Sulla pubblicità dei lavori:
Conte Gianfranco, Presidente ... 2
Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti, sulle linee programmatiche del suo dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Conte Gianfranco, Presidente ... 2 4 5 9 12 13
Causi Marco (PD) ... 8 10
D'Antoni Sergio Antonio (PD) ... 16 19
Fluvi Alberto (PD) ... 12 13 15
Fogliardi Giampaolo (PD) ... 4
Galletti Gian Luca (UdC) ... 16
Jannone Giorgio (PdL) ... 15 16
Leo Maurizio (PdL) ... 6
Marchignoli Massimo (PD) ... 19
Messina Ignazio (IdV) ... 17
Tremonti Giulio, Ministro dell'economia e delle finanze ... 2 5 8 9 10 13 15
16 17 18 19
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14,10.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Voglio preliminarmente ricordare che nel pomeriggio sono previsti lavori dell'aula, dunque invito i colleghi, dopo la relazione del Ministro, a porre domande secche, evitando di occupare troppo tempo che potremmo invece utilizzare più utilmente per affrontare le questioni oggetto dell'audizione.
Do la parola al Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti.
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Replicando alla formula semantica «più utilmente», credo che sarà più utile rispondere alle vostre domande che non introdurre l'argomento con una lunga esposizione programmatica.
Il nostro termine di riferimento è costituito dal programma elettorale. Nel programma elettorale, il termine di riferimento essenziale è quanto identificato al punto n. 7, che è l'epitome del programma nel suo insieme, per quanto relativo alla materia che stiamo trattando. Il programma, che in questa sede il Ministero dell'economia e delle finanze conferma, si estende sull'intero arco della legislatura e sarà integralmente realizzato entro il suo termine.
Cinque anni sono un periodo di tempo sufficientemente lungo per graduare l'avanzamento progressivo degli interventi che ci impegniamo a realizzare. In ogni caso, ci è ben chiaro che la realizzazione del programma è sottoposta a tre vincoli essenziali.
Il primo vincolo è quello costituito dalla crisi economica in atto nel mondo e in Italia; una crisi che può aggravarsi. Guardando le cose ora per allora - il programma fu scritto nella primavera di questo anno -, temo che, purtroppo, i fatti ci abbiano dato ragione e in qualche modo ci accreditino per una qualche capacità di visione politica. Come dicevo, è una crisi che può aggravarsi e che in questi due ultimi anni è stata...(ometto il resto perché non voglio litigare).
Il secondo vincolo è quello imposto dagli impegni del Trattato europeo, impegni che l'Italia ha assunto e che il nostro Governo intende rispettare.
Infine, il terzo vincolo è costituito dall'attuale instabile equilibrio dei conti pubblici.
Cerchiamo di analizzare. Il primo vincolo è la crisi economica. Tale dato, che ci era presente ai tempi della campagna elettorale, lo abbiamo inserito nel nostro messaggio politico. Il nostro programma
conteneva la parola «crisi», ed è la dominante delle riflessioni che tutti nel mondo, in Europa e in Italia, stanno facendo in questo momento sul governo dell'economia e, all'interno di questo, sul dominio dei conti pubblici.
Vi sono, poi, gli altri due vincoli che ho citato, quello imposto dagli impegni del Trattato europeo e quello costituito dall'attuale instabile equilibrio dei conti pubblici. A mio avviso, questa può e deve essere la sede per una discussione costruttiva pur, ovviamente, nella dialettica. Tuttavia, se non è il caso di andare a verificare le cause di quello che è successo nel primo semestre del 2008, con purtroppo assoluta evidenza, è sufficiente vederne gli effetti.
Quello che è successo è già abbastanza chiaro, ma trasponiamo qui quanto fu rilevato dalla Commissione europea a giugno. L'andamento dell'economia come prodotto interno lordo scendeva da due verso zero e l'andamento dei conti pubblici andava in controtendenza verso il 3 per cento. Tutti i caveat sull'andamento, non a riduzione, ma in aumento del deficit, come appare nei numeri che si manifestavano via via nel corso del 2008, erano e sono evidenti nei rilievi fatti dalla Commissione europea.
In questi termini, gli interventi attuativi del presente programma saranno progressivamente e responsabilmente realizzati in funzione dell'andamento dell'economia e nel rispetto dei criteri di rigore nella gestione del bilancio pubblico. Omissis: c'è un altro dato che è contenuto nel programma e che deve essere fatto oggetto di considerazioni in ordine alla politica fiscale del Governo, ed è quello relativo al federalismo fiscale. Rispetto al programma, su questo punto fondamentale nella strategia fiscale del Governo abbiamo una relativa variante. Nel nostro programma si assumeva come base per realizzare il federalismo fiscale la bozza elaborata e votata unanimemente dalla regione Lombardia. Nell'evoluzione della nostra riflessione politica la scelta - formalizzata nel DPEF che, nel collegato, rinvia al federalismo fiscale - è nel senso di fare rinvio non al testo della regione Lombardia, ma al testo delle regioni, a sua volta integrato in
considerazione delle riflessioni svolte nel mondo delle autonomie dai comuni. L'altro termine di riferimento fondamentale, oltre al programma, è dunque il federalismo fiscale.
Lo ripeto, il federalismo fiscale è definito, nel collegato alla finanziaria di prossima presentazione al Parlamento, sulla base dello schema non della regione Lombardia, ma delle regioni nel loro insieme, a sua volta emendato in funzione delle considerazioni provenienti dai comuni (la logica municipale).
Questi sono i termini fondamentali di riferimento, ancora attuali: il programma, che è sottoposto ai vincoli che ho citato, e il federalismo fiscale che evolve nella traiettoria politica, partendo da un testo specifico e arrivando a un testo strutturato in termini più generali e meno specifici.
Sul grado di avanzamento del programma, dopo centoventi giorni possiamo notare, per quanto riguarda il campo fiscale, quindi l'attuazione delle politiche fiscali, che è stata operata la scelta di detassare dall'ICI la prima casa, di detassare gli straordinari, di formalizzare nel suo insieme un piano di finanza pubblica che nei numeri è coerente con gli impegni presi dalla Repubblica italiana in Europa. Nei prossimi giorni presenteremo al Parlamento la legge finanziaria che contiene il decreto-legge approvato prima dell'estate in Parlamento.
Prosegue un'attività di amministrazione e sono positivi i dati, pubblicati dalla stampa, relativi al contrasto all'evasione fiscale. Specificamente, su questo campo, nella nostra strategia, come è stata fondamentale la riforma della riscossione, così sarà fondamentale - anticipando elementi del federalismo fiscale, ma applicando un criterio che ci è sempre stato presente, a partire dalla finanziaria 2006 - il coinvolgimento dei comuni. Siamo convinti del fatto che l'unica strategia di contrasto efficace all'evasione fiscale sia il coinvolgimento sul territorio dei comuni. Sono in atto convenzioni tra importanti comuni e l'Agenzia delle entrate; proprio
in questa logica in trattativa o firmate ci sono convenzioni con molti comuni, ad esempio Genova, Torino e via elencando. Tutto questo è molto positivo.
Varianti rispetto a quanto contenuto nel decreto-legge n. 112 del 2008, anche in ordine alla politica fiscale, ad oggi non sono previste. Intendiamo confermare nella finanziaria il testo di quel decreto.
L'accelerazione dei tempi impedisce in tutto il mondo, in tutta Europa e in Italia di formulare valutazioni diverse rispetto a quelle inserite nella finanziaria.
Concludo rispondendo a una serie di rilievi mossi. Ci è stato detto che non abbiamo ancora ridotto le tasse. Ebbene, in centoventi giorni abbiamo detassato due cespiti fondamentali: la casa e il lavoro. Faremo la riduzione fiscale in funzione dell'andamento dell'economia, in funzione del federalismo fiscale e del ritorno strutturale del dividendo che questo apporterà in termini di miglioramento dei conti pubblici. Faremo la riduzione fiscale come è indicato nel programma, nell'arco di una legislatura che dura cinque anni.
Non saprei cosa aggiungere, ma evidentemente nella dialettica tra domande e risposte si assumerà un andamento che penso alla fine possa corrispondere alla richiesta rivolta da questa Commissione.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Tremonti.
Come di consueto, questa Commissione ha intenzione, nel prossimo futuro, subito dopo l'audizione del Ministro, di iniziare un giro di consultazioni che riguarderanno le agenzie complessivamente, i sindacati e via dicendo.
Nel pregarvi di segnalarmi eventuali richieste di intervento, vi invito a mantenervi su temi di esclusivo interesse di questa audizione, che riguardano il fisco nel suo complesso, e a non dilungarvi troppo.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
GIAMPAOLO FOGLIARDI. Sarò brevissimo e cercherò di attenermi a quanto esposto poco fa dal Ministro, che naturalmente ringrazio.
