Sulla pubblicità dei lavori:
Aprea Valentina, Presidente ... 3
Audizione del Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, sulle linee programmatiche del suo dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Aprea Valentina, Presidente ... 3 12 19 21 24 28 29 29
31 32 33 36 40 47 51 52
Barbareschi Luca Giorgio (PdL) ... 18 19 24 28
Barbieri Emerenzio (PdL) ... 14 16 31
Bondi Sandro, Ministro per i beni e le attività culturali ... 3 49 51
Caldoro Stefano (PdL) ... 35
Capitanio Santolini Luisa (UdC) ... 33
Carlucci Gabriella (PdL) ... 17 21
Ceccacci Rubino Fiorella (PdL) ... 42
De Biasi Emilia Grazia (PD) ... 28 43
De Torre Maria Letizia (PD) ... 46
Farina Renato (PdL) ... 37
Frassinetti Paola (PdL) ... 12
Ghizzoni Manuela (PD) ... 12 15 16 17
Goisis Paola (LNP) ... 29 32
Granata Benedetto Fabio (PdL) ... 19 21
Grimoldi Paolo (LNP) ... 39
Levi Ricardo Franco (PD) ... 43
Mazzarella Eugenio (PD) ... 36
Nicolais Luigi (PD) ... 28
Palmieri Antonio (PdL) ... 28 40 51
Zazzera Pierfelice (IdV) ... 31 32
ALLEGATO: Testo integrale della relazione svolta dal Ministro Sandro Bondi ... 53
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.
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Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 11,05.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Gentile Ministro Bondi, prima di lasciarle la parola per lo svolgimento della sua audizione, da tutti noi molto attesa, voglio innanzitutto formularle, a nome di tutti i gruppi della Commissione e mio personale, gli auguri migliori per il lavoro molto impegnativo che l'attende.
Potrà senz'altro contare sulla nostra incondizionata collaborazione nella realizzazione di quegli obiettivi che insieme definiremo di volta in volta e sul nostro pieno rispetto per il lavoro che andrà a svolgere.
Tengo peraltro a sottolineare anche in questa sede, pur avendolo già fatto in concomitanza con il mio insediamento, che considero altrettanto fondamentale che il Governo assicuri il pieno e incondizionato rispetto per il ruolo svolto dalla Commissione, in tutte le sue componenti di minoranza e maggioranza.
Voglio dirlo forte e chiaro, signor ministro: sarò personalmente garante della distinzione dei rapporti tra il Parlamento e il Governo, assicurando che in nessun modo siano strumentalizzati, quando non addirittura sminuiti, il ruolo e le prerogative della Commissione che ho l'onore di presiedere e dei singoli parlamentari che la compongono e che, come vede, sono tutti presenti a questa audizione.
Sono certa che condivide questo mio indirizzo e che tutti noi avremo in lei un prezioso alleato in questo senso.
Do, quindi, la parola al Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, perché renda le indicazioni relative alle linee programmatiche del suo dicastero. Benvenuto, Ministro.
SANDRO BONDI, Ministro per i beni e le attività culturali. Signor presidente, cari onorevoli colleghi, la mia emozione in questo momento presuppone un grandissimo rispetto per questa Commissione e per tutti i suoi componenti.
Ho accettato l'incarico di Ministro per i beni e le attività culturali con la ferma convinzione che il rilancio del nostro Paese debba passare per una nuova stagione della cultura italiana.
Dopo decenni di scontri ideologici, di insanabili fratture, di pesanti egemonie, è giunto il momento di badare innanzitutto al bene comune e non solo all'interesse di parte. Per lungo tempo siamo stati indotti a credere che la cultura potesse essere di destra o di sinistra. Mai abbiamo pensato che sussistessero, prima ancora delle divisioni, valori identitari e condivisi a fondamento
della nazione, valori che sedimentano vivi nel nostro immenso patrimonio artistico e che hanno ancora la forza per essere modelli con i quali progettare tutti insieme il nostro futuro.
Al festival di Cannes, dove mi sono recato pochi giorni fa, ho capito che i nostri film davano al mondo il segnale chiaro che sta rinascendo un cinema italiano forte, impegnato, forse anche scomodo, diretto da magistrali registi e interpretato da valenti attori italiani.
Anche i nostri musei rinascono; si stanno adeguando ai bisogni dei nostri turisti di oggi, forse meno sofisticati di un tempo, certo più esigenti e numerosi. Basti pensare alle lunghe code davanti ai nostri complessi museali e a come si affollano i teatri e i luoghi dove si parla di letteratura, di poesia, di filosofia, di scienza, o dove si tengono concerti e spettacoli, come ad esempio l'Arena di Verona e gli altri splendidi anfiteatri.
Sono dunque orgoglioso di dovermi occupare insieme a voi della tutela del nostro patrimonio, della sua fruizione, e di incoraggiarne il divenire, ossia ciò che sta per nascere nel contemporaneo, che sia arte, architettura, musica, letteratura o spettacolo.
Sono consapevole di avere la responsabilità di un dicastero da cui dipendono i centri di eccellenza per il restauro, che sono guardati da tutto il mondo con ammirazione. I nostri restauratori compiono missioni straordinarie in Paesi devastati dalle guerre, quali l'Afghanistan e l'Iraq.
Sono infine grato ai miei predecessori che hanno fatto utili e necessarie riforme nell'apparato ministeriale e che hanno redatto, con successive modifiche, il Codice dei beni culturali e della tutela del paesaggio.
