Sulla pubblicità dei lavori:
Conte Gianfranco, Presidente ... 3
Audizione del Direttore dell'Agenzia delle entrate, nell'ambito dell'esame del disegno C. 5291, «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita» (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Conte Gianfranco, Presidente ... 3 10 17 21 28 29 31
Barbato Francesco (IdV) ... 12 13
Befera Attilio, Direttore dell'Agenzia delle entrate ... 3 13 21 27 27 28 29
30
Causi Marco (PD) ... 11
Cesario Bruno (PT) ... 17
Fogliardi Giampaolo (PD) ... 18 27
Forcolin Gianluca (LNP) ... 11
Leo Maurizio (PdL) ... 14
Pagano Alessandro (PdL) ... 19
Pugliese Marco (Misto-G.Sud-PPA) ... 16
Ventucci Cosimo (PdL) ... 10
ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Direttore dell'Agenzia delle entrate ... 32
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud
Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.
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Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 12,50.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Direttore dell'Agenzia delle entrate, nell'ambito dell'esame del disegno C. 5291, «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita».
Il direttore dell'Agenzia è accompagnato dal dottor Marco di Capua, direttore della Direzione centrale amministrazione e vicario del direttore, dal dottor Arturo Betunio, direttore della Direzione centrale normativa, e dalla dottoressa Antonella Gorret, responsabile del settore comunicazione e portavoce del direttore dell'Agenzia.
Do la parola al dottor Befera per lo svolgimento della relazione.
ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Come ho avuto modo di affermare anche in precedenti occasioni, confido che il disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale costituisca una nuova tappa nevralgica nel lungo percorso volto a costruire un rapporto leale e sereno tra Fisco e contribuenti.
Lo spirito che anima il disegno di legge delega non può che innescare un circolo virtuoso, che porti, passo dopo passo, alla conquista di una cultura della legalità fiscale, troppo spesso mancata nel Paese fino a questo momento.
Numerosi sono i passi di questo percorso: costruire una legislazione priva della sua attuale complessità; introdurre norme caratterizzate da stabilità e certezza, presupposto indispensabile per le decisioni di investimento e, quindi, per la crescita del Paese; semplificare gli adempimenti tributari, al fine di renderli snelli e facili da porre in essere; ciò senza dimenticare il progetto, a cui da tempo lavoriamo, di un'amministrazione finanziaria «illuminata», che si impegna seriamente, ogni giorno, per un'applicazione equa e intelligente delle norme tributarie.
Da tutto questo mi aspetto che qualcosa, nella cultura del nostro Paese, possa cambiare. Mi aspetto quell'evoluzione culturale che, se già appartiene a tanti, ancora non appartiene a tutti. Se guardo all'opinione pubblica, mi aspetto, in particolare, che la lotta all'evasione, più che la mission istituzionale dell'Amministrazione finanziaria, sia un obiettivo condiviso dalla società civile. Mi attendo che le attività di controllo fiscale non siano più percepite come forme di invasiva intrusione nelle realtà private, ma siano accettate serenamente,
al pari di altre forme di controllo dello Stato.
Avendo a mente questi obiettivi, prima di entrare nel dettaglio dei temi che più direttamente interessano l'Agenzia, ritengo che il disegno di legge delega in esame si muova nella direzione indicata, in maniera organica e strutturata.
Meritevole di apprezzamento è la previsione contenuta nell'articolo 2, che intende realizzare l'auspicata e ormai indifferibile revisione del catasto dei fabbricati. Nel contesto dei vari interventi che la delega contempla a tal fine, basti pensare alla vetustà delle rendite attuali, che costituisce, a oggi, causa di trattamenti ingiustificatamente differenziati tra cittadini.
Le disposizioni successive (articoli 3 e 4) sono finalizzate a introdurre sistemi di monitoraggio, di importantissimo impatto tributario, relativamente all'evasione e all'erosione fiscale. L'articolo 3, rubricato «Stima e monitoraggio dell'evasione fiscale», prevede, in particolare, che siano definite metodologie di rilevazione annuale dell'evasione fiscale per tutti i principali tributi, fondate sul raffronto fra i dati della contabilità nazionale e quelli disponibili nell'anagrafe tributaria e soggette a specifica pubblicazione. A tal fine, la norma prevede l'istituzione, in seno all'ISTAT, di un'apposita commissione composta da esperti designati, oltre che dallo stesso ISTAT, dal Ministero dell'economia e delle finanze, nonché da altri ministeri e amministrazioni interessati.
Sempre nella stessa direzione, l'articolo 4 prevede la redazione annuale di uno specifico rapporto avente a oggetto le cosiddette «spese fiscali», intendendosi per tali ogni tipo di regime agevolato, anche sotto forma di esenzione, esclusione o riduzione della base imponibile, dell'aliquota e/o dell'imposta. Sul tema specifico tornerò in seguito. Per il momento, mi preme sottolineare che l'evoluzione convulsa della normativa tributaria, e lo stratificarsi delle varie disposizioni, hanno incentivato la proliferazione di agevolazioni - da intendersi nel senso lato cui ho fatto riferimento in precedenza -, alcune delle quali assolutamente desuete alla luce delle mutate esigenze sociali e/o economiche. Il monitoraggio annuale, che la disposizione introduce, è finalizzato, quindi, a fornire un panorama sempre aggiornato dei predetti regimi di favore, anche ai fini della loro razionalizzazione, tenendo conto di come la permanenza di alcuni regimi agevolati
sia auspicabile alla luce di alcuni obiettivi di natura economica o sociale, che lo stesso legislatore della delega ha fissato.
Con analogo favore vanno guardati gli obiettivi di riforma del sistema sanzionatorio e la revisione del contenzioso tributario e della riscossione degli enti locali, contenuti, rispettivamente, nell'articolo 8 e nell'articolo 10.
Quanto al primo profilo, al di là dei principi cardine di proporzionalità e predeterminazione della pena, individuati quali criteri guida della predetta revisione, in linea certamente con i principi di ordine costituzionale, ritengo che ridurre l'area degli illeciti penalmente rilevanti, assegnando all'area dell'illecito amministrativo, in particolare, quei comportamenti che appaiono connotati da una minore gravità, o dall'assenza di intenti fraudolenti, contribuirà realmente, come enunciato nella stessa relazione illustrativa, a rafforzare la deterrenza del sistema punitivo penale.
A fronte di un sistema nel quale, troppo spesso, le risorse umane non sono in grado di fare fronte all'enorme mole di notizie di reato, l'intervento mira a dare credibilità all'intervento penale, garantendo, da un lato, la concentrazione della magistratura sulle fattispecie più rilevanti e scongiurando, dall'altro, il rischio che una dilatazione eccessiva dei reati comporta in termini di disincentivo agli investimenti (la minaccia di un intervento penale indiscriminato contribuisce sovente ad accrescere le incertezze dei contribuenti e il timore delle conseguenze, anche in termini solo reputazionali).
Analogo consenso debbo esprimere in merito alla previsione dell'articolo 10, che prosegue nell'opera di sistemazione del contenzioso tributario. L'obiettivo è, anche in questo caso, l'efficientamento della tutela
giurisdizionale, che passa attraverso il potenziamento delle risorse umane disponibili (professionalizzazione della magistratura tributaria e sua redistribuzione territoriale) e la riduzione del carico di lavoro dei collegi giudicanti. In linea con gli interventi normativi degli ultimi tempi, è da salutare con favore il ricorso agli istituti deflativi del contenzioso, che la legge intende incoraggiare, prevedendo, in particolare, l'introduzione delle procedure pregiudiziali per la soluzione delle controversie di modesta entità, ed estendendo uno degli istituti deflativi più importanti, la conciliazione giudiziale - oggi confinata nel solo giudizio di primo grado - anche alla fase successiva e al giudizio di revocazione.
Proseguendo in questa panoramica generale, e prima di entrare più nel dettaglio delle norme che maggiormente interessano l'operatività quotidiana dell'Agenzia, intendo fare un ultimo accenno a quelle disposizioni della delega (articoli 11, 12 e 13) che introducono criteri sostanziali, e per certi versi strutturali, di modifica della disciplina dei tributi, con particolare riferimento ai redditi di impresa e lavoro autonomo, all'IVA e alle altre imposte indirette.
Per queste ultime, il disegno di legge delega si limita a prevedere, comprensibilmente, poche linee direttrici essenziali. Per l'IVA, infatti, è fondamentale continuare l'opera di adeguamento della normativa nazionale alle direttive comunitarie, con particolare riferimento ai regimi speciali di determinazione dell'imposta e, in vista dei più recenti interventi comunitari, all'introduzione della disciplina del gruppo IVA. Quanto alle altre imposte indirette, abbandonato il progetto, previsto dalla legge delega n. 80 del 2003, della loro soppressione e sostituzione con una nuova imposta sui servizi, il disegno di legge delega in commento si limita a prevedere la razionalizzazione e il coordinamento della disciplina dei vari tributi. Profonda, a mio avviso, sarà l'opera di riforma, sotto il profilo dell'adeguamento dei presupposti e delle modalità di assolvimento delle imposte a realtà assolutamente sconosciute al legislatore degli anni
Settanta, tenuto conto di quanto si sono accentuate le difficoltà applicative legate a queste imposte, in special modo negli ultimi anni. Penso, per fare qualche esempio, all'assolvimento di una tipica imposta cartolare, l'imposta di bollo, in relazione ai documenti informatici e alla difficoltà di determinazione del luogo di formazione dell'atto, presupposto di territorialità di vari tributi minori, per i contratti telematici.
Il disegno di legge delega si sofferma più diffusamente sulle imposte dirette. Il primo conclamato obiettivo è l'unificazione della tassazione sui redditi di impresa e di lavoro autonomo, sulla scia dell'esperienza di alcuni Paesi europei, nei quali lo studio professionale e le imprese individuali sono assoggettate alla stessa imposizione applicata alle grandi imprese.
Come si realizza tale unificazione? Separando dal reddito di impresa vero e proprio, assoggettato a un'imposizione proporzionale più bassa, la componente che l'individuo (imprenditore individuale o professionista) ritrae a titolo di remunerazione dal proprio contributo lavorativo, assoggettata a un diverso prelievo, a titolo di imposta personale sul reddito delle persone fisiche, con aliquote marginali proprie.
La delega si prefigge, quindi, una rigida separazione, nel contesto di un reddito considerato sostanzialmente unitario fino a questo momento, tra la componente imprenditoriale, assoggettata a un prelievo di favore, e quella personale, con un duplice effetto indiretto: incentivare la capitalizzazione dell'impresa, applicando alla parte di utile investito, ossia non ritratto per motivi personali, un prelievo più mite (è evidente che questo sistema gioverà in modo particolare alle imprese di più piccole dimensioni, maggiormente interessate dalla commistione tra sfera personale e sfera imprenditoriale); garantire un equo trattamento dei redditi di lavoro «atipici», ossia dei redditi ritratti nella sfera personale dell'imprenditore, rispetto ai redditi da lavoro, per così dire, «tradizionali».
Nello stesso tempo, la delega introduce anche significativi correttivi alla determinazione del reddito di impresa, nella consapevolezza, conclamata nella stessa relazione illustrativa, che il perpetrarsi delle esigenze di gettito ha portato allo stratificarsi di norme non sempre coordinate con le altre discipline di settore, oppure non sempre rispondenti all'obiettivo di offrire la certezza e la stabilità necessarie per agevolare gli investimenti stranieri nel nostro Paese.
Ecco, quindi, che l'articolo 12 individua nominativamente alcune aree di necessario intervento da parte dei decreti delegati, sotto i profili della fiscalità interna (il coordinamento della determinazione del reddito di impresa con i criteri di redazione del bilancio; la riformulazione della disciplina delle perdite su crediti, foriera di innumerevoli difficoltà applicative tanto per i contribuenti quanto per i verificatori; il coordinamento di tutta la disciplina fiscale con gli accordi di ristrutturazione o, più in generale, con i nuovi istituti introdotti dalla disciplina fallimentare) e dei rapporti internazionali (la residenza fiscale; l'imputazione dei redditi delle controllate estere; il rimpatrio di dividendi provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata e via discorrendo).
Conclusa questa veloce carrellata sulle disposizioni della delega, vorrei ora soffermarmi su alcune disposizioni (articoli 5, 6, 7 e 9) che più profondamente incideranno sull'operatività dell'Agenzia.
Che l'abuso del diritto sia entrato ormai a pieno titolo nel nostro ordinamento è affermazione tanto ricorrente quanto consolidata, esattamente come certo è il fondamento dell'istituto secondo l'insegnamento ormai univoco desumibile tanto dalla giurisprudenza comunitaria quanto da quella nazionale.
Che l'abuso del diritto leda il rapporto tra Fisco e contribuente in maniera non meno grave dell'evasione fiscale - anzi, più insidiosa - è altrettanto noto. Riallacciandomi a quanto affermato al principio della relazione, direi proprio che l'abuso del diritto, da parte dei contribuenti nei confronti dello Stato, è una delle massime espressioni di quella che ho definito assenza di una vera e propria educazione alla legalità fiscale e porta con sé la rottura, definitiva e insanabile, di quel patto di reciproca e leale collaborazione tra Fisco e contribuenti verso il quale occorre sempre più muoversi.
Sono intervenuto più volte sul tema, al fine di ribadire un concetto a mio avviso chiaro ed essenziale, oggi ancor più che in passato: affinché si addivenga a un rapporto leale tra amministrazione e amministrati, questi ultimi non devono abusare del proprio diritto, nella stessa misura in cui la prima non può abusare dell'abuso. La difficoltà sta nell'individuare l'esatto punto di equilibrio tra chi - l'Amministrazione finanziaria - è istituzionalmente preposto al controllo della legalità dei comportamenti e chi - il contribuente -, tendendo naturalmente e lecitamente verso la corretta minimizzazione del carico fiscale, deve conoscere preventivamente cosa è vietato e cosa non lo è, al fine di compiere scelte ponderate e consapevoli.