Partirò dalla detassazione dell'ICI. Senza voler polemizzare, come giustamente il Ministro ha premesso, comprendo il fatto che la casa sia un bene primario, come più volte è stato detto anche dal Presidente del Consiglio. Tuttavia, da economisti e da addetti ai lavori - siamo colleghi nella vita privata, faccio il commercialista anch'io - non ritiene che, stante la situazione economica generale in cui versano le casse dello Stato, questo fosse un provvedimento che si poteva rinviare?
Per quanto riguarda l'evasione fiscale, lei parla di coinvolgimento dei comuni. Riconoscete indubbiamente il fatto che l'abbassamento delle imposte può venire solamente a fronte del fatto che tutti paghino in maniera equa. Io non so quanti comuni potranno arrivare a dare quelle risposte che ci si attende, però le posso assicurare che alcuni di quei provvedimenti della passata legislatura, che sono stati tolti dalla recente vostra manovra estiva - parlo, ad esempio, del pagamento in contanti che non doveva superare un certo tetto - avevano già spinto molte delle categorie professionali a munirsi quasi tutte del famoso pagamento con il bancomat, cosa che poi è stata rinviata.
Questo è solo un esempio, ma potrei citare tante altre misure: i controlli che potevano esserci, l'elenco clienti e fornitori e tutta una serie di misure che, in realtà, mi pare non vadano a favore di ciò che lei sostiene e di ciò che sostenete come Governo e che dovremmo sostenere tutti, ossia della lotta all'evasione fiscale. Semmai, queste misure vanno in senso contrario, in termini pratici, in quanto i comuni non potranno che fornire all'amministrazione finanziaria elementi di carattere induttivo. Le manovre che erano state improntate, invece, in passato, mi pare che si muovessero nel campo della certezza e, conseguentemente, avrebbero potuto avere più facilmente un'efficacia concreta.
PRESIDENTE. Do subito la parola al Ministro per la risposta, e così faremo anche per gli interventi successivi, per evitare sovrapposizioni e guadagnare tempo.
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. La detassazione dell'ICI è una scelta che noi diciamo compiuta dagli elettori, che hanno dimostrato una loro considerazione positiva verso questa manovra. Essa è stata, peraltro, integralmente coperta, e abbiamo sentito le reazioni contro le scelte di copertura fatte riducendo voci di spesa, a partire dal cosiddetto «milleproroghe». È stata una scelta politica, ma non è stata compiuta allo scoperto, bensì con la copertura, tanto che contro le scelte di copertura si è poi manifestata una reazione politica. Tutto è legittimo, tanto la nostra scelta, quanto le reazioni, ma tecnicamente la manovra è stata coperta.
Per inciso, la ringrazio per l'apprezzamento, ma io faccio - anzi, facevo - l'avvocato.
Quello dell'evasione fiscale è uno dei grandi temi su cui credo si debba cominciare a fare una riflessione comune, fondata su elementi non solo di polemica, ma anche di analisi. Io resto profondamente convinto del fatto che, in un Paese che conta circa 8 mila comuni e circa 4 milioni di partite IVA, l'attività di contrasto e di controllo non possa essere operata solo dalle due amministrazioni centrali attive sul campo: l'Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza. Credo che debba affiancarsi, per dare stabilità ed efficacia al sistema, un terzo pilastro, che è quello dei comuni. È sempre stato così nella storia della finanza italiana e noi ne confermiamo il ruolo che può essere fondamentale anche in termini di prevenzione e di messaggio.
Io non credo che le politiche basate sull'annuncio o sul messaggio siano rilevanti o sufficienti. Se fosse vero che all'attesa di una vittoria del partito degli evasori corrisponde una caduta del gettito, non sarebbe vero quanto leggo su la Repubblica: «Boom del gettito negli ultimi otto mesi». Certo, in questi otto mesi ci siamo dentro anche noi, ma siccome eravamo accreditati per vincere, il teorema citato sopra avrebbe dovuto portare a un calo del gettito («siccome vincono, allora smettiamo di pagare»). Non è vero, non è avvenuto tutto questo.
Io credo che più che i meccanismi psicologici di annuncio, contino i meccanismi amministrativi. Su tali meccanismi credo sia stata fondamentale la riforma della riscossione. Per decenni e decenni la riscossione delle tasse in Italia è stata condotta dai banchieri, in evidente conflitto di interessi. Infatti, una banca che ha una cartella esattoriale e deve riscuotere da un suo cliente o da uno che potrebbe diventarlo, magari preferisce non farlo.
Nel 2006 la finanziaria, che contiene una norma proposta da noi, supera un sistema storico assolutamente distorto e statalizza la riscossione. Abbiamo riconosciuto, e qui lo ripeto, la capacità del Governo Prodi di andare avanti su questo settore, organizzando quella società che, tuttavia, era basata su una nostra legge.
Condividiamo i risultati di quella scelta, che è stata molto importante. Se il creditore chiede 100, ma lui stesso si accontenta di 3 e poi dà 1,5 ai cosiddetti esattori, forse c'è qualcosa che non va; in questo modo si trasmette un messaggio di non affidabilità, di non credibilità. Se non ci crede il creditore, figuriamoci se ci crede il debitore!
La riforma della riscossione è stata strategica e credo che sia stata una svolta. Lo ripeto, noi siamo convinti del fatto che la partecipazione dei comuni sia molto importante; tra l'altro, i comuni hanno in archivio una quantità di dati che consente di andare oltre le logiche induttive. Così è stato nell'esperienza della vecchia riforma, quella del 1971-73. Ci fu un principio di partecipazione, poi tutto si è interrotto sulla presunzione che la lotta all'evasione si dovesse fare con la contabilità. La contabilità è affidabile se è necessaria per l'imprenditore, ma non lo è se imposta dal fisco a un imprenditore che non ne ha bisogno e che la fa solo a fini fiscali.
Noi confermiamo l'impegno sulla lotta all'evasione condotta attraverso i comuni. Il fatto che i grandi comuni siano interessati a questa procedura è, per noi, un segno positivo e non negativo. Una delle ipotesi formulate - lo dico considerato il clima abbastanza informale - andava nel senso di non eliminare subito le complicazioni introdotte l'anno scorso, ma di attendere che gli italiani aumentassero il loro livello di reazione negativa e poi intervenire dando loro l'idea di averli «salvati».
Quando abbiamo eliminato la normativa sulla casa che prevedeva l'autorizzazione necessaria del comune, con le sanzioni conseguenti, per cambiare il boiler di casa, lo abbiamo fatto convinti che fosse giusto in assoluto. La speculazione politica ci avrebbe invece portato a fare prima arrabbiare gli italiani per sei mesi, per poi incolpare gli altri.
Lo stesso discorso riguarda il contante. La riforma non è stata fatta per favorire pratiche illecite, ma perché a noi sembrava una norma assolutamente illogica, in quanto la soglia prevista era troppo bassa. La soglia attuale, invece, è nella media europea. Vi prego di credermi, quella che riferisco è una convinzione politica: non è imponendo l'uso di strumenti sofisticati che si ottiene automaticamente un elevato livello di contrasto all'evasione. In tante parti del nostro Paese, in considerazione della geografia e della demografia, non si sa ancora neppure usare l'assegno. Io non credo che noi siamo un popolo fatto di delinquenti, salvo prova contraria. Certo, sappiamo che i sistemi anglosassoni evoluti sono arrivati ai pagamenti elettronici, fatti attraverso il computer di casa. Ma questa realtà non la si raggiunge imponendola per legge; la legge deve e può seguire la realtà, ma non la può
determinare.
Quella scelta l'abbiamo fatta convinti del fatto che il disagio è per i cittadini e non per gli evasori. Gli anziani e tutte le persone che non hanno dimestichezza con questi strumenti avrebbero avuto enormi difficoltà ad abolire il contante in modo così radicale e improvviso.
Siamo convinti che, nel tempo, e determinandosi le condizioni sociali e ambientali, quella possa essere la scelta giusta; tuttavia non la si determina per legge. In America, al non uso del contante non ci sono arrivati per legge, ma attraverso una progressione di modifica delle abitudini e della cultura materiale. A noi sembrava che adottare una soglia così bassa fosse più causa di negatività, di disagi e, alla fine, di non credibilità dello Stato. Il vero problema, in definitiva, è che se lo Stato diventa odioso, allora non è più credibile.
Credetemi: la nostra non è una scelta per favorire l'evasione. Per noi lo Stato è credibile se chiede le cose giuste; se chiede, invece, oltre quello che è possibile, allora passa dalla parte del torto. Molti degli adempimenti che abbiamo eliminato non producevano, in realtà, effetto di supporto della credibilità, ma di odiosità dello Stato. Ad esempio sulla scrittura; una scrittura è necessaria e la si può imporre, ma non si può imporre di fare tre volte la stessa.
