Sulla pubblicità dei lavori:
Conte Gianfranco, Presidente ... 3
Audizione del presidente dell'ISVAP, Giancarlo Giannini, nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione europea sulla vigilanza finanziaria europea (COM(2009)252 definitivo) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Conte Gianfranco, Presidente ... 3 11 15 16 19
Barbato Francesco (IdV) ... 12
Fluvi Alberto (PD) ... 13
Giannini Giancarlo, Presidente dell'ISVAP ... 3 16
Strizzolo Ivano (PD) ... 15
Ventucci Cosimo (PdL) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 12,15.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del presidente dell'ISVAP, Giancarlo Giannini, nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione europea sulla vigilanza finanziaria europea (COM(2009)252 definitivo).
Il presidente è accompagnato dal vicedirettore generale, dottoressa Flavia Mazzarella, dal dottor Fausto Parente, direttore del servizio affari internazionali, dal dottor Roberto Novelli, assistente del presidente, e dal dottor Marco Cecchini, direttore delle relazioni istituzionali.
Do la parola al presidente Giannini.
GIANCARLO GIANNINI, Presidente dell'ISVAP. Onorevole presidente, preliminarmente ringrazio lei e la Commissione per averci dato l'opportunità di offrire il nostro contributo al dibattito, avviato in questa così autorevole sede, sulle questioni attinenti al nuovo disegno della vigilanza finanziaria europea.
Svolgerò una brevissima introduzione sulla crisi, per inquadrare meglio la questione oggetto dell'audizione. Sarebbe difficile, a mio avviso, comprendere l'evoluzione della vigilanza senza ricordare anche la vastità e la drammaticità di quanto accaduto nei mercati finanziari.
La recente crisi finanziaria ha investito, in progressione, i mercati dei mutui sub-prime, dei titoli derivanti dalla trasformazione dei mutui ipotecari, il mercato interbancario e, a seguire, quello dei titoli azionari ed obbligazionari, con prevalenza di quelli emessi dalle banche, sino ad arrivare ai derivati del credito, in una catena di circolarità i cui effetti si sono riverberati, e si riverberano tuttora, sull'economia reale.
La portata della crisi è stata globale e ha fatto temere, nel momento del suo picco, il tracollo della finanza mondiale. La reazione determinata delle istituzioni, partita dagli USA ed estesa poi presto all'Europa, ha evitato il peggio.
Sul piano della stabilità finanziaria l'Italia ha dimostrato di avere un sistema che, supportato adeguatamente dai provvedimenti assunti dal Governo e dal Parlamento, ha retto meglio degli altri all'impatto della crisi; ciò è stato particolarmente vero per il sistema assicurativo, che non ha fatto registrare débâcle di compagnie e che sta mostrando apprezzabili segnali di ripresa.
Il preoccupante binomio evidenziato al massimo della sua negatività nell'ottobre dello scorso anno - raccolta netta negativa
nel ramo vita e notevoli minusvalori nel portafoglio investimenti delle compagnie - appare ora scongiurato.
Sul piano produttivo, nei primi otto mesi del 2009 la raccolta netta è tornata significativamente positiva (ad agosto 2009 i valori del rapporto «oneri per sinistri a premi» e «riscatti su premi» si attestano, rispettivamente, al 72,5 per cento ed al 43,5 per cento; in precedenza, si era arrivati al 116 per cento, con una prevalenza molto preoccupante delle uscite rispetto alle entrate), principalmente grazie all'andamento dei prodotti tradizionali, che beneficiano di un contestuale aumento dei premi (la produzione dei primi otto mesi del 2009, pari a 39 miliardi di euro, è superiore a quella di tutto il 2008, che è stata pari a 31 miliardi) e di una contrazione della dinamica dei riscatti.
Dal punto di vista degli investimenti, si è passati da un saldo plusvalenze e minusvalenze latenti negativo, che ha toccato il picco di circa 10 miliardi di euro nell'ottobre 2008, ad uno positivo, a fine agosto del corrente anno, per circa 11,5 miliardi di euro; particolarmente significativo è il ritorno alla positività, a partire dallo scorso mese di luglio, del saldo degli attivi inseriti nelle gestioni separate, posti a garanzia dei rendimenti garantiti agli assicurati (questo era, appunto, nel ramo vita, l'elemento di maggiore preoccupazione per quanto riguarda il settore assicurativo italiano).
L'Autorità ha svolto, ritengo con efficacia, i suoi compiti di vigilanza nei confronti delle imprese - richiedendo ed ottenendo rafforzamenti patrimoniali (dal 1o gennaio 2008 ad oggi le imprese si sono ripatrimonializzate per oltre 4 miliardi di euro) - ed a protezione dei consumatori.
Su quest'ultimo versante evidenzio con soddisfazione i risultati positivi ottenuti dall'azione dell'Autorità sulle imprese, affinché intervenissero nei confronti degli assicurati che avevano sottoscritto polizze index linked, con rischio finanziario a loro carico, collegate ad emittenti bancari in crisi (Lehman Brothers e banche islandesi).
Le iniziative hanno interessato oltre 130.000 contratti, quasi il 90 per cento del complesso delle index che hanno come sottostante i citati titoli. Peraltro, l'azione di moral suasion prosegue per i prodotti con scadenza più lunga (2014, 2015 o 2016), per i quali le imprese ancora non sono in grado di assumere impegni.
È comunque evidente che, per una ripresa stabile e duratura, anche del mercato assicurativo, è necessario che le inevitabili ripercussioni della crisi sull'economia reale vengano al più presto superate con un ritorno alla fiducia da parte del tessuto imprenditoriale e dei consumatori: si sta operando, e si vedono i primi confortanti risultati, ma permane la minaccia della perdita di posti di lavoro.
Ciò premesso, entro nel merito principale dell'audizione.
La vastità e profondità della crisi non poteva non portare ad approfondirne le cause e ad evidenziare l'esigenza di adottare provvedimenti strutturali a livello mondiale, con l'obiettivo primario di prevenirne il ripetersi.
La Commissione europea ha fatto proprie le raccomandazioni contenute nel rapporto del gruppo di lavoro presieduto da de Larosière (costituito nell'ottobre 2008) e ha emanato una serie di comunicazioni: in quella del 4 marzo 2009, sul rilancio della ripresa economica nell'Unione europea, ha indicato un programma di lavoro ed ha annunciato una serie di misure per il rafforzamento delle regole prudenziali; la successiva Comunicazione del 27 maggio 2009 è relativa alla riforma dell'architettura della vigilanza europea.
L'intervento della Commissione europea si inserisce in un quadro più ampio di iniziative di organismi tecnici e politici mondiali, quali il Financial stability board (FSB), il Consiglio Ecofin, i Capi di Governo dei maggiori paesi (G20).
Nel complesso, è stata individuata una serie coordinata di azioni per rafforzare il sistema finanziario internazionale: la revisione dell'architettura della vigilanza europea e dei requisiti prudenziali per le banche; l'accelerazione del progetto Solvency II
per le assicurazioni; la regolamentazione e l'assoggettamento a vigilanza delle agenzie di rating e degli hedge fund; la creazione di un mercato regolamentato per i derivati OTC (over the counter, quali i credit default swap); la revisione delle regole contabili e del sistema di remunerazione e di incentivazione del management.
Tutte queste iniziative, originate come risposta alla crisi finanziaria ed alla sua portata globale, intendono rivedere e riorganizzare le regole di funzionamento dei mercati e la vigilanza, affinché essa possa rispondere sempre più e sempre meglio alle esigenze di protezione degli utenti dei servizi finanziari ed assicurativi. Ad oggi, le istituzioni competenti stanno finalizzando i lavori per poter rendere operative tali azioni.
Dopo le analisi e gli approfondimenti effettuati in vari consessi, lo scorso giugno, i Capi di Stato e i Ministri finanziari europei hanno raggiunto l'accordo sul modello di vigilanza dei mercati finanziari: alla tradizionale vigilanza su scala nazionale verrà affiancato un regime di supervisione europeo, con l'obiettivo di rafforzare l'armonizzazione e la coerenza delle pratiche di vigilanza a livello europeo e tra settori contigui.
