Sulla pubblicità dei lavori:
Cirielli Edmondo, Presidente ... 3
Audizione del Capo di stato maggiore della Difesa, generale Biagio Abrate, nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 5569 Governo, approvato dal Senato, e C. 4740 Reguzzoni, recante «Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia» (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Cirielli Edmondo, Presidente ... 3 11 15 18
Abrate Biagio, Capo di stato maggiore della Difesa ... 3 16
Chiappori Giacomo (LNP) ... 15
Di Stanislao Augusto (IdV) ... 13
Gidoni Franco (LNP) ... 14
Recchia Pier Fausto (PD) ... 15
Villecco Calipari Rosa Maria (PD) ... 12
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa:
Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 16,05.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Capo di stato maggiore della Difesa, generale Biagio Abrate, nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 5569, approvato dal Senato, recante «Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia» e dell'abbinata proposta di legge Reguzzoni ed altri C. 4740.
Prima di dare la parola al generale Abrate, ringrazio per la loro partecipazione ai lavori della Commissione anche il generale di divisione Luigi Francesco De Leverano, Capo ufficio generale del Capo di stato maggiore della Difesa, il tenente colonnello Ascanio Silvestri, della Segreteria particolare del Capo di stato maggiore della Difesa e il maggiore Federico Iaione, aiutante in campo del Capo di stato maggiore della Difesa.
Vorrei, infine, segnalare che abbiamo testé svolto le audizioni sia dei COCER sia dei sindacati dei dipendenti civili della difesa, registrando una notevole preoccupazione da parte del personale, per cui, soprattutto su questo versante, vorremmo sentire un'opinione in merito al provvedimento.
Do, quindi, la parola al signor generale Biagio Abrate.
BIAGIO ABRATE, Capo di stato maggiore della Difesa. Signor presidente, onorevoli deputati, desidero ringraziare tutti voi, componenti della IV Commissione difesa della Camera, per la sensibilità con cui da sempre affrontate ogni singolo aspetto di interesse delle nostre Forze armate, dimostrando nei fatti una vicinanza e una partecipazione ai problemi della nostra compagine che va ben oltre il compito o il dovere istituzionale. È un'attenzione sentita, di cui gli uomini e le donne con le stellette vi sono profondamente grati e di cui hanno costantemente bisogno in quanto ciò ci consente di affrontare con la necessaria determinazione le sfide che ci attendono, sapendo di poter contare sul sostegno morale e materiale del popolo italiano che voi rappresentate.
Le Forze armate sono e saranno sempre più un pilastro della nostra Repubblica. Sono uno strumento di difesa che, dai confini nazionali, ha allargato il suo ambito operativo a ogni parte del mondo, là dove il Governo ne ha disposto l'intervento sulla base delle decisioni del Parlamento. Oggi, con l'affermarsi delle nuove tecnologie anche informatiche, le distanze fisiche hanno perso di significato. L'ampliamento del concetto
stesso di difesa degli interessi nazionali, unito alla sempre maggiore assunzione di responsabilità da parte dei principali consessi internazionali a cui l'Italia aderisce (l'ONU, la NATO e l'Unione europea), ha chiamato i nostri uomini - in trent'anni di operazioni militari all'estero, da quel lontano 1982 in Libano - a confrontarsi con realtà complesse, talvolta inimmaginabili, portando la solidarietà e l'umanità del nostro popolo e prevenendo ulteriori sofferenze a popolazioni e soprattutto ad anziani, donne e bambini già duramente colpiti dall'atrocità di una guerra oppure della fame e della povertà.
La riconoscenza di tante genti, nel momento del rientro dei nostri uomini dalle missioni, è la migliore ricompensa, nonché la chiara dimostrazione della professionalità e - mi sia consentito - del rispetto delle altrui tradizioni, religioni, culture, usi e costumi con cui interveniamo, in ogni parte del mondo. Svolgiamo un ruolo di sostegno e di ausilio, e mai di prevaricazione nei confronti di popoli spesso molto diversi da noi, ma che hanno uguale dignità.
Con questo stesso spirito di servizio e con questo senso di responsabilità con cui oggi oltre 6.000 uomini e donne operano in Afghanistan, in Libano, in Kosovo o a garanzia del libero utilizzo dei mari contro la minaccia della pirateria, solo per citare le principali attività in atto, siamo accorsi in aiuto dei connazionali colpiti da calamità naturali, dal Friuli alla Campania, dalla Basilicata all'Aquila, fino ai recenti interventi in Emilia Romagna, Liguria e Toscana.
Nell'operazione «Strade sicure», tuttora in atto in varie parti del nostro Paese, abbiamo coadiuvato e coadiuviamo le forze di polizia nel controllo del territorio, dalla Campania alla Sicilia, dalla Calabria fino alla Sardegna.
Le Forze armate hanno ben chiaro il loro ruolo istituzionale e la necessità di essere sempre pronte ad agire e a reagire senza indugi e con la massima tempestività nell'interesse degli italiani e a salvaguardia del prestigio del nostro Paese perché esse sono un patrimonio a disposizione di tutta la collettività, di cui nessuno potrà mai fare a meno, dal momento che lo strumento militare è parte integrante della stessa funzione statuale.
Uno Stato senza Forze armate, nella moderna e ampia accezione del termine, non può esistere e non può coesistere. Gli italiani devono poter contare su di noi, cioè i nostri cittadini devono poter essere certi che in ogni occasione, in Italia e all'estero, gli uomini e le donne in uniforme siano in grado e pronti ad adempiere al proprio dovere, in linea con i compiti fissati dalla Costituzione e poi esplicitati dalla legge n. 331 del 2000, ora confluita nel Codice dell'ordinamento militare.
Si tratta di compiti essenziali e irrinunciabili che riguardano la difesa dello Stato; la realizzazione della pace e della sicurezza, in conformità alle regole del diritto internazionale e alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l'Italia fa parte; il concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni; e, infine, gli ulteriori compiti specifici di intervento in caso di pubbliche calamità e di straordinaria urgenza.
È proprio la consapevolezza della nostra funzione e dei tanti importanti compiti a essa correlati che ci porta a volere a tutti costi proteggere la nostra organizzazione dal rischio, purtroppo concreto, di un progressivo decadimento operativo. Il signor Ministro della difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola, lo scorso 6 novembre, dinanzi agli onorevoli senatori riuniti in occasione del voto finale sul disegno di legge-delega ora in discussione, ha affermato che non possiamo assistere al declino del nostro strumento militare senza reagire. È proprio questo il punto. La riforma serve a noi e al nostro Paese. Forze armate che non siano in grado di operare non servono a nessuno.
Tuttavia, prima di entrare nel merito del disegno di legge, è doveroso da parte mia toccare brevemente la situazione economico-finanziaria in cui le Forze armate da anni si trovano a operare. Questo è un aspetto su cui, lo scorso 13 novembre, il presidente Cirielli si è particolarmente soffermato, alla presenza del signor Ministro della difesa, evidenziando l'entità dei
tagli subiti dalla difesa negli ultimi anni che sono stati effettuati - citando il presidente stesso - «forse in misura maggiore rispetto a ogni altro ramo della pubblica amministrazione, a fronte di livelli di sprechi assai bassi».
In effetti, la progressiva riduzione delle risorse assegnate alla funzione difesa, che in termini percentuali sul prodotto interno lordo sono passate dallo 0,93 per cento del 2007 allo 0,86 del 2012, è tanto più rilevante se posto in relazione a quanto attuato dai nostri principali partner europei, che assegnano alla funzione difesa una percentuale del PIL che si attesta su un valore medio dell'1,6 per cento, a fronte di uno 0,92 dell'Italia, secondo i dati del 2010.
