Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3
Audizione di rappresentanti della Corte dei conti (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2012, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 9 12 13 14 17
Baretta Pier Paolo (PD) ... 9
Cambursano Renato (Misto) ... 13
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 12
D'Amico Natale Maria Alfonso, Consigliere della Corte dei conti ... 15
Duilio Lino (PD) ... 11
Flaccadoro Enrico, Consigliere della Corte dei conti ... 16
Giampaolino Luigi, Presidente della Corte dei conti ... 3 14
Marini Cesare (PD) ... 12
Nannicini Rolando (PD) ... 10
Pala Maurizio, Consigliere della Corte dei conti ... 14
Ventura Michele (PD) ... 13
Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2012, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 17 24 27 28
Causi Marco (PD) ... 26
Duilio Lino (PD) ... 25
Marchi Maino (PD) ... 26
Nannicini Rolando (PD) ... 25
Rossi Salvatore, Vice direttore generale della Banca d'Italia ... 17 27
Simonetti Roberto (LNP) ... 24
Audizione di rappresentanti dell'ISTAT (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2012, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 28 37 38 40
Baretta Pier Paolo (PD) ... 38
Duilio Lino (PD) ... 37
Giovannini Enrico, Presidente dell'ISTAT ... 28 38
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche:
Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 17,35.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2012, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, l'audizione di rappresentanti della Corte dei conti.
Sono presenti il presidente della Corte dei conti, dottor Luigi Giampaolino, accompagnato dal dottor Maurizio Pala, dal dottor Enrico Flaccadoro, dal dottor Natale Maria Alfonso D'Amico, dal dottor Luigi Caso e dal dottor Roberto Marletta, che ringrazio per essere intervenuti.
Do la parola al presidente della Corte dei conti, dottor Luigi Giampaolino, ringraziandolo per aver risposto al nostro invito in termini di tempo veramente ristretti.
LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Grazie, presidente. Quattro anni fa, all'inizio della legislatura, l'equilibrio dei conti pubblici sembrava conseguito in forma stabile e permanente. Gli strumenti di contenimento della spesa pubblica e di recupero delle entrate fino a quel momento adottati erano ritenuti sufficienti ad assicurare il graduale azzeramento del disavanzo e la riduzione del peso del debito pubblico.
Il DPEF del 2009-2013, presentato nel giugno 2008, tracciava un profilo di sicurezza dei conti per il periodo di riferimento: il quadro di finanza pubblica prevedeva un indebitamento netto prossimo al pareggio già per il 2011 e un avanzo a partire dal 2012.
In assenza di scostamenti significativi tra proiezioni tendenziali e obiettivi, il documento programmatico non prefigurava, quindi, manovre correttive per l'intero arco della legislatura, essendo il risanamento definitivo affidato a un'anticipazione dei più rilevanti interventi, in particolare il decreto-legge n. 112 del 2008, con effetti di riduzione dell'indebitamento netto pari a circa 30 miliardi di euro nel 2011.
Il risanamento dei conti pubblici si inquadrava in uno scenario economico non ancora segnato dalla piena percezione delle dimensioni che avrebbe assunto la crisi finanziaria internazionale. Tra il 2009 e il 2011 si ipotizzava una crescita dell'economia italiana, in media superiore all'1 per cento annuo in termini reali, una crescita che favoriva il riequilibrio dei conti pubblici e la riduzione del rapporto debito/PIL al di sotto del 100 per cento. La pressione fiscale era stimata stabile intorno al già elevato livello del 43 per
cento; in leggera flessione, invece, il profilo della spesa per interessi sempre in percentuale di PIL.
Si segnalavano peraltro le distorsioni «storiche» della condotta della finanza pubblica, incapace di praticare ad ogni livello di governo e senza esclusione di comparti una effettiva politica di revisione della spesa corrente.
Si procedeva, conseguentemente, attraverso tagli di spese sulle categorie più agevolmente aggredibili, in primo luogo le spese in conto capitale e le infrastrutture, oltre ai consumi intermedi, e il mantenimento di un'anomala pressione tributaria.
Con la pubblicazione da parte dell'ISTAT dei consuntivi per il 2011 sull'andamento dell'economia e dei conti di finanza pubblica e con la presentazione del DEF per il periodo 2012-2015 si delinea la portata del mutamento di scenario intervenuto in questi anni e la misura dell'impegno programmatico richiesto per ricondurre i conti sul sentiero del riequilibrio.
Nel 2011, anno per il quale all'inizio della legislatura era previsto l'azzeramento del disavanzo pubblico e una riduzione del rapporto debito/PIL al di sotto del 100 per cento, l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche ha sfiorato il 4 per cento del PIL, mentre il debito ha superato il 120 per cento del prodotto.
Il quadro di consuntivo evidenzia gli effetti della crisi sulle variabili economiche e sui conti pubblici: nel triennio 2009-2011, il PIL è diminuito complessivamente in termini reali del 3,3 per cento, a fronte di una proiezione di inizio legislatura che ne stimava una crescita del 3,4 per cento. In termini nominali, la perdita cumulata di prodotto risulta prossima ai 160 miliardi di euro.
La correlata flessione delle basi imponibili ha determinato una caduta rilevante del gettito tributario e, di conseguenza, scostamenti di grandi dimensioni tra risultati e originari obiettivi programmatici di finanza pubblica. In presenza di una crescita della spesa pubblica, al netto degli interessi non dissimile - se non nel profilo temporale - da quella programmata nel DPEF del 2008 per il triennio 2009-2011 (cumulativamente il 4 per cento), il cedimento delle entrate, con una crescita cumulata di solo lo 0,6 per cento a fronte di un aumento programmato del gettito di poco inferiore al 10 per cento nel triennio, ha prodotto un progressivo esaurimento dell'avanzo primario, ridotto nel 2011 all'1 per cento del PIL, contro il 4,9 programmato.
A sua volta, l'assottigliamento del saldo al netto degli interessi, in presenza di crescita economica negativa, costituisce il fattore determinante del peggioramento del rapporto debito/PIL.
Nelle dimensioni assolute, gli scostamenti tra le stime di inizio legislatura e il consuntivo per il 2011 indicano: minori entrate per oltre 83 miliardi di euro; minori spese al netto degli interessi per quasi 14 miliardi, ma per più del 60 per cento concentrate sugli investimenti fissi e sulle spese in conto capitale; un avanzo primario inferiore alle previsioni per quasi 70 miliardi di euro; un indebitamento netto superiore alle stime per più di 60 miliardi di euro; un livello del debito pubblico superiore di circa 200 miliardi di euro rispetto alle previsioni.
La crisi ha prodotto un'impostazione di fiscal policy ben diversa da quella di mero accompagnamento degli andamenti tendenziali dei conti pubblici, che caratterizzava il DPEF 2009-2013: si può stimare che, con riguardo al solo 2011, sono stati adottati interventi correttivi del disavanzo pubblico di poco inferiori a 50 miliardi. Senza tali misure correttive, nel 2011 la spesa al netto degli interessi sarebbe stata più elevata delle previsioni di inizio legislatura, mentre le entrate sarebbero risultate inferiori per poco meno di 100 miliardi alla stima originaria.
Nel consuntivo 2011 la dinamica della spesa pubblica ha, sostanzialmente, confermato la significativa frenata già emersa nell'anno precedente: le tensioni finanziarie non hanno consentito di mantenere stabili le spese per interessi sul debito, com'era avvenuto nel 2010. Al netto di tali spese, cresciute di quasi il 10 per cento, la spesa delle amministrazioni pubbliche è diminuita dello 0,5 per cento rispetto al
2010, ancora una volta soprattutto per il cedimento della spesa in conto capitale - meno calata dell'11 per cento - tra cui peraltro sono contabilizzate in diminuzione le vendite una tantum dei diritti d'uso delle frequenze che hanno fruttato circa 3 miliardi.
L'inversione di tendenza impressa alla spesa primaria già nel 2010 si è, dunque, rafforzata, a conferma dell'efficacia degli strumenti di contenimento attivati negli ultimi anni. Ma la stagnazione del PIL preclude la via verso una stabile riduzione dell'incidenza del bilancio pubblico sull'economia: le spese complessive superano il 50 per cento del PIL - più precisamente si attestano al 50,5 per cento - mentre le entrate restano sul livello elevato del 2010, pari a circa il 46,6 per cento.
La vicenda del 2011 evidenzia, ancora una volta, le difficoltà di gestione del bilancio pubblico in una condizione di perdita permanente di prodotto: pur attivando misure rilevanti di contenimento, il livello della spesa pubblica sul PIL resta al di sopra dei valori pre-crisi E ciò a conferma dei margini sempre più stretti di riduzione e riqualificazione della spesa in un contesto di bassa, o nulla, crescita economica e in un breve arco di tempo.
L'urgenza del riequilibrio dei conti si è tradotta, pertanto, inevitabilmente nel ricorso al prelievo fiscale, forzando una pressione già fuori linea nel confronto europeo e generando le condizioni per ulteriori effetti recessivi indotti dalle stesse restrizioni di bilancio, con un consistente depauperamento dei benefici attesi e con il rischio di ricorrenti ma non risolutivi adeguamenti dell'intensità delle manovre correttive.
Il pericolo di un corto circuito rigore/crescita non è dissipato nell'impianto del DEF 2012-2015 al nostro esame, impegnato a definire il profilo di avvicinamento al pareggio di bilancio in un arco di tempo molto breve. La ristrettezza dei margini temporali, imposti dalle intese europee, complica infatti la realizzabilità di una strategia di politica economica, nella quale si compongano le esigenze di riequilibrio del bilancio con quelle della ripresa economica, affidata alle riforme strutturali.
Nel periodo di riferimento del DEF, che ridefinisce l'obiettivo del pareggio di bilancio al 2013 come equilibrio dei conti al netto degli effetti ciclici, corrispondente a un disavanzo pari allo 0,5 per cento nel 2013, la politica di bilancio deve confrontarsi con un abbassamento, in parte inatteso, delle prospettive di crescita anche a livello internazionale.
Nel quadro programmatico di finanza pubblica esposto nel documento, in presenza di un PIL nominale che non supererà lo 0,5 per cento nell'anno in corso, il 2,4 per cento nel 2013 e il 2,8 per cento nel 2014, l'equilibrio dei conti è affidato a interventi correttivi cumulativamente stimati in circa 50 miliardi di euro nel 2012, più di 75 miliardi nel 2013 e oltre 81 miliardi nel 2014.
La componente fiscale di tali interventi è altissima: circa l'82 per cento per il 2012, quasi il 70 per cento nel 2013 e oltre il 65 per cento nel 2014. La pressione fiscale salirà dal 42,5 per cento nel 2011 a oltre il 45 per cento per l'intero triennio successivo. Lo scalino è ancora maggiore, se si considera che nelle entrate del 2011 sono contabilizzati oltre 6 miliardi di euro di gettito una tantum dell'imposta sostitutiva, relativa al riallineamento volontario dei valori di bilancio ai principi IAS.
Colmando una lacuna dei pregressi documenti governativi, che la Corte ebbe modo di rilevare, il DEF quest'anno fornisce una stima degli effetti depressivi associati a una manovra così intensa e, soprattutto, così concentrata sull'aggravio dell'onere tributario. Attraverso la compressione del reddito disponibile delle famiglie, che in termini reali risulterà in diminuzione in ciascuno degli anni dal 2008 al 2013, e degli utili delle imprese, l'impatto negativo delle manovre correttive nel triennio 2012-2014 sarebbe di ben 2,6 punti percentuali con riguardo al PIL, di 3,5 punti con riguardo ai consumi delle famiglie e di quasi 5 punti con riguardo agli investimenti fissi lordi.
Prendendo a riferimento il 2013 - l'anno del «pareggio» - si può calcolare
che l'effetto recessivo indotto dissolverebbe circa la metà dei 75 miliardi di euro di correzione netta attribuiti alla manovra di riequilibrio.
Allo stesso tempo, i benefici sulla crescita economica derivanti dall'avvio dei numerosi provvedimenti di sostegno, in parte già approvati e comunque ricompresi nel Programma nazionale di riforma, sono destinati a realizzarsi appieno in un orizzonte temporale che travalica il periodo di riferimento del DEF. Una valutazione che trova, anch'essa, conferma nello stesso documento governativo, che stima non superiore allo 0,7 per cento l'effetto cumulato al 2014 delle riforme del Programma nazionale di riforma in termini di variazione del prodotto interno lordo.
L'inevitabile asimmetria tra gli effetti restrittivi prodotti dalla manovra di bilancio e l'impatto virtuoso delle misure di sostegno dell'economia genera un equilibrio molto fragile. Lo stesso orientamento dei mercati appare sempre più influenzato dalla percezione negativa delle prospettive di crescita di Paesi come l'Italia o la Spagna, e anche dall'impressione che l'alto livello della pressione fiscale sia destinato a perdurare in ragione della difficoltà strutturale di andare oltre l'attuale compressione della spesa pubblica.
Il profilo piatto della crescita economica si traduce, anche per il periodo di riferimento del DEF, in un'incidenza soverchiante del bilancio pubblico sull'economia. Il percorso di riequilibrio dei conti pubblici dal 2010 al 2015 si realizzerebbe, infatti, in una prospettiva di ulteriore aumento del livello di intermediazione del bilancio pubblico.
La riduzione e il completo assorbimento dell'indebitamento netto programmato nel periodo - circa 71 miliardi - sarebbero conseguiti solo per l'aumento imponente delle entrate - circa 123 miliardi - e nonostante un ulteriore aumento del livello della spesa pubblica - circa 52 miliardi. Anche se misurata al netto delle spese per interessi e degli investimenti fissi, la somma di entrate e spese pubbliche supererebbe nell'intero periodo il 90 per cento del PIL: un drenaggio di risorse incompatibile con un'efficace politica di rilancio dell'economia.
In altri termini, ancorché obbligato, il pareggio di bilancio conseguito con queste modalità appare un equilibrio meno virtuoso. Con un alto livello di entrate e di spese pubbliche - oltre che con un'inflazione in rapida risalita - la compressione del reddito disponibile di famiglie e imprese non può che tradursi nella caduta della propensione al consumo e all'investimento.
La situazione di impasse sollecita la ricerca di soluzioni all'interno del sentiero prescelto e concordato con i partner europei. Ciò che esclude letture più flessibili degli obiettivi programmatici sul disavanzo pubblico e più attente a scongiurare una condotta fortemente prociclica delle politiche di bilancio.
Restare dentro il sentiero significa esplorare a fondo i possibili percorsi di intervento che aiutino a risolvere la dicotomia rigore/crescita, liberando, per quanto possibile, risorse per aumentare gli investimenti e per ridurre in misura sostanziosa il cuneo fiscale.
I percorsi di intervento, chiaramente identificabili nei documenti programmatici e nelle ricorrenti prospettazioni del Governo, si possono ricondurre sostanzialmente a cinque: la rimozione degli ostacoli per un rilancio degli investimenti pubblici e privati e delle infrastrutture, fattore determinante per la crescita economica; la riduzione ed il miglioramento della qualità della spesa primaria, da ottenersi attraverso un'azione concreta e incisiva di spending review; la riduzione della pressione fiscale che grava sull'economia emersa, da finanziare con i maggiori proventi ottenuti dalla lotta all'evasione e all'elusione fiscale e con l'ampliamento delle basi imponibili; una diversa distribuzione del carico fiscale, sgravando lavoro e imprese e incidendo maggiormente consumi e patrimoni; il ridimensionamento della spesa per interessi e la riduzione del ricorso al mercato, da ottenersi con un abbattimento significativo dello
stock del debito, grazie alla dismissione di quote importanti del patrimonio mobiliare e immobiliare pubblico.
Si tratta di percorsi in parte già avviati - e che costituiscono fondamentalmente il contenuto del Programma nazionale di riforma, parte integrante del DEF - ma, in alcune direzioni, l'impianto non appare ancora adeguato, anche in relazione al coordinamento tra i livelli di governo previsti tra l'altro dalla nuova legge di contabilità.
Nell'orizzonte fino al 2020, il Programma nazionale di riforma stima un effetto cumulato di crescita attribuibile al pacchetto di riforme in esso contenuto pari a 2,4 punti percentuali, dei quali 0,9 punti nel quadriennio 2012-2015. Particolarmente significativo appare l'impulso sugli investimenti, anche nel breve periodo, attribuito al complesso di interventi volti a favorire la concorrenza e l'apertura dei mercati. Si tratta di un'assunzione impegnativa, se si considerano i molteplici, diversificati fattori che, negli anni, hanno determinato un declino crescente dell'accumulazione di capitale e un evidente ritardo infrastrutturale del nostro Paese.
Con riguardo, in particolare, alle infrastrutture, le criticità non hanno riguardato soltanto le scarse disponibilità finanziarie pubbliche. Altri ostacoli sono stati più volte evidenziati anche dalla Corte stessa. In una prospettiva di risorse pubbliche scarse, occorrerà in primo luogo rimuovere i due principali ostacoli alla finanza di progetto, che rendono nel nostro Paese particolarmente esigua la parte delle opere infrastrutturali finanziate con fondi privati: la frammentazione delle stazioni appaltanti e la mutevolezza delle regole, soprattutto con riguardo alla fissazione delle tariffe, che rende aleatorie le previsioni riguardo al rendimento degli investimenti realizzati. Su altri fattori, invece, si può intervenire e, in parte, si è intervenuto: semplificazione dell'iter progettuale e preliminare, previsione di nuovi strumenti di finanziamento privato e del contratto di disponibilità quale nuova forma di
partenariato pubblico/privato.
Tra i fattori che contribuiscono all'allungamento dei tempi e all'incremento dei costi vanno considerati gli oneri compensativi, tesi ad acquisire il consenso del territorio su cui si inserisce l'opera. Il «dibattito pubblico», quale momento di confronto ante operam con le comunità territoriali può senz'altro agevolare la realizzazione delle opere. Vanno, comunque, previste anche forme di responsabilizzazione degli enti territoriali, che limitino la richiesta di opere aggiuntive e compensative in corso d'opera, spesso variabile indipendente dell'aumento dei costi.