Da qui l'ormai nota necessità di una codificazione, non soltanto perché, come spiegherò a breve, la legge può dissipare molti dubbi in merito ai controversi aspetti attuativi della disciplina (presupposti, procedura, garanzie, sanzioni), ma soprattutto perché soltanto la legge può dare un fondamento certo tanto alle scelte dei privati, che sarebbero messi nelle condizioni di predeterminare serenamente le conseguenze delle loro scelte, quanto all'azione di controllo dell'Amministrazione.
Non ho mai nascosto, infatti, l'imbarazzo di un'Amministrazione lasciata nelle condizioni di ricorrere, senza regole certe, all'abuso del diritto. Penso alle difficoltà degli uffici operativi, quotidianamente in contatto con una variegata realtà, nella quale si nascondono comportamenti insidiosi non immediatamente percepibili. Penso al rischio - quasi alla tentazione, direi - di accertamenti meramente prudenziali, in presenza di fattispecie di dubbia elusività, fondati principalmente sul timore di contestazioni da parte degli organi preposti al controllo dell'operato
dell'Amministrazione. Penso, nello stesso tempo, al circolo vizioso che può innescarsi: la sensazione di «vessazione» da parte dei contribuenti onesti, convinti della onestà e trasparenza delle loro scelte, non sempre agevoli; la sottrazione di tempo e risorse, a danno della repressione dei comportamenti realmente dannosi, con il conseguente rischio di impunità; il danno reputazionale di un'Amministrazione ritenuta, troppo spesso, non in grado di svolgere serenamente la sua missione.
Ecco perché, di fronte alle previsioni dell'articolo 5, non posso che manifestare con entusiasmo il mio apprezzamento. Ciò non perché siano mancati pregevoli tentativi di codificazione in ordine alla nozione e alla disciplina in tema di abuso, ma perché la sua previsione all'interno della delega conferma il ruolo chiave che l'istituto assume nel panorama fiscale nazionale.
Sul contenuto della delega resta sostanzialmente poco da dire.
Occorrerà, da parte dei decreti delegati, intervenire su aspetti più specifici, tra i quali, in primis, la difficile definizione di condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei a ottenere un risparmio d'imposta. La delega si preoccupa, in modo condivisibile, di preservare la libertà di scelta dei contribuenti, fissando alcuni elementi chiave nella elaborazione della nozione di condotta abusiva. L'operazione abusiva non è, in sé, civilisticamente illecita o vietata, ma ne sono inopponibili gli effetti fiscali. Lo scopo prevalente dell'operazione deve essere quello di ottenere un vantaggio fiscale in assenza di ragioni extrafiscali di un certo peso, eventualmente anche soltanto in termini di efficientamento organizzativo, strutturale e funzionale dell'azienda. La disciplina applicativa contempla una serie di garanzie a favore del contribuente, costruite sulla falsariga di quanto attualmente previsto dall'articolo
37-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.
Il secondo aspetto che tocca profondamente l'attività dell'Agenzia, seguendo una direttrice lungo la quale, alla luce dei recenti interventi normativi, ho già da tempo indirizzato i miei uffici e le mie strutture, è la previsione del rafforzamento della cooperazione tra amministrazione e contribuenti.
La relazione illustrativa al disegno di legge delega si sofferma, in particolare, su uno dei molteplici profili, dettagliatamente individuati dall'articolo 6, di tale cooperazione: quello della enhanced relationship, raccomandato dall'OCSE, che si traduce, nel caso di specie, nella previsione di sistemi aziendali di gestione e controllo del rischio fiscale, pensati principalmente per i soggetti di grandi dimensioni.
La medesima relazione enfatizza l'importanza del processo, che porta, da un lato, a inglobare nella struttura dell'impresa la funzione di gestione del rischio fiscale e, dall'altro, a modificare profondamente il sistema dei controlli dell'Amministrazione, che non verteranno più, presumibilmente, sul corretto adempimento dei singoli obblighi fiscali, ma su affidabilità, lealtà e trasparenza del sistema di governance aziendale adottato.
Si tratta certamente di un cambiamento radicale, il quale non esaurisce la portata profondamente innovativa dell'articolo 6 e del principio di cooperazione che questo intende introdurre. Nell'articolo 6, infatti, c'è di più: oltre alle enhanced relationship, corredate dalla previsione della possibilità di introdurre anche semplificazioni o misure agevolate per i grandi contribuenti virtuosi, c'è anche il tutoraggio delle imprese di media dimensione e dei contribuenti persone fisiche, in termini di ausilio nella predisposizione delle dichiarazioni, nel calcolo delle imposte da versare o, più in generale, nell'espletamento materiale degli adempimenti fiscali.
Sono anni, ormai - e se ne vedono sempre più i risultati - che l'Agenzia, nell'ambito delle sue funzioni, lavora in tale direzione. Innanzitutto, abbiamo ricercato soluzioni interpretative volte a evitare che gli errori formali dei contribuenti (vale a dire, quelli che non incidono sul versamento dei tributi e che non ostacolano l'attività di controllo) comportino per essi inutili iter burocratici
e, nello stesso tempo, un inutile dispendio di risorse per l'Agenzia. Inoltre, abbiamo potenziato i servizi erogati, pur a fronte di un incremento significativo del numero dei contribuenti che accedono ai nostri sportelli. Abbiamo anche incentivato il ricorso ai servizi telematici: tra i tanti, offriamo il rilascio di certificati, la registrazione dei contratti di locazione, la richiesta della sostituzione del codice fiscale e via dicendo. Abbiamo, altresì, cercato di rendere più efficienti e veloci molti processi di gestione dei principali tributi (in primis, liquidazione delle dichiarazioni ed erogazione dei rimborsi).
Non posso dimenticare, peraltro, la significativa esperienza del tutoraggio, introdotto dall'articolo 27 del decreto-legge n. 185 del 2008, per le imprese con volume d'affari o ricavi non inferiori a 200 milioni (il limite è stato abbassato a 100 milioni). Lo strumento, a metà strada fra le attività di controllo e quelle tendenti a rafforzare la cooperazione tra fisco e contribuente, anche al fine di innalzare il grado di adeguamento spontaneo, si sostanzia nel monitoraggio dei comportamenti fiscali posti in essere dai contribuenti, attraverso l'utilizzo di approcci differenziati in funzione delle caratteristiche delle attività svolte.
Infine, siamo ancora seriamente impegnati nell'attuazione di quella che potrei definire la prima tappa del percorso a cui sta pensando il Governo: il regime della cosiddetta «trasparenza» di cui al decreto-legge n. 16 del 2012, che, pur essendo alimentata dall'ulteriore aspetto della premialità del comportamento del contribuente virtuoso, si pone in linea di netta continuità con le misure contemplate dall'articolo 6, comma 3, del disegno di legge delega.
Una notazione a parte, pur nel contesto delle misure di rafforzamento della cooperazione, merita il richiamo alla disciplina degli interpelli, alla cui razionalizzazione tende il comma 4 dell'articolo 6. Strumento già conosciuto prima dello statuto dei diritti del contribuente, sotto le forme dell'interpello antielusivo e dell'interpello per la disapplicazione delle norme antielusive, l'istituto ha avuto una rapidissima proliferazione a seguito della sua generalizzazione, perdendo in taluni casi la sua natura di strumento a disposizione del contribuente per conoscere preventivamente il parere dell'Amministrazione su un caso concreto e personale.
Mi preme sottolineare due aspetti principali sui quali si è soffermato, in modo condivisibile, il disegno di legge delega: l'omogeneità della disciplina e la necessità di creare un coordinamento chiaro dell'istituto con la successiva fase giurisdizionale.
L'omogeneità è un obiettivo difficile, ma perseguibile. Vero è che il nostro sistema conosce diversi tipi di interpello, introdotti nel corso degli anni, in ragione del fatto che diversi sono gli effetti che le istanze e le risposte producono. Ci sono gli interpelli eminentemente interpretativi, quelli interpretativi sull'elusione, che si pongono in un rapporto di specie a genere con i primi, e gli interpelli disapplicativi, che, pur non perdendo mai la loro natura di pareri, come tali non vincolanti, manifestano l'avviso dell'Agenzia in ordine a una fattispecie per la quale la legge è alquanto chiara (un componente non è deducibile, un credito non è utilizzabile, un'agevolazione non è invocabile e così via). Pur nella specificità delle tipologie, altrettanto vero è che uniformare le procedure è possibile sia per quanto riguarda l'individuazione delle strutture competenti, sia per quanto
attiene ai tempi e alle modalità di comunicazione delle risposte.
Anche nell'ambito della tutela giurisdizionale vi è un obiettivo che appare necessario perseguire. All'indomani dell'entrata in vigore dello Statuto dei diritti del contribuente, nessuno aveva mai messo in dubbio che l'interpello, in quanto parere dell'Amministrazione, fosse atto non impugnabile, e ciò non tanto per il principio di tassatività (vera o presunta) degli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie, tra i quali non sarebbe nominativamente indicato l'interpello, quanto per l'assenza di lesività delle risposte all'istanza di interpello. Questo assioma, che appariva quasi incontestabile, oggi è sempre
più spesso messo in discussione (purtroppo, anche a opera della giurisprudenza di legittimità). È comprensibile che l'aumento delle tipologie di interpello, e soprattutto delle fattispecie in relazione alle quali l'istanza può esser presentata, abbia creato un forte disorientamento tra gli operatori. Tuttavia, il ricorso avverso gli interpelli, a maggior ragione in un momento caratterizzato dalla ricerca di soluzioni concordate e di strumenti di deflazione del contenzioso, diviene una realtà sempre più preoccupante. Sono fermamente convinto che l'interpello non possa perdere la sua natura di parere. Depongono in tal senso la legge e, ancor prima, i modi e i tempi di elaborazione delle risposte. L'interpello, infatti, non si sovrappone in alcun modo alle attività di controllo, né le esaurisce, essendo i controlli regolati da altri principi - tra le tante considerazioni, basti pensare che essi non sono mai avviati
su impulso di parte -, da altre tempistiche - per definizione, i controlli non sono mai preventivi -, nonché da altre finalità.
Mi aspetto, quindi, che l'attuazione della legge delega porti a tracciare una disciplina più semplice e uniforme di quella attuale, senza che ciò faccia perdere la specificità delle singole tipologie di interpello, in grado di orientare meglio le scelte dei contribuenti quanto l'avviso della giurisprudenza, che, come anticipato, negli ultimi anni, si è rilevata incline a riconoscere l'immediata impugnabilità delle risposte all'interpello.
Un altro importantissimo capitolo del disegno di legge delega è quello concernente la semplificazione dei regimi e degli adempimenti fiscali.
Ho già avuto modo di affermare che serve un cambiamento culturale da parte di tutti: contribuenti e Amministrazione. Se ciò è vero, va detto, però, che la complessità del sistema fiscale non giova, nella misura in cui soltanto da un sistema normativo chiaro possono nascere modelli di dichiarazione alla portata di tutti e adempimenti facili da porre in essere.
Dalla semplificazione discenderebbe un effetto complessivamente positivo per il sistema: risparmio di tempo e di costi per i contribuenti, che si sentirebbero meno vessati dall'amministrazione; più risorse disponibili per l'Agenzia, meno impegnata a coordinare una massa di informazioni, a volte già disponibili o, comunque, superflue.
Non posso che chiudere con una notazione relativa all'articolo 9, dedicato all'attività conoscitiva e di controllo.
Costante deve essere la ricerca dell'equilibrio tra la tutela della sfera del contribuente e l'esigenza, costituzionalmente garantita, dell'esplicazione delle attività di verifica fiscale.
In questo senso, ritengo non debbano mai arrestarsi la ricerca e il potenziamento delle cosiddette misure preventive, attraverso le quali l'Amministrazione può reperire una serie di informazioni utili, che, diversamente, dovrebbe acquisire ricorrendo alle tradizionali attività ispettive, indubbiamente più invasive. Sotto tale profilo, il disegno di legge delega prosegue nel percorso, già avviato dal decreto-legge cosiddetto «salva Italia», di limitare l'uso del contante. Inoltre, il rafforzamento dell'attività conoscitiva e di controllo è basato sul potenziamento del ricorso alla fatturazione elettronica, rispetto alla quale l'Agenzia si è già impegnata nella ricerca di soluzioni estremamente flessibili, e sull'utilizzo delle informazioni contenute nelle banche dati a disposizione dell'Agenzia, che può costituire un importante strumento di riduzione dei controlli. La previsione secondo la quale
l'Amministrazione finanziaria dovrà lavorare, nella direzione tracciata dal disegno di legge delega, al fine di implementare tali informazioni, anche mediante il rafforzamento della cooperazione con altri soggetti, non può che essere salutata con estremo favore.
Venendo alle disposizioni che disciplinano, nello specifico, le modalità di effettuazione dei controlli, di maggior rilievo è la previsione, contenuta alla lettera b) dell'articolo 9, che, oltre a sancire il principio della riservatezza dell'attività di controllo fino alla chiusura del procedimento di accertamento, richiama: il principio
della minimizzazione dei controlli, in particolare della loro invasività, in special modo quando le verifiche interferiscono con lo svolgimento delle attività economiche, garantendo il rispetto del principio della proporzionalità rispetto all'obbligo perseguito; il potenziamento del contraddittorio precontenzioso, che da strumento episodico (penso, ad esempio, alla storica centralità del contraddittorio nella disciplina dei coefficienti, dei parametri e, attualmente, degli studi di settore) deve diventare, tendenzialmente, paradigma generale di riferimento. Non si tratta certo di novità assolute. Penso alle garanzie stabilite dall'articolo 12 dello statuto dei diritti del contribuente, o al recente intervento del decreto-legge cosiddetto «salva Italia» sulle disposizioni del decreto-legge n. 70 del 2011 disciplinanti le attività di verifica, che ha portato alla codificazione del principio di concentrazione e di coordinamento dei controlli da parte di tutti i soggetti interessati. Credo, tuttavia, che la previsione a opera del disegno di legge delega valga a conferire alle predette previsioni dignità di principi portanti della riforma del sistema fiscale.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
COSIMO VENTUCCI. Dottor Befera, la nuova disciplina relativa al pagamento delle pensioni impone, ove l'importo da incassare superi i 1.000 euro, l'apertura di un conto corrente bancario o postale.