Ciò in quanto oggi gli operatori, in particolare quelli transfrontalieri, si trovano ad operare in contesti regolamentari ancora troppo differenti, anche per via della difformità con la quale nei vari ordinamenti interni sono state recepite le regole comunitarie. E ciò malgrado negli ultimi anni, grazie alla procedura cosiddetta Lamfalussy e alla disciplina della cosiddetta better regulation, che richiede, tra l'altro, l'analisi di impatto preventiva all'adozione delle nuove misure e la consultazione degli stakeholder, si siano registrati miglioramenti in termini di trasparenza e rapidità nell'iter di produzione normativo comunitario.
La nuova architettura di vigilanza sarà fondata sulla creazione di un'entità centrale per la vigilanza macroprudenziale contro il rischio sistemico (European Systemic Risk Board - ESRB) ed una rete di supervisori finanziari (European System of Financial Supervisors - ESFS) per la vigilanza microprudenziale. Quest'ultima sarà formata sia dagli attuali Comitati di terzo livello (CEBS, comitato dei supervisori bancari, CEIOPS, comitato dei supervisori assicurativi e dei fondi pensione, e CESR, comitato dei market regulator), che verranno trasformati in tre autorità con personalità giuridica (EBA, EIOPA, ESMA), sia dalle autorità nazionali, alle quali viene confermata la responsabilità di vigilare sulle entità stabilite in ciascun Paese.
In particolare, l'ESRB sarà privo di personalità giuridica e avrà la competenza su tutti i settori finanziari; avrà accesso a tutte le informazioni rilevanti per l'identificazione, la valutazione ed il monitoraggio delle situazioni che possono mettere a repentaglio la solidità finanziaria delle istituzioni finanziarie; potrà emanare segnali di allarme (early warning) e raccomandazioni o pareri sulle misure, incluse quelle di natura legislativa, da adottare in caso di crisi; avrà il compito di monitorare il follow-up a warning e raccomandazioni. Queste ultime potranno essere di natura generale o riguardare singoli Stati membri o gruppi di Stati membri; potranno essere indirizzate anche alle tre nuove autorità per la vigilanza microprudenziale e dovranno funzionare sulla base del meccanismo «act or explain» (intendendosi come tale l'obbligo di motivare in modo adeguato le
ragioni dell'eventuale mancata applicazione delle raccomandazioni emesse da parte dei soggetti cui esse sono dirette).
Il modello di governance di tale entità, in coerenza con il suo ruolo di «sentinella», volto a prevenire l'insorgere del rischio di natura sistemica, ha tenuto conto di quanto la crisi ha evidenziato con chiarezza: tale rischio si è propagato con rapidità nel settore bancario, per effetto delle forti interrelazioni tra istituti di credito, con un importante impatto sulla gestione della liquidità.
La segnalazione all'ESRB di fenomeni inerenti al mercato assicurativo, in grado potenzialmente di assumere una connotazione
sovranazionale (ad esempio, l'eventuale default di un riassicuratore di respiro internazionale), ma più difficilmente di natura sistemica, sarà assicurato dalla presenza nel board del presidente della nuova autorità europea per la vigilanza microprudenziale specifica di settore.
Le tre nuove autorità per la vigilanza microprudenziale avranno: il potere di emanare regole tecniche vincolanti (binding technical standard); poteri di mediazione cogenti (binding mediation), da utilizzare, tuttavia, come estremo rimedio in caso non si riesca a giungere ad un accordo fra le autorità nazionali; il compito di coadiuvare la Commissione europea nella verifica del rispetto della normativa comunitaria; poteri di intervento comune in presenza di situazioni di crisi; il compito di intensificare la cooperazione e lo scambio di informazioni.
La Commissione europea sta lavorando alla definizione delle regole di funzionamento e di coordinamento delle nuove autorità macro e microprudenziali. Si auspica in proposito che l'indipendenza rispetto alla Commissione europea - che partecipa ai lavori delle tre nuove autorità con un suo rappresentante - sia salvaguardata. L'indipendenza potrà essere garantita attraverso un'adeguata composizione degli organi designati ed un forte grado di autonomia finanziaria e decisionale.
A mio avviso, un punto è particolarmente significativo. Si tratta di verificare, passando dalla fase di definizione del modello astratto a quella della sua concreta attuazione, se la nuova struttura sarà posta in condizione di funzionare in modo efficace e flessibile e quali interrelazioni vi saranno tra le varie autorità. Il rischio da evitare è quello di una burocratizzazione del sistema. Quindi, si dovranno compiere passi importanti: dovrà essere assicurata, ad esempio, l'uniformità delle regole a livello europeo, che oggi ancora non c'è.
L'esperienza della crisi ci ha anche dato occasione di rilevare un senso di reticenza, una scarsa volontà di esternare cosa stesse succedendo negli altri Paesi. Partecipando alle riunioni indette per la gestione della crisi a livello europeo, ci siamo resi conto che, mentre noi (mi riferisco anche al Ministero, alla Banca d'Italia e alla Consob) esponevamo con piena e solare evidenza i dati relativi ai mercati nazionali, incontravamo, al contrario, estreme difficoltà a capire come stesse la situazione negli altri Paesi. Se messo in grado di funzionare adeguatamente, il nuovo sistema di vigilanza potrà svolgere una funzione importante anche da questo punto di vista.
In merito ai poteri ad esse affidati, ritengo che le nuove autorità dovrebbero occuparsi principalmente delle regole tecniche, le quali dovrebbero essere ampie e riguardare, in primo luogo, i requisiti quantitativi (riserve tecniche, regole d'investimento, requisiti patrimoniali sia individuali sia di gruppo) e il reporting di vigilanza.
Esse avranno, altresì, il compito di assistere le autorità nazionali nell'assicurare la coerente e uniforme applicazione delle regole comunitarie. La vigilanza day to day rimarrà a livello locale, con la responsabilità in capo alle autorità nazionali, che, svolgendo l'attività di controllo, conservano la visione più approfondita delle situazioni e degli eventuali problemi del mercato interno.
Sul piano generale, si ritiene che, nel riformare gli assetti della vigilanza europea, mantenendo una separatezza settoriale ed introducendo livelli superiori di coordinamento, sia prevalso ragionevolmente un orientamento basato sull'evoluzione dei modelli di vigilanza, piuttosto che su una radicale rivoluzione, la quale avrebbe rischiato di non portare benefici, se non anche problemi di carenza nei controlli, almeno nella prima fase, perdurando l'instabilità dei mercati.
D'altro canto, come sottolineato nella comunicazione della Commissione europea del 27 maggio 2009, non vi è alcuna evidenza che una struttura della vigilanza diversa da quella che ha portato alla trasformazione in autorità degli attuali comitati di terzo livello dia maggiori garanzie di efficienza ed efficacia dell'azione di vigilanza sulla stabilità finanziaria.
Si è quindi scartata, al momento, anche sulla base delle esperienze dell'impatto della crisi nei vari Paesi europei, l'ipotesi di riorganizzare la vigilanza europea sulla base dell'accentramento delle relative funzioni presso un'unica autorità (modello inglese) o della distinzione per finalità, prevedendo due autorità, una incaricata della stabilità dell'impresa bancaria e assicurativa, l'altra della trasparenza verso i depositanti e assicurati (modello olandese). Evito di ricordare quale impatto abbia avuto la crisi sui Paesi anglosassoni e sul binomio costituito da Olanda e Belgio, dove si è registrato l'unico caso di fallimento di un'impresa assicurativa.
La scelta della Commissione europea è del tutto condivisibile; ciò in particolare con riguardo alla salvaguardia delle specificità del settore assicurativo e delle sue profonde differenze rispetto a quelli bancario e mobiliare.
Il processo di integrazione tra i due settori, bancario e assicurativo - che per un periodo sembrava destinato ad assottigliare sempre più la linea di demarcazione tra comparti tradizionalmente distinti -, e l'opportunità di creare una maggiore convergenza delle regole prudenziali, non devono portare a conclusioni erronee circa la diversa natura delle due attività.
Le vicende degli ultimi due anni hanno dimostrato con chiarezza che ad accomunare i due settori nel contesto della crisi è stata l'eccessiva finanziarizzazione dei due business.