Altro elemento di incidenza sul costo finale è costituito dal cosiddetto overdesign, cioè dal costo determinato da normative tecniche sopraggiunte in epoca successiva all'approvazione del progetto, più vincolanti rispetto agli standard europei. Il fattore normativo tecnico non dovrebbe essere modificato frequentemente e, soprattutto, dovrebbe avere come riferimento il parametro europeo, anche ai fini del rispetto dalla concorrenza.
In una logica di finalizzazione alla crescita, la spending review deve rendere possibile non solo la riduzione della spesa, quanto la sua migliore distribuzione - in primis a favore degli investimenti - e il conseguimento di più elevati standard di efficienza, individuando nello stesso tempo distorsioni strutturali connesse ad assetti organizzativi da riconsiderare drasticamente, come ad esempio quella della tutela dell'ordine e della sicurezza.
Tale ricerca di efficienza deve riguardare anche l'organizzazione tra livelli di governo. Su due punti, invece, le scelte operate anche di recente con il decreto-legge n. 16 del 2012 in materia fiscale offrono più di un elemento di perplessità. La necessità di ottenere un miglioramento nell'efficienza gestionale ha spinto finora a puntare a una semplificazione nella gestione dei servizi offerti dagli enti locali, prevedendo la gestione associata delle funzioni.
Il decreto-legge sottoposto la scorsa settimana al voto di fiducia, ampliando i margini per le assunzioni negli enti locali, oltre che indebolire il rigore delle scelte
finora assunte, attenua la spinta per l'individuazione di assetti organizzativi dimensionalmente più efficienti, rispondendo a logiche individuali di una struttura territoriale considerata, a ragione, troppo frazionata.
Inoltre, l'introduzione del patto di stabilità interno orizzontale nazionale di fatto neutralizza l'operare della concertazione a livello regionale, che nell'anno appena concluso aveva conosciuto le prime esperienze di rilievo in molte realtà regionali. Una scelta che sembra contraddire gli interventi diretti a valorizzare il ruolo del decentramento, rafforzando le forme di cooperazione tra enti diversi della stessa Regione e contribuendo, per questa via, ad attribuire al sistema delle autonomie un ruolo nella politica di risanamento della finanza pubblica.
Per la lotta all'evasione fiscale va definito un vero e proprio piano industriale che, partendo dall'analisi e dalla quantificazione del fenomeno nel complesso e nelle sue componenti, definisca strategie di azione sia di contrasto, sia, ed ancor più, di induzione alla compliance, fissi obiettivi temporalizzati, destini le risorse necessarie e preveda meccanismi di controllo di gestione dell'attività svolta.
In tale direzione sembra muovere opportunamente il disegno di delega fiscale approvato la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri, con il quale si prevede la definizione di metodologie di stima e rilevazione dell'evasione di tutti i principali tributi, attraverso il confronto tra i dati di contabilità nazionale e quelli dell'anagrafe tributaria, e l'obbligo di redigere un rapporto annuale, all'interno della procedura di bilancio, sulla strategia seguita e sui risultati conseguiti.
A questo fine aiuterebbe anche riavvicinarsi all'antico principio secondo il quale, data la scarsità delle risorse destinabili all'azione di controllo fiscale, è bene concentrarle ove i controlli stessi possono produrre effetti a cascata.
L'attività di contrasto all'elusione va anch'essa impostata in modo sistematico, con la ricognizione e l'aggiornamento delle fattispecie e il coordinamento delle azioni da svolgersi ai diversi livelli: analisi del rischio, controllo, accertamento, contenzioso, e riscossione.
Complessa si presenta, infine, la verifica degli interventi di razionalizzazione e di riduzione operabili in materia di esenzioni e agevolazioni, che comportano l'esigenza di una contestuale riforma del sistema tributario e di una riconsiderazione dell'ambito e delle modalità di erogazione delle prestazioni sociali.
Per quanto riguarda gli interventi di correzione dell'attuale distribuzione del carico fiscale sulle diverse aree impositive, vanno verificati i residui margini di manovra dopo l'inasprimento già operato a carico dei consumi e dei patrimoni. Per quanto riguarda in particolare l'IVA, va anche condotta una sorta di approfondita tax review, per riconsiderare l'inserimento dei diversi beni e servizi all'interno delle tre aliquote, anche qui nell'ottica di favorire quelli più legati alla crescita e quelli che maggiormente incidono sulle fasce sociali più deboli.
Relativamente, infine, al percorso delle dismissioni, come questa Corte ha di recente affermato, è del tutto lecito che il controllo pubblico di alcune attività patrimoniali possa essere oggetto di scelte politiche, in relazione ad esempio a partecipazioni e imprese ritenute strategiche rispetto al futuro del Paese. Ma per una gran parte delle attività patrimoniali pubbliche, l'ostacolo alla cessione non sempre consiste in eventuali considerazioni strategiche, bensì in difficoltà di procedura e in ritardi operativi o nella semplice scarsa conoscenza dello stato del cespite.
Nel passato, alle dismissioni si è fatto ampio ricorso, prima con le privatizzazioni e poi con il non felice esperimento - a giudizio della Corte - delle cartolarizzazioni, senza ottenere risultati di effettivo rilievo sul piano dell'abbattimento dello stock del debito. La ragione dell'esito insoddisfacente della politica delle dismissioni attuata in passato va ricercata proprio nella scarsa conoscenza delle condizioni di cedibilità dei cespiti e del rapporto costi/benefici, oltre che nella limitata capacità
di gestione strategica dei processi da parte delle competenti strutture amministrative.
Ciò sembra confermato dal fatto che il DEF, pur annunciando un riavvio degli studi e dei lavori preparatori per una ripresa delle cessioni patrimoniali, stima, nella tavola relativa alle determinanti del debito pubblico, introiti da privatizzazioni, da qui al 2015 compreso, pari a zero.
L'ambito di fattibilità delle dismissioni dovrebbe essere oggetto, invece, di un sollecito e attento esame, perché una ripresa delle politiche di dismissioni del patrimonio pubblico può risultare opportuna non solo per i benefici che ne deriverebbero in termini di riduzione del debito e quindi della spesa per interessi, ma soprattutto perché essa consentirebbe di abbattere il ricorso netto al mercato nei due anni che ancora ci separano dal programmato raggiungimento dell'equilibrio di bilancio, con un ovvio impatto positivo sullo spread.
Sarebbe quindi opportuno prevedere all'interno del Governo una «sede dedicata», supportata da una task force operativa, per acquisire, entro un termine breve e prestabilito, tutti gli elementi conoscitivi disponibili, con riguardo ai cespiti pubblici cedibili, corredati dalle informazioni necessarie in ordine ai vincoli e alle condizioni di utilizzo, nonché individuare le eventuali modifiche al quadro normativo necessarie per accelerare le cessioni. La task force dovrebbe, infine, proporre, a conclusione della ricognizione e delle analisi, uno specifico piano industriale, completo delle indicazioni relative alla sua gestione attuativa.
Al documento che deposito agli atti sono allegati tavole e grafici, che possono essere oggetto di commento. La ringrazio, presidente.
PRESIDENTE. Grazie a lei per questa relazione completa, documentata e non priva di spunti di riflessione. Abbiamo circa mezz'ora, per cui vi prego di porre le questioni in termini sintetici, in modo da lasciare spazio alla replica del presidente Giampaolino.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
PIER PAOLO BARETTA. Grazie, presidente. La prima questione: il DEF ci dice che il pareggio di bilancio nel 2013 consiste in un risultato negativo dello 0,5 per cento, quindi è un quasi pareggio, però il modo con cui si arriva a questo risultato, distinguendo tra il deficit ordinario e quello strutturale, presuppone che questo 0,5 per cento sia considerato gestibile e, quindi, si possa prevedere di mantenerlo come se fosse un pareggio, senza ricorrere a ulteriori manovre correttive.
Vorrei sapere se nella vostra valutazione questo elemento sia realistico o invece, sia pure contenuto, questo 0,5 per cento possa presupporre il fatto che, stanti il quadro di riferimento generale così negativo e alcuni elementi che lei ha considerato, sia non auspicabile, ma ipotizzabile attuare manovre correttive.
La seconda osservazione: condivido l'attenzione particolare alla questione del debito, che, tanto più si se si arriva a questo pareggio più o meno totale del deficit, diventa la questione principale non solo per i vincoli europei, ma anche per i nostri. La Corte ha messo in evidenza il peso che hanno avuto le entrate nel raggiungimento dei risultati parziali finora ottenuti, però è anche evidente che la pressione fiscale è arrivata a un punto difficilmente superabile o incrementabile. Qualcuno di noi, infatti, potrebbe pensare che in merito vi sia un margine su alcune ipotesi, come la previsione di una ulteriore patrimoniale, anche se l'IMU in parte lo è già, ma complessivamente la pressione fiscale è già elevata. Questo significa spostare l'intervento sul debito su altri due aspetti: il taglio della spesa e una politica di dismissioni.
Lei ha sottolineato un punto, che personalmente ho fatto presente anche questa mattina al Vice Ministro Grilli, evidenziando come sulle dismissioni vi sia una scarsa propensione da parte del Governo. Lei lo ha rilevato sul calcolo dei benefici attesi, e complessivamente ha sottolineato
che non abbiamo a disposizione un piano di dismissioni adeguato. L'obiezione sul fatto che non è il momento migliore è comprensibile, però non quale sarà il momento migliore se ci teniamo un debito di queste dimensioni. Vorrei chiederle di approfondire questo punto.
L'altro punto, e concludo, è quello della spesa pubblica: ho l'impressione, infatti, che anche sulla spending review vi sia un intervento più programmatico che effettivo. La domanda piuttosto schietta, di cui mi scuso, è se, al di là delle propensioni politiche, riteniate praticabile una spending review date le condizioni generali della nostra pubblica amministrazione. Partendo dal presupposto che le volontà politiche siano tutte condivisibili, vorrei chiedervi dove sarebbero gli ostacoli e come bisognerebbe incidere per avere una prima considerazione in questa direzione.
ROLANDO NANNICINI. Mi soffermo sulla parte della sua relazione relativa alla task force sul problema del patrimonio pubblico. Se ne parla da tanti anni e, se andiamo a verificare come svolga la sua funzione l'Agenzia del demanio, che tra l'altro è ricompresa nell'elenco delle pubbliche amministrazioni centrali ed è sottoposta a un'attenta verifica del patto di stabilità, se facciamo un censimento di cosa succede in Italia, si constata che paghiamo 650 milioni di euro l'anno di affitti passivi e percepiamo 138 milioni di euro per affitti attivi da tutto il patrimonio che abbiamo.
Questa è una denuncia che abbiamo fatto più volte, perché vorremmo comprendere prima di tutto quali siano gli elementi di controllo sulla gestione del patrimonio pubblico. Al Parlamento attiene la funzione di controllo e di ricerca di dati, non certo la loro soluzione.
Sono d'accordo che il DEF indichi introiti zero fino al 2015 su questa posta, ma in questa fase sarebbe molto corretto prevedere una gestione diversa e più utile e almeno tagliare una parte degli affitti passivi, perché è altrettanto chiaro che, in alcune realtà territoriali, si pagano affitti passivi pur avendo immobili non utilizzati.
Su questo sarà nostra particolare attenzione fare specifiche interrogazioni sull'Agenzia del demanio, perché ormai noi parlamentari possiamo svolgere solo una funzione di controllo e di indirizzo, ma ben poco di scelta, come credo lei si sia reso conto, e, quindi svolgeremo con forza questa funzione. Su questo tema c'è da promuovere una attenta ricerca affinché il patrimonio pubblico sia utilizzato al meglio e in termini virtuosi.
Altra questione è quella della spending review e di tutti gli elementi di raccordo relativi al bilanci delle amministrazioni pubbliche, che anche lei ha richiamato nella sua relazione, quando, in particolare, ha fatto riferimento al contributo degli enti territoriali al risanamento. Sono curioso infatti di sapere quali siano le spese dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AgeNaS), dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie e per l'innovazione, dell'Agenzia per la rappresentanza negoziale della pubblica amministrazione, dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, della Cassa conguaglio per il settore elettrico, del Comitato Nazionale per il microcredito, e di DigitPA, che non sono mai sottoposti ad una attenta analisi.
Da questi enti vorrei ricevere documenti in grado di spiegarmi come intervengano sui servizi sanitari e vorrei che forniscano dei dati: a volte, infatti, si procede alla cieca. Potrei elencare ancora le amministrazioni locali, le regioni e le province autonome, le province, i comuni, le comunità montane, le agenzie, gli enti e i consorzi per il diritto allo studio universitario, le camere di commercio, e vari consorzi.
Si parla sempre di comuni, province e regioni, ma non si discute mai di come è organizzata l'intera struttura amministrativa dello Stato al fine di garantire che l'azione di risanamento sia realizzata rispettando il principio di equità e di redistribuzione all'interno di tutte le amministrazioni pubbliche. Non possiamo continuare
a lamentarci e a non promuovere mai un'azione che anche nel Documento di economia e finanza e nella legge di stabilità successiva dia efficacia a questo tipo di interventi.
LINO DUILIO. Grazie, presidente, per questa analisi, che sembra il resoconto di uno «stato di guerra», perché purtroppo ci troviamo in una situazione molto preoccupante.
Prendendo spunto da una visione centrata sull'arco di tempo coincidente con la legislatura, come lei ha fatto partendo da quattro anni fa, e, considerando ciò che lei afferma con dovizia di particolari, le chiedo telegraficamente se si possa arrivare a risultati diversi utilizzando le ricette di sempre.
Quanto sta accadendo sotto i nostri occhi certamente tiene conto della situazione internazionale, della crisi proveniente anche da altrove e dei vincoli comunitari derivanti dall'Unione economica e monetaria. In questo quadro, utilizzando ricette che abbiamo cominciato a utilizzare da qualche anno, vorrei sapere se secondo questo approccio «continuista» possiamo ottenere risultati diversi da quelli che sono già sotto i nostri occhi.
La domanda per me è evidentemente retorica, ma siamo tutti consapevoli dell'esigenza di mettere sotto controllo i conti, di evitare le spese inutili, di fare la spending review che peraltro produrrà risultati non a breve, come dichiarato dal Vice Ministro dell'economia e delle finanze Grilli e anche - l'ho citato anche questa mattina - dal compianto Padoa-Schioppa, che diceva che la spending review non si fa a colpi di proclami, che producono risultati dalla sera alla mattina. Basta andare a rileggersi le carte che documentano quanto ha sostenuto in questa sede.
Tenendo conto che la pressione fiscale ormai è arrivata sulle cime dell'Himalaya, del fatto che l'Europa ci chiede certe cose, sembra che non ci sia soluzione, almeno non in tempi ravvicinati. Quindi, dal momento che non possiamo affidarci al senso storico, chiedendo ai cittadini cose impossibili perché fra dieci anni la situazione sarà cambiata, dobbiamo cercare di volgere lo sguardo a un tema che viene evocato un po' retoricamente, cui, considerati i compiti della Corte, lei non ha fatto esplicito cenno, ovvero al fatto che la crescita diventa fondamentale per uscire da questa situazione.
Non si può, però, proseguire con i proclami, perché da una parte c'è un discorso di investimenti e dall'altra parte c'è - questo dovrebbe essere oggetto di riflessione in un altro momento - un discorso di qualità della crescita. Come c'è il discorso di qualità della spesa, si dovrebbe fare anche un discorso di qualità, che attiene al tema di nuovi prodotti e nuovi mercati, e ad una serie di temi che non è il caso di affrontare in questa sede.
Dato il contesto e considerato che, a meno di risultati politici in Francia che determinino conseguenze politiche in Europa rimettendo in discussione la filosofia che si sta praticando - un pensiero «unico» e un poco debole, secondo il mio parere -, dovendo fare qualcosa abbiamo due possibilità: quella evocata da qualche collega - quindi l'idea non è mia -, per cui, avendo assicurato le condizioni strutturali di equilibrio dei nostri conti, dovremmo chiedere all'Europa di darci la possibilità, una tantum, di recuperare risorse a carico del bilancio pubblico, perché ci sia uno shock nell'economia, visto che sono state assicurate le condizioni strutturali di equilibrio; oppure fare ricorso, ipotesi che non vedo nella sua analisi, alla vendita dei gioielli di famiglia.
Parlo di gioielli consistenti, che non voglio enumerare. Potremmo parlare di quote percentuali del pacchetto ENI o di altro. Faccio questo discorso con molta circospezione, perché tendenzialmente e anche ideologicamente non sono portato a suggerire di liberarci dei gioielli di famiglia pubblici, perché temo che finirebbe come con il patrimonio pubblico, che abbiamo svenduto più che venduto, rimanendo comunque nella stessa situazione in cui eravamo prima.
Al di là delle mie opinioni, vorrei sapere se lei non ritenga che dovremmo recuperare queste risorse, altrimenti mi
chiedo come usciremo da questa situazione. Mi sembra che sia un gioco impossibile. Grazie.
AMEDEO CICCANTI. Vorrei fare una considerazione sulla spending review. La Corte dei conti, esercitando un controllo sulla pubblica amministrazione, sa meglio di tutti dove si annidino gli sprechi, le disfunzioni e dove si debba intervenire con eventuali interventi correttivi, anche perché dagli anni '90 con la nuova legge essa esercita un controllo, oltre che di legittimità, anche di risultato, e quindi è in grado di individuare il gap tra gli investimenti fatti per la produzione di servizi e i risultati ottenuti.
Credo sia anche in grado di fare un benchmark di quello che succede nella Pubblica amministrazione o almeno di dire come si debba fare, perché ha funzioni anche consultive, non soltanto giurisdizionali, laddove il controllo è a volte anche consiglio.
In questi giorni ho letto delle differenti valutazioni compiute dal Ministro Giarda, che sta lavorando sulla spending review, e i ministri dell'interno, della difesa e degli esteri, che sui necessari ritocchi della spesa per quanto di loro competenza hanno qualche problema. Leggendo l'analisi realizzata due mesi fa dal Ministro Giarda, si rileva che l'80 per cento della spesa è dovuto a fattori legislativi e quindi a problemi che non riguardano solo il Governo.