Ebbene, una signora di 96 anni, che ricopre, per pura rappresentanza, la carica di presidente di una società, pur essendo ignara di tutto ciò che può essere connesso alla concreta gestione dell'impresa, si reca presso una banca, dalla quale si vede rifiutare l'apertura del conto corrente, in quanto titolare di un appartamento sul quale Equitalia ha iscritto, a sua insaputa, un'ipoteca di 110.000 euro, a fronte di un debito per interessi di mora relativi a tributi doganali (dovuti per gli anni 2002, 2003 e 2004).
Direttore, lei ha introdotto il suo discorso con una proposizione che condivido, così come condivido tutta l'attività che state compiendo. Premetto, anzi, che non c'è alcuna obiezione da muovere a proposito di quanto state facendo: si può solo starvi vicino.
Lei ha fatto riferimento, in particolare, a un lungo percorso, volto a costruire un rapporto leale e sereno tra Fisco e contribuenti. Orbene, abbiamo già avuto modo di sollevare, più volte, il problema delle sanzioni derivanti dall'omesso o ritardato pagamento dei tributi e, se non ricordo male, mi sembra che lei fosse piuttosto favorevole al loro mantenimento secondo la configurazione attuale, perché il contribuente che ne viene colpito impara, in tal modo, ad adempiere correttamente i propri obblighi tributari.
Tuttavia, poiché le sanzioni attualmente applicate sono in qualche misura usurarie, ritengo si debba fare qualcosa per modificare la situazione. Da questo punto di vista, un progresso rilevante si può ottenere proprio costruendo, come lei auspica, direttore, un rapporto leale e sereno tra Fisco e contribuenti. Tornando al caso che ho citato in precedenza, non sembra ispirarsi a tale logica l'operato dell'amministrazione che iscrive un'ipoteca su un immobile senza che il proprietario, nella fattispecie una donna di 96 anni, venga a conoscenza di tale iniziativa. È assurdo! Una simile attività non è civile, né accettabile, indipendentemente dalla sottostante esigenza del recupero di un credito da parte dello Stato.
Io chiedo che il rapporto tra Fisco e contribuenti sia più stretto. In un caso come quello che ho richiamato non possono bastare, per iscrivere ipoteca su un immobile, tre notifiche, sic et simpliciter, tra il 2002 e il 2012. È chiaro che simili vicende danno luogo a contenziosi, volti innanzitutto a verificare se le sottoscrizioni apposte per ricevuta degli atti notificati siano valide e autentiche.
Credo che la moderna tecnologia, soprattutto informatica, ci fornisca di mezzi idonei a consentire l'instaurazione di un rapporto più stretto tra l'Amministrazione finanziaria e i contribuenti. Se non ce ne serviamo, può capitare che chi è colpito da
sanzioni, o da misure connesse alla loro applicazione, ne venga a conoscenza soltanto quando si reca in banca per aprire un conto corrente...
GIANLUCA FORCOLIN. C'è un argomento, in particolare, in merito al quale vorrei avere alcune delucidazioni.
La relazione svolta dall'onorevole Fluvi nella seduta dell'11 settembre scorso ha posto l'accento sulla semplificazione del sistema fiscale nazionale, necessaria sia per rispondere alle diffuse aspettative dei cittadini, delle famiglie e delle imprese, sia per facilitare la stessa lotta all'evasione. Tutti auspichiamo la semplificazione burocratica, anche per rendere meno oppressivo il trattamento dei contribuenti e, in particolar modo, delle imprese.
Anche la sua relazione, dottor Befera, contiene accenni in tal senso. Tuttavia, poiché le audizioni servono anche per avere suggerimenti dagli auditi, in questo caso dall'Agenzia delle entrate, riterrei opportuno che si entrasse nel merito delle misure di semplificazione possibili. In un passo della relazione si dice che il disegno di legge delega avvia un percorso di semplificazione che agevolerà la vita di imprenditori e contribuenti, senza fornire, tuttavia, alcuna indicazione di merito sui temi più rilevanti. Insomma, mi sembra che si spendano tante belle parole, ma che non ci sia mai spazio per concretizzare il discorso, in particolare attraverso suggerimenti da utilizzare, nel prosieguo dei lavori in sede referente, per la formulazione di proposte emendative.
Non vorrei che il disegno di legge delega, come capita spesso, servisse per enunciare soltanto in astratto quelle soluzioni che sono tanto attese dai contribuenti, senza che alle enunciazioni segua, poi, qualcosa di concreto.
Anche in vista delle prossime audizioni, sarebbe opportuno avere, al di là dell'enunciazione di belle intenzioni, suggerimenti pratici, al fine di arricchire di contenuto concreto il testo del provvedimento prima di licenziarlo per l'Assemblea.
MARCO CAUSI. La prima domanda, direttore, è relativa all'articolo 3, il quale prevede, al comma 1, l'introduzione di norme dirette a definire una metodologia di rilevazione dell'evasione fiscale, riferita a tutti i principali tributi, basata sul confronto tra i dati della contabilità nazionale e quelli acquisiti dall'anagrafe tributaria. Si tratta di una delle proposte indicate dal presidente Giovannini, il quale ha presieduto il Gruppo di lavoro su «Economia non osservata e flussi finanziari», istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze in vista della riforma fiscale.
Oltre alla rilevazione ufficiale del tax gap, l'articolo 3 del disegno di legge stabilisce, al comma 2, che il Governo redige annualmente, all'interno della procedura di bilancio, un rapporto sulla strategia seguita e sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto dell'evasione fiscale. Una volta definito il tax gap, si ha uno strumento ulteriore per valutare l'attività dell'Agenzia rispetto agli obiettivi posti. Le chiedo, in proposito, se non sembri opportuno specificare meglio il rapporto tra ciclo di stima del tax gap e valutazione ex post dei risultati di recupero da parte dell'Agenzia. Anche in relazione alla legge di cui al sesto comma dell'articolo 81 della Costituzione e all'articolo 5 della legge costituzionale n. 1 del 2012, il predetto ciclo di stima potrebbe essere collegato con maggiore chiarezza alle procedure di bilancio.
La seconda domanda è relativa alla riforma del catasto. Come sicuramente sa, direttore, si nutrono molti dubbi, nell'ambito della Commissione, sulle scelte operate dal Governo in merito all'organizzazione delle agenzie fiscali. Prevale, tra noi, l'idea che, se l'Agenzia del territorio, in particolare, dovesse essere coinvolta in una rilevante operazione di riorganizzazione, a quel punto, la sua principale preoccupazione sarà, nei prossimi mesi, proprio la riorganizzazione. Ciò rischia di ridurre la portata concreta dell'obiettivo di riforma del catasto. La Commissione ha anche approvato una risoluzione in merito. Qual è la sua opinione, direttore, sulla possibilità di procedere a una riorganizzazione
delle agenzie fiscali coerente con gli obiettivi del disegno di legge delega?
La terza domanda è, forse, un po' ingenua (il professor Leo sarebbe sicuramente in grado di darmi una spiegazione). Con riferimento all'abuso del diritto, non capisco quali potrebbero essere gli strumenti preventivi per garantire una migliore collaborazione e trasparenza tra Amministrazione finanziaria e imprese. Perché non l'interpello? La relazione mi ha già aiutato a capire alcune cose, ma vorrei comprendere meglio perché l'interpello preventivo non possa essere considerato un valido strumento per evitare il contenzioso in materia di abuso del diritto.
Infine, direttore, il disegno di legge delega contiene una disposizione relativa al riordino della riscossione degli enti locali. Noi ci siamo conosciuti quando si è cominciato a porre il problema - che ancora sussiste - della riscossione di somme di piccolo ammontare da parte di Equitalia. Vorrei un suo parere al riguardo. È mia opinione - lo dico con franchezza - che scorporare tale attività da Equitalia sia diseconomico. In questo momento, l'opinione maggioritaria, anche nell'ANCI, è in senso contrario. Tuttavia, ritengo fortemente diseconomico, avendo già una struttura, istituirne un'altra: chiaramente, costerà di più.
Poiché sappiamo, per esperienza, che quel tipo di lavorazione ha bisogno di una logica organizzativa specifica, mi domando se non sia possibile controproporre che, all'interno di Equitalia, sia organizzata una divisione operativa dedicata, con suoi particolari processi produttivi, alla riscossione degli enti locali, instaurando, eventualmente, una forma di co-governance tra tali enti e il Ministero dell'economia e delle finanze. Una divisione operativa organizzata all'interno di Equitalia consentirebbe di realizzare economie di scala.
FRANCESCO BARBATO. Ringrazio il direttore dell'Agenzia delle entrate e il suo team.
La lotta all'evasione - vexata quaestio - è un chiodo fisso per noi di Italia dei Valori. Secondo i dati del 2011 - prego il direttore di correggermi se sbaglio -, su 12 miliardi di euro di entrate, circa 5,5 sono derivanti dai controlli automatizzati. Vorrei conoscere la provenienza specifica, nell'ambito di questi 12 miliardi, delle altre somme. Segnatamente, vorrei sapere quanto proviene dall'applicazione del principio dell'abuso del diritto. Non si riesce a saperlo. Vorrebbe saperlo anche la Corte dei conti. Noi riteniamo sbagliato fare cassa attraverso l'abuso del diritto, così come elaborato dalla giurisprudenza (manca ancora, infatti, una disciplina legislativa in materia). Si tratta di un'«arma nucleare» che il Fisco può utilizzare contro le imprese. In uno Stato di diritto non si può prescindere dalla certezza del diritto: se lo si fa, si intimidiscono e si fanno scappare le imprese esistenti e si allontanano gli
investitori esteri. Di fronte a una situazione aleatoria come quella che stiamo vivendo, l'utilizzo dell'abuso del diritto è ancora più preoccupante. Pertanto, direttore, vorrei conoscere l'ammontare dei proventi incassati finora per effetto dell'applicazione dell'abuso del diritto e sapere, inoltre, qual è, secondo l'Agenzia, la proiezione per la fine del 2012. In questo modo, potremo avere un quadro completo, che ci servirà per svolgere meglio il nostro compito. Mi farebbe piacere collaborare alla costruzione di uno Stato maggiormente improntato ai principi dello Stato di diritto, perché anche a me piacciono le certezze.
A che punto è il «redditometro»? Ci sono adempimenti cui è tenuto il Ministero dell'economia e delle finanze, oppure siete voi in ritardo?
Il suo collega direttore dell'Agenzia del demanio ha dichiarato in audizione, la settimana scorsa, che erano in corso riunioni per cominciare a dare attuazione alle misure recate dal decreto-legge n. 95 del 2012 in materia di razionalizzazione del patrimonio pubblico, di riduzione delle locazioni passive e di interventi di manutenzione. Gli ho fatto notare che siamo a settembre e che molti dei provvedimenti
da attuare risalgono ormai all'inizio dell'anno. Intanto, mentre gli italiani hanno pagato la prima rata dell'IMU e si accingono a pagare anche la seconda, voi state ancora studiando per dare attuazione a svariate misure di riduzione della spesa pubblica. Il fatto è che, mentre voi studiate, il malato sta morendo...
La seconda domanda riguarda un'altra nota dolente: Equitalia. Per sgombrare subito il campo da possibili equivoci, le ricordo, direttore, che portai alla società di riscossione la solidarietà mia e di Italia dei Valori quando, a dicembre dello scorso anno, l'esplosione di un plico ferì il direttore di un ufficio di Roma. Noi di Italia dei Valori siamo vicini, senza «se» e senza «ma», ai servitori dello Stato che fanno rispettare le regole. Ciò premesso, Equitalia percepisce un aggio del 9 per cento (dal 1o gennaio 2013, esso scenderà all'8 per cento), che le impresse e i cittadini percepiscono come usurario. In effetti, un aggio così elevato è tale da giustificare il riferimento dell'appellativo «cravattaio» anche allo Stato. Il pagamento di percentuali di aggio così alte danneggia in maniera rilevante i cittadini e le imprese. Vorrei sapere, quindi, se ci sarà
il passaggio dall'applicazione di un aggio al semplice rimborso dei costi.
Rimanendo in tema, a decorrere dal 31 dicembre 2012, la società Equitalia Spa, nonché le società per azioni dalla stessa partecipate, cesseranno di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate, i quali provvederanno direttamente alla gestione delle proprie entrate. In proposito, le chiedo, direttore, se la riscossione funzionerà meglio, e se i comuni siano attrezzati per gestirla. Poiché si terranno gare, la riscossione tornerà in mano ai privati? Sento parlare, ad esempio, di società romane. Le cose andranno meglio affidando la riscossione ai privati?
ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Costerà di più o di meno?
FRANCESCO BARBATO. Le chiedo di esprimere un parere.
Vengo a una domanda relativa al condono IVA del 2002, dell'ex Ministro Tremonti.
Con le note sentenze del 17 luglio 2008 (causa C-132/06) e dell'11 dicembre 2008 (causa C-174/07) la Corte di giustizia europea ha ritenuto che la Repubblica italiana, avendo previsto, agli articoli 8 e 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003), una rinuncia generale e indiscriminata all'accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, sia venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi della normativa europea in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari.
Successivamente, la Corte costituzionale ha affermato, nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, che il rilevato contrasto con l'ordinamento comunitario comporta l'obbligo del giudice e dell'Amministrazione finanziaria italiani di non applicare le norme nazionali relative al suddetto condono, da cui discendono la riespansione del potere accertativo dell'Amministrazione finanziaria e l'applicabilità della normativa concernente il raddoppio dei termini di accertamento, in presenza di violazioni tributarie di rilevanza penale, ai sensi del decreto legislativo n. 74 del 2000.