Per le banche, il trasferimento agli investitori e ai risparmiatori del rischio di credito, attraverso il passaggio - disinvolto, aggiungo - da un modello basato sull'assunzione e sulla gestione in proprio di tale rischio (originate and hold) a un modello in cui all'assunzione dei rischi faceva seguito la loro distribuzione presso investitori e risparmiatori (originate and distribute), ha favorito una non corretta politica di selezione dei rischi stessi. È esattamente ciò che è avvenuto nel caso dei sub-prime: mutui scarsamente garantiti, e concessi con estrema larghezza, sono stati «impacchettati» e fatti confluire in prodotti complicatissimi e arzigogolati da vendere a soggetti particolarmente ignari.
Per le assicurazioni, il trasferimento agli assicurati del rischio di investimento è avvenuto attraverso la diffusione di prodotti caratterizzati da una spiccata connotazione finanziaria (unit e index linked), fortemente trainata dalla bancassurance.
Il modello distributivo della bancassurance resta valido, ma si segnala un importante recupero, in termini di sviluppo, di prodotti tradizionali in relazione ai quali la compagnia fornisce una garanzia di rendimento minimo. L'assicurazione è nata e opera per garantire i rischi, nel ramo vita come nel ramo danni: fare ricadere i rischi sull'assicurato dà luogo a un ibrido che può produrre conseguenze deleterie (come talvolta si è verificato).
Il ritorno, ognuno nel settore di rispettiva competenza, al business tradizionale fa riemergere con maggiore chiarezza i caratteri distintivi delle due attività ed i rischi che ne caratterizzano l'operatività.
Basti pensare, nel settore assicurativo, all'inversione nel ciclo entrate/uscite (che ha preservato il settore dal rischio di liquidità nell'immediatezza dello scoppio della crisi), alla circostanza che la finanza costituisce un importante strumento, ma non il fine della sua attività, e che il focus, delle compagnie e della vigilanza, resta incentrato sui processi di tipo tecnico-attuariale legati al rischio assicurativo vero e proprio.
Le vicende degli ultimi mesi hanno dimostrato con solare evidenza che il sistema finanziario e gli attori che in esso operano non possono autoregolamentarsi: negli USA e nei Paesi anglosassoni, i cui sistemi sono caratterizzati dalla libertà di operare senza adeguate regole, gli effetti della crisi sono stati particolarmente significativi ed hanno reso necessaria l'immissione di ingenti capitali pubblici, fino a trasferire ai Governi la proprietà di importanti istituzioni.
Alcuni rischi specifici erano e sono fronteggiabili attraverso misure di vigilanza di tipo preventivo; alcune regole dettate dall'Autorità hanno costituito una rilevante protezione del mercato assicurativo
italiano. In particolare: il divieto, stabilito dall'Autorità, a partire dal giugno 2003 - con quattro anni di anticipo - per le index linked, di indicizzarsi a titoli derivanti da cartolarizzazioni e a derivati del credito (circolare ISVAP 507/2003); le regole che non, consentivano e non consentono (oggi, regolamento ISVAP n. 29) l'assicurabilità di «garanzie prestate a fronte di operazioni di finanziamento o di provvista di mezzi finanziari non relative all'acquisto di beni o servizi al consumo» (ad esempio, derivati creditizi come i credit default swap).
Vorrei sottolineare l'importanza e la lungimiranza di tali regole. Esse hanno evitato che, a causa della diffusione di prodotti con prestazioni collegate all'andamento di derivati del credito o similari (sub-prime), si riversassero sulle spalle degli assicurati - assumendo un'incidenza di tali prodotti sul totale delle riserve tecniche index linked pari al valore ante divieto del 12 per cento circa (ma è ragionevole ritenere che il peso sarebbe stato più elevato, in considerazione del fatto che il numero delle predette polizze stava crescendo in maniera prepotente) - oneri per circa 8 miliardi di euro, somma molto distante dai 600 milioni di euro, se non ricordo male, riconducibili alle dèbâcle della Lehman Brothers e delle banche islandesi (alla quale hanno fatto fronte per il 90 per cento, come ho già detto, le imprese assicurative). A tale proposito, mi sia consentito rimarcare che l'Isvap si occupa non soltanto
della stabilità del settore assicurativo - punto e basta -, ma anche della tutela degli assicurati e della trasparenza. La riconduzione di questi due importantissimi obiettivi nella sfera di competenza di un unico soggetto è dovuta proprio alla specificità del settore assicurativo.
Inoltre, le anzidette regole hanno evitato situazioni di criticità come quella del gruppo AIG, che, com'è noto, trae origine dalla business unit di Londra che vendeva protezione (CDS) su strumenti finanziari complessi aventi come sottostante mutui ipotecari, rendendo necessario un supporto governativo di circa 180 miliardi di dollari. In Italia, non è avvenuto grazie alle regole esistenti.
Ho evidenziato questi interventi per sottolineare come sia cruciale, per la futura stabilità del sistema, che il processo di armonizzazione delle regole a livello europeo converga verso gli approcci dei Paesi che, come l'Italia, hanno dimostrato la maggiore efficacia e retto meglio di altri alla crisi. Non si può armonizzare al ribasso: le conseguenze potrebbero essere peggiori di quelle che abbiamo già constatato.
Come detto in premessa, la crisi ha fatto emergere una serie di ulteriori obiettivi da raggiungere o lacune da colmare per rafforzare il sistema finanziario internazionale. Tra gli altri, la necessità di riflettere profondamente e di porre dei limiti a certi comportamenti, che si sono diffusi sui mercati, concernenti la remunerazione degli organi societari e, in generale, del personale la cui attività ha un riflesso sul profilo di rischio dell'impresa.
Da più parti è stata sottolineata l'esigenza di evitare che politiche eccessivamente sbilanciate sulla realizzazione di risultati di breve termine possano pregiudicare la sana e prudente gestione delle imprese, incoraggiando l'assunzione di un'eccessiva esposizione al rischio. Mi sembra che proprio oggi si stia cercando di definire questo aspetto.
Dopo le recenti raccomandazioni della Commissione europea, l'Isvap è intervenuto con uno schema di regolamento, attualmente in pubblica consultazione, in cui si prevede un maggior coinvolgimento degli azionisti nella definizione e nel controllo delle politiche e dei piani di remunerazione. Le imprese di maggiori dimensioni, o più complesse, dovranno costituire un comitato remunerazioni, composto in maggioranza da consiglieri indipendenti, che sarà di ausilio al consiglio di amministrazione per la definizione delle politiche retributive.
Conformemente agli indirizzi comunitari, è stato previsto che le componenti fisse e variabili delle retribuzioni siano bilanciate e che l'importo complessivo
della componente variabile sia basato su un'adeguata combinazione dei risultati ottenuti dal singolo e dei risultati complessivi dell'impresa o del gruppo di appartenenza. Alle imprese viene riconosciuta ampia flessibilità in materia di attribuzione di incentivi economici. In particolare, esse disporranno della facoltà di non erogare o di richiedere la restituzione dei bonus già erogati, al ricorrere di particolari condizioni. Sono a tutti note le polemiche infuriate negli Stati Uniti, dove gli istituti falliti o ammessi al concordato preventivo non sono riusciti ad evitare l'erogazione di milioni di dollari a favore dei soggetti che li avevano trascinati in tali situazioni.