In particolare, mi soffermo sui numerosi tagli operati, stante la deroga, perché la legge n.196 del 2009 non lo consente sulle missioni, ma sui programmi che costituiscono l'unità di voto del bilancio. Più specificatamente, abbiamo 172 programmi su cui poter intervenire e tagliare, e abbiamo circa 17.000 autorizzazioni di spesa e dovremmo intervenire sulla dinamica che è alla base di queste singole autorizzazioni di spesa e rivedere questi meccanismi.
Si tratta di un compito legislativo che appartiene al Parlamento, e vi è un'obiettiva difficoltà a giungere a una conclusione. Vorrei sapere in quali termini si delinei il ruolo della Corte dei conti, per segnalare i vari programmi e le varie autorizzazioni di spesa in rapporto anche alla vostra storica attività. Infatti, credo che la Corte dei conti abbia una funzione non solo notarile, ma anche attiva sul controllo della spesa. Vorrei, quindi, sapere quale sia eventualmente il ruolo che potete esercitare in tale senso.
Si è parlato di task force per le dismissioni dei beni pubblici mobili e immobili, ma è necessaria anche una task force fatta da rappresentanti del Parlamento, della Corte dei conti e del Governo cioè dell'Esecutivo, per poter affrontare la spending review.
Il fatto che lo faccia solo il Governo ha molti limiti, ma vorrei conoscere il suo pensiero in proposito.
PRESIDENTE. Chiedo ai colleghi che devono ancora intervenire di essere il più possibile sintetici, per permetterci di rispettare i tempi previsti.
CESARE MARINI. La ringrazio, presidente, perché lei svolge sempre delle relazioni puntuali, opportune e anche stimolanti. Vorrei porle due questioni. La prima è stata, in qualche modo, già posta da quasi tutti i colleghi. I provvedimenti dell'attuale Governo - ad esempio, la semplificazione e la revisione della spesa pubblica in atto - seguono l'unica direzione di mettere in ordine i conti pubblici, quindi contenere e ridurre la spesa pubblica, ma purtroppo lei ha in parte denunciato che i risultati sono disastrosi.
Non si poteva fare diversamente e certo non voglio sostenere che le politiche del Governo siano sbagliate, ma credo si ponga con forza la necessità di cambiare registro per quanto riguarda la promozione della crescita. Tramite l'Europa, con decisione probabilmente multilaterale, non certo unilaterale del nostro Paese, bisogna trovare il modo di rimettere in moto l'economia e quindi bisogna fare politiche diverse del debito. Le politiche keynesiane si ripropongono, altrimenti rischiamo di morire. Vorrei conoscere la sua opinione al riguardo.
Il decreto-legge n.112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, prevede all'articolo 58 la valorizzazione dei beni pubblici anche di comuni, province e regioni, perché siano messi sul mercato o valorizzati dagli enti territoriali locali nelle due forme: l'alienazione o la valorizzazione.
Nonostante avessi avvertito il ministro competente dell'epoca, non si è considerato che tutti i beni pubblici del Mezzogiorno per un'antica eredità del Regno di Napoli sono gravati da usi civici, perché la struttura proprietaria del feudo rendeva necessario provvedere all'essenziale per non far morire di fame le popolazioni, cosa che si faceva attraverso gli usi civici: cioè il diritto di legnatico, di pascolo e di raccogliere i frutti del sottobosco. Gli usi civici impediscono qualsiasi forma di valorizzazione, non solo di alienazione, perché è sufficiente che un qualsiasi cittadino impugni la valorizzazione di un metro quadrato per bloccare tutto.
Vorrei sapere se non ritenga utile che Governo e Parlamento affrontino seriamente questo tema, liberalizzando tale materia, anche perché gli usi civici non esistono più e sono desueti. Grazie.
PRESIDENTE. Onorevole Marini, quando lei interviene imparo sempre qualcosa. Chiedo agli onorevoli Cambursano e Ventura di andare all'essenziale.
RENATO CAMBURSANO. Sono sempre molto interessato alle analisi approfondite della Corte dei conti, ma in questa occasione è addirittura andata oltre, giungendo a individuare cinque percorsi d'intervento, anzi direi qualcuno in più di cinque perché l'ultimo mi pare quello più significativo: l'individuazione di una task force governativa per procedere senza cartolarizzazioni alla cessione del patrimonio immobiliare pubblico.
Per quanto riguarda i servizi offerti dagli enti locali, giustamente lei evidenzia un arretramento, un passo indietro con l'ultimo decreto-legge sulle semplificazioni, laddove purtroppo si è data anche la possibilità di ampliare il margine per assunzione degli enti locali. Alcune grandi città e non solo hanno già avviato percorsi positivi sul fronte dei servizi pubblici, un rafforzamento non solo della governance ma anche dell'offerta in termini di concentrazione di diversi soggetti in un unicum per essere competitivi anche rispetto all'estero. Vorrei conoscere la sua valutazione su queste esperienze.
Per quanto riguarda la gestione del patrimonio immobiliare, condividiamo la realizzazione di questo strumento, ma abbiamo urgenza di individuare il percorso più veloce e spedito, che ci metta a disposizione dei fondi, se davvero vogliamo dare un colpo di reni per far ripartire la crescita.
Sulla base dell'esperienza avviata - felicemente mi pare di poter dire - da alcune grandi città come Milano e Torino, si potrebbe utilizzare, per limitarsi alla mia precedente esperienza professionale, una realtà peraltro controllata al 70 per cento dal Ministero dell'economia, la Cassa depositi e prestiti.
Tali città hanno affidato a un fondo immobiliare comune gli immobili di loro proprietà, per avere disponibilità finanziarie immediate, per cui mi chiedo perché non individuare a breve questi immobili attraverso gli strumenti del Demanio e delle stesse autonomie locali e trasferire da questa task force questo pacchetto di immobili a un fondo immobiliare e avere la disponibilità della liquidità da parte di Cassa depositi e prestiti per cominciare ad alleggerire il debito o far ripartire la crescita, destinandole alla riduzione del debito «mostruoso» che le pubbliche amministrazioni hanno nei confronti delle piccole e medie imprese. Grazie.
MICHELE VENTURA. In questa interessante esposizione, per quanto riguarda la parte relativa al quadro programmatico di finanza pubblica, lei ci ha detto con grande precisione quali interventi correttivi cumulativi siano necessari nei tre anni che abbiamo di fronte. Si tratta di cifre impressionanti, a fronte delle quali chiaramente c'è la questione della pressione fiscale esistente.
La mia prima domanda può sembrare scontata e semplicistica. Infatti, vorrei sapere se - dicendo che d'ora in avanti facciamo sul serio, come stiamo facendo da un po' di tempo, e quindi andando avanti con la spending review, la dismissione del patrimonio, lo snellimento dell'apparato pubblico - il conseguimento degli impegni sottoscritti con l'Europa in un arco temporale così breve sia tale da risultare insostenibile e che la strada che dovremmo imboccare è quella cui lei ha accennato parlando dei partner europei, ovvero di spingere - dico una cosa che non va interpretata per ritornare a un tradizionale lassismo - con i partner europei e ricostruire un percorso che non porti al corto circuito.
PRESIDENTE. Do ora la parola al presidente Giampaolino ed eventualmente agli altri consiglieri presenti per la replica.
LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. L'ultima domanda, direi, che sopravanza le competenze del Presidente della Corte. Senza dubbio il Presidente della Corte non può non auspicare la continuazione di un percorso di serietà e di attenzione, quale appunto è stato quello di questi ultimi anni, e, quindi, i corti circuiti vanno comunque evitati.
Lei stesso ha detto però che un ritorno al lassismo non sarebbe mai auspicabile, quindi il Presidente della Corte non può che chiedere che, dopo aver prestato tanta attenzione al momento del prelievo fiscale, si presti altrettanta attenzione al momento della spesa. L'obiettivo di fondo rimane la crescita, e nel documento della Corte questo è quasi implicito. Qualche deputato lo ha posto in dubbio, ma non ha percepito come sin dai primi interventi che la Corte ha avuto l'onore di espletare qui in Parlamento abbia richiamato l'attenzione sul momento della crescita. Sarebbero forse auspicabili correzioni con i partner europei, ma questo va al di là delle competenze della Corte.
La continuazione di una seria e rigorosa attenzione ai conti pubblici, quale attualmente si è avuta, è dalla Corte auspicata ed è ad essa connaturata.
È stato domandato quale possa essere la funzione della Corte nell'ambito della spending review, che dovrebbe rappresentare la nuova azione da porre in essere. La Corte in proposito ha la più alta delle sue funzioni, quella dell'ausiliarietà nei confronti del Parlamento. Oltre a quella del controllo, che ha come parametro quei momenti legislativi che sono stati richiamati, una funzione della Corte può essere soprattutto quella ausiliaria nei confronti del Parlamento, nel senso che essa può segnalare, come fa e ha fatto, nei suoi vari documenti e nelle varie relazioni sulla rendicontazione i settori nei quali era necessaria una revisione.
Può quindi indicare al Parlamento anche quelle modifiche legislative, che sono necessarie affinché non venga bloccata questa operazione di contenimento della spesa, perché si è obiettato che molte sono contenute in previsioni legislative.
Questa può essere la funzione che la Corte può svolgere, credo che ne abbia tutta la capacità, come anche che con il suo radicamento sul territorio abbia delle possibilità di essere di aiuto al Governo e soprattutto al Parlamento.
Raggrupperei le altre domande in tre insiemi: la parte generale della ricostruzione del pareggio e dei possibili interventi, il patrimonio, e gli enti locali.
Rispetto a tali insiemi di domande, vorrei, in particolare, che il consigliere Pala potesse dare risposta all'onorevole Baretta che chiedeva se la nostra previsione dello 0,5 sia realistica e approfondimenti su altri aspetti di carattere generale. Per la parte del patrimonio e dell'intervento immobiliare vorrei pregare di intervenire il consigliere D'Amico, mentre per quanto riguarda i richiamati interventi in materia di enti locali, pregherei di intervenire il consigliere Flaccadoro. Lascio alla storia gli usi civici dell'onorevole Marini, antichissimo e affascinante istituto medievale per il quale addirittura c'è un tribunale ad hoc.
MAURIZIO PALA, Consigliere della Corte dei conti. All'interno del raggruppamento riunisco anch'io le risposte in maniera
molto sintetica, per lasciare spazio ai colleghi.
Riassumo in questo modo la posizione che la Corte ha espresso in questo documento, che commenta il consuntivo del 2011, lo raffronta con il percorso immaginato a inizio di legislatura, e lo proietta leggendo il Documento di economia e finanza. La prima domanda riguardava il pareggio di bilancio strutturale, che ridefinisce l'equilibrio al 2013.
La Corte ritiene che questo saldo strutturale in lieve avanzo, che corrisponde a un limitato disavanzo effettivo nel 2013, si possa considerare un adempimento in linea con le richieste europee, valutando soprattutto il peggioramento delle condizioni cicliche economiche internazionali, e come al giudizio eventualmente positivo dell'Europa non dovrebbe essere estraneo il fatto che l'Italia sarebbe l'unico Paese europeo a conseguire un risultato così positivo in condizioni difficili.
I rischi sono prevalentemente connessi all'andamento del ciclo economico internazionale, e molto incerte e diverse sono le previsioni che si fanno in questo momento. Al contrario, per quello che riguarda gli effetti recessivi da attribuire alle stesse manovre di contenimento del disavanzo, per la prima volta un documento governativo le quantifica puntualmente con numeri impressionanti.
Come è scritto nel testo, infatti, si valuta che le manovre fino ad oggi effettuate abbiano un effetto di contenimento del PIL in termini reali del 2,6 per cento di qui al 2014. A fronte di questo, si quantificano gli effetti positivi che potrebbero essere attribuiti all'attuazione degli interventi contenuti nel Programma nazionale di riforma, che, nello stesso anno 2014, sono stimati dello 0,7 per cento, molto più realisticamente di quanto era stato fatto un anno fa nello stesso Documento di economia e finanza.
Questi sono numeri impressionanti, perché danno l'idea della criticità dell'equilibrio che si raggiunge. È un equilibrio al limite, del quale mettiamo in evidenza soprattutto il fatto che avviene con un grado di intermediazione del bilancio pubblico sull'economia di dimensioni rilevantissime.
Se infatti escludiamo anche le spese in conto capitale, che dovremmo considerare una componente da salvaguardare, cosa che fino ad oggi non è stato, e le spese per interessi, il peso del bilancio pubblico sull'economia, rappresentato in maniera grossolana dal totale delle spese più il totale delle entrate, supera ampiamente il 90 per cento nel periodo di riferimento.
In queste condizioni viene immediatamente l'idea che un equilibrio di questa portata si faccia con uno sforzo fiscale di dimensioni enormi, come si vede dalla proiezione della pressione fiscale che salta di 3 punti e rimane a quel livello per tutto il periodo di riferimento, e - vorrei mettere in evidenza - con uno sforzo sulla spesa pubblica, che dal punto di vista degli andamenti dei valori assoluti non ha eguali nella storia italiana, nel senso che il biennio 2010-2011 indica una diminuzione in valore assoluto della spesa vanificata sostanzialmente dalla stagnazione del PIL.
Questo è un elemento di grande importanza. Il problema è quello della sfasatura temporale tra una situazione che si regge in maniera precaria, perché si ottiene un equilibrio con uno sforzo fiscale alla lunga insostenibile, e la necessità di tener conto realisticamente dei tempi necessari per l'ottenimento dei risultati dalle politiche di riforma.
Sotto questo aspetto abbiamo ritenuto di mettere in evidenza come, al di là di un difficile equilibrio sui flussi, sia necessario riprendere con maggiore attenzione il discorso sulle dismissioni e sull'utilizzazione del patrimonio pubblico, per evitare di portare avanti una situazione di pressione sui redditi disponibili delle famiglie e sulle imprese, che alla lunga non può tenere.
NATALE MARIA ALFONSO D'AMICO, Consigliere della Corte dei conti. Le domande sul patrimonio riguardavano il perché, il cosa e il come. La valutazione del perché, che la Corte esprime non da oggi, è che in questa difficile situazione ciclica una variabile importante è il tasso d'interesse,
perché determina il volume degli investimenti.
Il tasso d'interesse risente fortemente dello spread sui titoli di Stato, lo spread sui titoli di Stato non è nella disponibilità dell'azione di politica economica e tuttavia la politica economica deve fare il possibile per ridurlo. Come diceva il consigliere Pala, questo percorso di risanamento tende a rassicurare sul fatto che l'Italia arrivi al pareggio di bilancio.
C'è questa difficile traversata da qui al momento nel quale il pareggio arriverà, in cui l'Italia continuerà ad emettere titoli sul mercato, perché c'è un fabbisogno di cassa di circa 30 miliardi, secondo il DEF, fra il 2012 e il 2013.
Nell'eventualità che il Paese si metta in condizione di compensare questo fabbisogno di cassa con dimissioni patrimoniali, questo potrebbe avere un effetto sullo spread, il che ha non solo un vantaggio diretto sulla finanza pubblica, ma probabilmente creerebbe un vantaggio anche per l'investimento privato, per il tasso di crescita dell'economia che è fortemente sensibile.
Quanto al cosa, la Corte ha ripetuto qui che la valutazione su cosa sia strategico per l'economia nazionale è una valutazione molto politica, e ovviamente la Corte non esprime una valutazione di questo genere. Il giudizio della Corte è che è bene che la politica si confronti e decida cosa è strategico e quindi si ritiene non opportuno vendere. Il problema è su tutto il resto, su quello che strategico non è, e l'impressione è che le difficoltà non nascano solo dal fatto che ci sono alcune cose che a torto o a ragione la politica decide di non vendere, ma anche che su quello che tutti converremmo nel considerare non strategico probabilmente ci sono difficoltà di procedura, di conoscenza sullo stato del bene, forse anche resistenze burocratiche. Su questo lato la Corte prova a suggerire uno strumento, che è una task force.
Le modalità possibili per la vendita sono numerose, e voglio solo ricordare - non ero ancora alla Corte dei conti - un ottimo rapporto della Corte che era piuttosto critico sull'esperienza delle cartolarizzazioni.
Le modalità sono diverse e probabilmente la tempestività è importante. Questo è il giudizio che la Corte esprime in questa sua relazione.
ENRICO FLACCADORO, Consigliere della Corte dei conti. Sarò rapidissimo, anche perché volevo solo rispondere all'onorevole Cambursano, che chiedeva quale sia la valutazione della Corte sui servizi e i percorsi positivi.
Nella relazione della Corte, al di là di qualche tentennamento che rilevavamo nella strategia che spinge gli enti a gestire le proprie attività in forma associata, non c'era alcuna critica o sottovalutazione dei percorsi positivi effettuati da tante realtà territoriali anche di grandi dimensioni. Non a caso anche quest'anno, nonostante tutte le difficoltà che ci sono state in termini di maggiore rigore, il monitoraggio del Patto di stabilità interno vede una grossa adesione da parte degli enti locali e un contributo quindi molto forte.
In questa nota più preoccupata, un segnale buono viene anche dalla sanità che è un primo caso avanzato di spending review, si chiude con un miglioramento dei risultati rispetto alle attese di 2,9 miliardi, che lo stesso DEF comunica. Mi permetto di sottolineare come questo caso di spending review dimostri che l'analisi attenta e il continuo monitoraggio di un settore delicato e difficile come quello della sanità sta cominciando a dare esiti, e i dati sui disavanzi delle regioni in disavanzo strutturale che quest'anno si riducono in maniera drastica dimostrano che una spending review è possibile, anche se richiede tempo per produrre risultati strutturati e stabili.
Qualche anno fa, probabilmente nessuno avrebbe scommesso sul buon esito di un'operazione come quella del Patto della salute, che ha richiesto la creazione di criteri contabili che non esistevano, l'individuazione di obiettivi e un miglioramento della conoscenza. Anche su questo mi permetto di dire che la Corte può
aiutare, nel senso che la conoscenza e la trasparenza delle condizioni gestionali sono alla base di un risultato positivo, laddove questo consuntivo 2011 dimostra che un settore critico può recuperare gli squilibri che ha maturato.
PRESIDENTE. Ringrazio la Corte dei conti per questa audizione molto interessante.