L'elenco clienti e fornitori fu eliminato nel 1994 - l'onorevole Conte ne ha memoria - e non fu introdotto per tutti gli anni del primo Governo Prodi. Se fosse davvero quella la causa di tutto, la prima cosa che avrebbe dovuto fare quel Governo sarebbe stata reintrodurlo, invece è stato reintrodotto solo nel 2006.
Se dal 1994 al 2006 questo elenco non viene considerato da nessuno così strategico e decisivo, magari una ragione ci sarà stata. Io non credo che abbia prodotto maggiori evidenze di dati; al contrario, costringere qualcuno a scrivere due volte non porta maggiori informazioni, ma rende odioso lo Stato.
MAURIZIO LEO. Penso che al Governo e a lei in particolare, signor Ministro, sia dovuto un ringraziamento per la politica fiscale che si sta avviando attraverso i tre provvedimenti fin qui adottati.
Si è mantenuto l'impegno elettorale di non mettere le mani nelle tasche degli italiani, ma di colpire i cosiddetti profitti di congiuntura, in particolare alcuni comparti
che da questo extraprofitto hanno tratto dei vantaggi.
Inoltre, come ricordava, si è avviata una politica di semplificazione del sistema tributario. Francamente nessuno avvertiva la necessità di reintrodurre l'elenco clienti e fornitori, anche perché l'amministrazione finanziaria non lo utilizzava assolutamente. Sappiamo che gli uffici finanziari utilizzano altri strumenti: proprio qualche giorno fa, il direttore dell'Agenzia delle entrate ricordava che queste vessazioni dei contribuenti con adempimenti inutili non sono assolutamente produttive, essendo preferibile seguire la strada delle indagini finanziarie, accoppiate alle misure del redditometro contenute nell'ultimo provvedimento.
Possiamo dunque, ad oggi, trarre un bilancio positivo degli interventi del Governo. Quello che mi preoccupa è ciò che rimane da fare. A questo riguardo, penso che, in buona sostanza, bisognerà intervenire in alcuni settori, innanzitutto sostenendo le famiglie con redditi più bassi e rilanciando l'economia anche attraverso gli investimenti.
Signor Ministro, per quanto riguarda il versante familiare, abbiamo assistito, anche da parte di colleghi dell'opposizione, alla richiesta di un incremento delle detrazioni per carichi di famiglia. Penso che si potrebbe seguire una strada che lei già tracciò nella XIV legislatura: quella di ritornare alle deduzioni per carichi familiari in luogo delle detrazioni. Questo avrebbe un effetto positivo anche sul versante delle addizionali. Oggi molti contribuenti pagano, per effetto della sostituzione delle deduzioni con le detrazioni, più addizionali locali, comunali e regionali. Se si ritornasse alle deduzioni, che lei aveva ideato nella XIV legislatura, sicuramente ci sarebbe un effetto benefico, in attesa di realizzare il quoziente familiare che, come lei sa bene, richiede delle risorse rilevanti.
Quanto al rilancio degli investimenti, nella finanziaria del 2008 sono stati creati seri problemi alle imprese, soprattutto eliminando gli ammortamenti anticipati e impedendo la deduzione degli interessi passivi. In un momento di bassa crescita, eliminare due elementi fondamentali quali il finanziamento e la possibilità di rinnovare gli impianti significa realizzare una battuta d'arresto.
A questo riguardo, non so se ritenga che, anche in una prospettiva di medio tempo, si possa ipotizzare una razionalizzazione del sistema di tassazione delle imprese. Oggi, soprattutto con l'intervento previsto con l'ultima finanziaria, assistiamo a una situazione a dir poco confusa.
Per quanto riguarda il sommerso e il nero, considero positiva la misura della detassazione degli straordinari; questo modello potrebbe forse essere applicato anche ad altre tipologie di soggetti, ad esempio lavoratori autonomi e imprese. L'incremento di reddito rispetto all'anno precedente si può pensare di detassarlo, senza pregiudizi per le casse erariali, perché è il surplus rispetto a quello che si aveva nell'anno precedente su cui si potrebbe applicare una tassazione ridotta.
Credo che queste misure possano rilanciare l'economia, comunque vorrei una sua valutazione.
Prima di concludere, vorrei svolgere due brevi considerazioni. La prima riguarda la razionalizzazione del sistema fiscale. Incombono gli sviluppi di quella che potrà essere la vicenda giurisdizionale dell'IRAP. Sappiamo che la Corte costituzionale ha allo studio - mi sembra che si sia già svolta l'udienza e l'esito si dovrebbe conoscere di qui a poco - l'ipotesi della deducibilità dell'IRAP dalla imposizione sui redditi. Questo può creare dei seri problemi per quanto attiene al gettito dell'IRAP. Un altro problema gravissimo per le imprese è quello dell'applicazione, ai fini dell'IRAP, del bilancio civilistico. Mi preoccupo delle imprese quotate, delle banche e via dicendo, che oggi applicano gli IAS (International Accounting Standards). In un momento di bassa crescita, adottare meccanismi di fair value e simili, per cui gli utili salgono e scendono a seconda dell'andamento dell'economia, può creare ripercussioni
sul gettito. Chiedo - non so se il Ministro concordi -
se sia possibile rivedere il sistema di tassazione IRAP e ritornare a schemi più fiscali e non civilistici, che possono far oscillare i gettiti.
Infine, visto che si è avviato il percorso virtuoso teso a riportare ordine nel sistema fiscale, cosa pensa dell'idea di riscrivere in modo più comprensibile le norme - chiamiamolo «codice Tremonti» - in materia di imposte dirette, redditi, IVA e via dicendo? Lo dico affinché gli addetti ai lavori siano in grado di reperire in maniera più semplice i materiali che devono consultare per seguire in modo puntuale la clientela.
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. La ringrazio. Tutto quello che lei ha detto è oggetto delle nostre riflessioni. In questa sede, in questo momento, è difficile essere specifici e analitici, sotto il vincolo e il peso di andamenti che non dipendono dall'Italia. Tutto quello che ha detto, però, è assolutamente condivisibile in termini di principio e, in gran parte, è ortodossamente parte del nostro programma.
Faccio solo una specificazione che riguarda il codice. Questo potrebbe essere uno dei temi di politica legislativa fondamentale. Codice non è un testo unico - nei monasteri codex era la copertina di cuoio nella quale si raccoglievano i testi sparsi - ma vuol dire un sistema di princìpi. Testo unico significa mettere insieme le norme aggiornate; codice è estrapolare dal sistema dei princìpi.
In effetti, questo è un punto di civiltà e di credibilità nel rapporto con il cittadino. È assurdo che per un'imposta noi abbiamo un sistema di interessi e di sanzioni diverso da quello di un'altra imposta, dal momento che il cittadino è unico e lo Stato è unico.
Occorrono, però, tempi lenti ed una visione. L'ultimo che ci è riuscito davvero, compiendo una svolta, è stato Napoleone.
MARCO CAUSI. Signor presidente, anch'io ringrazio il Ministro per la presenza e per la sua esposizione. Dico subito che gli argomenti che il Ministro ha usato in risposta alle domande dell'onorevole Fogliardi in merito alla lotta all'evasione, non mi convincono. Credo che sarà necessaria - e occorre impegnarsi a tal fine - un'analisi di impatto di tutte le misure che sono state introdotte negli anni passati, alcune eliminate e altre no nella manovra economica di luglio. A mio parere, alcuni giudizi a priori che il Ministro oggi ha fornito debbono essere assoggettati a tale analisi di impatto. Lo dice chi ha espresso - il Ministro forse lo ricorderà - il parere favorevole dell'ANCI alla sua riforma della riscossione.
Del resto, personalmente e politicamente ho sempre sostenuto la riforma della riscossione, che il Ministro poco fa citava.
Lo dico anche perché ho presentato in quest'aula un emendamento, recepito dalla maggioranza e dal Governo - colgo qui l'occasione per ringraziare di averlo fatto -, che ha rafforzato, nell'ambito del decreto-legge n. 112 del 2008, le possibilità di interconnessione dei dati fra comuni e agenzie centrali dello Stato. Il fine di tale operazione era quello di accrescere la solidarietà interistituzionale e fare in modo che, anche nel campo della lotta all'evasione, l'azione del comune possa essere portata avanti in interconnessione con lo Stato.
Tuttavia, poiché non mi convincono gli argomenti, chiedo al Ministro di fornirmi due ulteriori risposte alle seguenti domande. Quali indirizzi ha il Governo in materia di studi di settore - domando questo, soprattutto con riferimento alle conclusioni a cui era arrivata la commissione, presieduta dal professore Guido Maria Rey, che ha lavorato negli ultimi due anni per verificare la possibilità di migliorare tale strumento - e quali in materia di regime forfettario?
Una delle novità più recenti della passata finanziaria, infatti, era l'introduzione di un regime ipersemplificato: il cosiddetto «forfettone».