Da ultimo, l'articolo 2, comma 5-ter, del decreto-legge n. 138 del 2011 ha disposto la proroga di un anno dei termini per l'accertamento nei confronti dei contribuenti che hanno aderito al condono di cui alla legge n. 289 del 2002. Se sbaglio mi corregga, ma credo che i predetti termini scadano il 31 dicembre 2012. Vorrei sapere, quindi, se siano stati effettuati accertamenti, quanto sia stato recuperato fino a oggi e quanto prevediate di recuperare entro il 31 dicembre 2012.
Infine, direttore, vorrei leggerle la trascrizione di una intercettazione telefonica, come riportata dalla stampa: Befera: «Ragosta era quell'amico tuo, no?». Sangermano: «Diciamo di sì.». Befera: «Il mafioso?». Sangermano: «Sì, era quello lì.».
Befera: «Ah, tu eri amico dei mafiosi? Ammazza, che figlio di mignotta che sei!». Siamo a conoscenza di questi fatti grazie al lavoro svolto dalla DDA di Napoli e dai magistrati Teresi, Milita e Curcio.
Ebbene, come ho già detto in molteplici occasioni, anche in questa sede, non vorrei essere sempre costretto ad aspettare che i pubblici ministeri svolgano le indagini e che gli organi giudicanti pronuncino le sentenze. Tornando a Sangermano, durante una perquisizione a casa sua sono stati rinvenuti 40.000 euro in una scatola da scarpe (invece, ai pensionati imponiamo la tracciabilità per una pensione di 1.000 euro, che deve essere accreditata su un conto corrente postale o bancario...). Quando, dopo l'intercettazione, è stato ascoltato dai pubblici ministeri di Napoli, direttore, lei ha dichiarato che, all'inizio, il rapporto tra Sangermano e Fedele Ragosta le risultava equivoco, perché non capiva se il secondo avesse intimorito il primo, al fine di condizionarne l'attività di servizio.
Dottor Befera, se il direttore dell'Agenzia delle entrate della Campania intrattiene rapporti di natura equivoca con soggetti ritenuti collegati al clan camorristico dei Fabbrocino, o è condizionabile nell'attività di servizio, le sembra opportuno nominarlo direttore dell'Agenzia delle entrate dell'Emilia-Romagna?
Io non vorrei dover aspettare, anche stavolta, che la magistratura porti a conclusione i procedimenti di propria competenza: siamo noi a dover fare il nostro dovere. Una persona come Sangermano non può essere un dirigente della pubblica amministrazione, né può andare a dirigere l'Agenzia delle entrate dell'Emilia-Romagna. Dopo che è risultato coinvolto in vicende poco chiare in Campania, lo trasferiamo? Non so se un provvedimento di allontanamento rientri nei suoi poteri, direttore, ma io una persona così la caccerei dalla pubblica amministrazione. A prescindere dalle sentenze e dai giudicati, c'è bisogno di persone capaci di tenere un comportamento conforme ai canoni etici e morali. Vogliamo agire per avere una pubblica amministrazione sana, che si muova rispettando l'etica in modo spontaneo, oppure vogliamo aspettare le sentenze, continuando, nel frattempo, con la solita palude e con il valzer delle poltrone?
La settimana scorsa, il collega D'Antoni si è rivolto al Ministro Passera dandogli del «tu»: poiché era questa la consuetudine tra loro, non era il caso, ha detto il collega, che si dessero ipocritamente del «lei» in audizione.
Anche noi ci diamo solitamente del «tu», direttore. Ebbene, non so se mi sarà ancora consentito farlo dopo l'ultima domanda che sto per porle.
Il suo trattamento retributivo annuale, direttore, rientra nei limiti di cui all'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 e al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 febbraio 2012? Quanto guadagna? Glielo chiedo anche perché ritengo che i primi mille manager d'Italia dovrebbero essere i parlamentari. Certi stipendi di alti dirigenti mi paiono vere ingiustizie, che è difficile riuscire a digerire. Vorrei sapere, pertanto, qual è il suo stipendio attuale, quanto costa allo Stato e se, oltre a essere alla guida dell'Agenzia delle entrate e di Equitalia, faccia parte anche di consigli di amministrazione di altre società pubbliche. Insomma, oltre all'entità dei suoi guadagni, mi piacerebbe conoscere anche l'estensione della sua sfera di influenza e di potere all'interno della pubblica amministrazione.
Mi dica poi se, in privato, potrò continuare a darle del «tu».
MAURIZIO LEO. Ringrazio il direttore Befera, e gli altri dirigenti dell'Agenzia presenti, per gli interessanti spunti contenuti nella relazione.
La prima questione che desidero sollevare riguarda, in generale, la specifica tematica del reddito di impresa, a proposito del quale si evidenzia, nella relazione, come il disegno di legge delega introduca significativi correttivi ai criteri per la sua determinazione.
Non ritenete che siano maturi i tempi per cambiare il meccanismo impositivo delle imprese, distinguendo nettamente quelle di dimensioni medie e grandi, rispetto
alle quali l'imposizione è collegata a una specifica disciplina contabile e al bilancio, dalle imprese di dimensioni ridotte, in relazione alle quali gli elementi conoscitivi già a disposizione dell'Amministrazione finanziaria potrebbero consentire una determinazione induttiva del reddito?
Ciò potrebbe aprire la strada a un meccanismo di concordato preventivo, che, oltre a semplificare la vita tanto alle imprese quanto all'Amministrazione finanziaria, produrrebbe un gettito maggiore di quello assicurato dai parametri oggi in uso, come studi di settore e altri.
Rispetto all'impostazione degli anni Settanta, secondo la quale per tutte le imprese, da quelle di piccolissime dimensioni a quelle di grande dimensioni, la base di riferimento è costituita dal bilancio e dalla contabilità, si fare un ulteriore passo in avanti. Qualcosa è stato fatto già con il decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetto «salva Italia»). È apprezzabile, ad esempio, l'intervento che preclude, a determinate condizioni, gli accertamenti analitico-induttivo e induttivo. Sarebbe importante se nel disegno di legge delega e nei decreti delegati si potesse fare un ulteriore sforzo.
La seconda questione riguarda l'abuso del diritto. Tutti salutiamo con favore la norma, sperando che ad essa si dia attuazione al più presto. C'è, tuttavia, qualcosa che manca all'appello, per così dire, e che terrorizzerà sia le imprese italiane, sia quelle straniere che pensano di radicarsi in Italia.
Mi riferisco alla mancanza di chiarezza in ordine alla rilevanza agli effetti penali dell'abuso del diritto. Nel testo originario era scritto che le sanzioni penali non si applicavano all'elusione e all'abuso del diritto. L'eliminazione di tale dicitura, per effetto di interventi «superiori», lascia le imprese nell'incertezza più profonda, perché rimane nell'arbitrio delle diverse procure della Repubblica valutare se l'operazione sia o meno penalmente rilevante. Una procura potrebbe orientarsi per la rilevanza penale dell'elusione, e un'altra in senso contrario, con la conseguenza che al contribuente potrebbe essere perseguito penalmente a seconda che il criterio di individuazione applicabile attribuisca la competenza territoriale all'uno o all'altro ufficio giudiziario.
Non voglio entrare nella polemica, sempre aperta, circa l'opportunità di prevedere sanzioni penali in materia tributaria. Mi limito a rilevare l'opportunità di stabilire espressamente, nel testo normativo, se le sanzioni penali debbano o non debbano trovare applicazione. Non dire alcunché al riguardo è la scelta peggiore che possiamo fare, perché non soltanto lasceremmo nell'incertezza i contribuenti, ma ci muoveremmo anche in controtendenza rispetto a quanto affermato di recente dallo stesso Ministro Severino a proposito della certezza del diritto e della necessità di regole chiare affinché le imprese estere vengano a operare in Italia.
La terza questione riguarda la riscossione. È meritorio l'intervento che rivede, sia pure con le criticità che emergeranno, la riscossione degli enti locali. Penso, tuttavia, che occorra fare chiarezza anche in ordine alla riscossione dei tributi erariali. Oggi, la legislazione sulla riscossione dei tributi erariali è parcellizzata: la riscossione cosiddetta «spontanea» è disciplinata, in parte, dal decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 e, in parte, dal decreto legislativo n. 241 del 1997, recante le disposizioni in materia di versamenti unitari di imposte, contributi e altre somme, nonché, per aspetti particolari, da altri provvedimenti precedenti e successivi; la riscossione mediante ruoli trova la propria disciplina generale nel decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, ma sono numerosi i provvedimenti recanti disposizioni di varia natura relative alla medesima materia. Forse, sarebbe
opportuno prevedere l'adozione di un testo unico della riscossione, in modo da avere regole chiare e univoche, valide per tutti.
Il tema del contenzioso è importante. Questo è il momento buono per uscire da un equivoco che ci condiziona da tempo: il giudice tributario di merito deve svolgere il proprio lavoro a tempo pieno.
Non è più pensabile di portare le controversie tributarie alla cognizione di un giudice a mezzo servizio, che conosce in maniera non sufficientemente approfondita la materia. È difficile pensare, ad esempio, che un giudice ordinario, che esercita la giurisdizione in materia penale o civile, possa occuparsi con professionalità, nei ritagli di tempo, di fusioni, scissioni, riorganizzazioni aziendali, per di più senza avere le necessarie nozioni di bilancio e contabilità aziendale o di IVA intracomunitaria. Mi piacerebbe, pertanto, che il provvedimento in esame prevedesse la figura del giudice tributario a tempo pieno, in modo che la giustizia tributaria di merito non sia più una cenerentola rispetto alle altre giurisdizioni. Il giudice tributario deve essere un giudice professionale, che conosce le materie da trattare e che emette pronunce puntuali.
Per quanto riguarda la revisione del catasto dei fabbricati, non posso che condividere quanto detto poc'anzi dal collega Causi. Si tratta di un tema sensibile. Se nella norma è scritto che si deve procedere alla riforma del catasto, è chiaro che l'organismo cui competerà di porre in essere tale attività dovrà essere messo nelle migliori condizioni per operare bene.
L'ultima questione riguarda un altro tema fondamentale, che sta creando tanti squilibri anche all'Amministrazione finanziaria. Mi riferisco agli strumenti deflativi del contenzioso. È assurdo, a mio avviso, che continui il corso dei procedimenti penali dopo che l'Amministrazione finanziaria abbia definito il contenzioso con il contribuente, chiudendo la vicenda sotto il profilo amministrativo. Nonostante i lodevoli sforzi dell'Amministrazione - tenuta a denunciare per iscritto, ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale, i reati perseguibili d'ufficio di cui venga a conoscenza a causa delle funzioni o del servizio -, è probabile che i giudici penali continuino, anche nei casi di definizione delle violazioni in sede amministrativa, a portare avanti i relativi procedimenti penali. È necessario, pertanto, tornare a un sistema organico e unitario. Una volta definito in via amministrativa, il contenzioso si deve chiudere anche sotto il profilo
penale, in modo pressoché automatico.
Penso che di questi aspetti si debba tenere conto nel prosieguo dell'esame del disegno di legge delega, per dare ai principi e criteri direttivi ivi contemplati quel contenuto che, come rilevato da uno dei colleghi, possa servire davvero agli operatori, soprattutto in questo momento particolarmente difficile per il Paese.
MARCO PUGLIESE. Ringrazio il dottor Befera e i suoi collaboratori per la relazione esaustiva e dettagliata sui diciassette articoli del disegno di legge delega in materia fiscale.
A proposito delle contraddizioni e dei paradossi italiani, siamo il Paese con la pressione fiscale più alta d'Europa (superiamo abbondantemente il 40 per cento), abbiamo un sistema di riscossione rigido e severo, ma siamo i primi in Europa, se non nel mondo, nella classifica dell'evasione.
Non possiamo dimenticare il momento storico in cui viviamo. Per colpa della crisi economica, e via dicendo, abbiamo un Governo tecnico, le istituzioni politiche e i partiti sono bersagliati dall'opinione pubblica e un uomo «forte», di nome Attilio Befera, è allo stesso tempo direttore dell'Agenzia delle entrate e presidente di Equitalia.
Credo che, in questo particolare momento storico, si debba operare - la legislatura avrà termine nella prossima primavera - per dare maggiori certezze ai contribuenti e a tutti i cittadini.
Con tutto il rispetto, e ringraziandolo ancora per la sua ottima relazione, il dottor Befera non è un parlamentare e, di conseguenza, non può presentare proposte emendative riferite all'articolo 7 del disegno di legge delega, in materia di semplificazione dei regimi e degli adempimenti fiscali. Egli concorda, tuttavia, sul fatto che il risparmio di tempo e di costi derivante da misure di semplificazione farebbe sentire i contribuenti meno vessati e regalerebbe all'Agenzia tempo e risorse maggiori. Allora, perché non rivedersi per
collaborare tutti insieme - Commissione e Agenzia delle entrate - all'elaborazione di proposte serie, affinché il Governo intervenga in maniera efficace sul terreno della semplificazione?
Passando a un altro argomento, da più parti è stata espressa preoccupazione per la soppressione e l'accorpamento degli uffici territoriali. A tale proposito, spero che l'Agenzia delle entrate non faccia lo stesso errore che ha compiuto dal Ministero della giustizia, sopprimendo i tribunali delle aree interne per accentrarli nelle aree metropolitane. Se così fosse, si perderebbe un presidio di legalità fiscale. Dobbiamo ringraziare chi lavora negli uffici territoriali periferici, perché offre un servizio qualificato ai contribuenti e anche all'Erario. Credo che il direttore Befera dovrebbe fortemente opporsi ai predetti accorpamenti e soppressioni, che, come abbiamo visto accadere per i tribunali, non comporterebbero alcun risparmio per l'Agenzia delle entrate.
Concludo rivolgendo un duplice appello al dottor Befera, affinché ritorni nel corso della fase di predisposizione delle proposte emendative, per svolgere insieme l'attività di elaborazione cui ho fatto riferimento in precedenza, e affinché l'azione dell'Agenzia delle entrate nel settore della semplificazione sia più incisiva, come chiedono tutti i contribuenti italiani.
