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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione IV
1.
Giovedì 17 luglio 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 2

Audizione del Capo di stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini, sull'assetto organizzativo della componente tecnico-operativa della Difesa (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Cirielli Edmondo, Presidente ... 2 14 15 17 18 20 23 24
Ascierto Filippo (PdL) ... 15 17
Bosi Francesco (UdC) ... 15
Camporini Vincenzo, Capo di stato maggiore della Difesa ... 2 16 17 20 24
Marini Giulio (PdL) ... 19
Mazzoni Riccardo (PdL) ... 17
Mogherini Rebesani Federica (PD) ... 19
Paglia Gianfranco (PdL) ... 20
Porfidia Americo (IdV) ... 17
Recchia Pier Fausto (PD) ... 24
Rosato Ettore (PD) ... 19
Speciale Roberto (PdL) ... 20
Villecco Calipari Rosa Maria (PD) ... 18
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE IV
DIFESA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 17 luglio 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE EDMONDO CIRIELLI

La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Capo di stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini, sull'assetto organizzativo della componente tecnico-operativa della Difesa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Capo di stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini, sull'assetto organizzativo della componente tecnico-operativa della Difesa.
Nel dare la parola al Capo di stato maggiore della Difesa, lo ringrazio ancora per la partecipazione alla seduta odierna.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. Onorevole presidente della Commissione difesa della Camera, onorevoli parlamentari, desidero innanzitutto ringraziare per la possibilità che mi viene offerta di illustrare l'assetto organizzativo della componente tecnico-operativa delle Forze armate.
L'argomento che mi accingo a esporre riguarda l'essenza stessa dell'operatività dello strumento militare e della sua capacità di contribuire alle iniziative del Paese nell'ambito della comunità internazionale per la stabilità, la sicurezza e la pace.
È ancora più rilevante e importante il momento in cui si svolge questa mia audizione, in concomitanza di importanti decisioni del Governo e dell'approssimarsi delle decisioni del Parlamento relative all'esame del decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria. Si tratta di decisioni che per la Difesa e per lo strumento militare sono destinate ad assumere una rilevanza sul futuro stesso delle Forze armate.
La mia esposizione si articolerà seguendo la traccia indicata nella lastrina proiettata in questo momento e contenuta insieme alle successive nella documentazione che consegno alla Commissione: compiti, organizzazione, modello professionale, contributi alla pace, esigenze dello strumento militare, risorse, decreto-legge n. 112 del 2008, conclusioni.
Prima di affrontare il primo punto della mia presentazione, che riguarda i compiti delle Forze armate, desidero ricordare i principali riferimenti normativi, che forniscono le linee guida dello strumento militare. Nel particolare, quelli che regolano l'attuale assetto organizzativo della componente tecnico-operativa della Difesa sono costituiti dalla legge n. 25 del 18 febbraio 1997 sulla ristrutturazione dei vertici e dal relativo regolamento di attuazione del 1999, e dalla legge istitutiva del servizio militare professionale, che ha sospeso l'istituto della leva.
Veniamo ora ai compiti delle Forze armate, così come indicati nella legge n. 331 del 2000, «Norme per la istituzione


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del servizio militare professionale», che è di fondamentale importanza perché li ha ridefiniti. In tal senso, le Forze armate hanno il compito prioritario della difesa dello Stato e quello di operare al fine della realizzazione della pace e della sicurezza, in conformità alle regole del diritto internazionale e alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l'Italia fa parte. Concorrono inoltre alla salvaguardia delle libere istituzioni e svolgono compiti specifici in circostanze di pubblica calamità e in altri casi di straordinaria necessità e urgenza.
Per quanto riguarda l'Arma dei carabinieri, riordinata con il decreto legislativo n. 297 dell'ottobre 2000, è necessario sottolineare che il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri dipende dal Capo di stato maggiore della Difesa per l'assolvimento dei compiti militari. In particolare, sulla base delle direttive del Capo di stato maggiore della Difesa, l'Arma deve concorrere alla difesa integrata del territorio nazionale, partecipare a operazioni militari in Italia e all'estero - si precisa che il contributo specialistico del suo personale nelle operazioni di supporto alla pace ha luogo nelle aree di presenza delle Forze armate italiane -, svolgere in esclusiva funzioni di polizia militare per le Forze armate e concorrere all'attuazione delle predisposizioni di mobilitazione, ove se ne presentasse il caso.
In sintesi, per l'assolvimento dei compiti militari, la legge 25 del 1997 configura un'organizzazione di vertice che vede il Ministro della Difesa quale massimo organo gerarchico e disciplinare, il vertice politico militare. Nell'area tecnico-operativa, il Capo di stato maggiore della Difesa dipende dal Ministro ed è responsabile della pianificazione, della predisposizione e dell'impiego delle Forze, mentre i Capi di stato maggiore delle Forze armate, che dipendono dal Capo di SMD, sono responsabili dell'approntamento della rispettiva Forza armata.
Il Comandante generale dell'Arma dipende dal Capo di stato maggiore della Difesa per i compiti militari dell'Arma. L'area tecnico-amministrativa, che viene ampiamente discussa nella legge, è retta dal Segretario generale della Difesa e dipende dal Ministro per le attribuzioni tecnico-amministrative e dal Capo di stato maggiore della Difesa per le attribuzioni tecnico-operative. In sostanza, recepisce le direttive circa le esigenze operative delle Forze armate da attuare con atti amministrativi.
Per quanto riguarda l'aspetto organizzativo generale delle Forze armate, si noti come il Capo di stato maggiore della Difesa, per esercitare la sua azione di direzione di impiego, si avvalga del Sottocapo di stato maggiore e dello stato maggiore da lui dipendente, del Comandante operativo di vertici e interforze (COI) per la condotta delle operazioni, del Comandante delle forze speciali per quanto attiene lo specifico impiego, del Presidente del Centro alti studi della Difesa per la direzione e il coordinamento degli studi, nonché della formazione e della ricerca, del Capo ufficio generale della sanità militare per la materia specifica.
I Capi di stato maggiore delle tre Forze armate e il Comandante generale dall'Arma per i compiti militari dipendono da me, che sono responsabile dell'approntamento delle rispettive Forze armate, le cui entità discendono dalla legge 331 del 2000, quella istitutiva del servizio professionale.
In conseguenza di tale organizzazione, per la condotta delle operazioni il Capo di stato maggiore della Difesa si avvale del Comandante del COI per impiegare le forze approntate e addestrate di volta in volta dai singoli Capi di Forze armate, che le devono rendere disponibili al bisogno.
Il modello cosiddetto «professionale» prevedeva il passaggio transitorio a un sistema misto (cosiddetta leva volontaria) nell'anno 2000 ed è stato poi nuovamente aggiornato, per giungere all'attuazione di un sistema interamente professionale nell'anno 2005, anziché nel 2007 come inizialmente previsto.
Questo provvedimento ha determinato una svolta epocale per le Forze armate italiane, giungendo, a conclusione di un


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periodo di studi durato cinque anni, all'approvazione a larghissima maggioranza in Parlamento.
L'entità complessiva di 190 mila unità per Esercito, Marina e Aeronautica, rappresenta una sostanziale riduzione di 100 mila uomini pari a circa il 30 per cento, rispetto a quanto previsto precedentemente.
Questo risultato doveva essere conseguito nel 2007 - obiettivo raggiunto, anzi superato - procedendo a una profonda e complessiva trasformazione e razionalizzazione delle strutture.
Il processo è stato avviato con grande determinazione, è ancora in corso ed ha comportato, attraverso dispositivi legislativi ad hoc, l'adozione di misure che hanno interessato tutti i settori: l'area di vertice, l'area operativa, la componente scolastico-addestrativa, la componente logistica e quella territoriale, portando alla realizzazione di uno strumento militare profondamente modificato rispetto a quello antecedente al 1995.
In sintesi, il processo di trasformazione ha riguardato, per l'Esercito, 165 provvedimenti di soppressione e 165 di riorganizzazione, per la Marina, 40 di soppressione e 58 di riorganizzazione, per l'Aeronautica, 81 di soppressione e 68 di riorganizzazione, per un totale di circa 580 provvedimenti in meno di dieci anni.
Sottolineo questi dati per dare un'idea concreta della vera rivoluzione che ha interessato il sistema militare.
Mentre accadeva tutto questo, le Forze armate hanno continuato ad assolvere i loro compiti con il consueto spirito di servizio e di sacrificio, sebbene tale trasformazione abbia comportato trasferimenti di enti sul territorio nazionale, soppressione di unità ben radicate nel territorio e nel tessuto sociale, e conseguenti disagi per il personale della Difesa e per le relative famiglie.
A ciò occorre aggiungere che proprio dalla fine degli anni Novanta ha cominciato a crescere, in maniera esponenziale, l'impegno delle Forze armate nelle operazioni all'estero, che già dal 1995 il Parlamento aveva stabilito potessero essere compiute solo con personale professionista.
Nella lastrina proiettata sono rappresentate le più importanti operazioni militari in cui le Forze armate sono state impegnate a partire dal 1990, il cui numero può rendere meglio di tante parole l'entità dello sforzo sostenuto al di fuori dei confini nazionali, fino agli antipodi, a Timor Est.
Nell'approfondire le attività delle Forze armate, faccio sinteticamente riferimento ai loro compiti specifici per quanto concerne la difesa dello Stato. All'Esercito compete la difesa del territorio, alla Marina la difesa marittima degli spazi marittimi e delle linee di comunicazione, all'Aeronautica lo spazio aereo e le linee di comunicazione. Tali compiti si articolano in modo estremamente complesso.
Per quanto concerne la salvaguardia delle libere istituzioni, in lastrina sono evidenziate le principali attività condotte nel tempo, tra le quali si evidenziano: la vigilanza pesca dal 1957, assicurata costantemente dalla Marina operando nelle acque internazionali dello stretto di Sicilia; la protezione di obiettivi sensibili in connessione a quanto avvenuto l'11 settembre 2001, l'operazione «Domino» conclusa nel 2006; la costante attività nel campo dell'antimmigrazione clandestina con il controllo delle frontiere marittime in accordo con i dettami della legge Bossi-Fini; le operazioni di controllo del territorio svolte a più riprese per la lotta alla criminalità organizzata nel sud Italia, la più rilevante delle quali è stata condotta in Sicilia per sei anni dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino. Alle attività menzionate si aggiunge oggi l'impegno di 3 mila militari in operazioni di ordine pubblico.
Circa i concorsi per pubbliche calamità o in caso di necessità e urgenza, in lastrina sono evidenziati i contributi più significativi, di cui vorrei sottolineare quelli di particolare attualità relativi alla campagna antincendi boschivi, la bonifica del territorio da ordigni esplosivi, il rifornimento


