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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VI
22.
Giovedì 11 marzo 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Ventucci Cosimo, Presidente ... 3

Audizione del dottor Giovanni Carosio, vice direttore generale della Banca d'Italia, sulle problematiche relative all'applicazione dell'Accordo di Basilea 2 (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Ventucci Cosimo, Presidente ... 3 10 12 13
Barbato Francesco (IdV) ... 11
Carosio Giovanni, Vice direttore generale della Banca d'Italia ... 3 12
Ceccuzzi Franco (PD) ... 11
Fluvi Alberto (PD) ... 10 12

ALLEGATO: Documento consegnato dal Vice Direttore generale della Banca d'Italia, dottor Giovanni Carosio ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 11 marzo 2010


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE COSIMO VENTUCCI

La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del dottor Giovanni Carosio, vice direttore generale della Banca d'Italia, sulle problematiche relative all'applicazione dell'Accordo di Basilea 2.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del dottor Giovanni Carosio, vice direttore generale della Banca d'Italia, sulle problematiche relative all'applicazione dell'Accordo di Basilea 2.
Do quindi la parola al dottor Giovanni Carosio, vice direttore generale della Banca d'Italia, il quale è stato designato a partecipare all'audizione odierna dal Governatore della Banca d'Italia.

GIOVANNI CAROSIO, Vice direttore generale della Banca d'Italia. Grazie, signor presidente.
Le modifiche attualmente in discussione presso il Comitato di Basilea relativamente al sistema di regole noto come «Basilea 2» cercano di tenere conto della crisi manifestatasi in quest'ultimo periodo e, quindi, di apportare miglioramenti alla struttura dell'Accordo finora in vigore.
Il senso di questa mia relazione è essenzialmente quello di collegare le modifiche proposte dal Comitato ai difetti emersi durante questa prima fase di turbolenze.
Nell'attuale stadio del processo di revisione, le proposte del Comitato non possono essere lette come se si trattasse di decisioni definitive: in primo luogo, si deve ancora procedere, sulla base di una simulazione statistica, a una valutazione dell'impatto che le nuove regole dovrebbero avere; inoltre, è ancora in corso una consultazione con tutti gli attori coinvolti, che a sua volta porterà a commenti, critiche e considerazioni, di cui si dovrà tenere conto prima di giungere, entro la fine di quest'anno, alla decisione finale.
Per quanto riguarda le più rilevanti innovazioni contenute nelle proposte di modifica dell'Accordo, la prima consiste nell'aggiungere alla preesistente struttura di regolamentazione, riferita principalmente al capitale, alla quantità di patrimonio di vigilanza che le banche devono mantenere a fronte dei rischi, alcune regole concernenti la gestione della liquidità.
In effetti, il rischio di liquidità è stato fortemente sottostimato, laddove gli eventi degli ultimi due anni mostrano quanto esso possa essere forte e in grado di destabilizzare anche banche assolutamente solide dal punto di vista della solvibilità.
Si sta proponendo, in particolare, di introdurre due regole quantitative. La prima regola richiede che le banche si dotino di un ammontare di attività liquide (essenzialmente, titoli di Stato, ma la maggiore o minore estensione del novero delle «attività liquide» è uno dei principali aspetti ancora da definire) sufficiente a coprire i deflussi di cassa in condizioni di


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mercato perturbate. Si ipotizza uno scenario avverso, nel quale si verificano flussi in uscita dalle banche, e si vuole che gli intermediari siano in grado di farvi fronte con risorse proprie, senza ricorrere a fonti esterne di finanziamento, per un periodo di 30 giorni.
La parte principale delle nuove proposte riguarda, ancora una volta, il capitale.
Si lavora su due piani. Da un lato, si modifica la definizione del capitale, che deve essere costituito solamente da elementi in grado di assorbire le perdite. Si è notato che, durante la crisi, i mercati sono stati estremamente selettivi nel considerare la posizione di forza o di debolezza delle diverse banche. Nella valutazione dei mercati viene tenuto sotto osservazione il capitale nella sua definizione più ristretta, ovvero nel senso di azioni ordinarie e di riserve di utili. Le altre componenti, che pure sono computate nel patrimonio di vigilanza (come, per esempio, i prestiti subordinati, che sono crediti verso le banche subordinati a quelli degli altri creditori), sono state considerate meno rilevanti ai fini della valutazione della solidità dell'intermediario.
La definizione di capitale che viene proposta fa perno, in misura maggiore che in passato, sugli elementi di più alta qualità del patrimonio utile a fini di vigilanza. Avremo, quindi, un nuovo sistema di definizione che, innanzitutto, mantiene la distinzione tra capitale primario (Tier 1) e capitale secondario (Tier 2), rapportandoli meglio alle diverse situazioni da fronteggiare: il Tier 1 è la componente patrimoniale che serve per mantenere la banca in vita; il Tier 2 è una componente supplementare, che può servire, in caso di liquidazione, per proteggere i depositanti (in quanto aggredibile prima che siano coinvolti questi ultimi e gli altri creditori). Ai coefficienti patrimoniali minimi attualmente considerati se ne affianca uno ulteriore, riferito alla componente predominante del capitale primario, che per le società per azioni dovrebbe essere essenzialmente limitata alle azioni ordinarie e alle riserve di utili.
La Banca d'Italia ritiene che la maggiore severità nel computo delle componenti del patrimonio di vigilanza rappresenti un'evoluzione assolutamente positiva. Siamo sempre stati piuttosto restii ad accettare l'equivalenza degli strumenti ibridi, che hanno natura mista (strumenti di debito e strumenti di capitale), e abbiamo a nostra volta dato un'applicazione piuttosto restrittiva delle regole di Basilea. Il risultato di tale riluttanza, e anche dell'atteggiamento delle singole banche italiane, è che queste ultime hanno sempre fatto poco ricorso a strumenti aggiuntivi. Le modifiche proposte, quindi, non solo vanno nella direzione giusta, ma trovano il nostro sistema bancario già preparato.
Il secondo gruppo di interventi riguarda la copertura dei rischi. La crisi ha dimostrato come in alcuni segmenti di operatività i rischi fossero fortemente sottostimati. La parte più rilevante si può identificare nei prodotti strutturati, in particolare in quelli che hanno a che fare con la cartolarizzazione dei crediti. La maggior parte delle perdite registrate durante la crisi si è collocata proprio in tale settore e, più in generale, nell'attività di trading, di negoziazione sul mercato, tipica non tanto delle banche italiane, quanto di banche molto sofisticate, operanti all'estero e dedite principalmente ad attività di investment banking.
Considero inutile entrare nel dettaglio delle varie misure approntate per modificare l'apparato regolamentare. In base a stime preliminari, giacché non siamo ancora alla conclusione dello studio di impatto quantitativo, si può ragionevolmente supporre che le modifiche porteranno a un aggravio del capitale richiesto, a fronte dei rischi relativi al trading book, dell'ordine di 3 o 4 volte. Si tratta, quindi, di un incremento molto più rilevante di quello che si avrà negli altri settori più tradizionali dell'attività bancaria, con effetti che, presumibilmente, costituiranno un incentivo significativo a rivedere i modelli di business delle banche.
Un altro gruppo di interventi si riferisce alla prociclicità delle misure di adeguatezza del capitale.