I tagli alla funzione difesa operati nel tempo si sono ripercossi sostanzialmente sul settore esercizio, che sarebbe più agevole e corretto chiamare «operatività», creando un pericoloso e insostenibile sbilanciamento tra settori del personale, dell'investimento e dell'esercizio in relazione alle percentuali di riferimento tendenziali - che, dunque, non sono statuite per legge - ritenute virtuose in ambito NATO ed europeo, rispettivamente del 50, 25 e 25 per cento.
In particolare, oggi, quasi il 70 per cento del budget è assorbito dalle spese del personale, mentre rispettivamente il 12 e il 18 per cento sono devoluti all'esercizio e all'investimento, in considerazione, appunto, della riduzione del budget complessivo e della conseguente maggiore incidenza sulla quota del personale.
Ferme restando le ridotte assegnazioni complessive al dicastero, l'eccesso della percentuale di risorse assorbite al personale, per cause certamente non dipendenti dalla volontà dell'amministrazione e tantomeno del personale stesso, ha prodotto significativi riflessi negativi sul funzionamento dello stesso strumento militare.
Se è innegabile che il personale si possa considerare il motore, la mente, il cuore della nostra organizzazione, è altrettanto innegabile che senza un'adeguata preparazione professionale, senza addestramento, senza mezzi terrestri e aeronavali tecnologicamente avanzati, senza sistemi di protezione, di osservazione, di comunicazione, sistemi satellitari e di intelligence all'avanguardia - le risorse per l'esercizio incidono proprio su questi aspetti - i nostri uomini e le nostre donne in divisa rimarrebbero solo dei potenziali straordinari professionisti, purtroppo non utilmente impiegabili, e sarebbero loro stessi mortificati.
Si tratta di professionisti le cui capacità vengono costantemente riconosciute in Italia e all'estero, dall'Afghanistan al Libano. Questo livello di prestazioni e di prestigio va, quindi, mantenuto, continuando a formare e ad addestrare i nostri uomini e a dotarli di equipaggiamenti e mezzi che consentano loro di operare con efficacia, efficienza, flessibilità e in sicurezza. Dobbiamo fare questo anche per onorare il sacrificio dei nostri colleghi caduti sul campo. Essi, i nostri militari in servizio e gli italiani tutti lo meritano.
Del resto, il Ministro della difesa ha più volte ribadito l'essenza della riforma e la duplice finalità della stessa, cioè, da un lato, adeguare lo strumento militare all'evoluzione del quadro geopolitico e, dall'altro, renderlo compatibile con il quadro di finanza pubblica. L'interoperabilità con i nostri partner internazionali nei moderni scenari e il rispetto del vincolo di bilancio, ossia delle risorse che il Paese potrà prevedibilmente e stabilmente mettere a disposizione della funzione difesa, sono, pertanto, al tempo stesso, il presupposto e la ragion d'essere del provvedimento in esame.
Per il primo aspetto, ovvero l'interoperabilità, tutti noi ci rendiamo conto, anche solo dalle cronache giornalistiche quotidiane, della crescente complessità dell'impiego della componente militare. È un impiego variabile, in funzione della minaccia potenziale, oggi multiforme e mutevole perché non esiste un ipotetico nemico di cui si conoscono le intenzioni, la dottrina d'impiego e i mezzi; al contrario, siamo continuamente interessati da nuovi focolai di crisi e minacce asimmetriche, come vediamo tutti i giorni, che ci costringono a operare con la massima flessibilità e rapidità.
Sulla base di tali presupposti, nessun Paese può pensare di poter sopportare un onere finanziario che gli consenta di essere, in assoluto, autosufficiente nel settore della difesa, tanto più che gli ingenti investimenti necessari per essere al passo con l'evoluzione tecnologica sono talmente elevati che nessuno - neanche gli Stati Uniti d'America - è in grado di sostenerli.
Per il secondo aspetto, ovvero il vincolo di bilancio, essendo realisticamente improbabile un incremento delle risorse che il Paese potrà devolvere alla funzione difesa, non ci rimane altra strada che ridurre la percentuale di spesa per il personale e, quindi, snellire e razionalizzare lo strumento militare per mantenerlo efficiente ed efficace. Gestire una struttura sovradimensionata rispetto alle disponibilità finanziarie non è dunque accettabile. Questo è un problema che non può essere ignorato, né rinviato alle giovani generazioni.
Dobbiamo dare atto che si tratta, peraltro, di una riflessione già avviata dai precedenti Governi, con lo scopo di verificare la sostenibilità finanziaria. Il repentino aggravamento della crisi finanziaria ha imposto, poi, di riprendere e rivitalizzare con forza e con coraggio l'iniziativa del provvedimento che revisiona, senza modificarne il modello professionale, tutta la struttura. È un passo importante - come ha affermato il Ministro Di Paola lo scorso 6 novembre in Senato - verso quella visione europea della difesa, inserita in un forte legame transatlantico e nel contesto di legittimità rappresentato dalle Nazioni unite, da tutti fortemente auspicata. Proprio per questo non si può prescindere da una maggiore efficienza, operatività, capacità militare e tecnologia quale presupposto imprescindibile per una maggiore integrazione delle Forze armate italiane in un più ampio scenario europeo.
Ciò nonostante, per aspirare a essere più uniti e coesi all'esterno, lo dobbiamo essere necessariamente e ancor più all'interno. Nel riconoscere il grande lavoro fatto dai miei predecessori, dico che dobbiamo dare ancora maggiore impulso a rendere interforze lo strumento militare, standardizzando e razionalizzando le singole componenti di Forza armata, le strutture e i processi e mettendo a fattor comune tutto ciò che è possibile. Questa è una sfida che le Forze armate hanno già responsabilmente accettato e che sta impegnando le nostre migliori energie alla ricerca dell'auspicata sintesi.
Per fare ciò, tutte le Forze armate hanno dovuto invertire il metodo classico di pianificazione strategica, passando da quello capability driven a quello finance driven. In pratica, dalle risorse finanziarie discendono le capacità operative esprimibili, con i connessi volumi organici, le strutture e i mezzi e, di conseguenza, quello che definiamo il «livello di ambizione sostenibile». Questo è un metodo opposto a quello classico, che si può definire iterativo perché ci impone di procedere per aggiustamenti e per tentativi successivi.
Le capacità complessive, non solo quelle relative alla componente strettamente operativa, sono state suddivise in tre grandi categorie, invertendo l'ordine di priorità e procedendo, appunto, per tentativi. La prima categoria comprende le capacità non strategicamente prioritarie da dismettere e da annullare; la seconda riguarda le capacità da mantenere, previo ammodernamento e adeguamento tecnologico; infine, la terza ha a che fare con le capacità strategicamente prioritarie e vitali, da mantenere alla luce dei presenti e futuri scenari di impiego operativo, che sono tali da rendere necessario il mantenimento di un sistema militare nazionale pienamente interoperabile e interagibile con quello dei Paesi amici e alleati, proiettabile e sostenibile anche a distanza e tecnologicamente avanzato.
L'interoperabilità e l'integrazione interforze sono, quindi, le direttrici verso cui le Forze armate si dovranno e si stanno già muovendo per trasformare in azioni concrete quanto il Parlamento - mi auguro - approverà e che sarà dettagliatamente disciplinato nei discendenti decreti legislativi.
Com'è noto, sul disegno di legge-delega in esame ha influito quanto previsto dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, la cosiddetta spending review, convertito poi in
legge. Nello specifico, questo provvedimento ha indirizzato verso il risanamento della finanza pubblica i risparmi che saranno ottenuti dalla riduzione del personale nel triennio 2013-2015 dalle attuali oltre 183.000 alle 170.000 unità complessive. In linea di continuità con tale manovra, è prevista, in base al disegno di legge-delega sugli organici, l'ulteriore riduzione fino a 150.000 unità. La spending review ha, quindi, anticipato parte degli effetti del provvedimento in discussione, imponendo, peraltro, una diversa destinazione delle risorse recuperate nel triennio, nell'ottica del supremo interesse della collettività.