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idrico delle isole minori, l'intervento per l'emergenza rifiuti in Campania e i 3 mila uomini per l'ordine pubblico.
Per dare una dimensione del fenomeno, l'Esercito è stato impegnato in attività di concorso alle forze dell'ordine, in concorsi per pubbliche calamità o in casi di necessità 65 volte negli ultimi cinquanta anni di storia nazionale. Alcune attività non si sono esaurite nell'arco di pochi giorni, ma hanno avuto una durata pluriennale, richiedendo uno sforzo continuativo e la creazione di strutture ad hoc per la contingenza, con un numero di militari che variava da alcune decine ad alcune decine di migliaia.
Riguardo al contributo delle Forze armate al mantenimento della pace e della sicurezza nel contesto mondiale, è opportuno sottolineare che tale compito è di fatto divenuto prioritario per la comunità internazionale e quindi anche per l'Italia, che nell'ultimo decennio non ha potuto né voluto sottrarsi dal ricoprire un ruolo adeguato al suo rango politico, storico, economico in ambito occidentale.
Lo scenario internazionale è caratterizzato da numerosi elementi: la natura asimmetrica delle nuove minacce, che sono imprevedibili e diffuse, collegate a tensioni etniche, sociali, economiche e religiose; un notevole impatto delle crisi internazionali anche in teatri distanti dalla madrepatria, con rilevanti conseguenze sulla stabilità globale e una crescente preoccupazione per la proliferazione e il controllo delle armi di distruzione di massa. Ne derivano il bisogno di un approccio multinazionale integrato, che coinvolga azioni di risposta alle crisi di ordine politico, diplomatico, economico oltre che militare, un mutato modo di intendere la sicurezza su scala globale e l'impossibilità per l'Italia di sottrarsi dall'esercitare un proprio ruolo nell'ambito delle organizzazioni di cui fa parte, come indicato chiaramente dall'articolo 11 della Costituzione.
Oggi, la maggior parte delle crisi si verificano all'interno delle aree incluse in quelle di cosiddetto «interesse strategico», costituite, oltre che dal territorio nazionale e dai territori confinanti, anche dai Paesi della Nato dell'Unione europea, dall'area balcanica occidentale, dall'Europa dell'est, dal Caucaso, dall'Africa settentrionale e dal Corno d'Africa, dal Vicino e Medio Oriente nonché dal golfo Persico. Questa area è stata definita con un'interessante espressione il «Mediterraneo allargato», perché è allargato alle zone che hanno un diretto influsso sulla sicurezza del Mediterraneo.
Ciò comporta per l'Italia un sempre maggiore coinvolgimento delle Forze armate a sostegno di iniziative di politica estera approvate dal Parlamento e intraprese dal Governo. In questa ottica, l'ONU, la Nato e l'Unione europea rappresentano i pilastri di riferimento delle nostre relazioni internazionali e quindi anche gli ambiti in cui la Difesa e le Forze armate si trovano a operare.
In ambito Nato, il più recente impegno è rappresentato dalla «Nato Agenda» concordata durante il recente summit di Bucarest, i cui punti chiave riguardano la lotta al terrorismo internazionale con la costruzione della pace e della stabilità oltre l'area euroatlantica, lo sviluppo di capacità operative secondo gli standard Nato, correlate a fronteggiare nuovi scenari, le attività da porre in essere per procedere con il progressivo allargamento a nuovi membri.
Con riferimento alle operazioni, l'attenzione è focalizzata sul ruolo della Nato in Afghanistan, sull'impegno in Kosovo e sulla continuazione dell'assistenza al nuovo Governo iracheno, che per l'Italia si concretizza nella formazione dei quadri delle Forze armate e nell'addestramento delle forze di sicurezza.
Nel contesto dell'Alleanza atlantica, l'Italia ha sempre fornito un contributo significativo in termini sia qualitativi che quantitativi, sebbene abbia sempre sofferto una carenza di risorse.
Come terzo paese contributore in termini di forze operative disponibili per le operazioni di difesa collettiva, l'Italia fornisce unità e assetti operativi altamente qualificati e rispondenti agli standard Nato, assicurando spesso anche la guida di contingenti internazionali.


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In termini qualitativi, il numero di quadri ufficiali e sottufficiali inseriti e perfettamente integrati nei comandi Nato garantisce la corretta valutazione delle esigenze nazionali nell'ambito di una suddivisione dei compiti e dei carichi di lavoro, che vede l'Italia in linea con il suo ruolo e il suo profilo strategico.
Nell'Alleanza viene conferita enfasi alla necessità di fornire sicurezza attraverso lo sviluppo di partnership nelle più svariate forme. In tale contesto, particolare importanza viene assegnata ai processi relativi al partenariato per la pace, nonché al rapporto strategico con la Russia.
L'Italia è inoltre fortemente impegnata nel sostenere lo sviluppo della cooperazione, con particolare riferimento alle iniziative che coinvolgono il Mediterraneo, quindi il Mediterranean Dialogue, e il Medioriente, la Istanbul Cooperation Initiative, come mezzi attraverso i quali perseguire sicurezza e stabilità.
Lo sviluppo delle iniziative di cooperazione riflette la consapevolezza che gli sviluppi geostrategici scaturiti dalla fine della guerra fredda hanno collegato la sicurezza dell'Europa alla stabilità dell'area euroasiatica e del bacino del Mediterraneo.
L'Unione europea ha sviluppato una propria politica di sicurezza e difesa sulla base della politica di sicurezza comune, al fine di assicurare sicurezza e stabilità nelle aree di crisi, principalmente attraverso processi politici, sociali, culturali ed economici, ma anche con attività militari.
Il concetto operativo dell'Unione, noto come «Solana Paper», potrà essere aggiornato su iniziativa francese durante questo semestre di presidenza.
La dimensione della sicurezza, stabilita a Maastricht nel 1992 e ad Amsterdam nel 1997, è relativamente nuova, ma l'Unione ha progressivamente migliorato le sue capacità nel settore.
Gli obiettivi strategici del nostro Paese in quest'area sono: contribuire a migliorare le capacità militari europee secondo precisi standard, assicurare stabilità e accrescere la cooperazione con altre organizzazioni internazionali.
La Nato e l'Unione europea rimangono dunque le nostre pietre miliari nel sistema di sicurezza internazionale, per cui la sinergia tra queste due organizzazioni rappresenta una necessità assoluta, che richiede il contributo di tutte le Nazioni a livello politico e militare.
Nel campo militare, la partnership fra Nato e Unione europea richiede uno sviluppo coerente delle capacità militari, evitando duplicazioni e cogliendo ogni opportunità per raggiungere le possibili sinergie.
Si tratta di un tema problematico sia per le visioni non perfettamente coincidenti di alcuni dei più importanti membri delle due organizzazioni, sia per la questione turca, strettamente connessa a quella cipriota.
Nel contesto che ho delineato, le relazioni internazionali con i Paesi alleati e amici nel campo della difesa sono in costante aumento. Finora sono stati firmati ben 62 accordi di cooperazione bilaterale con differenti Paesi in tutto il mondo.
Cercando di sintetizzare la dimensione della cooperazione internazionale nel campo militare, è possibile illustrare numericamente l'impegno del personale, evidenziando come la partecipazione a organizzazioni e comandi internazionali permanenti comporti l'impegno di un totale di circa 2.500 unità, soprattutto ufficiali e sottufficiali, compresi i Carabinieri. Si tratta di personale in servizio in maniera permanente presso i comandi strategici Nato, Norfolk negli Stati Uniti e Mons in Belgio, il Nato quarter di Bruxelles, il Military staff dell'Unione europea, i vari comandi joint di componente delle formazioni Nato in Germania, in Portogallo, in Regno Unito, in Spagna, in Grecia e in Turchia.
La partecipazione nazionale agli organismi e ai comandi internazionali è basata su un contributo di alto livello concettuale, che richiede la presenza fuori dal territorio nazionale del 10 per cento circa dell'intero volume dei quadri ufficiali, con caratteristiche linguistiche e di abilità alle funzioni di stato maggiore di elevatissimo


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livello. Questi risultati sono il frutto di lunghi anni di lavoro, di specifici sacrifici delle Forze armate del Paese, nonché di evoluzione della formazione dei quadri ufficiali e sottufficiali, recentemente anche di volontari di truppa. Questo ha richiesto l'impegno di elevate risorse finanziarie, con evidenti ricadute positive anche sui comandi e gli enti di comando militari nazionali.
La sospensione di questo ciclo virtuoso avrebbe pertanto effetti deleteri non solo nel breve termine, ma soprattutto nel medio e lungo termine, sul livello qualitativo e quantitativo della nostra presenza in seno ai comando multinazionali.
La partecipazione alle operazioni nei diversi teatri attualmente prevede l'impiego totale di circa 8.700 unità, tra ufficiali, sottufficiali e truppa, compresi i Carabinieri, ma in passato, in particolare nel 2003, ha raggiunto punte superiori ai 12 mila. Peraltro tale obiettivo, illustrato a suo tempo al Consiglio supremo di Difesa presieduto dal Capo dello Stato, è in linea con quello assunto dal Paese con la Nato, nel Consiglio atlantico a livello ministri della Difesa del 13 giugno 2008, che prevede un numero complessivo di uomini proiettabili pari a 14.900. In caso di diminuzione di tale capacità, l'Italia sarebbe l'unico Paese Nato, salvo quelli recentemente entrati a far parte dell'alleanza e che hanno in corso un processo di adeguamento, a non raggiungere tale obiettivo nei tempi richiesti dall'alleanza atlantica.
Per quanto concerne le operazioni in corso in generale, è opportuno sottolineare l'impegno numerico, giacché attualmente sono impiegati circa 8.700 uomini e donne in tutto il mondo. Desidero rammentare che per un impegno di 10 mila uomini ve ne sono altri 30 mila che sono impegnati in attività di approntamento e di condizionamento, al fine di poter assicurare le turnazioni. A tali impegni, inoltre, occorre sommare quelli discendenti dalle forze ad alta e altissima prontezza dell'Unione europea e della Nato, nonché i dispositivi volti a garantire la risposta per le esigenze di carattere nazionale.
Il totale dello strumento operativo discendente è pari a circa 128.500 unità, a cui si sommano 61 mila unità per garantire la direzione strategica, la formazione, l'addestramento e il sostegno logistico alle forze operative. Tutto questo viene condotto sulla base dei compiti del modello professionale, fissato dalla legge 331 del 2000, a 190 mila uomini, che si sta rivelando attagliato alle esigenze, anche se il suo perfezionamento, con particolare riferimento alla distribuzione delle risorse umane, era previsto nel 2021. Sto parlando in particolare della quantità nei vari gradi e nei vari ruoli, che necessita di tempi molto lunghi per giungere al suo stadio finale.
Questo è stato possibile solo grazie all'elevato grado di flessibilità e allo spirito di sacrificio del personale, che spesso è costretto a operare in condizioni non ottimali, tenuto conto dello scostamento esistente, in termini di volumi organici, dei differenti ruoli e nonostante la disponibilità di risorse finanziare in questi ultimi anni sia sensibilmente inferiore a quella dei maggiori partner europei.
Tutto ciò inoltre deve essere letto in combinazione con le esigenze discendenti dagli scenari operativi, che determinano una stretta aderenza delle Forze armate italiane agli standard qualitativi dell'Unione e della Nato, che significa disporre di mezzi tecnologicamente avanzati, che sono l'unica garanzia di interoperabilità, di efficacia e di diminuzione dei rischi di perdite di vite umane, nostro obiettivo prioritario, tenendo conto che si opera per il mantenimento della pace e non per operazioni di combattimento ad alta intensità.
Nel quadro generale finora descritto, emerge con chiarezza come le Forze armate italiane rappresentino un potente strumento di politica estera a disposizione del Parlamento e del Governo. Nel corso degli ultimi anni, esse hanno dimostrato di saper rispondere con efficacia a tutte le richieste del Paese, ricevendo apprezzamenti in ambito interno e internazionale,