Dichiaro conclusa l'audizione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2012, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, l'audizione di rappresentanti della Banca d'Italia.
È presente il dottor Salvatore Rossi, vice direttore generale e membro del direttorio della Banca d'Italia, accompagnato dal dottor Sandro Momigliano, dalla dottoressa Magda Bianco, dal dottor Alberto Locarno e dalla dottoressa Paola Ansuini, che ringrazio per essere intervenuti.
Do ora la parola al dottor Salvatore Rossi.
SALVATORE ROSSI, Vice direttore generale della Banca d'Italia. Grazie, onorevole presidente, onorevoli deputati e senatori. Innanzitutto, ringrazio le Commissioni riunite V della Camera dei deputati e 5a del Senato per avermi invitato a questa audizione che si tiene nell'ambito dell'esame del Documento di economia e finanza del 2012, introdotto lo scorso anno con la riforma delle procedure di bilancio che ha allineato il ciclo di programmazione nazionale alle nuove modalità di coordinamento delle politiche economiche in sede europea, attuate con il semestre europeo. Il Documento in esame, che contiene tre sezioni, è molto ricco e ampio. Per brevità non potrò soffermarmi su tutti gli aspetti, ma ne toccherò solo alcuni.
Cominciamo dal quadro macroeconomico. L'economia mondiale ha perso vigore nella seconda metà del 2011. Secondo le più recenti proiezioni del Fondo monetario internazionale, la crescita globale scende quest'anno al 3,5 per cento, da quasi il 4 per cento del 2011, per riportarsi sopra il 4 per cento nel 2013. Nei Paesi avanzati l'espansione della domanda, però, resta frenata dal processo di riduzione del debito, sia pubblico sia privato.
In Italia, l'aggravarsi delle tensioni sul debito sovrano ha reso più onerosa e più scarsa la provvista delle banche sui mercati internazionali e si è ripercosso, alla fine del 2011, sulle condizioni di finanziamento bancario del settore privato, sia nel costo sia nella quantità offerta. L'accelerazione impressa al risanamento dei conti pubblici italiani dalla manovra di dicembre e il forte sostegno alla liquidità bancaria che è stato garantito dall'Eurosistema avevano concorso a ridurre, nel primo trimestre di quest'anno, gli spread sui titoli di Stato italiani. Questi, però, sono tornati ad aumentare in aprile - com'è accaduto anche oggi - in connessione con rinnovate preoccupazioni dei mercati riguardo ai Paesi con rilevanti squilibri di finanza pubblica e nei conti con l'estero, nonché all'adeguatezza dei presidi offerti dalle istituzioni europee. Rimangono, peraltro, al di sotto dei massimi
raggiunti alla fine del 2011 e nei primi giorni di gennaio di quest'anno. Nel frattempo, il mercato del credito ha mostrato segni di miglioramento, anche in relazione alle operazioni di rifinanziamento a tre anni delle banche effettuate dall'Eurosistema, com'è documentato nel nostro Bollettino economico uscito un paio di settimane fa.
Tuttavia, i rischi connessi con il perdurare delle tensioni sui mercati del debito sovrano restano elevati e richiedono di perseverare nelle politiche di risanamento dei conti pubblici, di avanzare nelle riforme a sostegno della crescita e di
contribuire al rafforzamento degli strumenti per la stabilità finanziaria a livello europeo e globale.
Nel quarto trimestre del 2011, il PIL dell'Italia è diminuito dello 0,7 per cento, riflettendo la contrazione della spesa sia delle famiglie sia delle imprese e la stagnazione delle esportazioni. Le informazioni congiunturali disponibili segnalano una riduzione del prodotto di entità simile anche per il primo trimestre di quest'anno e una presumibile stabilizzazione nei mesi successivi.
Il Documento di economia e finanza che discutiamo stima un calo del PIL dell'Italia dell'1,2 per cento nella media del 2012 e una graduale ripresa dell'attività economica nei prossimi tre anni: 0,5 per cento nel 2013, 1 per cento nel 2014, 1,2 per cento nel 2015. Le riforme strutturali finora approvate stimolerebbero, sin da quest'anno, la domanda aggregata, contribuendo alla crescita del PIL nell'intero quadriennio 2012-2015 per quasi un punto percentuale. Rispetto alla Relazione al Parlamento del dicembre scorso, le previsioni di crescita per l'anno in corso sono state riviste al ribasso di 8 decimi di punto percentuale.
Queste proiezioni sulla dinamica del PIL nel biennio 2012-2013 sono comprese nell'intervallo delineato dai due scenari del Bollettino economico della Banca d'Italia dello scorso gennaio, che - ricordo - erano, per quest'anno, da -1,2 per cento a -1,5 per cento, a seconda delle ipotesi che si potevano fare sullo spread, e, per l'anno prossimo, da 0 a 0,8 per cento.
Le proiezioni governative sono di poco più favorevoli di quelle più recenti degli analisti privati censiti da Consensus Economics, che parlano di -1,5 per cento per quest'anno e 0,2 per cento per il 2013. Valutazioni più pessimistiche provengono, invece, dal Fondo monetario internazionale, che stima una caduta del PIL dell'1,9 per cento per quest'anno e un'ulteriore contrazione, sia pure piccola, dello 0,3 per cento nel 2013.
Il divario fra le previsioni governative e quelle del Fondo monetario discende, per quest'anno, prevalentemente da una valutazione molto negativa del Fondo sull'andamento delle scorte; per l'anno prossimo, da una maggiore debolezza che il Fondo attribuisce ai consumi, per oltre un punto percentuale, come conseguenza di preoccupazioni sull'occupazione.
Il quadro macroeconomico presentato nel Documento di economia e finanza rimane soggetto a rischi al ribasso, ove, per esempio, le tensioni sui mercati del debito sovrano nell'area dell'euro si riacutizzino oppure il rallentamento dell'economia globale si riveli più pronunciato. D'altro canto, le misure di riforma strutturale dell'economia che sono state recentemente approvate e quelle in corso di definizione potrebbero migliorare significativamente le aspettative degli agenti e stimolare, per questa via, la crescita del prodotto, anche nel breve e medio periodo.
Il Documento presenta, inoltre, una stima degli effetti macroeconomici delle misure di liberalizzazione e semplificazione amministrativa: ceteris paribus, l'incremento cumulato del PIL a esse attribuibile sarebbe pari a quasi 2,5 punti percentuali in un arco temporale di nove anni, concentrato nella componente degli investimenti. Ora, teniamo sempre a mente che i modelli utilizzati per ottenere le stime di questo tipo approssimano in modo semplificato la complessità del reale, generando risultati che vanno presi con cautela. Tuttavia, consideriamo che nella letteratura economica vi è ampia evidenzia che misure volte ad accrescere la concorrenza e a promuovere l'innovazione e l'attività imprenditoriale stimolano fortemente la produttività e la crescita. Credo che questa mattina il Vice Ministro Grilli abbia detto che, se certe ipotesi virtuose si materializzassero, questo effetto positivo da quasi 2,5 punti potrebbe arrivare fino a 5 punti
di PIL.
Vediamo lo stato presente dei conti pubblici in Italia. Nel 2011, l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è sceso al 3,9 per cento del PIL, dal 4,6 per cento del 2010. Il saldo primario è passato dal pareggio a un avanzo dell'1 per cento. Per effetto dei provvedimenti adottati con le manovre triennali degli scorsi
anni, la spesa primaria, quella al netto degli interessi, è diminuita in termini nominali per il secondo anno consecutivo. In entrambi gli anni 2010 e 2011, la spesa in conto capitale è scesa fortemente, mentre quella corrente primaria, quindi al netto degli interessi e delle spese in conto capitale, è aumentata a ritmi contenuti.
L'incidenza del debito pubblico sul prodotto è salita di 1,5 punti percentuali, oltrepassando il 120 per cento del PIL. Tuttavia, al netto dei finanziamenti concessi ad altri Paesi dell'area dell'euro, l'aumento è stato inferiore a un punto percentuale e il livello è del 119,2 per cento. Volendo fare un confronto internazionale, vediamo che nel 2011 l'indebitamento netto è stato decisamente inferiore a quelli registrati in Spagna (8,5 per cento del PIL, cifra confermata questa mattina) e in Francia (5,2 per cento), ma superiore al dato tedesco (solo 1 per cento). In Italia, l'avanzo primario è stato di poco inferiore a quello della Germania (1,6 per cento), mentre in Spagna e in Francia il bilancio al netto degli interessi, quindi il saldo primario, è rimasto in disavanzo per oltre 6 punti di PIL in Spagna e per 2,5 punti in Francia.
Nei prossimi mesi un attento monitoraggio del fabbisogno e dei conti ai diversi livelli di governo dovrà assicurare l'efficacia piena degli interventi sulla spesa.
Questo è lo stato presente; passiamo ora alle previsioni. Nell'aggiornare il quadro dei conti pubblici per il prossimo triennio rispetto alla Relazione al Parlamento dello scorso dicembre, il Documento tiene conto dei dati di consuntivo per il 2011, degli effetti delle misure di consolidamento approvate alla fine dello scorso anno e dei più sfavorevoli scenari macroeconomici. Non sono previsti ulteriori interventi correttivi sul bilancio.
Per quest'anno, l'obiettivo di indebitamento netto viene rivisto al rialzo di circa mezzo punto percentuale del PIL, all'1,7 per cento. Una più bassa spesa per interessi si contrappone a un peggioramento dell'avanzo primario, dovuto al quadro macroeconomico adesso più sfavorevole. Il miglioramento dell'avanzo primario rispetto al 2011 rimane, tuttavia, significativo (2,6 punti percentuali).
Le entrate delle amministrazioni pubbliche aumentano di 2,6 punti percentuali rispetto allo scorso anno. La loro incidenza sul PIL sale al 49,2 per cento. In particolare, la pressione fiscale, che ne è la componente maggioritaria, supera il 45 per cento, livello indubbiamente molto elevato sia in prospettiva storica sia nel confronto internazionale. Questo incremento rispecchia, del resto, gli inasprimenti del prelievo che sono stati approvati nel corso del 2011.
L'aumento atteso della spesa in rapporto al prodotto è contenuto (0,4 punti percentuali) ed è interamente attribuibile all'incremento degli oneri per interessi. La spesa primaria rimane al 45,6 per cento.
Nelle previsioni, l'anno prossimo l'indebitamento netto scende allo 0,5 per cento del PIL. L'avanzo primario sale di 1,3 punti (a quasi il 5 per cento del PIL), di cui 0,3 punti per l'aumento dell'incidenza delle entrate e un punto per la riduzione delle spese primarie. Il Documento prevede un sostanziale pareggio di bilancio nel 2014. Il miglioramento dell'avanzo primario proseguirebbe nel 2014-2015, sebbene in misura più contenuta che nel biennio precedente.
Il Documento indica anche una considerevole correzione «strutturale» dei conti pubblici, cioè calcolata escludendo gli effetti del ciclo economico e quelli delle misure temporanee. L'avanzo primario strutturale sale a quasi il 5 per cento nel 2012 e al 6 per cento nel 2013 e nel biennio successivo.
Nel delineare l'evoluzione del debito pubblico nei prossimi anni, il Documento valuta che, includendo il contributo all'ESM (European Stability Mechanism) e gli aiuti finanziari a Grecia, Irlanda e Portogallo, quest'anno l'incidenza del debito sul prodotto salirà di 3,3 punti, al 123,4 per cento, per poi ridursi di quasi 2 punti nel 2013 e di oltre 3 punti nel 2014, a poco più del 118 per cento del PIL. Se si escludesse il sostegno ai Paesi in difficoltà, che comprende i diversi canali, l'incremento
del debito nel 2012 sarebbe pari a un solo punto (120,3 per cento) e la flessione negli anni successivi sarebbe più rapida.
Nostre simulazioni, peraltro puramente contabili, che assumono la piena efficacia delle misure adottate nel 2011 e utilizzano le stime del Governo circa la distribuzione temporale di questi finanziamenti ai Paesi in difficoltà, mostrano che il rapporto tra debito e PIL scenderebbe comunque nel 2013, senza necessità di misure aggiuntive, anche qualora i tassi alle emissioni sui titoli di Stato fossero da subito più alti di un punto rispetto al quadro del Governo e la crescita del prodotto fosse più bassa di mezzo punto (ossia pari a -1,7 per cento nel 2012 e a 0 nel 2013).
Il Fondo monetario internazionale ha presentato, pochi giorni fa, un quadro per la finanza pubblica italiana meno favorevole di quello delineato dal Governo: l'indebitamento netto sarebbe del 2,4 per cento del PIL quest'anno e dell'1,5 per cento nel 2013. Le differenze riflettono principalmente le diverse ipotesi macroeconomiche sottostanti ai due quadri. Difatti, come ho segnalato in precedenza, le stime del Fondo scontano per l'Italia una recessione decisamente più intensa e più prolungata e tassi di interesse più alti.
C'è una sezione molto ampia del Documento che è dedicata alla finanza locale. Nel testo che abbiamo depositato agli atti ci sono alcuni commenti anche di dettaglio su questo tema. Mi limiterei, però, a una sola osservazione. I risparmi di spesa sono stati finora distribuiti fra gli enti appartenenti a ciascun livello di governo (regioni, province e comuni) prevalentemente su base proporzionale, quindi in continuità sostanziale con i criteri che hanno regolato nel passato i trasferimenti erariali. Gli enti hanno reagito sfruttando i margini di incremento dei tributi propri consentiti dall'ordinamento: questa tendenza potrebbe accentuarsi nei prossimi anni.
Pertanto, un contributo credibile e duraturo delle amministrazioni locali al consolidamento dei conti pubblici italiani richiede un assetto che incentivi la responsabilità finanziaria degli enti. L'attuale fase di emergenza potrebbe rappresentare un'opportunità per compiere progressi ulteriori lungo questa direzione, risolvendo in tempi rapidi alcuni nodi quali la definizione dei costi e dei fabbisogni standard, l'individuazione dei livelli di servizio e così via, e, quindi, completando processi già avviati.
Veniamo, ora, al punto molto importante del rispetto delle regole di bilancio europeo. Secondo il Documento, i conti pubblici nei prossimi anni soddisferanno, senza ulteriori interventi correttivi, le varie regole di bilancio concordate a livello europeo.
In primo luogo, in linea con gli impegni assunti nell'ambito della cosiddetta Procedura per i disavanzi eccessivi, quest'anno il disavanzo sarebbe nettamente inferiore alla soglia del 3 per cento del PIL (1,7 per cento, come abbiamo detto).
In secondo luogo, l'avanzo strutturale dello 0,6 per cento indicato per il 2013 consentirebbe di cogliere e anzi di superare l'obiettivo del pareggio di bilancio strutturale. Negli anni 2014 e 2015, l'avanzo strutturale dovrebbe consolidarsi intorno allo 0,5 per cento, rispettando la regola fissata nel cosiddetto fiscal compact, firmato il 2 marzo scorso, secondo cui i Paesi devono raggiungere e mantenere un saldo strutturale di bilancio in pareggio o in avanzo.
Lo scorso autunno, il Governo italiano aveva annunciato l'obiettivo di raggiungere nel 2013 anche il pareggio del bilancio non corretto per gli effetti del ciclo. Lo slittamento al 2014 di tale obiettivo viene spiegato dal brusco peggioramento delle condizioni congiunturali, ma anche dal ruolo preminente oggi assunto dal bilancio strutturale nelle regole europee. Per avvicinarsi maggiormente al pareggio nel 2013, data la volatilità - come ancora le vicende di oggi testimoniano - dei mercati finanziari internazionali, potrebbero essere utilizzate risorse reperite attraverso la spending review - su cui tornerò tra breve - e una migliore gestione del patrimonio pubblico.
In terzo luogo, la correzione strutturale prevista per quest'anno e per l'anno prossimo, pari rispettivamente a 3,2 punti e a 1 punto di PIL, soddisferebbe il requisito minimo indicato nel Patto di stabilità e crescita per il percorso di aggiustamento appropriato verso l'obiettivo di medio termine, che è mezzo punto percentuale del prodotto l'anno.
Il quadro previsivo soddisferebbe anche le due nuove regole che sono state introdotte nel Patto di stabilità e crescita con l'adozione del cosiddetto six pack, cioè il vincolo relativo al debito e quello sulla dinamica della spesa.
Infine, nell'ambito della riforma della governance dell'Unione europea, sono stati definiti i requisiti minimi che ciascun sistema di bilancio nazionale deve soddisfare in materia di contabilità, produzione di statistiche di finanza pubblica, previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica, utilizzo di regole numeriche e orientamento di medio termine della programmazione di bilancio.
In particolare, come sappiamo, il fiscal compact prevede l'introduzione nella normativa nazionale, preferibilmente a livello costituzionale, della regola del pareggio di bilancio, oltre che un meccanismo automatico di correzione in caso di debordi. Ora, questo principio è stato effettivamente introdotto nella nostra Costituzione con la legge approvata in via definitiva qualche giorno fa, prevedendo che la regola del pareggio di bilancio sia vincolante dal 2014. Alcuni elementi importanti - come il meccanismo di correzione dei debordi, la regola sulla dinamica della spesa e quant'altro - dovranno essere definiti successivamente con legge da approvarsi a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.
A questo punto, analizziamo brevemente le questioni del controllo della spesa e della riduzione della pressione fiscale. Secondo il Documento, la spesa primaria in termini nominali, dopo essersi ridotta di un punto percentuale nello scorso biennio, aumenta complessivamente dello 0,7 per cento negli anni 2012-2013 e del 3,1 per cento negli anni 2014-2015. Nell'intero quadriennio, la dinamica sarebbe, però, inferiore a quella dei prezzi. Vi sarebbe, quindi, una riduzione in termini reali.