Oggi, il focus è il disegno di legge-delega per la revisione dello strumento militare, così come approvato dal Senato lo scorso 6 novembre. È un provvedimento strutturale che delinea il futuro delle Forze armate sulla base delle risorse finanziarie su cui la difesa potrà contare in futuro, senza chiedere risorse aggiuntive e gettando le basi per rendere lo strumento militare maggiormente idoneo ad assolvere le missioni assegnate, a fronte di un mutato quadro geostrategico.
È una riforma che, per grandi linee, contempla la stabilizzazione delle risorse destinate alla funzione difesa, riducendo l'incidenza delle spese del settore personale tendenzialmente verso il 50 per cento e reindirizzando le risorse così ottenute prioritariamente verso l'operatività dello strumento militare, cioè verso quella voce che ho chiamato «esercizio».
Si prevede la revisione in chiave riduttiva entro il 2024, prorogabile di anno in anno, delle dotazioni organiche del personale militare e civile, dirigenti inclusi. In particolare, saranno rivisti i moduli di alimentazione dei vari ruoli del personale militare e saranno applicati istituti giuridici previsti, oppure da perfezionare, per portare la consistenza delle Forze armate a regime a 150.000 unità. Il personale civile dovrà gradualmente attestarsi sulle 20.000 unità, mediante piani di riduzione coerenti con la revisione strutturale e organizzativa del dicastero e informati al principio dell'elevazione qualitativa delle professionalità.
Ancora, si prevede la riorganizzazione complessiva delle strutture di comando, logistiche, formative e territoriali, in modo da conseguire una contrazione organizzativa e strutturale non inferiore, in questi settori, al 30 per cento, con specifici interventi sui quali mi soffermerò tra poco. In conseguenza di ciò, sarà attuata la dismissione degli immobili non più funzionali alle esigenze delle Forze armate.
Si tratta di una riforma che potrei sintetizzare su tre punti chiave.
Il primo punto è la stabilità programmatica e la flessibilità di bilancio. In particolare, la stabilità programmatica costituisce un prerequisito per l'intero processo, quanto mai opportuno e da noi sempre auspicato, soprattutto in considerazione dell'orizzonte temporale pluriennale delle nostre pianificazioni, sovente vincolate da accordi internazionali che vanno necessariamente rispettati, a tutela dell'immagine e della credibilità del nostro Paese. Questo parametro, in combinazione con la flessibilità della rimodulazione delle spese, permetterà di reindirizzare all'interno del dicastero, a partire dal 2016, per effetto del citato provvedimento sulla spending review, i risparmi conseguiti, così da raggiungere prima quel risultato di riequilibrio.
Il secondo punto riguarda la riduzione del personale a 150.000 unità per quello militare e a 20.000 per quello civile. I provvedimenti sul personale rivestono un valore centrale nell'ambito della riforma e sono la cosa più complicata, in quanto prioritariamente da essi ci aspettiamo quel recupero di risorse che ci consentirà di avere uno strumento militare quantitativamente ridotto, ma qualitativamente migliore. Ricordo che il provvedimento non prevede risorse aggiuntive, ma solo una diversa redistribuzione interna. Sono molti gli strumenti allo studio per raggiungere nel 2024 l'obiettivo di 150.000 militari e 20.000 civili. La riduzione del personale è, comunque, un processo che tutti consideriamo difficile e su cui bisognerà impegnarsi con determinazione e sensibilità, nell'interesse del personale e delle stesse Forze armate.
Si taglierà prevalentemente la componente dirigenziale, con una riduzione del 30 per cento - come ha stabilito il ministro - a fronte di un 20 per cento medio, secondo quanto precisato in sede di discussione in Senato, portando entro sei anni gli ufficiali generali e ammiragli a 310 dieci unità, a fronte delle attuali 463, ed entro dieci anni i colonnelli e capitani di vascello a 1.566 unità, a fronte delle attuali 2.075. Comunque, tutte le categorie e tutti i ruoli saranno interessati.
Al riguardo, evidenzio che l'obiettivo di riduzione risulta parzialmente anticipato dalla spending review per effetto della diminuzione a 358 unità per i gradi di generale e ammiraglio e a 1.763 per i gradi di colonnello o capitano di vascello entro il dicembre del 2015. Saranno, comunque, attuate modalità operative la cui efficacia andrà verificata anche alla luce dei provvedimenti di natura legislativa e regolamentare attualmente in discussione, come la legge di stabilità, con particolare riferimento al turnover del personale, e la nuova disciplina per l'accesso alla pensione di vecchiaia e di anzianità per il personale del comparto difesa e sicurezza.
Riguardo a ciò, mi preme sottolineare che la specificità della condizione militare, prevista dall'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 e più volte richiamata nelle discussioni parlamentari, è un aspetto centrale di cui si è tenuto conto e di cui bisognerà continuare a tenerne conto per non svuotare di contenuti e di significato quanto il Parlamento ha voluto, con forza e con determinazione, affermare con una norma di rango primario.
Del resto, l'impatto dei sacrifici economici che in questo momento stanno sostenendo anche gli appartenenti al comparto difesa e sicurezza, alla pari delle altre categorie di lavoratori del pubblico impiego, è significativo. A tal proposto, non posso non ricordare il blocco degli stipendi, anche in presenza di promozioni, nel triennio 2011-2013. Tuttavia, riconosco che la gravità della situazione economica generale del Paese, così come di molti Paesi occidentali, è sotto gli occhi di tutti e richiede uno sforzo corale di tutti gli italiani, quindi anche dei militari. La difesa sta facendo la sua parte, con realismo, pragmatismo, lungimiranza e senso di responsabilità.
Tornando alla revisione in senso riduttivo delle dotazioni organiche complessive del personale militare e civile, voglio evidenziare che la graduale implementazione della legge con la previsione di un congruo periodo attuativo, entro il 2024, e la presenza di una clausola che consente di prorogare annualmente il termine del 31 dicembre 2024, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della difesa, rappresentano una forma di garanzia nei confronti non solo delle Forze armate, ma soprattutto del personale.
D'altra parte, le Forze armate non potrebbero permettersi una pericolosa e traumatica soluzione di continuità operativa. Sarebbe grave non aver la possibilità di far fronte numericamente a impegni superiori, là dove se ne presentasse la necessità. La filosofia generale di attuazione del provvedimento tenderà, comunque, a prediligere l'esodo del personale su base volontaria. Questa priorità è indicata chiaramente, ricorrendo anche a istituti giuridici e procedure di mobilità già previsti o da perfezionare per il personale militare e per il personale civile.
A questo proposito, sono particolarmente lieto della norma introdotta durante il passaggio parlamentare in Senato, a favore del personale volontario di truppa congedato senza demerito, che prevede il riconoscimento dei titoli, dei requisiti minimi professionali e di formazione per la nomina a guardia giurata e per l'iscrizione nell'elenco prefettizio di cui all'articolo 1 del decreto del 6 ottobre 2009 del Ministero dell'interno. Questo è un importante passo in avanti per il reinserimento nel mondo del lavoro di coloro che, pur avendo ben servito il Paese, non hanno potuto coronare il loro sogno in uniforme.
Riguardo al personale civile del dicastero, voglio comunque sottolineare che si tenderà alla massima salvaguardia delle professionalità acquisite, anche con mirati percorsi formativi, esaltandone la funzione essenziale per la difesa a livello sia centrale
sia periferico, anche nell'ottica del processo di razionalizzazione degli stabilimenti e degli arsenali militari. Ritengo, pertanto, che la soluzione adottata sia la migliore sintesi possibile per la tutela del personale e per la garanzia dell'operatività dello strumento militare.
Il terzo punto concerne la revisione strutturale e organizzativa. Gli effetti non immediati dei provvedimenti sul personale richiedono, da subito, azioni incisive, sulle quali io stesso e i Capi di stato maggiore di Forza armata ci stiamo da tempo impegnando, a partire dalla riduzione non inferiore al 30 per cento delle strutture di comando e della cosiddetta «sovrastruttura», attuando ogni possibile concentrazione e razionalizzazione, alla dismissione degli immobili non più funzionali per le esigenze delle Forze armate.