Secondo la nostra opinione, sarebbe opportuno puntare molto sulla possibilità
di estendere quel tipo di regime ipersemplificato per le piccole e piccolissime imprese e per le partite IVA.
La seconda questione che vorrei porre è relativa al peso dell'imposta personale sui redditi nel nostro sistema fiscale. So che in questa fase si può affrontare tale argomento, anche partendo da un'analisi, quindi da motivazioni, di tipo congiunturale.
Tuttavia, vorrei chiedere al Ministro se invece non ritenga che non si sia di fronte a una questione strutturale e non tanto - o se vogliamo, non solo - congiunturale.
Nelle medie decennali relative al periodo 1995-2005, il peso dell'IRPEF sul PIL italiano è del 10,4 per cento, contro una media europea, se ricordo bene, dell'8,6 per cento. Quindi, come peso dell'imposta personale sui redditi, registriamo due punti in più rispetto alla media europea. Vi sono poi Paesi, come la Francia, in cui il peso dell'imposta personale è molto più basso.
Domando dunque se, al di là degli argomenti congiunturali, non siamo di fronte a un tema strutturale.
In altre parole, l'evoluzione del nostro sistema fiscale, per tantissimi motivi - non è il caso di ricordarli in questa sede -, ha reso ipertrofico ed eccessivo il contributo all'intero sistema fiscale da parte dell'imposta personale sui redditi.
D'altro canto, ovviamente, in confronto con gli altri Paesi europei, in Italia pesano meno altri tipi di imposizione (le indirette, le reali e via dicendo).
Quando abbiamo discusso in aula le diverse mozioni, relative alla questione di come tenere conto di una certa «meritevolezza» delle azioni familiari tramite incentivi fiscali, abbiamo verificato che in questo Parlamento esiste un'ampia convergenza per cercare di ridurre progressivamente il peso dell'IRPEF, con specifico riferimento alla meritorietà dei beni e dei comportamenti familiari, e quindi alle condizioni soggettive delle famiglie, a partire dai figli, dai carichi di famiglia e via dicendo.
Mi domando, e le chiedo signor Ministro, se non ritenga che da questo punto di vista, anche al di là di argomenti congiunturali, non sia il caso di affrontare un tema strutturale e se non ritenga che sia possibile farlo nell'ambito di questa legislatura.
Infine, se mi permette, vorrei affrontare un ultimo punto sul federalismo fiscale.
Come abbiamo già detto in Commissione, siamo pronti per questo lavoro. Tuttavia, anche sotto questo profilo voglio rilevare un tema di fondo. Deve essere chiaro - e sono sicuro che a lei lo sia, signor Ministro - che il lavoro di costruzione dei numeri che permetteranno a questo Parlamento di realizzare un'operazione che funzioni in un tema delicatissimo - con il federalismo fiscale è molto facile prevedere cose che non funzionano - sarà molto complicato.
In questa prospettiva, peraltro, andremo ad incidere sulla funzionalità di importantissime politiche pubbliche.
Non voglio dire che saranno necessari decenni per farlo, ma occorrono molte risorse e molto impegno. In particolare, credo che non debba trattarsi solo di numeri finanziari.
Quando dovremo costruire i fabbisogni standard, tutti dovremo ricordarci che questi si ottengono moltiplicando un prezzo per una quantità; quindi un costo unitario, che deve essere il più efficiente possibile, per il numero di prestazioni erogate, ossia per il livello e l'obiettivo di servizio.
Pertanto, avremo bisogno di costruire una banca dati che intrecci i dati finanziari con i livelli quantitativi e qualitativi dei servizi.
Quali sono, dunque, i ragionamenti che lei inizia a svolgere insieme al Governo, per costruire questa condivisione di dati, non soltanto finanziari, ma anche reali, e per metterne a parte anche il Parlamento?
PRESIDENTE. Ricordo ai colleghi che, purtroppo, ci rimane solo mezz'ora di tempo a disposizione.
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Riguardo agli studi
di settore, credo di essere stato tra coloro che li ha proposti in epoca non sospetta. L'altro giorno mi è capitata tra le mani la fotografia di una riunione a la Repubblica in cui si affrontavano tali argomenti.
All'epoca, l'ipotesi degli studi di settore era considerata corporativa e negativa, essendo dominante l'idea della contabilità.
Gli studi di settore sono la scoperta dell'acqua calda. C'erano prima della grande riforma del 1971-73 e prima dell'idea che con la contabilità si batteva l'evasione fiscale. È stato il contrario.
Sono stati introdotti per legge dal Governo Ciampi, dopo dieci anni di lunga discussione e contrasto (credo che l'onorevole D'Antoni lo ricordi bene).
Peraltro, la posizione del sindacato era più avanzata di quella della cultura finanziaria dominante in quel periodo.
Alla fine, furono approvati dal Governo Ciampi - credo che sia stato il Ministro Gallo il primo a firmare un provvedimento di quel tipo - e sono stati portati avanti con varianti, credo quasi tutte condivise dalle forze politiche.
La proposta che presentiamo noi - ma mi pare che sia anche quella che avanzate voi, o perlomeno mi è sembrato che fosse il contenuto di una delle schede presentate dall'onorevole Veltroni - è quella di cominciare a basare tali studi sul territorio.
Vale a dire che per capire quanto guadagna un maestro di sci di Brunico, sarà meglio fare riferimento a Brunico che non a Roma. Allo stesso modo, sapranno meglio a Mantova che non qui da noi quanto guadagna un panettiere mantovano.
L'idea di base è quella di modificarli, con esperimenti che partano dal basso verso l'alto; dal territorio e non solo dal centro.
In ogni modo, noi crediamo in quello strumento e lo confermiamo, tanto che pensiamo di cominciare a sperimentare l'applicazione dal territorio, attraverso una discussione che va svolta con le categorie, sotto l'osservazione dell'opinione pubblica che è fondamentale in questi ambiti.
Il regime forfettario è stato introdotto dal Governo Prodi nell'ultimo anno. Se fossimo contrari, l'avremmo eliminato. Non l'abbiamo eliminato e, quindi, siamo a favore. È stata una scelta giusta.
Pensiamo di ragionare sulla materia, ma gli elementi presenti per ora ci sembrano giusti.
La discussione più generale strutturale, e non congiunturale, sul passaggio dall'IRPEF all'IVA è una delle più grandi nello scenario attuale.
In occasione dell'ultimo Ecofin di Nizza, la discussione è stata posta esattamente in questi termini, a proposito di alcune aliquote IVA. Le posizioni erano equilibrate nel valutare il pro e il contro della scelta.
Questo non è un seminario, tuttavia, alla fine ci si affeziona alle proprie idee. L'idea del passaggio dalle persone alle cose, anche questa lievemente eretica per i tempi, è contenuta in un libro scritto con Vitaletti nel 1991. Nel retro della copertina si riportava che nell'età del consumismo non ha più senso applicare le imposte dell'idealismo. È cambiato il mondo, deve cambiare anche il sistema fiscale. Ha poco senso continuare a replicare meccanismi che sono il prodotto di un mondo che è mutato. È meglio passare dalle persone alle cose.
Politicamente, questa formula è contenuta anche nel Libro bianco presentato nell'ottobre del 1994 dal primo Governo Berlusconi.
Questa è una delle discussioni più affascinanti. Anch'essa, all'inizio presentata e contrastata, è diventata parte del dibattito. Sicuramente, si tratta di un'idea diversa rispetto alla tradizione. È difficile dire se sia di destra o di sinistra. Ricordo che nel 1994 andai a presentarla alla Commissione europea - era presente Delors - e ho ricevuto più applausi da una parte che dall'altra.
In seguito, le cose furono semplificate alla caduta di quel Governo.
MARCO CAUSI. E sarebbero d'accordo sull'abolizione dell'ICI sulla casa?
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Mi sfugge il nesso,
perché la casa è una cosa, ma è strettamente collegata alla dimensione esistenziale e personale.
Vi dico la mia opinione sul tema del federalismo fiscale. Quello che espongo è realmente il mio parere, dal momento che non è ancora stato deciso dal Governo e dal Parlamento quale sarà la sede, dove presentare quel collegato.
In ogni caso, quale che sia il ramo del Parlamento - e non è una decisione che dipende da me - nel quale viene iniziata la discussione, a mio parere è fondamentale fare una data room. Non voglio che sembri un ingresso nelle prerogative e nelle competenze del Parlamento, ma questo è il mio punto di vista.
È fondamentale mettere insieme una base di dati condivisi. I numeri non sono di destra o di sinistra, del centro o della periferia. Occorre costruire, o ricostruire, quello che ancora ci manca. Abbiamo visioni parziali di aree territoriali e di aree della finanza pubblica. Non è ancora stato fatto un esercizio di aggregazione e di consolidamento dei dati.