Non voglio dilungarmi oltre ed entro nello specifico delle linee programmatiche, che nascono da un rapporto umano, oltre che politico, con l'onorevole Francesco Giro, sottosegretario del Ministero. Sono convinto che il mio compito sia innanzitutto quello di proseguire la tutela dell'immenso patrimonio culturale del nostro Paese, un compito che deve essere svolto dallo Stato, così come prevede il Codice dei beni culturali.
Credo, tuttavia, che questo compito, pur fondamentale, di custodire quanto ci è stato tramandato, non debba limitare la nostra possibilità di contemporanei di lasciare segni tangibili della nostra epoca.
In questo senso, una seria politica in questo settore deve incoraggiare e sostenere anche le opere degli artisti di oggi. Per questo motivo intendo, come mia prima proposta, indire un concorso nazionale per le arti figurative riservato ai giovani artisti, in collaborazione con il Ministro delle politiche giovanili, onorevole Giorgia Meloni.
L'Italia può ancora svolgere un ruolo importante in Europa e nel mondo se scommette sulla cultura, in tutti i suoi vari aspetti. Per questo motivo risulta fondamentale l'azione degli istituti di cultura all'estero. A questo proposito desidero avere un dialogo costante con il Ministro degli esteri, onorevole Franco Frattini.
«La Repubblica promuove - così recita l'articolo 9 della nostra Costituzione - lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». I due commi sono legati da un preciso nesso, in forza del quale la tutela del patrimonio costituisce il fondamento della cultura, che con il contributo delle arti e delle diverse forme di conoscenza rappresenta il motore dello sviluppo e della crescita della società.
Per questo motivo credo che sia strategico l'investimento in questo settore. Compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili e con gli equilibri delle politiche di bilancio intendo impegnarmi per una progressiva crescita dell'intervento economico dello Stato a favore delle politiche culturali, attualmente attestato sulla modesta percentuale dello 0,28 per cento del bilancio statale complessivo.
Un'analisi del trend delle risorse finanziarie del decennio 1998-2008 mostra, in termini di incidenza in percentuale sul bilancio generale dello Stato, un'oscillazione che va dallo 0,22 per cento del 1998
ad un massimo dello 0,39 per cento nel 2000, quindi ad una progressiva flessione negli anni successivi, che si assesta per il 2008 sullo 0,28 per cento, pari a 2,3 miliardi di euro, contro gli 8,3 miliardi della Svezia, i 6,5 della Finlandia e i 3 della Francia. Un dato, questo, che ci pone agli ultimi posti tra gli Stati europei, i quali sono dotati, peraltro, come sappiamo, di un patrimonio di minore valenza rispetto al nostro.
È mia intenzione impegnarmi insieme a voi per una significativa inversione di questa tendenza negativa, al fine di assicurare un maggiore impegno economico pubblico in questo campo, fermo restando l'essenziale e imprescindibile apporto dei privati, nella logica della sussidiarietà, che va in ogni modo favorito e sostenuto.
Vorrei a questo punto sottolineare un altro aspetto del mio programma che ritengo fondamentale. Dopo decenni di faticoso lavoro, in cui la legislazione di settore è stata per intero riscritta, e dopo anni in cui la stessa macchina burocratica è stata riformata più volte, è giunto il momento di mettere in pratica le norme che abbiamo a disposizione, evitando un'ulteriore inflazione normativa.
Abbiamo bisogno di raggiungere risultati concreti e tangibili: restaurare, recuperare, migliorare la fruizione pubblica del nostro patrimonio. Abbiamo bisogno di riuscire a spendere al meglio i fondi disponibili, di inventare progetti per il recupero e la riqualificazione di aree, per la valorizzazione di itinerari, coinvolgendo in modo intelligente i privati. Le norme ci sono, servono gli uomini che le attuino e la capacità di tradurre le idee in fatti.
Il Governo Berlusconi, Ministro Giuliano Urbani, ha introdotto nel 2004 il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Il testo è stato integrato e reso definitivo dai successivi ministri, Rocco Buttiglione e Francesco Rutelli. Il codice - è importante sottolinearlo - è stato inoltre elaborato con la preziosa collaborazione delle regioni e delle altre autonomie territoriali. Ne è derivato un ampio e condiviso apprezzamento da parte degli operatori del settore.
Condivido pienamente il pensiero del professor Salvatore Settis, presidente del Consiglio nazionale dei beni culturali, quando osserva: «Il nuovo Codice sia un importante passo avanti nell'attuazione della Costituzione repubblicana. Può esserlo, dipende da noi».
Ora occorre sperimentare sul campo la nuova disciplina. A tal fine è mio intendimento costituire, presso il Ministero, un tavolo di coordinamento per l'attuazione del Codice, aperto naturalmente alle regioni e agli enti locali.
Un capitolo importante, in questo lavoro di attuazione della nuova legislazione, è costituito dalla tutela, dal recupero e dalla riqualificazione dei paesaggi, sulla base della Convenzione europea del paesaggio di Firenze del 2000, ratificata con legge n. 14 del 9 gennaio 2006.
Ho avuto modo di osservare che nelle città, devastate dalla bruttezza e dal degrado, si annidano fenomeni allarmanti di disagio sociale: la bruttezza e soprattutto il degrado generano violenza. Per questo dobbiamo investire nella bellezza e riportare l'arte nel cuore delle città.