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Il sistema dei requisiti patrimoniali cerca - correttamente - di stabilire un rapporto tra il patrimonio della banca e i rischi che essa assume. Il problema è che i rischi non sono costanti nel tempo, ma si aggravano in una fase di recessione. Ciò è naturale e inevitabile, e noi vogliamo che il sistema sia sensibile al grado di rischiosità dell'attività delle banche. Tuttavia, l'effetto indesiderato di un simile meccanismo è che la quantità di capitale che una banca deve detenere tende a salire nelle fasi recessive. Nella misura in cui non sia facile, in una di tali fasi, ricorrere al mercato dei capitali, il meccanismo può provocare, quindi, una contrazione dell'offerta di credito da parte delle banche.
Un primo strumento allo studio è il cosiddetto leverage ratio, per il quale le banche, indipendentemente dalla valutazione dei rischi insiti in ciascun tipo di attività, devono comunque mantenere un rapporto tra il volume complessivo delle stesse e il patrimonio. La misura incide maggiormente sulle banche specializzate in segmenti di attività che attirano poco capitale - tipicamente, ancora una volta, trading e investment banking - e mette al riparo dal pericolo che i modelli utilizzati per la valutazione dei rischi insiti in ciascuna attività non siano sempre del tutto attendibili. Lo strumento è esente dalle possibili debolezze dei modelli, in quanto fa a meno di una ponderazione del grado di rischio.
Tuttavia, aggiungere a un sistema basato sulla valutazione dei rischi un altro indicatore, che, invece, valuta le attività al loro valore nominale, potrebbe comportare problemi di coerenza tra i due meccanismi. In particolare, se il leverage ratio fosse effettivamente vincolante per la banca, nella maggior parte dei casi, verrebbe a mancare un meccanismo di valutazione basato sui rischi assunti. Si vuole, quindi, che il meccanismo aggiuntivo, basato sui valori nominali delle attività, intervenga in caso di crescita molto veloce dell'intermediazione bancaria, agendo da freno soltanto in circostanze eccezionali. Naturalmente, è facile esprimere ciò che si ha intenzione di fare in termini di obiettivi, ma molto più difficile realizzarlo in concreto. In questo caso, quindi, le simulazioni e l'analisi di impatto serviranno a capire come dovrà essere calibrato il nuovo congegno.
Nell'ambito degli strumenti che più direttamente sono tesi a limitare la prociclicità del capitale, i cosiddetti buffer anticiclici cercano di evitare che la regolamentazione finanziaria aggravi la tendenza dell'economia a passare da fasi di espansione a fasi di contrazione. Tale risultato dovrebbe essere ottenuto mediante la definizione di un articolato pacchetto di misure.
La prima, che è stata messa a punto e proposta dal Comitato europeo dei supervisori bancari (CEBS), intende colpire direttamente un elemento che scatena la prociclicità: la probabilità di fallimento delle imprese cui le banche fanno credito tende ad aumentare nelle fasi avverse, nelle fasi di recessione, e ciò comporta un aumento dei requisiti minimi di capitale che le banche devono detenere, con effetti indesiderati sul piano dell'offerta di credito.
Si agisce, pertanto, proprio alla base del meccanismo, chiedendo alle banche di adottare sistemi di rating che, anziché attribuire valore decisivo alle probabilità di fallimento delle imprese contingenti, tengano conto di un intero ciclo economico. In altre parole, sulla base delle risultanze statistiche, le banche dovrebbero cercare di calcolare una probabilità in qualche modo neutrale rispetto alla condizione ciclica del momento.
La seconda misura prevede un vincolo alla distribuzione degli utili da parte delle banche, che permetta di mantenere un cuscinetto di capitale aggiuntivo rispetto al requisito minimo. In sostanza, più le banche si allontanano dal target stabilito, maggiori sono le restrizioni alla distribuzione degli utili e all'utilizzo di fondi per remunerare i manager sotto forma di bonus. Si tratta, quindi, di un vincolo al modo di utilizzare i profitti delle banche.
Ai descritti meccanismi di conservazione del capitale potrebbe aggiungersene uno, con funzione anticiclica, che rappresenta