Come parte del pacchetto di misure volte a fronteggiare la crisi, il recente regolamento UE sulle agenzie di rating mira a colmare le lacune derivanti dall'assenza di un'organica disciplina. L'autoregolamentazione, infatti, non ha costituito una soluzione adeguata ed affidabile ed ha evidenziato carenze strutturali rilevanti. Il regolamento persegue quattro obiettivi: garantire un quadro di registrazione e vigilanza a livello europeo che possa evitare fenomeni di forum shopping, di arbitraggio regolamentare tra i diversi Paesi della UE, prevedendo che gli intermediari finanziari e le imprese di assicurazione europei possano utilizzare a fini regolamentari unicamente rating emessi da agenzie soggette a vigilanza; affrontare il tema dei conflitti di interesse, prevedendo regole per rafforzare l'indipendenza delle agenzie e la prevenzione dei conflitti di interesse (regole di governance e regole che vietano operazioni sulle società di cui
si effettua la valutazione); migliorare la qualità del rating, prevedendo che le agenzie rendano pubbliche le metodologie e le principali ipotesi utilizzate nel processo di assegnazione del rating (capita, infatti, di leggere valutazioni che non trovano rispondenza nella realtà) e, in particolare, distinguano i rating attribuiti a prodotti finanziari strutturati da quelli riferiti a prodotti tradizionali; migliorare la trasparenza, prevedendo che le agenzie di rating pubblichino annualmente una relazione di trasparenza contenente informazioni sugli aspetti che garantiscono l'indipendenza e la qualità dei rating forniti.
Un ampio dibattito - tuttora in corso - riguarda poi la relazione tra i principi contabili internazionali IAS/IFRS e la crisi finanziaria. Sebbene ci sia pressoché unanime consenso nel ritenere che i principi IAS non siano stati la causa della crisi, come inizialmente è stato ipotizzato, è ampiamente riconosciuto come essi abbiano contribuito ad amplificare la crisi, determinando pericolosi effetti prociclici.
L'International Accounting Standards Board (IASB), nell'ottobre 2008, ha apportato una parziale modifica allo IAS 39 (il principio contabile riguardante la valutazione degli strumenti finanziari), consentendo di riclassificare alcuni titoli valutati al fair value in altre categorie in cui è prevista la valutazione al costo. Nell'aprile 2009 il Comitato ha avviato un più ampio progetto di rivisitazione dello IAS 39, che dovrebbe portare all'emanazione, in tempo per la redazione dei bilanci 2009, di un nuovo principio meno complesso e «migliorato» in tutti gli aspetti di vulnerabilità che la crisi finanziaria ha reso evidenti. Uno degli aspetti più delicati è fino a che misura i principi contabili debbano affrontare questioni di stabilità. In particolare, si sta discutendo sull'opportunità di introdurre la possibilità di accantonare fondi durante le fasi espansive del ciclo economico per coprire
eventuali perdite che si registreranno nelle fasi recessive (cosiddetta dynamic provisioning). Si tratta di un orientamento su cui l'Ecofin ha messo un sigillo importante, assegnando allo IASB il compito di emanare, entro ottobre 2009, una bozza di documento in materia di accantonamenti (provisioning), ribadendo, sul piano generale, l'esigenza prioritaria di emendare i criteri contabili in direzione di una maggiore flessibilità.
Anche nel campo delle regole contabili l'esperienza italiana può essere un riferimento importante. I decreti-legge anticrisi adottati dal Governo, che è intervenuto sui criteri di redazione dei bilanci d'esercizio e delle relazioni semestrali del settore assicurativo (ancora assoggettati alla disciplina
contabile italiana, mentre quelli dei gruppi sono soggetti ai principi contabili internazionali), ed i relativi regolamenti di attuazione emanati dall'Autorità, hanno contribuito a preservare la stabilità del sistema, attenuando gli effetti prociclici di alcune regole contabili e mantenendo comunque un adeguato livello di trasparenza dei bilanci e d'informativa ai terzi.
Con specifico riferimento al settore assicurativo, un passo importante nella definizione del nuovo assetto di regole e pratiche di vigilanza è rappresentato dalla recente approvazione della direttiva Solvency II, che entrerà in vigore nel 2012.
La direttiva segna un cambiamento radicale nelle modalità di calcolo dei requisiti patrimoniali (maggiormente basati su tutti i rischi effettivamente assunti dall'impresa o dal gruppo nello svolgimento dell'attività) e, per i supervisori, prevede una vigilanza più coordinata sui gruppi ed un rafforzamento dei poteri del group supervisor (per Generali, in Italia, l'Isvap). Per alcuni aspetti, tale impianto ha già potuto tener conto delle lezioni della crisi, ad esempio in materia di prociclicità: l'innovativa soluzione prevista nella direttiva Solvency II rappresenta il primo caso di regolamentazione che affronta direttamente tale tematica.
Senza entrare troppo nel dettaglio, sono stati previsti: un requisito di capitale per le partecipazioni strategiche, calibrato in maniera diversa da quello richiesto per la detenzione di titoli azionari finalizzata al trading, per tener conto della natura di lungo periodo dell'investimento; un meccanismo di perequazione (il cosiddetto Pillar I dampener) che modifica il patrimonio di vigilanza richiesto alle imprese a fronte dei propri investimenti azionari in funzione del ciclo economico, riducendolo nei periodi di forti diminuzioni dei mercati finanziari ed aumentandolo nelle fasi di ripresa. Sono stati inoltre inseriti elementi di flessibilità (con il cosiddetto Pillar II dampener) che consentono, in situazioni eccezionali di crisi, tempi più ampi per il ripristino dei requisiti patrimoniali che fossero ridotti per effetto della crisi.
L'attuazione della direttiva Solvency II richiederà un forte impegno alle imprese, ma anche e soprattutto all'Isvap, che sarà chiamato a far fronte a nuovi e più complessi compiti, primo fra tutti quello di valutare e validare gli specifici modelli utilizzati dalle compagnie per calcolare i requisiti di capitale in funzione dei rischi del proprio business. Rispetto a quelli standard, le compagnie potranno elaborare, in relazione alle loro esigenze specifiche, modelli propri, la cui utilizzazione sarà soggetta, però, alla nostra approvazione. Poiché dovremo entrare molto di più nelle articolazioni delle singole compagnie e dei singoli gruppi, si porrà anche un problema di rafforzamento delle specializzazioni presenti all'interno dell'Istituto.
Sempre con riferimento al settore assicurativo è da segnalare l'incompletezza del quadro contabile di riferimento in ambito internazionale, carente di una disciplina organica ed armonizzata in materia di contratti di assicurazione e dei criteri di valutazione degli impegni che conseguono alla loro commercializzazione (riserve tecniche).
Le difficoltà incontrate dallo IASB nell'applicazione del quadro di riferimento generale al progetto assicurazioni sono da ricondurre alla complessità e specificità del contratto assicurativo. Si pensi che i lavori, iniziati nel lontano 1997, sono destinati a prolungarsi almeno fino al 2012.
La direttiva Solvency II prevede un rafforzamento ed un maggior coordinamento della vigilanza sul gruppo, con l'istituzionalizzazione della collaborazione dei supervisori competenti per la vigilanza delle società aderenti ai gruppi transfrontalieri, attraverso i cosiddetti «collegi dei supervisori» (colleges of supervisors). In realtà, tale collaborazione esiste già da tempo nel settore assicurativo, attraverso i cosiddetti comitati di coordinamento, posti in essere volontariamente, in ambito europeo, in esecuzione del Protocollo di collaborazione tra supervisori assicurativi europei, sottoscritto a Helsinki nel 2000, a seguito dell'adozione della direttiva sui gruppi assicurativi del 1998.
Le attuali forme di collaborazione tra supervisori nazionali saranno quindi rafforzate, sulla base di un vero e proprio quadro di riferimento normativo entro cui disciplinare l'azione congiunta di vigilanza. Questo è il vero obiettivo da conseguire, evidenziato anche dalla recente crisi dei mercati: la collaborazione tra supervisori a livello sia europeo sia intersettoriale. Non vi sarà disegno della vigilanza che tenga se non si riuscirà ad instaurare forme sempre più incisive ed efficaci di collaborazione tra autorità. Per realizzare ciò occorre certamente una cornice giuridica adeguata, ma occorrono soprattutto la consapevolezza e la seria volontà, da parte degli attori, di porre in essere quotidianamente tale collaborazione.
La collaborazione tra autorità di vigilanza si esplica sul piano nazionale, a livello intersettoriale, con la Banca d'Italia e la Consob, nell'ambito di tavoli tecnici congiunti nelle varie materie. Cito, in particolare, due forme di collaborazione che mi sembra abbiano dato e stiano dando buoni risultati: il tavolo tecnico sui conglomerati finanziari ed il tavolo tecnico per l'applicazione omogenea dei principi contabili internazionali IAS/IFRS.
