Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3
Audizione del vicedirettore generale della Banca d'Italia, Ignazio Visco, in merito alla riforma della governanceeconomica europea (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 48 del Regolamento del Senato della Repubblica):
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 10 12 15 16
Causi Marco (PD) ... 11
Gozi Sandro (PD) ... 10
Morando Enrico (PD) ... 12
Visco Ignazio, Vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 3 12 16
ALLEGATO: Documentazione consegnata dal vicedirettore generale della Banca d'Italia, professor Ignazio Visco ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani: Misto-Noi Sud-PID; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 12,50.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, e dell'articolo 48 del Regolamento del Senato della Repubblica, l'audizione del vicedirettore generale della Banca d'Italia, Ignazio Visco, in merito alla riforma della governance economica europea.
Accompagnano il professor Visco il dottor Daniele Franco, la dottoressa Raffaella Giordano e la dottoressa Paola Ansuini, che ringraziamo per essere intervenuti.
Do la parola al professor Visco.
IGNAZIO VISCO, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Grazie, presidente. Ho predisposto un testo - è stato distribuito e lo seguirò per grandi linee - che si concentra sulla riforma della governance, tema sul quale poc'anzi si sono soffermati a lungo il Commissario europeo per gli affari economici e monetari Olli Rehn, e il Ministro dell'economia e delle finanze Giulio Tremonti. Mi preoccuperò sostanzialmente di dare una valutazione sulle tre questioni fondamentali che sono state introdotte sulla base di decisioni prese dal Consiglio della Unione europea e sulle quali si sta discutendo ancora oggi.
È evidente che gli effetti della crisi hanno reso manifeste le carenze sul piano del governo economico dell'Unione europea. Si tratta di carenze che riguardano l'efficacia del Patto di stabilità e crescita, soprattutto con riferimento al fatto che in momenti favorevoli non c'è stata la gestione prudente di finanza pubblica che avrebbe consentito di affrontare la crisi con bilanci sostanzialmente in equilibrio. Alcuni Paesi, peraltro, hanno accumulato squilibri di tipo macroeconomico indipendenti dai conti pubblici che, tuttavia, hanno portato - a seguito degli interventi a sostegno sia del settore bancario e finanziario sia dell'economia - a livelli considerevoli dei disavanzi e dei debiti pubblici. Infine, l'assenza di un meccanismo di gestione delle crisi finanziarie negli Stati membri dell'Unione europea ha comportato la necessità di assumere decisioni in tempi molto ristretti, in emergenza e in una situazione caratterizzata da forte incertezza,
quindi anche con risultati ancora in fieri.
Le proposte della Commissione europea sono state avanzate in settembre; in ottobre abbiamo visto le analoghe proposte della task force coordinata dal presidente del Consiglio della UE Herman Van Rompuy, che hanno riguardato sia gli aspetti di
sorveglianza preventiva sia le misure correttive per quel che riguarda la riforma del Patto di stabilità e crescita.
Sono state individuate varie proposte per rendere più trasparenti e integre le informazioni statistiche, le regole di contabilità, le previsioni di finanza pubblica e altro. È stata, inoltre, avanzata da parte della Commissione europea la proposta, recepita integralmente dalla task force, di istituire una nuova procedura volta a far fronte agli squilibri di natura macroeconomica che si possono manifestare nel corso del tempo.
Infine, recentemente c'è stato un accordo per introdurre un meccanismo di stabilità finanziaria sul quale cercherò di esprimere alcune mie impressioni alla fine di questo intervento.
Voi siete, naturalmente, a conoscenza di tutte le proposte che sono state avanzate, a cominciare dall'introduzione del cosiddetto semestre europeo - in merito alle quali ho sentito che avete già dibattuto -, che sono da accogliere favorevolmente poiché consentono di intervenire prima che gli squilibri si manifestino evitando di assumere misure correttive affrettate e, in ogni caso, anche temporalmente troppo distanti dal manifestarsi degli squilibri stessi.
In secondo luogo, avrete discusso delle regole che sono state proposte dalla Commissione europea. Alcune riguardano obiettivi sostanzialmente già previsti, quali quelli di medio periodo, che nel caso dell'Italia significano un bilancio strutturale - ossia al netto delle misure una tantum e degli effetti di ciclo economico - in pareggio. Tali regole sono state rafforzate attraverso la previsione di una serie di sanzioni: ad esempio la costituzione di un deposito infruttifero nel caso in cui inizia una procedura di disavanzo eccessivo o la trasformazione di tale deposito in una multa nel caso di inadempienza dello Stato membro all'obbligo di correggere entro un termine predefinito il disavanzo eccessivo.
Altre proposte concernono, oltre la parte preventiva del Patto di stabilità e crescita e la necessità di adottare una politica di bilancio prudente per quel che riguarda l'indebitamento pubblico, la definizione di una politica mirata alla riduzione del debito pubblico nei casi in cui esso è notevolmente distante dall'obiettivo definito nel Trattato sull'Unione europea, che - lo ricordo - è del 60 per cento in rapporto al PIL. Una proposta della Commissione stabilisce per ogni anno un obiettivo per l'incidenza del debito sul PIL determinato sulla base dei valori registrati nel triennio precedente e tale da implicare una riduzione dell'ordine del 5 per cento l'anno dello scostamento del debito dal valore di riferimento del 60 per cento.
Il raggiungimento di questi obiettivi e il rispetto delle regole si possono verificare con riferimento a tutti i Paesi che aderiscono all'Unione economica e monetaria; se ne possono verificare gli effetti e cosa comportano in termini di misure volte a ridurre l'indebitamento netto. Ovviamente noi partiamo in una situazione di crisi, che comporta che la riduzione prevista dei disavanzi sia graduale nel tempo; per evitare che ci siano effetti prociclici sono stati accettati questi sentieri di riduzione e incorporati nei programmi dei diversi Paesi. Nel caso dell'Italia, la Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013 incorpora fino al 2013 una correzione dei conti pubblici rilevante.
Possiamo verificare cosa significano queste regole dopo questa fase transitoria, che non è piena neppure se ci si ferma al 2013, tant'è vero che a quella data l'indebitamento netto, per il nostro Paese, è indicato dalla Decisione di finanza pubblica al 2,2 per cento del PIL e calcolato dal Ministero dell'economia e delle finanze al 2 per cento del PIL in termini strutturali, quindi vi sono ancora due punti di distanza dall'obiettivo di medio termine. Tale obiettivo è per il nostro Paese un bilancio in pareggio; sostanzialmente, per quasi tutti i Paesi, esso è tendenzialmente il raggiungimento del bilancio in pareggio, la differenza essendo costituita dagli effetti che per ciascun Paese hanno gli stabilizzatori automatici, con il rischio, quindi, che l'indebitamento netto possa superare il
3 per cento del PIL, un limite definito oltre il quale, però, già adesso scatta la procedura per i disavanzi eccessivi.