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l'aspetto più avveniristico dell'intero strumentario. L'idea sarebbe di guardare essenzialmente come il credito totale interno di un Paese si sviluppi rispetto al suo trend di lungo periodo, e di far scattare un obbligo per le banche di accumulare una componente aggiuntiva di capitale nelle fasi in cui la crescita del credito sia significativamente al di sopra del trend.
Il meccanismo, nella sua concezione abbastanza semplice, non sarebbe del tutto automatico, in quanto sarebbe lasciato alle autorità nazionali un certo grado di discrezionalità: si tratterebbe di discrezionalità vincolata, giacché l'accumulazione del buffer potrebbe essere evitata indicando, anche pubblicamente, le ragioni della mancata attivazione (informazioni aggiuntive potrebbero consigliare, in un dato momento, di escludere il meccanico funzionamento di tale componente della regolamentazione).
La misura permetterebbe di accumulare risorse patrimoniali aggiuntive nelle fasi di crescita eccessiva del credito aggregato, nelle fasi di euforia. La sua utilità risiede nel fatto che, durante le fasi di recessione o di crisi, le banche potrebbero decidere di utilizzare il buffer, stavolta con piena discrezionalità, per espandere il credito, con effetti anticiclici.
L'ultima proposta in materia di interventi anticiclici riguarda un aspetto collegato ai criteri contabili, che sono di competenza non delle autorità di vigilanza, ma di un organismo internazionale, l'International Accounting Standards Board (IASB).
C'è sempre stata una certa attenzione delle autorità di vigilanza per i principi contabili internazionali formulati dagli esperti contabili. Si vuole evitare che le banche, utilizzando l'argomento della prudenza, operino, a fronte di possibili perdite sui crediti, accantonamenti eccessivi, ovvero costituiscano riserve occulte, manipolando i risultati di bilancio. Si tratta di un lodevole intento, volto ad accrescere la trasparenza e la protezione degli interessi di coloro i quali investono nelle azioni bancarie.
Il problema è che il criterio finora adottato, in materia di accantonamenti a fronte dei rischi di perdite su crediti, è quello delle incurred losses, delle perdite già accertate. Se un debitore sospende i pagamenti, le banche sono autorizzate a disporre un accantonamento a fronte di una probabile perdita sul relativo credito. Un meccanismo del genere, oltre che essere poco prudente, dal momento che l'accantonamento viene fatto ex post, cioè dopo che il problema è già sorto, è fortemente prociclico, perché i mancati pagamenti si verificano soprattutto nella fasi di difficoltà, durante le quali le banche sono costrette a effettuare accantonamenti aggiuntivi.
Si sta lavorando all'idea che le banche possano fare accantonamenti a fronte delle perdite sui crediti attese. Il concetto di perdita attesa è statistico, basato sull'esperienza, ed è relativo alle singole categorie di crediti. Per ciascuna tipologia, cui è collegata una valutazione di rischiosità, si possono calcolare le perdite medie riferibili non alle condizioni correnti, ma a quelle di un intero ciclo economico. In tal modo, le banche avrebbero la possibilità di operare accantonamenti a fronte di tale valore, anche prima che un rapporto di credito manifesti anomalie.
Il dialogo tra supervisori bancari e autorità che si occupano di principi contabili è sempre stato molto difficile. Tuttavia, premesso che bisogna aspettare per valutare i risultati cui condurrà la discussione in atto, un punto di convergenza è rappresentato dal proposito, che appare assolutamente positivo, almeno in linea di principio, di passare dall'accantonamento a fronte di perdite realizzate a quello riferito alle perdite attese.
Un paragrafo della relazione è dedicato ai cosiddetti operatori sistemicamente rilevanti, che è possibile definire, in maniera più colorita, come quelle banche che sono too big to fail. Sono stati realizzati colossali salvataggi, che hanno avuto rilevanti ripercussioni sulle finanze pubbliche di molti Stati (non nel caso italiano, come ben sapete). In alcuni Paesi l'effetto è stato paragonabile a quello di una guerra. Inoltre,