Ora, per realizzare in modo efficiente le riduzioni reali di spesa previste, il Governo si propone di procedere a una revisione sistematica di tutte le voci di spesa, la spending review, appunto, al fine di pervenire a una sua generale riqualificazione, tagliando sprechi, ridondanze e inefficienze. A questo fine sarà utile adottare, o rafforzare dove siano già presenti, specifici indicatori di performance per le diverse strutture pubbliche a tutti i livelli, centrali e locali (uffici, scuole, ospedali, tribunali e così via) e sviluppare strumenti che consentano di valutare l'adeguatezza di ciascuna spesa, indipendentemente dal suo livello storico (il cosiddetto zero-based budgeting). Secondo le indicazioni del Governo, la revisione della spesa riguarderà prima le amministrazioni centrali e poi anche gli enti territoriali. È essenziale che essa possa contare su un concorso ampio di competenze e di volontà,
a iniziare naturalmente dalla Ragioneria generale dello Stato, come d'altronde il Programma nazionale di riforma prevede in modo esplicito. L'obiettivo ultimo è di progettare delle prassi gestionali che rendano la revisione della spesa, voce per voce, un momento fondamentale dell'attività amministrativa, non un evento occasionale. Al più presto dovrebbero essere rese disponibili informazioni di dettaglio sullo stato di avanzamento della spending review.
Azioni profonde di razionalizzazione della spesa pubblica consentirebbero obiettivi di medio termine sulla spesa anche più ambiziosi di quelli delineati nel Documento di economia e finanza, come, per esempio, mantenere la spesa primaria costante in termini nominali dopo il 2013.
Se i risparmi conseguiti fossero destinati alla riduzione delle imposte, la crescita economica ne beneficerebbe significativamente: mantenendo contemporaneamente in pareggio il bilancio, che è un vincolo ineliminabile, la pressione fiscale potrebbe ridursi, nel periodo 2014-2016, di oltre 3 punti percentuali rispetto al livello
che si attende per l'anno prossimo, riportandosi, quindi, su un meno penalizzante 42 per cento, che sarebbe appena sotto il livello del 2010; rimarrebbe, verosimilmente, un divario rispetto alla media degli altri Paesi dell'area dell'euro, ma i contribuenti ligi ai doveri fiscali potrebbero trarre ulteriore giovamento anche da una riduzione delle aliquote legali, finanziata dai risultati del contrasto all'evasione.
Giungiamo, quindi, alla terza sezione di questo Documento, il Programma nazionale di riforma, che è molto importante. Il Programma individua le principali cause della debolezza strutturale della nostra economia - oltre che nell'elevato debito pubblico - in un difetto di concorrenza, nell'inefficienza amministrativa, nel basso livello della ricerca, in un mercato del lavoro segmentato, iniquo e inefficiente, nei persistenti divari regionali.
Il Documento si apre con alcune considerazioni dedicate alla spending review, che abbiamo brevemente esaminato nella sezione precedente, e al credito alle imprese. Successivamente, dà conto delle riforme già attuate per poi definire l'agenda delle riforme per l'immediato futuro.
In particolare, per facilitare il credito alle imprese, il Governo ha adottato varie iniziative, dalla concessione della garanzia statale su strumenti di debito emessi dalle banche utilizzabili come garanzia ai fini del rifinanziamento dell'Eurosistema, alla dotazione di risorse e all'ampliamento dell'ambito di applicazione del Fondo centrale di garanzia. Altre iniziative sono in corso di attuazione, specialmente riguardo al problema dei ritardati pagamenti alle imprese da parte delle amministrazioni pubbliche.
Come abbiamo recentemente rilevato nel nostro Bollettino economico, le due operazioni di rifinanziamento bancario a tre anni che sono state effettuate dall'Eurosistema hanno dapprima contenuto la restrizione creditizia, evitando scenari molto peggiori, e ora dovrebbero consentire una graduale normalizzazione delle condizioni di offerta di credito. Segnali in questa direzione provengono, peraltro, dai sondaggi sia presso le banche, sia presso le stesse imprese.
Riguardo alle riforme realizzate, le misure varate o disegnate in materia di liberalizzazioni e semplificazioni e di mercato del lavoro costituiscono un intervento organico e di ampia portata. Le prime, in particolare, compiono passi importanti in direzione di una maggiore concorrenza nei settori protetti e di uno sfoltimento degli oneri burocratici. Secondo le già citate stime fornite nel Documento, queste riforme dovrebbero innalzare, ceteris paribus, il PIL di quasi 2,5 punti percentuali in 9 anni, se non di più.
Molto di più si potrà ottenere proseguendo con determinazione - come lo stesso Documento prefigura - lungo questa strada: gli indicatori internazionali disponibili, anche scontando le riforme attuate, collocano l'Italia ancora indietro nel confronto con le principali economie in termini di restrittività della regolamentazione, soprattutto in alcuni servizi, e di lunghezza e complessità delle procedure amministrative. Ora, occorre innanzitutto approvare tempestivamente efficaci norme attuative; poi, si dovrà dare continuità al processo di riforma con gli ulteriori interventi prospettati nell'agenda.
In materia di lavoro, già lo scorso anno erano state adottate varie misure volte, in particolare, a promuovere l'occupazione giovanile e femminile nelle aree depresse e ad ampliare il ruolo della contrattazione collettiva decentrata. Nei giorni scorsi è stato presentato dal Governo un disegno di legge per il riassetto dei principali istituti del mercato del lavoro. Il provvedimento mira a riequilibrare le tutele tra i vari tipi di impiego, riducendo la segmentazione del mercato, ma salvaguardando i necessari margini di flessibilità nell'uso del lavoro. Esso persegue, inoltre, un assetto più equo ed efficiente degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive per il lavoro, in coerenza con le esigenze di flessibilità del mercato.
Nell'insieme, le misure attenuano lo squilibrio fra le convenienze relative dei contratti a termine e di quelli a tempo
indeterminato e introducono elementi di razionalizzazione degli ammortizzatori sociali. È importante che il dibattito parlamentare sul disegno di legge e quello che si svolge nel Paese tengano ben presenti gli obiettivi di fondo della riforma: come afferma il Presidente del Consiglio nella prefazione al Programma nazionale di riforma, occorre - cito - «riformare un mercato del lavoro segnato da ingiustizie e disfunzioni», in cui «la flessibilità è tutta concentrata sul lato dell'entrata e non esiste un sistema universale di protezione dal rischio di perdita del lavoro». Porre riparo in modo ampio e incisivo a questa situazione, oltre che una questione di equità, è prerequisito per il ripristino di una sostenuta capacità di crescere della nostra economia.
Passiamo, quindi, all'agenda per il futuro che è riportata nel Programma. L'insieme degli interventi previsti nel Programma nazionale di riforma per il rilancio della crescita è ampio e articolato. L'individuazione delle aree di intervento e gli obiettivi sono, in generale, condivisibili. Mi limito a commentarne molto brevemente alcuni.
Per accrescere la competitività del sistema produttivo è senz'altro essenziale consolidare il processo di liberalizzazione dei servizi, usando lo strumento della legge annuale sulla concorrenza, e recepire tempestivamente la direttiva sui ritardi di pagamento. Nella stessa direzione, muovono gli interventi per migliorare il funzionamento della giustizia civile e penale; sarà di particolare importanza l'esercizio della delega per razionalizzare la distribuzione territoriale degli uffici giudiziari: le misure dovranno garantire che gli uffici abbiano dimensioni adeguate ad assicurare piena efficienza - quindi comparazione di costi e benefici e non solo di efficacia - nell'utilizzo delle risorse.
In tema di innovazione, è apprezzabile l'intento di razionalizzare e riprogrammare gli incentivi alle imprese, in modo da concentrare le risorse.
Ancora, la questione della semplificazione e del buon funzionamento della pubblica amministrazione è centrale per far recuperare competitività al sistema delle imprese. Ci si attende una tempestiva predisposizione dei numerosi regolamenti di attuazione che sono previsti nel decreto-legge cosiddetto «semplifica Italia». Sono particolarmente utili le misure finalizzate a sviluppare sistemi di pianificazione e valutazione della performance delle varie pubbliche amministrazioni e quelle di contrasto alla corruzione, sia preventive sia repressive; una loro rapida approvazione darebbe un segnale importante agli investitori, italiani ed esteri.
Riguardo all'istruzione, in continuità con i programmi già avviati, sono previste misure più decise per ridurre la dispersione scolastica, oltre che l'attuazione del piano di edilizia scolastica. Con riferimento all'università, avranno importanza le procedure di accreditamento di atenei e corsi con il supporto dell'ANVUR (Agenzia di valutazione del sistema universitario e della ricerca) e la revisione del sistema di finanziamento.
Mi avvio a concludere. Il Documento delinea un quadro di netto miglioramento dei conti pubblici, che riflette l'azione di risanamento attuata nella seconda metà del 2011. Questa azione, pur esercitando nel breve periodo inevitabili effetti negativi sull'attività economica, ha consentito di arginare la perdita di fiducia degli investitori nella capacità dello Stato italiano di onorare i propri debiti, scongiurando scenari ancora più recessivi. Nella stessa direzione, ha operato il completamento della riforma del sistema pensionistico, che rafforza la sostenibilità di lungo periodo dei conti pubblici.
Quest'anno, l'indebitamento netto scenderà ben al di sotto della soglia del 3 per cento del prodotto interno lordo; per l'anno prossimo, il Documento prevede il conseguimento di un avanzo di bilancio in termini strutturali, pur ancora con un lieve disavanzo non corretto per gli effetti del ciclo. L'avanzo primario previsto per il 2013, quasi il 5 per cento del PIL, consente l'avvio della riduzione del peso del debito sul prodotto (cioè del rapporto debito/
PIL), nonostante il consistente sostegno finanziario concesso ai Paesi dell'area dell'euro in difficoltà.
Questo quadro è coerente con l'assunzione che le misure correttive del bilancio pubblico siano pienamente efficaci e si basa su uno scenario macroeconomico che non è molto discosto dalle più recenti proiezioni della Commissione europea, degli analisti privati e della stessa Banca d'Italia, pur se meno pessimistico di quello recentemente elaborato dal Fondo monetario internazionale.
Occorre, innanzitutto, assicurare il pieno rispetto dei programmi, attraverso un continuo monitoraggio degli effetti delle misure introdotte lo scorso anno.
Il contenimento della spesa non deve compromettere la qualità dei servizi pubblici offerti ai cittadini e una sistematica rivisitazione dell'intervento pubblico, quale quella al centro dell'azione di spending review, rappresenta l'occasione per migliorare questa qualità. Segnali importanti per i cittadini verrebbero anche da una minore complessità e dal contenimento del costo delle istituzioni politiche.
I risultati del contrasto all'evasione fiscale e della razionalizzazione della spesa potranno consentire, nel medio termine, di ridurre le elevate aliquote di prelievo sul lavoro e sull'attività di impresa, sostenendo la competitività del sistema.
Il 2012 sarà un anno molto difficile per l'economia italiana. Rispetto al 2007, cioè all'anno prima della crisi globale, ci ritroveremo con una produzione inferiore di 6 punti percentuali, con un reddito disponibile delle famiglie, in termini reali, più basso di quasi il 9 per cento e con una perdita di occupazione di 2 punti, equivalenti a 400.000 posti di lavoro. Nelle stime del Governo la recessione iniziata l'anno scorso si interrompe nella seconda parte di quest'anno e la ripresa si avvia nel 2013. Esistono rischi di un più lento recupero; di contro, si potrebbe assistere, però, a un anticipo della ripresa alla fine di quest'anno, se cesseranno le preoccupazioni dei mercati finanziari internazionali sulla credibilità delle politiche di risanamento fiscale e di rilancio della crescita e sull'efficacia della governance europea, con un deciso effetto di riattivazione del credito e della fiducia degli investitori.
I conti pubblici in ordine, durevolmente e credibilmente, sono il primo requisito. Il secondo è che la produttività e il potenziale di crescita dell'economia siano posti nella condizione di fare un salto all'insù. Il Documento di economia e finanza che oggi discutiamo mostra ampia consapevolezza delle poste in gioco; non nasconde le problematicità di riforme - cito ancora dalla prefazione del Presidente del Consiglio - «difficili da far passare perché colpiscono interessi concentrati di categorie a forte rappresentanza politica e portano invece vantaggi a soggetti diffusi e non organizzati, come i consumatori o i giovani o addirittura le generazioni future». Ampiezza e organicità dell'azione riformatrice, equità e visione del futuro sono le risposte che il Documento propone per superare le difficoltà. Si tratta di linee che non si può non condividere. Peraltro, passi importanti sono stati
compiuti; alcuni più decisi, altri più esitanti. Per dirla ancora con le parole del Documento, «molto resta da fare».
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ROBERTO SIMONETTI. Grazie, presidente, grazie, dottor Rossi. Vorrei solo capire il perché della sua conclusione. Difatti, a dispetto dei dati numerici, che sono oggettivi, si parla di un netto miglioramento dei conti pubblici e di un avanzo di bilancio in termini strutturali.
Nella documentazione che abbiamo avuto modo di visionare, questo pareggio nasce squisitamente da un aumento inverosimile della pressione fiscale e non da un aumento della produzione, del prodotto interno lordo. Dei 50 miliardi di euro di interventi correttivi per il 2012, l'82 per cento proviene da tasse; dei 75 miliardi del 2013, il 70 per cento sono tasse; degli 81 miliardi del 2014, il 65 per cento sono tasse. Questo ha un impatto
negativo sia sul PIL (-2,6 per cento), sia sui consumi delle famiglie (-3,5 per cento), sia sugli investimenti (-5 per cento).
Ciò provoca un effetto di recessione che genera - come ha detto il presidente della Corte dei conti, dottor Giampaolino - un equilibro fragilissimo, perché non basato sul rilancio dell'economia, ma su un'imposizione fiscale notevole, senza il taglio della spesa pubblica, se non quella degli enti locali, che genera anch'essa minore virtuosità sugli investimenti. Tutto ciò porta, insomma, un ingessamento del sistema Italia, descritto, peraltro, nelle schede di lettura della Camera dei deputati e del Senato che indicano una scarsa dinamica della produttività, nonché i dati sul costo del lavoro e sulla mancanza di produzione e di iniziativa privata.
Ecco, questi sono i dati. Voi commentate in modo positivo tutte le iniziative del Governo. Capisco che membri del Governo fanno parte della vostra struttura e che il Governo vi ha dato 9 miliardi di euro della tesoreria unica. Tuttavia, un commento positivo a iniziative che portano lo 0,1 per cento di sviluppo del PIL, come i decreti sulle liberalizzazioni e le semplificazioni, o lo 0,2 per cento nel triennio di occupazione, mi pare inverosimile. Non si può dire certamente che sono state fatte riforme strutturali. Vorrei, quindi, capire perché esprimete un commento così positivo.
LINO DUILIO. Ringrazio anch'io il dottor Rossi. Nelle sue conclusioni lei afferma che sono stati scongiurati scenari ancora più recessivi. Ovviamente, non si può che essere d'accordo su questa affermazione.
Ciò detto, mi collegherei brevemente a quanto ha affermato poc'anzi il presidente della Corte dei conti proprio circa questi effetti depressivi, manifestando apprezzamento nei confronti del Governo che, per la prima volta, li stima esplicitamente nel Documento di economia e finanza, mettendo in evidenza che ci troveremmo di fronte a una situazione per cui l'effetto recessivo indotto dissolverebbe circa la metà dei 75 miliardi di euro di correzione netta attribuita alla manovra di riequilibrio. Cito testualmente quanto ha detto il presidente della Corte dei conti, evidenziando, peraltro, un'asimmetria tra gli effetti che si determinano in termini recessivi e quelli positivi in termini di crescita, di rilancio e così via. Poi vedremo se - come lei diceva e come mi auguro - i mercati anticipino possibili elementi di ripresa rispetto alle previsioni.
Insomma, sono preoccupato per questa recessione, indotta inevitabilmente anche dalle misure adottate e dall'asimmetria che veniva messa in evidenza. In relazione a questo, tenendo conto delle inevitabili misure di rigore che ci hanno fatto riconquistare fiducia sui mercati internazionali - guai se non fosse stato così - e di quello che a me sembra di rilevare per quanto attiene alla crescita, cioè che la stessa è affidata al combinato disposto del riequilibrio strutturale dei conti e dell'eliminazione di lacci e lacciuoli - così si sarebbe detto una volta - che non consentono al mercato di esprimere le sue virtù, lei pensa che questo impasto di rigore e di speranza e di fiducia nelle virtù del mercato sia sufficiente, oppure ritiene che sia necessario qualcosa di più, soprattutto in termini di interventi, non in deficit spending, in quanto quest'ultima ipotesi sarebbe, peraltro, un'eresia rispetto al pensiero
dominante? Del resto, non possiamo nemmeno farlo, visto ciò che abbiamo acquisito rispetto al pareggio di bilancio. Insomma, non voglio dilungarmi, ma, in termini di reperimento di risorse almeno una tantum, non crede sia possibile - come dire - uno shock, che faccia risalire la variabile degli investimenti che è anch'essa un po' depressa?
ROLANDO NANNICINI. Nella sua relazione si dice che, in materia di lavoro, già lo scorso anno erano state adottate varie misure volte, in particolare, a promuovere l'occupazione giovanile e femminile nelle aree depresse e ad ampliare il ruolo della contrattazione collettiva decentrata. Nei vari incontri che abbiamo nel Paese, molti lavoratori e molte imprese stanno sollecitando i decreti di attuazione rispetto all'attestazione del salario di risultato.
Lei è stato preciso nel chiedere, a proposito del decreto cosiddetto «cresci Italia» e di altri, di essere tempestivi nei decreti di attuazione. Mi ha fatto, quindi, riflettere sulla necessità di essere tempestivi per ampliare il ruolo della contrattazione collettiva decentrata, visto che, a oggi, siamo senza decreti attuativi.
La seconda questione è se la Banca d'Italia abbia stimato gli effetti benefici - nei confronti dei conti pubblici - derivanti dalla riforma previdenziale. Sia il Documento di economia e finanza sia la vostra relazione accennano al fatto che si tratta di una riforma previdenziale in cui ci sono dati strutturali validi, poiché questa mette in garanzia i conti previdenziali. Tuttavia, forse si dovrebbe dedicare molta più attenzione al debito implicito che noi avremo successivamente.