Questi ultimi provvedimenti dovrebbero produrre, almeno in parte, non solo risparmi, ma anche guadagni. Alla base della revisione dello strumento militare vi è la volontà di attuare una riduzione quantitativa, cercando di preservare in massima misura possibile le capacità operative, cioè principalmente le forze impiegabili e proiettabili, anch'esse comunque sottoposte a un processo di rivisitazione e di efficientamento.
Mi soffermerò su quest'ultimo aspetto in quanto è doveroso illustrare le linee guida su cui, in concreto, le Forze armate si stanno muovendo per salvaguardare prioritariamente la componente operativa dello strumento militare. Ho già fatto cenno ai due aspetti centrali: l'interoperabilità con i partner internazionali e l'integrazione interforze. Tuttavia, ritengo opportuno un maggior livello di dettaglio a beneficio degli onorevoli presenti.
L'interoperabilità può essere considerata la conseguenza sul piano tecnico di quanto fissato sul piano politico, in termini di assolvimento di compiti istituzionali delle Forze armate. L'obiettivo che si intende conseguire attraverso questo disegno di legge-delega è la piena integrabilità delle Forze armate nazionali con il sistema di difesa di sicurezza della NATO e dell'Unione europea. Da qui la necessità di poter operare efficacemente in una dimensione interforze a livello internazionale e di integrarsi in complessi di forze multinazionali per la condotta di operazioni. Tale necessità richiede adeguate risorse per poter disporre di uno strumento militare expeditionary, proiettabile e dotato di una notevole flessibilità di impiego, capace di operare efficacemente come una joint force.
In merito, mi preme evidenziare come al summit NATO di Chicago, il Presidente del Consiglio dei Ministri, senatore Monti, ha affermato che tale capacità di integrazione è prodromica a una maggiore necessaria assunzione di responsabilità dell'Europa nella politica di sicurezza e difesa, anche nell'ambito dell'Alleanza atlantica. «More Europe for a more and better NATO» è la frase chiave che il Presidente del Consiglio dei ministri ha pronunciato nel suo intervento.
La riduzione quantitativa alla base del processo di revisione dello strumento militare richiede l'individuazione di un bacino di capacità strategicamente prioritarie, tali da soddisfare i requisiti imprescindibili di proiettabilità, elevato livello tecnologico, flessibilità, interoperabilità e integrazione interforze.
L'integrazione interforze - o meglio la razionalizzazione interforze - è un requisito essenziale per mantenere un adeguato livello di efficienza operativa, rimodulando le capacità esistenti nelle varie Forze armate secondo criteri di lead service e di integrazione, volti a eliminare duplicazioni e ridondanze, con una soluzione equilibrata tra le diverse Forze armate. Tale attività, peraltro già in corso, viene condotta ad ampio spettro dalla logistica di sostegno al settore infrastrutturale, scolastico-addestrativo e territoriale.
Vorrei portare qualche esempio in questo senso, citando la realizzazione di un unico policlinico militare imperniato sul Celio, «interforzizzando» non solo il paziente, ma anche il personale sanitario; la creazione di una lead school su base Esercito per la formazione e la specializzazione di tutto il personale sanitario delle Forze armate; la ridefinizione strutturale e funzionale dei dipartimenti militari di medicina
legale, prevedendone una progressiva riduzione numerica sul territorio nazionale, passando da 13 a 7, previa rimodulazione della loro giurisdizione; l'accentramento della manutenzione dell'armamento leggero a favore di tutte le Forze armate, a guida Esercito; infine, la concentrazione in pochi poli (3 a fronte degli attuali 8) dell'attività di selezione, soprattutto dei volontari in ferma prefissata annuale destinati a tutte le Forze armate.
Un altro criterio è la riduzione della cosiddetta «sovrastruttura», con particolare riferimento agli Stati maggiori e ai comandi. La revisione e la razionalizzazione di queste strutture passano dall'ottimizzazione dei flussi relazionali tra articolazioni omologhe di ciascuna Forza armata a una diversa ripartizione delle funzioni tra l'area tecnico-operativa e quella tecnico-amministrativa.
In pratica, tale snellimento darà luogo anche a una semplificazione delle strutture di comando e controllo, grazie alla contrazione e all'eliminazione di alcuni livelli intermedi di comando che conseguirà, in ultima analisi e come effetto immediato, un più efficace e diretto flusso comunicativo tra il sottoscritto, responsabile dell'impiego dello strumento militare, e i Capi di stato maggiore di Forze armate, responsabili dell'approntamento delle singole componenti, in particolare, tra il Comando operativo di vertice interforze, di cui mi avvalgo, e i Comandi operativi di componente.
La salvaguardia delle capacità operative dello strumento militare impone, comunque, non solo la riduzione, ma anche la ricollocazione del personale. Questo è un aspetto importante. Il progetto di revisione delle strutture e delle infrastrutture richiede, infatti, una necessaria ottimizzazione dell'impiego e della movimentazione del personale che dovrà essere ridislocato transitando dalle infrastrutture ritenute non più essenziali a quelle che rimarranno in vita.
In quest'ottica, rientra anche l'obiettivo della concentrazione delle attività in poche basi, privilegiando quelle a maggiore ricettività, in migliori condizioni, più vicine ai poligoni e alle aree addestrative, nonché alle strutture portuali, aeroportuali e ferroviarie. Si dovrà altresì ridurre al minimo l'attuale dispersione sul territorio, tenendo pur sempre in conto una certa distribuzione della presenza militare a livello nazionale, incluso il centro-sud e le isole maggiori; ciò soprattutto nella considerazione che l'intervento in caso di pubbliche calamità è uno dei compiti che ci sono assegnati dalla legge.
Trasferire il personale ha, tuttavia, dei costi. A tal proposito, è auspicabile un perfezionamento del testo del disegno di legge di stabilità attualmente in discussione in modo da consentire alla Difesa una maggiore flessibilità nella movimentazione del personale, a seguito della citata riorganizzazione strutturale. Richiamando il concetto di «limitrofo», riportato in quel testo, faccio presente che possono essere limitrofe due città a distanza di 150 chilometri, ma possono non essere limitrofe due città a distanza di 10 chilometri. Questo è un aspetto che si può agevolmente correggere perché di facile comprensione.
In più, occorre sottolineare che la velocità con la quale si otterrà la progressiva riduzione quantitativa del personale, con un obiettivo al 2024, è inferiore a quella che si intende conseguire nei primi sei anni nella riduzione dei vari assetti organizzativi delle Forze armate. Pertanto, tale aspetto richiederà ulteriori e specifici approfondimenti in fase di implementazione per evitare eventuali eccessivi sovraffollamenti in alcune infrastrutture.
Ora, mi vorrei soffermare brevemente su un tema particolarmente delicato, quello dei programmi di armamento, su cui il Senato è, peraltro, intervenuto, modificando il provvedimento in discussione e rafforzando il ruolo del Parlamento nell'iter di approvazione dei programmi di ammodernamento dei sistemi d'arma, con ciò recependo le conclusioni dell'indagine conoscitiva condotta da questa Commissione nel 2010 sulla cosiddetta legge Giacchè (n. 436 del 1988), ora confluita nel Codice dell'ordinamento militare.
Al di là delle maggiori sinergie tra Governo e Parlamento, che non potranno che giovare a un ancor più incisivo, consapevole e responsabile controllo sugli investimenti, voglio ribadire che la Difesa sta continuando la sua opera di revisione in chiave interforze di tutti i programmi in atto perché, a fronte di una riduzione quantitativa dello strumento militare, è del tutto evidente che i programmi di acquisizione finalizzati all'ammodernamento e al rinnovamento delle Forze armate hanno dovuto e dovranno ancora, negli anni a venire, essere analizzati criticamente, ricercando soluzioni concrete in grado di conciliare l'esigenza operativa con la fattibilità tecnica.