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Paesi che vantano un livello di indebitamento relativamente modesto, con il passare del tempo, e con la presumibile difficoltà a rientrare velocemente da deficit elevati, si troveranno ad avere livelli di debito dell'ordine del 100 per cento, e anche di più, rispetto al PIL (in Italia accade da molto tempo, ma per altri Paesi ciò sarebbe del tutto inusitato).
Dinanzi a Governi costretti a nazionalizzare, in molti casi, le banche, ovvero a fornire loro somme colossali per evitarne il fallimento, ci chiediamo se si debba cercare di sottrarsi a quello che può apparire come un ricatto. Se le banche sono talmente grandi da ingenerare la convinzione che il loro fallimento provocherebbe il crollo dell'intero sistema finanziario, si è costretti a intervenire per salvarle o, invece, si può cercare di limitare tale necessità?
Un primo problema è quello della stessa definizione: bisogna stabilire come si fa a distinguere tra banche sistemiche e non sistemiche. Quello dimensionale sembrerebbe il criterio più ovvio, ma non potrebbe essere l'unico. Peraltro, le banche che, in passato, hanno notoriamente causato fasi di panico nei mercati non erano necessariamente molto grandi. La britannica Northern Rock (ricordate le file dei correntisti davanti alle filiali?) aveva dimensioni, tutto sommato, modeste; la Lehman Brothers, invece, era molto più grande, ma era specializzata. Il criterio dimensionale è, quindi, insoddisfacente.
Insieme a quello dimensionale, occorre tenere conto di altri due criteri, che sono stati individuati nell'interconnessione e nella insostituibilità.
Il concetto di interconnessione è abbastanza evidente. Dopo il caso della Lehman Brothers altre banche d'affari sono state salvate perché avevano relazioni con moltissimi altri istituti. In tal caso, il fallimento di una banca ha effetti di contagio. Per tradurre il concetto in termini concreti ed empiricamente rilevabili, si guarda, ad esempio, al grado di attivismo sul mercato interbancario.
Per quanto riguarda la non sostituibilità, vi sono intermediari particolarmente attivi nel sistema dei pagamenti, il cui fallimento rischierebbe di provocare crisi a catena. Si tratta di casi di specializzazione estrema, riguardanti soggetti che non potrebbero essere sostituiti sul mercato da altri intermediari.
Si sta lavorando per cercare di individuare criteri che vadano al punto cruciale, cioè che consentano di capire quanto sia necessario mantenere in vita le banche sistemicamente rilevanti e che, contemporaneamente, siano utilizzabili. Una volta in grado di identificarle, si tratterebbe di vedere come ridurre il rischio.
Sono stati ipotizzati interventi di tipo strutturale. Ad esempio, quella che adesso passa come proposta Volcker (o proposta Obama) consiste nel proibire alle banche commerciali di svolgere attività che sono più tipiche dell'investment banking. Si tratterebbe di un ritorno al modello di cui al Glass-Steagall Act, introdotto negli Stati Uniti negli anni Trenta, che separava banche commerciali e banche d'investimento. Tuttavia, il criterio è drastico e molto difficile da applicare in concreto, perché è estremamente difficile creare barriere così rigide in un sistema in cui l'innovazione propone continuamente nuovi strumenti.
Inoltre, Lehman Brothers era già una banca della seconda categoria; ciò nonostante, i disastri che il suo fallimento ha provocato lasciano facilmente immaginare che, anche puntando a operare una rigida distinzione, per trarne il corollario che soltanto le banche ordinarie verrebbero salvate, appare poco credibile che il criterio possa effettivamente funzionare in caso di crisi. Comunque, non mi sembra alta la probabilità che, alla fine, la predetta proposta sia adottata.
Sarebbe più semplice, invece, ipotizzare requisiti patrimoniali addizionali per le banche considerate sistemicamente rilevanti; l'inasprimento del regime patrimoniale avrebbe il duplice effetto di dotare tali istituti di un capitale maggiore, permettendo loro di assorbire maggiori perdite, e di disincentivare ambizioni espansive.
Altre proposte mirano non tanto a scoraggiare dimensioni o strutture molto


