tratta di un global approach che purtroppo è ottimo in teoria, ma è scarsissimo nella pratica perché la parte economica di questo global approach - come lei sa - è estremamente carente. Vorrei avere due parole di incoraggiamento da parte sua che nel G8 e nel futuro della politica italiana si affronteranno alla radice questi temi.
FURIO COLOMBO. Credo che il Ministro si sia reso conto che nonostante la varietà e la ricchezza dei temi e degli spunti che sono stati proposti, a cominciare dall'opposizione, ma anche dalla sua parte, c'è sostanzialmente in questa Commissione quello che lui chiedeva all'inizio. Mi riferisco ad un'idea di unità, nel senso che lei rappresenterà un'Italia che non si sta scontrando sui temi fondamentali, che lei ha proposto nella sua relazione.
Questo è di per sé un fatto che potrà esserle utile e positivo. Ognuna delle osservazioni che lei ha ricevuto dall'opposizione presente in quest'aula - in gran numero rispetto alla sua parte - è un invito ad arricchire, a fare di più, ad introdurre altri materiali e ad essere più presente su alcune questioni.
A me sembra che lei abbia impostato - mi scuso di essere arrivato un po' in ritardo - in modo piuttosto utile la sua relazione, e sono sicuro che lei raccoglierà come utili le osservazioni che ha ricevuto.
Ci sono alcuni punti che brevemente ripeterò o aggiungerò. Il primo sottolinea, naturalmente, quanto io sia d'accordo con Fiamma Nirenstein sulla questione di Israele. Si tratta di un Paese che vive in una situazione di dramma e in uno stato d'assedio, in cui tutte le congiunture internazionali che lo circondano sono negative - se fosse un gioco delle carte si parlerebbe di segni negativi intorno a Israele - e che fatalmente hanno portato a un indurimento della politica interna.
Vorrei ricordare al senatore Livi Bacci che l'inizio di un impegno a fare in qualche modo la pace è cominciato con Sharon. Quindi, persino le parole dure e non condivisibili che sono state dette dal ministro Lieberman non annunciano, di per sé, che si è creata una situazione di non sostenibilità. Al contrario, sono parole di solitudine, proprie di un Paese intorno al quale non esiste davvero una vera solidarietà internazionale, una solidarietà europea e rispetto al quale credo che l'Italia potrebbe fare molto di più.
Signor Ministro, andando avanti in questo elenco - e alcune cose le citerò appena - le dirò una cosa che potrebbe essere abbastanza bizzarra detta in quest'aula, detta dall'opposizione e in particolare detta da me. Io la inviterei ad essere più protagonista nelle cose che portiamo avanti nel mondo, a nome del Paese che rappresenta e a nome della politica che rappresenta. Per esempio, un protagonista al Ministero degli esteri non permette al Ministro della difesa di dire che il rappresentante dell'agenzia ONU per i rifugiati «non conta un fico secco». Lei, in giornata, avrebbe dovuto smentirlo in modo drammatico.
L'ho visto fare in situazioni molto simili da ministri di altri Paesi; ciò non significa una rissa di Governo, significa che il ministro competente impedisce che la sua responsabilità e la sua autonomia di giudizio subiscano interferenze che non possono subire. L'ho visto fare dai segretari di Stato americani, l'ho visto fare nei Governi
inglesi e francesi. Mi piacerebbe che lei, anche in queste situazioni, fosse più protagonista.
E l'avrei voluta più protagonista anche nella questione libica. Lei sa che, in Parlamento, con i soli colleghi radicali, mi sono opposto con tutte le mie forze al partenariato libico. Purtroppo, infatti, il livello dei diritti umani del Governo libico è da sempre tra i più bassi del mondo, pertanto, affidarci con un partenariato ad Paese che ha un record di rispetto dei diritti umani tra i più bassi al mondo, per un Paese come il nostro - che con tutte e due le amministrazioni, quella più di destra e quella più di sinistra - ha sempre cercato di essere nel mondo un sostenitore e un campione di diritti umani, mi pareva una contraddizione pazzesca. Non è sembrata tale ai colleghi della sua parte e non è sembrata tale neanche ai colleghi della mia parte, per ragioni che, francamente, non mi so spiegare e per le quali non ho mai ricevuto, da nessuno, una spiegazione.