Noi abbiamo sostanzialmente esaminato gli effetti di queste regole sulla riduzione del debito versus l'obiettivo di medio termine sul saldo strutturale, vale a dire il pareggio di bilancio. C'è la presunzione, anche da parte dei commentatori economici, che la regola sul debito sia molto più restrittiva del conseguimento dell'obiettivo del bilancio in pareggio. Abbiamo fatto un esercizio numerico molto semplice - e altri esercizi sono stati condotti per ipotesi alternative - sostanzialmente confrontando il conseguimento di un bilancio in pareggio strutturale dal 2016 in poi, quindi il completamento del sentiero di aggiustamento individuato nella Decisione di finanza pubblica, versus la riduzione dell'incidenza del debito sul PIL pari a un ventesimo della differenza fra l'incidenza osservata tre anni prima e il valore di riferimento del 60 per cento, con l'obiettivo fissato al 2016, prendendo, quindi, come riferimento il triennio precedente, come
proposto dalla Commissione europea.
Quello che risulta - procedo rapidamente, ma il testo della relazione che ho depositato è più dettagliato - è che la regola sul debito pubblico è stringente, ma meno di quanto non sia la regola sul conseguimento dell'obiettivo di medio termine di un bilancio in pareggio strutturale. Per individuare gli effetti abbiamo ipotizzato due sentieri di crescita: uno che prevede la crescita del 2 per cento del PIL, in conformità con quanto è ipotizzato nella Decisione di finanza pubblica, l'altro, la crescita dell'1 per cento del PIL.
Nell'ipotesi di una crescita annua del PIL del 2 per cento, nel decennio 2011-2020 il rapporto fra il debito e il PIL scenderebbe di quasi trenta punti percentuali nel caso di raggiungimento del pareggio di bilancio dal 2016 e di 20 punti percentuali nel caso di applicazione della sola regola numerica sul debito. Nel caso in cui la crescita fosse pari all'1 per cento, la riduzione del debito sarebbe rispettivamente di 21 e di 18 punti percentuali.
Questi sono esercizi contabili, che ipotizzano tassi di crescita dati. Nel breve periodo, una forte riduzione della spesa pubblica che consentisse di raggiungere questo tipo di obiettivi avrebbe degli effetti di riduzione dell'attività economica di cui non si tiene conto in questo caso; nel medio periodo, invece, potrebbe portare a condizioni di riduzione di incertezza consentendo di migliorare la capacità di sostenere la crescita con programmi di investimento e altro. La crescita, di fatto, non dipende dalla finanza pubblica; questa determina i livelli di reddito nel breve periodo, ma la crescita dipende dagli interventi sul capitale fisico, sul capitale umano, sulle infrastrutture, e dalle regole che condizionano l'attività delle imprese e il mercato del lavoro.
Questo è un punto importante perché tra le obiezioni che vengono mosse sia alla attuale sia alla nuova governance europea vi è quella secondo la quale essa è molto severa e impedisce la crescita dell'economia. Io direi che se non vi fosse un aggiustamento da quel lato la crescita dell'economia rischierebbe di essere molto danneggiata dall'instabilità finanziaria connessa con un disavanzo pubblico che non riesce a essere ridotto e da un debito pubblico che rimane su livelli molto elevati. La prova l'abbiamo vissuta e la stiamo vivendo in questi giorni: gli spread sui titoli di Stato dei Paesi meno virtuosi - non è l'Italia, in questo caso, il punto di riferimento - sono saliti in modo straordinario. Questo è avvenuto, principalmente, perché è stato riscontrato un livello di debito pubblico molto alto, dal quale è difficile scendere, anche in quei Paesi in cui inizialmente il debito
era basso; infatti, in tali Paesi, per questioni legate all'instabilità finanziaria, è stata raggiunta una crescita eccessiva del credito per finanziare investimenti in settori fondamentalmente a bassa capacità di crescita produttiva accompagnata da una valutazione eccessiva dei prezzi delle attività prodotte in questi settori. Tutto ciò ha prodotto un debito pubblico particolarmente elevato e, in determinati casi, spread sui titoli molto alti.
La questione da valutare è che nel caso della regola sul debito, anche se gli effetti complessivi di riduzione del debito pubblico nel medio periodo sono meno incisivi, possiamo avere effetti delicati nel medio termine, tra il 2014 e il 2016 per essere precisi, legati al fatto che quella regola, come è stata disegnata dalla Commissione europea, si applicherebbe con riferimento al periodo di tre anni; rischia, dunque, di essere una regola prociclica - in alcuni casi un ciclo economico è più lungo di tre anni - e, contemporaneamente, di essere una regola che, nel caso in cui si cresce poco, obbliga a ridurre molto il disavanzo pubblico in un tempo molto limitato. Sostanzialmente, è quindi una regola meno stringente nel caso in cui si cresce a tassi abbastanza sostenuti e nel caso in cui si guarda a un periodo di transizione più lungo.
Il punto successivo riguardo a questi dati è che noi sostanzialmente passiamo da un indebitamento netto che il Governo, nella Decisione di finanza pubblica, individua nel 2,2 per cento del PIL nel 2013 a un indebitamento netto pari a zero nel 2016, poi mantenuto su tale livello strutturalmente nel prosieguo degli anni, a fronte di un indebitamento che si ferma su valori tra zero e l'uno per cento del PIL come conseguenza del rispetto della regola europea. Qualcuno potrebbe obiettare che possiamo abbandonare la regola europea perché, tutto sommato, se siamo virtuosi abbiamo già individuato nell'obiettivo di medio termine il percorso corretto per un Paese come il nostro.
Vorrei sottolineare che questi due percorsi non sono alternativi, ma complementari. Anche se di fatto ridurre il debito nella misura del cinque per cento l'anno dello scostamento del debito stesso dal valore di riferimento del 60 per cento, valutato su una media di un certo periodo di anni, può essere meno stringente, come effetti ex post del perseguimento di una regola che pone l'obiettivo di medio termine di bilancio in pareggio, le aspettative dei mercati probabilmente vedrebbero sicuramente favorevolmente una regola definita, quindi rispettata, da parte degli Stati che porti con certezza il debito a ridursi, data l'esperienza acquisita in questi ultimi anni. È un'esperienza che può così riassumersi: noi abbiamo sempre avuto come obiettivo, concordato nell'ambito del Patto di stabilità e crescita, quello di conseguire un bilancio in pareggio al netto degli effetti ciclici. Questo obiettivo non è stato mai
raggiunto.