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complesse, quanto a individuare un sistema per facilitare la gestione della crisi. Si pensa, essenzialmente, di intervenire sulla struttura delle banche, di fare in modo che queste siano separabili in componenti, alcune delle quali sarebbero da salvare, in quanto cruciali per il funzionamento dell'intero sistema finanziario, mentre altre, prive di tale rilevanza, potrebbero essere avviate a un'ordinata liquidazione.
Quella descritta è la tecnica dei cosiddetti living wills, piani di emergenza predisposti per gestire l'interruzione di attività non vitali per la struttura sistemica. Tali misure saranno sicuramente adottate, almeno in una certa misura; infatti, anche se non è facile da realizzare, è ormai condivisa l'idea di obbligare le banche a spiegare cosa succederebbe alle proprie strutture in caso di crisi e i supervisori, a loro volta, a pianificare interventi d'emergenza. D'altra parte, ove vengano in rilievo gruppi bancari operativi in svariati Paesi, l'elaborazione di piani di emergenza implica anche accordi o forme di cooperazione tra le diverse autorità nazionali.
Desidero leggere l'ultima parte della relazione, che affronta, in maniera più dettagliata, l'importante questione dell'impatto delle nuove misure sulle banche italiane e sulla loro capacità di erogare credito.
Le banche italiane sono entrate nella crisi con un'esposizione complessivamente contenuta verso i prodotti della finanza strutturata e con una minore dipendenza dai mercati della raccolta all'ingrosso. Il nostro sistema bancario resta caratterizzato dalla netta prevalenza dell'attività di intermediazione creditizia a favore di famiglie e imprese, dal forte radicamento territoriale, da una leva finanziaria contenuta e da una struttura di bilancio nel complesso equilibrata.
Nel corso del 2009 i prestiti bancari, al netto delle sofferenze e dei pronti contro termine, si sono ridotti dello 0,7 per cento (dati corretti per le cartolarizzazioni). La diminuzione del volume dei finanziamenti ha riguardato soprattutto le imprese (-3 per cento) ed è stata più accentuata tra quelle di maggiore dimensione (con almeno 20 addetti) e nel settore manifatturiero. Il rallentamento riflette sia la bassa domanda di prestiti per l'attività d'investimento sia una restrizione delle condizioni di offerta. Il credito alle famiglie, invece, pur rallentando, ha continuato finora a crescere.
Secondo le risposte fornite dalle banche italiane che partecipano all'indagine sul credito nell'area dell'euro (bank lending survey), l'irrigidimento dei criteri adottati per la concessione di prestiti alle imprese, che aveva registrato un picco alla fine del 2008, è proseguito nel corso del 2009, sia pure con intensità decrescente, e si è sostanzialmente interrotto nel quarto trimestre. Conclusioni leggermente diverse si traggono da altri indicatori simili, desunti dai sondaggi condotti presso le imprese (inchiesta mensile dell'ISAE e indagine trimestrale Banca d'Italia e Il Sole 24 Ore), che segnalano il persistere di difficoltà d'accesso al credito, pur registrando un forte calo rispetto ai valori massimi raggiunti un anno prima. Per le imprese che hanno avuto accesso al credito va rimarcato, però, che il costo del finanziamento si è nettamente ridotto: a dicembre il tasso medio sulle erogazioni di crediti diversi dai conti correnti - mi riferisco ai nuovi prestiti, non allo stock medio dei prestiti - è stato del 2,2 per cento, rispetto al tasso di 4,5 per cento di dodici mesi prima.
Secondo la bank lending survey, il livello di patrimonializzazione delle banche e il costo del capitale hanno contribuito a determinare le condizioni di offerta del credito, ma risultano fattori secondari rispetto alle aspettative sulle prospettive generali dell'economia e alle previsioni di crescita della singola impresa o di specifici settori di attività. Si rileva, quindi, una maggiore selettività delle banche, ma non necessariamente un meccanico collegamento con la quantità di capitale (vale a dire, il temuto effetto dei coefficienti patrimoniali in senso prociclico). La qualità del credito risente della prolungata fase di debolezza del ciclo economico.


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Nel terzo trimestre 2009 il tasso d'ingresso in sofferenza, ovvero il rapporto tra le nuove sofferenze e i prestiti complessivi, ha raggiunto il 2,2 per cento del totale dei prestiti e il 3,1 per cento, se si considerano soltanto i prestiti alle imprese (nello stesso periodo del 2008 le percentuali erano, rispettivamente, dell'1,2 e dell'1,5 per cento). È aumentata la quota dei prestiti verso clientela in temporanea difficoltà; per le imprese, in particolare, incagli e prestiti ristrutturati sono saliti dal 2,5 al 4,9 per cento dei prestiti totali nel 2009.
Sono crescenti le preoccupazioni per gli effetti che un uso meccanico dei sistemi di rating adottati dalle banche potrebbero determinare sull'offerta di credito. I modelli statistici di valutazione degli affidati in uso presso le banche utilizzano, al momento, i dati di bilancio delle imprese riferiti al 2008, ma dalla primavera inizieranno a utilizzare i dati del 2009, che sono influenzati dalla recessione e che, viceversa, se la ripresa proseguisse nei prossimi mesi, potrebbero fornire una rappresentazione non più attuale della situazione.
Abbiamo in più occasioni sollecitato le banche a integrare i dati di bilancio delle imprese con informazioni raccolte localmente, a rendere più tempestive le revisioni degli affidamenti, ad affinare i metodi di valutazione del merito di credito, a prevedere incentivi equilibrati per coloro che gestiscono le relazioni con la clientela. Il Governatore Mario Draghi ha dichiarato al riguardo: «È importante che le banche, nel decidere sul credito da dare, usino tutta l'informazione loro disponibile, integrino i risultati dei metodi statistici di scoring - che perdono parte della loro capacità predittiva in momenti eccezionali - con la conoscenza diretta del cliente, delle sue effettive potenzialità di crescita e di redditività nel lungo periodo».
Avendo sviluppato un'attività relativamente modesta nel campo della finanza, le banche italiane saranno meno colpite dall'inasprimento dei coefficienti patrimoniali. Ciò potrebbe addirittura ricostituire un incentivo a dedicarsi all'attività di retail banking piuttosto che a quella di investment banking.
Non ci si può tuttavia nascondere che le modifiche regolamentari proposte dal Comitato di Basilea richiederanno alle banche italiane adeguamenti non trascurabili. Sebbene esse partano da una situazione migliore di quella di altri sistemi sul fronte, ad esempio, della qualità del patrimonio, rimangono aperti aspetti importanti delle proposte, che potrebbero determinare conseguenze di rilievo.
È il caso della deduzione dal patrimonio delle attività per imposte anticipate, il cui ammontare assume valore di assoluto rilievo per effetto dei vincoli nazionali alla deducibilità fiscale delle perdite su crediti (credo sappiate che esiste un meccanismo di diluizione in diciotto anni delle perdite sui crediti). Su questo fronte, lo studio d'impatto consentirà di valutare opzioni alternative, come quella di dedurre tali attività solamente al di là di una certa soglia.
Anche la deduzione integrale dal Tier 1 degli interessi di minoranza e delle partecipazioni bancarie, finanziarie e assicurative potrebbe avere effetti non trascurabili sul nostro sistema. La presenza di significative quote di risorse di pertinenza di terzi è, in larga misura, una conseguenza dei processi di aggregazione che hanno interessato il sistema bancario italiano. È stata avanzata la proposta alternativa di tenerne conto parzialmente, almeno fino a un ammontare commisurato ai rischi delle singole sussidiarie che tali interessi fronteggiano. Poiché in un sistema consolidato tutti i rischi vengono inclusi, anche quelli delle società controllate, non si vede perché non debba entrare nel patrimonio almeno quella parte del patrimonio di competenza di terzi che serve a fronteggiare i rischi medesimi.
Anche sulle regole di liquidità esiste un problema di definizione. Sarà necessario, in ogni caso, aumentare le scorte di attività prontamente liquidabili.
Prima della crisi, i profitti delle banche sono stati molto elevati, con livelli di redditività superiori a quelli registrati negli altri settori produttivi. Tuttavia, la