Non so, infatti, perché la Libia, che ha il più basso livello di riconoscimento dei diritti umani, vada bene come partner di alleanza e persino di integrazione militare. Non lo so e non lo capisco, però il suo ruolo rimane molto grande, e nel momento in cui queste violazioni accadessero davvero, vorrei che il Ministro degli esteri di questo Paese - che, pur non essendo della parte politica che avrei voluto, è pur sempre il mio Ministro degli esteri, in questo momento, e lo dico da cittadino italiano - fosse più protagonista e più pronto a difendere i diritti umani, più pronto a stare dalla parte delle organizzazioni internazionali delle quali siamo membri e nelle quali abbiamo sempre avuto dei ruoli importanti, più pronto a stabilire che certe violazioni non si possono commettere. E non si può dire - quanto a ciò, vale quel che ha detto l'onorevole Mecacci poco fa - che adesso apriremo un
ufficio in Libia e poi si vedrà, come fa disinvoltamente il Ministro dell'interno, perché la Libia non ha riconosciuto degli aspetti fondamentali del rispetto dei diritti umani in tutti i trattati disponibili ed esistenti. Starei per dire che questa, signor Ministro, è addirittura una preghiera.
Vorrei vedere l'Italia ben rappresentata e se sarà ben rappresentata nella difesa dei diritti umani, nel riconoscimento del diritto d'asilo ai disgraziati del mondo che scampano al deserto e al mare, ebbene io mi riconoscerò - da cittadino - in un Governo che è capace di difendere quei diritti; così come, al contrario, non mi riconoscerò in chiunque non li rispetti, fosse anche la mia parte. So, infatti, che questo trattato è cominciato quando il Governo era di centrosinistra e non mi ci riconosco, perché vedo il pericolo nella violazione dei diritti umani e dei diritti fondamentali.
La vorrei più protagonista quando compare in scena la Russia. Perché noi dobbiamo vedere il Primo ministro fare delle grandi dichiarazioni, felici e festose, dalla Russia, senza che il Ministro degli esteri sia presente, protagonista e attivo, e senza che ci dica cosa diavolo si stava facendo in Russia in quel momento?
Credo che la Russia sia materia del Ministro degli esteri e debba essere discussa dal Ministro degli esteri. Le ricordo l'impegno - lei lo ricorderà in quanto ne è stato parte e protagonista, non è, quindi, un sollecitare ma un ricordare - di questo nostro Paese sulla moratoria della pena di morte; il che, per esempio, avrebbe dovuto impedire ieri di dichiarare inammissibile l'ordine del giorno presentato dai radicali che ricordava che l'Arabia Saudita ha un altissimo numero di condanne a morte. È un po' umiliante vedere che avvengano fatti di questo tipo.
L'ultima cosa che le affido è una questione come quella della Somalia. La Somalia ha, in qualche modo, un vecchio rapporto storico con l'Italia. È un Paese abbandonato, senza governo, in preda ai pirati, in preda ai banditi, alle corti islamiche e ai nemici delle corti islamiche. È impossibile che l'Italia non sia un protagonista in una situazione di questo genere.
ENRICO PIANETTA. Presidente, ho apprezzato moltissimo la relazione del nostro
Ministro degli esteri, soprattutto per la funzione che il nostro Ministro e la nostra politica estera svolgono in questa area. Si tratta di una politica molto dinamica e positiva, perché il fatto che in poco più di due mesi vengano ospitati la Conferenza internazionale a Trieste, l'Unione per il Mediterraneo a Milano, il leader libico e Presidente dell'Unione africana a Roma, e che l'Italia partecipi alla Conferenza in Egitto dei non allineati dimostra come l'Italia in politica estera sia co-protagonista in quest'area, una buona protagonista.
Mi sembra dunque assolutamente fuori luogo pensare che il nostro Ministro degli esteri non sia un protagonista, anche perché, laddove dichiara che le Nazioni Unite devono essere sempre sostenute anche quando sbagliano - e in quel momento hanno sbagliato, mi sembra assumere una posizione da protagonista, propria di chi sottolinea l'importanza delle organizzazioni internazionali.