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quindi dando efficacia alla politica estera della Nazione, sebbene fosse in atto il loro riordinamento.
In virtù del sacrificio che ciò ha comportato e continua a comportare anche in termini di vite umane, le Forze armate necessitano di un costante avallo politico e sociale e devono possedere capacità adeguate per poter continuare ad operare e a confrontarsi ad adeguato livello nei contesti internazionali.
Di conseguenza, risulta essenziale continuare ad assicurare l'efficienza delle Forze armate e le capacità che attualmente possono esprimere e contestualmente migliorare nel tempo tali capacità secondo gli standard stabiliti dalla Nato e in aderenza alle linee di sviluppo che i maggiori Paesi dell'Unione europea e della Nato seguono in campo militare. Tutto ciò se si vuole continuare a esercitare il ruolo finora svolto in campo internazionale dal Paese a supporto della propria politica estera e di sicurezza.
In questa autorevole sede istituzionale, desidero sottolineare che, quando si parla di esigenze dello strumento militare con riferimento all'avallo politico e sociale, si intende che, oltre agli atti formali che sostanziano l'impiego delle Forze armate, si generi quel consenso generale indispensabile per far bene operare gli uomini e le donne della compagine militare e, di conseguenza, le risorse umane e finanziarie necessarie per sostenere gli impegni.
Quando si parla di capacità operative, invece, i termini di riferimento sono gli standard Nato, da rispettare per poter operare congiuntamente con gli altri Paesi, la motivazione del personale e le risorse umane e finanziarie necessarie per esprimerle, strettamente interconnesse fra di loro.
Il tutto trova sostanza nel bilancio della Difesa, che rappresenta lo strumento in cui la volontà socio-politica e le capacità militari devono trovare realizzazione. Le risorse rese disponibili per la funzione Difesa devono infatti essere coerenti con gli impegni affidati per legge e per mandato parlamentare alle Forze armate, nonché agli impegni operativi richiesti sia sul territorio nazionale che al di fuori di esso. Senza questa coerenza, le conseguenze sono ben immaginabili.
Il bilancio della Difesa esprime le risorse che vengono effettivamente destinate alle Forze armate per assolvere i loro compiti. Tecnicamente, esso è diviso in funzione Difesa propriamente detta, relativa ai compiti prettamente militari delle Forze armate (Esercito, Marina e Aeronautica), funzione sicurezza pubblica, relativa all'esigenza dell'Arma dei carabinieri, funzioni esterne, che comprendono le spese per attività affidate alla Difesa - norme legislative o direttive governative - che possono essere il rifornimento idrico alle isole minori, i contributi a enti o associazioni, il trasporto aereo di Stato, l'assistenza al volo su aeroporti militari aperta al traffico civile e numerose altre, le pensioni provvisorie, che includono il trattamento di quiescenza del personale cessato dal servizio permanente e collocato in ausiliaria e prima che il relativo onere sia assunto dagli organi previdenziali.
Le risorse interessano dunque il sostegno di tre fondamentali settori: il personale, l'esercizio e l'investimento.
Ritengo opportuno approfondire le problematiche relative al bilancio della funzione Difesa. Le spese relative al personale sono incomprimibili, in quanto comprendono gli oneri fissi, gli stipendi e le risorse per la cosiddetta concertazione.
Le spese di esercizio funzionamento comprendono ciò che fa funzionare lo strumento militare. Esse sono sostanzialmente diverse da tutti gli altri comparti della pubblica amministrazione, in quanto vi sono ricompresi gli oneri per l'addestramento, la manutenzione e le scorte, che consentono di approntare lo strumento militare per l'impiego, oltre che per sostenere l'ordinario funzionamento delle strutture, come per le altre pubbliche amministrazioni.
Di conseguenza, il settore esercizio è vitale per l'output operativo e per la stessa sicurezza del personale. L'investimento è destinato ad adeguare le capacità operative nel tempo, mediante l'acquisizione di


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mezzi e sistemi d'arma sempre più adeguati, in linea con gli sviluppi dei maggiori Paesi Nato e dell'Unione europea, al fine di conseguire sempre maggiori condizioni di efficacia e di interoperabilità.
Per quanto concerne le risorse rese disponibili per l'assolvimento dei nuovi compiti istituzionali, c'è da notare che sino al 2004 l'evoluzione delle risorse finanziarie destinate alla funzione Difesa era sufficientemente coerente con i compiti della struttura e dello strumento, come configurato dal processo di professionalizzazione approvato dal Parlamento.
A partire dal 2004 si è registrata una fortissima compressione delle disponibilità generali, pur in presenza di un sensibile incremento delle spese di personale, conseguente alla professionalizzazione, che assume tratti di drammaticità nel 2006, laddove presenta un volume di bilancio inferiore di circa 3 miliardi di euro rispetto a quello atteso in base alle proiezioni tendenziali.
Nel 2007, si è registrato un progressivo percorso di riequilibrio delle dotazioni finanziarie, indirizzato a un sostegno della capitalizzazione capacitiva dello strumento operativo, esercizio e investimento, che tuttavia rimane ancora inferiore al normale trend evolutivo del bilancio e ancora disequilibrato nelle sue componenti. Dal confronto con i maggiori partner europei si evince che l'Italia destina alla funzione Difesa quote rispetto al PIL inferiori. Con riferimento al 2007, infatti, l'Italia ha impegnato lo 0,94 per cento del PIL a fronte di una media europea dell'1,42 per cento, con punte dell'1,73 in Francia e del 2,2 in Gran Bretagna.
In merito all'equilibrio dei tre fondamentali settori, si dovrebbe tendere a una ripartizione del bilancio per cui il 50 per cento delle risorse sia destinato al personale e la restante parte suddivisa nel 25 per cento per l'esercizio e 25 per l'investimento. In realtà, per l'Italia tali valori tendenziali erano presenti nei primi anni 2000 e sino al 2002-2003.
Successivamente, l'effetto della diminuzione nel bilancio, combinato con il previsto effetto dell'incremento delle spese per il personale, legato appunto al processo di professionalizzazione, ha portato a un disequilibrio del sistema militare, facendo sì che le spese di personale incidessero ben più del 50 per cento, giungendo a una punta massima del 72 per cento nel 2006, comprimendo di fatto esercizio e investimento. Essendo le spese del personale incomprimibili e quelle di investimento altrettanto non comprimibili, in quanto legate anche a impegni e accordi internazionali cui era impossibile sottrarsi, dei tagli degli ultimi anni ha risentito in modo drammatico l'esercizio, elemento determinante per l'output operativo delle Forze armate.
Sono stati messi a confronto i principali indicatori di output delle diverse componenti, attività addestrative principali, esercitazioni per l'Esercito, ore di moto per la Marina, ore di volo per l'Aeronautica. Il grafico evidenzia curve di andamento degli indici di attività del tutto analoghe rispetto all'andamento delle disponibilità finanziarie, abbattimento dell'attività dal 30 al 50 per cento, evidenziandone quindi la stretta correlazione, ma con un differimento temporale di circa uno o due anni. Ciò è dovuto principalmente all'impiego del volano rappresentato dalle scorte dei materiali (carburanti, munizioni, pezzi di ricambio), che dovrebbero essere man mano reintegrate, e anche ai tempi contrattuali di acquisizione di beni e servizi. È necessario considerare inoltre l'applicazione dei principi legati al risk management, che comportano il rinvio di alcune attività, pur necessarie, a favore di altre di maggiore priorità per l'impiego operativo. Analogamente, il percorso di progressivo recupero delle mancate disponibilità finanziarie di oggi potrà produrre effetti significativi non prima di uno o due anni.
Effettuare meno ore di moto, di volo e meno esercitazioni significa poter contare su un numero più ristretto di personale e di assetti adeguatamente addestrati da impiegare in missioni internazionali. Si avvia così un ciclo perverso, che vede impiegata con maggior frequenza una percentuale ridotta dello strumento militare