Successivamente, verranno le discussioni e le decisioni politiche. Queste sì, potranno diversificare, ma su una base di dati comuni che - concordo con lei - in assoluto, ci mancano ancora.
Abbiamo dati su alcuni territori e su alcune voci della finanza pubblica, ma non abbiamo dati aggregati e complessivi relativi a tutto il territorio nazionale, a tutto il prodotto interno lordo e a tutte le grandezze di entrata e di uscita del bilancio pubblico.
Voglio dire - e forse è chiaro per come ci siamo espressi - che quella del federalismo fiscale non è una iniziativa del Governo. Per quanto dipende da noi, questo esercizio non si farà a Palazzo Chigi o in via XX settembre, ma al Parlamento. Nel Parlamento ci sarà il contributo della maggioranza e, si spera, anche dell'opposizione, delle regioni e dei comuni.
Non sarà un esercizio governativo. Non deve e non può essere, e comunque non lo intendiamo come esercizio governativo.
Per quanto riguarda il Governo, l'organizzazione centrale e non parlamentare, credo che sarà fondamentale il contributo dell'ISTAT e di altri centri pubblici. Faccio ad esempio il nome dell'ISAE. Sarà fondamentale la Ragioneria generale dello Stato, così come l'Agenzia delle entrate, con la Sogei. Sarà fondamentale la Corte dei conti - che ha una base di dati e un'esperienza di gestione dei dati che non possiamo considerare trascurabile - e il servizio bilancio del Parlamento, quale che sia il ramo nel quale si radicherà questa attività.
Inoltre, sarà importante il contributo che verrà dal lato dei governi locali, dall'associazione tra le regioni, dalle singole regioni, dall'ANCI e da altre organizzazioni che vengono dal mondo accademico o culturale. Noi intendiamo fare questo esercizio in sede parlamentare, mettendo insieme questo tipo di risorse. Non dipende da me; credo che dipenderà dalle presidenze delle Commissioni presso cui si radicherà tale tipo di ricerca.
Se mi chiede quanto tempo è necessario, non le so rispondere. Se mi chiede quanto tempo politicamente utile sia necessario per poi assumere, entro il termine che ci siamo assegnati, le scelte politiche di delega - che a sua volta è una delega e non un testo finale, come è stato per tutte le grandi riforme, dalla riforma fiscale del 1971-73 alla Bassanini - le rispondo che a mio parere l'arco temporale di un mese e mezzo è il periodo ottimale. Non so se quello indicato sia un termine tecnicamente possibile, ma questo dipende anche da noi e da quale livello di analisi vogliamo approfondire.
Ritengo che in un alto livello di analisi, il grado di conoscenza sui dati, compatibile con una legge delega, possa essere raggiunto in un mese, un mese e mezzo. Mentre si entra nello specifico, si approfondisce anche la base di dati.
Credo che ci debba essere una fondamentale coerenza tra cosa si intende fare - una legge delega, non una legge finale - e come si organizza il lavoro.
Penso che con un grande sforzo, con impegno e con un clima costruttivo, un mese e mezzo, due mesi siano necessari.
In seguito, sarà posto un termine finale di discussione politica vera, basata su una banca dati. Ritengo che il Parlamento dovrà, per quanto di sua competenza, dire se approva o meno.
Come Governo, sappiamo che è fondamentale il contributo dell'ISTAT, che non è un organo di Governo, ma una colossale e fondamentale banca dati; quello dell'ISAE, della Ragioneria generale dello Stato e quello - lo ripeto, è un organo giurisdizionale, ma credo fondamentale - della Corte dei conti.
PRESIDENTE. Naturalmente, ci ritroviamo nella situazione di chi ci ha gettato la palla nel campo avverso. Se l'assegnazione dovesse essere fatta a noi - non è ancora chiaro se andrà al Senato o alla Camera - ci dovremo attrezzare per tempo.
ALBERTO FLUVI. Signor presidente, anche io volevo proseguire il confronto con il Ministro dell'economia delle finanze in maniera positiva.
Mi consenta tuttavia di rilevare alcuni cambiamenti, e lo dico non in senso polemico, anche perché ritengo che cambiare opinione non sia affatto un aspetto negativo, ma anzi che sia spesso largamente positivo.
In sostanza, signor Ministro, nella sua brevissima introduzione, ci ha detto che ha cambiato due pezzi importanti del programma elettorale del Popolo della Libertà e della coalizione di Governo.
Il tema del fisco è stato sicuramente un aspetto importante della campagna elettorale. Voi, giustamente dal vostro punto di vista, avevate proposto una riduzione della pressione fiscale sotto il 40 per cento. Ora, invece, lei ci viene a dire che questo non solo non è possibile, perché il DPEF indica che fino al 2011 sta sul 43 per cento, ma che tale situazione dipende da una serie di variabili, quali i vincoli dell'Unione europea, la crisi, l'equilibrio instabile dei conti pubblici e via dicendo.
Questi, tuttavia, sono tutti dati che conoscevamo anche prima delle elezioni.
Il secondo cambiamento riguarda il federalismo fiscale. Nel vostro programma elettorale, l'ha riconosciuto lei stesso, si dice che il federalismo fiscale che si ha in mente - sto semplificando - è quello del modello lombardo.
Giustamente - credo che sia un aspetto positivo - il federalismo che ora invece il Governo si impegna a discutere e a varare è quello che si basa sul testo delle regioni. Prendo atto con soddisfazione di questo ultimo cambiamento.
Vengo ora ad un'altra domanda sul federalismo. Lei afferma che attraverso il federalismo riusciremo a intervenire anche sulla pressione fiscale.
Ritengo che non si possa rimandare tutto al tema del federalismo, anche perché la questione che abbiamo di fronte, come rilevato anche durante la discussione del decreto-legge n. 112 del 2008, ovvero la tutela del potere d'acquisto delle famiglie, dei lavoratori e dei pensionati, è drammaticamente urgente non solo per dare risorse alle famiglie, ma anche come strumento di politica economica per rilanciare il mercato interno.
Lei ha fatto riferimento a un articolo di un quotidiano sul boom delle entrate, mentre questa mattina il sottosegretario Vegas ci ha fornito un dato sul fabbisogno diverso da quello che abbiamo approvato. Ha detto che il dato del fabbisogno ad oggi è stimato a 44 miliardi, rispetto ai più di 46 indicati nel DPEF. Abbiamo quindi le risorse necessarie per avviare una prima tranche di detrazioni fiscali a favore dei lavoratori e dei pensionati: la differenza del fabbisogno che questa mattina ci avete comunicato consente di intervenire attraverso una prima tranche di detrazione fiscale.
Le chiederei, però, se possibile, anche un'altra informazione, esprimendosi chiaramente - nessuno può farlo meglio di lei, signor Ministro - sulla stima del fabbisogno. Abbiamo approvato un DPEF, salvo le modifiche comunicate questa mattina dal sottosegretario Vegas, che stabilisce un fabbisogno a fine anno di oltre 46 miliardi, a fronte di un fabbisogno a metà anno di cerca 23,5 miliardi. L'andamento storico del fabbisogno, come dimostrano le serie
degli anni precedenti, cresce fino ai primi 6-7 mesi dell'anno per poi stabilizzarsi.
Le chiedo quindi per informazione, e non in maniera polemica: perché si stima un fabbisogno di oltre 46 miliardi al 31 dicembre?
L'ultima domanda riguarda la Robin tax.
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Robin Hood.
ALBERTO FLUVI. Robin Hood tax. Tralascio le polemiche, perché le abbiamo già fatte e manteniamo opinioni diverse in proposito, ma non è questo il tema. Siamo convinti che avremo un effetto traslazione e, forse, lo abbiamo già avuto. È notizia di questi ultimi giorni che il petrolio costa 90 dollari al barile mentre a luglio superava i 140; tuttavia il prezzo della benzina è lo stesso.
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. È effetto della tassa?
ALBERTO FLUVI. No, questa è già la traslazione! Mi interessa affrontare però un'altra questione già affrontata in Commissione finanze, che forse può suonare anche come una nostra autocritica.
I sistemi fiscali dei Paesi sono sempre più elemento di concorrenza fra le diverse economie. Sono convinto che non si possa modificare il sistema fiscale a ogni legislatura, perché è un costo per le imprese, e che modificare il sistema fiscale, come nel caso della Robin Hood tax, non possa dipendere - mi creda, non è offensivo - da una levata di ingegno di ministri.
Mi domando quindi cosa significhi tassare gli extra profitti, quando cominci l'effetto extra profitto, e quali settori o industrie lo producano, se solamente quelle che abbiamo individuato (banche, assicurazioni, energia) o anche altre. È una discussione veramente interessante.