Siamo stati protagonisti anche nell'importante incontro di «Durban II», quando con molto coraggio il Ministro degli esteri ha assunto quella posizione, che poi è stata considerata da molti come un modello di comportamento. Anche dopo le sue ultime missioni in Tunisia e in Marocco, il Presidente del Parlamento marocchino nostro ospite ha espresso parole di grande apprezzamento per la nostra politica estera.
Rifacendomi all'auspicio che il Ministro degli esteri ha evidenziato al termine del suo speech, quando ha invocato una convergenza di larga massima del Parlamento, credo che, al di là di ogni altra considerazione, al di là del ruolo della maggioranza e dell'opposizione, Furio Colombo abbia espresso una considerazione molto corretta quando ha evidenziato una larga convergenza sui temi importanti.
Non credo che si rilevi, caro collega Mecacci, un cambiamento della politica da Washington e Bruxelles verso altre posizioni e che ci sia una considerazione di divergenza rispetto alla tradizione della politica estera italiana, che viene confermata con molta forza dal nostro Governo.
Ritengo quindi che questa sia la verità della nostra politica estera. La polemica con l'Iran concernente la missione evidenzia un problema molto complesso, che è elemento di convergenza. Non si può rimanere in superficie, anche perché la cartina di tornasole è anche quella della nostra incrementata penetrazione commerciale in queste aree, elemento estremamente concreto, che deve essere oggetto di grande apprezzamento per la nostra politica estera e per la politica estera del Ministro Franco Frattini.
PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Frattini per la replica.
FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie molte a tutti. Ho raccolto dagli interventi cinquantadue domande, quindi mi dispiace trattenervi di più, ma considero doveroso fornire informazioni che evidentemente gli onorevoli parlamentari non hanno, perché alcune domande presuppongono una non conoscenza di alcune iniziative. D'altronde, la mia introduzione è stata limitata dai tempi, non dalla volontà di essere reticente.
Ringrazio pertanto la maggioranza dei colleghi che sono intervenuti, perché mi ero rivolto a voi sottolineando l'esigenza di uno spirito più ampio della maggioranza che sostiene il Governo su alcune linee guida della politica estera.
Non posso invece immaginare che alcuni interventi di addetti ai lavori siano stati svolti nella non conoscenza dei temi. Pertanto, ritengo che alcuni parlamentari dell'opposizione abbiano ritenuto di non accogliere il mio invito - ne prendo atto - e darò ovviamente delle risposte anche in questi casi.
In linea generale, mi è piaciuta in modo particolare - e mi permetterà l'onorevole Tempestini di riprenderla - una definizione
quadro. L'Italia oggi si muove in Europa per sostenere ed accompagnare il nuovo quadro che la nuova Amministrazione americana, con l'Europa, sta cercando di portare avanti. In questo obiettivo, dell'Italia che si muove all'interno dell'Unione europea, è evidente che la stessa Amministrazione americana, ancor più dell'Unione europea, ha interesse a contare sulla leva che alcuni partner, particolarmente stretti - come l'Italia è e sarà, onorevole Mecacci, sempre - e in sintonia con gli Stati Uniti d'America, hanno rispetto ad altri. Questa è la ragione per la quale io non ritengo sbagliato quello che alcuni hanno indicato come un movimento eccessivo ed isolato dell'Italia, e altri hanno definito come troppo poco protagonismo su alcuni dossier.
Ritengo che sia giusto invece che l'Italia usi le sue carte speciali di amicizia con Israele per far fare dei passi avanti. Allo stesso modo, credo che il risultato ottenuto in Libano - dove Israele non aveva mai accettato l'idea di dare la mappatura dei luoghi dove le bombe a grappolo sono cadute - sia stato ottenuto per un'azione che l'Italia ha compiuto. Pertanto, ritengo che questo l'Italia lo porti in dote all'Europa e all'America.
Per quanto riguarda ciò che abbiamo realizzato in Iran - e vengo al tema dell'Iran, che è stato largamente affrontato - credo che nessuno degli onorevoli parlamentari, addetti ai lavori, possa pensare che io programmi e riprogrammi un'azione con l'Iran senza una consultazione diretta e personale con l'Amministrazione americana.
Se lo pensate fate torto alla mia intelligenza, ma anche alla vostra. Quindi, voi sapete - vi parlo con franchezza e con chiarezza - che questi incontri erano programmati in assoluta sintonia con l'Amministrazione americana. Potete immaginare che il Financial Times abbia un interesse ad incoraggiare questa azione dell'Italia?