PRESIDENTE. Se ci si arriverà, avremo occasione di esercitarci preventivamente anche quando si tratterà di esprimere i pareri sui decreti legislativi.
BRUNO CESARIO. Innanzitutto, mi associo ai ringraziamenti al direttore Befera e a tutti i dirigenti dell'Agenzia delle entrate.
Quasi tutti i colleghi hanno formulato suggerimenti, esprimendo talvolta, comunque in maniera corretta, anche qualche perplessità in merito a talune iniziative dell'Amministrazione finanziaria.
L'audizione odierna è importante: dobbiamo dare risposte chiare ai cittadini, i quali potranno avere contezza del contenuto della discussione attraverso il resoconto integrale. Vorrei, quindi, portare all'attenzione del direttore alcune problematiche particolarmente sentite sul territorio.
In un'intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera il dottor Befera ha fornito alcune informazioni anche in relazione al contenzioso, citando una percentuale del 30 per cento di controversie tributarie nelle quali l'Agenzia delle entrate risulterebbe soccombente.
Su alcune sue affermazioni si può convenire, direttore. Tuttavia, il corto circuito innescatosi tra imprese, Stato, Agenzia delle entrate ed Equitalia ha portato gli imprenditori a percepire l'Amministrazione finanziaria come un nemico. C'è un distacco totale, che noi, come classe politica, dobbiamo necessariamente riuscire a colmare.
Oltre a ciò, il sistema bancario dimostra enormi difficoltà a erogare credito alle imprese, le quali, da un lato, hanno pendenze con Equitalia e, dall'altro, si trovano alle strette anche perché non riescono ad ottenere il pagamento dei propri crediti da parte delle pubbliche amministrazioni.
Se non si risolve un problema, non si può risolvere l'altro. Ci sono imprenditori che si suicidano, e tante persone in grande difficoltà.
Le intenzioni sono buone. Do atto al dottor Befera del grande lavoro che sta svolgendo, nonostante le minacce e gli episodi verificatisi abbiano creato una situazione di rischio per la sua incolumità personale. A tale proposito, gli esprimo nuovamente la nostra solidarietà.
Nello stesso tempo, dobbiamo ascoltare la gente: poiché il momento è difficile, imprese e cittadini hanno bisogno di un maggiore ascolto. Questo non significa che si stia lavorando male, o che l'attività in corso vada interrotta. Bisogna, però, creare le condizioni per un maggiore ascolto.
Non basta una semplice notifica quando le imprese sono in difficoltà. Proprio per l'esistenza di una difficoltà reale e oggettiva a carico degli imprenditori, che può essere causa di disastri sul piano
occupazionale, dobbiamo dare una risposta forte: dopo la fase della discussione, è necessario che si vedano fatti concreti. Due anni fa, ad esempio, si parlò dell'aumento della rateizzazione e di tutta una serie di misure che avrebbero potuto alleviare la pressione. È stato fatto, ed è servito.
Non dobbiamo far sì che il furbo sia premiato, ma non dobbiamo nemmeno passare da un opposto all'altro, da una fase in cui non si fa niente, o quasi, a una in cui si pretende di fare tutto, altrimenti rischiamo di produrre effetti inversi rispetto a quelli avuti di mira.
Questa estate, ad esempio, sono stati effettuati diversi controlli nel settore della nautica da diporto, a seguito dei quali si sono viste in giro meno barche di una certa dimensione. Evidentemente, c'è stata una ricaduta negativa sul mercato. Molti sono andati all'estero, qualcuno altro non ha messo in acqua la propria imbarcazione. Un discorso analogo vale per le automobili, che sono sempre più di cilindrata inferiore: anche nel mercato dell'auto si è registrata una flessione del 20 per cento.
In proposito, penso che i controlli non si debbano fare fermando gli automobilisti o i possessori di barche, ma a monte, attraverso il pubblico registro automobilistico o i registri delle imbarcazioni da diporto.
Non c'è bisogno di intraprendere azioni eclatanti, che allontanano anche chi viene da fuori. Si crea una sorta di blocco in chi ha intenzione di acquistare e, comunque, chi non vuole dare nell'occhio può sempre comprare una macchina di cilindrata inferiore o meno lussuosa e continuare a evadere. Per la verità, il furbo non compra né la barca, né la macchina, ma continua a essere un evasore fiscale. I modi per controllare ci sono: basterebbero le verifiche informatiche.
Concludo con un appello. Con i colleghi di tutti le parti politiche ci siamo confrontati più volte, giungendo a presentare alcune iniziative condivise. Questa Commissione, anche grazie alla presidenza dell'onorevole Conte, lavora veramente in modo proficuo, con spirito costruttivo e collaborativo. Quando i singoli provvedimenti vanno nell'interesse dei cittadini, non si ragiona in base al colore politico, e si registra grande sintonia. Dobbiamo, però, ascoltare i cittadini. La situazione è davvero difficile, e tutti ci chiedono un aiuto.
Talvolta per troppo zelo, o per fare mostra di certi risultati, i vertici non si rendono conto di danneggiare le persone. È importante, per me, anche un unico caso di persona ingiustamente colpita. I dati relativi al contenzioso dimostrano, peraltro, che non sono pochi i casi in cui l'Agenzia soccombe. È quindi utile, secondo me, lavorare in via preventiva affinché determinate situazioni non si determinino. Occorre verificare meglio e cercare di essere più disponibili, perché la situazione è molto difficile. In un momento in cui le banche hanno chiuso completamente i rubinetti del credito, privando le imprese dell'ossigeno necessario per continuare a respirare, almeno lo Stato dovrebbe tendere una mano verso il mondo dell'imprenditoria, innanzitutto diversificando tra coloro che vogliono fare i furbi e coloro che, invece, versano in difficoltà oggettive. Famiglie che da quarant'anni portano avanti piccole imprese e botteghe
artigianali sono indotti a desiderare di andare via dal nostro Paese, perché non ce la fanno più. Non è giusto.
GIAMPAOLO FOGLIARDI. Ringrazio il dottor Befera per la relazione, molto interessante e completa. Le cose da dire sarebbero moltissime, ma cercherò di focalizzare l'attenzione su alcune questioni.
Quando, in Ufficio di presidenza, ci siamo consultati sui soggetti da invitare in audizione, ci siamo trovati immediatamente d'accordo sulla necessità di non perdere questa occasione per affrontare temi importanti e cruciali del settore tributario con l'Agenzia delle entrate.
A mio giudizio, più che porre domande, possiamo cogliere l'occasione per svolgere alcune considerazioni insieme a voi, che siete, come ho detto più volte, gli esecutori dei provvedimenti che noi approviamo.
Credo, quindi, che sia possibile fare una riflessione seria, per capire come operare al meglio e in maniera incisiva.
Lei, direttore, ha toccato un tema importantissimo, che rappresenta il problema di fondo: l'assenza di una vera e propria educazione alla legalità fiscale. Anche per questo motivo è fondamentale non perdere questa occasione.
Nel concreto, dottor Befera, il cittadino onesto perde fiducia nelle istituzioni quando i provvedimenti degli organi giurisdizionali gli danno torto anche di fronte a un'evidenza limpidissima. Come ha già detto il collega Leo, i giudici tributari non possono svolgere la propria funzione nei ritagli di tempo, come lavoro secondario.
Per fare un esempio concreto, l'istanza di sospensione di una cartella esattoriale è stata respinta perché il giudice tributario ha ritenuto che, nel caso di specie, la concessione della misura cautelare non fosse «importante». I 15.000 euro dovuti erano vitali, in questo momento di restrizioni economiche, per la liquidità dell'azienda interessata; eppure, non c'è stato verso di ottenere un provvedimento favorevole al contribuente. Giudici tributari a tempo pieno, iscrizioni a ruolo, funzionalità delle commissioni tributarie sono alcuni tra i temi che il disegno di legge delega deve affrontare.
Per quanto riguarda l'abuso del diritto, serve chiarezza, non soltanto per quanto riguarda gli importantissimi aspetti penali. Nel nostro Paese, la norma tributaria ha finito per prevalere anche sui dettami costituzionali: si tratta di un'incongruenza che deve essere eliminata. Rarissimamente la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di norme tributarie. C'è un ottimo studio del professor De Mita che analizza proprio questo aspetto. Potremmo citare come esempio la vicenda dell'IRAP, ma ci sono altre situazioni simili.
Lei stesso, dottor Befera, ammette che è prassi contestare l'abuso del diritto in relazione a fattispecie di dubbia elusività. Ad esempio, due società facenti parte di uno stesso gruppo si fondono, in modo che la perdita di una delle due sia assorbita dall'altra: in ciò è ravvisato un abuso del diritto. Tuttavia, sarebbe considerato un pazzo l'imprenditore che non realizzasse un'operazione simile per evitare il tracollo. Ci deve essere chiarezza anche da questo punto di vista, altrimenti l'educazione alla legalità fiscale si disperde.
Un terzo aspetto da considerare sono le società di comodo. Faccio un altro esempio concreto. Un albergatore, che vuole adeguare la sua struttura alla normativa in materia di sicurezza, decide di procedere un piano per volta, annualmente. Ipotizzando che l'intervento costi un milione di euro, l'imprenditore in questione presenterà un bilancio in perdita per più di tre anni. Ebbene, se ciò accade, la società è considerata di comodo.
Venendo a un altro aspetto, dottor Befera, l'interpello non funziona: poiché la risposta delle direzioni regionali è quasi sempre negativa, i contribuenti sono costretti a rivolgersi alle commissioni tributarie, le quali riservano loro il trattamento di cui ho riferito in precedenza.
Quanto agli altri contenuti del disegno di legge delega, sarebbero molti gli aspetti da trattare. Giudico positivamente, ad esempio, la separazione della tassazione dell'impresa da quella dell'imprenditore e l'assoggettamento a un prelievo più mite, al fine di incentivare la capitalizzazione dell'impresa, della parte di utile non ritratto per motivi personali.
In conclusione, o cogliamo questa opportunità per affrontare i problemi cui bisogna dare soluzione, e per ricreare nel cittadino la fiducia nell'Amministrazione finanziaria, o perdiamo un'occasione storica. Un contribuente, il quale ha sempre cercato di essere il più possibile corretto, mi ha detto che, constatato il comportamento dell'Amministrazione, valeva la pena di evadere molto più di quanto gli era stato contestato. Non vorrei che, a lungo andare, tanti altri contribuenti fossero indotti a pensarla allo stesso modo.
ALESSANDRO PAGANO. Nel ringraziarla, direttore, per la sua presenza e per la relazione, vorrei conoscere il suo parere su alcuni temi, anche perché penso che, in
questi anni, lei abbia interpretato, per così dire, non soltanto il ruolo, tecnico, di direttore dell'Agenzia, ma sia andato oltre, svolgendo anche il compito - è un riconoscimento che le è dovuto - di ispiratore di norme e non di mero esecutore delle stesse.
Ho bisogno di capire, innanzitutto, cosa pensi, ad esempio, a proposito della revisione del catasto dei fabbricati. Condivido quanto è scritto nella relazione: esistono certamente discriminazioni. Tuttavia, si tratta di uno strumento che, come abbiamo capito tutti, può sostituire in toto la patrimoniale, dato che il 65 per cento della ricchezza degli italiani, secondo i dati della Banca d'Italia, è costituito dalla proprietà immobiliare.
Quella di impoverire l'Italia è una scelta di cui taluni partiti fanno una bandiera. Se, invece, vogliamo ragionare sul rilancio del Paese, dobbiamo fare molta attenzione. Non vorrei che la patrimoniale, dopo essere stata fermata alla porta, entrasse dalla finestra, attraverso un meccanismo che lei, direttore, conosce bene.
Per quanto riguarda il mare magnum delle agevolazioni, condivido la necessità di sfoltirle, considerando, tuttavia, che si tratta di strumenti di politica economica, non soltanto fiscale. In altre parole, lo sfoltimento non deve essere pensato come un taglio orizzontale, secondo un'impostazione culturale che nega la possibilità, per uno Stato attento al bene comune, di guardare con favore a fenomeni e situazioni in grado di apportare comunque vantaggi alla collettività.
Nella relazione si legge - e mi fa molto piacere constatarlo - di un imbarazzo dell'Amministrazione, mai nascosto, per il rischio di accertamenti prudenziali in presenza di fattispecie di dubbia elusività. Giammai si dica che un evasore non ha subito un accertamento! Così, per sicurezza, ci si orienta comunque per un controllo minimo (la Guardia di finanza fa anche di peggio). Perché? Non ci sono, forse, casi di contribuenti virtuosi? Che lei provi imbarazzo, dottor Befera, mi fa piacere: vuol dire che la filosofia del direttore non coincide con quella dei capi degli uffici periferici; tuttavia, la mentalità imperante va corretta, perché, in alcuni casi, essa trasmoda in vessazione. A tale riguardo, credo che molto dipenda dalle direttive impartite agli uffici (e desidero che di questo tema si occupi anche il disegno di legge delega).
Cade a proposito, direttore, la pubblicazione di una sua intervista sul Corriere della Sera di oggi. Lei afferma che, nei primi sei mesi dell'anno, sono state applicate le cosiddette ganasce soltanto a ventidue auto, rispetto alle 188.000 dell'anno scorso. C'è la nuova norma che stabilisce una soglia, ma sono anche cambiate le direttive.
Dobbiamo stare attenti anche noi parlamentari, perché gli uffici applicano le norme che approviamo noi, con il risultato - oltre al danno, la beffa! - che le immatricolazioni delle auto si fanno in Germania e che le imbarcazioni non ormeggiano più nei porti italiani, ma in quelli della Corsica o della Croazia. Certe consequenzialità sembrano abbastanza chiare.