MARCO CAUSI. Nel ringraziare il dottor Rossi, poiché abbiamo l'opportunità di parlare con lui, mi permetta, signor presidente, di chiedergli un giudizio su quello che è successo al recente G20. Leggendo i giornali e i commenti, sembra emergere qualche divergenza di opinione fra Stati Uniti ed Europa. Le chiedo, quindi, se ci può aiutare a interpretare questa differenza.
Inoltre, nell'ascoltare i passaggi della sua relazione relativamente alle stime dell'IMF (International Monetary Fund), mi sono domandato se questi elementi di divergenza fra Stati Uniti ed Europa non possano che farvi riferimento. Infatti, il pensiero del Fondo monetario internazionale è più ascoltato e permeabile negli Stati Uniti - non soltanto nei mercati, ma anche nella pubblica opinione e nei policy maker di quel versante dell'Atlantico - di quanto non sia da noi.
Mi chiedo, quindi, se non si ponga la questione - affrontata nella vostra relazione - dell'adeguatezza dei presidi offerti dalle istituzioni europee, che è un tema europeo e non soltanto nazionale. Del resto, in due occasioni della sua interessante e importante relazione, lei, dottor Rossi, ci fa capire che alcuni degli impatti delle misure che stiamo prendendo - sicuramente di quelle strutturali, i cui impatti sono stati «ristimati» con prudenza in questo Documento rispetto ad alcune stime «generose» degli anni passati, ma anche delle inevitabili misure di rigore finanziario - dipendono dalla variabile delle «aspettative». Il dottor Rossi ci insegna, però, che la variabile aspettative funziona se c'è un consenso intorno alle aspettative stesse. Allora, questa divergenza di punti di vista fra Europa e Stati Uniti, o fra IMF e istituzioni comunitarie è rilevante non soltanto perché ci sono dei modelli
diversi, ma perché ricondurre a unità e a consenso queste aspettative - cioè il modo in cui interpretiamo cosa succede in Europa e in Italia - potrebbe aiutarci a moltiplicare, come si spera, gli effetti di alcune misure che stiamo prendendo.
MAINO MARCHI. Vorrei porre due domande. La prima riguarda la questione della liquidità delle imprese, che attualmente è uno dei problemi principali. Infatti, per le imprese, da una parte, c'è la questione dei pagamenti e, dall'altra, quella relativa al credito. Dottor Rossi, nella sua relazione lei dice che le due operazioni di rifinanziamento bancario a medio termine, effettuate dall'Eurosistema, dovrebbero ora consentire una graduale normalizzazione delle condizioni di offerta di credito. Il Governo, nel Programma nazionale di riforma, afferma la stessa cosa su questo aspetto, aggiungendo che ciò dovrebbe, presumibilmente, avvenire entro la fine del 2012. Le chiedo se tale previsione temporale sia condivisa anche dalla Banca d'Italia.
Inoltre, nelle sue conclusioni, afferma che i risultati del contrasto all'evasione fiscale e della razionalizzazione della spesa potranno consentire, nel medio termine, di ridurre le elevate aliquote di prelievo sul lavoro e sull'attività d'impresa, sostenendo la competitività dell'economia: in considerazione delle politiche economiche del Governo previste nel presente Documento di economia e finanza, che tempi pensa occorrano affinché questa possibilità possa concretizzarsi?
PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Rossi per la replica.
SALVATORE ROSSI, Vice direttore generale della Banca d'Italia. Vorrei fare un chiarimento metodologico prima di affrontare la prima questione posta. «Avanzo strutturale» o «saldo di bilancio strutturale» è una definizione tecnica, che sta nei manuali, nelle statistiche e così via; «strutturale» vuol dire esattamente al netto degli effetti del ciclo economico, soprattutto, e delle misure temporanee. Non è, quindi, un aggettivo che incorpori un giudizio di valore positivo o negativo. È una definizione tecnica, usata in tutto il mondo.
Onorevole Simonetti, lei dice che nel 2013 otteniamo questo avanzo strutturale solo o comunque prevalentemente con le tasse e questo non va bene. Mi dice, poi, di essere stato troppo positivo. Ecco, a me non pare di essere stato positivo perché, in più passaggi della mia relazione, ho ricordato che la pressione fiscale è molto alta in Italia, nel confronto sia storico sia internazionale, e che questa situazione mette a repentaglio il rilancio della crescita che, invece, è l'obiettivo principale che dobbiamo porci. L'obiettivo nazionale è di interrompere questo lungo periodo di crescita bassa o di stagnazione, con cadute recessive, e rimetterci su un sentiero di crescita più vivace. È indubbio che per cogliere questo obiettivo bisognerà trovare la maniera di ridurre la pressione fiscale e, in modo particolare, di ridurre le aliquote legali, cioè di far pagare meno tasse ai lavoratori e alle imprese che le
pagano.
Quanto agli effetti recessivi della manovra, onorevole Duilio, lei mi ha fatto venire in mente una citazione di un vecchio Primo Ministro francese dell'epoca di Mitterrand, che diceva che il rigore è l'austerità più la speranza. Lei ha parlato di impasto di rigore e di speranza, chiedendomi se potrà funzionare. Siamo in una condizione difficile perché dobbiamo contemperare, come Paese, due obiettivi che sono entrambi pressanti e che devono essere necessariamente raggiunti: da un lato, dobbiamo perseguire il risanamento dei conti pubblici per mettere finalmente il rapporto debito/PIL su un sentiero di decrescita, dall'altro, abbiamo il grandioso e ineludibile obiettivo di rilanciare il processo di sviluppo economico. Questi due obiettivi si possono contemperare, anche se non è facile, facendo scelte oculate in materia di correzione del bilancio pubblico, scegliendo certe strade per correggere il bilancio pubblico e non altre.
Come dicono in tanti e come abbiamo detto anche noi in varie occasioni, la strada maestra è quella di tagliare le spese primarie correnti, razionalizzandole, eliminando gli sprechi e le ridondanze. Ecco, una razionalizzazione della spesa pubblica, che ne implichi la riduzione, non è necessariamente recessiva; anzi, se rimuove ostacoli indebiti posti alla piena esplicazione degli spiriti imprenditoriali, all'innovazione e così via, può avere effetti positivi sulla crescita.
Le tre manovre - compresa quella di questo Governo - per correggere i conti pubblici hanno fatto molto affidamento sull'aumento del prelievo fiscale, quindi hanno avuto un effetto recessivo che ritengo sia tenuto in conto nel quadro macroeconomico. Non mi pare, quindi, che si debba pensare a un ulteriore forte effetto recessivo che non è stato già considerato.
Riguardo ai decreti di attuazione delle misure dello scorso anno sulla contrattazione collettiva decentrata, vorrei dire che tutti i decreti attuativi di misure adottate dovrebbero essere emanati il più rapidamente e il più efficacemente possibile; ciò come regola generale. Non voglio, tuttavia, entrare in questa materia che è un'autoriflessione del Parlamento.
In merito al dissidio apparente, alla discussione o alle differenze di opinione fra Stati Uniti ed Europa nel dibattito più recente, posso dire che non ero al G20, quindi non posso riportare un'impressione personale precisa. Non ho la percezione che vi sia un dissidio, ma una dialettica che, peraltro, c'è sempre stata fra le due sponde dell'Atlantico. Quanto al Fondo monetario internazionale, vorrei rammentare che il managing director e il
chief economist del Fondo monetario internazionale sono entrambi francesi, per cui mi pare molto difficile che si facciano influenzare dalla politica americana.
Rispetto al credito alle imprese, ripeto quanto ho già detto. Le due grandi operazioni - grandi per entità, oltre che per gli effetti prodotti - di rifinanziamento a tre anni che l'Eurosistema ha effettuato nei confronti dei sistemi bancari di tutta Europa e di cui il sistema bancario italiano ha approfittato hanno avuto un impatto significativo. In particolare, la prima delle due operazioni ha arrestato una forte contrazione del credito, un vero credit crunch molto serio che si stava per produrre, dovuto al fatto che la crisi del debito sovrano, divampata negli ultimi mesi dell'anno 2011, aveva rarefatto le fonti di provvista all'ingrosso per le banche italiane, fonti che sono molto importanti perché le banche italiane fanno più impieghi di quanti depositi raccolgano in Italia e quindi hanno bisogno di fare provvista di fondi all'estero sui mercati internazionali, sui cosiddetti mercati all'ingrosso della liquidità bancaria.
Ebbene, quelle fonti di provvista, per le preoccupazioni improvvisamente acutizzatesi sui mercati nei confronti dei debiti sovrani, si erano rarefatte, pertanto le banche si trovavano nella necessità di contrarre l'attivo, vedendo il passivo che si andava riducendo. Insomma, la prima operazione di rifinanziamento dell'Eurosistema ha fermato questo processo, limitandolo molto.
La seconda operazione dovrebbe - dobbiamo usare necessariamente il condizionale perché i nostri dati si fermano allo scorso febbraio; non abbiamo dati aggregati di sistema che vadano oltre febbraio, quindi non riusciamo ancora a cogliere l'effetto, nei bilanci, della seconda operazione di rifinanziamento - avviare a normalizzazione le condizioni di offerta di credito sul mercato italiano nei prossimi mesi, dunque nell'arco di quest'anno.
Mi pare che questa fosse l'ultima domanda. Grazie.
PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti della Banca d'Italia per l'approfondimento offerto alle Commissioni bilancio di Camera e Senato.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta, sospesa alle 19,55, è ripresa alle 20,05.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2012, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, l'audizione di rappresentanti dell'ISTAT.
È presente il presidente dell'ISTAT, professor Enrico Giovannini, accompagnato dal dottor Roberto Monducci, dalla dottoressa Patrizia Cacioli, dalla dottoressa Maria Emanuela Montebugnoli, dalla dottoressa Daniela Marchesi e dal dottor Tommaso Rondinella, che ringrazio per essere intervenuti.
Do ora la parola al presidente dell'ISTAT, professor Enrico Giovannini.
ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. Nella relazione che chiediamo di poter depositare agli atti analizziamo soprattutto la dinamica congiunturale della situazione attuale del nostro Paese e, come al solito, uniamo a questa un allegato statistico abbastanza corposo per consentire una maggiore analisi che, naturalmente, in questa sede non potrò svolgere.
Rispetto all'edizione 2011 il Documento di economia e finanza presentato dal Governo contiene numerose novità, sia nella forma sia nella sostanza. In particolare, il primo volume, dedicato al Programma di stabilità dell'Italia, contiene un insieme estremamente interessante di analisi sull'impatto delle diverse misure adottate in campo economico e previdenziale, le quali consentono di valutare scenari alternativi e di comprendere meglio la complessità
del quadro previsionale sul quale il DEF è stato costruito. D'altra parte, proprio la ricchezza delle informazioni fornite permette di cogliere l'esistenza di evidenti trade off tra consolidamento fiscale e crescita macroeconomica, mostrando quanto difficile sia il percorso intrapreso per soddisfare sia i vincoli di stabilità finanziaria sottoscritti in sede europea sia le aspettative della popolazione per un definitivo superamento della fase di crisi e instabilità che ha caratterizzato gli ultimi cinque anni.
Il secondo volume del DEF, dedicato al Programma nazionale di riforma, appare nettamente migliorato rispetto all'edizione 2011, presentando in maniera più integrata una grande massa di informazioni concernente le tendenze attuali degli indicatori posti alla base della strategia Europa 2020, nonché le azioni di policy intraprese o programmate.
Significativamente, l'introduzione del DEF firmata dal Presidente del Consiglio dei ministri si apre con l'illustrazione di come dovrebbe essere il Paese nel 2020 se venissero adottate le riforme proposte e l'Italia centrasse gli obiettivi che si è data. A tale proposito, l'introduzione nota correttamente che oggi l'Italia si trova più lontana dagli obiettivi nazionali della strategia Europa 2020 di quanto non lo fosse quando la strategia è stata adottata, cioè due anni fa. Ciò significa che la velocità con la quale si deve procedere nel prossimo futuro deve essere maggiore di quella inizialmente immaginata. Non va poi dimenticato, come mostrato nel Rapporto annuale sulla situazione del Paese pubblicato dall'ISTAT nel maggio 2011, che se anche l'Italia raggiungesse tutti gli obiettivi che si è data per l'anno 2020, la posizione relativa del nostro Paese nei confronti degli altri grandi Paesi europei sarebbe tutt'altro che
soddisfacente. Questa considerazione comporta due rilevanti conseguenze: la prima riguardante il grado di consapevolezza da parte dell'opinione pubblica dell'ampiezza della sfida che il Paese deve affrontare. Mi sento, a tale proposito, di sottolineare ancora quanto già detto l'anno scorso a proposito della necessità di rendere il dibattito pubblico intorno al DEF un momento fondamentale di condivisione nazionale degli obiettivi in esso contenuti. Come fu negli anni Novanta per la cosiddetta «rincorsa all'euro», è indispensabile che anche la rincorsa a Europa 2020 diventi patrimonio comune dell'intero Paese. Di conseguenza, è indispensabile trovare le giuste modalità per evitare che il dibattito sui documenti oggi in discussione si esaurisca all'interno delle aule parlamentari.
La seconda conseguenza riguarda proprio l'ambizione insita negli obiettivi annunciati per l'anno 2020. Darsi obiettivi ambiziosi, e soprattutto perseguirli in modo persistente, può incidere sull'immagine internazionale dell'Italia e, dunque, rendere il loro conseguimento più probabile.
Da questo punto di vista, è indispensabile che l'Italia torni ad aspirare a far parte della «pattuglia di testa» dell'Unione europea e non resti - se posso dirlo - una squadra da metà classifica. Nonostante le tante incertezze del quadro congiunturale attuale, alla cui analisi dedicherò gran parte del mio intervento, l'Italia possiede ancora un patrimonio straordinario di capacità e di valori sui quali costruire il percorso di rilancio del Paese. Essere ambiziosi e realisti al tempo stesso è forse la sfida maggiore a cui siamo chiamati come classe dirigente, ora e negli anni a venire.
Guardiamo ora il quadro macroeconomico. I dati più recenti confermano il rallentamento del ciclo internazionale. Secondo il Fondo monetario internazionale, il PIL mondiale crescerebbe del 3,5 per cento nel 2012, in ulteriore rallentamento rispetto al 2011 (3,9 per cento), contro un valore del 5,3 per cento rilevato nel 2010. Ancora più forte appare la decelerazione del commercio mondiale di beni e servizi. Il rallentamento della crescita accomuna sia i Paesi sviluppati sia quelli emergenti, ma è evidente che questi ultimi continuerebbero a mostrare tassi di crescita ben più elevati dei primi.
Tra le economie emergenti le maggiori problematicità si sono evidenziate nei
Paesi dell'Europa centrale e orientale più direttamente dipendenti dal ciclo della zona euro, mentre una decelerazione meno marcata si sta verificando in America latina e in Asia, nonostante le difficoltà di Brasile e Cina. Negli Stati Uniti sembra proseguire la fase di ripresa ciclica, caratterizzata da segnali di risveglio del mercato del lavoro. Per i prossimi mesi ci si attende la prosecuzione della fase di espansione, anche se le incertezze sulla solidità della ripresa occupazionale, la prosecuzione del processo di deleveraging di famiglie e imprese e il deteriorarsi dei saldi di finanza pubblica inducono a una certa prudenza.
In Europa, i piani di consolidamento fiscale in alcuni Stati membri, il rafforzamento della disciplina di bilancio e le operazioni a lungo termine della Banca centrale europea hanno contribuito a una riduzione del premio di rischio sui titoli del debito sovrano. Ne è conseguito qualche riflesso positivo sul clima di fiducia dei consumatori e, con qualche incertezza in marzo, delle imprese. La produzione industriale è salita in febbraio dello 0,5 per cento su base congiunturale, dopo la stagnazione dei mesi precedenti. Il dato medio sottende, però, andamenti differenziati tra i vari Paesi.
Per l'area dell'euro le prospettive a breve termine sono di una ripresa molto graduale. Secondo le previsioni elaborate congiuntamente in aprile da IFO (Institute for Economic Research at the University of Munich), INSEE (Institut national de la statistique et des études économiques) e ISTAT, dopo una contrazione nel primo trimestre dell'anno, il PIL dovrebbe stabilizzarsi nella parte centrale di quest'anno. In particolare, il consolidamento fiscale e le condizioni sfavorevoli del mercato del lavoro graveranno sul consumo privato, mentre l'allentamento delle tensioni finanziarie alleggerirà le condizioni di accesso al credito, ma a causa delle incertezze sul futuro gli investimenti privati rimarranno stagnanti.
L'indicatore leading dell'OCSE di febbraio, che anticipa di circa un semestre gli andamenti dell'attività industriale, segnala il protrarsi della fase di debolezza in Italia e Francia, e l'assenza di ripresa in Germania e nella media dei Paesi dell'area euro.
Vediamo ora le tendenze dell'economia italiana. Nel corso del 2011, la dinamica dell'attività produttiva nazionale ha segnato una netta inversione. Dopo i lievi incrementi congiunturali nel primo semestre, si è registrata una significativa contrazione nel secondo, mentre nell'ultimo trimestre dell'anno il PIL ha registrato un calo congiunturale dello 0,7 per cento. Nella media, la variazione conseguita nel 2011 è stata positiva, pari allo 0,4 per cento, ma l'acquisito per il 2012, cioè la variazione che si verificherebbe se nel corso dell'anno il PIL restasse sui valori di fine 2011, è negativo e pari a meno 0,5 per cento.
Nel periodo 2007-2011, i consumi delle famiglie in termini reali sono diminuiti dell'1 per cento. Nel quarto trimestre del 2011 la spesa reale è stata inferiore dell'1,2 per cento rispetto a un anno prima.
Gli investimenti fissi lordi si sono ridotti dell'1,2 per cento nel 2011: la flessione è stata particolarmente rilevante per quelli in costruzioni, ridottisi per il quarto anno consecutivo.
Se guardiamo il 2012, vediamo che a febbraio la produzione industriale ha segnato un nuovo calo congiunturale (-0,7 per cento) che segue la forte diminuzione di gennaio. La situazione è di recessione per gran parte dei settori industriali: a febbraio solo il comparto dell'energia ha mostrato un aumento tendenziale, mentre diminuiscono in modo significativo i beni intermedi e i beni di consumo, e in modo più contenuto i beni strumentali.