Su queste premesse sono convinto che occorre avviare una grande politica nazionale per il recupero delle immense periferie senza volto e senz'anima che devastano il paesaggio italiano e generano disagio sociale, infelicità, degrado e, quindi, povertà. Dove non c'è bellezza, né il piacere di riconoscersi come a casa propria, lì non c'è creatività, non c'è voglia di fare, non c'è l'humus indispensabile perché possano svilupparsi processi di crescita civile e produttiva. Solo riportando a livelli di dignità civile e di vivibilità, anche estetica e non solo funzionale, vaste aree così densamente popolate, potremo sperare di aver assolto al nostro compito di uomini di governo, garantendo le condizioni per uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile.
Ha detto Michael Novak in un recente convegno a Firenze: «Il vostro Paese è sempre stato tenuto in altissima considerazione
dagli artisti e dagli architetti americani. Non solo. L'Italia ha insegnato agli Stati Uniti - ma potremmo dire che lo ha insegnato a tutto il mondo - che gli spazi pubblici civilizzati necessitano di bellezza come il cuore necessita d'amore e i polmoni di aria respirabile. Come potrebbero le persone acquisire uno spirito nobile se intorno a loro non ci sono opere d'arte che rappresentano la nobiltà d'animo? L'effetto del post-modernismo ha disumanizzato i nostri spazi vitali, per sottrarre alla nostra visione la lotta morale caratteristica dello spirito. Se trattenute a terra da cavi arrugginiti, le ali dello spirito umano non possono spiccare il volo». Non credo che si tratti di frasi soltanto belle, né tanto meno retoriche; ritengo che queste parole rappresentino la sostanza vera della politica che dobbiamo realizzare.
Occorre dunque avviare una collaborazione con le regioni per la definizione di nuove regole d'uso del territorio, compatibili con la tutela paesaggistica, mediante l'inserimento di più specifici contenuti prescrittivi e mediante la redazione di nuovi piani paesaggistici. Queste regole non dovranno essere fattori di limite, né un peso sulla libera iniziativa privata, bensì costituire le basi per una gestione sostenibile e razionale dei beni paesaggistici, in un contesto di miglioramento del marchio di qualità del nostro territorio.
Dobbiamo far comprendere a tutti i cittadini che la tutela del patrimonio culturale, nonostante le rinunce che sembra imporre nell'immediato, significa in realtà più ricchezza e maggiori opportunità di sviluppo nel medio e lungo periodo. La tutela è pratica di lungimiranza, che restituisce domani alla collettività molto di più di quello che chiede oggi in termini di eventuale rinuncia.
Si tratta di princìpi condivisi in tutta Europa. Dobbiamo renderci conto che il territorio, specie in una realtà come quella italiana, è un bene prezioso e richiede dunque un utilizzo attento, misurato e prudente. Questo non vuol dire che politiche territoriali sagge si pongano in contrasto con le esigenze di crescita economica. Occorre, invece, ed è qui il punto di equilibrio vero della formula dello «sviluppo sostenibile», puntare al riutilizzo dell'immenso patrimonio immobiliare, pubblico e privato, delle periferie degradate che imbruttiscono le nostre città, al recupero delle aree industriali dismesse, delle troppe «cattedrali nel deserto» sorte senza adeguati progetti e rimaste incompiute.
Il Paese non può permettersi una nuova fase di cementificazione non pianificata, né razionalizzata, con l'eccezione di opere necessarie di interesse nazionale.
Nell'ottica di un recupero della bellezza del territorio, è mio fermo proposito dare impulso alle azioni volte al recupero dei paesaggi compromessi e degradati, anche secondo le previsioni dell'ultima finanziaria, e soprattutto dando applicazione all'articolo 167 del codice, che prevede la stipula di un'apposita convenzione tra il Ministero di cui ho la responsabilità e il Ministero della difesa per gli interventi demolitori per iniziativa delle soprintendenze.
Al riguardo è mio intendimento portare una semplificazione in materia, al fine di consentire una ragionevole accelerazione delle pratiche di controllo preventivo, sì da renderle il meno possibile onerose e impegnative per il cittadino.
Ma intendo sin d'ora precisare che occorre preservare la pietra angolare su cui poggia l'intero edificio della tutela, vale a dire un controllo preventivo sui singoli interventi di trasformazione dei beni culturali. Qui è e resta, a mio avviso, il nocciolo duro del nostro modello di tutela, che si è legittimato in un secolo di storia e che fa perno su questa specialissima «magistratura tecnica» costituita dalle nostre soprintendenze, che rappresenta un bagaglio inesausto di risorse professionali di assoluta eccellenza, che va difeso e, per quanto possibile, potenziato.
Intendo tuttavia introdurre, nell'ambito delle mie prerogative di indirizzo politico, indirizzi operativi che orientino la prassi della tutela secondo criteri di intelligente proporzionalità e ragionevolezza nella gestione, in modo che i diritti e le libertà del cittadino, qualora debbano essere sacrificati,
lo siano nella misura strettamente indispensabile al conseguimento delle superiori finalità di interesse pubblico.
Inoltre, la tutela del nostro patrimonio, che non può non essere esercitata dallo Stato, deve però trovare a livello locale degli strumenti aperti alla collaborazione con gli enti locali e corretti da rigidità burocratiche talvolta incomprensibili e irragionevoli agli occhi dei cittadini e dei nostri amministratori pubblici locali.