Credo che l'onorevole Maran - che ha fatto un intervento sorprendente, perché lui è un addetto ai lavori e certe cose le sa - non possa non sapere che vi sono coloro che non hanno piacere che l'Italia sia protagonista, in accordo con l'America, verso l'Iran, ed evidentemente tendono a metterlo in luce. Ma c'è un punto di merito su cui gli interventi fatti su questo tema non mi hanno convinto: chi ha indicato una volontà dell'Italia di andare in Iran a parlare di dossier nucleare o non ha ascoltato nessuna delle mie dichiarazioni oppure ha fatto dichiarazioni volutamente provocatorie.
Tutti voi sapete che io ho ripetuto mille volte che l'oggetto del dossier nucleare sarebbe stato trattato dall'Italia in assoluta coerenza con gli Stati Uniti e con l'Europa, e che io non avrei parlato né con Mottaki, né con altri esponenti iraniani del dossier nucleare. Spero che questo sia ora abbastanza chiaro.
Le osservazioni di coloro che hanno parlato di azione isolata dell'Italia sono sbagliate, perché l'Italia ha agito sull'Afghanistan e sul Pakistan, e continuerà ad agire, con l'Iran. Infatti, ciò è sostenuto dagli americani per primi, da noi italiani e spero anche dagli europei, se avranno una posizione univoca su questo, ma è così, come sapete e lo sapete tutti, perché alla Conferenza dell'Aja l'Iran è stato invitato e ha partecipato, ed era una Conferenza proprio sull'Afghanistan. Ebbene, noi abbiamo il dovere come Presidenza del G8 di farlo. Altrimenti, l'onorevole Colombo avrebbe giusto motivo di dire che non siamo protagonisti, ovvero se come presidenti in carica del G8 volessimo imbarcarci nella stabilizzazione dell'Afghanistan senza avere l'Iran intorno al tavolo.
Allora, è evidente che se si deve parlare con l'Iran dopo quattordici anni dall'ultimo incontro con un esponente europeo, lo si deve fare a livello politico.
L'onorevole Maran è un addetto ai lavori, ma non mi può dire che tenere rapporti con l'Iran non equivale ad avere incontri con esponenti politici. Infatti, o lui non ha mai conosciuto cos'è l'Iran oppure deve capire che se in Iran non si parla con gli esponenti politici la presenza politica sull'Afghanistan non ci sarà.
Qualcuno pensa che l'Italia possa augurarsi un insuccesso della Conferenza di
Trieste? Io non lo penso, chi ama il nostro Paese non dovrebbe volerlo e io devo cercare, fino all'ultimo giorno, di far sì che l'Iran sia presente a livello politico.
Forse adesso è chiaro, innanzitutto, che la nostra azione è coordinata con l'interesse degli Stati Uniti d'America e, in secondo luogo, che questa è l'azione che l'Europa deve e dovrebbe svolgere, se vuole avere successo nel contribuire alla stabilizzazione di Pakistan e Afghanistan. Ancora una volta, riguardo all'Europa qualcuno ha detto che sul Medio Oriente non ci siamo spiegati, non mi sono spiegato. Mi spiego, dunque, meglio; forse mi ero spiegato male.
Sul Medio Oriente l'Europa ha un'idea che io condivido. L'abbiamo espressa mille volte, se volete ve la ripeto, ma la conoscete già. Non c'è bisogno che io vi dica che condivido l'azione dell'Europa sul Medio Oriente, a partire dalla soluzione che prevede la creazione di due Stati indipendenti; proseguendo con il fondamentale diritto alla sicurezza di Israele; proseguendo ancora con un programma di aiuti economici ai territori palestinesi e finendo, ovviamente, come ha spiegato il Presidente Obama al Primo Ministro Netanyahu, con il diniego alla possibilità di nuovi insediamenti - cosa che il Primo Ministro Netanyahu ha evidentemente recepito, a giudicare dai passi concreti verso lo smantellamento.
Questa è la posizione dell'Europa, questa è la posizione dell'Italia, né più, né meno. Probabilmente non l'avevo chiarita, adesso l'ho esposta con assoluta chiarezza.