Vorrei sapere inoltre se la Robin Hood tax, che per quanto ci riguarda avrà effetto traslazione, sia temporanea, ovvero sia prevista fino al piano di rientro concordato al 2011, oppure sia definitiva e si debba pensare a un sistema fiscale differenziato: da una parte il sistema delle imprese, dall'altro un sistema delle «imprese» che hanno un surplus di tassazione.
PRESIDENTE. Per quanto riguarda l'argomento della concorrenza fiscale, poiché abbiamo partecipato a una riunione dei presidenti delle Commissioni finanze europee, mi permetterò di farvi avere una relazione dell'esito dell'incontro.
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Tre rilievi. Il primo è che il grado di coerenza con il programma, per quanto riguarda la pressione fiscale e gli obiettivi di legislatura, è assoluto. Il nostro programma si tiene tra un obiettivo e un vincolo. Lo abbiamo detto ai cittadini e sono assolutamente convinto del rapporto fiduciario che è stato stabilito con essi; credo che il riscontro di consenso permanente indichi che quella è la direzione giusta. Naturalmente lei è libero di dire di no, ma, fondamentalmente, confermiamo il nostro programma elettorale e credo che tra i cittadini cresca il consenso in termini fiduciari su quel programma e sulla sua applicazione e attuazione.
L'unica variante è quella del federalismo fiscale, ma l'abbiamo scritto nel DPEF e l'abbiamo detto in Parlamento, in televisione e in tutte le sedi. Fermo restando che nel nostro programma, al punto 6, titolo V, articolo 119, si ribadisce la conferma, essendo legge sostanziale e non costituzionale, dei fondi di perequazione e solidarietà, e fermi restando tutti gli obiettivi tipici politicamente ortodossi del federalismo fiscale, noi abbiamo deciso di non limitare le nostre scelte al solo schema, pur votato da tutte le forze politiche, escluse le cosiddette «estreme», della Lombardia e di usare il testo delle regioni.
Non è però una novità. Infatti nel DPEF c'è scritto che faremo un collegato sul federalismo fiscale, che sarà il testo delle regioni. Le comunico, quindi, che non c'è alcun annuncio da fare, perché era
già nel DPEF. Lei afferma che cambiare idea sia positivo; positivamente siamo passati dalla scelta di un modello molto specifica a una scelta più generale condivisa da tutti.
Per quanto concerne il fabbisogno, credo che nei prossimi giorni non mancheranno lo spazio e la chance per una discussione, quando con la legge finanziaria presenteremo il bilancio dello Stato. Esprimo però una considerazione politica più generale. I conti di un grande Paese come l'Italia, nei fondamentali dell'economia e nei particolari dei flussi di entrata e di uscita, sono controllati dall'ISTAT, che sta nel sistema Eurostat, dalla Banca d'Italia, dalla Corte dei conti, dal servizio bilancio della Camera, dai media italiani, dall'Eurostat, dalla BCE, dall'OCSE, dal Fondo monetario internazionale e da una gamma piuttosto estesa di altri osservatori ufficiali o non ufficiali. È quindi molto difficile che i numeri siano manovrati. Alla fine il tempo è galantuomo e i numeri sono numeri.
Se dovessi confrontare in doppia colonna gli annunci politici fatti con i dati della Commissione europea, forse il tempo sarebbe galantuomo anche rispetto a tante considerazioni critiche rivolte al nostro Governo. L'ultimo in assoluto è quello riguardante i conti del 2006: leggendo i dati della Commissione dell'Eurostat, è riportato un deficit non di 4,7 come ancora ribadito sere fa in televisione, bensì di 3,4 al lordo di una operazione sul patrimonio per 1 punto di PIL, senza la quale - operazione oggettivamente discutibile - sarebbe stato 3,4 meno 1 punto di PIL. Che poi quella sia stata l'origine di un fondamentale errore che ha portato effetti collaterali negativi al Governo è un punto che è tornato come un boomerang a nostro favore.
I numeri sono però così pubblici ed evidenti che tutto è controllato e controllabile a ogni effetto. Entro pochi giorni, quindi, vedrà i numeri del fabbisogno e in seguito i fabbisogni, che di solito si vedono a febbraio dell'anno successivo come saldo complessivo.
Le posso tuttavia assicurare che tutto avvenne nella più assoluta trasparenza, senza la minima possibilità di occultare o di manovrare. Le varianti poi hanno tutta evidenza: se, per gonfiare il deficit, ci si mette, in ragione di molti miliardi di euro, il rimborso dell'IVA auto che poi non viene fatto, il deficit prima va su, e dopo va giù, perché non c'è stato anche come fabbisogno. Lo stesso avviene se si mette 1 punto di PIL dal conto patrimoniale al conto economico e lo si sposta dal debito al deficit, giungendo a una cifra come 3,4, mentre il vero deficit era molto più basso. Credo che al Governo sarebbe convenuto politicamente evitare quell'esercizio, perché forse non avrebbe avuto alcuni infortuni politici che poi ne hanno segnato le sorti.
Per quanto riguarda la Robin Hood tax, la grande questione è questa: all'origine l'ortodossia liberale affermava l'inutilità di introdurre l'imposta sulle società, perché le società l'avrebbero traslata. Negli anni '20-'30, alcuni orientamenti successivi, pur liberali, hanno portato all'introduzione di imposte sulle società.
Con la franchezza che contraddistingue questa discussione dico che, negli anni '90, spesso è cresciuta la pressione fiscale sulle banche. Ciò avveniva intervenendo non sulle aliquote, ma attraverso le basi imponibili, con effetti sostanziali ancora maggiori, e nessuno ha detto che vi fosse la traslazione. C'era l'imposizione. Questa della traslazione è una trappola dialettica, che ritengo non esista e sia una «stupidata» politicamente suicida, ma voi siete liberi.
Vi prego di credere che se ne parla solo in Italia. Forme di prelievo di questo tipo sono attualmente realizzate in Inghilterra da Gordon Brown, che non mi risulta sia berlusconiano; sono studiate e valutate in molti altri Paesi europei e sono proposte in America da Obama, che non mi risulta appartenere al centrodestra.
Sono rimasto molto sorpreso, perché presumevamo di subire tante critiche, ma della traslazione solo una certa area politica ne parla in Italia scoprendola di colpo, giacché nessuno la citava quando
prima aumentavano le tasse sulle banche. La considero quindi una discussione surreale e, senza voler fare il vostro mestiere, neppure politicamente funzionale. La capirei, tuttavia, se si fosse trattato di un passaggio drammatico e traumatico. Fino al dicembre 2007, l'aliquota societaria era pari al 33 per cento.
Ho ritenuto una scelta discutibile ridurre l'aliquota e allargare la base imponibile, incidendo maggiormente perché la copertura, che la Commissione europea ritiene artificiale e insufficiente, è avvenuta sugli ammortamenti e sugli interessi, incidendo di più sul manifatturiero che sui servizi finanziari. Personalmente, non condividevo tale scelta e in ogni caso ritornare all'aliquota di quattro mesi prima non costituisce un passaggio traumatico e drammatico, tanto da modificare le strutture di mercato. Un incremento drammatico avrebbe potuto modificare le strutture di mercato con conseguenti fenomeni di reazione, mentre non mi sembra si corresse tale rischio passando dal 27,5 al 33 prima che andasse a regime.
ALBERTO FLUVI. Vorrei solo sapere se sia una questione legata al gettito e, quindi, al rispetto degli obiettivi o rappresenti un aspetto strutturale.
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. No. Vi racconto anche come è andata. A un certo punto si doveva scegliere come ottenere circa 4 miliardi per quadrare con gli obiettivi europei. La scelta era tagliare la spesa sociale o tassare le banche, le assicurazioni e i petrolieri. Ho preferito tassare piuttosto che tagliare la sanità e il sociale. Una parte di quella a maggior gettito è destinata a finanziare la carta acquisti, a sua volta finanziata con altre forme di contribuzione. Fondamentalmente, si doveva tagliare la spesa pubblica in aree socialmente molto sensibili oppure tassare petrolieri, assicuratori e banchieri.
Abbiamo compiuto questa scelta e sono convinto che molti la condividano date le necessità. Non voglio tuttavia compiere processi introspettivi e sostitutivi nei vostri confronti. Sono consapevole del grido di dolore proveniente dalle banche, ma l'arte di tassare consiste nel togliere una certa quantità di piume con la minore quantità di grida, come diceva Colbert.
ALBERTO FLUVI. Non vorrei essere frainteso. Sul tema della Robin Hood tax abbiamo già espresso le nostre rispettive opinioni, su cui non intendo tornare. Poiché però considero importante la stabilità del sistema fiscale, in questo caso delle imprese (è sbagliato modificare il sistema fiscale a ogni cambio di legislatura, quindi prendiamola come un'autocritica), la domanda che facevo è se si introducesse una discussione sulla tassazione.