Ritengo poi che i lavori svolti nell'ambito del Comitato di salvaguardia della stabilità finanziaria, presieduto dal Ministro dell'economia e delle finanze, a cui partecipano Banca d'Italia, Consob e Isvap, abbiano fornito un fattivo contributo per la gestione dell'impatto della crisi sul sistema finanziario italiano.
Concludendo, l'Istituto crede fortemente nell'esigenza di costituire un unico, nuovo assetto di regole e pratiche di vigilanza che sia davvero europeo.
Si ribadisce la valutazione positiva sull'architettura del sistema di supervisione approvato, ciò anche in quanto esso tiene conto delle specificità del settore assicurativo. Non si sarebbe reso un buon servizio alla collettività se non si fosse tenuta in adeguata considerazione la peculiarità del settore, ignorando, tra l'altro, quanto l'impatto della crisi ha dimostrato.
È, naturalmente, di assoluto rilievo realizzare idonei meccanismi di funzionamento delle istituzioni coinvolte e, quindi, garantirne la concreta operatività. L'auspicio è che ciò avvenga con determinata sollecitudine, tenendo anche conto delle lezioni apprese dalla recente crisi. Quello che c'è ancora da fare è ancora più importante, forse, di ciò che è stato fatto.
Appare, quindi, necessario: che le riforme in discussione riescano a dare una dimensione europea alle politiche di vigilanza, evitando lacune nei controlli, assicurando azioni preventive attraverso l'affinamento degli strumenti di analisi e valutazione dei rischi, nonché l'effettuazione di periodici stress test; rafforzare gli strumenti di carattere anticiclico che consentono di accumulare patrimonio nelle fasi positive dei mercati da utilizzare, in seguito, in presenza di condizioni economiche sfavorevoli; costruire una vigilanza sui gruppi transfrontalieri veramente integrata con i collegi dei supervisori, che riesca ad agire con la stessa tempestività ed efficacia delle verifiche condotte a livello nazionale; rivisitare il sistema delle remunerazioni e degli incentivi, in modo che non premino comportamenti irresponsabili ed opportunistici.
L'uniformità delle regole e delle prassi di vigilanza a livello europeo e l'introduzione di un livello adeguato di regolamentazione rappresentano obiettivi primari delle riforme in corso. Sarebbe deleterio se l'armonizzazione avvenisse in termini compromissori, livellando verso il basso le regole e le prassi di vigilanza. Peraltro, queste devono avere la finalità di mettere i mercati in grado di funzionare adeguatamente, senza soffocarne l'operatività.
Vi ringrazio dell'attenzione.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
COSIMO VENTUCCI. Innanzitutto, ringrazio il presidente Giannini per il contributo da lui offerto sul rafforzamento del sistema europeo di vigilanza finanziaria.
Uno dei passaggi importanti della riforma riguarda la decisione di non rivoluzionare il sistema attuale - ad esempio,
istituendo un'unica autorità, come nel Regno Unito, ovvero due, una per le banche, l'altra per i settori mobiliare e assicurativo, come ha fatto l'Olanda -, ma di riorganizzarlo sulla base di modelli evolutivi. Credo che questo sia un punto estremamente importante. Operando in tal modo, si eviterà, probabilmente, che si consolidi ulteriormente la prevalenza di un modello di organizzazione ispirato al common law - aspetto al quale ha accennato ieri il presidente della Consob -, in nome di una possibile esperienza europea finalizzata alla realizzazione di una cornice giuridica adeguata, secondo quanto lei, presidente Giannini, ha auspicato concludendo la sua relazione.
Siamo pienamente d'accordo, inoltre, nell'attribuire quanto accaduto nel corso del 2008 all'eccessiva finanziarizzazione dei comparti bancario e assicurativo.
Tuttavia, occorre rilevare - lo fa anche lei, presidente - come si stia ipotizzando un modello astratto che sarà realizzato in tempi non certo brevi.
Parlando di vigilanza finanziaria europea, è giocoforza citare la Lehman Brothers e ciò che è successo negli Stati Uniti. Pongo brevemente una domanda, forse banale: considerata la velocità del mercato finanziario statunitense, come possiamo fronteggiare da soli - e a breve, non nei tempi lunghi programmati dal gruppo di lavoro presieduto da de Larosière - quanto sta ancora avvenendo, come apprendiamo quotidianamente dai giornali? Mi riferisco al progressivo inserimento nella finanza americana di atteggiamenti che io oserei definire abbastanza «allegri».
Peraltro, le iniziative assunte dall'Isvap, già a partire dal 2003, con il regolamento n. 29, hanno permesso di fronteggiare meglio la crisi e hanno evitato quelle débâcle che, invece, si sono verificate in altri Paesi.
I tempi, tuttavia, sono fondamentali: considerata la velocità che la tecnologia consente di raggiungere, mi chiedo come si possa fronteggiare a breve la situazione attuale.
Come hanno osservato alcuni colleghi, infatti, pare che si stia elaborando una risposta basata su organi fortemente pletorici, che appare inadeguata a confronto con la velocità decisionale degli operatori.
FRANCESCO BARBATO. Non ho che da ripetere quanto già ho dichiarato, nel corso delle audizioni del presidente della Consob e della Banca d'Italia, in ordine all'importante iniziativa della Commissione europea volta a rafforzare il sistema europeo di vigilanza finanziaria.
Tutti riconosciamo il rigore, la professionalità e la capacità delle nostre autorità di vigilanza. In particolare, sento di poter affermare che l'Istituto di via Nazionale è assurto a modello, anche rispetto alla BCE, per quanto riguarda lo svolgimento delle attività di vigilanza sugli intermediari bancari e finanziari. Per questa ragione, noi deputati del gruppo di Italia dei Valori insistiamo moltissimo sulla necessità di salvaguardare l'indipendenza e l'autonomia di simili organismi.
Anche a livello europeo, per fortuna, siamo attrezzati benissimo, dal momento che Luigi De Magistris è stato eletto presidente della Commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo.
Nelle istituzioni dobbiamo difendere questi valori irrinunciabili se davvero vogliamo il bene dei cittadini, dei consumatori e, nella fattispecie, degli assicurati. Pertanto, noi saremo feroci guardiani dell'autonomia e dell'indipendenza delle autorità di vigilanza, attuali e costituende. Relativamente a queste ultime, per la verità, devo dire che il presidente della Consob si è spinto un po' più in là rispetto a lei, presidente Giannini. Il presidente Cardia ha sottolineato, infatti, come gli sia capitato spesso di constatare il possesso, da parte dei funzionari che rappresentano gli altri Paesi in seno agli organi dell'Unione europea, di competenze e capacità maggiori di quelle dimostrate dagli omologhi italiani. Purtroppo, di guasti e degenerazioni come quello segnalato dal presidente della Consob è responsabile, in molti casi, proprio la politica, che, per la sua ossessione a lottizzare, colloca nei posti giusti le
persone sbagliate.
Pertanto - come mi è sembrato di leggere nella relazione del presidente Giannini - è importante insistere sull'autonomia e sull'indipendenza dei nuovi organi, anche a livello finanziario e organizzativo. In caso contrario, salterebbe tutto il sistema di vigilanza. La Commissione, dunque, dovrà esercitare, all'interno dello stesso, il ruolo di osservatore e non di «invasore».
Nel merito, ringrazio l'Isvap e il suo presidente soprattutto perché, se in Italia paghiamo meno degli altri Paesi la crisi finanziaria, anche sotto il profilo della solidità del nostro sistema bancario e assicurativo, è perché - bisogna riconoscerlo - da noi vi sono autorità di vigilanza (Bankitalia e Isvap) che funzionano e che hanno controllato davvero il mercato, rappresentando un punto di riferimento importante per i consumatori e per i cittadini. Negli Stati Uniti, invece, si è potuto avere un caso AIG proprio per la mancanza, malgrado l'importanza del Paese, di organismi così rigorosi e attenti come quelli che, fortunatamente, abbiamo in Italia.