Terzo punto: l'Europa su questo ha una chiara visione concordata con gli Stati Uniti. C'è stato un vertice tra Europa e Stati Uniti, a Praga, in cui tutti avete sentito che le dichiarazioni erano in sintonia assoluta. L'Italia si richiama a quelle dichiarazioni.
È, però, ancora una volta evidente che non tutti i Paesi hanno con i Paesi arabi - a qualcuno ciò potrà non piacere - la leva politica di amicizia, solidarietà e rapporti che ha l'Italia. Non tutti i Paesi sono considerati dall'Egitto il primo amico in Europa, non tutti i Paesi hanno le porte aperte nell'ufficio di Assad, non tutti i Paesi hanno la guida della missione in Libano.
Ecco perché, pur all'interno di una posizione europea condivisa, l'Italia ha il dovere di usare le sue leve positive per contribuire a dei risultati. A qualcuno può sembrare strano, ma l'Italia ha il dovere di farlo, e i partner europei che hanno assunto talvolta iniziative isolate e non concordate, prendono atto che questo si fa e si deve fare.
In altri temi, però, l'Europa non ha una posizione comune. Il dossier Iran, come voi sapete perfettamente, ad un certo punto è stato trattato dall'Europa con un formato che non è quello dell'Europa a ventisette, come l'Italia invece avrebbe voluto e vuole tuttora. Credo che il modello «cinque più uno» abbia mostrato chiaramente i suoi punti deboli con l'assenza totale di risultati fino ad oggi. Credo, infatti, che il dossier nucleare iraniano debba essere trattato a ventisette con gli Stati Uniti d'America e credo, altresì che, se questo sarà, saremo pienamente coerenti con le decisioni prese; siamo, però, tuttora coerenti con l'impegno a non trattare isolatamente il dossier iraniano e ad attenerci ad una posizione comune. Su questo continueremo.
Riguardo ad Afghanistan e Pakistan ho già parlato. Costituiscono il modo per parlare concretamente con l'Iran. Vogliamo parlare, come chiede il Presidente Obama? Vogliamo tendere la mano? Noi lo vogliamo. Attendiamo risposte, le attendiamo in tempi ragionevoli, ma se vogliamo parlare, dovevamo fare quel che abbiamo fatto. Ancora una volta mi permetto di dire che rispondo a delle domande sorprendenti, come quella con cui mi si chiedeva perché organizzare una visita in vicinanza delle elezioni presidenziali. Qualcuno di coloro che hanno posto questa strana domanda, dovrebbe riflettere sul fatto che se il Presidente Ahmadinejad sarà rieletto, andare in Iran dopo vorrà dire trovare un Presidente più forte, non più debole. È chiaro, quindi, che organizzare prima quest'incontro rispondeva alla necessità di programmare, fuori
dal dossier nucleare, una partecipazione, che io tuttora auspico, sull'Afghanistan e sul Pakistan.
Quanto detto finora riguardava le domande che, francamente, mi hanno convinto che fossero domande generate dalla non accettazione dell'idea del dialogo che io auspicavo; la grande maggioranza delle domande rivoltemi vanno, invece, in una direzione diversa e quindi risponderò anche a quelle, ma apprezzandole.
Apprezzo chi ha detto che sul tema di Israele noi dobbiamo andare avanti nella logica di considerare Israele come un Paese che si sente assediato e si sente assediato a ragion veduta. È questa l'opinione dei Paesi arabi moderati che con noi lavorano per garantire il diritto di Israele alla sicurezza in quanto diritto non rinunciabile e non negoziabile. Questo non è in contraddizione con una risposta chiara che vogliamo dare ai Paesi arabi moderati sull'esistenza di uno Stato palestinese, che a mio avviso è assolutamente indispensabile.
Alcune domande hanno affrontato il tema dei flussi migratori. Al di là di una domanda che spero sia soltanto una legittima e comprensibile provocazione politica circa la coerenza della nostra azione con la mia azione di Commissario europeo, credo che quella mia azione di Commissario europeo abbia impostato un'attività dell'Europa, che l'Europa avrebbe dovuto sviluppare e su cui è oggi inadempiente. Se vi è inadempienza, questa è oggi dell'Europa nel non prendere sul serio la caratteristica europea e non nazionale della politica migratoria.