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maggiore redditività aveva comportato l'assunzione di rischi troppo elevati, non adeguatamente coperti da risorse patrimoniali e di liquidità. L'insieme dei provvedimenti in discussione potrebbe quindi determinare una contrazione dei profitti delle banche, ma ne discenderà anche un contenimento dei rischi assunti; come auspicato dal Governatore, le banche dovranno rispondere alla prima con opportune e ampie riorganizzazioni, con la compressione dei profitti, e non dovranno contrastare il secondo con l'assunzione di nuovi rischi.
L'ultimo punto riguarda i tempi. Le proposte formulate dal Comitato di Basilea nei documenti posti in consultazione pongono le basi per far fronte ad alcune criticità della disciplina di Basilea 2, pur confermandone la filosofia di fondo.
Si tratta di proposte non definitive: il pacchetto regolamentare, che è stato posto in consultazione per un periodo di quattro mesi (la fase di consultazione si chiuderà ad aprile), sarà oggetto di un articolato studio di impatto, finalizzato a valutare gli effetti quantitativi delle singole modifiche proposte sui bilanci delle banche e a raccogliere le informazioni necessarie per la calibrazione del livello definitivo di capitale e di liquidità che gli intermediari dovranno detenere. Per le banche dell'Unione europea, il CEBS coordinerà un esercizio simile, che terrà conto delle specificità del sistema finanziario e della regolamentazione dell'Unione europea.
Le nuove regole dovrebbero entrare in vigore alla fine del 2012, ma comunque non prima del pieno consolidamento della ripresa economica. Con riferimento al calendario dell'entrata in vigore, l'indicazione di massima è nel senso che occorrerà verificare se le condizioni del momento consentano l'introduzione di norme comportanti un aggravio dei requisiti patrimoniali. Inoltre, esse dovranno essere introdotte con la necessaria gradualità, anche prevedendo disposizioni transitorie, al duplice fine di dare agli intermediari il tempo per adeguarsi e di non ostacolare il superamento della crisi.
Oltre all'impatto, attraverso le informazioni raccolte sarà possibile valutare più compiutamente le interazioni tra i diversi strumenti e identificare le aree nelle quali possano rendersi necessari interventi migliorativi o correzioni. Con la progressiva conclusione dei lavori sulle diverse misure anticicliche potrà essere analizzato il funzionamento complessivo della riforma, anche al fine di procedere, eventualmente, alla razionalizzazione e alla semplificazione delle proposte.
Tale analisi - che il Comitato definisce bottom-up, perché basata sui dati raccolti presso le banche - sarà integrata da una valutazione sul livello più adeguato di capitale che il sistema bancario internazionale nel suo complesso dovrebbe detenere, bilanciando l'esigenza di garantire la capacità del sistema stesso di fronteggiare le perdite connesse con eventuali crisi finanziarie e quella di evitare effetti indesiderati sulla sua capacità di sostenere la crescita economica.
Guardando avanti, la principale sfida che ci aspetta è assicurare il recepimento omogeneo delle nuove regole in giurisdizioni molto diverse fra loro. Le buone regole non sono sufficienti se non sono applicate in modo adeguato e con fermezza. Affinché i benefici della revisione in atto possano essere effettivamente concretizzati è dunque fondamentale definire, almeno in Europa, criteri condivisi per l'enforcement degli standard comuni.

PRESIDENTE. Ringrazio il vice direttore generale della Banca d'Italia per essere stato estremamente chiaro.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

ALBERTO FLUVI. Sarebbe stato molto interessante avere più tempo per interloquire ma, purtroppo, i tempi di cui disponiamo oggi sono limitati.
Per quanto riguarda il capitale, vorrei sapere se i cosiddetti «Tremonti bond» siano computabili nel Tier 1, come definito dalle nuove regole di Basilea, oppure ne


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restino fuori, dal momento che si tratta comunque di strumenti ibridi.
Le banche hanno molteplici possibilità per capitalizzare: oltre alla sottoscrizione dei cosiddetti «Tremonti bond», gli aumenti di capitale ed altri strumenti. Ebbene, vorrei sapere come si collochi il sistema italiano in un mercato dei capitali sempre più intasato da richieste di liquidità connesse ad operazioni di aumento di capitale o ad altre analoghe, soprattutto nel momento in cui ci si appresta a varare le modifiche a Basilea 2 e a introdurre nel settore assicurativo la cosiddetta Solvency II (che riguarda i requisiti patrimoniali delle imprese assicurative).
Per quanto riguarda gli operatori sistemicamente rilevanti, mi sembra di aver capito che, per ora, si procederà con quella separazione delle attività che, nell'ambito societario, viene definita «muraglia cinese» (non so se la definizione si attagli anche al settore bancario). A tale riguardo, vorrei sapere se i requisiti di capitale riguardino, in tal caso, i singoli pezzi o l'istituzione finanziaria nel suo complesso.
L'ultima domanda è leggermente fuori tema. Colgo l'occasione per chiederle, dottor Carosio, se il documento che il Tavolo di coordinamento tra Banca d'Italia, Consob e Isvap ha diramato alla vigilia della presentazione dei bilanci sia ispirato soltanto a finalità di prevenzione.