In tale ottica, abbiamo già rivisto e stiamo rivedendo tutti i programmi di acquisizione, sia quelli avviati o in fase di finalizzazione, sia quelli da avviare. A tal proposito, ricordo che ho chiesto ai Capi di Forza armata di inviarmi, entro il 30 novembre, nuove proposte di rimodulazione che avevano costituito la base della mia proposta del disegno di legge delega al signor Ministro della difesa, in ragione degli ulteriori tagli sopravvenuti dalla primavera di quest'anno in poi.
La riduzione del numero dei velivoli JSF (Joint Strike Fighter) in acquisizione è l'esempio maggiormente conosciuto, ma non certamente l'unico in quanto stiamo operando a 360 gradi, analizzandolo e valutando l'attualità delle scelte fatte in tutti i settori (terrestre, navale, aereo e spaziale). Si tratta, comunque, di una situazione complessiva che potrà essere definita solo a valle dell'approvazione del disegno di legge di stabilità.
Mi avvio a concludere, sottolineando che le Forze armate italiane hanno sempre saputo assecondare nel tempo la politica di rigore del nostro Paese, con un enorme sforzo per continuare ad assicurare, con la necessaria efficacia, il contributo dell'Italia alle iniziative per il perseguimento della sicurezza, della stabilità e della pace nel mondo, individuate dal Governo e approvate dal Parlamento.
Le Forze armate hanno saputo, quindi, proseguire nel processo di trasformazione avviato sin dagli anni Novanta, concentrandosi sulle capacità operative essenziali e riuscendo a fare di più con molto meno. Tutto quello che i miei predecessori hanno fatto andava, dunque, nella giusta direzione. Si tratta ora soltanto di migliorare ciò che è stato fatto sullo strumento militare, riducendone ulteriormente le dimensioni e mantenendolo tecnologicamente al passo con i tempi. Questo rinnovamento è urgente. Si deve fare bene e lo faremo bene. Siatene certi. Peraltro, il processo in atto non è solo un must, ma una necessità ineludibile, nonché un gesto di affetto e di rispetto nei confronti di tutti coloro che hanno servito, servono e serviranno lo Stato in uniforme.
Signor presidente, onorevoli deputati, la frase che ho appena pronunciato l'ho volutamente inserita in tutti gli interventi che ho fatto nel tempo presso le accademie e gli istituti di formazione delle Forze armate - dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e dell'Arma dei carabinieri - perché le nostre giovani leve sappiano che, allorquando lasceranno i banchi di scuola per essere avviati all'impiego operativo, potranno beneficiare di una struttura più ridotta nelle dimensioni, ma più funzionale e più efficace.
Abbiamo un patrimonio di uomini e mezzi a disposizione della difesa del Paese e di tutti i consessi internazionali ai quali l'Italia aderisce (l'ONU, la NATO e l'Unione europea). La strada è tracciata; starà solo a noi saperla guardare con fiducia e seguire senza perdere mai la rotta. Questo è il più bel viatico che noi anziani possiamo e dobbiamo lasciare ai più giovani, a coloro che, ricevendo il testimone da chi li ha preceduti, saranno gli eredi delle tradizioni, degli ideali e degli immortali valori delle Forze armate. Avere delle Forze armate efficienti ed efficaci deve essere orgoglio per tutti. Lo dobbiamo agli italiani.
Ho concluso, signor presidente. Sono a disposizione per le vostre eventuali domande.
PRESIDENTE. Grazie, signor generale. Do ora la parola ai colleghi che intendano
intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Grazie, signor generale, per aver illustrato il disegno di legge delega in maniera più che esaustiva. Nonostante abbiamo pochissimo tempo, vorrei porle alcune domande, anche in relazione a quanto riferito poca fa dai COCER in questa Commissione.
Vi sono alcune difficoltà. Come lei stesso e il Ministro avete sottolineato, un grande problema è quello dell'armonizzazione tra il regolamento previdenziale e il disegno di legge di revisione dello strumento militare. I due provvedimenti non consentono di intraprendere un percorso univoco, anzi sono profondamente in contraddizione perché l'uno allunga i tempi, mentre l'altro cerca di far «esodare» il personale militare. Il regolamento dovrebbe, invece, essere un punto di premessa per quanto attiene la stessa revisione dello strumento militare.
Immagino che sia consapevole di questa incoerenza, non risolta neppure nel Consiglio dei ministri. Il regolamento è stato stilato ed è al Consiglio di Stato. Il Parlamento non ne ha preso ancora visione. Abbiamo avuto un'audizione con il Ministro Fornero, che ha fatto capire chiaramente che su quei parametri è rigidissima, nonostante gli stessi COCER avessero richiesto un abbassamento previsto dell'età pensionabile. Si tratta di un problema serio che impatta - letteralmente - con il disegno di legge di revisione dello strumento militare.
Lei ha anche parlato di integrazione interforze. Concordo pienamente con lei sul fatto che, quando si discute di efficientamento, si parla, in sostanza, di riduzione delle spese. Là dove si riorganizza e si razionalizza, prima di fare scelte dolorose che possano toccare la vita di coloro che - come ha più volte richiamato nella sua relazione - combattono, tengono alta la bandiera e addirittura alcune volte, purtroppo, perdono la vita nel nome della nostra Italia, un punto di riduzione della spesa è rappresentato dall'integrazione interforze.
Allora, le chiedo se nel disegno di legge sia possibile verificare la fattibilità di un centro interforze di reclutamento unico. Al momento, infatti, questo non è previsto e si mantengono tre centri di reclutamento, cosa che comporta un problema di spese a carico dei giovani che, con grande spirito di amore per il loro Paese, cercano di entrare nelle Forze armate. Mi fermo qui, per non parlare dei tagli successivi dei numeri dei posti messi a concorso.
Infine, concludendo, credo che si sia fatto un grande passo in avanti riguardo alla revisione dello strumento militare con le modifiche introdotte dal Senato. Di questo ringrazio i colleghi della Commissione difesa del Senato che, con molta lungimiranza, hanno posto all'attenzione il tema degli investimenti sui programmi d'arma. Questo argomento era stato, peraltro, oggetto dell'indagine conoscitiva della Commissione difesa della Camera e del documento conclusivo che avevamo votato all'unanimità. Quell'esito è stato ora inserito all'interno della revisione dello strumento.
Tuttavia, vi è ancora un punto che mi lascia perplessa. Rivolgo a lei la domanda, essendo il Capo di stato maggiore. Lei ha detto - giustamente - che un punto di rilevanza del disegno di legge è la stabilità di bilancio. Questo lo capisco. Lo 0,86 è una percentuale molto bassa. Lei, ovviamente, sa che stiamo facendo riferimento al bilancio della Difesa, al netto della parte di investimenti relativa al Ministero dello sviluppo economico, altrimenti la percentuale è leggermente più elevata.
A ogni modo, quando nel 2007 la Commissione difesa andò a vedere il centro Eurofighter, ricordo bene che coloro che stavano lì ci dissero che sentivano la vergogna di essere italiani perché, per tre anni, non si erano pagate le rate, mentre gli altri Paesi lo avevano fatto. Non vogliamo trovarci in questa situazione e, quindi, capisco perché lei ci parli di stabilità.
Tuttavia, quando parla di flessibilità della rimodulazione della spesa, vorrei capire bene quali sono i criteri della delega perché il Parlamento deve avere
ben chiaro che lo spostamento di risorse da una parte all'altra diventa esclusiva responsabilità di colui che avrà la guida del Dicastero della difesa. Non parlo solo per ora, ma anche per il futuro. Siccome una legge non si cambia in sei mesi, lei capisce bene che questo è un punto di grande rilievo.