L'Italia ha ventisette accordi di riammissione bilaterali. Quando sono arrivato in Europa nel novembre del 2004, ne ho trovato uno in vigore con Macao. Vorrei avere ventisette accordi europei di riammissione. Durante il periodo di mia permanenza, ne ho negoziati e conclusi sette anche con Stati molto importanti (dalla Russia al Pakistan). C'è un negoziato in corso con il Marocco e un negoziato europeo ancora alle fasi preliminari con l'Algeria. Sarei ben lieto di rimettere all'Europa la politica delle riammissioni, ma l'Europa non ha accordi di riammissione, quindi non ci nascondiamo dietro una politica europea che in materia non c'è come dovrebbe esserci. Bisogna fare di più.
È stata avviata da poco, ma bisogna andare avanti. Dinanzi alle polemiche sull'UNHCR, ho detto semplicemente che dovrebbe aprire un ufficio a Tripoli, ufficio che già esiste e in cui lavorano quasi trenta persone, senza avere però le credenziali dal Governo libico. Secondo le ultime dichiarazioni, la Libia accetta di dare le credenziali.
MATTEO MECACCI. Però non ratifica la Convenzione.
FURIO COLOMBO. Ha detto che studierà.....
FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Il 9 giugno avremo un incontro trilaterale con la Libia e con Malta a livello di Ministri degli esteri, che sarà dedicato proprio a questo tema: come far sì che l'apertura di un ufficio con credenziali dell'UNHCR a Tripoli possa affrontare ragionevolmente il tema dei rifugiati.
Non sono io, però, ad aver reagito positivamente a questa informazione, è stato l'UNHCR, che ieri, per bocca della signora Boldrini, ha detto che questa è una proposta apprezzabile, su cui sono disponibili a lavorare.
Il problema della Convenzione di Ginevra è un problema reale. La Libia ha però non solo firmato, ma anche ratificato una convenzione successiva alla Convenzione di Ginevra, ovvero una convenzione del 1969 dell'Unione africana. Tale convenzione è dedicata esattamente al tema del trattamento dei rifugiati in Africa, giacché è un trattato dell'Unione africana complementare alla convenzione di Ginevra, in cui si parla di garanzia di protezione per tutti coloro che sono perseguitati, nonché vittime di invasioni, guerre civili. Questa convenzione è obbligatoria per Tripoli, che l'ha ratificata. Probabilmente, possiamo dire che si tratta di un bicchiere mezzo pieno e che dobbiamo
fare dei passi avanti, ma non possiamo assolutamente dire che se Tripoli si impegna ad applicare in pieno questa convenzione, non avremo fatto un passo avanti nei trattamenti dei richiedenti asilo. Questo è un punto su cui vogliamo lavorare. Proseguiremo nei prossimi mesi, nelle prossime settimane, ma certamente non si può dire che nulla sia stato fatto.
Un altro tema sui flussi migratori è quello dei Paesi del Maghreb. Abbiamo relazioni e anche accordi di riammissione bilaterali. Ho affrontato il tema della Tunisia - rispondo al senatore Livi Bacci - a Tunisi con il presidente Ben Ali. La Tunisia non solo ha confermato la sua volontà di dare corso all'accordo bilaterale di riammissione, ma il Presidente Ben Ali ha personalmente assunto con me l'impegno di trasmettere le schede di identificazione dei migranti illegali tunisini, perché ovviamente si sentono obbligati al rimpatrio degli immigrati tunisini illegali. Mancavano queste schede di identificazione perché il fatto che gli immigrati clandestini si sottraggono all'identificazione è il tema più delicato, che impedisce il ripristino della legalità. Anche su questo, però, vogliamo fare un passo avanti. Se con la Tunisia fosse stato siglato un accordo che l'Europa non ha neanche cominciato a negoziare, potremmo
forse riconoscere a livello europeo un ulteriore passo avanti.
Per quanto riguarda il tema del Forum per il futuro posto dall'onorevole Perduca, anche di questo ho parlato con il Ministro Fassi Fihri fissando già le date del 2 e 3 novembre. Il Forum per il futuro ovviamente ci sarà, non c'è nessuna zona grigia. La zona grigia era la domanda presso la nuova amministrazione americana per sapere se fossero ancora interessati al Forum del futuro. L'amministrazione Obama si è dichiarata interessata e quindi l'Italia e il Marocco copresiederanno il 2 e 3 novembre il Forum per il futuro. Non esiste dunque alcun mistero, ma c'è semplicemente la conferma degli impegni che avevamo preso.