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nazionale, provocando un rapido decadimento operativo, l'aumento dei rischi correlati e l'aumento esponenziale della possibilità che avvengano incidenti.
La riduzione delle risorse ha generato i seguenti effetti: riduzione dei livelli di addestramento e prontezza dello strumento militare; riduzione del livello di efficienza e della disponibilità operativa di mezzi e sistemi quali automezzi, unità navali, assetti aeronautici; forte riduzione dei livelli di scorte di materiali, combustibili e dotazioni; incremento della situazione debitoria delle spese obbligatorie, quali fitti, canone smaltimento rifiuti, assicurazioni, bollette di luce, gas e acqua; riduzione dei servizi in outsourcing, con impiego in compiti non operativi del personale militare; forte impatto negativo su aspetti direttamente connessi alla vita e alla motivazione del personale, come trasferimenti, straordinari e servizi; riduzione delle capacità operative delle Forze armate al di sotto degli standard Nato.
Tutto ciò premesso, si comprendere bene che è stato quindi possibile assolvere tali compiti soltanto grazie allo spirito di sacrificio del personale, attingendo a scorte ormai esaurite, munizioni e parti di ricambio, e sacrificando al limite della sopravvivenza tutti gli enti e le unità non destinate alle missioni fuori area.
Per quanto riguarda l'investimento, è opportuno evidenziare in primo luogo la considerevole portata temporale dei programmi correlati, la cui conclusione richiede talvolta 15-20 anni. Conseguentemente, si rende necessario predisporre di una pianificazione di medio-lungo periodo, basata su un flusso di risorse certo e costante nel tempo e che assicuri con le tempistiche previste la disponibilità di capacità operative adeguate a sostenere il livello di impegno assunto dal Paese anche in consessi internazionali.
È sempre più frequente lo sviluppo di programmi di ammodernamento in contesti di cooperazione internazionale, che, oltre ad assicurare generalmente il ritorno industriale al sistema Paese, prevedono anche forti disincentivi alla riduzione unilaterale del livello di partecipazione nazionale.
Riduzioni non programmate delle disponibilità finanziarie nel settore dell'investimento comporterebbero quindi seri rischi di insolvenza a livello internazionale.
Sempre in relazione all'investimento, ho evidenziato anche l'indispensabile apporto fornito dal Ministero dello sviluppo economico per il sostegno dei settori industriali e dei programmi ritenuti strategici o di alta valenza anche per il settore produttivo industriale nazionale.
Tale indispensabile apporto ha considerevolmente contribuito a superare il gap finanziario del 2005-2006 e si dimostrerà vitale anche per gli anni a venire, alla luce degli indirizzi programmatici del Governo.
La sinergia programmatico-finanziaria fra Difesa e il Ministero per lo sviluppo economico è dunque fattore indispensabile per il sostegno della componente industriale, tecnologicamente più avanzata del nostro Paese, e garantisce in definitiva la presenza nazionale in settori altamente competitivi e vitali per il contributo diretto e indiretto allo sviluppo economico del Paese.
Negli ultimi anni, quindi, in materia di bilancio della Difesa si è verificata una diminuzione delle risorse dal 2004 a fronte di impegni operativi crescenti, un sensibile squilibrio della ripartizione fra personale, esercizio e investimento, che ha causato forte sofferenza nell'esercizio e consentito il mantenimento dei programmi di investimento già avviati solo grazie al contributo del Ministero per lo sviluppo economico.
A fronte di tale situazione, la Difesa ha reagito con alcune misure nei settori del personale e dell'esercizio. Si è giunti al limite, essendo state azzerate le scorte e i margini di flessibilità adottati al fine di consentire allo strumento di reagire anche in caso di crisi improvvisa.
Per quanto riguarda il personale, il modello professionale stabilito dalle leggi del 2000 e del 2001 prevedeva che entro il 2007 il personale diminuisse fino a raggiungere


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un volume complessivo di 190 mila unità: 112 mila per l'Esercito, 34 mila per la Marina e 44 mila per l'Aeronautica. Questo obiettivo è stato raggiunto.
Per quanto riguarda invece le categorie, entro il 2021 occorre raggiungere ben determinate entità di personale collegate alla graduale professionalizzazione: 22.250 ufficiali, 22.415 marescialli, 38.532 sergenti e 103.803 volontari, di cui circa 61.000 in servizio permanente.
Scopo della legge è diminuire gradualmente l'entità di ufficiali e marescialli man mano che aumenta l'entità e l'anzianità dei sergenti e dei volontari, che potranno assumere le funzioni oggi in gran parte svolte dai marescialli. Per accelerare il processo, la legge prevedeva anche una norma di transito di ufficiali e marescialli nella pubblica amministrazione.
In realtà, come si evidenzia nella lastrina proiettata in questo momento, attualmente esiste ancora una notevole eccedenza nei ruoli degli ufficiali e dei sottufficiali, mentre rimangono carenti le categorie iniziali, truppa e sergenti. Il bilancio è negativo rispetto alle 190 mila unità previste dalla legge, perché quest'ultima prevede un ben definito budget annuale per il personale e quindi, mantenendo in servizio categorie più costose, occorre limitare il reclutamento di sergenti e volontari.
Tale situazione è stata però prodotta da due fattori fondamentali: l'aumento dei limiti di età nel frattempo intervenuto - per i sottufficiali da 56 a 60 anni -, con una conseguente permanenza in servizio di un notevole numero di quadri, e il mancato funzionamento della norma che avrebbe dovuto consentire il transito di ufficiali e sottufficiali nella pubblica amministrazione, ove è invece intervenuto il blocco delle assunzioni. Di conseguenza, le Forze armate si sono trovate a dover necessariamente continuare a reclutare i volontari dalle accademie, limitando però i reclutamenti per rientrare delle spese.
Nel 2008, è quindi prevista una forza bilanciata di quasi 187 mila unità, circa 3 mila al di sotto dei volumi consentiti dalla legge. Peraltro a latere è doveroso precisare che le Forze armate hanno non esuberi, come talvolta viene riportato, bensì carenze. I cosiddetti esuberi nelle categorie ufficiali e sottufficiali sono invece oggi assolutamente necessari alle Forze armate, finché non si avranno volontari in numero sufficiente, pena l'insostenibilità delle capacità operative.
Oltre a provvedere a contenere il reclutamento di ufficiali e sottufficiali, nel 2005 è stata approvata una norma di esodo agevolato di circa 400 quadri all'anno fino al 2021 soprattutto di sottufficiali anziani, per accelerare questo riequilibrio. Ora, sarebbe assolutamente necessario rifinanziare tale norma, per accelerare il processo di diminuzione di ufficiali e marescialli ed avere un più rapido aumento di volontari.
In tal senso in passato, sono già state avanzate proposte al Ministro e a breve saranno rinnovate, tenendo presente che nel contempo ciò comporterà una diminuzione delle spese per il personale dovendo pagare categorie meno costose.
Occorrerebbe disporre di un finanziamento di circa 25 milioni di euro per il 2009, 75 milioni di euro per il 2010, e 135 milioni di euro annui fino al 2021 per «esodare» circa 1.000 unità all'anno, 200 ufficiali e 800 sottufficiali. L'altra possibilità del transito in altre amministrazioni, ancorché perseguibile - nella legge finanziaria era inserita una norma per il transito nelle forze di polizia - non avrebbe comunque la stessa efficacia della predetta norma di esodo. Tutto questo è necessario per dare attuazione al modello a 190 mila approvato dal Parlamento.
Per quanto concerne le prospettive per il 2009, continuando a dare attuazione, pur con i limiti descritti, al modello a 190 mila, le spese per il personale sono state previste in 9,7 miliardi di euro nell'ambito del progetto di bilancio presentato in sede ministeriale. Per quanto riguarda l'esercizio, tenuto conto delle reali esigenze operative funzionali e del limite delle scorte dei pezzi di ricambio ormai raggiunto per effetto dei tagli ultimi anni, l'esigenza minima quantificata per il 2009 è di 3,4 miliardi di euro. Per l'investimento, l'esigenza


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è pari a 4 miliardi di euro. Il totale delle esigenze per le tre Forze armate, formalizzato a livello ministeriale nel progetto presentato per il 2009, è quindi di 17,1 miliardi di euro, cui viene aggiunta la spesa per i Carabinieri per altri 5,8 miliardi ed altre minori per un totale di circa 23,3 miliardi di euro, con un incremento complessivo di 2,2 miliardi di euro rispetto all'anno 2008.
Dalle norme inserite nel decreto-legge n. 112, si rileva invece come gli sforzi sin qui effettuati rischino di essere completamente annullati. Nel campo del personale delle tre Forze armate, si prevede infatti una riduzione del processo di professionalizzazione del 7 per cento nel 2009 (meno 50 milioni) e del 40 per cento nel 2010 (meno 304), con evidenti ripercussioni sull'effettiva realizzabilità di quanto a suo tempo deciso dal Parlamento. L'applicazione si concretizzerebbe in una forte riduzione dei reclutamenti di ufficiali e sottufficiali, soprattutto volontari, nel 2009, con circa 7 mila unità in meno.
I reclutamenti sarebbero destinati a diventare pressoché nulli nel 2010 e per almeno 5-6 anni, in quanto occorrerebbe attendere l'avvenuto esodo del personale più anziano per ricominciare a reclutare.
Questo implicherebbe dal 2010 una sospensione per anni del sistema scolastico delle Forze armate, accademie e scuole varie, per assenza di personale da formare, con conseguente inattività del relativo personale istruttore, perdita di pregiato know how e di contatti con analoghe strutture internazionali, con le quali collaboriamo a livello formativo.
In pochi anni, inoltre, si provocherebbe un invecchiamento dello strumento militare, che porterebbe inevitabilmente a interrompere il naturale compimento del cosiddetto ciclo operativo per la predisposizione e approntamento del personale impiegato nelle rotazioni presso i teatri operativi.
È doveroso considerare che, anche azzerando tutti i reclutamenti, si realizzerebbe una somma di soli 190 milioni di euro e per recuperare i rimanenti 110 previsti in base al decreto-legge occorrerebbe razionalizzare altre strutture, laddove circa 580 sono già state razionalizzate o soppresse.
Si avrebbe comunque un'ulteriore incidenza nel settore esercizio e investimento.
Nel settore esercizio delle tre Forze armate, il complesso delle previsioni del decreto-legge n. 112 citato configura per il 2009 una disponibilità di 1,8 miliardi di euro, a fronte dei 3,4 del progetto proposto, e di 2,7 miliardi di euro rispetto al 2008, con prospettive per il 2011 ulteriormente peggiorative. In pratica, si tornerebbe a livelli monetari inferiori a quelli del 2006.
Ciò annullerebbe quanto è stato posto in essere negli ultimi anni con enormi sacrifici da parte del personale della Difesa, portando il Dicastero a una situazione di imprevedibilità e di insicurezza programmatica, che impedirebbe qualsiasi applicazione delle tecniche di risk management attuate per fronteggiare una contingente situazione critica finanziaria. Verrebbe pregiudicata l'efficacia operativa dello strumento militare, gravando ulteriormente sulla forzata diminuzione delle attività addestrative principali - esercitazioni per l'Esercito, ore di moto per la Marina, ore di volo per l'Aeronautica - con l'impossibilità di assolvere tutti i compiti operativi e la diminuzione dei margini di sicurezza nell'impiego, giacché minore addestramento equivale a maggiori rischi.
Nel settore dell'investimento delle tre Forze armate, si prefigurano circa 2, 9 miliardi di euro a fronte dei 4 miliardi proposti e dei 3,6 miliardi per il 2008.
La contrazione delle prevedibili disponibilità per l'investimento comporterebbe un forte rallentamento dell'adeguamento tecnologico della Difesa, peraltro legato in moltissime settori a sistemi acquisiti negli anni Settanta e quindi ormai giunti oltre i limiti dalla vita tecnica.
Nel settore industriale, si determinerebbe un forte impatto negativo sulle attività legate al settore della Difesa, a causa della sospensione e dell'annullamento del lancio di nuovi programmi di approvvigionamento.