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Lei chiede quindi se sia fondamentale la stabilità dei sistemi fiscali. Credo che sia difficile individuare responsabilità precise, per cui è necessario riflettere. Considero ragionevole nell'impianto di fondo che per ciascun anno, per ciascun Governo, relativamente a fasi, ci sia un margine rappresentato dalle cosiddette addizionali e o sovraimposte dentro lo schema. La Robin Hood tax non è una tassa in più, perché è costruita come un incremento di aliquota su un'imposta basica. Non mi sembra dunque in contrasto con le osservazioni di sistema.
PRESIDENTE. Ci informano che l'aula riprenderà i suoi lavori più tardi, tuttavia, in considerazione del numero di iscritti, dobbiamo comunque sintetizzare.
GIORGIO JANNONE. Considero oggettivamente positivo che il responsabile di un dicastero si presenti in Commissione con il programma e che confronti ciò che è stato realizzato con quanto promesso agli elettori. Del resto, nel '94, noi di Forza Italia abbiamo voluto che il programma diventasse uno degli aspetti fondamentali della legge elettorale e, quindi, è bene che sia così. Rispetto ai contenuti nel nostro programma, credo che oggettivamente debba essere riconosciuta a questo Governo, e a questo dicastero, la realizzazione
in tempi molto brevi di alcuni degli obiettivi programmatici prioritari. Sono stati detassati la casa e il lavoro, è stata approvata una finanziaria in tempi molto rapidi...
SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Il lavoro straordinario, non il lavoro!
GIORGIO JANNONE. Sì, il lavoro straordinario, che è già qualcosa. È stata approvata in tempi molto rapidi una finanziaria, sicuramente importante per il Paese. Appare inoltre innovativo il nuovo rapporto con i comuni e gli enti locali. Per evitare un intervento autocelebrativo sottolineo, però, come la situazione di contesto che si è venuta a creare soprattutto nelle ultime settimane sia allarmante. Si corre il rischio che anche il calendario del Governo e del Ministro dell'economia siano modificati in rapporto al nuovo contesto globale, alla crisi americana e ai suoi risvolti in Europa e in Italia. Le chiedo quindi se ritenga possibile continuare con questi ritmi, queste cadenze, queste possibilità realizzative o se il nuovo contesto fortemente incidente sulla realtà economica possa anche modificare il calendario delle riforme strutturali e fiscali italiane.
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Lunedì o martedì presenteremo la legge finanziaria nella forma e nella sostanza che ho annunciato e, in questo momento, contiamo che sia responsabile quell'adempimento.
GIAN LUCA GALLETTI. Signor Ministro, mi voglio suicidare politicamente. Ritengo che la Robin Hood tax abbia l'effetto traslazione. Per una semplice ragione. Non sono un economista, ma un commercialista e tutti ormai abbiamo qualche nozione in materia. La tassa colpisce gli extra profitti che, in un mercato concorrenziale, si formano solo dove la concorrenza è malata, altrimenti sarebbero profitti normali. I libri di testo spiegano che esistono cause per cui determinati settori non funzionano, quali la simmetria temporale, l'esistenza di un bene pubblico e anche il monopolio. Banche, assicurazioni e petrolieri agiscono in un regime di monopolio. Per definizione, i monopolisti non guardano i propri costi, hanno una gestione non oculata, perché possono scaricare i propri costi produttivi direttamente sul consumatore finale. Si comportano così perché agiscono in un mercato ristretto,
malato, che lo permette.
Racconto un aneddoto, anche se si dice che una rondine non faccia primavera. A Bologna, ho incontrato un pensionato che mi ha detto di aver ricevuto la rata dell'assicurazione, aumentata di 30 euro, sebbene fosse migliorato di una classe di merito passando dalla classe 10 alla classe 9. Aveva quindi telefonato all'assicurazione e l'assicuratore gli aveva risposto che era dovuto alla tassa di Tremonti. Capisco che in questo manchi la spiegazione economica, però è segno che qualcosa sta accadendo.
Per quanto riguarda il prezzo della benzina, ogni tanto mi viene da sorridere nel vedere gli economisti che ne ricercano le cause, perché ritengo vi sia anche l'effetto rilevato dall'onorevole Fluvi e vi si stia scaricando in parte il maggior onere fiscale.
Vengo immediatamente alle domande. Nel DPEF 2009-2011 la pressione fiscale resta al 43 per cento perché vi sono determinate condizioni. Se le condizioni economiche miglioreranno vedremo cosa si può fare. Oggi, però, l'inflazione è quasi al 4 per cento e si scarica sulle famiglie. Le chiedo, quindi, se questo significhi che, qualora le condizioni economiche non miglioreranno nei prossimi mesi, anche in questa finanziaria non ci sarà niente a favore delle famiglie, oppure se ritenga doveroso intervenire per sostenere le famiglie che risentono di quella tassa occulta, che pesa di più sulle famiglie, ovvero l'inflazione.
Esprimo un'unica considerazione sull'ICI senza entrare nel merito, sebbene ritenga che non sia stato giusto toglierla. Qui, qualcuno sbaglia a fare i conti, perché lei afferma che l'avete coperta integralmente, mentre quando vado in giro per i
comuni li trovo tutti tecnicamente in dissesto, perché privati di una parte di ICI. Loro affermano, e l'ANCI lo conferma, che mancano da 800 milioni a 1 miliardo di ICI non coperta. Delle due l'una: o i comuni stanno barando per avere soldi in più o state barando voi per non trasferirli ai comuni. Questo è un dato non di poco conto, perché ai comuni si può chiedere molto ma, se manca 1 miliardo, è impossibile in quattro mesi fare nei bilanci dei comuni operazioni capaci di assorbire una perdita di questo genere.
Vorrei chiedere infine se si abbiano dati sulla detassazione degli straordinari e se esistano dei derivati nel portafoglio del Tesoro o delle partecipate, quali la Cassa depositi e prestiti, che incorporino dei titoli Lehman. Capisco che questa responsabilità non sarebbe di nessuno, ma chiedo solo per conoscenza della Commissione.
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Francamente, credo che ogni materia abbia un contesto in cui discutere.
All'ultima domanda la risposta è primo che è mal posta e secondo che, per quanto ci risulta, non c'è problema perché le posizioni del Tesoro non sono posizioni attive ma di segno opposto.
Per quanto riguarda la Robin Hood tax (Bersani incontra il bagnino al mare, lei incontra l'assicuratore di Bologna) devo dire che anche con la tempistica non ci siamo perché l'ingresso dell'imposta non può aver determinato un incremento di rata.
Insisterei nel dare un consiglio politico di segno diverso, giacché viene fatto da destra a sinistra, in Europa e in America.
L'ICI è una storia specifica, perché questa volta abbiamo fatto i conti con l'ANCI. Le do una piccola notizia. Dopo le elezioni, prima della formazione del Governo, ci trovammo in una sede politica di Forza Italia insieme ai rappresentanti di tutti i partiti di maggioranza candidati al Governo e i massimi livelli dei rappresentanti dell'ANCI e si convenne di determinare la base che il Governo Prodi utilizzò per fare il suo 40 per cento. Erano tutti d'accordo. Poi, è emerso che i comuni avrebbero preso una fregatura da Prodi stesso, ma questo è un altro discorso. La nostra copertura fu rapportata alle voci che consideravamo tagliabili del decreto «milleproroghe» e della legge finanziaria.
La nostra detassazione dell'ICI prima casa è stata coperta in base al modello matematico e alle basi usate per il primo 40 per cento di Prodi. Questo risulta in tutte le sedi. Vi sono poi altre partite in discussione, ma non è un problema di copertura dell'ICI.
Sugli straordinari non abbiamo dati, perché è una misura sostanzialmente «in sperimentazione», essendo partita con il decreto legge del primo Consiglio dei Ministri e adesso siamo solo a settembre. Le indicazioni provenienti dal mondo imprenditoriale sono positive.
IGNAZIO MESSINA. Faccio due premesse velocissime. La prima è che, come avvocato, parlerò di finanza da uomo della strada. La seconda è che non vorrei interrompere questo clima di ringraziamento nei confronti del Governo, almeno da parte dell'opposizione. Questa mattina, infatti, il Corriere della sera titola «Tremonti: il nostro Paese più forte nel mondo» e prosegue dicendo: «dopo la crisi, perché la crisi finirà, l'Italia sarà più forte di prima, più forte degli altri». Mi auguro di cuore che sia così, ma bisogna capire quale Italia diventerà più forte nel mondo, considerando - parlo con orgoglio da meridionale - come tutta la manovra economica del Governo sia indirizzata contro il sud. Questo è infatti evidente dalle iniziative adottate: l'eliminazione dell'automatismo dell'applicazione del credito di imposta, disincentivante per tutte le imprese che volevano investire al sud, l'eliminazione dell'ICI coprendo il mancato introito con risorse che erano state attribuite al sud, laddove, secondo i dati ISTAT da lei citati come fonte autorevole, la Sicilia ha perso 600 milioni di investimenti contro un risparmio pari soltanto a 67 milioni di ICI, e infine la rimodulazione del FAS, che azzera tutto e ricomincia da capo.