AUGUSTO DI STANISLAO. Mi dispiace che non vi sia mai abbastanza tempo per approfondire, specialmente dopo le utili audizioni di oggi che sono state oltremodo esaustive. Credo che alcuni aspetti della proposta di riforma debbano essere nuovamente puntualizzati. Personalmente, più ascolto e più sono convinto - pur rispettando il punto di vista del generale Abrate - che questa è sempre di più una proposta immanente che lavora sul «qui e ora», utilizzando a pretesto la crisi economica e facendone un alibi per tagliare il personale.
Infatti, ci troviamo con una delega in bianco e con una riforma ampia e vaga su sistemi d'arma e sull'utilizzo degli immobili, ma puntuale, diretta, precisa e persino crudele sul personale. Si scaricano i costi della riforma sul personale, cosa che mal si concilia - me lo chiarisca meglio il signor generale - con il parlare del personale in termini di motore, di cuore e di mente, quando, come dice il Ministro, siamo in una fase di declino delle Forze armate. Ecco, penso che in questo modo si uccidano le Forze armate perché, se c'è il declino e ci dovrebbe essere una riconversione, questa non può non passare attraverso il patrimonio umano e professionale.
Dopodiché, signor generale, quando si parla di adeguare lo strumento nell'ottica del quadro di finanza pubblica, mi chiedo se, qualora non fosse venuta meno la situazione economico-finanziaria italiana, avreste messo il dito nella piaga per esprimere la necessità di riconvertire. Personalmente, sono d'accordo che bisogna riformare lo strumento militare - ci mancherebbe altro - ma non come lo sta facendo il Ministro, che è completamente fuori strada. Per questo affermo che si tratta di una riforma immanente che non può essere fatta a conclusione di una legislatura, con un Governo agonizzante, e che lascia la possibilità di emanare i decreti delegati, utilizzando il silenzio assenso quando si va in campagna elettorale.
Mi chiedo quale prospettiva si possa dare alle nuove generazioni che vorrebbero accedere al comparto delle Forze armate. Bruciando tutti gli «esodati», che sono persone con una storia e con delle famiglie dietro, com'è possibile dare la possibilità ai nuovi che vorrebbero entrare di poter essere utili? Credo che le Forze armate vadano messe in campo utilizzando il personale. Non è pensabile - lo dico a chi ne sa molto più di me, che mi fermo alla parte politica - di usare i videogame per fare attività militare; dovremmo utilizzare le intelligenze, la professionalità e le competenze, come sempre abbiamo fatto. Viceversa, invece di tutelarle e valorizzarle, in questo modo viene messo in campo uno strumento che blocca completamente questo tipo di opportunità, per cui, al posto di fare in modo che il nostro modello di difesa diventi un esempio in sede europea, torniamo indietro e diventiamo residuali
rispetto ad altre nazioni che non stanno facendo tutto ciò.
Allora, vi chiedo come vedete questo dato, non dal punto di vista dei dirigenti, ma da quello della truppa e con la parte civile, cioè di coloro che sono a contatto quotidiano con i problemi. Sarebbe interessante poter sviluppare questi concetti. La sua relazione è stata oltremodo esaustiva. Mi ha illuminato su diversi aspetti, ma mi dispiace che non abbiamo la possibilità di poter approfondire ulteriormente. Vuol dire che me ne farò una ragione; approfondirò personalmente alcune situazioni e porterò avanti questa mia battaglia all'interno dalla Commissione per impedire che si possa approvare questo strumento prima della chiusura legislatura.
Infatti, ritengo che debba essere il prossimo Governo e il prossimo Parlamento, completamente legittimato e non i tecnici, a poter mettere mano alla riforma dello strumento militare. In questo momento,
bisogna fermarsi alla fase propositiva, senza andare oltre. Non possono adottare il provvedimento questo Ministro, questo Governo e questo Parlamento. Signor presidente, occorre fare dei passi di avvicinamento e di approfondimento in Commissione fino all'ultimo perché non è pensabile che sulla testa, sul cuore, sulla storia e sulla prospettiva di vita non solo personale, ma anche professionale, del comparto si giochi una partita che spesso è utilizzata per fini non nobili.
FRANCO GIDONI. Farò una sola domanda secca. Vorrei sapere perché la scelta del modello sia stata calibrata sulle 150.000 unità. Faccio un piccolo preambolo, per poi attendere la sua risposta, anche dal punto di vista tecnico.
Ricordo che in Inghilterra è stata fatta la scelta di dotarsi di una National security strategy e a seguito di questo il Governo britannico ha reso pubblica la Strategic defense and security review, attraverso la quale anche loro attueranno una riduzione di 17.000 uomini delle loro forze.
In Francia è stato pubblicato un Libro bianco nel 2008, da cui è poi discesa una scelta politica, con la loi de programmation militaire, che è ben più dura della nostra perché, tra il 2014 e il 2015, le Forze armate francesi verranno ridotte di 54.000 unità, sebbene con una scelta diversa perché il 65 per cento di tali unità appartiene all'amministrazione militare di sostegno e, quindi, i tagli preservano la parte operativa e penalizzano quella di supporto amministrativo, anche se la Francia tiene in piedi 40.000 riservisti, più 20.000 per le gendarmerie.
Anche la Germania ha varato un Libro bianco nel 2006 e poi affidato un incarico di approfondimento a una Commissione dell'Ufficio federale, guidata da un colonnello (si badi bene, della riserva, quindi non una parte direttamente in causa), che ha deciso l'abolizione della leva obbligatoria a partire dal 2011, tagliando ben più di quello che aveva stabilito la Commissione. Infatti. Le Forze armate tedesche scendono da 250.000 a 185.000 unità, ma fanno la scelta di tenere 10.000 uomini proiettabili e riducono i civili di 25.000 unità, scendendo da 75.000 a 50.000.
A monte di tutte queste decisioni degli altri Paesi, vi sono dunque delle scelte politiche, con approfondimenti, come i libri bianchi, con una condivisione parlamentare e, alla fine, con degli strumenti. Da qui, la mia domanda del perché 150.000 unità. Da noi il Parlamento non ha mai avuto modo di discutere un libro bianco che definisse le linee strategiche. Per esempio, quelle francesi prevedono conoscenza e anticipazione, deterrenza, protezione e prevenzione, cioè cinque punti, con gli uomini che ne conseguono.
Non vorrei che il ragionamento fosse che, essendo il bilancio della difesa lo 0,8 percento del PIL, queste sono le unità di personale che riusciamo a mantenere. Le scelte di questo Paese non possono essere fatte in questo modo. Se lo strumento militare deve sostenere le ambizioni di un Paese e le linee strategiche, occorre fare delle scelte conseguenti. Ricordo che gli inglesi parlano di «sicurezza nazionale», mettendo in primo piano questo aspetto, senza fare una discussione di risorse; difatti, Cameron non taglia il bilancio della difesa del preventivato 10 o 20 per cento, ma si limita, con un sospiro di sollievo, all'8 per cento.
Siccome ci siamo lamentati che Tremonti e il Ministero dell'economia e delle finanze dettavano le linee di qualsiasi Ministero, non vorrei che stessimo scendendo allo stesso punto. Nella proposta di legge presentata dal nostro gruppo avevamo fatto un ragionamento sulla base del fatto che, nel massimo del nostro impiego all'estero, abbiamo inviato complessivamente 11.000 uomini, per cui, tenendo conto del turnover, avevamo ipotizzato 30.000 operativi. Dopodiché, abbiamo osato pensare che un esercito ridotto, in prospettiva, a 100.000 potrebbe essere sufficiente per queste ambizioni. Oggi che siamo scesi a 4.500-4.700 unità impiegate nelle missioni internazionali, ci chiediamo se i 150.000 sono funzionali ai 4.700 o se sono in stretto rapporto con quanto decidiamo di spendere del PIL.