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Si avrebbe inoltre un blocco nel settore dei programmi internazionali, con una conseguente sospensione del rilascio verso l'industria nazionale di tecnologia avanzata.
Ciò determinerebbe in breve tempo l'impossibilità di concorrere allo sviluppo e alla costruzione di sistemi tecnologicamente avanzati.
Si avrebbe infine il mancato raggiungimento degli obiettivi capacitivi della Nato, con la conseguente impossibilità di partecipare al mantenimento delle forze ad alta ed altissima prontezza, che richiedono caratteristiche di interoperabilità spinte al massimo.
Nel complesso, con il decreto-legge n. 112, il bilancio delle tre Forze armate sarebbe di 14,3 miliardi di euro, inferiore di 2,8 miliardi rispetto ai 17,1 del progetto e inferiori di 1,1 rispetto a quello del 2008.
Per tutta la Difesa, Carabinieri compresi, si tratterebbe di 3 miliardi di euro in meno rispetto al progetto di bilancio e di 800 milioni in meno rispetto al 2008.
Altro oggetto di fondamentale importanza è relativo alla condizione militare, per la quale anche il Ministro della difesa ha ricevuto recentemente dalla rappresentanza militare istanze ben definite, che non troveranno alcun riscontro positivo all'interno del testo normativo del decreto-legge; al contrario per alcune di esse la norma prevista risulta persino penalizzante. Esiste pertanto una fondata preoccupazione per una prospettiva futura non favorevole per l'approntamento e il mantenimento delle capacità operative dello strumento militare, se non interverranno segnali positivi di inversione tendenziale del settore.
Ribadisco a tal fine che sul piano finanziario appare ormai improcrastinabile prevedere un flusso coerente e costante di risorse, commisurato per volume e disponibilità temporale al sostegno di programmi di reclutamento, formazione, addestramento, mantenimento in efficienza degli assetti in inventario, nonché di ammodernamento, rinnovamento e adeguamento tecnologico, generalmente a valenza pluriennale, svolti principalmente in cooperazione internazionale di tutti i mezzi materiali.
Il progetto originario predisposto dal Dicastero rappresentava un tassello chiave di questo mosaico temporale, secondo una logica di graduale incremento programmatico delle risorse.
Come già affermato dal mio predecessore, non sono venuto qui a chiedere fondi, ma a rappresentare la peculiarità del mondo con le stellette e le attese per quanto i nostri uomini e le nostre donne fanno quotidianamente e per quello che essi rappresentano, il nostro Paese.
Avviandomi al termine di questa esposizione, che mi spiace sia stata così lunga, vorrei formulare alcune considerazioni conclusive. Con riferimento alle tre Forze armate, lo strumento militare cosiddetto a 190 mila unità, definito dal legislatore intorno all'anno 2000, ha una prospettiva di completamento nel 2021. Oggi, pertanto, non siamo neppure alla metà del suo processo transitorio di sviluppo. Nonostante questo, sono stati compiuti grandi passi avanti, considerando i quasi 580 enti e unità riorganizzati e soppressi, l'anticipo di due anni al 2005 della completa professionalizzazione, l'immissione del personale femminile, una media di impiego operativo fuori area di oltre 9 mila militari all'anno, nonché la proiezione anche in teatri lontanissimi di una notevole mole di mezzi e sistemi d'arma, di assetti navali e aerei.
Con riferimento al modello organizzativo delle Forze armate realizzato in termini di organi operativi, di comando e controllo, formativo e logistico, è opportuno evidenziare come, sebbene ancora perfettibile, abbia dimostrato di saper rispondere alle esigenze, considerando che tutti i compiti affidati sono stati svolti nonostante la trasformazione in atto. Dal punto di vista quantitativo, il modello a 190 mila ha dimostrato di essere coerente con i compiti affidati alle Forze armate e con il ruolo dell'Italia nel contesto internazionale. Nel campo della stabilità e sicurezza, il nostro Paese ha infatti potuto


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collocarsi fra le maggiori nazioni contributrici anche in virtù dell'apporto delle sue Forze armate.
Si è inoltre intrapreso un ciclo virtuoso in materia di reclutamento, che consente di soddisfare le esigenze funzionali e di dare prospettive certe di impiego nelle Forze armate e di polizia soprattutto ai volontari, e di fornire un'ulteriore prospettiva occupazionale ai giovani che intendano servire il Paese in uniforme.
Dal punto di vista della qualità di tale apporto, il Paese può essere giustamente orgoglioso di quanto le Forze armate e l'Arma dei carabinieri hanno fatto e stanno facendo a sostegno della stabilità internazionale e della pace, e per il prestigio che esse hanno saputo conquistarsi.
Il livello capacitivo raggiunto tanto in materia di preparazione quanto di disponibilità di mezzi e sistemi d'arma adeguati agli alti standard richiesti a livello Unione europea e Nato è risultato anch'esso sufficientemente adeguato, nonostante risorse non sempre ottimali e certamente inferiori a quelle dei maggiori Paesi europei. In prospettiva futura, è stata avviata una pianificazione di adeguamento tecnologico in materia di equipaggiamenti e misure di protezione del personale sostanzialmente in linea con le esigenze dei futuri scenari. Tale pianificazione appariva sufficientemente compatibile con la linea di tendenza delle disponibilità di risorse finanziarie, sulla base del trend di leggero recupero intrapreso di recente. Non bisogna inoltre dimenticare che con lo sviluppo tecnologico del settore della Difesa, infatti, si valorizzano anche le capacità industriali nazionali, con positivi riflessi sullo sviluppo del Paese.
In questo quadro vanno ora a innestarsi i provvedimenti economici contenuti nel decreto-legge n. 112, che avranno un impatto operativo e finanziario sullo strumento militare talmente critico da richiedere un'attenta riflessione soprattutto a livello parlamentare sulle Forze armate del Paese. Con tali provvedimenti economici, infatti, da un lato si produrrebbe in brevissimo tempo un decadimento verticale delle attuali capacità operative e delle efficienze delle Forze armate in tutte le sue componenti, con il risultato di trasformare lo strumento militare in un nuovo tipo di ammortizzatore sociale, erogatore di soli stipendi, dall'altro, si avrebbe la definitiva perdita di coerenza del modello a suo tempo approvato dal Parlamento con i compiti da assolvere.
Appare allora inevitabile porsi il problema non solo della validità del modello a suo tempo approvato, ma del ruolo stesso che nei prossimi anni il Paese vorrà assumere nel contesto internazionale, soprattutto in quella che è oggi la priorità delle priorità: la stabilità e la sicurezza internazionale.
Non credo infatti sia formalmente corretto introdurre attraverso provvedimenti di natura sostanzialmente finanziaria una modifica dell'assetto della Difesa a suo tempo determinato dal Parlamento con amplissima convergenza.
È quindi auspicabile effettuare a priori una scelta: continuare ad esercitare il ruolo odierno sulla scena internazionale, quindi assicurare alle Forze armate, strumento fondamentale per la concretizzazione di tale ruolo, le risorse e i mezzi finanziari, o rivedere e ridimensionare tale ruolo e di conseguenza anche le Forze armate.
Personalmente, come Capo di stato maggiore della Difesa e come cittadino italiano, sarei orgoglioso della citazione della prima ipotesi. Tuttavia, come Capo di stato maggiore della Difesa sono ovviamente pronto ad eseguire la volontà del Parlamento in caso di scelta diversa.
Ritengo invece poco decoroso continuare a vivere nell'incertezza di prospettive per la dignità di tanti uomini e donne, che in questi anni ed in questo momento tanto hanno dato e tanto stanno dando al Paese per l'immagine stessa dell'Italia nel mondo. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie, signor generale, per l'importante ed esaustiva relazione e anche per le riflessioni cui ci induce. Do ora la parola e deputati che intendano formulare domande o chiedere chiarimenti.


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FRANCESCO BOSI. Caro generale, pur conoscendo abbastanza lo stato dell'arte, ovvero le condizioni critiche nelle quali versa lo strumento militare per la nota mancanza di risorse a partire soprattutto dal 2006, il quadro sembra oggi talmente grave e foriero di conseguenze negative da apparire mortificante per tutti noi che ci occupiamo di problemi della Difesa.
Si prova disagio, mortificazione e anche rabbia per questa questione così importante che diventa ancora più grave e drammatica, se si considera il valore dei nostri militari, che in tutti gli scenari internazionali riescono a compiere il loro dovere, a dare prestigio rendendo onore all'Italia e rappresentando un'immagine positiva.
I tentativi di discussione e di apporti costruttivi ai provvedimenti delle leggi finanziarie evidentemente si traducono in un nulla di fatto, perché si pongono i voti di fiducia, come è accaduto con il precedente Governo e sta accadendo con questo.
Manifesto la mia disponibilità dichiarando che, proprio in virtù della responsabilità come Commissione Difesa, subito dopo la vicenda della legge finanziaria, rispetto alla quale siamo totalmente disarmati, dovremo intraprendere una iniziativa, una risoluzione, una discussione al Parlamento. Dinanzi a una questione di questa portata per l'incidenza sull'immagine dell'Italia, sulla nostra politica estera e sulle relazioni internazionali e anche per i valori etici e morali cui si accompagna, il Parlamento deve essere rapidamente investito della scelta sul futuro delle Forze armate.
Qui mi fermo, perché il discorso ci porterebbe lontano, però ho tenuto a fare questa dichiarazione e desidero manifestare al Capo di stato maggiore della Difesa, generale Camporini, che conosco da tanti anni, la mia personale disponibilità a lavorare a fianco delle Forze armate con tutte le energie disponibili.
Di tanto in tanto, quando si compiono analisi quali la sua, qualcuno propone di rivedere il nostro modello di difesa, non più a 190 mila unità ma a meno, individuando una dimensione minima, ma adeguata ai pochi fondi a disposizione. Lei ci ha fatto però toccare con mano come tagliando non si eliminino, bensì si aumentino gli sprechi, perché uno strumento che funziona male induce a sprecare soldi.
Personalmente, sono contrario a tornare indietro rispetto ai 190 mila, cifra che ritengo adeguata agli impegni internazionali assunti, ma vorrei sapere se allo studio vi sia questa ipotesi.
L'altra questione di dimensioni minori ma di attualità riguarda i caveat. Abbiamo avuto due versioni, una del Ministro degli esteri che ne ha annunciato l'eliminazione in Afghanistan, una del Ministro della difesa che ha invece parlato del mantenimento dei caveat riducendo i tempi delle extremis operation a 6 ore anziché 72. Mi sembra di capire che per garantire le 6 ore occorrerebbero mezzi di trasporto e contingenti pronti al combattimento in tempi molto rapidi. Le sarei grato, se potesse fornirci qualche delucidazione in merito.

PRESIDENTE. Se siete d'accordo, concentrerei le risposte alla fine. Pregherei i colleghi di essere più sintetici nel formulare le domande, giacché le valutazioni politiche potranno essere espresse nella sede opportuna. Non disponendo di un tempo illimitato, mi sembra giusto garantire a tutti la possibilità di formulare domande e al generale Camporini un tempo adeguato per rispondere.