FRANCESCO BARBATO. Innanzitutto, desidero ringraziare, a nome del gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori, il vice direttore generale della Banca d'Italia, dottor Giovanni Carosio.
Premesso che rispettiamo l'indipendenza e l'autonomia dell'Istituto, approfitto dell'odierna audizione per porre una domanda forse non molto pertinente, ma sicuramente opportuna, in quanto relativa a un tema molto concreto.
Mi riferisco soprattutto ai più grossi istituti bancari, Intesa Sanpaolo e Unicredit, le cui politiche sono oggetto di un atto di sindacato ispettivo da me presentato. In particolare, i menzionati gruppi stanno procedendo a un'esternalizzazione di servizi che prevede l'allocazione del cosiddetto back office in altri Paesi, specialmente in Romania, con la conseguente perdita non soltanto di possibilità di lavoro per tanti giovani italiani, ma anche dei benefici che ne deriverebbero per l'economia italiana. Insomma, pur avendo in Italia il loro core business e sette clienti su dieci, le predette banche portano il back office all'estero per risparmiare sul costo del lavoro.
A parte l'aspetto della salvaguardia dei livelli occupazionali, mi preoccupa anche la qualità professionale del sistema bancario. Sentirsi rispondere da un addetto del call center rumeno, il quale ha imparato, probabilmente, soltanto le dieci risposte che deve dare al telefono, peraltro in una lingua parlata in maniera non perfetta, influisce sul servizio, rendendolo deteriore rispetto a quello tradizionalmente offerto dalle banche italiane (il personale estero necessita di adeguato addestramento per raggiungere i livelli professionali di quello italiano).
Vorrei sapere, quindi, se Banca d'Italia abbia adeguatamente esercitato, nella sua autonomia, i propri poteri di vigilanza. Immagino, infatti, che l'esternalizzazione dei servizi di back office, comportando una modifica strutturale e organizzativa della banca, presupponga un'apposita autorizzazione da parte dell'Autorità di vigilanza.
Vorrei sapere, inoltre, se la Banca d'Italia, in considerazione della critica situazione occupazionale, consideri possibile porre un freno a simili fenomeni.

FRANCO CECCUZZI. Ringrazio anch'io il vice direttore generale della Banca d'Italia, al quale desidero chiedere se una gestione prudenziale nella distribuzione dei dividendi sia auspicabile sin dalla stagione dei bilanci che si sta approssimando, quindi nell'immediato, in previsione dell'introduzione dei nuovi requisiti patrimoniali.
Dalla sua relazione, dottor Carosio, si evince un orientamento favorevole a utilizzare la leva fiscale per attenuare l'impatto della nuova regolamentazione sul sistema bancario italiano, in modo da non


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creare uno svantaggio competitivo nei confronti delle banche europee (la cui attività di investment banking è più pronunciata).

PRESIDENTE. Do la parola per la replica al dottor Giovanni Carosio.

GIOVANNI CAROSIO, Vice direttore generale della Banca d'Italia. I «Tremonti bond» dovrebbero rientrare nel Tier 1, ma non nel core Tier 1, che è limitato alle azioni ordinarie: è una via intermedia.

ALBERTO FLUVI. Anche nell'eventuale Basilea 3?