Come ho già detto, sono convinto che si debba investire nella bellezza, che si debba riportare l'arte nel cuore delle città; promuovere il lavoro dei nostri artisti; arricchire il patrimonio che abbiamo ereditato, poiché l'Italia contemporanea, a differenza di altre realtà dell'Occidente - penso a Londra, Parigi, Berlino, Barcellona, Rotterdam - è stata ed è povera di nuove creazioni artistiche. La rigorosa e prioritaria tutela e valorizzazione del prezioso patrimonio ereditato non devono costituire un freno all'espressione della capacità creativa delle nuove generazioni. Le città sono organismi che hanno bisogno di nuove opere artistiche e architettoniche, che ne arricchiscano la vita sociale, oltre che culturale.
Intendo a tal proposito valutare il progetto inerente al disegno di legge presentato al Senato nel marzo del 2004, dal titolo «Legge quadro sulla qualità architettonica» e naturalmente tenere nella massima considerazione anche i disegni di legge presentati nella scorsa legislatura dagli onorevoli Zanda, Rampelli e Marras, aventi oggetto analogo.
Il tema della gestione dei beni culturali richiede particolare cura. Anche in questo caso, un articolato lavoro normativo è stato condotto nell'arco delle ultime tre legislature: dalla mai realizzata società SIBEC, per la promozione e il sostegno finanziario ed organizzativo di progetti per gli interventi di restauro, recupero e valorizzazione dei beni culturali, passando al decreto Veltroni del 1998, ove si prevedeva la possibilità per il ministero di stipulare accordi con amministrazioni pubbliche e con soggetti privati, fino alla legge 16 ottobre 2003, che ha costituito la società Arcus Spa per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo.
Si tratta ora di trovare una sintesi operativa tra le diverse visioni in campo, in modo da coniugare il principio della prevalenza della tutela con quello della sussidiarietà orizzontale e del riconoscimento del proficuo apporto dei privati, che è prezioso non solo in termini economici, ma anche in termini di capacità ideativa, progettuale e gestionale.
A questo proposito, desidero affrontare il tema cruciale dei musei. Abbiamo in Italia oltre 3.500 siti museali statali, per non parlare dei quasi 100 mila tra monumenti e chiese, 300 mila dimore storiche e 2.000 siti archeologici. Si tratta di un patrimonio inestimabile, che però molto spesso versa in condizioni difficili, se non qualche volta di abbandono. E, comunque, è un patrimonio che stenta a diventare una risorsa per lo sviluppo del nostro turismo.
Ho già affidato, perciò, ai preposti uffici del Ministero l'incarico di individuare una figura giuridicamente capace di coordinare e sviluppare un Piano nazionale dei musei, secondo i moderni canoni di gestione economica dei beni culturali, con la missione di meglio tutelarli e di meglio utilizzarli, al fine della loro migliore fruizione e valorizzazione anche turistica. Questo lo considero uno dei punti più qualificanti del mio impegno, sul quale spero di poter ottenere la vostra condivisione e, soprattutto, la vostra collaborazione.
Sempre in questo ambito, è mio proposito valorizzare la società Arcus Spa., che rappresenta un importante - direi determinante - strumento operativo per elaborare nuovi approcci di gestione e di intervento, assicurando un più stretto raccordo con la programmazione ministeriale, anche ai fini delle definizioni degli obiettivi di intervento.
Occorre migliorare la tutela e la fruizione del nostro patrimonio archeologico. Innanzitutto occorre rendere operativa l'archeologia preventiva, mediante l'elaborazione di linee guida e la scrittura dei
regolamenti attuativi. L'archeologia preventiva consente di conoscere, conservare e proteggere, nonché di rendere fruibile e valorizzare ulteriore e nuovo patrimonio archeologico. Conoscere prima il «rischio» archeologico e prevenirlo è il modo migliore per evitare che importanti opere pubbliche restino bloccate per anni.
Passerei ora, se il presidente me lo consente, al punto riguardante lo sviluppo e il sostegno del turismo culturale di qualità, anche per dare spazio al successivo dibattito.
È stata da più parti sottolineata la necessaria connessione tra la valorizzazione dei beni culturali e la promozione del territorio. Il nostro patrimonio culturale, infatti, è così fittamente intrecciato con il territorio da costituire un tutt'uno con il paesaggio circostante: è ciò che chiamiamo paesaggio storico, o museo diffuso, o distretto culturale. Personalmente sceglierei la dizione «museo diffuso», poiché il nostro territorio lo è davvero nei fatti.
Il turismo culturale di qualità è la nuova frontiera per una gestione efficace del sistema dei beni culturali che, con la responsabile partecipazione di tutti i soggetti coinvolti, pubblici e privati, può realizzare un'offerta capace di generare uno sviluppo benefico per l'intero territorio interessato.
Per raggiungere questo ambizioso obiettivo occorre che siano messe in campo tutte le forze disponibili, non solo quelle pubbliche e istituzionali, ma anche quelle imprenditoriali e del terzo settore. Vanno inoltre incentivate le forme del mecenatismo, della sponsorizzazione, della collaborazione pubblico-privato, fino ai nuovi modelli di sviluppo che mettono in campo la responsabilità sociale dell'impresa e il volontariato manageriale.
A questo fine, intendo mettere al lavoro una commissione di esperti - questo è un altro punto che mi sta particolarmente a cuore - in collaborazione con le maggiori associazioni operanti nel mondo della cultura, quali il FAI, Mecenate 90, Civita ed altri, con il compito di approntare una serie di itinerari e di circuiti turistico-culturali che privilegino l'Italia minore, l'Italia delle cento città, l'Italia da scoprire e da conoscere anche da parte degli italiani. Un tesoro nascosto che gli stessi italiani conoscono poco. Credo che dovremo mettere a punto un piano, anche di comunicazione, per «vendere» l'Italia non soltanto all'estero, ma anche agli italiani.