Adesso il rafforzamento del Patto di stabilità e crescita prevede un insieme di sanzioni. Nel corso dell'audizione dell'8 luglio scorso, nell'ambito dell'esame congiunto, da parte delle Commissioni riunite bilancio e politiche dell'Unione europea della Camera dei deputati, della comunicazione della Commissione europea «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche» (COM(2010)250 def.), avevo messo in luce che forse sarebbe stato anche possibile prevedere una serie di incentivi per conseguire un obiettivo di questo tipo; tuttavia il Patto di stabilità e crescita risulta rafforzato e con le predette sanzioni è possibile che l'obiettivo di bilancio di medio termine in equilibrio sia più raggiungibile.
È evidente che se tale obiettivo non fosse conseguito si creerebbero tensioni sui mercati, che la regola sul debito cerca di evitare.
Tutto ciò implica, per essere molto sintetici, che la spesa corrente deve essere ridotta, in termini di incidenza sul PIL, ancor più di quanto non sia indicato nella Decisione di finanza pubblica. Lo si deduce facilmente se si comprende che la pressione fiscale, probabilmente anche con il recupero dell'evasione, non necessariamente dovrebbe salire e se le spese in conto capitale vengono tenute ai livelli abbastanza ridotti previsti dalla manovra di finanza pubblica.
Contemporaneamente, gioca in senso favorevole una struttura di tassi di interesse sostanzialmente bassa quanto quella attuale che, se per caso fosse spinta verso l'alto, richiederebbe un aggiustamento più forte. Se, però, l'aggiustamento è sul lato della spesa corrente primaria bisognerebbe capire - non si tratta più di un esercizio contabile ma dell'applicazione
concreta di misure di politica economica - su quali spese si può intervenire. Noi abbiamo ben presente che le spese per l'istruzione sono già ridotte rispetto agli altri Paesi; le spese sanitarie possono, forse, essere ridotte attraverso una maggiore efficienza, ma, probabilmente, vi sono effetti demografici di cui bisogna tener conto che le portano verso l'alto; le spese previdenziali e, in particolare, le spese per le pensioni, sono state oggetto di numerose riforme, anche efficaci, quindi ci si può interrogare se si possa ancora intervenire, ma il margine non è elevato. Questo significa che bisogna intervenire a livello microeconomico su singole poste, applicando alcune misure, come la spending review, lo zero-based budgeting, la ricerca di efficienza nei singoli capitoli di bilancio della spesa pubblica; si tratta, quindi, di un lavoro di tipo microeconomico, probabilmente molto difficile da realizzare ma ineludibile,
perché quello è l'obiettivo che dobbiamo perseguire per riconquistare la stabilità finanziaria.
Per concludere l'analisi di questa parte, credo che sia anche da osservare che questi interventi di natura microeconomica potrebbero essere tanto più efficaci se ci fosse una regola - e la Commissione e la task force guidata da Van Rompuy suggeriscono implicitamente di averla - sulle spese complessive primarie multiperiodali. Quando avremo amministrazioni pubbliche diverse da quelle centrali che prenderanno decisioni di spesa, sarà auspicabile che le spese che restano a livello centralizzato seguano una regola di questo tipo e che, a livello territoriale, ci siano regole sicuramente sugli equilibri di bilancio, ma anche, probabilmente, regole sulle spese che le singole amministrazioni effettueranno.
Quanto detto sopra riguarda il rafforzamento del Patto di stabilità e crescita. Vi sono anche una serie di regole e istituti che concernono le procedure, la contabilità, il modo di fare le previsioni, in particolare la prudenza che deve accompagnare le previsioni, la trasparenza dei conti, la solidità delle informazioni statistiche, su cui non mi dilungo e sulle quali credo che non si possa che essere d'accordo con quanto proposto dalla Commissione europea e dalla task force.
Il secondo argomento, sul quale si esercita la Commissione europea, riguarda gli squilibri macroeconomici. Irlanda e Spagna che, fino a pochi anni fa, sembravano andare benissimo sul piano della finanza pubblica, con disavanzi molto ridotti e debito pubblico molto basso, sono due dei Paesi che hanno avuto maggiori problemi durante la crisi. Da un lato, come sapete, l'Irlanda ha utilizzato buona parte della sua crescita economica nella concessione di ingenti crediti alle famiglie, per quel che riguarda gli investimenti di natura immobiliare. Questo ha portato alla formazione di un grande debito privato, che rischiava di mettere in difficoltà le banche irlandesi, le quali sono state «salvate» dalle garanzie e dagli interventi diretti pubblici. Tutto questo si è riversato sul disavanzo, trasformando il debito in una dimensione che tende ad essere molto preoccupante.
Dall'altro lato, nel caso spagnolo, i problemi di competitività e di difficoltà di crescita durante la crisi, dovuti al fatto che la crisi ha colpito soprattutto il settore immobiliare, nel quale c'era stata la maggiore espansione di quel Paese, hanno determinato la necessità di adottare interventi di sostegno all'economia che hanno comportato un aumento del disavanzo su livelli tendenzialmente molto elevati.
Dico questo per sottolineare che, con riferimenti ai due suddetti Paesi, gli squilibri sottostanti riguardavano sia la competitività sia il debito privato che diventa, in alcuni casi, attraverso il salvataggio del sistema bancario, debito pubblico.
La procedura delineata dalla Commissione europea è volta a correggere questi squilibri. A mio avviso, si tratta di una procedura sensata, ma molto complessa da mettere in atto, in primo luogo perché si devono individuare degli indicatori adeguati. Sicuramente il livello dell'indebitamento privato è un indicatore importante; la competitività delle imprese è più difficile da definire, ma il confronto tra la capacità di crescita e la produttività di un'economia, da un lato, e la situazione
dei prezzi relativi e dei costi che si determinano in quella stessa economia, dall'altro, è un indicatore importante. Il saldo della bilancia dei pagamenti di un Paese - quanto bisogna restituire al resto del mondo - si fonda sulla capacità di crescita del Paese. Pertanto, questa attenzione agli squilibri macroeconomici si collega anche agli squilibri di natura strutturale sui quali si era prima concentrato, con scarso successo, l'insieme di norme che va sotto il nome di «Strategia di Lisbona», oggi chiamati «Obiettivi 2020».
La difficoltà di individuare quali sono questi squilibri non comporta che si debba tralasciare di farlo; bisogna però studiare meglio quali siano le istituzioni responsabili e quali il loro ambito di intervento, come intervenire, quale sarà il ruolo della Commissione europea in confronto a quello dei singoli Paesi, se non sarà utile prevedere, a livello dei singoli Paesi, autorità indipendenti in grado di individuare questo tipo di squilibri. Una delle difficoltà maggiori che io ritengo abbiamo riscontrato nei dieci anni nei quali vige l'unione monetaria è stata proprio quella di individuare una istituzione europea - a livello centrale, quindi, a Bruxelles - per imporre ai singoli Paesi i necessari aggiustamenti dei conti pubblici. Se vi è difficoltà per quel che riguarda la finanza pubblica, figuriamoci quale possa essere la difficoltà per quel che riguarda le correzioni di squilibri di natura
finanziaria, nel sistema bancario o nel sistema delle imprese, o per quel che riguarda addirittura la correzione degli andamenti dei costi divergenti rispetto a quelli sostenibili sulla base della capacità produttiva dei Paesi. Bisogna in qualche modo individuare come rendere pratico questo tipo di interventi.