Sulla riduzione dell'area degli illeciti penalmente rilevanti vorrei da lei, direttore, un giudizio più esplicito rispetto a quello che ha espresso svolgendo la relazione. Ritengo che certe vicende non debbano più verificarsi. Ci sono imprenditori che fatturano 20 milioni di euro, i quali si trovano coinvolti in indagini penali da cui anche il giudice non sa come uscire. Sembra che siano tutti evasori. Invece, c'è l'evasore che ci fa arrabbiare, che ci fa torcere le budella e che va colpito duramente, ma ci sono anche i contribuenti corretti.
Mi rendo conto che il suo ruolo è davvero delicato, direttore: dare direttive ad altri è molto difficile.
Intanto, dovremmo introdurre nel disegno di legge delega la previsione del giudice tributario a tempo pieno, non più part-time, così come dovremmo tenere conto del fatto - e desidero che anche questo argomento sia affrontato in occasione dell'esame del disegno di legge delega - che abbiamo un'evasione fisiologica.
Ci sono professionisti e imprese marginali che stanno sopravvivendo: dobbiamo decidere cosa farne. Vogliamo che la politica fiscale attuata sul territorio dall'Agenzia ne determini l'espulsione dal mercato, facendone degli assistiti - ammesso che ci siano i soldi per assisterli -, oppure che siano incrociati i dati esistenti nelle svariate banche dati? Bisogna anche avere tolleranza.
L'occasione dell'esame del disegno di legge delega dovrebbe essere sfruttata per evidenziare un nostro grande problema, che è un mio pallino: l'evasione realizzata tramite società offshore. Ad esempio, una consulenza per dieci milioni di euro pagata a una società con sede nel Lichtenstein comporta cinque milioni di tasse in meno. Poiché sappiamo bene come funziona, dobbiamo trovare un meccanismo per porre un freno a tale fenomeno. Dobbiamo mettere mano anche all'evasione posta in essere da talune etnie, trattate diversamente dai cittadini italiani. Si tratta di un tema su cui dobbiamo riflettere, e sul quale lei, direttore, potrebbe fornirci un parere illuminato.
Condivido, infine, quanto è scritto nella relazione in merito alla capacità, da parte nostra, di determinare un'inversione di tendenza. In Italia, in questi ultimi quarant'anni, gli imprenditori hanno sottratto soldi alle imprese, perché non conveniva pagare tasse così incredibilmente alte, e ognuno si è creato un proprio patrimonio immobiliare. Morale della favola: le aziende sono sottocapitalizzate, come si dice bene nella relazione, e non più competitive. Dobbiamo, quindi, trovare il coraggio, al fine di rilanciare il sistema produttivo, di premiare con vantaggi fiscali chi lascia i soldi in azienda: ciò produrrebbe automaticamente utili, che significherebbero investimenti, ricchezza, occupazione e sviluppo. Naturalmente, il predetto criterio deve valere per gli investimenti in beni materiali e tecnologici e per quelli in beni immateriali, sui quali si giocheranno le sfide del futuro.
Il nostro sistema ha deciso di non investire più né sulla scuola, né sull'università. Mi chiedo come saranno gli italiani tra dieci anni, visto che siamo già indietro rispetto ad altri Paesi più evoluti. Non siamo più in grado di investire per la formazione delle generazioni future e, nello stesso tempo, abbiamo deciso di castrarci, per così dire, con le politiche fiscali. Da una parte dobbiamo pur cominciare. In attesa di trovare un Ministro o un Governo illuminato, che reinvesta nella scuola in maniera seria, mettiamo mano almeno alla politica fiscale ed economica!
Ci serve il suo parere, direttore, per far sì che gli elementi condivisi siano tradotti, attraverso le iniziative che assumeremo, in principi e criteri direttivi della delega.
PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi e do la parola al dottor Befera per la replica.
ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Grazie, signor presidente.
Alla risposta alle singole domande vorrei premettere una considerazione di carattere generale, perché ho avuto una sensazione che vorrei chiarire.
In Italia, indipendentemente dalla struttura di monitoraggio dell'evasione fiscale prevista dal disegno di legge delega, stime sull'evasione fiscale sono effettuate regolarmente da diversi soggetti: dall'ISTAT, ad esempio, in sede di determinazione degli aggregati economici della contabilità nazionale, ma anche dall'Agenzia delle entrate.
Le analisi mostrano un dato medio di 120-130 miliardi di euro di imposte evase all'anno. Da quando ho assunto l'incarico di direttore dell'Agenzia, credo che ne avremo recuperati oltre 40.
Ebbene, la sensazione che ho avuto ascoltando gli interventi è che ci viene rimproverato, se posso utilizzare tale termine, di avere preso i suddetti 40 miliardi ai cittadini onesti, dopo averli vessati, mentre l'evasione sarebbe rimasta tale e quale a com'era. Inoltre, avremmo «cacciato» dai porti italiani barche di cittadini onesti, non di evasori, perché i cittadini onesti vanno all'estero, mentre gli evasori cambiano auto o barca e rimangono in Italia.
Credo che non sia questa la realtà. Tutto ciò che facciamo lo facciamo in base a leggi. Le sanzioni non siamo noi a incassarle, né ad averle stabilite, e lo stesso vale per gli interessi: le une e gli altri sono fissati da leggi dello Stato, che l'Agenzia delle entrate deve applicare.
Sicuramente avremo commesso qualche errore. L'abuso del diritto ha comportato problemi non soltanto per le imprese, ma anche per noi. In particolare, Equitalia ha commesso una serie di pesanti errori, ma comunque in numero limitato rispetto agli 8-10 milioni di cartelle esattoriali che forma e notifica ai contribuenti ogni anno. I casi di errore saranno, forse, 2.000. Ad ogni modo, bisogna verificare che gli errori siano davvero tali, o che realmente le notifiche non siano state regolarmente eseguite.
Chiedo scusa alla Commissione, ma avevo bisogno di svolgere questa premessa di carattere generale: devo avere la convinzione che non siamo da soli a combattere quella che il Presidente del Consiglio ha definito una guerra.
Non conosco il caso specifico descritto dall'onorevole Ventucci e, quindi, non sono in grado di dare risposte. Se ce lo segnalerà, lo esamineremo. Vorrei, però, ribadire che le sanzioni sono comminate in base al dettato della legge.
Per quanto riguarda, invece, la natura usuraria delle pretese di Equitalia, alcuni cittadini hanno presentato denunce per usura nei confronti della società, e qualche prefetto ha dato seguito ad alcune richieste presentate ai sensi della legge n. 44 del 1999. In proposito, occorre precisare che il reato di usura si configura, innanzitutto, in relazione agli interessi dati o promessi in corrispettivo di prestazioni di denaro, cioè di finanziamenti. Orbene, poiché Equitalia non concede finanziamenti, non vi è, concettualmente, la possibilità di ipotizzare l'usura. Inoltre, gli organi di polizia e i prefetti hanno accertato che le menzionate denunce avevano lo scopo di ottenere la sospensione di termini di cui all'articolo 20 della citata legge n. 44 del 1999. Insomma, si trattava di un modo per non pagare le cartelle di Equitalia.
Sono stati rappresentati alcuni casi in cui, forse, Equitalia ha sbagliato. Se la Commissione lo reputa utile, posso preparare un dossier di tutti i casi in cui avvocati, commercialisti e contribuenti tentano di non pagare, o addirittura di guadagnare dal rapporto con Equitalia.
Non conoscendo le situazioni specifiche, non sono in grado di rispondere in maniera particolareggiata. In generale, posso dire che quanto facciamo è previsto dalla legge. Se si ritiene che le sanzioni debbano essere modificate, lo si faccia. Personalmente, credo che la sanzione debba esistere, e che essa debba essere tale da avere un effetto deterrente. Diversamente, il pagamento dell'imposta dipenderebbe da una valutazione di convenienza. In altre parole, i vantaggi collegati al mancato esborso del denaro fino all'attivazione della riscossione coattiva, da parte dello Stato o del diverso ente impositore, non devono essere superiori allo svantaggio derivante dall'applicazione della sanzione, che esiste con questo scopo in tutti gli ordinamenti del mondo.
Nell'intervista pubblicata questa mattina dal Corriere della Sera accennavo al film La ricerca della felicità, di Gabriele Muccino, che ho rivisto recentemente. Nella pellicola, Will Smith interpreta il ruolo di un evasore per necessità, il quale scopre che l'Internal Revenue Service, l'agenzia di riscossione del Governo federale degli Stati Uniti, gli ha prelevato tutti i soldi dal conto corrente. Per noi, sono un problema il fermo amministrativo degli autoveicoli e le ipoteche, che sono garanzie a favore dello Stato. Noi non preleviamo i quattrini dai conti correnti. In Germania, se non si paga, fatta una serie di tentativi per ottenere il pagamento, c'è la detenzione sostitutiva. Sempre nel film che ho citato, per alcune multe non pagate al comune di San Francisco Will Smith è arrestato e non esce di prigione fino a che non esegue il pagamento di quanto dovuto. Forse, andrebbe fatto uno studio comparato tra le varie
legislazioni. In Italia, abbiamo casi di persone che non hanno pagato multe per 20.000 euro! È tutto fatto secondo la legge. Non siamo particolarmente
cattivi rispetto agli altri Paesi. C'è un senso civico diverso. Nel film di Muccino, Will Smith cerca di rifarsi una posizione, non va dall'avvocato o dalla stampa a lamentare che l'agenzia di riscossione gli ha preso tutto il denaro che aveva in banca.
Per quanto riguarda le semplificazioni, le poche righe al riguardo contenute nel disegno di legge delega - com'è stato rilevato - possono voler dire tutto o niente. Noi pensiamo che vogliano dire tutto.
Rispondendo all'onorevole Cesario e agli altri deputati che ne hanno parlato, l'Agenzia delle entrate ha creato, da poco più di un mese, un gruppo di lavoro che, entro il 30 settembre, mi consegnerà un'analisi dettagliata di tutti gli adempimenti che i contribuenti, siano imprese o semplici cittadini, sono obbligati a effettuare. Vogliamo intervenire in via amministrativa, ove possibile, per eliminare tutti gli obblighi desueti e obsoleti, quelli duplicati e tutti quelli cui non è collegato un particolare valore aggiunto per l'Amministrazione finanziaria. Molti adempimenti, probabilmente, si sovrappongono, perché sono stati introdotti in tempi diversi. Questo lavoro - che il dottor Di Capua sta seguendo personalmente - dovrà essere completato, come ho già detto, entro il 30 settembre 2012. Ciò che non sarà possibile eliminare in via amministrativa sarà oggetto o di emendamento al disegno di legge delega,
volto ad ampliare il contenuto della disposizione in materia di semplificazioni, o di interventi legislativi che saranno successivamente proposti dal Governo.
Per quanto riguarda l'intervento dell'onorevole Causi, sarei d'accordo a creare dei meccanismi di coerenza tra la legge di bilancio e le valutazioni relative al tax gap, anche se ciò riguarda più la Ragioneria generale dello Stato. Le valutazioni e il monitoraggio dell'evasione non posso rimanere fini a se stessi: devono fornire elementi per modificare opportunamente l'operatività dell'Agenzia (peraltro, già lo facciamo, al nostro interno, in via amministrativa). Questo dovrebbe avere, poi, riflessi sul bilancio dello Stato. Credo, quindi, che una specificazione nel senso indicato dall'onorevole Causi potrebbe essere contenuta in un emendamento. Noi elaboriamo valutazioni del tax gap, ma soltanto riguardo all'IVA, perché è l'imposta che risponde per prima alle misure di contrasto dell'evasione. Abbiamo strutture interne che svolgono tale compito e forniamo dati alle nostre direzioni provinciali, affinché
queste possano operare efficacemente per ridurre il tax gap.
Per quanto riguarda la riforma del catasto e gli accorpamenti che interessano le agenzie fiscali, mi rimetto alla volontà del Parlamento e del Governo. Come direttore dell'Agenzia delle entrate, non posso esprimere valutazioni a tale riguardo.
In materia di abuso del diritto si ricorre già all'interpello; anzi, credo che ne siano stati presentati parecchi.
Non è vero, poi, che l'interpello ottenga risposta negativa nel cento per cento dei casi, o quasi. Ad esempio, per quanto riguarda le società di comodo, le società in perdita per più periodi d'imposta, menzionate dall'onorevole Fogliardi, sono stati presentati circa 1.400 interpelli. A circa settecento abbiamo già risposto, e le risposte non sono state tutte negative. Ci si dimentica, peraltro, che la legge prevede forme di disapplicazione automatiche, senza che sia necessario alcun interpello. Le cosiddette start-up, come ricordava un articolo pubblicato dal Corriere della Sera qualche tempo fa, sono escluse per quattro anni dall'applicazione della norma relativa alle imprese in perdita. Altre precisazioni al riguardo sono state fornite con una mia circolare. Esistono - ripeto - casi di disapplicazione, alcuni dei quali automatici. Stiamo valutando gli interpelli, e il dato nazionale è abbastanza positivo.
In tema di riscossione degli enti locali, la legge prevede che, qualora sia deliberato di affidare a terzi l'accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate, le relative attività sono affidate nel rispetto della normativa dell'Unione europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici
locali. In altre parole, la legge non stabilisce alcuna riserva. Il decreto-legge n. 203 del 2005 aveva attribuito lo svolgimento delle attività di riscossione coattiva, per conto delle amministrazioni locali, alla società privata di proprietà dell'Agenzia delle entrate e dell'INPS, Equitalia Spa (già Riscossione Spa), ma soltanto in via provvisoria, fino al 31 dicembre 2010, per consentire ai comuni di organizzarsi. I comuni non l'hanno fatto. Per questo siamo andati avanti di proroga in proroga, finché una prima norma ha introdotto l'obbligo della gara, e una seconda ha disposto la cessazione, da parte di Equitalia, dell'attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate.
È chiaro che nasce negli enti locali una parte considerevole dei problemi che hanno attraversato il mondo di Equitalia negli ultimi anni. Abbiamo discusso di questo argomento a lungo. Il mercato deve rimanere: si può discutere sull'esclusione o meno di Equitalia, ma, in ogni caso, a vigilare ci sono gli organi dell'Unione europea. L'alternativa sarebbe quella di stabilire che la riscossione è attività obbligatoria primaria e, per tale motivo, sottratta alla logica di mercato, in modo che i privati non possano più svolgerla per conto degli enti locali.