GIOVANNI CAROSIO, Vice direttore generale della Banca d'Italia. Esatto, facevo riferimento a Basilea 3.
Per quanto riguarda il modo in cui le banche potranno reagire all'introduzione dei requisiti aggiuntivi e la loro capacità di andare sul mercato credo che il mercato dei capitali abbia mostrato di essere relativamente recettivo nei confronti degli aumenti di capitale, che anche in quest'ultimo periodo sono stati realizzati, talvolta in proporzioni rilevanti, in diversi Paesi. Quindi, finora non si è manifestata una restrizione proveniente dal mercato. Ciò vale, naturalmente, nel caso in cui le banche promotrici siano sufficientemente solide.
Si è creata, sostanzialmente, una bipartizione abbastanza netta tra le banche che hanno avuto bisogno di sostegni pubblici e quelle che hanno dimostrato di poter continuare a ricorrere al mercato. Uno dei modi in cui si caratterizza l'attuale situazione del sistema bancario consiste proprio in questa crescente diversificazione. Come mi sembra sia stato riconosciuto anche dalla stampa specializzata, le banche italiane sono tra quelle meno colpite dalla crisi.
Quanto alla questione delle cosiddette «muraglie cinesi», il coefficiente patrimoniale continuerà ad essere applicato su base consolidata e, di conseguenza, si riferirà all'intero aggregato nel quale compaiano strutture dedicate ad attività di business diverse. Tengo a ribadire che l'idea della separazione dei diversi tipi di attività e dell'eventuale proibizione all'esercizio di alcune di esse è ben lungi dall'essere una conclusione scontata del processo di riforma in atto. La mia valutazione personale è che la probabilità di una decisione siffatta da parte del Comitato di Basilea non sia notevole.
Sul punto, la posizione che il Governatore ha espresso in qualità di presidente del Financial Stability Board (FSB) è nel senso che non tutto debba essere necessariamente armonizzato a livello internazionale. Mentre le regole attinenti alla liquidità sono, in un certo senso, il core dell'attività di vigilanza, poiché la loro mancata armonizzazione avrebbe effetti disastrosi - in sostanza, non sarebbe possibile mantenere un livello di competitività uniforme, un level playing field -, una considerazione analoga non vale per le riforme di tipo più strutturale. In questo campo, peraltro, sono sempre esistite differenze tra sistemi diversi.
Le ragioni del documento congiunto del Tavolo di coordinamento tra Banca d'Italia, Consob e Isvap, diffuso qualche giorno fa, sono le stesse che avevano ispirato una precedente comunicazione dello scorso anno: invitare gli intermediari a una maggiore attenzione, a fornire informazioni adeguate nei documenti di bilancio, soprattutto con riferimento alle valutazioni che presentano un più alto contenuto di soggettività.
In particolare, nel documento sono evidenziate, tra le aree informative nelle quali le società devono assicurare un più elevato grado di trasparenza, le valutazioni relative all'avviamento e ai titoli di capitale compresi nel portafoglio available for sale (disponibile per la vendita), le quali sono effettuate con un certo grado di discrezionalità.
Ad esempio, l'avviamento può riferirsi ai redditi futuri che un'impresa acquisita potrà generare. La valutazione se le previsioni originarie di redditività dell'investimento rimangano valide deve essere effettuata di anno in anno sulla base degli andamenti. A tale riguardo, poiché la stima dipende da elementi non facilmente oggettivabili, si chiede che gli amministratori indichino gli


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assunti sui quali essa è fondata, che il consiglio di amministrazione abbia elaborato un metodo di valutazione e, inoltre, che tutto ciò sia reso noto ai lettori dei documenti di bilancio. Si tratta, quindi, di un'azione preventiva, mediante la quale, richiamati le norme e i principi contabili di riferimento, si sottolinea l'esigenza di fornire una corretta informativa in merito alla metodologia adottata.
Nel caso dei titoli di capitale classificati come disponibili per la vendita, le eventuali variazioni di valore non sono normalmente rilevate nel conto economico - e, quindi, non contribuiscono a determinare utili o perdite - ma vengono portate a una riserva che influenza il valore del patrimonio. In presenza, invece, di un'obiettiva evidenza di perdita di valore permanente, estranea alle normali oscillazioni dei prezzi di mercato, sussiste l'obbligo di registrare una svalutazione (impairment loss) nel conto economico.
Per quanto riguarda la questione del trasferimento all'estero del back office, le specifiche funzioni attribuite alla Banca d'Italia nei confronti del sistema bancario sono essenzialmente volte ad assicurarne la solidità, che può considerarsi l'obiettivo primario dell'attività di vigilanza, ma si riferiscono, altresì, ai servizi resi alla clientela, in particolare alla trasparenza delle condizioni. La capacità di fornire indicazioni chiare alla clientela, anche ove si utilizzino sistemi come i call center, può essere rilevante anche per la stessa banca. Per garantire una maggiore tutela dei diritti della clientela è stato creato l'Arbitro bancario finanziario, un organo che potrà prendere in considerazione eventuali reclami.
Un'altra questione rilevante, sotto il profilo dell'outsourcing, è quella della sicurezza delle banche, connessa al conseguimento dell'obiettivo della stabilità. In materia, vige il principio fondamentale secondo il quale il fatto di avere trasferito talune funzioni all'esterno non fa venire meno la responsabilità della banca per il modo in cui le predette funzioni sono esercitate.
La vigilanza si riserva comunque di pretendere che la banca non solo sia responsabile, ma si doti, a sua volta, di un sistema per controllare la qualità del servizio reso dall'impresa cui lo stesso è stato affidato. Quando si realizzano operazioni di outsourcing, è obbligatorio dimostrare l'esistenza di accordi che consentano di verificare regolarmente il mantenimento della qualità del servizio.
Per quanto riguarda la gestione dei dividendi, sono di due tipi i possibili interventi.
Quelli di carattere più generale prendono forma di raccomandazioni rivolte all'intero sistema bancario. Il Governatore ha più volte insistito sulla necessità che le banche reagiscano alla situazione di incertezza dei mercati soprattutto irrobustendo le proprie dotazioni patrimoniali. È, quindi, assolutamente raccomandata una politica dei dividendi atta a mantenere livelli adeguati di capitale.
In relazione a casi specifici, la Banca d'Italia ha, eventualmente, anche il potere di proibire la distribuzione di dividendi; si tratta, tuttavia, di un'indicazione estrema, da adottare esclusivamente in caso di rischio imminente di difficoltà.
Ricordo, da ultimo, che le accennate modifiche al regime fiscale, finalizzate ad evitare disparità, sono state auspicate in molteplici occasioni, anche di recente.
Credo di aver dato risposta a tutte le domande che mi sono state poste.

PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente il vice direttore generale della Banca d'Italia, dottor Giovanni Carosio, anche per il documento che ci ha consegnato, del quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato), e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15.

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