La terza questione che si è messa in luce - e con un certo ritardo rispetto alle altre due - riguarda i meccanismi di intervento per far fronte alla situazione di grave crisi finanziaria di uno Stato membro dell'Unione economica e monetaria. Il dibattito al riguardo è in corso. Alcune proposte sono state discusse; in particolare vi è stato un accordo, a livello di Eurogruppo, su come rendere permanente un meccanismo di intervento quando l'attuale strumento di stabilizzazione finanziaria - European financial stability facility, EFSF in inglese, in italiano: Strumento europeo per la stabilità finanziaria, société anonyme (SESF), impresa pubblica a responsabilità limitata con sede legale in Lussemburgo, avente gli Stati membri la cui moneta è l'euro come azionisti - cesserà di operare a metà del 2013. L'accordo, a livello di Eurogruppo, è stato quello di sostituire il SESF con
un meccanismo permanente di stabilità finanziaria, che dovrebbe offrire programmi di sostegno finanziario ai Paesi dell'area dell'euro, però con condizioni analoghe a quelle previste attualmente dalla facility e con la possibilità di dare a questo meccanismo - in realtà si tratta sostanzialmente di un ente che emette prestiti a favore dei Paesi che richiedono assistenza, finanziandosi sulla base di garanzie date dai Paesi membri - uno status di creditore privilegiato, subito dopo il Fondo monetario internazionale.
Vi sarebbe, in secondo luogo, un'analisi di solvibilità del Paese che richiede assistenza, che sarebbe condotta dalla Commissione europea, dal Fondo monetario internazionale e dalla BCE. Nel caso in cui questa solvibilità fosse riconosciuta, si inviterebbero i creditori privati a proseguire nelle loro esposizioni nei confronti di questo Paese; nel caso - giudicato molto poco probabile ma non impossibile - in cui l'analisi rivelasse una situazione potenziale di insolvenza, si dovrebbero introdurre procedure di ristrutturazione che andrebbero negoziate dallo Stato con i creditori privati. Le ristrutturazioni sarebbero agevolate con la previsione di clausole di azione collettiva inserite nell'emissione di titoli da parte dei Governi; tali clausole sono già state sperimentate nel passato in occasione di crisi di Paesi emergenti e sono state anche inserite nei titoli dei Paesi avanzati per mostrare che l'effetto delle stesse in termini di spread non
era particolarmente rilevante.
Credo - ne ho parlato recentemente in occasione della discussione di una proposta dell'ex Ministro dell'economia del governo
polacco, Leszek Balcerowicz, già governatore della Banca centrale polacca, e non vorrei dilungarmi - che un meccanismo ex ante sia sostanzialmente utile per ridurre il rischio morale che vi potrebbe essere nel sottoscrivere titoli di debito di uno Stato a tassi molto elevati indipendentemente da una valutazione attenta della qualità dei piani di rientro o delle condizioni economiche di quello Stato.
Cito un'osservazione che fu fatta propria dalla Commissione Delors - quella che, peraltro, ha portato alla costituzione del Trattato di Maastricht e dell'Unione economica e monetaria - nella quale si sottolineava l'opportunità di fondare le procedure di «coordinamento» di politiche economiche europee su regole di bilancio anziché sui vincoli imposti dal mercato, poiché tali vincoli venivano considerati inefficaci in quanto o troppo lenti e deboli oppure troppo repentini e travolgenti.
Questo è quello che si è verificato: se infatti considerate gli spread della Grecia rispetto alla Germania sui titoli a dieci anni, noterete che fino all'inizio di quest'anno questi spread erano contenuti fra i 100 e i 150 punti base; in pochi giorni sono saliti a 900 punti, poi hanno superato mille e siamo ancora in quell'ordine di grandezza (fra 800 e 900 punti adesso), a significare sostanzialmente che i mercati sono arrivati troppo tardi e si sono mossi in modo estremamente violento, causando forti oscillazioni ed effetti di contagio nei prezzi delle attività di tutti i Paesi, che è stato necessario fronteggiare con l'istituzione di un meccanismo da parte comunitaria, di una facility quale quella di cui ho parlato poco fa, e con l'adozione di interventi, da parte della Banca centrale europea, che hanno carattere temporaneo, efficaci a smussare certe variazioni eccessive, ma certamente non hanno la possibilità
di essere mantenuti nel tempo, a meno di trasformare una banca centrale indipendente in una «stamperia» di banconote con conseguenze molto rischiose.
Per concludere, io credo che la riforma del Patto di stabilità e crescita sia un passo obbligato. Le tensioni sui mercati finanziari mostrano che i legami tra solidità dei conti pubblici e stabilità finanziaria sono molto stretti; bisogna proseguire nelle politiche di consolidamento delle finanze pubbliche e istituire meccanismi che assicurino politiche di bilancio prudenti per far sì che, nelle fasi congiunturali favorevoli, si metta in cascina il fieno che serve per far fronte alle fasi sfavorevoli.
L'introduzione di una regola numerica sul debito quale quella che abbiamo simulato non richiede al nostro Paese sforzi superiori a quelli molto significativi che sono già imposti dall'obiettivo - accolto - di un bilancio strutturale in sostanziale pareggio; questo vuol dire, peraltro, un saldo primario di bilancio superiore al 4-5 per cento del PIL, che si è già registrato per un certo periodo nel nostro Paese. Una regola sul debito, però, potrebbe avere un effetto segnaletico di rassicurazione, anche per gli investitori, che il debito pubblico non viene lasciato a se stesso, ma viene diminuito nel tempo.
Il contenimento della dinamica della spesa pubblica è il complemento essenziale di una riduzione del debito. Il raggiungimento di obiettivi infrastrutturali può essere, tra l'altro, favorito anche da eventuali emissioni di bond europei, su cui non mi sono soffermato perché è ancora prematuro ed è ancora in fieri il dibattito; si tratta di proposte interessanti che giungono da più parti, e che, chiaramente, nei confronti di un Paese come il nostro, vengono prese con un certo sospetto, se così si può dire, da parte dei nostri partner ma che, tuttavia, possono essere sicuramente utili per quel che riguarda soprattutto gli investimenti di natura infrastrutturale. È evidente, però, che la spesa pubblica deve essere contenuta.