Ho già rilevato come questo settore sia reduce da due riforme organizzative ravvicinate, i cui effetti sono ancora lontani dall'essersi stabilizzati. Vale anche per il campo dell'organizzazione interna la massima che ho posto in testa al mio programma: «prima fare».
Per quanto attiene all'apparato burocratico è, dunque, mio intendimento puntare sul rafforzamento degli organici, attraverso l'assunzione di nuovi funzionari che garantiscano la continuità della tradizione tecnico-amministrativa di eccellenza delle soprintendenze.
Capisco che la prima obiezione che si può muovere alle cose che dico è legata alla considerazione dell'attuale situazione economica del Paese e alle voci di ridimensionamento delle risorse a favore della cultura e dello spettacolo. Certo, si tratta di una situazione che conosciamo tutti, ma credo che l'unico modo per sventare questi rischi sia un lavoro da svolgere insieme fra i componenti di questa Commissione, fra le forze politiche in essa rappresentate e fra le forze politiche rappresentate in Parlamento, tanto di maggioranza, quanto di opposizione. La collaborazione fra di noi è l'unico strumento a nostra disposizione per fare in modo che questi intendimenti, che se pronunciati in questo momento possono apparire generici, possano rendere possibili queste misure che tutti noi credo riteniamo necessarie per lo sviluppo del Paese.
Un altro capitolo che valuterò con la massima attenzione è quello del miglioramento della capacità di spesa degli organi centrali e periferici dell'amministrazione per i beni e le attività culturali. Saper spendere bene, in modo trasparente, significa fare fruttuoso impiego delle risorse pubbliche esistenti. Noi dobbiamo essere
in grado di mettere a frutto queste risorse che i cittadini ci affidano, impiegandole in modo veloce, efficiente ed efficace per tradurle in beni restaurati e resi fruibili, in paesaggi riqualificati, in nuovi e migliori servizi di accoglienza nei musei.
Ho dovuto purtroppo registrare, all'esito di una prima e approssimativa ricostruzione affidata ai miei uffici, che permangono tuttora notevoli difficoltà ad utilizzare le risorse finanziarie a disposizione, non consentendoci di far fronte adeguatamente alle richieste che da più parti ci giungono. In tale contesto credo sia indispensabile: snellire e sveltire le procedure di spesa; migliorare la capacità progettuale dell'amministrazione, anche ricorrendo a forme operative di collaborazione pubblico-privato; creare uffici di staff, presieduti da funzionari amministrativi specializzati, che svolgano un servizio di consulenza delle procedure di gara per l'appalto di servizi, forniture e lavori.
Occorre difendere e rilanciare l'eccellenza della nostra cultura del restauro. Nel settore del restauro dei beni archeologici l'Italia, come ho già accennato, vanta una posizione di eccellenza nel mondo, come testimoniato di recente dalle missioni in Cina e in Iraq. L'articolo 29 del codice ha dato dignità normativa alle diverse professioni della filiera delle attività conservative, tutte indispensabili all'ottimale riuscita degli interventi. Non sono state ancora definite le norme alle quali è demandata la definizione dei ruoli e delle responsabilità, dei percorsi formativi delle diverse figure professionali, in primis dei restauratori dei beni culturali.
Si tratta di disciplinare l'accesso e lo svolgimento dell'attività professionale, favorendo l'incontro e l'integrazione tra la tradizione delle scuole di alta formazione statale (come l'Istituto centrale per il restauro e l'Opificio delle pietre dure) e le esperienze universitarie che sono state attivate da alcuni anni, così da definire degli standard formativi che coniughino le diverse esperienze.
In proposito, intendo recepire il lavoro svolto negli ultimi mesi da un tavolo tecnico, che ha visto la proficua collaborazione tra rappresentanti delle amministrazioni statali e delle università, disciplinando un corso a ciclo unico quinquennale, caratterizzato dalla prevalenza degli insegnamenti tecnico-operativi e dall'interdisciplinarietà. A garanzia di tale modello formativo, verrà istituita una sede di verifica e accreditamento dei corsi che i soggetti pubblici e privati intendono attivare.
Un punto delicato è la definizione della prova di idoneità che, in via transitoria, consentirà di accedere alla qualifica di restauratore anche a coloro che, pur non essendosi diplomati nelle poche e selettive scuole di alta formazione, hanno lavorato nei cantieri di restauro. Al riguardo è mio intendimento far sì che questa prova d'idoneità non divenga una sanatoria generalizzata, semmai costituisca un momento di verifica imparziale e rigorosa, per salvaguardare l'eccellenza professionale, garanzia imprescindibile di qualità degli interventi.
Espletati questi adempimenti, si potrà compilare l'elenco dei restauratori, per dare certezza ad un'attività strategica ai fini dell'effettiva tutela del patrimonio.
La definizione dei profili di competenza e dei percorsi formativi dei restauratori consentirà di dettagliare la qualificazione delle imprese nelle categorie degli appalti pubblici, come prevede il Codice dei contratti pubblici. La disponibilità di operatori qualificati, infatti, è il vero requisito che caratterizza questo settore.
È nota la cronica e strutturale carenza di risorse finanziarie che affligge la tutela del patrimonio culturale. Per questo è importante una saggia valorizzazione dei beni - con gli introiti derivanti da un'attenta gestione - che possa alleviare i costi erariali di conservazione del patrimonio culturale. Ma è altresì acquisizione condivisa che occorre favorire forme di compartecipazione liberale dei privati, lucrative e/o di utilità sociale, al finanziamento dei beni e delle attività culturali.