L'indice del clima di fiducia del settore manifatturiero è sceso ancora a gennaio e febbraio, segnando a marzo una prima lieve risalita. Il fatturato industriale ha registrato un parziale recupero in febbraio, ma in termini tendenziali si osserva una diminuzione dell'1,5 per cento, sintesi di un calo del 4,7 per cento sul mercato interno e di un aumento del 5,5 per cento su quello estero.
A febbraio 2012 l'indice destagionalizzato della produzione nelle costruzioni è diminuito del 9,9 per cento rispetto a gennaio e del 26 per cento rispetto a un anno prima; tale dato risente, tuttavia, delle condizioni climatiche particolarmente avverse.
L'indicatore del clima di fiducia delle imprese di costruzioni ha segnalato in marzo un lieve peggioramento dopo la risalita dei due mesi precedenti.
Assai modesta è risultata la dinamica dell'attività nel settore dei servizi. Nel 2011 il valore aggiunto è aumentato dello 0,8 per cento in termini reali. Il nuovo indicatore trimestrale aggregato sul fatturato delle attività dei servizi ha subito una progressiva decelerazione, con un incremento ridotto allo 0,4 per cento nell'ultimo trimestre.
L'andamento negativo dei consumi si è riflesso sul settore del commercio al dettaglio, il cui giro di affari ha subito nel corso del 2011 una significativa contrazione in valore, nonostante l'ampio incremento dei prezzi. La discesa è stata particolarmente marcata negli ultimi due trimestri dell'anno, con cali congiunturali dello 0,8 e dello 0,6 per cento rispettivamente, derivanti soprattutto dalla caduta della componente non alimentare. A gennaio 2012 si è registrato un parziale recupero dopo il risultato particolarmente negativo che aveva caratterizzato il mese di dicembre. Le difficoltà del comparto commerciale hanno continuato a penalizzare non solo la distribuzione tradizionale, ma anche la grande distribuzione.
Per quel che riguarda le attività legate al turismo, i flussi di clienti negli esercizi ricettivi hanno segnato nel 2011 una relativa tenuta grazie alla clientela straniera, che ha compensato l'andamento negativo della componente nazionale.
Dopo il peggioramento protrattosi sino a gennaio 2012, la fiducia nei settori dei servizi e del commercio al dettaglio è migliorata in febbraio e marzo, grazie a più positivi giudizi sulla situazione corrente, mentre le attese per i mesi successivi restano su livelli alquanto bassi.
Considerando gli andamenti degli indicatori disponibili, è presumibile che nel primo trimestre 2012 la contrazione congiunturale del PIL sia stata marcata e vicina a quella osservata nel quarto trimestre del 2011, mentre il trimestre in corso potrebbe mostrare una sostanziale stazionarietà. In particolare, nel primo trimestre 2012, l'indice destagionalizzato della produzione industriale dovrebbe registrare un ulteriore arretramento rispetto all'ultima parte del 2011; un lieve recupero dovrebbe manifestarsi nel secondo trimestre. Analoga tendenza potrebbe caratterizzare il settore delle costruzioni. Infine, a causa del minore potere di acquisto dei consumatori e dell'elevata incertezza sulla situazione economica generale, l'attività dei servizi difficilmente potrà mostrare significativi segnali di recupero prima dell'estate.
Il quadro descritto delinea andamenti annuali del PIL per l'anno 2012 nel complesso coerenti con quelli indicati nel DEF. La previsione per l'economia italiana incorporata nel Documento sottende, per l'anno in corso, l'assenza di ulteriori shock finanziari e l'inizio di una ripresa pur modesta dell'attività economica nella seconda parte dell'anno.
Vediamo ora la situazione degli investimenti e dell'accesso al credito. L'elevata incertezza che segna l'attuale fase ciclica e la crescita della capacità produttiva inutilizzata costituiscono il principale fattore di freno alle decisioni di investimento delle imprese. Inoltre, l'attività di investimento ha risentito delle crescenti difficoltà incontrate dalle imprese nell'accesso al credito bancario, con effetti di razionamento che hanno colpito soprattutto le imprese di piccola e media dimensione. Queste difficoltà sono continuate anche nei primi mesi del 2012: un allentamento delle tensioni creditizie è stato invece registrato per le imprese medie e grandi. Nel primo trimestre dell'anno in corso, indicazioni di un miglioramento delle condizioni per investire sembrano delinearsi nel settore manifatturiero, mentre restano difficili le condizioni per gli investimenti in costruzioni. Al parziale recupero osservato nel
primo trimestre 2012 potrebbero aver contribuito gli interventi della BCE volti ad aumentare la liquidità.
Come documentato da un'indagine della Commissione europea, già nel primo semestre 2011 l'aumento del fabbisogno di finanziamento appariva più elevato per le piccole e medie imprese italiane rispetto a quelle degli altri Paesi dell'Unione europea. L'Italia, inoltre, presentava la frequenza più elevata di imprese almeno parzialmente «razionate». Le indagini mensili sul clima di fiducia delle imprese condotte dall'ISTAT mostrano che la percentuale di coloro i quali avvertono un inasprimento delle condizioni di finanziamento, in crescita pressoché continua dalla metà del 2010, sul finire del 2011 si è riportata in tutti i settori su livelli compresi tra il 35 per cento e il 45 per cento, valori molto elevati e paragonabili a quelli osservati nelle fasi più severe della crisi dell'autunno 2008. Anche le percentuali di razionamento, sebbene in misura inferiore, sono aumentate.
Permane un divario a sfavore delle imprese di piccola dimensione: in media, lungo l'intero arco temporale considerato, la percentuale di imprese razionate nella classe dimensionale inferiore è più elevata rispetto alla media del comparto di 13 punti percentuali nel caso della manifattura e di 11 punti nei servizi.
Elaborazioni relative al periodo 2008-2012 volte a stimare la probabilità di non ottenere il credito richiesto evidenziano una situazione più difficile per le imprese manifatturiere. Per queste, infatti, le probabilità stimate di razionamento sono, durante tutto il periodo considerato, mediamente del 60 per cento superiori a quelle delle imprese dei servizi. Tale differenza tende ad assottigliarsi nelle fasi di tensione più marcata: alla fine del 2011, in soli due mesi le probabilità stimate di razionamento sono tornate sui livelli dell'ultimo trimestre 2009 per le imprese manifatturiere e ai livelli della prima metà del 2009 per quelle dei servizi, anche per le imprese cosiddette economicamente solide.
Nella seconda metà del 2011 i consumi delle famiglie hanno mostrato una marcata contrazione: -0,8 per cento rispetto al semestre precedente. La debolezza della spesa per consumi protrattasi nei primi mesi dell'anno in corso e caratterizzata dalla decisa flessione degli acquisti di beni durevoli, è stata determinata da una progressiva riduzione del potere d'acquisto delle famiglie: se nella media d'anno la contrazione è stata pari allo 0,5 per cento, nel solo ultimo trimestre del 2011 la flessione è stata dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente e dell'1,9 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2010. Di conseguenza, alla fine dell'anno scorso il potere d'acquisto delle famiglie è tornato sui livelli dell'inizio del 2001. In termini pro capite, tra il 2000 e il 2011 il potere d'acquisto si è ridotto del 3,1 per cento.
Nel 2011 la propensione al risparmio delle famiglie si è attestata al 12 per cento, il valore più basso dal 1995, registrando una diminuzione di 0,7 punti percentuali rispetto all'anno precedente. Nel quarto trimestre la propensione al risparmio è stata pari al 12,1 per cento, quindi pari a 0,3 punti percentuali in più rispetto al trimestre precedente.
La riduzione del tasso di risparmio prodottasi con la crisi è senza precedenti, ma va notato come essa sia iniziata prima del biennio 2008-2009 ed appaia legata alla lunga stasi del potere d'acquisto delle famiglie registrata in tutti gli anni Duemila. Sul piano congiunturale, se negli anni scorsi queste ultime hanno cercato di mantenere il tenore di vita attingendo ai risparmi, con il deterioramento della situazione verificatosi a metà 2011 sembra essere intervenuto un mutamento dell'atteggiamento psicologico, in corrispondenza del peggioramento del clima di fiducia. In questo quadro, il leggero aumento della propensione al risparmio registrato a fine anno sembrerebbe più coerente con i comportamenti degli altri Paesi europei, dove, nel corso della crisi, si è assistito a un aumento del risparmio precauzionale.
Non a caso, considerando l'indagine mensile sul clima di fiducia dei consumatori,
negli ultimi mesi del 2011 si osserva un aumento non solo della quota di chi dichiara di erodere i risparmi o di indebitarsi - segno evidente della difficile situazione in cui versano molte famiglie - ma anche del gruppo di chi riesce a risparmiare, mentre si restringe il gruppo di chi si considera in condizioni di «quadrare il bilancio». La polarizzazione dei comportamenti si conferma nei primi mesi del 2012, con un leggero recupero dell'incidenza di chi si ritiene in grado di risparmiare e una diminuzione di chi non lo è. Peraltro, l'indicatore del clima di fiducia dei consumatori, dopo aver segnato un qualche recupero rispetto ai minimi di dicembre e gennaio, è tornato a scendere fortemente in aprile - i dati li abbiamo diffusi oggi - con un peggioramento particolarmente marcato per la componente delle attese sullo scenario economico.
Naturalmente, in un momento di debolezza congiunturale, il tentativo di ricostituire il risparmio può avere un effetto depressivo sul sistema economico, alimentando un circolo vizioso con effetti difficilmente quantificabili al momento. Da questo punto di vista, appare importante ristabilire al più presto un clima economico positivo in grado di fornire prospettive durature di aumento dei redditi familiari, nonché sostenere le famiglie in gravi difficoltà economiche, al fine di evitare effetti negativi sulla tenuta complessiva del tessuto sociale.
Nel corso del 2011 l'evoluzione delle esportazioni complessive dell'Italia ha seguito la marcata decelerazione degli scambi internazionali di beni e servizi.
In un contesto di generale rallentamento della domanda mondiale, la performance delle vendite all'estero dell'Italia nel 2011 è risultata in linea con quella media dell'area euro, per la prima volta dall'introduzione della moneta unica.
Nello stesso periodo, le importazioni complessive hanno mostrato soltanto un modesto incremento, legato alla marcata contrazione della domanda interna. Nel 2011 la domanda estera netta ha dunque rappresentato il principale fattore di sostegno alla crescita del prodotto lordo, compensando gli effetti negativi dovuti alla caduta delle principali componenti interne di domanda e, in particolare, della variazione delle scorte.
Nel 2011 le esportazioni di beni in valore sono aumentate dell'11,4 per cento, segnando un rallentamento lieve delle vendite nei mercati extra UE e uno più marcato di quelle verso l'area UE. Dai dati disponibili emerge come le imprese italiane abbiano sofferto in misura comparativamente maggiore l'impatto della crisi e come anche ora, nonostante il recupero dei flussi esportati, non riescano a cogliere pienamente le potenzialità offerte dai mercati internazionali. Questo è vero anche in alcuni settori di punta del made in Italy e riguarda sia i mercati europei che quelli extraeuropei. Ad esempio, il valore dell'export tedesco di abbigliamento era pari al 56 per cento di quello italiano nel 2005, mentre nel 2011 ha raggiunto una quota dell'84 per cento; sul mercato domestico dell'Unione europea a 27 esso è passato dal 70 per cento al 120 per cento.
In un contesto di moderata ripresa della domanda all'interno dell'area euro, l'aumento delle esportazioni costituisce comunque la principale componente a sostegno della crescita del PIL dell'Italia nell'attuale fase ciclica. Nei primi due mesi del 2012, le esportazioni di beni in valore hanno mostrato un moderato rialzo, mentre è proseguita la debolezza degli acquisti dall'estero.
Il differenziale positivo di crescita nel valore delle esportazioni rispetto alle importazioni osservato nella media del 2011 è attribuibile al maggior rialzo dei valori medi unitari delle merci importate e alla crescita dei volumi esportati, a fronte di una contrazione degli acquisti in quantità dall'estero. Ciò ha sotteso un lieve miglioramento delle ragioni di scambio rispetto a un anno prima e un miglioramento della competitività di prezzo delle imprese italiane, pari a circa 0,5 punti percentuali nel quarto trimestre del 2011.
Nei primi tre mesi del 2012, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, l'export verso i Paesi extra UE cresce del
10 per cento, mentre la diminuzione delle importazioni è del 2,2 per cento. Le indicazioni più recenti tratte dalle indagini qualitative delineano un moderato aumento del fatturato dell'esportazione per i prossimi mesi.
Il 2011 si è chiuso con un significativo ridimensionamento del deficit commerciale dell'Italia. Il passivo è risultato pari a circa 24,6 miliardi di euro, in miglioramento di circa 5,4 miliardi rispetto al 2010. Al netto della componente energetica, la bilancia commerciale ha registrato un avanzo pari a oltre 37 miliardi, oltre 14 miliardi in più rispetto al 2010.
Al miglioramento del passivo commerciale ha contribuito l'aumento del surplus delle produzioni manifatturiere, che ha più che compensato il deterioramento del deficit per le produzioni agricole e per i materiali energetici di base.
Con riferimento ai comparti industriali, un miglioramento dell'avanzo ha contrassegnato i prodotti tessili, nonché la produzione di metalli di base, di macchinari e apparecchi; una riduzione del disavanzo è stata osservata per le produzioni di apparecchi elettronici e per quelle di mezzi di trasporto.
Veniamo ora all'inflazione. Nel 2011 il tasso d'inflazione è stato pari al 2,8 per cento, un valore quasi doppio rispetto all'anno precedente. La dinamica dei prezzi al consumo si è progressivamente accentuata nella prima parte dell'anno. In autunno, la tendenza ha subito un'ulteriore accelerazione portando il tasso di inflazione al 3,3 per cento nell'ultimo trimestre. Nei primi mesi dell'anno in corso le nuove tensioni registrate sui prezzi degli input energetici e il persistere delle tensioni sui prezzi degli alimentari hanno mantenuto l'inflazione stabile sui valori registrati a fine 2011.
Nei primi due mesi del 2012, il differenziale di inflazione rispetto all'area euro è risultato ancora elevato e pari a 0,7 punti percentuali.
Sull'andamento dell'inflazione nel nostro Paese, come nelle altre economie dell'area dell'euro, hanno principalmente influito le tensioni sui prezzi delle materie prime energetiche, industriali e alimentari, registrati già a partire dal 2010. Vari provvedimenti fiscali, quali i ripetuti aumenti delle accise sui carburanti e l'aumento dell'aliquota ordinaria dell'IVA introdotto nella manovra di settembre, hanno determinato un aumento dei prezzi soprattutto negli ultimi mesi del 2011, con una traslazione diffusa, in alcuni casi completa, sui prezzi finali dei beni industriali, dei carburanti e di alcune tipologie di servizi.
A marzo 2012 - questa è una nuova elaborazione che rendiamo disponibile - l'indice italiano dei prezzi al consumo armonizzato a tassazione costante, cioè al netto dell'effetto automatico derivante dai cambiamenti delle aliquote delle imposte indirette, è aumentato su base tendenziale del 2,7 per cento, cioè con un differenziale rispetto all'indice complessivo di 1,1 punti percentuali.
Più in dettaglio, nel corso del 2011 i rincari degli input di base importati sono stati tempestivamente recepiti nei prezzi dei prodotti industriali destinati al mercato interno.
I rialzi maggiori hanno interessato il comparto dei beni energetici, intermedi e alimentari, con andamenti differenziati negli ultimi mesi. I beni intermedi alimentari, dopo la forte accelerazione mostrata nella prima metà del 2011, hanno registrato un rallentamento delle dinamiche tendenziali che è proseguito nei primi mesi del 2012. Per contro, i prezzi dei prodotti energetici hanno mostrato ritmi di crescita molto elevati per tutto il 2011, con una nuova fase di accelerazione in autunno che ha portato il tasso tendenziale all'11,5 per cento nel febbraio di quest'anno.
A livello di distribuzione finale, i primi mesi del 2012 sono stati caratterizzati da una forte dinamicità dei prezzi dell'energia e dei beni alimentari, con sensibili rincari della componente non lavorata, in un contesto di lieve attenuazione delle dinamiche dei prezzi dei beni industriali e di alcune componenti dei servizi. Al netto dei beni energetici, il tasso di inflazione ha registrato una lieve decelerazione, scendendo
dal 2,4 per cento del quarto trimestre dello scorso anno al 2,2 per cento di marzo.
Nello stesso periodo, la dinamica annua dell'inflazione per i servizi ha registrato un contenuto rallentamento, scendendo dal 2,5 per cento di fine 2011 al 2,3 per cento in marzo per effetto di una moderazione nella crescita dei prezzi dei servizi ricreativi e dei servizi vari.
L'attuale episodio inflazionistico, con significativi rialzi delle componenti energetiche e alimentari, è inoltre contrassegnato da incrementi dei prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza dai consumatori, la cui dinamica si è ulteriormente rafforzata nei primi mesi del 2012: la variazione tendenziale di marzo è risultata pari al 4,6 per cento, valore di 1,3 punti percentuali più elevato dell'inflazione complessiva. In tale quadro, le inchieste congiunturali condotte presso i consumatori hanno segnalato il consolidarsi di aspettative di ulteriori rialzi nei prossimi dodici mesi, probabilmente a seguito dell'annuncio del possibile aumento delle aliquote IVA nel corso dell'autunno.
A tale proposito, va notato che le analisi condotte dall'ISTAT hanno mostrato che, in occasione dell'aumento di un punto dell'IVA standard di ottobre 2011, l'impatto sui prezzi finali è stato solo parziale, con un effetto di circa 0,2-0,3 punti percentuali sul tasso di inflazione, contro un impatto teorico di almeno 0,4 punti percentuali. Il nuovo aumento dovrebbe avvenire a oltre un anno di distanza dal precedente ed avrebbe maggiore entità e ampiezza: esso riguarderebbe, infatti, quasi l'80 per cento della spesa per consumi delle famiglie osservato nell'indice armonizzato dei prezzi al consumo, con un impatto teorico di circa 1,35 punti sul tasso di variazione congiunturale e di circa 0,4 punti sulla media 2012. Nell'attuale situazione congiunturale, nondimeno, ci si può attendere una trasmissione sui prezzi non integrale, il che comporterebbe un impatto inflazionistico minore, ma anche un'ulteriore riduzione dei margini di profitto delle imprese.