Per il contenimento della spesa corrente occorrono meccanismi che agiscano da entrambe le parti della programmazione della spesa pubblica: quindi, sia la procedura bottom up, guardando alle singole poste, laddove probabilmente vi è molto da fare, e dalla quale si possono conseguire risparmi; sia la procedura top
down, ossia con un'attenzione a un vincolo generale sulla spesa primaria corrente.
La sorveglianza delle condizioni macroeconomiche e strutturali dei Paesi membri va rafforzata, soprattutto alla luce del fatto che situazioni di rischio in settori apparentemente non in rapporto diretto con l'andamento dei conti pubblici possono rapidamente trasformarsi in un deterioramento dei conti pubblici stessi, attraverso tre fattori: il sostegno pubblico diretto a tali settori, l'intervento pubblico di salvataggio, deciso a livello politico, di intermediari finanziari in crisi, la bassa crescita dell'economia, con i relativi interventi pubblici a sostegno della stessa. Naturalmente - la prova della bontà del budino la si avrà nel mangiarlo - è molto importante cercare di capire come definire la procedura al riguardo.
Sul meccanismo europeo di stabilità finanziaria mi sono già espresso. Esso, nella definizione concordata nell'Eurogruppo, sicuramente contribuirebbe a rafforzare la costruzione europea. Per ridurre il costo del debito e per il finanziamento di particolari interventi di natura infrastrutturale, potrebbero essere altresì utili, in prospettiva, forme di emissione di titoli europei, non sostitutive ovviamente dell'impegno necessario a conseguire un bilancio di equilibrio nel medio periodo.
Per conseguire più facilmente, con minori costi, la sostenibilità dei conti pubblici, io credo che si possa concludere ricordando che anche per raggiungere tale obiettivo è fondamentale rafforzare il potenziale di crescita dell'economia, ribadendo le solite osservazioni che facciamo - il Governatore Draghi, io, i colleghi della Banca d'Italia - che riguardano il miglioramento della qualità dei servizi pubblici, la riduzione dei vincoli regolamentari, la capacità di crescita della concorrenza nei servizi offerti dai privati (l'Italia ha ancora una dimensione quantitativa e qualitativa dei servizi offerti dai privati inferiore alla maggior parte dei Paesi avanzati) e l'incremento della produttività che, nel medio termine, credo - questa è una visione personale - non possa che passare attraverso un forte investimento nella scuola, nell'università, nella ricerca e nell'innovazione. Grazie.
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Visco.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
SANDRO GOZI. Ringrazio il professor Visco per la sua relazione molto esauriente. Porrò alcune domande specifiche, nell'ottica dei rapporti tra l'Italia e l'Europa, rispetto a quanto egli ha riferito.
La prima domanda è relativa al nuovo sistema di governance economica. L'obiettivo del relativo pacchetto di misure non è solo quello di rafforzare il Patto di stabilità e di crescita, ma anche, come lei ci ricordava, di migliorare la sorveglianza degli squilibri macroeconomici, quindi la sorveglianza sulla competitività del singolo Paese. Dal vostro punto di vista, ritenete che quanto il Governo ha fatto sinora con la prima bozza di Programma nazionale di riforma sia idoneo a rilanciare, nell'ottica della strategia Europa 2020, la crescita, la competitività e la produttività?
La seconda domanda è relativa alla direttiva sui quadri nazionali di bilancio, che non fa sempre parte, a pieno titolo, del dibattito politico, ma la considero importante e ritengo che anche il suo punto di vista su tale aspetto sia particolarmente importante. La direttiva, lo ricordo, impone requisiti minimi di trasparenza dei bilanci e di indipendenza delle autorità statistiche nazionali. Secondo lei, la disciplina e soprattutto la prassi vigente in Italia rendono, nella nuova ottica di governance europea, i nostri documenti di bilancio pienamente leggibili e completi, oppure occorre apportare delle modifiche?
Lei si è soffermato a lungo sul meccanismo permanente di stabilità e di aiuti ai Paesi in difficoltà. Un'analisi non tecnica, generale, sulle clausole di azione collettiva di cui si è parlato nell'Eurogruppo - se non sbaglio - di fine novembre, mi sembra che possa esporre il nostro Paese a un
rischio, quello di una valutazione collettiva, nell'ottica della peer review, di affidabilità dei vari tipi di debito pubblico, con il rischio che si certifichino varie categorie di Paesi (Paesi di serie A, Paesi di serie B). Credo che non sia difficile immaginare in quale categoria noi saremmo relegati. È un rischio effettivo oppure solo apparente? Può rassicurarci per quanto riguarda la posizione del nostro Paese?
Infine, dal vostro punto di vista - l'ho ascoltata e ovviamente ho letto le conclusioni del Governatore Draghi - e con riferimento ad alcuni Paesi dell'Unione europea fra i quali l'Italia, qual è l'accettabilità sociale del nuovo meccanismo di governance in presenza di una crescita bassa (anche voi stessi, negli esercizi di simulazione da lei illustrati, ipotizzate una crescita dell'1 per cento, in luogo di una crescita del 2 per cento del PIL), e di manovre e di interventi che potrebbero essere molto duri da sopportare con tassi di crescita molto bassi? Quindi, se dal lato dell'offerta dobbiamo considerare positivamente le misure proposte, sulla sostenibilità delle stesse dal lato della domanda e della flessibilità con la quale i nuovi meccanismi dovranno applicarsi, può dirci qualcosa?
MARCO CAUSI. Nel ringraziare il professor Visco per la sua eccellente esposizione, vorrei però rivolgergli, anche come studioso di aspettative, una domanda che riguarda la questione temporale. Con le misure in esame, in sostanza, avvertiamo i mercati che daremo nuove regole di bilancio assunte a livello europeo con effetti fra il 2014 e il 2016. Negli esercizi di stima che la Banca d'Italia ci ha fornito oggi viene effettuato il calcolo contabile di cosa significherebbe l'applicazione di queste regole per l'Italia avendo a riferimento il triennio 2014-2016.
In primo luogo, ritenete e si può ritenere che questo meccanismo di aspettative sia sufficiente a calmare le turbolenze dei mercati riscontrate in queste settimane? In secondo luogo, cosa dobbiamo fare in questi tre anni? Fra il 2011 e il 2013 il percorso di approccio a questi nuovi numeri - che è all'interno di una fase transitoria che poco fa il Commissario europeo per gli affari economici e monetari Olli Rehn ha confermato - come deve essere gestito? Questo è molto rilevante dal punto di vista dell'orientamento delle scelte concernenti la politica di bilancio.