Sul tema del Libano, posto dall'onorevole Vernetti, si impone una pausa di silenzio in attesa delle elezioni. Voi tutti sapete che la risoluzione n. 1397 è effettivamente inadempiuta nella parte in cui prevede il disarmo delle milizie. È chiaro che il risultato elettorale sarà un risultato importante a cui noi guardiamo. Non posso dire niente perché, essendo Hezbollah un partito rappresentato in Parlamento che corre alle elezioni con la coalizione 8 Marzo, attenderemo il giorno dopo le elezioni per commentare il grado di applicazione e di attuazione della risoluzione n. 1397 e delle altre.
Spesso, abbiamo parlato anche delle posizioni assunte dalla Turchia, che, come vi ho rapidamente accennato nella mia introduzione, ci conferma la sua disponibilità a impegnarsi nuovamente con Israele, segnale molto positivo, qualora vi sia una richiesta di Israele, perché non ci si impegna da soli a fare mediazione.
La Siria si è dichiarata pronta attraverso il Presidente Assad che lo ha detto a me. Se, come mi auguro, anche Israele dimostrerà quello che il Presidente Netanyahu ha detto, cioè la volontà di riprendere i negoziati indiretti, la Turchia riprenderà il ruolo di mediazione che noi apprezziamo.
Sul Medio Oriente, quindi, non abbiamo cambiato idea. Continueremo ovviamente a portare avanti i nostri sforzi con l'Europa, affinché la politica verso Israele sia equilibrata.
Una domanda, tra le molte, posta anche dall'onorevole Farina, sottolineava che certamente una cooperazione concreta per la stabilizzazione delle aree di confine tra Afghanistan e Pakistan si baserà sullo sviluppo economico. È chiaro che quando parliamo di lotta alla droga e di progetti agricoli sostitutivi parliamo di un tema importante, così come quando parliamo di cooperazione sul terreno culturale della formazione.
Rispondo all'onorevole Mecacci, che ha posto molte domande. Mi permetto di dirle, onorevole, che il nostro asse non si è affatto spostato da Washington e da Bruxelles, per le ragioni che ho detto. Il problema è che Washington e Bruxelles capiscono che se c'è un Paese in Europa che dà un valore aggiunto alla loro politica
con la Russia è proprio l'Italia. A lei può non piacere, ma a Bruxelles e a Washington piace.
È chiaro, quindi, che i nostri rapporti con la Russia servono a facilitare quel dialogo che ancora oggi il Segretario della NATO mi ha confermato essere fondamentale. Contro la Federazione russa non si discute né di Afghanistan, né di collaborazione per la non proliferazione, né di Medio Oriente, né di politica energetica. Si tratta solo di mettere l'azione politico-diplomatica dell'Italia al servizio di un obiettivo comune che America ed Europa condividono.
Lo stesso vale per la Libia: se non avessimo firmato l'accordo di amicizia, non avremmo aperto la strada all'accordo Europa-Libia che si sta negoziando senza successo da un anno e che, grazie al nostro accordo, probabilmente sarà accelerato.
Può piacere o no che tutta l'Europa comprenda l'importanza strategica della Libia, l'Italia lo ha capito prima di altri, e noi lo rivendichiamo.
Onorevole Mecacci, la risposta su Israele è chiara, da parte mia. Al Consiglio del 15 noi sosterremo che sull'upgrading di Israele non si torna indietro. La ragione è molto chiara: l'upgrading di Israele noi lo abbiamo già deciso e all'unanimità; per tornare indietro occorre ugualmente l'unanimità, cui noi ci opporremmo. Per questa ragione, noi possiamo discutere a lungo, ma il fatto che l'Europa abbia già unanimemente deciso che Europa ed Israele hanno elevato il livello delle loro relazioni non è un qualcosa su cui penseremo di tornare indietro.