In questo momento, vedo un po' di confusione. Le gare bandite sono pochissime. I comuni non possono pensare di attribuite l'attività di riscossione senza gara a chicchessia - compresa Equitalia -, nemmeno in via provvisoria.
Chiaramente, si devono affrontare due problemi.
Il primo riguarda i cosiddetti residui. Chi dovrà occuparsi delle entrate già in carico a Equitalia e non ancora riscosse? I comuni non pensino che Equitalia si terrà il pregresso, mentre loro si occuperanno esclusivamente del nuovo. Se c'è un passaggio dell'attività di riscossione da Equitalia ai comuni, questo deve comprendere anche il pregresso.
L'altro problema è legato al personale. Si può pensare che sia assunto personale, per la gestione della riscossione tramite società private, senza tenere conto delle professionalità interne di Equitalia, che verrebbero a trovarsi senza lavoro? Non ne conosco la soluzione, ma il problema è di estrema serietà.
All'onorevole Barbato posso subito rispondere che potremo continuare tranquillamente a darci del «tu».
Non ho dati sull'abuso del diritto, ma presumo di potervene fornire, in seguito, di significativi. Ricordo che l'abuso del diritto, come nozione giuridica, non nasce improvvisamente in Italia, ma deriva dalla sentenza della Corte di Giustizia CE del 21 febbraio 2006, pronunciata nella causa C-255/02, Halifax. Forse, in Italia, si arriva tardi a codificarlo. L'onorevole Leo è intervenuto più volte su tale tema. Insomma, non abbiamo teorizzato noi che l'abuso del diritto è un comportamento massimamente scorretto da parte del contribuente, in quanto ambiguo, nascosto, volto a utilizzare in modo improprio una norma che ha un fine diverso.
Per quanto riguarda il redditometro, stiamo lavorando. Come ho dichiarato più volte, è preferibile tardare un po', ma avere uno strumento che dia la certezza di raggiungere completamente l'obiettivo, cioè snidare l'evasione al di fuori del perimetro del reddito d'impresa. A breve presenteremo i risultati del nostro lavoro. Occorre considerare, peraltro, che stiamo realizzando due forme di redditometro: una per la selezione preventiva, una per la conseguente attività di controllo.
A proposito dell'aggio, devo ribadire un concetto. A parte il fatto che la sua misura è fissata dalla legge, non si accumula nel tempo, ma è corrisposto una tantum. Di fatto, non si tratta di un interesse. Vorrei ricordare che, se il contribuente paga entro sessanta giorni, l'aggio è solo del 4,65 per cento e che, dal 2014, esso sarà sostituito dal rimborso dei costi fissi risultanti dal bilancio certificato.
Tengo a precisare, ancora una volta, che l'aggio remunera i costi di riscossione coattiva, sbagliati o giusti che siano. Se
non fossero sostenuti da colui che ha reso necessaria la riscossione coattiva, tali costi ricadrebbero sul cittadino onesto, che paga le imposte regolarmente, perché verrebbero addebitati alla fiscalità ordinaria. È bene ricordare, quindi, che l'aggio è posto a carico di colui che non ha pagato le imposte.
Per quanto riguarda il condono del 2002, non ho, al momento, dati da riferire.
Vorrei rispondere, invece, alle due domande che avrebbero dovuto mettere in dubbio il rapporto tra me e l'onorevole Barbato.
Innanzitutto, con riferimento all'intercettazione, quando sono stato sentito dai pubblici ministeri di Napoli, ho specificato che si era trattato di una battuta per sdrammatizzare una situazione fattasi pesante, dopo l'arresto del Ragosta. Vorrei precisare che, prima dell'arresto, avevo avuto qualche dubbio sul comportamento di Sangermano, tant'è che avevo disposto un'ispezione, le cui risultanze sono state consegnate alla Procura in allegato a una mia relazione.
Al momento, essendoci soltanto un'indagine in corso nei confronti di Sangermano, non intendo assumere alcun provvedimento nei suoi riguardi, perché parto dal presupposto che il cittadino non sia colpevole fino a quando non si delinei una situazione concreta di responsabilità. In base al contratto nazionale di lavoro dei dirigenti, se c'è rinvio a giudizio del dipendente, posso procedere alla sua sospensione in via cautelare; se non c'è rinvio a giudizio - e al momento non c'è, nel caso di specie -, non posso provvedere in tal senso. Alla nomina di Sangermano a direttore dell'Agenzia dell'Emilia-Romagna si è proceduto prima di avere conoscenza degli atti del pubblico ministero.
Per quanto riguarda il mio stipendio, le posso dire, onorevole Barbato, che è pari a quello del Primo Presidente della Corte di cassazione, che ho rinunciato già da un anno agli emolumenti di Equitalia e che non ho altri incarichi. Lo stipendio del Primo Presidente della Cassazione è intorno ai 300.000 euro annui.
Condivido i dubbi circa i riflessi penali dell'abuso del diritto, ma credo che debba risolverli il Parlamento, tenendo conto della previsione degli articoli 5 e 8 del disegno di legge delega. La revisione delle fattispecie offre, forse, uno spazio di manovra.
Condivido, altresì, la possibilità di diversificare tra grandi imprese e piccole imprese, sia pure con tutte le cautele del caso, perché, quando si diversificò tra grandi contribuenti e contribuenti minimi, tutti «diventarono» contribuenti minimi. Bisogna, quindi, fare attenzione. È chiaro, però, che la diversificazione andrebbe nella direzione della diminuzione degli oneri e dei costi. A tale proposito, ho omesso di precisare che, nel valutare gli adempimenti inutili, verificheremo anche il costo dell'adempimento per il contribuente. Se non riusciremo ad abbassare la pressione fiscale, onorevole Pagano, forse potremo abbassare i costi che il contribuente sostiene per adempiere: è uno degli obiettivi che ci siamo posti.
Lo stesso vale per l'istituzione del giudice tributario a tempo pieno: l'Agenzia non può che vederla di buon occhio, in quanto succede anche a noi di essere destinatari di provvedimenti giurisdizionali sbagliati o assurdi. Avere giudici tributari professionisti renderebbe le cose più facili per tutti e farebbe anche ridurre i costi. La mediazione sta andando bene: definiremo il 75 per cento dei casi oggetto di reclamo - circa 4.700 -, evitando che sfoci in controversie davanti alle commissioni tributarie. Il risparmio sarà enorme.
È vero, onorevole Pugliese, che il sistema di riscossione è rigido e severo. Occorre considerare, tuttavia, che si tratta di un sistema di riscossione coattiva. Credo sia opportuno uno studio comparato della legislazione sulla riscossione coattiva nei principali Paesi europei. Non appena l'avremo approntato, ne faremo avere una copia alla Commissione. Secondo me, gli altri ordinamenti sono ancora più rigidi e più severi del nostro. La differenza fondamentale, di cui abbiamo discusso anche con i comuni, è data dal fatto che emettiamo tra gli 8 e i 10 milioni
di cartelle di pagamento ogni anno, per conto di circa 14.000 enti impositori. Come si può immaginare, c'è di tutto: i ruoli formati dall'ente efficiente sono corretti; quelli formati dall'ente non efficiente non lo sono.
Dal 2007, in base a una mia direttiva, se il contribuente fornisce a Equitalia la prova documentale che l'importo iscritto a ruolo non è dovuto, sospendiamo l'attività di riscossione, inviamo copia della documentazione all'ente impositore (principalmente, ai comuni) e non riattiviamo il procedimento di riscossione fino a quando l'ente in questione non ci dà risposta.
Su 70.000 segnalazioni, corredate della documentazione prodotta dai contribuenti, i comuni hanno risposto nel 35 per cento dei casi. Questo è il problema che crea attrito con i cittadini.
Prima della mia direttiva, dovevamo incassare anche in mancanza di un riscontro da parte del comune interessato, e il contribuente si trovava costretto a pagare, in alcuni casi, per la seconda volta. In ragione di ciò abbiamo svolto le opportune analisi. Tra l'altro, abbiamo creato una sorta di collegamento tra l'ufficio del giudice di pace e il Comune di Roma, perché le due strutture non dialogavano.
Il vero problema da affrontare non è la rigidità del sistema di riscossione, ma l'inefficienza delle strutture.
Quanto alla soppressione degli uffici, ho dato l'autorizzazione alla chiusura di quattordici uffici territoriali. Due sono stati già chiusi. Si tratta di articolazioni periferiche di cui la comparazione tra produttività e costi ha fatto emergere la non utilità, di piccoli uffici con pochissimi dipendenti e utenti, a poca distanza dai quali esiste una nostra struttura più importante. Come l'onorevole Fluvi ricorderà, la difficoltà maggiore è stata determinata dallo spostamento degli uffici addetti ai controlli dalla sede locale a quella provinciale. Rilevato che in alcuni casi esisteva - come segnalato dall'onorevole Fluvi - una struttura subprovinciale più importante, ovvero della stessa importanza, rispetto a quella provinciale, abbiamo mantenuto alcune fasi del controllo nella struttura subprovinciale. È successo a Empoli, Avezzano e Rivoli. Cerchiamo, quindi, di mantenere le nostre strutture periferiche,
laddove ciò è possibile. Uffici piccoli, inefficienti, con scarsa utenza, sono un costo per lo Stato superiore al valore aggiunto che apportano.
Onorevole Cesario, dai nostri dati non risulta affatto che il 30 per cento delle controversie tributarie nelle quali l'Agenzia risulta soccombente è dovuto ad accertamenti sbagliati. Si tratta, piuttosto, di provvedimenti che, nella maggior parte dei casi, sollevano un dubbio interpretativo, in relazione al quale riteniamo corretto andare davanti al giudice, magari fino in Cassazione, per avere una giurisprudenza definitiva che lo sciolga. In un sistema tributario nato negli anni Settanta, e manipolato tantissime volte nel tempo trascorso da allora, è normalissimo avere dubbi interpretativi.
Qualche errore lo commetteremo senz'altro, ma non siamo nemici di tutti: credo di poter affermare che siamo nemici degli evasori.
Avere svolto azioni di deterrenza, attraverso controlli sul territorio, non è stato negativo. Per la prima volta, in Italia, si è capito che lo Stato interviene anche duramente. Forse, bisognerà stare più attenti alle modalità dei controlli.
Per quanto riguarda, in particolare, le barche, credo che, al di là di alcune norme da valutare, non venga in considerazione un problema esclusivamente fiscale. Il problema è che un'imbarcazione da diporto è controllata dalla Capitaneria di porto, dall'Arma dei carabinieri, dalla Guardia finanza, e non so da chi altro, per motivi diversi e non illegittimi. Servirebbe, probabilmente, un migliore coordinamento. Talvolta, capita che il giorno dopo la visita dei nostri ispettori arrivi la Guardia di finanza. Il disegno di legge delega contempla alcune norme di coordinamento, che consentiranno di superare l'attuale situazione.
Le barche e le automobili sono state portate altrove non dagli imprenditori onesti - ne ho parlato con tanti imprenditori -,
ma da chi evadeva. Non sono nemmeno d'accordo con chi dice che l'evasore compra un'auto più piccola e continua a evadere. Terrei anche a precisare che le nostre azioni sul territorio non sono decise a caso. Non è che la città di Cortina, ad esempio, ci sia antipatica. Si tratta di azioni mirate, compiute nei confronti di soggetti che già sappiamo essere a elevato rischio di evasione.
Sempre per quanto riguarda i controlli, la maggior parte di essi, onorevole Pagano, è svolta non sul territorio, ma incrociando i dati contenuti negli archivi informatici. Controlliamo, ad esempio, tutte le nuove immatricolazioni di barche e autovetture di un certo valore. L'incrocio delle banche dati è, quindi, alla base della nostra attività. Effettuiamo 700.000 controlli l'anno, e non in maniera casuale: incrociando i predetti dati, sappiamo dove andare a eseguire i controlli. Non per niente, come ho già evidenziato, abbiamo recuperato più di 40 miliardi di euro negli ultimi quattro anni. Qualche volta avremo esagerato, ma abbiamo colpito gli evasori, non i cittadini onesti.
Onorevole Fogliardi, lei dice sempre cose estremamente corrette. Se, però, il giudice tributario non accorda al contribuente il provvedimento di sospensione richiesto, posso fare ben poco come direttore dell'Agenzia. Torniamo alla necessità di avere giudici diversi.
GIAMPAOLO FOGLIARDI. Scusi se la interrompo, direttore. Dovremmo ragionare, forse, anche sull'iscrizione a ruolo. Anche il contribuente che ha ragione, se vuole ricorrere alla commissione tributaria, è costretto a pagare un terzo delle imposte corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati, nonché i relativi interessi, che sono iscritti a ruolo a titolo provvisorio.
L'iscrizione a ruolo a titolo provvisorio è un'arma micidiale, usando la quale lo Stato mette il cittadino al tappeto.
ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Se qualcuno dei dipendenti dell'Agenzia fa questo ragionamento, io intervengo. Tutte le volte che sono venuto a conoscenza di simili comportamenti sono intervenuto. Il ricatto al contribuente non è accettabile: se c'è motivo per mantenere ferma la pretesa, lo si fa in modo corretto e professionale; se motivo non c'è, non si insiste. La situazione da lei descritta, onorevole Fogliardi, è patologica.
GIAMPAOLO FOGLIARDI. Sono d'accordo con lei, direttore.
Talvolta, noi professionisti prospettiamo anche al contribuente che ha ragione la possibilità di definire un accertamento tramite adesione, anziché impugnarlo, quando la riduzione ottenuta presenta comunque una convenienza.
L'evasione c'è - non possiamo fare finta che non esista -, ma ci sono casi concreti in cui l'iscrizione a ruolo a titolo provvisorio diventa un'arma micidiale e ingiusta. Anche se l'ufficio non la usa a fini di ricatto, la predetta iscrizione a ruolo costringerebbe a pagare, in via provvisoria, più di quanto sarebbe dovuto aderendo all'accertamento.