Naturalmente, la preoccupazione - lo diceva anche il collega Gozi poca fa - è di avere un impatto molto forte, sotto forma di una restrizione immediata alla politica di bilancio che potrebbe confliggere con l'obiettivo di aiutare i Paesi europei, e in particolare l'Italia, a uscire da un tono economico molto basso. Come contemperare, dunque, la stretta di bilancio con l'uscita dalla recessione, e il brevissimo periodo con il medio termine?
Inoltre, ritenete che possa essere utile, in questa fase, anticipare e rafforzare il meccanismo di intervento tramite le nuove autorità europee di vigilanza, in particolare la nuova Autorità bancaria europea (EBA)? Dato che una parte cospicua della crisi ha la sua origine nella debolezza delle banche (ad esempio, in Irlanda) e dato che abbiamo messo in campo questa nuova Autorità, non potrebbe - al riguardo vorremmo avere un vostro parere e, se questo ci conforta, vorremmo inserire tale aspetto nella risoluzione che stiamo predisponendo in merito alla riforma della governance economica europea - la stessa essere messa in campo molto velocemente e con un mandato a breve termine (entro 6-8 mesi) in modo che, con il suo reporting, ad esempio entro il 2011, potesse aiutare a condurre una valutazione più attenta (tra i suoi compiti c'è anche quello di valutare in modo specifico singoli istituti bancari) dei rischi insiti nella
situazione delle banche europee e a fare in modo che la ristrutturazione non abbia ad oggetto solo i debiti pubblici, ma inizi la ristrutturazione dei pezzi del sistema bancario che hanno avuto problemi? Insomma, potrebbe questa Autorità, da un lato, aiutare la BCE nella gestione della valutazione corretta dei rischi e, dall'altro, indirizzare le politiche di bilancio?
Infine, alla luce dell'importanza che lei annette al controllo della spesa pubblica da qui ai prossimi anni, dato che stiamo riscrivendo di fatto la legge nazionale di contabilità e finanza pubblica, ritiene utile che a questo punto ci dotiamo, come Paese, di un'autorità indipendente per la finanza pubblica, sul modello del Congressional Budget Office (CBO)? È un tema che è stato molto discusso l'anno scorso, in occasione dell'esame della legge n. 196 del 2009, ma rimasto ancora insoluto.
ENRICO MORANDO. Nella sua introduzione lei ha rimesso l'accento sulla crucialità del dato dell'indebitamento netto strutturale in questo percorso di evoluzione verso una stabilizzazione della finanza pubblica del nostro Paese. Dopo l'approvazione definitiva al Senato, nei giorni scorsi della legge di stabilità per il 2011, il dato dell'indebitamento netto strutturale del 2011 del nostro Paese è peggiore o migliore rispetto al dato precedente l'approvazione della suddetta legge?
La seconda domanda riguarda il tema che è stato appena affrontato dall'onorevole Causi. Noi abbiamo l'esigenza, anche in vista del nuovo semestre europeo, di modificare per aspetti non secondari la legge di contabilità che abbiamo approvato lo scorso anno. In quella legge - credo che sia una domanda retorica, dato quello che ha appena finito di dire, ma mi interesserebbe che lei tornasse sull'argomento - dovremo, a suo giudizio, inserire una regola di evoluzione pluriennale della spesa, come dato generale, oppure, come previsto nella legge di contabilità appena riformata, non dovremo farlo? O meglio, nel testo approvato in prima lettura dal Senato della Repubblica la risposta era «sì», poi nel testo approvato dalla Camera dei deputati la risposta è stata «no».
Infine, alla luce di quello che è accaduto recentemente, immagino che sia in corso un tentativo di aggiornare i caratteri degli stress test sulle banche, perché risulterebbe dall'esperienza che, in buona sostanza, gli esiti tranquillizzanti che erano emersi da quei test non sempre, purtroppo, hanno segnalato una corrispondenza con i dati della realtà.
È in corso una fase di rielaborazione del carattere degli stress test in maniera tale da renderli più affidabili?
PRESIDENTE. Do la parola al professor Visco per la replica.
IGNAZIO VISCO, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Vorrei rispondere partendo dall'ultima domanda. Gli stress test, è vero, sono stati molto criticati. Bisogna capire che quei test, che sono stati elaborati dal CEBS (Committee of European Banking Supervisors), il Comitato che diventerà a breve la nuova autorità di sorveglianza sulle banche, sono stati predisposti con un approccio sostanzialmente di tipo bottom up: sono state invitate le banche, sulla base di indicazioni che provenivano dal CEBS, che raggruppa le autorità di vigilanza di tutti i Paesi europei, a produrre una certa valutazione.
Normalmente vi sono delle differenze fra l'approccio di tipo bottom up e quello di tipo top down, ma un approccio di tipo top down a livello europeo è un esercizio molto complesso: lo è in primo luogo perché non abbiamo un'autorità di vigilanza europea e, in secondo luogo, bisognerebbe avere ispettori in tutte le banche che verificano i conti, segnalano correzioni rispetto ai rischi che sono valutati dalle banche e così via. In parte questo è mancato.
L'esercizio svolto dal CEBS a luglio scorso è stato molto laborioso: vi erano differenze di opinioni tra Paesi; all'inizio bisognava farlo su un numero limitato di banche, poi è stato esteso ad altre banche; le condizioni di stress per molti Paesi erano significative, per altri erano troppo deboli (per esempio, la caduta dei prezzi degli immobili forse era sottostimata e così via).
Nel Comitato economico e finanziario dell'Unione europea, di cui faccio parte insieme a Vittorio Grilli in rappresentanza del Ministero dell'economia e delle finanze, si è discusso di rendere questi test più coerenti e più stringenti, soprattutto
con forme di compartecipazione - questo è un suggerimento non solo mio, ma anche di molti altri - nell'esecuzione dei test su un certo sistema bancario da parte di autorità di un altro sistema bancario, quindi una pressure peer review, un'attenzione maggiore.
In prospettiva, per rispondere all'osservazione dell'onorevole Causi, bisognerà che questi stress test siano effettivamente condotti da un'autorità unica per tutti. Non è facile, per tanti motivi: gli ordinamenti sono diversi, le consuetudini anche mercantili sono diverse nei vari Paesi, vi sono concezioni - bisogna essere franchi in questo - di vigilanza diverse. Abbiamo visto che il nostro sistema, così come quello canadese e quello australiano (tanto per richiamare due sistemi lontani dall'Europa), ha affrontato meglio la crisi di quanto non sia avvenuto in sistemi pure solidi come quello tedesco, per non parlare di quelli che si sono poi rivelati molto deboli, come quello inglese e quello statunitense. Insomma, il primo punto è che le banche sono un po' diverse, il secondo è che i poteri ispettivi sulle banche, da parte dell'autorità di vigilanza, da noi sono più profondi di quanto non avvenga in altri
Paesi, per rispetto di consuetudini, di rapporti, di tradizioni diverse. Questa armonizzazione fa premio, per questo noi insistiamo tanto sul common rule book, su una definizione di regole che valga per tutti.