Per ciò che riguarda il mercato del lavoro, dopo un biennio di discesa, nel 2011 l'occupazione ha registrato un leggero aumento. Alla crescita dell'occupazione straniera ( 170.000 unità) si è accompagnata una diminuzione di quella italiana (-75.000 unità) concentrata nella sola componente maschile. Le donne, soprattutto straniere, nel corso dell'intero 2011 - e italiane nella seconda parte dell'anno - hanno alimentato la ripresa dell'occupazione, riportandosi sul livello raggiunto nel 2008. Nel 2011, la forte riduzione dell'occupazione nella fascia di età 15-34 anni (-233.000 unità) si è associata a un moderato recupero di quella nella fascia di età 35-54 anni e a un aumento degli occupati con almeno 55 anni di età, sostenuto dalla crescente permanenza sul posto di lavoro dovuta alla modifica dei criteri anagrafici e contributivi per l'accesso alla pensione.
È proseguito nel 2011 il deterioramento dell'occupazione giovanile: nella classe 18-29 anni si contano 87.000 occupati in meno. Dal 2008 la caduta dell'occupazione dei giovani è stata pari a 569.000 unità e il tasso di occupazione è sceso dal 47,7 per cento del 2008 al 41 per cento del 2011, una riduzione quasi quattro volte superiore a quella media.
Sebbene a ritmi più contenuti, nel 2011 si è confermata la tendenza alla discesa dell'occupazione a tempo pieno. Per converso, è continuato l'aumento del lavoro part-time, ma ancora una volta si tratta esclusivamente di part-time involontario, ossia di un impiego accettato in mancanza di un lavoro a tempo pieno. D'altra parte, in un generale contesto di incertezza, le imprese continuano a privilegiare l'occupazione a tempo determinato che, nella media del 2011, rappresenta il 13,4 per cento di quella alle dipendenze.
Nel 2011, l'area della disoccupazione è rimasta sostanzialmente stabile, con una discesa nella prima parte dell'anno e una successiva risalita: nel febbraio di quest'anno, il tasso si posiziona al 9,3 per
cento, il livello più elevato da gennaio 2004, inizio delle serie storiche mensili. Continua anche ad allungarsi la durata media della disoccupazione, con più di una persona su due in cerca di lavoro da almeno dodici mesi.
Nella seconda parte del 2011, l'aumento della disoccupazione è andato di pari passo con una contrazione dell'inattività. Nel quarto trimestre il numero di inattivi segnala un forte calo su base annua concentrato nella componente italiana. Tra gli inattivi aumenta il numero di coloro i quali non cercano un impiego, ma sono disponibili a lavorare, e di quanti cercano non attivamente. Nel confronto europeo, si trova in Italia un terzo dei circa 8,6 milioni di individui che nel 2011 hanno dichiarato di non cercare lavoro ma di essere disponibili a lavorare. Nel nostro Paese, gli inattivi che non cercano un impiego sono 2.897.000 unità e questi rappresentano un aggregato addirittura più ampio di quello dei disoccupati (2.100.000 unità).
Veniamo alla finanza pubblica. Nonostante le condizioni non favorevoli in termini di crescita, nel 2011 l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL è continuato a scendere e si è attestato al 3,9 per cento, coerentemente con l'obiettivo indicato nel DEF dello scorso anno.
Il saldo primario è risultato positivo e pari all'1 per cento del PIL. Tale miglioramento deriva essenzialmente dalla riduzione della spesa al netto degli interessi, che in rapporto al PIL è stata pari al 45,6 per cento, in diminuzione di un punto percentuale rispetto al 2010. L'incidenza delle entrate totali è stata del 46,6 per cento, invariata rispetto al 2010.
Sull'andamento della spesa, che in totale è cresciuta dello 0,4 per cento, ha inciso un incremento dell'1,2 per cento per la parte corrente e una riduzione dell'11 per cento per quella in conto capitale. La diminuzione delle spese in conto capitale è in parte spiegata dalla contabilizzazione in questa voce delle vendite dei diritti d'uso delle frequenze elettromagnetiche. In ulteriore flessione dello 0,8 per cento, dopo la contrazione del 15,8 per cento del 2010, sono gli investimenti fissi lordi e i contributi agli investimenti. In rapporto al PIL, la spesa in conto capitale ha raggiunto, al netto degli introiti provenienti dalla vendita del diritto d'uso delle frequenze elettromagnetiche, un valore del 3,3 per cento, mentre era stata del 3,9 per cento nel 2009 e del 3,5 per cento nel 2010.
Le entrate totali sono aumentate dell'1,7 per cento rispetto al 2010. Alla crescita dell'1,3 per cento della componente di parte corrente si è aggiunta una variazione del 47,2 per cento delle entrate in conto capitale, effetto soprattutto dei versamenti una tantum dell'imposta sostitutiva sul riallineamento dei valori contabili ai principi internazionali. Considerando le entrate correnti, le imposte indirette sono state sostenute dagli interventi sull'IRAP, dall'introduzione della tassa di soggiorno, dall'incremento di un punto nell'aliquota massima dell'IVA e dagli aumenti delle imposte sugli oli minerali. Le imposte dirette, invece, si sono ridotte dello 0,1 per cento, soprattutto a causa delle variazioni normative intervenute sull'acconto IRPEF.
La pressione fiscale complessiva è risultata pari al 42,5 per cento, in lieve riduzione rispetto al 2010.
Vorrei trarre, a questo punto, alcune conclusioni, anche di prospettiva futura per l'attività dell'ISTAT. Se la discussione parlamentare del DEF rappresenta un momento fondamentale nella vita politica del Paese, l'effettiva realizzazione delle azioni in esso contenute dovrà passare per un articolato insieme di atti di natura amministrativa, normativa e politica. Nell'attuale fase, difficile non solo sotto il profilo della congiuntura economica, ma anche per il carattere sistemico della crisi, è fondamentale che il Paese intero si riconosca nelle linee di riforma stabilite dal Parlamento, così da assicurare la necessaria coesione e continuità nell'azione del Governo e delle pubbliche amministrazioni. Per questo è indispensabile che si promuova un'approfondita
discussione pubblica sulle prospettive di medio termine basata su dati statistici di qualità.
L'ISTAT continuerà a fornire al Governo, al Parlamento e alla società intera il proprio contributo conoscitivo, a partire dalla pubblicazione del Rapporto annuale sulla situazione del Paese, la cui presentazione è prevista per il 22 maggio prossimo presso la Sala della Lupa di Palazzo Montecitorio. In tale occasione, peraltro, l'Istituto pubblicherà per la prima volta le proprie previsioni macroeconomiche, realizzando così il nuovo mandato ad esso assegnato dal legislatore, dopo la soppressione dell'ISAE (Istituto di studi e analisi economica).
Vista l'imminente diffusione dei primi risultati del censimento generale della popolazione e delle abitazioni svolto nei mesi scorsi - i dati verranno diffusi venerdì 27 aprile - con grande partecipazione dei cittadini e l'utilizzo delle più avanzate tecnologie informatiche e telematiche - ricorderei in proposito che oltre 8,5 milioni di famiglie hanno compilato il questionario via internet, per un totale di oltre 21 milioni di individui -, vorrei richiamare l'attenzione del Parlamento sulla prospettiva futura di tale operazione, sottolineando che l'ISTAT e il Sistema statistico nazionale sarebbero in grado di passare, nel giro di qualche anno, a un sistema di «censimento continuo» analogo a quello realizzato negli altri Paesi più avanzati sul piano statistico.
Tale sistema riuscirebbe a rendere disponibile agli enti locali, ai cittadini e alle imprese una straordinaria massa di informazioni socio-economiche dettagliate sul piano territoriale, geo-referenziate e aggiornate continuamente, non più ogni dieci anni, in grado di migliorare sensibilmente i processi decisionali pubblici e privati, ivi comprese le scelte di insediamento di nuove attività economiche e l'analisi degli effetti delle politiche. Il passaggio a un tale sistema dovrebbe essere deliberato al più presto, così da adeguare al nuovo quadro gli attuali assetti normativi, organizzativi e finanziari. Come dimostrano le più avanzate esperienze internazionali, la costruzione di un Paese moderno e l'attuazione dell'agenda digitale passa anche attraverso il passaggio al censimento continuo. L'ISTAT è pronto a realizzare un'infrastruttura immateriale di così grande rilevanza.
Non posso concludere il mio intervento senza richiamare l'attenzione del Parlamento sulla situazione finanziaria dell'ISTAT, certificata dai revisori dei conti in occasione dell'approvazione del bilancio 2012. Infatti, in base al finanziamento ordinario già deliberato per gli anni 2013-2014, l'ISTAT non sarebbe in grado di formulare il proprio bilancio. Secondo quanto previsto dalla normativa vigente - articolo 15 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 - ne conseguirebbe la nomina di un commissario, la liquidazione coatta amministrativa e le funzioni dell'Istituto verrebbero allocate a un'altra istituzione.
Pur essendo certo che il Governo e il Parlamento vorranno scongiurare una tale evenienza, vorrei segnalare l'estrema difficoltà che l'attuale incertezza determina nella programmazione di attività - previste da regolamenti europei e norme nazionali - che richiedono, per la loro natura, tempi di realizzazione lunghi. Di conseguenza, auspico che nelle sedi appropriate si affronti e si risolva al più presto una situazione evidentemente insostenibile, dando certezza e adeguatezza alle risorse assegnate per il funzionamento della funzione statistica pubblica. Grazie.
PRESIDENTE. La ringrazio professor Giovannini. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
LINO DUILIO. Ringrazio il presidente Giovannini per la sua relazione. Pongo una domanda di tipo qualitativo, più che quantitativo; del resto, i numeri servono a corredare opinioni, in modo che non siano semplicemente di natura personale.
All'inizio della sua relazione, lei afferma che «la ricchezza delle informazioni
fornite permette di cogliere l'esistenza di evidenti trade off tra consolidamento fiscale e crescita macroeconomica, mostrando quanto difficile sia il percorso intrapreso...». La Banca d'Italia ci ha detto che le misure che sono state emanate hanno scongiurato scenari ancora più recessivi e la Corte dei conti ci ha parlato di una asimmetria inevitabile tra gli effetti restrittivi prodotti dalle manovre di bilancio e l'impatto virtuoso delle misure di sostegno dell'economia, che genera un equilibrio molto fragile.
Come traduce, dal suo punto di vista, la parola trade off? Ricordo che significa «scambio», o almeno così l'ho sempre tradotta. La Corte dei conti parla di «asimmetria». Come la traduce lei, affinché noi, da un punto di vista politico, possiamo valutare questa via molto stretta tra misure di rigore ineludibile e misure di sostegno allo sviluppo altrettanto ineludibili? Parlo anche di un periodo breve, poiché tutti sostengono che nel periodo medio ci saranno effetti virtuosi. Come lei sa, nel rapporto tra breve e medio periodo, la politica si trova un po' in difficoltà.
PIER PAOLO BARETTA. Richiamo l'attenzione su un punto del suo ragionamento che, peraltro, lei non affronta per la prima volta ma, se non sbaglio, lo aveva accennato anche nei recenti rapporti: lei afferma che quand'anche noi riuscissimo a rispettare tutti i parametri, così come sono previsti, il gap rispetto alla condizione generale dell'Europa resterebbe ancora preoccupante, quindi si prefigura la necessità evidente - ne traggo la conseguenza - di interventi del tutto straordinari, oltre ai fattori previsti (clima di fiducia, coesione nazionale e così via).
Se parliamo del debito pubblico, nella prospettiva che raggiungiamo più o meno il pareggio di bilancio, dico più o meno perché il DEF ci dice 0,5 per cento di indebitamento netto per il 2013, ma viene considerato accettabile dal Governo, l'attenzione si sposta sul gravame del debito e sulla prospettiva dei «ventesimi» per il rientro del debito stesso.
Vi sono due questioni da sottolineare: la prima riguarda i tagli alla spesa pubblica, complessivamente intesa, la seconda le dismissioni del patrimonio pubblico. Rispetto a entrambe le questioni, pongo la seguente domanda: se ci fosse la volontà politica di tutti, quali ostacoli potrebbero esserci? Si possono inoltre attendere da una spending review seria e da una dismissione del patrimonio, secondo la valutazione che lei fa, risultati apprezzabili in ordine alla straordinarietà di tali interventi?
PRESIDENTE. Do la parola al presidente Giovannini per la replica.
ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. Trade off tipicamente si traduce con «alternativa»: ci sono dei costi e dei benefici a seguire l'una, ma anche l'altra delle strade.
Cito un esempio legato al tema dell'evasione, che richiama anche un elemento che avevo già fatto presente in una precedente audizione. Esiste abbastanza chiaramente un rapporto tra dinamica della produttività a livello settoriale e livello di lavoro cosiddetto nero, e in generale di economia sommersa. Come sappiamo, ci sono imprese che riescono a stare sul mercato perché eludono in qualche modo gli obblighi di carattere tributario o contributivo. Se, con una bacchetta magica, questa possibilità venisse eliminata, nel breve termine è probabile che una parte di queste imprese uscirebbe dal mercato, con effetti naturalmente negativi sull'occupazione e così via. Ciò, però, lascerebbe spazio a imprese più dinamiche, più aggressive, quindi nel medio termine porterebbe certamente a un innalzamento del tasso di crescita della produttività e a una prospettiva migliore.
Credo che questo sia il tipo di alternativa che voi avete davanti, cioè intervenire con una serie di provvedimenti, come quelli che sono stati proposti, con un effetto J, cioè con un effetto inizialmente
negativo e poi positivo. Certo, gestire la parte bassa della curva J, con vincoli di bilancio così ristretti, vuol dire che i margini di intervento sono estremamente limitati. Tuttavia - e questo mi porta a rispondere alla domanda dell'onorevole Baretta - vorrei che tutti tornassimo per un attimo con la memoria alla fine degli anni Novanta, quando c'era un avanzo primario dell'ordine del 5 per cento del PIL, che se fosse stato mantenuto per più lungo termine avrebbe determinato un abbattimento del debito molto forte, un risparmio forte di spesa per interessi, e questo avrebbe liberato risorse per investimenti.
Credo che, vent'anni dopo o dieci anni dopo, ci ritroviamo in una situazione analoga, senza alternative, perché le nuove regole scelte per l'Europa impongono ulteriormente questa disciplina di bilancio e la sfortuna - ma in realtà non è sfortuna - deriva dal fatto che questa operazione, invece che farla nei primi anni del Duemila, che sono stati anni di espansione, anzi, ricordo che nei primi anni Duemila il mondo ha avuto il più alto tasso di crescita del PIL della storia dell'umanità, o meglio da quando calcoliamo il PIL, la dobbiamo invece fare in un periodo di stagnazione o addirittura di recessione per alcuni Paesi.
In questo senso, ho l'impressione che prima si fanno le cose, in base alla formula dell'interesse composto, prima se ne hanno i benefici. Come ricordava l'onorevole Duilio, da un punto di vista politico, reggere per vari anni una politica di questo tipo diventa difficile. È per questo che, nelle mie considerazioni, ho più volte usato la parola «persistenza».
Se guardiamo alla storia dell'Italia dopo la firma del Trattato di Maastricht, e lo facciamo dal punto di vista dell'esterno, l'Italia è stata capace di grandissimi risultati e poi di involuzioni. Questa instabilità forma la memoria dei cosiddetti «mercati» e in generale degli investitori. In questo senso, i tagli alla spesa - lo sappiamo, dico una banalità - se sono mirati alla spesa corrente, utilizzando gli spazi che si creano, consentono anche un recupero della spesa per investimenti, e poi possiamo discutere di quali investimenti stiamo parlando. Questo è certamente meglio che un taglio che colpisca, come è successo invece negli ultimi anni, in un momento di recessione, gli investimenti pubblici più della spesa corrente. Come ho detto, tuttavia, questa è assolutamente una banalità.
Sulle dismissioni credo che siamo in un periodo non favorevole. L'attenzione che ho posto alla dinamica del risparmio delle famiglie, con riferimento ad alcuni elementi di carattere psicologico, va a mio parere tenuta presente, perché questo è veramente un momento - come dimostrano i dati che abbiamo diffuso questa mattina - di enorme incertezza e variabilità. Questi sono, però, i momenti in cui il clima può svoltare in un senso o nell'altro. Credo, quindi, che una politica di dismissioni possa trovare investitori pronti a pagare prezzi adeguati - non semplicemente svendendo un patrimonio pubblico - soltanto in una condizione di prezzi se non altro in prospettiva crescenti. Da questo punto di vista, vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che, come ben sappiamo, la vendita del patrimonio pubblico per finanziare spesa corrente vuol dire letteralmente suicidarsi: come in ogni famiglia, se vendiamo i gioielli di famiglia per andare in vacanza
non andiamo molto lontano.
D'altra parte, in questo momento, la domanda per spesa corrente per sostegno alle famiglie è comprensibilmente molto forte. Insomma, la strada non solo è estremamente stretta, ma è davvero molto difficile. Credo che, da questo punto di vista, la posizione del Governo e del Parlamento, della maggioranza che sostiene questo Governo, di tentare di ricostituire una fiducia nel Paese per attirare capitali dall'esterno sia obbligatoria, perché dall'interno non credo riusciremo a mobilitare sufficienti risorse.
Naturalmente, come dimostra l'andamento della Borsa di oggi, qualsiasi cosa
succede in giro nell'euro, e non solo in quello, alla fine noi ne risentiamo comunque più di altri. Credo che questo sia un prezzo che paghiamo per errori probabilmente commessi negli ultimi vent'anni.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Giovannini per i dati e le riflessioni che ci ha riferito.
Si concludono qui le audizioni sul DEF. Domani mattina la Commissione ricomincerà l'esame di questo provvedimento e l'onorevole Ciccanti ci relazionerà sui suoi contenuti, per poi concludere l'esame nel pomeriggio.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 21.