Come ho già detto nelle precedenti audizioni, sarebbe il caso di valorizzare queste nostre risorse e di esportare il nostro modello in Europa. Ormai, ci rendiamo conto sempre di più che gli organismi di vigilanza - come ha evidenziato anche il presidente Giannini - devono avere una dimensione internazionale, analoga a quella assunta da fenomeni negativi come, ad esempio, le mafie. A tale proposito, vi consiglio di leggere Mafia pulita, di cui è coautore il nuovo procuratore della Repubblica di Bari. Nel libro, che sarà presentato anche alla Camera il 23 settembre, si evidenzia come la mafia ormai sia radicata nell'economia, anzi, molto spesso, si identifichi con l'economia, specialmente in alcune parti del territorio.
Nel prendere coscienza di tale realtà, mi permetto di sostenere quanto diceva il presidente Giannini (il quale fa bene, dal canto suo, a sottolineare la necessità di potenziare e rafforzare l'Isvap, soprattutto con riferimento alla direttiva Solvency II, che entrerà in vigore nel 2012) ricorrendo a un parallelismo: come per trasportare un quintale non basta una persona, ma c'è bisogno di un carrello, analogamente, per conservare gli standard di eccellenza che connotano l'azione delle autorità di vigilanza è necessario che il Parlamento e il Governo si facciano interpreti delle nuove esigenze, al fine di affrontare al meglio i problemi dei settori assicurativo e finanziario.
Infine, per quanto riguarda la separazione tra l'attività bancaria e quella assicurativa, credo che l'assicuratore debba continuare a svolgere il suo compito - oggi c'è bisogno sempre più di specialisti - e che le compagnie di assicurazione debbano pensare innanzitutto alle coperture dei rischi di individui, famiglie e aziende. Quando, infatti, le compagnie assicurative si introducono nel campo finanziario - oggi, si è troppo spesso accecati dal guadagno facile e dai percorsi da furbetti -, le conseguenze negative sono sotto gli occhi di tutti.
Invito, in particolare, l'Isvap ad agire in modo rigoroso e serio, come ha fatto finora.
ALBERTO FLUVI. Innanzitutto, come gli altri colleghi, vorrei ringraziare il presidente Giannini per le considerazioni offerte alla Commissione, le quali, ne sono sicuro, saranno utili per il nostro lavoro. Mi auguro che, dopo le audizioni del direttore generale della Banca d'Italia, nonché dei presidenti della Consob e dell'Isvap, la Commissione approvi un documento che riassuma il dibattito e i suoi esiti, in modo che il Governo ne possa tenere conto.
Ciò premesso, desidero svolgere una considerazione di carattere generale che ho già sviluppato nelle precedenti audizioni - vorranno scusarmi i colleghi, i quali saranno costretti ad ascoltarla per la terza volta - e che considero utile per inquadrare meglio il ragionamento e lo stesso lavoro della Commissione. Ho l'impressione che, a mano a mano che ci allontaniamo dall'epicentro della crisi - siamo ormai a metà settembre, e la Lehman Brothers è fallita circa un anno fa -
si stia verificando una sorta di allentamento della tensione e dell'impegno comune che avevano fatto da sfondo ai primi interventi assunti, a livello mondiale, per fronteggiare la crisi.
Ricordiamo tutti, ad esempio, le azioni coordinate della Federal Reserve, della Banca centrale europea e della Banca d'Inghilterra, le diverse riunioni del G20, del G7 e via dicendo. Mi sembra, invece, che distanziandoci da quello che ho definito epicentro della crisi, il riemergere dei particolarismi nazionali stia progressivamente avendo il sopravvento sulla necessità, che mi sembra largamente condivisa anche da lei, presidente, di un coordinamento a livello internazionale, o almeno europeo.
L'obiettivo di questa serie di audizioni, relative al tema, a mio avviso molto importante, della riorganizzazione del sistema europeo di vigilanza finanziaria, è quello di dare un sostegno al Governo - se lo riterrà opportuno - per far progredire il più possibile il coordinamento fra i diversi Paesi membri.
Mi accontenterò, in questa fase, di vedere compiuto il primo passo, e mi asterrò dal protestare se non si raggiungerà l'obiettivo al 100 per cento, purché, però, si vada in quella direzione. Il nostro contributo sarà quello di sollecitare non soltanto un rafforzamento del coordinamento tra le diverse autorità di vigilanza - del resto, ci sono già comitati di terzo livello, come sapete meglio di me -, ma addirittura la costruzione di un'architettura che preveda in prospettiva, magari anche attraverso la modifica dei trattati, la costituzione di vere e proprie autorità di vigilanza di livello europeo. Mi rendo conto che si tratta di delineare un percorso di lungo termine, ma mi sembra che il lavoro svolto dal gruppo ad alto livello presieduto da de Larosière - le cui raccomandazioni sono state recepite dalla Commissione europea, la quale ha elaborato proposte che saranno discusse, il prossimo fine
settimana, anche dal G20 - vada, sia pure lentamente, proprio nella direzione auspicata.
Ho preso atto positivamente, presidente Giannini, di quanto ha affermato stamani sulla ripresa della raccolta netta. Aprendo il giornale di oggi, però, mi ero un po' preoccupato, perché un report di Moody's sul sistema assicurativo italiano - ovviamente, lei parla di dati reali, Moody's di prospettive, immagino - si esprimeva in maniera diametralmente opposta. Leggo, dunque, con soddisfazione i dati riportati nella sua relazione.
Presidente, lei ha sempre dichiarato - anche con un certo orgoglio, e sembra che i fatti le diano ragione - che il sistema assicurativo italiano, come quello bancario, ha reagito meglio di altri agli effetti della crisi. Pertanto, ha assorbito meglio anche il crac della Lehman Brothers e delle banche islandesi, che mi pare sia costato, non tanto agli assicurati quanto al sistema assicurativo, 600 milioni circa, a fronte di svariati miliardi o di interventi pubblici in altri Paesi. Ebbene, vorrei sapere quanto hanno influito, dal suo punto di vista, IAS, fair value, mark to market e via dicendo sui bilanci delle nostre compagnie.
Una considerazione, che mi sembra largamente condivisa in questa Commissione, riguarda la pletoricità degli organismi costituendi, che rischia di incrementare la burocrazia. Per intendersi, basta fare riferimento al Comitato per i rischi sistemici, che avrà circa una sessantina di componenti: è molto difficile gestire la vigilanza macroprudenziale con un numero così ampio di persone.
Lei sa, inoltre, che le direttive europee sono state recepite, com'è normale, in maniera anche molto diversa. Ieri facevo riferimento, nel corso dell'audizione cui ha partecipato il presidente della Consob, alla direttiva OPA, ma potremmo citarne altre riguardanti in maniera specifica il settore assicurativo e, volendo, potremmo allargare il discorso alle diverse fiscalità di vantaggio vigenti nei singoli Paesi europei. Ad esempio, lei sa meglio di me, presidente, per avere lavorato assiduamente nel settore, che non c'è compagnia assicurativa italiana o istituto di credito che non abbia una sede in Irlanda.
Orbene, quale rapporto esiste tra il necessario coordinamento delle autorità di vigilanza a livello europeo - fino alla costituzione di una vera e propria agenzia che regoli il sistema assicurativo, ovvero fino alla necessaria predisposizione di una sorta di manuale delle regole europee - e la libertà dei singoli Stati di recepire le direttive all'interno del proprio ordinamento?
IVANO STRIZZOLO. Molto brevemente, anch'io mi associo ai ringraziamenti che i colleghi hanno rivolto al presidente Giannini e ai suoi validi collaboratori per la dettagliata esposizione, che evidentemente fornisce il punto di vista dell'Isvap in ordine a questo percorso necessario, ma complesso, volto al rafforzamento della vigilanza europea nel settore finanziario.
Credo sia anche giusto che l'Isvap, attraverso il suo presidente, rivendichi il merito di avere molto attenuato - con alcune scelte operate negli anni scorsi - l'impatto della crisi finanziaria sulle compagnie italiane.
Le rivolgerò rapidamente due o tre domande, presidente Giannini. In primo luogo, tutti condividiamo la necessità, al fine di uniformare e armonizzare i controlli, di un rafforzamento delle direttive e delle regole di livello europeo, lasciando ovviamente che le autorità nazionali le traducano concretamente nei propri ordinamenti con un necessario margine di flessibilità.