FILIPPO ASCIERTO. Signor generale, ho ascoltato con molta attenzione la sua relazione che è stata estremamente chiara, ma ha dipinto un quadro che sulla base di questa illustrazione definirei drammatico. Ritengo viceversa che la situazione sia grave, ma non drammatica, in primo luogo perché non si è manifestata in questi ultimi cento giorni, ma viene da ben più lontano.
Esistono precise responsabilità sotto il profilo politico, che però anche lo stato maggiore dovrebbe in parte assumersi, soprattutto rispetto a sprechi che non sono stati mai eliminati nel corso di questi anni - non gliene sto facendo una colpa -,


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di situazioni talvolta incancrenitesi per scarso decisionismo nei vertici militari.
Desidero puntualizzare alcuni punti, anche se purtroppo dovrò seguire le sue risposte attraverso la registrazione che andrà in onda e attraverso il resoconto stenografico.
Questi problemi si risolveranno in un solo modo, non attraverso un impegno o uno stanziamento maggiori, ma escludendo la Difesa dal Patto di stabilità europeo. Se infatti stiamo andando verso standard europei, abbiamo la necessità di organizzarci a livello europeo, è giusto che anche l'Europa faccia la sua parte in un contesto come quello italiano.
Ogni anno, la Difesa spreca 290 milioni di euro per la gestione di immobili, gran parte dei quali occupati da soggetti sine titulo o non ristrutturati e fermi. Vorrei sapere perché questi immobili non vengano venduti.
In questi anni, attraverso il Demanio sono state poste in vendita infrastrutture, di cui non mi risulta sia stato incamerato il corrispettivo. Una parte del ricavato doveva infatti finanziare gli investimenti della Difesa.
Per quanto concerne i volontari, lei ha dichiarato che il modello ha garantito un efficace reclutamento. Si sono create però aree di sperequazione, di precari, di persone che, dopo essere state illuse, sono state immesse nella società civile senza gli ammortizzatori che la politica aveva previsto.
Manteniamo invece un numero maggiore di ufficiali e di sottufficiali senza una prospettiva di impiego al di fuori delle istituzioni militari. Crediamo che il collocamento nelle forze di polizia sia semplice e accettato, ma personalmente non la ritengo una soluzione praticabile, in grado di soddisfare l'esigenza delle Forze armate e delle forze di polizia per ovvi motivi di impiego.
Considero invece più operativo per l'impiego dei marescialli - profilo di impiego di concetto se paragonato con la pubblica amministrazione - l'inserimento come segretari nelle procure, laddove esistono diverse carenze. Chiaramente, si deve lasciare al personale questa opportunità di scelta variando il più possibile.
Le decisioni dovrebbero essere semplificate dalla decisione politica, ma servirebbe una maggiore disponibilità operativa, perché i concetti appaiono chiari, ma nell'applicazione ravviso talvolta un arroccamento, una reticenza. Vorrei che lei mi dicesse se sto sbagliando.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. La ringrazio perché lei ha attribuito allo stato maggiore della Difesa delle competenze straordinariamente più ampie di quelle che possiede. Le ricordo come molte cose di cui lei lamenta siano decisioni del Parlamento e del Governo, sulle quali lo stato maggiore della Difesa ha espresso il suo avviso spesso contrario. Spero che me ne possa dare atto.
Lei suggerisce di togliere la Difesa dal Patto di stabilità, ma non è certo l'Italia che può deciderlo. Deve essere una decisione assunta a livello comunitario ed è stata proposta più volte dai ministri della difesa di tanti Paesi che si trovano in difficoltà come il nostro, ma è stata respinta radicalmente. L'ipotesi di ricorrere a questo strumento è dunque totalmente irrealistica.
Abbiamo effettuato un'ampia serie di ristrutturazioni ed esistono spazi per ulteriori ristrutturazioni e per ulteriori risparmi. Questi spazi necessitano però di un sostegno politico che non riusciamo ad ottenere. Le cito solo un esempio: l'Aeronautica militare ha a Caserta una scuola che originariamente era per i sottufficiali. Oggi questa scuola occupa circa 450 militari e 350 civili e organizza un corso che dura cinque mesi per 300 sergenti. Credo che nessun istituto accademico si possa permettere determinate cifre. Lei pensa veramente che sia possibile chiudere la scuola di Caserta e trasferire il personale? Io penso proprio di no: è stato proposto ed ovviamente respinto.
Esistono tante situazioni come questa, in cui le comunità e le autorità locali impediscono queste razionalizzazioni, che per noi sarebbero assolutamente indispensabili


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per attenuare il problema delle risorse.
L'impiego del personale nelle altre amministrazioni è stato previsto per legge, ma conosciamo l'esito applicativo di queste norme, che sono poco realistiche perché qualunque organismo ha una reazione di rigetto verso ogni elemento esterno anche bravissimo, come è avvenuto e probabilmente si ripeterebbe anche in futuro.
Per quanto riguarda la questione degli alloggi sine titulo, non vorrei ampliare il discorso perché potrei parlare per alcune ore. La questione degli alloggi sine titulo è prima di tutto morale, laddove centinaia di persone, approfittando del fatto che abitano in una casa dell'amministrazione, privano i loro colleghi dell'opportunità di vivere di decorosamente, avendo perso il diritto ad avere tali abitazioni.
Nella sola città di Roma - parlo dell'Aeronautica perché sono dati che conosco in ragione del mio ultimo incarico - circa 300 persone vivono in alloggi sine titulo e ci sono circa 300 domande persone che hanno diritto ad avere questi alloggi. La retribuzione media dei soggetti che occupano tali abitazioni sine titulo supera i 65 mila euro, quella di chi avrebbe diritto è di circa 30 mila euro. Una risoluzione della Commissione difesa ha bloccato qualsiasi azione di sfratto per dare a chi ne aveva bisogno e diritto quello che altri occupavano senza averne bisogno e diritto. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie, signor generale.

FILIPPO ASCIERTO. Basta vendere...

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. In tal modo premieremmo vendendo a condizioni vantaggiose a chi ha approfittato per tutti questi anni di una situazione di illegittimità.

PRESIDENTE. Onorevole Ascierto, lei ha espresso le sue valutazioni.

AMERICO PORFIDIA. Desidero ringraziare il generale per aver accolto il nostro invito e per averci illustrato lo stato delle Forze armate e della loro organizzazione. Mi è sembrato di risentire quanto già espresso pochi giorni fa in questa Commissione trattando del decreto-legge n. 112. Su questo le assicuriamo il nostro conforto, ritenendo inopportuno creare un clima di conflitto in un momento così particolare per la nostra nazione.
Dalle sue parole emerge la sua profonda consapevolezza delle difficoltà in cui l'Italia attualmente versa, ma è ben disposto a collaborare con noi.
Ci troviamo in un momento in cui vi chiediamo maggiori attività, contraddizione che anche noi abbiamo rilevato negli ultimi tempi, l'impegno di uomini sul territorio nazionale e nelle missioni all'estero cui non vogliamo rinunciare perché importanti come missioni di pace e perché rappresentano per l'Italia un modo per attuare la politica estera.
In questa Commissione abbiamo il dovere di uscire da un'incertezza in cui le Forze armate non possono rimanere, laddove esigiamo lo svolgimento di un maggior numero di compiti, mentre riduciamo drasticamente le risorse del 40 per cento. Poiché una parte della spesa della Difesa, quella per il personale, non si può ridurre anche per la politica avviata dal 2000, si devono ridurre e compattare attività necessarie per svolgere queste missioni.
Il sacrificio deve essere comune a tutte le parti. Ne constato la predisposizione da una parte e chiedo a questa Commissione anche attraverso il presidente che si prenda atto della situazione della Difesa e si sensibilizzi il Governo e il Parlamento per evitare di andare avanti in questo modo facendo venir meno uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione.

RICCARDO MAZZONI. Ringrazio anche io il generale per la sua esauriente esposizione, in perfetta sintonia con quanto le rappresentanze militari hanno dichiarato nelle ore passate.
Credo che questa Commissione abbia espresso le proprie preoccupazioni, pur rilevando come questa situazione sia maturata negli anni e oggi forse abbia raggiunto il suo punto più critico.


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Da tempo si parla di razionalizzazione delle Forze armate. All'inizio di giugno, lei, generale, ha suggerito di ottimizzare l'uso delle risorse disponibili, riducendo al minimo duplicazioni e ridondanze. Ha aggiunto che si deve andare verso un'integrazione logistica nel quadro attuale dei compiti di responsabilità delle Forze armate.
In quella occasione, lei non ha citato esempi concreti, ma oggi le chiedo se razionalizzare la logistica significhi evitare duplicazioni fra i compiti delle varie Forze armate e andare verso sinergie nell'addestramento, nella manutenzione e nella formazione del personale militare. Se questa è la razionalizzazione di cui si parla, vorrei sapere quali risparmi comporterebbe per il bilancio della Difesa.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Ringrazio il generale Camporini per la sua analisi esaustiva e approfondita soprattutto sui dati che confermano quanto conoscevamo rispetto al notevole decremento che il decreto-legge n. 112 provocherà al bilancio della Difesa.
Desidero sinteticamente porle alcune domande, che poi sono anche riflessioni da lei in parte espresse, laddove ci ha sottolineato come il modello delle Forse armate a 190 mila abbia già quasi 5.800 uomini in meno. Questo punto non è irrilevante, perché il decreto-legge n. 112 effettua una strisciante riduzione degli organici delle Forze armate attraverso interventi di finanza pubblica.
Il presidente ci ha chiesto di non esprimere valutazioni politiche; tuttavia questa è una sede di considerazioni politiche, giacché i tecnici esprimono valutazioni di natura tecnica, ma le audizioni per noi hanno una funzione diversa.
Questo esula da quello che dovrebbe essere il compito di un decreto-legge - di cui peraltro non conosciamo il contenuto, previsto nel maxiemendamento presentato ieri sera dal Governo - che stravolge quanto determinato per legge e deciso dal Parlamento. Lo stesso strumento militare, se da un lato viene ridotto negli organici, dall'altro vede diminuite le risorse economiche, come da lei ben evidenziato.
Non vorrei ribadire a questa Commissione come in tre anni si preveda un taglio di 2 miliardi e 400 milioni di euro alla Difesa, taglio che è omogeneo e lineare per tutti i dicasteri.
Mi ha molto colpito che a questo punto lei abbia fatto una proiezione in relazione non solo al minore addestramento, che significa minore capacità operativa addirittura al di sotto degli standard Nato, ovvero dei vincoli assunti all'interno di organismi internazionali, ma alla tutela e alla sicurezza dei nostri militari coinvolti nelle missioni di pace.
Desidero inoltre sottolineare la questione della dismissione degli immobili della Difesa già rilevata dal collega Ascierto. Nella prima stesura del testo del Governo si prevedeva una dismissione di immobili e di beni strumentali, facendo però riferimento a due fondi separati, uno in conto capitale e l'altro di parte corrente, scelta contabilmente conforme alla normativa vigente. Nel subemendamento passato poi in Commissione bilancio, invece, queste risorse confluiscono in un unico fondo destinato alle funzioni della Difesa.
Mi pare che questo crei innanzitutto problemi circa il rispetto delle norme generali della contabilità dello Stato, e che non si creino condizioni di certezza per quanto riguarda le scelte, rischiando di generare laceranti conflittualità all'interno delle Forze armate.
Ribadisco invece che il quadro complessivo dovrebbe essere fortemente ancorato alle scelte e agli indirizzi decisi in Parlamento, sede naturale di decisione.
Lei giustamente nella prima slide ha inserito i compiti del Capo di stato maggiore, ma, se nulla viene modificato nella Costituzione, è il Parlamento che decide ancora gli indirizzi, in relazione anche ai vincoli delle risorse.