Alcune idee in questa direzione che intendo approfondire sono: una riduzione
significativa dell'aliquota IVA per gli acquisti di opere d'arte e per i servizi culturali; l'introduzione del 5 per mille anche a favore del restauro e dell'arte; l'estensione anche alle persone fisiche delle deduzioni fiscali per i contributi alla cultura.
Per quanto riguarda i beni librari, un compito che sentiamo primario è la diffusione della lettura, la promozione del libro e il potenziamento del ruolo delle biblioteche.
Salto questa parte e quella riguardante i beni archivistici non perché sottovaluti questi problemi, ma per rispetto verso chi mi sta ascoltando, che peraltro ha un testo scritto a disposizione. Passo, dunque, al capitolo relativo al nuovo impulso alle politiche di sostegno al cinema italiano, all'audiovisivo, alla televisione.
Anche nel campo del cinema, la parola d'ordine è «realizzare». La normativa c'è, ma attende di essere tradotta in atti. Occorre, ad esempio, accelerare l'attuazione delle norme sugli incentivi fiscali al cinema contenute nella legge finanziaria per il 2008. Sono già pronti i decreti tecnici di attuazione previsti dalla legge finanziaria, in modo da poter rapidamente far entrare in funzione il sistema non appena si concluderà la procedura con Bruxelles.
A questo riguardo, ho l'obbligo di precisare in questa sede che la copertura finanziaria dell'abolizione dell'ICI è stata prevista anche attraverso riduzioni di spesa «dolorose», da inquadrare tuttavia nel più generale contesto di misure urgenti a favore delle famiglie italiane, come primo impegno di questo Governo.
Come per tutte le altre amministrazioni pubbliche, sono state effettuate alcune riduzioni delle spese a suo tempo autorizzate dalla legge finanziaria. Per quanto concerne la diminuzione delle risorse del Fondo unico per lo spettacolo, essa è da riferirsi alla limitatissima quota del 6,78 per cento degli stanziamenti di sola parte corrente per l'anno 2010. Quindi, un'annualità lontana, com'è noto puramente figurativa e comunque suscettibile di futuri aggiustamenti.
La soppressione degli interventi a favore degli investimenti nel cinema (tax credit) è invece certamente un segnale negativo per questo settore. Ho già interessato il Presidente del Consiglio, il Ministro dell'economia, il titolare per i rapporti con il Parlamento e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, dottor Gianni Letta, che mi hanno assicurato, in sede di conversione del decreto-legge, un attento ed approfondito esame che, ne sono certo, porterà ad un ripensamento di questa decisione.
Per questa ragione, proprio in questi giorni ho autorizzato ugualmente i funzionari del Ministero dei beni culturali a recarsi a Bruxelles per discutere, nonostante tutto, del decreto attuativo della norma contenuta nella legge finanziaria che riguarda il cinema. Si tratta, infatti, di una norma che incide limitatamente sui conti dello Stato, ma che costituisce un forte volano per il rilancio di questo settore ed in generale dell'economia italiana.
Infine, bisogna ricordare che il decreto-legge sull'ICI prevede un fondo di 100 milioni di euro annui a disposizione delle amministrazioni da utilizzare per il reintegro delle dotazioni finanziarie ridotte. Il Ministero potrà eventualmente attivare le procedure per concorrere a tale reintegro.
Intendo, inoltre, porre mano a un disegno di legge snello e quanto più possibile condiviso, contenente un pacchetto di urgenti modifiche alla cosiddetta «legge cinema», il cui impianto - voluto dal mio predecessore, Giuliano Urbani - merita condivisione, ma che, nelle prime applicazioni, ha evidenziato la necessità di alcune correzioni. Si tratta di correzioni condivise che tendono a migliorare alcuni aspetti, da quello della valutazione tecnico-artistica dei progetti filmici di interesse culturale da sostenere, al funzionamento del pubblico registro delle opere cinematografiche per la tracciabilità dei relativi diritti, all'innalzamento della quota di spesa minima da effettuare in Italia per la produzione di un film se si vuole ottenere il contributo dello Stato.
Si dovranno conseguentemente predisporre alcune modifiche dei principali decreti tecnici di attuazione della «legge cinema», in modo che il sistema delle regole, già semplificato dalla legge Urbani, sia sempre più funzionale e vicino alle reali esigenze degli utenti.
Negli ultimi decenni le distorsioni del mercato cinematografico hanno messo sempre più a rischio la specificità culturale del cinema italiano, mortificandone la forza creativa, impoverendone la capacità produttiva e limitandone la diffusione sul territorio nazionale e in Europa. La polverizzazione delle imprese cinematografiche italiane, unita ad una forte presenza delle major americane sul versante distributivo e dell'esercizio, e da qualche anno anche su quello produttivo, ha determinato una forte presenza di film commerciali ad alto budget, di origine per lo più statunitense. Negli anni, in Italia, si è sempre più configurato un mercato del cinema incapace di sostenere pienamente i prodotti filmici a matrice culturale, caratterizzati da una domanda non sufficientemente ampia ed esposti a un processo generalizzato e continuo di costi di produzione crescenti.