Molte delle cose che ha detto il senatore Livi Bacci le condivido, proprio perché evidentemente un'azione di riammissione, un'azione strategica di gestione dei flussi migratori deve essere europea. Ho già parlato degli accordi di riammissione. Posso dirle, in sintesi, che il global approach che lei ha citato e che io ho contribuito a far diventare materia di accordo europeo quand'ero commissario, sarà uno dei temi del G8 sull'Africa, che presiederò direttamente, a livello ministeriale, l'11 e il 12 giugno a Roma. In quella sede, introdurremo il tema dei flussi migratori sotto il profilo di un approccio globale che guarda allo sviluppo dei Paesi di origine, alla collaborazione dei Paesi di transito e all'integrazione nei Paesi di destinazione.
È esattamente il global approach in cui io credo fermamente.
Onorevole Colombo, le sono grato per molte cose che lei ha detto. Che non tutti i colleghi dell'opposizione ritengano di potermi considerare anche il loro Ministro degli esteri, me ne dispiace, ma ne prendo atto. Io cerco di lavorare nell'interesse comune dell'Italia. Debbo dirle, per onore di verità, che ho corretto pubblicamente il Ministro La Russa, tanto che i giornali del giorno dopo hanno addirittura aperto con titoli come: «Frattini corregge», «Frattini smentisce» eccetera.
Il Ministro La Russa ha onestamente chiarito che non voleva offendere nessuno, ma io sono intervenuto dopo pochi minuti dalle dichiarazioni del Ministro della difesa, che lui stesso ha compreso di dover in qualche modo rettificare in prima persona.
Certamente sui diritti umani noi vogliamo fare di più, sull'onda di una tradizione italiana. Abbiamo fatto molto sull'Afghanistan. Comprensibilmente l'opposizione non ne dà merito al Governo, ma l'azione per far ritirare la legge Karzai sui diritti delle donne è stata promossa da Hillary Clinton, da me e dal Ministro norvegese, durante la conferenza dell'Aja. Lo ricordo perché sono fatti storici: il Presidente Karzai ha capito che attorno a questi protagonisti - io piccolissimo, Hillary Clinton molto più grande e protagonista di me - si sarebbe creato un consenso internazionale. Il risultato lo abbiamo avuto.
Sul tema del Forum for the future che riguarda i diritti umani ho già detto. Quella è un'altra occasione in cui la tradizione dell'Italia si farà valere.
L'onorevole Colombo ha citato la Somalia. A titolo puramente informativo - ho fatto anche dichiarazioni pubbliche, ma spesso non vengono colte - il 10 giugno ho
convocato a Roma una riunione internazionale sulla Somalia, che raccoglierà il Governo somalo e tutte le fazioni in contrasto della Somalia, con l'Unione africana e con i Paesi europei. Tutti questi Paesi sono invitati per un brainstorming internazionale da presentare alla Lega araba, all'Unione africana e all'Unione europea sulla situazione della Somalia. È stato evocato giustamente un tema: io non parlo di protagonismo, ma dico che a questo avevamo già pensato.
Infine, rispondo all'onorevole Motta sul tema del Sahara occidentale. È ovvio che i miei incontri in Marocco sono stati quasi esclusivamente dedicati a questo tema. Le posso dire con grande chiarezza che io conosco bene la risoluzione n. 1871 dell'ONU. Mi è stato detto dei contatti diretti tra Marocco e Polisario e io ho posto un problema al Marocco, ossia se non ritenga di far presenziare l'Algeria a questi incontri.
L'Algeria finora ha avuto dubbi, ritenendo che la questione sia solo tra Marocco e Polisario. Credo che se si dovrà trovare, come auspicato dall'ONU, una soluzione condivisa - senza dire oggi quale soluzione - essa debba presupporre l'Algeria in qualche modo coinvolta. Non si può dire che l'Algeria non partecipa perché non è interessata; l'Algeria, al contrario, è interessata in quanto le frontiere tra Algeria e Marocco sono tutte completamente chiuse. Questo è stato il mio consiglio. Ho detto che noi siamo disponibili con il Marocco a contribuire a far sì che l'auspicio della risoluzione n. 1871 si realizzi, che vi sia dunque una decisione condivisa da tutte le parti che si trovano attualmente coinvolte.
PRESIDENTE. Ringrazio tutti i deputati e i senatori che sono intervenuti e, in particolare, ringrazio l'onorevole Ministro di quella che considero un'audizione eccezionale.
Dichiaro concluse le comunicazioni del Governo.
La seduta termina alle 17,35.