PRESIDENTE. Onorevole Calipari, non ho alcuna intenzione di comprimere il dibattito politico, cui possiamo dedicare


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anche sedute apposite, ma vorrei semplicemente ricordare che il signor generale, non essendo un politico, deve attenersi, come ha fatto in maniera egregia, a valutazioni di carattere tecnico.
Sarebbe quindi necessario porre quesiti di carattere tecnico al signor generale, per poi magari svolgere valutazioni politiche nell'ambito di futuri dibattiti.
Sarebbe opportuno chiedere conto al Governo di queste importanti valutazioni tecniche, che ritengo non ammettono particolari repliche, in quanto da noi tutti considerate estremamente oggettive, a prescindere dalla collocazione politica.

ETTORE ROSATO. La ringrazio, signor generale, per la sua chiara illustrazione. In questo Paese rischiamo tutti di essere allenatori, quindi non voglio darle consiglio su come gestire la sua squadra di calcio. Mi sembra però che lei lamenti che, per avere una formazione in campo, occorra quantomeno pagare gli stipendi o comprare il pallone.
Desidero porle tre domande, la prima delle quali riguarda le nostre missioni all'estero. Il quadro che lei ci ha delineato è molto onesto, frutto delle scelte che le Forze armate, così come il resto dell'amministrazione, sono deputate ad applicare in base alle norme che emergono dal Parlamento.
Questo provvedimento provocherà un taglio da lei ben descritto sull'operatività e sulle risorse.
Vorrei conoscere l'effetto di tali riduzioni sulla nostra operatività nelle missioni all'estero, non nell'immediato, ma nella proiezione di quanto accadrà nei prossimi mesi, visti i nostri attuali impegni.
La seconda questione riguarda l'impegno delle nostre Forze armate nelle funzioni di ordine pubblico, anche questo di attualità imminente.
Al di là dei 31 di milioni di euro previsti per gli straordinari, vorrei sapere quale sia il costo effettivo che le Forze armate sopportano per questo intervento alla luce delle disposizioni intervenute successivamente, come il decreto-legge n. 112.
La terza questione riguarda gli investimenti. Considero necessario capire quali siano gli effetti sui nostri piani di investimento. In particolare, mi ha molto colpito l'affermazione secondo la quale i tagli previsti dalla manovra possono avere effetti sulla nostra compartecipazione a piani internazionali di investimento. Vorrei sapere quali piani di investimento debbano essere rimodulati in base alle scelte contenute nel decreto-legge n. 112.

GIULIO MARINI. Saluto il generale Camporini. Sono un po' imbarazzato perché sto carpendo la sua attenzione e quella dei colleghi per un problema territoriale. Lei ha delineato uno scenario che ha compresso il comparto della formazione professionale. In qualità di amministratore comunale, avendo nella mia città due magnifiche strutture di formazione professionale del comparto, immagino lo scenario futuro e quindi sono preoccupato. Vorrei pertanto che le amministrazioni fossero coinvolte almeno nella definizione del futuro per evitare la desertificazione di certe parti della città, trattandosi oltretutto, di due strutture di grande valore.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Sarò brevissima anche perché l'onorevole Rosato mi ha preceduta. La mia domanda è relativa alla previsione sugli effetti della drammatica situazione da lei descritta in modo chiaro e onesto - e per questo la ringrazio - sulle missioni internazionali nel dettaglio.
Poiché il decreto-legge n. 112 riguarda una manovra triennale, quindi si ragiona su un tempo non breve ma medio nel settore della Difesa, vorrei sapere se sia già allo studio una valutazione sugli effetti sulle singole missioni nelle varie realtà internazionali, se lei ritenga che in futuro sarà necessario ridurre la presenza di uomini e di mezzi in alcune missioni o comunque che il Parlamento debba valutare una riformulazione della presenza internazionale.
Vorrei avere inoltre una valutazione più approfondita su quanto questo possa


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incidere sulla nostra partecipazione al sistema di difesa europeo.

ROBERTO SPECIALE. Signor generale Camporini - il mutato ruolo mi impone di darti del lei - ovviamente è scontato il mio apprezzamento per questa relazione pregevole e completa, ma desidero sottolineare l'onestà intellettuale che traspare dalle sue parole e soprattutto l'elegante amarezza nel dipingere una situazione veramente drammatica.
Non so se riusciremo a modificare questo stato di cose ma, ove non dovesse essere, ovviamente si dovrà mettere mano a un nuovo modello di Difesa, ridefinire il livello di ambizione nazionale e internazionale e disegnare uno strumento militare coerente con le scarsissime risorse disponibili. Non intravedo altre strade.
Tecnicamente, vorrei suggerire di uscire da questo approccio fuorviante al problema. Questo non è rappresentato dal modello «A» con il numero di teste, giacché il modello viene definito anche dagli assetti operativi. Bisogna chiederci: queste portaerei, questi sommergibili ci servano o non ci servono? Chiedo poi a lei, signor Capo di stato maggiore, e ai suoi colleghi delle altre Forze armate e dei Carabinieri, con umiltà, di riposizionare al centro dell'attenzione il personale, intorno al quale deve girare tutto il resto. Senza personale soddisfatto nelle sue esigenze in termini di retribuzione, di alloggi, di equipaggiamenti degni, i più sofisticati strumenti tecnologici saranno inutili.
Poiché considero la situazione seria e drammatica, con il permesso del presidente, mi permetto di suggerire a questa Commissione un intervento determinante ed incisivo sul Governo e sul Parlamento. Giacché tutti crediamo in quanto abbiamo detto, diamoci da fare ed affrontiamo questo provvedimento!

GIANFRANCO PAGLIA. Vorrei porle, signor generale, tre domande, la prima delle quali riguarda gli alloggi.
Vorrei sapere se ritenga possibile renderli interforze. Poiché tutti hanno delle esigenze, ma spesso alcuni alloggi restano inutilizzati (faccio l'esempio di Grazianise), potrebbero forse essere utilizzati da altre Forze armate.
Per quanto riguarda il discorso dei sergenti, ho grosse perplessità, perché per fare il concorso da sergenti si deve essere in servizio permanente. Credo che la difficoltà sia proprio questa, perché, soprattutto al Sud, dopo cinque-sei anni difficilmente un ragazzo torna a studiare e decide di cambiare la propria destinazione.
Considero abbastanza difficile che un sottufficiale o un ufficiale lasci l'uniforme per andare a fare altro, soprattutto dopo un certo numero di anni. Avveniva in Aeronautica, dove gli ufficiali di complemento dopo sei anni potevano andare via; fu poi prolungata la ferma a dodici e lì si vide come, raggiunto il grado di capitano, nessuno lasciava l'uniforme.

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, do la parola al generale Camporini per la replica.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. Ovviamente, molte risposte si riferiscono a più domande, quindi non farò riferimento allo specifico quesito. L'onorevole Bosi ha chiesto se esista un'ipotesi di revisione del modello. Gli stati maggiori esistono per ragionare e fare scenari. Nel 1937, lo stato maggiore britannico completò un piano di attacco agli Stati Uniti, ma lo mise da parte perché non vi erano intenzioni aggressive.
Non abbiamo nessuna intenzione di rivedere il modello, però stiamo studiando una sua eventuale revisione. È un lavoro svolto dalla passata legislatura su direttiva del Ministro Parisi, che venne elaborato con fatica ed una certa conflittualità tra le Forze armate.
Tale studio venne presentato dall'ammiraglio Di Paola e rimase per qualche tempo sulla scrivania del Ministro, che poco prima di lasciare l'incarico me lo restituì per un ulteriore approfondimento, che mi sono riservato di avviare a valle delle decisioni finanziarie per l'anno prossimo.


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Quando avremo un quadro finanziario chiaro di quello che ci aspetta, ovviamente completeremo questo studio, che terremo rigorosamente all'interno dell'ambito militare perché puramente tecnico, in attesa delle decisioni politiche che il Parlamento e il Governo vorranno prendere.
Per quanto concerne i caveat, c'è un equivoco, giacché riducendo le ore da 72 a 6 ne cambiamo la natura, per cui si chiama non più caveat, ma remark, il tempo tecnico per consentire a me, tramite il comando operativo, la valutazione sulla possibilità tecnica-operativa di aderire a una richiesta che mi viene dal comandante del settore accanto. Non è più un caveat, quindi, però è necessario un tempo minimo per questa valutazione. Dopo 6 ore i soldati sono disponibili per intervenire.
Per quanto concerne la razionalizzazione delle Forze armate, l'integrazione della logistica, feci questo discorso al Centro alti studi della Difesa per dare un messaggio anche ai miei Capi di stato maggiore di Forza armata.
Dal punto di vista giuridico, la situazione appare molto chiara. Una legge del 1997 stabilisce le responsabilità del Capo di stato maggiore della Difesa, che, secondo le direttive del Governo e gli indirizzi del Parlamento, deve impiegare le forze. Non decido io dove andare, chiaramente me lo dite voi. Personalmente, decido se sia il caso di mandare due carri armati o quattro blindati, con la responsabilità dell'impiego operativo. Non ho nessuna intenzione di arrogarmi funzioni che non mi competono.
L'integrazione logistica è resa difficile dal quadro normativo, perché con la legge del 1997 e il regolamento del 1999 sono state fissate alcune responsabilità specifiche dei Capi di stato maggiore di Forza armata, che di fatto limitano la flessibilità nell'impiego dello strumento dell'integrazione.
Nel campo logistico, ogni Capo di stato maggiore è responsabile dell'approntamento delle forze e quindi dispone dei fondi e degli strumenti per la logistica delle sue forze. Se quindi dovessi forzare la mano, risponderei che la responsabilità è mia e non mi si può togliere lo strumento per fare ciò che la legge mi assegna come responsabilità.
Stiamo però esaminando alcune opportunità, come quella del Lead service, del servizio della Forza armata che compie lavori anche per altri con una sorta di steering board, che definisca le priorità in modo da evitare prevaricazioni. Ad esempio, tutte le Forze armate hanno elicotteri, ma non si capisce perché ogni Forza armata debba avere una sua catena logistica per la manutenzione di elicotteri, che spesso sono gli stessi, con frazionamento dei contratti, per cui ciascuna Forza armata sigla un contratto con Agusta per mantenere tre elicotteri, quando probabilmente la manutenzione di sei elicotteri costerebbe di meno. È difficile quantificare questo; si tratta di ipotesi che stiamo studiando perché siamo arrivati al limite delle possibilità con le risorse disponibili.
Nel campo dell'addestramento e dell'educazione è stata già realizzata una grossa razionalizzazione. Ogni Forza armata aveva la sua scuola di guerra. I tenenti colonnelli partivano per Civitavecchia, per Firenze o per Livorno, mentre adesso abbiamo un'unica scuola di guerra per i tenenti colonnelli a Palazzo Salviati, presso il Centro alti studi della Difesa, con risultati straordinari, perché abbiamo finalmente una classe di giovani ufficiali che si sono conosciuti sui banchi di scuola e oggi sono pronti a operare insieme, conoscendosi per nome, con la possibilità di capirsi al volo, aspetto prima impossibile.
L'effetto sulle missioni estere delle misure previste dal decreto-legge n. 112 è solo indiretto, perché le missioni vengono finanziate con un fondo a parte. Da questo punto di vista, potrebbero non esserci conseguenze, se le risorse del fondo fossero sufficienti per le missioni comandate. Per il 2008, abbiamo avuto un totale di circa 860 milioni di euro per le missioni internazionali, escluse alcune che sono finanziate fino al 31 agosto e necessitano di un'integrazione fino a dicembre, integrazione che ci è stato anticipato essere