PIER FAUSTO RECCHIA. L'intervento del collega Gidoni è quasi una provocazione. Giustamente, sostiene che dovevamo arrivare a un'eventuale modifica o riforma del modello a seguito di un ragionamento complessivo, che teneva in conto il livello di ambizione, gli obiettivi e quant'altro, esattamente come hanno fatto gli altri Paesi, per poi definire il numero dei militari che serviva per poter raggiungere quel dato livello di ambizione e ottenere quegli stessi obiettivi.
Ora devo ricordare che all'inizio di questa legislatura il Governo Berlusconi, quindi il Ministro La Russa, mise in piedi una commissione di cui non ricordo più il nome perché ne abbiamo iniziato a parlare in un'audizione che non è mai stata conclusa e dopo non se ne è più saputo nulla. Poi, il gruppo del Partito democratico presentò una proposta di legge, di cui sono primo firmatario, per poter istituire una Commissione bicamerale proprio per aprire un ragionamento a livello parlamentare sugli obiettivi e i fini che dovevano perseguire le nostre Forze armate, di cui tuttavia non è mai iniziato l'esame.
Adesso chiediamo al Governo di operare quando non c'è più tempo. È chiaro che, avendo perso una legislatura senza aprire questa discussione, ci ritroviamo nelle condizioni in cui il Governo, mantenendo il livello di ambizione attuale e i medesimi obiettivi, date queste risorse, si chiede quale strumento possiamo costruire affinché le nostre capacità operative rimangano intatte, riuscendo a fare i compiti che ci vengono richiesti dal Parlamento. Questo è il punto. Quindi, quando il collega Gidoni pone il tema, dico che se siamo finiti a fare questo ragionamento partendo dalle risorse e non, come dovevamo, dagli obiettivi è anche un po' colpa nostra.
GIACOMO CHIAPPORI. Vorrei fare una piccola replica all'onorevole Recchia. È vero che la colpa è nostra, ma è pur vero che si debbono istituire delle Commissioni bicamerali per parlare di cose serie. A ogni modo, in questo momento, i soldi sono quelli di cui si è detto. La parte difesa - cioè coloro che sanno di cosa stanno parlando, e forse un po' meno la politica - decide cosa con questi soldi si può fare o meno. Non si tratta di spendere il budget definito per poi tagliare e, se non si possono realizzare gli obiettivi prefissati, rimandare indietro la pallina. Non sappiamo se effettivamente i 150.000 sono giusti; se vanno bene 140.000 o se il modello giusto è 170.000. Insomma, non va bene questo tipo di ragionamento.
Altrove chi di dovere ci ha provato e ha dato delle risposte, andando forse anche oltre la previsione della parte politica. Noi ci aspettiamo questo. Invece, drammaticamente, poco fa abbiamo avuto modo di ascoltare il COCER che ci ha confuso le idee. Ci hanno detto che non serve a niente, che sono tagli inutili, che non è vero che risparmiamo. Hanno aggiunto, poi, anche altre preoccupazioni come quella che il Ministro vari i decreti delegati senza che il Parlamento possa più esprimersi essendo sciolte le Camere. Queste sono domande che diventano pericolosissime e che ci mettono in condizione di non sapere cosa decidere. Allora, facciamo quello che c'è da fare; mettiamo in piedi una delega, ma chiediamo al Ministro di lasciarla esercitare al prossimo Governo, con un ministro politico.
PRESIDENTE. Vorrei porre delle domande rispetto a quanto è emerso nell'audizione dei COCER. Innanzitutto, le chiedo se ritiene che, attesa l'importanza del provvedimento che si può dire epocale - forse più importante anche di quello che ha professionalizzato le Forze armate - non sia necessario, nell'attuazione dello stesso, attribuire al COCER un ruolo equipollente a quello che la legge assegna ad altri comparti della pubblica amministrazione.
Inoltre, atteso che per qualunque altra grande ristrutturazione delle Forze armate il periodo è stato assai più lungo, vorrei sapere se ritiene che un allungamento di due o tre anni nell'attuazione del disegno di legge di revisione dello strumento possa compromettere, ed eventualmente in che modo, la revisione stessa.
Infine, le domando se un ampliamento di circa 10.000 unità - da 150.000 a 160.000 - possa compromettere la revisione dello strumento, atteso che questa cifra possa permettere, considerando le classi anagrafiche e i nuovi ingressi, un minore impatto sul personale attualmente in servizio e su quello che deve essere stabilizzato, e se non ci si possano essere garanzie più ampie per la stabilizzazione dei precari che, peraltro, sono i giovani del nuovo modello professionale che hanno dato anche il contributo più importante in termini di sacrifici lavorativi rispetto al resto delle Forze armate.
Parlo dei volontari che hanno fatto servizio in Iraq, in Afghanistan e nel Kosovo che, avendo affrontato il nuovo modello, hanno fatto una vita assai diversa rispetto a coloro che erano in servizio vent'anni fa. Costoro, oggi, sembrano essere i più a rischio per il combinato disposto non solo dello strumento militare, ma anche del blocco del turnover e dell'allungamento della pensione. Infatti, se il turnover attuale è bloccato rispetto agli esodi che sono previsti dall'attuale legge previdenziale, proiettato sulla nuova disciplina previdenziale, significa che ci saranno ancora meno ingressi per un effetto esponenziale del cumulo delle due riforme, per cui un ampliamento da 150.000 a 160.000 unità potrebbe consentire, in qualche maniera, di riassorbire questo fenomeno.
Un'ultima considerazione riguarda, in parte, il Ministero della difesa. Esiste una sperequazione evidente tra i ministeri e le altre pubbliche amministrazioni tra il numero dei dipendenti e il numero dei dirigenti, nel senso che negli altri ministeri al numero dei dirigenti non corrisponde un numero di dipendenti così alto. Non si capisce, quindi, perché questo eccesso di zelo di fare anche più e in modo peggiore - se mi consente - della spending review, che aveva già ridotto in maniera significativa i dirigenti.
Non è un fatto di benefit o di privilegi. In tal modo, tante persone che si sono arruolate vent'anni fa e che avevano una legittima aspirazione a divenire dirigenti di un certo livello non potranno diventarlo più. Questo, quindi, non colpirà coloro che hanno già raggiunto determinati vertici, bensì un numero di dipendenti che, oltre ad avere un grave danno materiale, hanno anche un danno morale perché sembra quasi che i dirigenti del settore difesa valgano meno di quelli di altri settori della pubblica amministrazione. Insomma, questo ulteriore taglio previsto dal disegno di legge mi sembra poco coerente con il sistema della pubblica amministrazione italiana.
Do ora la parola al generale Abrate per la replica.
BIAGIO ABRATE, Capo di stato maggiore della Difesa. Vorrei cercare di rispondere a tutte le domande.
Riguardo al Libro bianco, devo dire che tale documento non lo scrivono i militari, ma è un atto politico. Ci hanno provato; in qualche momento è stato chiamato anche di un altro colore, ma è rimasto un tentativo. Non solo, ma, come ha ricordato l'onorevole Recchia, con il Ministro La Russa - all'epoca ero capo di gabinetto, quindi conosco bene la vicenda - i sottosegretari dell'epoca, come l'onorevole Cossiga qui presente, che saluto, avevano ricevuto compiti particolari e avevano già individuato l'esigenza di ridurre. Dopodiché, è subentrata questa crisi economica.
Forse, non sono stato sufficientemente chiaro nella mia esposizione, ma, volendo rispondere agli onorevoli Gidoni e Chiappori, devo dire che il metodo di lavoro prevede che si parta dalle esigenze, quindi dai compiti e dalle funzioni che ci assegna il Parlamento. Se vogliamo, questo è un Libro bianco, se prendiamo a base la legge n. 331 del 2000, che fissa i nostri compiti. Da lì, calcoliamo che, per svolgere questi compiti, abbiamo bisogno di queste risorse. Questo, però, vale, in un'ipotetica disponibilità infinita di soldi, là dove basta chiedere per avere.