Se questa è l'idea di economia, ci preoccupa enormemente il federalismo, che ha un senso come federalismo solidale; altrimenti l'Italia che si salverà non sarà certo quella meridionale.
Per quanto riguarda l'evasione fiscale, ritengo opportuno creare un interesse alla fatturazione. È vero che bisogna controllare, ma quando si tolgono elementi deterrenti come il falso in bilancio e non si reintroducono, si disincentiva la necessità di fatturazione. Parlando da avvocato e non da economista, se si possono detrarre le spese, evidentemente è più facile rispettare la legge ed emettere fatture, in caso contrario è più difficile.
Vado fuori tema, ma tengo particolarmente a questo punto riguardante la Banca del Mezzogiorno, che lei ha voluto fortemente. Lei è ovviamente a conoscenza dei dati del sistema bancario nel Meridione. Solo in Sicilia ci sono 79 banche con 1.788 sportelli. Di queste 79 banche, 31 sono BCC, di cui 8 con sede in città della Sicilia, per una cifra complessiva di 146 e 779 sportelli. Ripeto: solo in Sicilia ci sono 1.788 sportelli bancari.
Vorrei chiederle quindi se non ritenga che una banca con 5 milioni di euro di capitale (con tale somma non si fa nemmeno una BCC) servirà soltanto a creare una nuova bad company in stile Alitalia, in cui far confluire rami secchi di banche meridionali e insulari, così come espressamente previsto nell'articolo introduttivo della norma. Sarebbe forse più opportuno che il Governo intervenisse sulle condizioni che le banche praticano al sud, garantendo le medesime praticate al nord, anziché creare una nuova «bancarella» che appare ridicola.
Per quanto riguarda la Robin Hood tax, vorrei sapere se non le sembri obiettivamente umiliante dotare molti italiani di una tessera di povertà da presentare al supermercato. Sarebbe stato più opportuno aumentare la quota pensionistica di tutti quei soggetti che non arrivano a fine mese, ma con molta dignità non lo danno a vedere all'esterno.
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Riguardo al credito di imposta ci sarà evidenza in ordine ai numeri. È previsto lo strumento ed è stata stanziata una copertura simbolica. Come già nel 2001, si prevede uno strumento caratterizzato dal più assoluto automatismo, non si introducono meccanismi di controllo di rubinetto, si stanzia una cifra minima e si devastano i conti pubblici. Se si considerano le domande presentate, credo che le coperture fossero nell'ordine di poche centinaia di milioni e le domande fatte nell'ordine dei 4 miliardi. È così che si devastano i conti pubblici: realizzando uno strumento devastante per il Paese, pensando di perdere le elezioni.
Considero corretto governo e onestà nei confronti del sud introdurre strumenti di cui si possa garantire la copertura. Mettere uno strumento non coperto e non controllato fa male al sud, perché le evidenze di questi meccanismi non coperti e non controllati sono devastanti.
Lei sostiene che la copertura dell'ICI sia a danno del sud; noi, invece, siamo assolutamente convinti del contrario. Nella legge finanziaria, la concentrazione dei fondi avvantaggerà enormemente il sud, compresa la Sicilia, a partire da quest'anno. Il problema risiede non nei soldi, ma nel loro uso e nei meccanismi che abbiamo riformato perseguendo una maggiore efficacia.
Per quanto riguarda la Banca del sud, chiedo almeno la correttezza sulle formule. Lei è avvocato e questo credo che la agevoli rispetto agli economisti, che in questo momento non se la passano bene. I 5 milioni di euro rappresentano non il capitale sociale (sarebbe vietato anche mettere solo 100 euro come capitale sociale), bensì un meccanismo di finanziamento di avvio di cui è prevista la restituzione. Resta ferma la mia convinzione che il sud debba avere una banca regionale, perché il Meridione è l'unico a non avere una banca regionale. Negli ultimi due anni, la linea bancaria è salita da Roma verso Milano e credo che l'anno prossimo salirà da Milano verso Monaco di Baviera. Fare banca è anche conoscere
il territorio e sono profondamente convinto che sia una via da percorrere nell'interesse del sud. La prego di crederlo. Credo sia un dovere verso il Mezzogiorno fare almeno chiarezza sulle parole.
PRESIDENTE. Ricordo che il Ministro deve andare via. Avevo promesso che avremmo terminato alle 15,30, ma ci sono ancora quattro colleghi iscritti a parlare. C'è spazio solo per un ultimo intervento, nella fattispecie, quello dell'onorevole D'Antoni, che prima ho fatto slittare per dare voce ai gruppi che non erano ancora intervenuti.
MASSIMO MARCHIGNOLI. Se il presidente consente, desidererei rivolgere una domanda al Ministro.
SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Sarò brevissimo. Non voglio ritornare su temi già affrontati, ma vorrei sapere perché il Ministro non abbia espresso nemmeno una parola rispetto al problema, posto sia dall'opposizione che dalla maggioranza, circa un intervento sulle detrazioni da lavoro dipendente e da pensioni. Pregherei il Ministro di pronunciarsi al riguardo. C'è stata una sollecitazione da parte dei colleghi sia di maggioranza che opposizione; c'è un problema di crisi di consumi e c'è una questione del domani. L'ICI e gli straordinari non risolvono questo problema.
Non voglio fare polemiche su questo, ma esiste un problema di potere d'acquisto di una parte del popolo italiano in sofferenza. Vogliamo quindi sapere se, qualora la lotta all'evasione darà i risultati auspicati, si possa intervenire, tenuto conto dei problemi di finanza pubblica e della possibilità di detrazioni, su un certo livello di reddito sull'IRPEF.
Ho poi una seconda domanda da porre...
PRESIDENTE. Adesso sentiamo la domanda dell'onorevole Marchignoli.
MASSIMO MARCHIGNOLI. Mi limito a una domanda per non intralciare gli impegni del Ministro. Per quanto riguarda le imprese cooperative, vorrei sapere se lei consideri chiusa la vicenda del rapporto fisco-impresa cooperativa.
Le risparmio le mie considerazioni, anche se ne ho tante da fare, ma rispetto i suoi impegni. Vorrei sapere se, dopo la riforma del diritto societario e l'introduzione di quella componente sulla manovra fiscale nella Robin Hood tax, che reputo una conclusione accettabile, lei intenda perseguire un'idea in passato diffusa nell'attuale maggioranza, ovvero un pregiudizio sfavorevole nei confronti delle cooperative, cosa che considererei inaccettabile.
SERGIO ANTONIO D'ANTONI. L'altra domanda che volevo porre si riferisce alla questione del credito di imposta. Lei afferma che, se si fa uno strumento, lo si deve coprire e controllare. Nel testo sul federalismo fiscale, avete dichiarato l'intenzione di dare al sud una cosiddetta «fiscalità di sviluppo» o di vantaggio. Il credito di imposta è a mio avviso uno strumento di fiscalità di sviluppo.
Dopo due anni, la Commissione europea ci ha dato il via libera, per cui lo strumento c'è e ora occorre coprirlo e finanziarlo, in modo che al sud si abbiano gli investimenti e il lavoro produttivo. È inutile fare polemica sul passato, se lo si smonta sul futuro. Lo si copre per la parte per cui è possibile, mentre, se lo si smonta, è finita.
GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Onorevole D'Antoni, finora non ci sono state manifestazioni o motivi di polemica. Alla domanda ho risposto che si tratta dello strumento giusto. Credo di aver introdotto per primo nel '94 i crediti di imposta per il sud, dove c'era quello per le assunzioni.
Confermo che è lo strumento giusto, ma, poiché mi era stato chiesto perché avessimo modificato quanto disposto nella finanziaria di Prodi, ho risposto che lo strumento era giusto, ma la copertura era minima e i controlli non esistevano. In questo modo, si determina un meccanismo d'inganno per il sud, sfasciando i conti
pubblici. Abbiamo detto che esso funziona nei limiti della copertura, con un meccanismo che adegui le domande alla copertura, come avviene in ogni Paese civile.
Dopodiché, onorevole D'Antoni, poiché appena tre mesi avete fatto la legge finanziaria ancora in atto, le chiedo perché non l'avete fatto voi, invece di ingannare la gente. Questo prende una piega che non corrisponde allo stile del dibattito finora condotto molto positivamente grazie a voi.
Dovrebbe essere abbastanza stabilizzato. Ogni euro in più andrà certamente a chi ha di meno, ma ci vuole 1 euro in più a disposizione.
PRESIDENTE. Nei prossimi mesi non mancheranno le occasioni per rispondere alle domande rimaste inevase. Nel ringraziare il Ministro, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,55.