È chiaro, però, che si pone un problema politico, anche se non è certamente l'Isvap che deve intervenire da questo punto di vista. Ieri, ascoltando il professor Cardia, è emersa la necessità che gli Stati membri cedano parte della propria sovranità proprio per assicurare l'effettiva realizzazione di un quadro di regole comuni e condivise.
Tra l'altro, condivido che, come hanno detto anche altri colleghi, sia riconosciuta una specificità del settore assicurativo. Vi è certamente la necessità, anche nel nostro Paese, di una riorganizzazione delle varie authority, ma personalmente non approvo l'ipotesi - che pure circola - di una forzata aggregazione che potrebbe interessare l'Isvap. Lo dico perché il settore assicurativo, sebbene sia compenetrato con quello bancario e finanziario, conserva, tuttavia, una sua peculiarità.
Come dicevo, è importante che vi sia la volontà politica, da parte degli Stati membri dell'Unione europea, di perseguire il rafforzamento delle regole comuni e condivise, per aumentare il grado di tutela e di trasparenza nella gestione di attività rilevanti sia per gli investitori sia per la stabilità dei mercati.
In tale contesto, pur condividendo l'obiettivo strategico di fondo, intravede lei, presidente, il rischio - al quale ha fatto riferimento anche il collega Fluvi - di un'eccessiva burocratizzazione all'interno della nuova architettura del sistema di vigilanza finanziaria?
Anche se non riguardano direttamente il tema di cui ci occupiamo oggi, le sottopongo brevemente altre due questioni, presidente. Cosa può dirci l'Isvap in merito alla sentenza della Corte costituzionale n. 180 del giugno di quest'anno, che sta creando difficoltà a chi opera nel settore? Le chiederei, inoltre, anche soltanto un accenno ai risultati complessivi, secondo l'Isvap, prodotti dall'applicazione di normative come quelle recate dal cosiddetto decreto «Bersani-bis». Qualcuno afferma, infatti, che alla fine del percorso i clienti virtuosi rischiano di pagare di più rispetto ai meno virtuosi.
Mi rendo conto che questi due ultimi riferimenti esulano dall'oggetto dell'audizione, ma le chiederei comunque di darmi, se crede, presidente, una risposta in proposito.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Giannini e i colleghi che hanno partecipato all'audizione.
Vorrei approfondire, presidente Giannini, un elemento della sua relazione che non mi convince. Ricordo che, quando procedemmo a una prima stima degli effetti prodotti dalla crisi finanziaria, lei stesso, riferendosi al peso per il sistema derivante dal crollo della Lehman
Brothers, aveva parlato di circa 1 miliardo e 200 milioni. Ora, invece, sostiene che, in realtà, le posizioni sono state chiuse per il 90 per cento e che il costo è stato soltanto di 600 milioni. Ci sono due possibilità: o si è sbagliato nella previsione o nel bilancio.
GIANCARLO GIANNINI, Presidente dell'ISVAP. Mi sono sbagliato ora; ho pronta la rettifica.
PRESIDENTE. Mentre l'onorevole Fluvi parlava degli effetti della crisi, mi è venuto in mente che i dati a nostra disposizione erano diversi.
Dalla sua relazione, presidente, si evince che prima della crisi c'era uno scarso coordinamento fra le diverse autorità nazionali, ognuna gelosa della propria sfera di competenza e del mercato di riferimento, nonché indisponibile a condividere informazioni che si sarebbero potute rivelare utili per fronteggiare meglio la crisi.
Ora, invece, lo schema proposto dal gruppo ad alto livello presieduto da de Larosière mette in campo una sorta di coordinamento tra le autorità. Al riguardo, le chiedo se l'istituzione di un semplice comitato di coordinamento sia idonea a garantire che l'atteggiamento precedente - sostanzialmente, la gelosia dei singoli Paesi nella conservazione dei dati - venga messo da parte per andare verso una collaborazione effettiva.
Immagino che quando è stato dichiarato il fallimento di Fortis, ad esempio, qualcuno dovesse esserne a conoscenza. Vi sono stati scambi di informazioni tra le varie autorità, oppure ci si è trovati di fronte all'improvviso manifestarsi di un problema che esisteva, ma di cui nessuno era al corrente? Dalla sua relazione, presidente, si evince la mancanza di una reale collaborazione fra le autorità: pensa che coordinandole tutte possa cambiare qualcosa?
Do la parola al nostro ospite per la replica.
GIANCARLO GIANNINI, Presidente dell'ISVAP. Non è soltanto il rispetto dovuto all'onorevole presidente che mi induce a dare la precedenza, nella mia replica, alle sue osservazioni, quanto l'esigenza di rettificare il dato relativo alla Lehman Brothers e alle banche islandesi. In effetti, i 600 milioni, che io ho erroneamente ricordato, rappresentavano il primissimo impatto verificato dall'Autorità, peraltro senza tenere conto degli effetti ascrivibili alle banche islandesi, prodottisi soltanto in un secondo momento. Confermo che la cifra complessiva, assorbita prevalentemente dalle imprese, è stata di 1 miliardo e 300 milioni.
Per quanto riguarda il coordinamento internazionale, sono stati evidenziati il problema di un'eccessiva burocratizzazione e la presenza di troppe autorità a livello internazionale. Quando ho parlato di modello astratto, la mia intenzione era di mettere assolutamente in evidenza che dal mio punto di vista - come già dichiarato - il modello è condivisibile, ferma restando la necessità di verificare come sarà reso operativo. Insomma, occorrono regole che consentano al nuovo sistema di funzionare effettivamente.
Si tratta di un modello da realizzare non nel lungo termine, ma a brevissima scadenza; ho parlato di «determinata sollecitudine» perché si parla di attivarlo entro l'anno. Proseguire per tre anni, per arrivare a un diverso modello - come da taluni, giustamente, auspicato -, non è, a mio avviso, la strada più opportuna.
Nella Comunicazione del 27 maggio 2009 la Commissione europea ha scritto esattamente che il dibattito in corso in molti Paesi del mondo non aveva evidenziato quale struttura di vigilanza fosse la migliore. Ad oggi, quindi, ci stiamo esprimendo ciascuno in base ai propri auspici e alle proprie esperienze. Non voglio dire, con questo, che con un modello diverso non si sarebbero potuti ottenere certi risultati, che sono stati raggiunti, ma mi piace sottolineare che, forse, abbiamo potuto realizzare alcuni interventi proprio perché abbiamo avuto ben presente una determinata tipologia di modello assicurativo.
Inoltre, l'esperienza ha dimostrato - c'è dottrina anche in questo campo - che i modelli basati su una suddivisione per finalità finiscono per assorbire troppo dal mondo bancario, che tende a diventare prevalente, mentre rischiano di risultare deficitari per quanto riguarda il mondo assicurativo. In Europa, tra l'altro, al momento c'è solo il caso olandese, mentre in Inghilterra si è sperimentata l'autorità unica, ma sono già state avanzate proposte di modifica. Come ho detto in precedenza, infatti, l'autorità unica può essere un'opzione valida, ma la mia profonda convinzione è che vi debba essere comunque una distinzione settoriale, ossia proprio l'opposto della trasversalità.
In Inghilterra, dove esiste la FSA (Financial services authority), è fallita la prima importantissima compagnia assicurativa vita, vale a dire Equitable life. È stato un dramma: sono finite sul lastrico migliaia di persone che hanno perso i propri risparmi. Il modello, dunque, non rappresenta di per sé una garanzia, come ha sottolineato anche la Commissione europea.
La nostra non è stata una rivendicazione di merito, dal momento che siamo consapevoli di compiere esclusivamente il nostro dovere, lavorando ogni giorno al meglio delle nostre possibilità.
Rilevo, tuttavia, come l'Istituto sia costretto a difendersi, ormai da alcuni anni, da attacchi che mirano a condurre ad una certa conclusione, oltretutto mettendo in una situazione, se non di debolezza, certamente sgradevole - devo confessarlo - soprattutto gli operatori (tralasciando me, che per molte ragioni credo di essere, per così dire, un po' al di sopra del problema). Del resto, se si deve essere autorevoli, bisogna che ci sia un minimo di riconoscimento, soprattutto da parte del supremo organo istituzionale del Paese, da voi rappresentato.