Le questioni concernenti gli accordi di Basilea, Basilea 3, la definizione sul capitale e così via, saranno analizzate e le relative misure saranno attuate sotto la supervisione di un'unità centrale quale sarà la vigilanza europea. Chiaramente questo è un elemento debole. Il problema irlandese lo abbiamo ben presente. È importante che le procedure individuate di sorveglianza macroeconomica, che riguardano fondamentalmente squilibri finanziari, siano raccordate con le misure che saranno adottate dal nuovo board di valutazione sistemica del rischio finanziario che si sta costituendo a Francoforte.
Per quel che riguarda la questione dell'indebitamento netto strutturale, è un po' presto per fare valutazioni. Una volta recepite le differenze della legge di stabilità per il 2011 rispetto alle proposte originali le faremo e ci aspettiamo differenze non particolarmente significative, ma si vedrà quali saranno in realtà gli effetti delle modifiche per quel che riguarda il saldo di bilancio strutturale.
Abbiamo parlato di semestre europeo e di regole di spesa pluriennale da parte dei singoli Paesi, che sono invitati dalla Commissione europea e dalla task force a introdurre sistemi di regole interne. Nella mia testimonianza prendo posizione a favore di queste procedure, tuttavia le pongo alla fine anziché all'inizio del processo di valutazione della spesa. Abbiamo a lungo discusso con il dottor Franco e i suoi collaboratori questa questione, perché io ritengo che i margini di interventi sulle spese siano molto ridotti, per motivi politici ma anche tecnici (individuare i capitoli, trovare quali sono le inefficienze che si possono ridurre in poco tempo, quelle sulle quali bisogna incidere con forza, cambiando anche l'amministrazione e così via).
Ritengo, tuttavia, che solo attraverso procedure molto attente a livello microeconomico, quindi differenziate tra capitoli di spesa, che portino a definire delle spending review attente sui singoli comparti, che usino i costi standard in modo diverso da quello che è stato fatto finora, ma recependo in maniera ottimale quanto definito anche nelle discussioni sul federalismo fiscale e così via, solo in quel modo si possa arrivare a rispettare quelle regole. Sono regole che servono, perché tranquillizzano anche gli investitori e i mercati, i quali non sanno se effettivamente è possibile intervenire in un piccolo settore e quali sono gli impatti di quest'ultimo a livello macroeconomico.
Per quel che riguarda le osservazioni sull'autorità indipendente, questa è una proposta che viene avanzata dalla Commissione europea e dalla task force coordinata da Van Rompuy, viene totalmente accettata da quest'ultima, ma se è facile a dirsi è più difficile nella pratica a costituirsi. In alcuni casi può funzionare, ma
dipende moltissimo dalla capacità di delegare a un'autorità il compito di fornire valutazioni che si fanno normalmente a Bruxelles. Se, quindi, vengono rafforzate le valutazioni che vengono attualmente fatte a Bruxelles (che sono «indipendenti») o dall'OCSE o dal Fondo monetario internazionale perché saranno effettuate da chi ha più contezza di ciò che avviene in un determinato Paese, sicuramente possono essere utili. Il problema è come effettuare tali valutazioni. Io credo che la Banca d'Italia sia abbastanza indipendente; le analisi di finanza pubblica vengono effettuate con molta attenzione.
A mio avviso, non c'è dubbio che le osservazioni che vengono fatte dalla Commissione e dalla task force coordinata da Van Rompuy per quel che riguarda la qualità dell'informazione statistica sul debito e sui disavanzi, possono sicuramente essere recepite per migliorare tale aspetto, ma credo che l'Italia, differentemente dalla Grecia - per citare un nome - degli ultimi anni, parta con una qualità sufficiente delle informazioni. Proprio su quella qualità delle informazioni noi dovremmo puntare per effettuare quegli interventi di natura microeconomica di cui ho parlato prima.
Per quel che riguarda le aspettative sull'efficacia di tutto questo sistema di regole per calmare le turbolenze dei mercati, come ha affermato l'onorevole Causi, onestamente non saprei dire. Credo che la Decisione di finanza pubblica riguardi dati aggregati, complessivi, e si inscriva nella traiettoria di rientro degli squilibri dei conti pubblici di cui il rafforzamento del Patto di stabilità e crescita chiede la prosecuzione.
Bisogna ovviamente capire se i mercati sono in grado di valutare gli sforzi che vengono indicati per i prossimi anni come sforzi possibili o meno. Questo si collega agli effetti di accettabilità sociale che sono stati prima richiamati dall'onorevole Gozi. Non sono in grado di dire se qualcosa è accettabile socialmente o meno oppure se ci saranno tumulti come quelli che abbiamo visto a Trafalgar Square in questi giorni. È evidente, però, che non si può fare altro che trovare il modo di rientrare sul piano dei conti pubblici. La stabilità finanziaria è un bene che deve essere venduto alla collettività nel suo valore di medio termine; solo in tal modo si possono garantire progressi che saranno più o meno rapidi a seconda di quanto il sistema economico, gli imprenditori di un Paese, i lavoratori e le forze politiche siano stati in grado di garantire.
Credo, però, che per quel che riguarda il nostro Paese questa restrizione immediata nella politica di bilancio, che è già in atto, sia valutata positivamente dai mercati. I mercati vedono che l'Italia è uno dei Paesi europei che, sul piano dei flussi di bilancio, è meglio disposta. Si può dire che non c'era alternativa, dato il debito pubblico e dato il fatto che esso tende a salire con un ciclo sfavorevole; considerato che il deficit in questo momento, è dell'ordine del 5 per cento del PIL, è indubbio che si trasforma tutto in debito pubblico se non si cresce.
C'è anche da dire che noi partiamo con un indebitamento primario basso rispetto agli altri Paesi, in quanto non abbiamo effettuato - nel bene e nel male, probabilmente soffriamo di questo - aggiustamenti o interventi di sostegno all'economia, che altri Paesi hanno intrapreso e che, in alcuni casi, stanno scontando molto brutalmente (e forse alcuni altri Paesi prevedono di scontarli, come il Regno Unito, che decide un intervento molto cospicuo, prevedendo che ci saranno conseguenze economiche molto rilevanti per un breve periodo, che sarà seguito da un medio termine più equilibrato).
Le agenzie di rating sono favorevoli, in questo momento, al nostro Paese, dunque credo che dobbiamo fare di tutto per confermare questa direzione, attraverso anche un'attività di comunicazione dell'importanza di conseguire questi obiettivi.