In questo senso, sono altresì convinto che vada rivisto l'intervento, comunque necessario ed indispensabile, di sostegno economico da parte del Ministero dei beni culturali nei confronti del cinema italiano. Attualmente il meccanismo è teso a finanziare la produzione delle sceneggiature meritevoli, ma è carente il sostegno nella fase di pre-produzione e sviluppo dell'idea, ed ugualmente carente il sostegno nella fase di distribuzione. Basterebbe poco per invertire l'approccio, aiutando le case di produzione ad attivare nella fase di pre-produzione e di scrittura tutte quelle sinergie (a livello di soggetto, marketing, coproduzioni) indispensabili per poi riuscire ad affrontare le forche caudine dell'uscita nelle sale.
Il miglioramento di questa fase di pre-produzione permetterebbe inoltre di ampliare i target, visto che il cinema italiano ha sottovalutato numerose fasce di pubblico che invece il cinema americano presidia stabilmente: per esempio quello delle famiglie.
Intendo infine vigilare sulle misure di contenimento dei costi amministrativi annunciate nella legge finanziaria per il 2008, con riferimento a Cinecittà Holding Spa e alle società controllate, verificando gli statuti del Centro sperimentale e della Biennale di Venezia, in un'ottica di contenimento della spesa e di riduzione dei componenti degli organi delle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche.
Anche per la tutela della concorrenza e del mercato, intendo determinare una complessiva riforma della società madre e del gruppo, che, anche in relazione alle vicende degli ultimi anni, si rende opportuna per ridare a Cinecittà lo smalto e il prestigio che ha sempre avuto.
Sempre le disposizioni contenute nella legge finanziaria, infine, impongono di determinare se sia necessaria una revisione degli statuti di due altre importanti istituzioni pubbliche vigilate dal Ministero - la Fondazione Centro sperimentale di cinematografia e la Fondazione Biennale di Venezia - con la finalità di eliminare le disfunzioni e gli inutili sprechi.
Un ultimo punto mi preme di evidenziare in questa sintesi delle linee programmatiche cui ispirerò la mia azione di governo: verificare possibili soluzioni operative per favorire iniziative comuni con il servizio pubblico radiotelevisivo e le aziende specializzate nell'audiovisivo.
In particolare, la televisione deve essere informativa e formativa. Deve favorire la vita culturale nei musei e nelle altre istituzioni. Deve inventare il futuro, non soltanto della televisione, ma anche del costume e della cultura di questo Paese.
Per il campo dello spettacolo dal vivo, diversamente da quanto ho rilevato per gli altri settori di competenza del mio Dicastero, ritengo invece opportuno proporre un più significativo riassetto normativo, poiché la fluidità e l'efficacia dell'azione di governo in questo settore scontano negativamente l'eccessiva frammentazione e disorganicità della disciplina vigente.
Sotto questo profilo considererò con attenzione l'esigenza del varo di una legge-obiettivo per lo spettacolo dal vivo, poiché l'attuale assetto generale delle norme non è connotato da univocità di lettura; da qui l'esigenza di fissare nei riguardi dell'amministrazione e degli operatori di settore le missioni e le linee generali di condotta.
Parimenti è sentita: la necessità di una profonda rivisitazione della disciplina del Titolo III della legge 14 agosto 1967, n. 800 in materia di attività musicali, le cui norme, dirette a favorire la formazione musicale della collettività, mostrano dopo 40 anni di applicazione la loro obsolescenza; l'operatività «aziendale» dei diversi settori, il diverso approccio del pubblico giovanile, l'opportunità di razionalizzare interventi in passato conferiti a pioggia e di dislocarli sul territorio compensando le naturali carenze di area geografica, postulano un complessivo ripensamento dell'intervento dello Stato; la necessità di una riforma della disciplina delle Fondazioni lirico-sinfoniche, a partire dalla privatizzazione di cui al decreto legislativo 29 giugno 1996, sia ottimizzando la governance interna, sia restituendo appeal nei confronti di possibili sovventori, sia, soprattutto, migliorando
la gestione del personale. Il decreto del 1996 non ha dato i frutti sperati, anche a causa di peculiarità storiche di alcuni tra i quattordici teatri d'opera. Ed è per questo che si profila un intervento legislativo ad hoc, con precisi obiettivi e risultati da perseguire.
Infine, il settore delle attività del teatro di prosa non ha mai goduto di una legislazione organica e anche gli interventi sporadici accavallatisi nel tempo non sono risultati soddisfacenti. Per questo motivo si impone una disciplina di livello primario.
Come vedete, non si tratta di un programma di carattere ideologico, di parte, ma di un programma per realizzare il quale spero si possa registrare un largo consenso fra le forze politiche e in Parlamento, partendo innanzitutto da una stretta collaborazione con tutti i componenti di questa Commissione. Grazie (Applausi).
PRESIDENTE. Grazie, signor ministro. Non è consuetudine applaudire in Commissione, ma mi rendo conto che la presenza di nuovi deputati e l'entusiasmo della prima audizione possano portare ad un comportamento inusuale!
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna del testo integrale della relazione del Ministro Bondi (vedi allegato).
Consentitemi di salutare e di dare un benvenuto speciale anche al sottosegretario Giro, che immagino si unirà spesso a noi in questa Commissione.
Prima di dare la parola ai colleghi che intendono intervenire, comunico che non abbiamo voluto stabilire la durata degli interventi poiché ci sembrava giusto lasciare all'autoregolamentazione questa prima seduta. Procederemo «ad oltranza», in quanto domani il ministro sarà impegnato in Senato.
Do quindi la parola agli onorevoli deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
MANUELA GHIZZONI. Che cosa significa che proseguiremo «ad oltranza»?
PRESIDENTE. Fino a fine mattinata. Ci regoleremo nel corso dei lavori.