Non ho parlato, in ogni caso, di modello astratto; ho auspicato, piuttosto, una sollecita determinazione.
Quanto alla finanza americana, la sensazione è che effettivamente vi sia una preoccupante attenuazione del proposito, portato avanti con assoluta fierezza, di fare in modo che la crisi non abbia a ripetersi. A mio avviso, non si sta verificando un fenomeno analogo in Europa. Devo ricordare, inoltre, che i meccanismi americani hanno palesato un certo indice di fragilità e la presenza di collusioni tra interessi rilevanti.
La nuova vigilanza dovrebbe partire da gennaio del prossimo anno. Auspicherei una non ingerenza della Commissione europea, che ritengo particolarmente necessaria, come hanno evidenziato quanti hanno fatto un giustissimo richiamo all'indipendenza e all'autonomia. Un'autorità indipendente non può essere al servizio di nessuno. L'affermazione non è da ricondurre a un moto di interessata esaltazione delle autorità indipendenti: se queste fossero al servizio di qualcuno, avrebbero esaurito la propria funzione. Con le leggi è possibile istituire, modificare o sopprimere un'autorità; tuttavia, quando questa deve operare, deve poterlo fare in maniera indipendente. A tale proposito, ringrazio l'onorevole Barbato anche per le espressioni di apprezzamento che molto cortesemente ci ha voluto riservare.
Poiché il modello abbracciato dai Paesi di common law non ha dato buon esito, non può essere preso a esempio da noi, almeno sulla base delle risultanze emerse dalla crisi. Può darsi che quando l'avranno modificato, come sta avvenendo, avremo tutto da imparare, ma al momento non è così: la struttura adottata nei predetti Paesi, se non è attuata bene, non serve.
Per rispondere alla domanda dell'onorevole presidente relativa alla garanzia di una maggiore condivisione dei dati, osservo che delle costituende autorità faranno parte soggetti con elevata professionalità. Inoltre, esisterà un board, con proprie responsabilità, cui affluiranno i dati. A meno di una mistificazione delle informazioni, che mi auguro non si verifichi, non è più possibile sottrarsi alla condivisione delle stesse. Poiché già è stato adottato il sistema dei cosiddetti CoCo Meeting, ci incontriamo in diverse occasioni. Nel caso delle Generali, ad esempio, hanno partecipato i rappresentanti di
trentasei Paesi, europei e internazionali, analogamente a quanto è avvenuto in Germania per Allianz o in Francia per Axa. Una sorta di tentativo di collaborazione, dunque, attualmente esiste. Con la riforma del sistema di vigilanza finanziaria la collaborazione è istituzionalizzata e, soprattutto, dà modo di recepire regole comuni.
Nel 2004, nel corso di un'audizione parlamentare, posi proprio l'accento sul rischio delle polizze assicurative emesse da società esterovestite, espressione di gruppi bancari o assicurativi italiani, ma con sede legale all'estero. Applicandosi, in tali casi, il principio dell'home country control, i prodotti possono essere meno garantiti nei confronti dei nostri utenti assicurati. La nuova architettura del sistema di vigilanza dovrebbe eliminare tale fenomeno. Comunque, la crisi sta facendo chiudere diversi degli istituti cui ho fatto cenno. Le polizze di ramo III sono in netto ribasso, perché ora le persone vogliono garanzie e sicurezza: si accontentano di rendimenti magari modesti, ma vogliono la certezza che i soldi investiti non vadano perduti.
Queste esigenze consentono di coniugare stabilità e trasparenza. Su questo versante ci siamo impegnati molto. Quando vietiamo la commercializzazione di certi prodotti o la sospendiamo, infatti, non lo facciamo soltanto perché la rappresentazione non era adeguata. Chi meglio di coloro che controllano il prodotto nella sua struttura tecnica può dare giudizi sulla trasparenza? Noi per primi ci siamo inventati la scheda sintetica, in aggiunta a quei «malloppi» - scusate il termine - che nessuno legge.
Noi non ci preoccupiamo del fatto che il prodotto, se ben rappresentato e ben evidenziato anche nelle sue carenze, arrivi sul mercato. Quel prodotto, secondo la struttura attuale, non deve arrivare sul mercato. Non ci si può affidare, infatti, alla conoscenza che il soggetto, che poi è ignaro, può acquisire autonomamente. In Italia non c'è stato, come invece è accaduto in altri Paesi, un caso Madoff (una becera truffa che ricorda la catena di Sant'Antonio, che peraltro è stata inventata proprio in Italia).
Sto cercando di essere sintetico, ma non vorrei dare la sensazione di non voler rispondere o di sfuggire al confronto.
Relativamente alla sentenza della Corte costituzionale, ci viene chiesto insistentemente di esprimerci. Orbene, vi pare che l'Isvap possa intervenire nell'interpretazione di una legge da parte della Consulta? Non siamo in grado di farlo. Sarà importante l'interpretazione che daranno della sentenza i giudici di merito e la dottrina.
Possiamo dire, tuttavia, che la pronuncia ha inferto un notevole vulnus al sistema del risarcimento diretto. Ricordo che anche in questa sede, quando si parlò di RC auto, tutti erano convinti che tale modalità dovesse essere portata avanti - come sta avvenendo con buoni risultati -, perché avrebbe ridotto i tempi di liquidazione e, introducendo il forfait, avrebbe dato uno stimolo enorme alla virtuosità della liquidazione. Se un danneggiato può rivolgersi indifferentemente all'uno o all'altro assicuratore, è impossibile far funzionare il risarcimento diretto. A mio avviso, dunque, si tratta di un problema squisitamente tecnico. Basterebbe prevedere espressamente che i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento «soltanto» alla propria impresa di assicurazione.
Per quanto riguarda la RC auto, il sistema sanzionatorio è diventato veramente pesante per il mercato. Si pensi che, ad agosto, abbiamo incassato 33 milioni di euro, che non vanno all'Isvap, ma sono versati alla Consap Spa - Gestione autonoma del Fondo di garanzia per le vittime della strada e all'erario (nel caso di sanzioni applicate per infrazioni non relative alla RC auto). Ciò dimostra che le compagnie devono investire sul sistema di liquidazione, utilizzando il risarcimento diretto e le polizze con risarcimento in forma specifica. Il mercato si stava anche orientando, a mio avviso positivamente, verso joint venture con carrozzerie e grandi officine di riparazione, nonché in
direzione dell'acquisto dei pezzi di ricambio all'ingrosso e non al minuto, a vantaggio dell'utenza e dei bilanci delle compagnie.
In un periodo di crisi, soprattutto per il ramo vita (ma questo riguarda tutti i Paesi), quando i BOT a rendimenti prossimi allo zero sono così appetiti, ciò che funziona sui rendimenti della finanza non può non essere un po' in difficoltà. Tuttavia, si andrà avanti. A proposito del ritorno, nel ramo I, alla polizza tradizionale con garanzia, taluni hanno definito problematiche le forme di copertura con asset specifici. Da una nostra indagine, non ricordo se effettuata a luglio o ad agosto, è risultato, tuttavia, che tali polizze rappresentano soltanto il 5 per cento del totale.
Io ho fiducia nel futuro. Certo, il mercato deve in parte ristrutturarsi, intraprendendo determinate azioni. Mentre prima si era, secondo me, sulla buona strada, adesso l'impatto della crisi è notevole. Ciò nonostante, nessuna compagnia è fallita e le risorse sono state investite. È vero che le banche e le assicurazioni italiane hanno reagito meglio. In particolare, nessuna compagnia assicurativa italiana ha avuto bisogno di un euro dallo Stato. Quindi, quello assicurativo è un settore di per sé solido, anche se, chiaramente, oggi deve impegnarsi per tornare ai livelli precedenti.
Spero di aver risposto a tutto, non dico in termini di convincimento, ma perlomeno in termini di spiegazione e di assoluta onestà intellettuale.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente dell'ISVAP e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13,50.