Per quel che riguarda la questione del meccanismo di stabilità e delle collettive action clause, se si afferma che una volta introdotte esse vanno a penalizzare quei Paesi che hanno una situazione debitoria peggiore, bisogna guardare a due aspetti. In primo luogo, bisogna fare un'analisi
controfattuale, molto difficile, e chiedersi che cosa succederebbe se non si introducesse un meccanismo di questo tipo: i mercati molto probabilmente interverrebbero, com'era scritto nel rapporto Delors, tardi e molto negativamente; quando questo è avvenuto, essi hanno causato la crisi greca e la crisi irlandese, mentre noi stiamo discutendo di come cercare di evitare quel tipo di crisi.
È possibile che vi sia un piccolo trade off tra il premio che può essere richiesto a causa di un intervento di questo genere e il beneficio di non scontare un rischio di incremento dei tassi sul debito a termine. Contemporaneamente, c'è da dire che noi già abbiamo un differenziale rilevante e, in parte, questi differenziali già scontano posizioni diverse dei vari Paesi. Stiamo dicendo che i 200 punti base rispetto al Bund su investimenti a dieci anni sono eccessivi; adesso siamo su un livello di 150 punti base. Tali differenziali si muovono molto rapidamente, quindi è sostanzialmente vero che i mercati sono piuttosto nervosi. D'altra parte, è lì che bisogna collocare il debito pubblico, che non si cancella con una bacchetta magica.
Anche la possibilità di individuare meccanismi di emissione di titoli europei va valutata tenendo conto sia di tutti gli aspetti di natura legale sia della convinzione di tutti coloro che fanno parte dell'Unione europea ad adottare tali titoli, ma non è una pillola che fa sparire il debito.
Sulle direttive di bilancio forse in parte ho risposto. Credo che i requisiti minimi che vengono definiti siano molto importanti; ne do conto nella testimonianza scritta. A mio parere, in alcuni casi sono recepiti e laddove non lo sono bisogna recepirli. Le procedure di previsione devono essere prudenti e accurate. È vero che bisogna partire da un'ipotesi di fondo: non siamo in grado di leggere il futuro, non ci sono maghi tra di noi, però occorre avere molta attenzione, quando si fanno valutazioni che comportano effetti sui conti pubblici, alle ipotesi che vengono utilizzate allo scopo. Una delle grandi storie di successo tra le economie dei Paesi dell'OCSE è stata quella canadese: il Canada ha per un certo periodo accumulato un debito pubblico dell'ordine di quello che abbiamo noi, poi ha intrapreso una politica di rientro basata su una accurata spending review e sulla riduzione della spesa pubblica, accompagnata però con valutazioni
molto prudenti sulla crescita delle attività economiche, sul loro impatto nei conti pubblici e, soprattutto, sulle entrate.
Credo che noi dobbiamo accogliere questa raccomandazione che viene sia dalla Commissione europea sia dalla task force.
Infine, se ho inteso bene, si chiede come il nuovo sistema combini gli obiettivi che riguardano il Patto di stabilità e crescita con la procedura per l'individuazione degli squilibri macroeconomici e se questi squilibri macroeconomici sono misurati con sufficiente attenzione. Credo di aver risposto, quando ho detto che prima bisogna fare il budino e decidere dopo averlo mangiato. Siamo ancora agli inizi, la Commissione europea ha deciso di non pubblicare una lista di indicatori ad integrazione della relativa proposta di regolamento, da guardare per valutare possibili squilibri, perché la situazione macroeconomica di ciascun Paese, probabilmente, richiede indicatori nuovi, cui non si era pensato, ma è evidente che questi indicatori ci devono essere.
L'orientamento è di averne pochi e la mia impressione è che sia opportuno che questi indicatori siano strettamente collegati alle dinamiche della finanza pubblica, attraverso il sistema finanziario, attraverso il debito privato, attraverso la capacità competitiva delle imprese, che si risolve poi nel confrontare tra diversi Paesi i costi unitari, non solo del lavoro, ma anche quelli connessi alla produzione nel corso del tempo.
PRESIDENTE. Professor Visco, sono un po' spaventato dalla tabella allegata alla documentazione consegnata - la Banca d'Italia allega sempre a questi documenti interessanti tabelle - relativa ai differenziali di rendimento a dieci anni rispetto
alla Germania. Non so qual è la capacità dei mercati di valutare, ma leggo la situazione a novembre 2009 relativamente a Grecia e Irlanda e dico che evidentemente, a novembre 2009, nessuno aveva intuito quello che sarebbe accaduto alla Grecia per un verso, sotto il profilo della politica fiscale, e all'Irlanda per altro verso, sotto il profilo della gestione del debito privato.
Mi sembra che adesso Spagna e Italia non stiano meglio rispetto a Grecia e Irlanda nel novembre 2009, o mi sbaglio? Insomma, è possibile che, in particolare per la Grecia, nel novembre del 2009, nessuno avesse previsto quello che sarebbe poi successo? Oggi diamo tutti per scontato il disastro greco, ma mi sembra che a novembre 2009 il differenziale fosse tutto sommato accettabile.
È una provocazione...
IGNAZIO VISCO, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Ho provato a dirlo. I mercati non hanno un incentivo a valutare con attenzione la qualità e l'adeguatezza dei conti pubblici dei Paesi, a meno che non vi sia un costo che devono pagare.
Se so che qualcuno mi offre un rendimento doppio di quello che riesco ad avere dal mio banchiere di fiducia, e so anche che se quel soggetto è sull'orlo del fallimento qualcuno accorre in suo aiuto, questo mi spinge a investire in quella direzione e a deprimere, a questo punto, i rendimenti che ci sono in quel Paese.
Il problema, proprio come osservava la Commissione Delors, è che i mercati, che abbiamo spesso enfatizzato per la loro qualità di valutare tutte le informazioni, addirittura più di quello che possono fare questi poveri economisti che mi siedono accanto, molte volte non solo non sono in grado di farlo, ma non hanno gli incentivi giusti per farlo. Il meccanismo di stabilizzazione di cui si è parlato cerca di introdurre questi incentivi.
Ovviamente questo è totalmente diverso dal pensare al default di un Paese; questo significa pensare di rendere possibile che, nel caso in cui non riesca a ottemperare i suoi impegni, il Paese nel tempo si accordi con il settore privato nel rivedere i suoi impegni verso quest'ultimo. Tutto questo riguarda regole che sono in corso di definizione, che considereranno impegni futuri e certamente non comportano alcun intervento per quello che è, in questo momento, l'impegno di ciascun Paese nei confronti dei propri creditori, siano privati siano pubblici.
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri amici della Banca d'Italia per il contributo, come al solito estremamente interessante e produttivo.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal vicedirettore generale della Banca d'Italia, professor Ignazio Visco (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14,10.