La colpa di ciò che accade non è certamente dell'Agenzia, che si limita ad applicare le norme approvate dal legislatore, ma l'aspetto che ho ritenuto di dover segnalare rende la strada del contenzioso ancora più impervia.
ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Facciamo un'ipotesi, onorevole Fogliardi.
Ricorderà che, nella formulazione originaria, la norma in materia di iscrizione nei ruoli in base ad accertamenti non definitivi prevedeva, in caso di ricorso, l'iscrizione fino al cento per cento dell'imposta. Ipotizzando che non sia prevista l'iscrizione a ruolo, quanti contribuenti definirebbero gli accertamenti mediante adesione, e quanti pagherebbero le imposte? La norma nasce per questo motivo. Talvolta, è usata male e, se succede, noi interveniamo. È chiaro che il contribuente, nel valutare se proporre ricorso, deve considerare anche l'onere conseguente, che potrà eventualmente rateizzare.
L'onere c'è, ma avremmo effetti notevoli sul gettito se non ci fosse l'iscrizione a ruolo a titolo provvisorio.
Con riferimento alla revisione del catasto dei fabbricati, onorevole Pagano, posso ribadire quello che ho scritto nella relazione. Attualmente, il fatto che le rendite siano vecchie di 68 anni crea disparità enormi tra i cittadini. A Roma, ad esempio, paga di più chi possiede una casa popolare in periferia, costruita l'anno scorso, di chi ha una casa a piazza Navona (credo che l'onorevole Causi possa confermarlo).
La revisione della disciplina del catasto dei fabbricati va comunque fatta, se non altro per una questione di parità di trattamento dei cittadini.
PRESIDENTE. Il problema è chi la farà.
ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Su questo non sta a me rispondere.
Le direttive di Equitalia cambiano costantemente in base alle leggi.
In qualche caso, abbiamo addirittura precorso i tempi. La direttiva cui accennavo, a proposito del dialogo della società di riscossione con l'ente impositore, non ha un preciso fondamento normativo: me ne sono assunto il rischio, ma può anche darsi che la Corte dei conti, un domani, ritenga di muovermi qualche addebito in merito.
Dopo le modifiche legislative dello scorso anno, abbiamo concentrato l'attenzione sui grandi debitori, anche in conformità a un concetto più ampio di tolleranza. Data la situazione di crisi, è bene, forse, puntare sui grandi evasori.
La riduzione dell'area degli illeciti penalmente rilevanti sarebbe importantissima, in primo luogo perché farebbe funzionare la deterrenza penale, oggi, in effetti, alquanto debole. È vero, come rilevato dagli onorevoli Pagano e Leo, che non c'è collegamento tra la definizione della vertenza fiscale e l'attività avviata in sede penale. In proposito, credo che la strada giusta sia quella di ridurre le fattispecie e di alzare il tetto, che oggi è all'incirca di 50.000 euro. Un'impresa che fattura 300 milioni di euro non può correre un rischio penale per 50.000 euro.
PRESIDENTE. Stiamo parlando di limiti quantitativi o anche percentuali, proporzionali?
ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Secondo me, occorrono limiti qualitativi e quantitativi: sia la riduzione delle fattispecie, sia la proporzionalità.
PRESIDENTE. Il disegno di legge delega non si occupa dell'argomento.
ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Si eviterebbe il notevole afflusso di notizie di reato, che le procure non riescono a gestire e che crea problemi anche a noi.
Per quanto concerne gli utili investiti, l'aiuto alla crescita economica (ACE), introdotto con il decreto-legge n. 201 del 2011, offre la possibilità di ridurre ampiamente il costo fiscale degli utili reinvestiti. Ci si sta già muovendo.
Spero di aver risposto a tutte le domande.
PRESIDENTE. Per concludere, direttore, lei ha citato il film La ricerca della felicità, di Gabriele Muccino. Il film racconta la storia di un uomo che piomba, con il suo bambino, in un vortice drammatico, schiacciato da uno Stato che può servirsi della straordinaria forza di determinati meccanismi. Il problema sta, a mio avviso, nella situazione di partenza. Dobbiamo assolutamente garantire ai nostri contribuenti che non possa prodursi quella situazione di partenza. Non deve succedere, in altre parole, che un'impresa sia costretta a scegliere se pagare le imposte allo Stato o lo stipendio agli operai, magari perché lo Stato non le ha pagato le forniture ricevute. Questa è una situazione in cui il contribuente è doppiamente perdente, in quanto costretto a pagare anche
sanzioni e interessi, a causa di un inadempimento che, spesso, è indipendente dalla sua volontà.
Credo che uno degli obiettivi cui dobbiamo mirare sia quello di predisporre un testo di legge delega in cui si differenzi colui che viola le norme tributarie con dolo da chi, invece, lo fa perché si trova in uno stato di necessità. Quest'ultimo soggetto dovrebbe essere trattato diversamente da un comune delinquente.
Lei, direttore, ha fatto riferimento a 120 miliardi di euro di evasione, di cui 40 recuperati. C'è soltanto da rilevare, al riguardo, che i 120 miliardi sono annuali, mentre i 40 miliardi sono pluriennali. Comunque, sarebbe interessante conoscere i dati scomposti dell'evasione rintracciata. Sembra, infatti, che una parte molto importante del recupero avvenga tramite i cosiddetti controlli automatizzati, e una parte dal vero e proprio contrasto dell'evasione.
Qui si innesta il discorso relativo alle imbarcazioni e alle automobili. Noi viviamo in un Paese strano. Il direttore sa bene che le auto di lusso, o di un certo livello, sono circa 200.000, di cui circa la metà intestate a società fittizie. Un controllo per tabulas potrebbe evitare lo strazio delle persone fermate per strada, per il solo fatto di possedere un'auto di lusso.
ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Ma quel tipo di controllo lo facciamo.
PRESIDENTE. Voi effettuate i controlli per tabulas, ma la Polizia, i Carabinieri e la Guardia di finanza continuano a fermare la gente sulle strade, tanto che qualcuno si prepara a esibire, oltre alla patente e al libretto di circolazione, anche la dichiarazione dei redditi...
Il fastidio, come continuo a sostenere anche presso il Governo, non è dato dal controllo in sé, ma dal fatto che esso è collegato al possesso di un bene che dimostra agiatezza. Se la ricchezza è diventata, nel nostro Paese, qualcosa da colpire, qualcuno lo dica espressamente!
Venendo a Roma con il treno, ho notato che un barbone si è costruito una specie di casetta su un binario della stazione Termini. Si controllano le auto di lusso, ma nessuno va a chiedere a quel poveraccio perché viva in quelle condizioni.
Questo è davvero un Paese curioso: nessuno dei corpi militari che svolgono controlli in mare è in grado di verificare chi sia il proprietario di un'imbarcazione fermata in mare. Poiché i registri pubblici nei quali le imbarcazioni sono iscritte sono cartacei, compilati a mano e con grafie diverse, per avere informazioni ci si deve rivolgere alla Capitaneria di porto o all'ufficio circondariale marittimo che li detiene, i quali tirano fuori dai propri archivi, di volta in volta, i faldoni in cui sono raccolti gli atti. Tutti i trasferimenti di proprietà sono trascritti a mano, aggiungendo fogli di carta a quelli già esistenti. Questo è lo stato del nostro Paese! Invece, sarebbe molto più semplice verificare attraverso sistemi diversi, senza eseguire controlli in mare, chi sia il proprietario di una barca e se egli paghi correttamente le imposte.
L'imprenditore è infastidito non tanto dai controlli, quanto dal fatto di essere fermato anche più volte, mentre sta godendosi la propria vacanza, dalle diverse forze di polizia che operano in mare, alle quali deve dichiarare se la barca è sua, come l'ha acquistata, come ha fatto i soldi, se ha presentato la dichiarazione dei redditi e via discorrendo. In una simile situazione, l'esigenza di garantire la propria tranquillità può portare ai fenomeni cui stiamo assistendo.
Ciò premesso, vorrei porle anch'io, dottor Befera, alcune domande.
Innanzitutto, l'Agenzia è in grado di garantire un tutoraggio che non sia limitato alle medie imprese? Non è, forse, arrivato il momento di cominciare a estendere l'applicazione di regimi contabili fiscali il più possibile semplificati - con vantaggi, sul piano degli adempimenti, analoghi a quelli previsti per i regimi forfetari -, provando a differenziare dalle altre le piccole imprese e fornendo loro un tutta l'assistenza di cui hanno bisogno? Accogliendo questa impostazione, il piccolo
imprenditore, quando alzerà la saracinesca, la mattina, sarà in grado di conoscere non soltanto a quanto ammonteranno gli oneri per il fitto, per eventuali dipendenti, per l'energia elettrica e il gas, ma anche quanto dovrà pagare per imposte, e potrà concentrarsi soltanto sul proprio lavoro, senza doversi occupare di scontrini, di libri e scritture contabili. Siete in grado di garantire un tutoraggio così inteso? Siete in grado di aumentare, per questa via, la compliance fiscale e di aiutare l'impresa a costruire effettivamente un enhanced relationship con il fisco?
Inoltre, cosa succederà con l'accorpamento delle province? Siete pronti a rivedere tutta la struttura dell'Agenzia delle entrate, anche in considerazione della prevista incorporazione in essa dell'Agenzia del territorio?
Da ultimo, vorrei sapere se anche lei, direttore, ritenga che nella delega fiscale debba essere introdotto un principio che io considero sacrosanto. Avendo riguardo al soggetto del film La ricerca della felicità, possiamo fare in modo che uno dei principi base della nostra legislazione fiscale sia quello della continuità aziendale? Si può garantire che le aziende, anche qualora sorgano problemi con il fisco, possano proseguire l'attività?
I sequestri preventivi, finalizzati a confische per equivalente, stanno mettendo in ginocchio società e interi gruppi societari, che rischiano di chiudere e di licenziare molti lavoratori. A mio avviso, dovrebbe essere salvaguardata l'integrità delle aziende. Siamo in grado di accettare come principio che l'impresa in difficoltà possa dichiarare al fisco di non riuscire a pagare le imposte e possa usufruire di una rateizzazione del debito senza dover versare interessi e sanzioni? Si può fare qualcosa di simile, considerato che nel settore della riscossione, tutto sommato, è già stato accolto un principio analogo? Mi si obietterà che, ammettendo tale possibilità, molti non pagheranno più spontaneamente le imposte. Tuttavia, se una situazione di difficoltà è conclamata, perché lo Stato non potrebbe concedere una rateizzazione in via preventiva, prima che sia attivata la riscossione
coattiva? Lo Stato incamererebbe le imposte più tardi, ma l'impresa rimarrebbe in vita e continuerebbe a garantire entrate per l'Erario con la propria attività.
ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Cercherò di dare risposte molto sintetiche.
Probabilmente, i controlli effettuati sul territorio un anno fa vanno ripensati, ma occorre considerare che essi sono stati un evento di rottura nel sistema, perché hanno dato la sensazione a tutti che lo Stato, sul terreno del contrasto dell'evasione, non scherzava più. Possiamo discutere sul fatto che i controllori sono troppi e che, di conseguenza, le loro attività devono essere coordinate, ma un elemento di rottura - indipendente dagli incroci informatici che effettuiamo regolarmente e in numero sempre maggiore - era necessario.
Per quanto riguarda il tutoraggio, già il decreto-legge n. 201 del 2011 prevede, all'articolo 10 - che introduce un regime premiale per favorire l'emersione di base imponibile e la trasparenza -, l'assistenza negli adempimenti amministrativi dei contribuenti da parte dell'Amministrazione finanziaria. Mi sembra, quindi, che la strada indicata sia stata già intrapresa. Del resto, anche il disegno di legge delega prevede, all'articolo 6, comma 3, l'ampliamento del sistema di tutoraggio al fine di garantire una migliore assistenza ai contribuenti, in particolare a quelli di minori dimensioni e operanti come persone fisiche. Su questa base, sarà possibile compiere passi ulteriori.
L'accorpamento delle province non avrà alcun riflesso sull'attività dell'Agenzia delle entrate. Abbiamo creato quella che oggi chiamiamo direzione provinciale, che è una struttura sovracomunale. Se le province saranno accorpate, non accorperemo i nostri uffici. Troveremo un altro nome, ma le strutture attuali rimarranno.
Le strutture sono pensate in funzione della dimensione del territorio, del carico tributario e di altri elementi simili. Se nel
Lazio rimarranno solo le province di Roma, Latina e Frosinone, mentre Rieti e Viterbo saranno accorpate, a Rieti e Viterbo lasceremo due uffici, che, naturalmente, non si chiameranno più direzioni provinciali (comunque, non c'è una leadership).
Sono perfettamente d'accordo sulla continuità aziendale, signor presidente. In parte, la rateazione, come principio, è già stata introdotta: il contribuente, infatti, può scegliere di pagare ratealmente le somme dovute a titolo di saldo e acconto delle imposte risultanti dalla dichiarazione dei redditi.
In sede parlamentare, bisognerà tenere conto dei problemi di copertura collegati a eventuali modifiche della disciplina relativa al versamento delle imposte.
PRESIDENTE. Con riferimento al tema della copertura, vorrei ricordare che, quando introducemmo la rateizzazione a settantadue rate, la Ragioneria generale dello Stato calcolò un onere di 130 milioni di euro. L'anno successivo lo Stato ha incassato due miliardi di euro in più. La rateizzazione cui ho fatto riferimento in precedenza comporta un costo per lo Stato, ma bisogna considerare che, se l'azienda chiude, il costo derivante dalla chiusura non è compensato da alcun introito. È proprio in funzione delle regole di bilancio che occorre fissare il principio: se ci nascondiamo, sic et simpliciter, dietro la necessità di copertura degli oneri finanziari, non andiamo da nessuna parte.
Ringrazio il direttore dell'Agenzia delle entrate, anche per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta (vedi allegato), e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,15.
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