Purtroppo, in questo caso, è subentrato un problema molto più grande. Siamo in presenza di compiti che esistono perché nessuno ha cambiato la legge n. 331, né mi sentirei di toccarla. Sostanzialmente,
tale legge prevede quattro punti. Innanzitutto, riguarda la difesa del territorio, che va letta in maniera un po' più ampia rispetto al passato perché i confini non sono più dettati dalle Alpi o dal mare, ma possono essere anche più lontani. Non solo, l'esigenza di poter operare a fianco delle Forze armate di altri Paesi è una necessità ineludibile. I miei predecessori hanno saputo fare moltissimo su questo aspetto. Ora si è trattato di dare un'accelerazione a questo processo di ristrutturazione e a questo - chiamiamolo con un termine brutto - «taglio» che era già previsto dal Governo politico precedente, legittimamente eletto e che aveva già capito che bisognava intervenire.
Prima di continuare, vorrei dire che non bisogna pensare che vogliamo fare male alle persone. Sono state pronunciate alcune frasi un po' pesanti, vorrei dire che capisco, per esempio, l'uso che è stato fatto del termine «crudele» per toccarmi. Effettivamente, sono toccato da questo aspetto. Potete immaginare quale sia la nostra preoccupazione. Tra gli attuali presidenti dei COCER, c'è qualcuno che ha l'incarico di capo del primo reparto, quindi chi meglio di loro può far sì che i provvedimenti che andranno probabilmente a toccare le persone siano assunti con grande senso di responsabilità e con la massima attenzione per ridurre al minimo queste conseguenze.
Tuttavia, se lo squilibrio attuale è di spesa in termini percentuali, deve essere ridotto. Siccome è sbilanciato verso il personale, l'unica soluzione è diminuire le spese per questo settore in un'ottica di stabilità del budget che l'onorevole Villecco Calipari ha ben ricordato, sostenendo, però, di non condividere l'elemento della flessibilità e di voler capire meglio i criteri. Ora, al momento è stato possibile definire che - come ho detto nel mio intervento - il criterio sarà prevalentemente verso l'esercizio, che vuol dire l'addestramento del personale, la formazione e altre questioni che conosciamo bene. Questo è il sistema per riequilibrare in maniera più veloce questo disavanzo di una parte rispetto all'altra.
Passando alle altre domande, le 150.000 unità derivano da un conto: 14,1 sono i miliardi dedicati alla funzione difesa quest'anno; lo sono stati in maniera stabile negli ultimi anni e sono prevedibili anche per il futuro. Oggi con il 50 per cento di questa cifra, ossia 7 miliardi, non riusciamo a mantenere lo strumento. È chiaro che è un conto matematico, al quale seguono tutti i provvedimenti sul personale che richiedono un maggiore impegno. Questo è il conto tecnico che può giustificare questa cifra.
Tutti i militari hanno sempre sperato che ci fossero dei libri bianchi chiari, ma - ripeto - questi sono esercizi politici. La Germania ha tagliato tante persone, ma ha potuto farlo in maniera molto agevole. Anche noi abbiamo tagliato da 300.000 a 190.000 in maniera abbastanza facile quando avevamo la leva perché era semplicissimo, bastava non chiamare le persone: si faceva un favore a dei giovani e si riduceva con immediatezza. Invece, non dimentichiamo che adesso abbiamo un sistema di volontari che è frutto di leggi approvate dal Parlamento.
Su questo, do in parte risposta anche al presidente. Abbiamo un sistema che prevede il volontario in servizio permanente. Vorrei dire che siamo l'unico Paese al mondo ad avere questo sistema. Altri Paesi hanno una legislazione che consente loro di tenere in servizio il personale per 13 anni per poi congedarlo. In questo senso, in prospettiva, potremmo anche pensare di modificare questo sistema, che - ripeto - è stato votato dal Parlamento. È chiaro, quindi, che l'elevazione dell'età - cioè il provvedimento del Ministro Fornero - appesantisce il meccanismo. Personalmente, sono al limite dell'età (ho compiuto gli anni proprio pochi giorni fa). Tuttavia, partecipo fino all'ultimo giorno con passione. Peraltro, io sono nato sergente; non sono nato in Accademia. Ogni tanto, qualcuno si riferisce a chi nasce ufficiale. Ebbene, io non sono nato ufficiale e non sono figlio di militare, quindi posso dire con tranquillità che, per chi lavora
con impegno, il nostro sistema consente il
transito da una categoria all'altra, cosa intelligente che possiamo ancora migliorare.
Del resto, questo sta anche scritto nel disegno di legge e sarà implementato con i decreti legislativi. Altri Paesi hanno potuto operare con maggiore facilità. La Germania è un esempio in questo senso. Anche i miei colleghi del Regno Unito o di altri Paesi, come la Francia, hanno subìto dei tagli e hanno ridotto il personale. Tuttavia, essi hanno una legislazione più semplice della nostra; per esempio, hanno la possibilità di avere una pianificazione quinquennale sugli investimenti che consente di guardare con tranquillità a un orizzonte di cinque anni di certezze. Noi siamo in una situazione un po' diversa. Non sono critiche, ma è un dato di fatto. I programmi di investimento si sviluppano anche in decenni, quindi abbiamo necessità di avere maggiore stabilità. Ringrazio, dunque, l'onorevole Villecco Calipari di averlo ricordato. Inoltre, occorre anche la flessibilità, che chiediamo per poter
accelerare il riequilibrio essenziale per rendere costo-efficace il sistema.
Ho detto anche che questo provvedimento serve anche a non mortificare la gente. Io vado spesso in visita nei teatri operativi e, parlando con i soldati, mi fa male quando mi dicono che gli scarponi non funzionano o che la tuta non è perfetta. Questo mi fa male perché quando ero giovane stavamo in queste condizioni. Chi di voi è mio coetaneo e ha fatto il servizio militare sa che eravamo in queste condizioni. Se le tende buone andavano in Libano nel 1982, in Italia queste ancora non le avevamo. Adesso, i nostri soldati hanno le tende buone e questo va detto a favore del Parlamento, del Governo e dei miei predecessori che hanno saputo adeguarsi in questi anni. Siamo passati da 330.000 a 190.000. Se adesso è necessario passare a un numero inferiore non è certo perché vogliamo accanirci contro il personale.
Riguardo ai centri di reclutamento, già abbiamo definito che passeranno a tre e poi, in prospettiva, a uno. Questi sono provvedimenti che non sono inseriti nel disegno di legge, che è una norma di ampio respiro, ma i Capi di stato maggiore hanno individuato e devono individuare queste misure entro la fine dell'anno perché se questo provvedimento - come auspico - sarà approvato, al di là dei sei mesi di tempo, vorrei avere i decreti legislativi pronti appena possibile; questo per avere sei mesi di tempo per trattarli e perfezionarli, non per farli.
Lei, presidente, ha definito questo provvedimento epocale. Riguardo al ruolo del COCER, un ruolo equipollente non è ancora consentito, ma credo che il nostro COCER sia comunque un organo assai importante e a noi vicino. Posso assicurarvi che nessun altro COCER è stato ricevuto e ha avuto contatti così numerosi e frequenti con il Ministro della difesa come quello attualmente in carica. Certo, è un momento molto particolare, in cui il COCER ha espresso le sue perplessità e il Ministro ha risposto, appunto, da ministro, dicendo di non poter realizzare delle misure controtendenza.
Infine, il prolungamento del periodo oltre il 2024 è già insito nel disegno di legge, con la possibilità, attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di poter prorogare di anno in anno. Questo elemento è stato inserito proprio per alleviare le difficoltà che potranno sorgere. Poi, si vedrà, passo dopo passo, quello che succederà nell'implementazione della legge.
PRESIDENTE. Ringrazio il generale Abrate del prezioso contributo e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 17,20.