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per un ammontare di 90 milioni di euro rispetto ai 150 milioni che avevamo chiesto.
Il totale delle risorse ammonta dunque a 950 milioni, mentre quello delle spese che nel 2008 affronteremo per le missioni estere è di 1 miliardo e 300 milioni. Questo significa prendere 350-400 milioni di euro dalle risorse del bilancio ordinario, quindi dalle risorse dell'esercizio, per ovviare a esigenze derivanti dall'impiego nei teatri operativi, che nascono dal numero di chilometri effettuati dai mezzi impiegati in Afghanistan (quindi manutenzione, pezzi di ricambio, rifornimenti).
Se i fondi per le missioni del 2009 saranno sufficienti a coprirne le esigenze, non vi saranno conseguenze nell'immediato; altrimenti occorrerà effettuare scelte che ovviamente appartengono al livello politico, in quanto noi facciamo, nel modo migliore, quanto ci viene indicato.
Oggi, esiste questo squilibrio, tanto che è stata accantonata l'ipotesi di mandare quattro tornado in Afghanistan per l'ultimo trimestre, perché costerebbe 15-16 milioni in più che non abbiamo.
L'impegno nell'ordine pubblico richiedeva 31,2 milioni nel decreto-legge n. 112, costi vivi che dobbiamo affrontare, senza addizionali. Essi corrispondono alle spese per lo straordinario, all'alloggio e al vitto di chi non può essere ospitato in caserme militari. L'impegno per l'ordine pubblico definito da questo decreto non ha costi nascosti per la Difesa e gli stanziamenti sono adeguati.
Per quanto riguarda gli investimenti di carattere internazionale, il problema è rilevante perché la maggior parte dei programmi di investimento sono in ambito multinazionale.
Il PzH 2000 per l'Esercito, il FREMM per la Marina, il Joint strike fighter per l'Aeronautica e la Marina e sono impegni per cui si sottoscrive un memorandum, che definisce l'impegno del Paese.
Rimodulare a posteriori questi programmi generalmente comporta penali superiori ai risparmi ottenuti. Si introduce quindi un ulteriore elemento di rigidità nel bilancio. A questo punto, è necessario essere molto prudenti nei programmi che si avviano.
Le attività di ripianificazione terranno conto sia della flessibilità consentita nei vari programmi, sia dell'opportunità di assumere impegni cogenti.
Sarà necessario effettuare tale lavoro su tutti i programmi, quelli già avviati e quelli in fase di sviluppo, per cui potremmo decidere di non partecipare alla fase di acquisizione.
Sarà un lavoro importante che ovviamente verrà sottoposto all'autorità politica appena delineato, per avere direttive per cambiare eventualmente anche direzione.
Concordo con l'onorevole Speciale, che s'interroga sulla necessità delle portaerei. Abbiamo infatti un problema di coerenza dello strumento, che non deve essere squilibrato, impegno che ho sottoscritto assumendo l'incarico e che riaffermo in qualsiasi momento.
Dobbiamo avere uno strumento delle dimensioni, capacitive e non numeriche, che ci vengono dette.
Quali sono le capacità che ci servono? Sono tante. L'essere umano tende a pensare che il momento in cui vive sia eterno. Nel febbraio del 1989, tutti erano convinti che la guerra fredda sarebbe continuata per i trenta anni successivi, mentre è finita dopo sei mesi. Oggi, siamo convinti il controllo delle crisi che nascono in varie parti del mondo sia lo stadio finale, che ci si debba preparare solo a questo. Dobbiamo invece essere pronti a tutto, per cui servono anche le portaerei.
Se vengono mantenuti i livelli di ambizione definiti per legge e quotidianamente illustrati a livello politico ai mass media e nell'ambito internazionale, dobbiamo disporre di una capacità di proiezione di forza che può servire in qualsiasi circostanza.
Se l'operazione Leonte, lo sbarco in Libano, fosse avvenuta in un ambiente non permissivo, avremmo dovuto utilizzare la portaerei. Tenendo conto degli equilibri, per cui non ci servono due portaerei ma probabilmente è sufficiente una sola, certe capacità devono essere conservate, perché


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non possiamo permetterci di farci trovare impreparati qualora la situazione dovesse cambiare, giacché la storia cambia molto rapidamente.
Per quanto riguarda la possibilità di rendere interforze gli alloggi, è un'idea sulla quale vale la pena di riflettere, soprattutto adesso che, grazie alla ridislocazione delle forze a seguito del mutato quadro internazionale, alcune Forze armate hanno grosse disponibilità di aree per loro inutili, che magari posso servire ad altri. Ringrazio quindi per il suggerimento, di cui terremo conto.
Per quanto concerne la disponibilità di partecipare ai concorsi, è stato citato un rischio effettivo, ma finora non abbiamo rilevato grosse difficoltà e al momento in base ai dati di cui disponiamo non sembra che ne avremo. Se il problema si presenterà, troveremo un correttivo.
Lasciare le Forze armate, cambiare uniforme, destinazione e amministrazione è un fatto traumatico per chiunque. I provvedimenti legislativi che prevedono il passaggio ad altre amministrazioni teoricamente possono essere efficaci, ma all'attuazione pratica incontrano resistenze da parte sia di chi deve partire che di chi deve ricevere, per cui alla fine si tratta di poche unità.
Per quanto concerne la questione delle dismissioni, si tratta anche di un problema di tecnica amministrativa. Alcune norme sono di difficile applicazione e di dubbia efficacia.
Desideriamo anche noi leggere il testo del maxiemendamento presentato, perché le voci sono abbastanza contraddittorie; sembrava che le Forze armate potessero dismettere investendo il ricavato per ovviare alle proprie carenze, ma successivamente sarebbero intervenuti dei ripensamenti. Dobbiamo quindi vedere il testo effettivamente presentato dal Governo.
Finora abbiamo dato alle Agenzie del demanio beni per circa 3 mila miliardi e formalmente non abbiamo avuto niente in cambio. Nelle discussioni delle precedenti leggi finanziarie, ci era stato proposto di dare 1.000-2.000 miliardi in cambio della cancellazione dei tagli corrispondenti, per cui li abbiamo indirettamente ricevuti. Ignoro la valorizzazione effettiva degli immobili e delle aree dismesse, perché tali valutazioni competono all'Agenzia del demanio. Mi auguro che i soldi da noi messi a disposizione vengano incamerati dallo Stato.
Non sono preoccupato per Viterbo, di cui è stata potenziata la struttura Aeronautica con la scuola per marescialli. Non mi risultano piani per abbandonare questa bellissima città da parte delle altre strutture militari.
Il problema però rimane, laddove, se qualcosa appare ridondante, la prima reazione che dobbiamo attenderci è quella a livello locale. Si rileva dunque un problema di carattere procedurale. Come Difesa, possiamo avanzare una proposta al Gabinetto del Ministro, che dovrà convocare i sindacati e gli enti locali per valutarne le ripercussioni in ambito locale.
Si tratta di un'attività di carattere specificatamente politico, che non dubito verrà fatta quando si presenterà il caso.
Credo di aver risposto a tutto. Vi ringrazio molto per l'attenzione e mi scuso per essermi lasciato trascinare dall'emotività, dalla passione, ma, come dissi a Parigi dopo essermi recato per la prima volta in Afghanistan, a parte gli anni passati in divisa, quando oggi viaggio nel mondo per visitare i nostri contingenti, tornando a casa mi domando se ci meritiamo questi ragazzi e queste ragazze, l'elevata qualità delle nostre truppe. Si tratta di persone capaci di svolgere il loro lavoro in ambienti durissimi.
Quando ci siamo recati con il Ministro La Russa a Farah c'erano 48 gradi all'ombra. Di giorno, è impossibile fare la doccia, perché i serbatoi sono sui tetti e la temperatura dell'acqua raggiunge 55- 60 gradi. Questo testimonia le difficoltà in cui operano questi nostri giovani, di cui dobbiamo essere orgogliosi e che abbiamo il dovere di sostenere, io per primo, affinché i loro sacrifici e i rischi talvolta mortali che corrono non siano inutili. Grazie.

PRESIDENTE. Mi scusi, signor generale, prima di concludere la seduta, in


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maniera irrituale l'onorevole Recchia vorrebbe porle una brevissima domanda.

PIER FAUSTO RECCHIA. Chiedo scusa, approfitto per un chiarimento sul suo riferimento ai caveat. Vorrei sapere se il passaggio dal caveat al remark preveda che la decisione venga assunta soltanto in capo al vertice militare o che rimanga in capo al Ministro.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. Assolutamente al Ministro.
La mia interpretazione, che non è suffragata da nessun documento, è che le 72 ore potessero essere utilizzate dall'autorità politica per un'eventuale consultazione parlamentare. È evidente invece che le 6 ore servono invece perché il comandante americano in sede o il comandante di ISAF mi inoltri la richiesta e io avvii la pianificazione e contemporaneamente sottoponga il problema al Ministro. Se il Ministro mi dice di procedere, procedo, se mi dice di fermarmi, mi fermo.

PRESIDENTE. Ringrazio il generale anche per la passione dispiegata in questa importante relazione, che sicuramente produrrà gli effetti politici necessari e conseguenti.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici)

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