PAOLA FRASSINETTI. Signor presidente, cercherò di autoregolamentarmi, perché so che numerosi colleghi vogliono intervenire.
Innanzitutto desidero farle, signor Ministro, gli auguri di buon lavoro e complimentarmi per la sua relazione, per la completezza, la concretezza e soprattutto per le soluzioni proposte. Non è infatti semplice toccare in una relazione tutte queste problematiche, individuando anche soluzioni concrete.
Apprezzo soprattutto la volontà di passare a una nuova stagione della cultura. Quest'ultima rischia di perdere il suo ruolo civile, limitandosi a essere mera
decorazione chiusa nei recinti disciplinari, per cui è doveroso stare attenti a questo restringimento della creatività. Hannah Arendt sosteneva che la grande speranza dell'età moderna è quella di sanare la frattura tra uomini di azione e uomini di pensiero. Nella premessa della sua relazione ho dunque intravisto questa volontà di ristabilire un percorso virtuoso tra politica e cultura. Qui sta il punto, giacché per dare un senso nuovo alla politica, in passato troppo spesso staccata dalla cultura, è necessario attuare una vera cultura, capace di trascendere il contingente, passando necessariamente dalla vecchia politica culturale a un'innovativa cultura politica. Si tratta non di un gioco di parole, ma di una sfida per tutti noi, in questo nuovo clima che fortunatamente si è instaurato nella nazione.
Toccherò solo due punti che mi hanno particolarmente colpito, perché in un'audizione di questo tipo, se si vuole lasciare spazio agli altri, è impossibile toccarli tutti. Considero molto importante il tema del recupero delle periferie, laddove soprattutto nel nord del Paese si rileva una rilevante disgregazione di spazi dovuta soprattutto alla dismissione di fabbriche. Portare la politica e la bellezza in questi luoghi è certo una missione importantissima.
Sono molto soddisfatta di constatare l'uso del termine «bellezza» in questa relazione. La bellezza è infatti un momento non di astrazione, bensì di completamento nel suo coniugarsi con l'arte.
In Italia, nel dopoguerra la politica riguardante la città è apparsa debole, ha chiuso gli occhi di fronte al degrado di un modello di città senza misura o rigore, come ancora dimostrano le periferie. Dopo questa disgregazione urbanistica del dopoguerra, si è assistito all'affermarsi del modello regressivo e minimalista di un ecologismo esasperato, estraneo alla cultura italiana, in cui il senso della città è primario e primordiale.
Anche qui, compito della politica è quello di costruire una città che sale, amministrare per grandi opere senza paura. L'idea di città e i progetti architettonici e urbanistici necessitano di decisioni verticali e di grandi politiche. Attraverso il disegno urbanistico e le strutture architettoniche, la città deve propiziare nella coscienza comune una teoria pluralistica della politica. Questo è il discrimine. Come diceva Marinetti, «ogni generazione deve costruire la sua città».
Nella sua relazione, signor Ministro, ho molto apprezzato l'ipotesi di lasciare segni tangibili in quest'epoca. Purtroppo, negli ultimi decenni non è emerso alcun segnale architettonico nelle nostre città. Solo in questo modo l'azione di Governo può lasciare un segno duraturo nella storia delle nostre città, rischiando e proponendo modelli innovativi.
Mi ha colpito molto nella seconda parte della sua relazione anche il riferimento al turismo, formulato in modo non superficiale, ma completo e approfondito, con l'aiuto delle regioni, elemento istituzionale ormai imprescindibile in questa materia.
Desidero aggiungere anche un suggerimento. Ritengo che la nostra arte sia un veicolo di integrazione soprattutto per gli studenti stranieri. Amare il bello, le nostre città, i nostri capolavori può avvicinare gli studenti stranieri alla nostra cultura. Sicuramente, questo è un motivo di interazione con il Ministro dell'istruzione.
Prima di concludere, vorrei esprimere tre brevi considerazioni. La prima riguarda la musica, in particolare la tutela delle nostre orchestre sinfoniche. Sono consapevole che, come si evince dalla sua relazione, è necessario riformare gli enti lirici, senza tuttavia trascurare le orchestre, che spesso rappresentano l'unico presidio della musica sul territorio. Per quanto riguarda il FUS, devono essere riformati i criteri di distribuzione delle risorse. In questo senso, ritengo che l'attenzione per le orchestre dovrebbe essere prioritaria.
In secondo luogo, Ministro, fin da quando ero assessore all'istruzione nella provincia di Milano mi sta a cuore la difesa del nostro patrimonio linguistico e della lingua italiana. Lei proviene da una regione che rappresenta la bandiera di tale
tema. La nostra lingua è un bene culturale non meno importante delle pinacoteche e delle opere d'arte, eppure nella nazione si rileva una sorta di indifferenza, quasi una paura di difendere fino in fondo la nostra lingua. Non si può promuovere all'esterno l'italiano, se non si riesce a tutelarlo all'interno. L'italiano può diventare una lingua di lavoro, soprattutto per la nostra posizione e la nostra attività sul Mediterraneo, che si interfaccia con mondi e culture diverse. L'italiano deve essere difeso dagli assalti anglofoni, non per esasperato nazionalismo, ma perché spesso si stenta a capire l'uso di alcuni termini in certi contesti, dal momento che la moda impone di infarcire di inglesismi tutti i documenti e le relazioni.
L'ultima considerazione riguarda la mia città, Milano, che ospiterà l'Expo nel 2015. Questa manifestazione trascende i confini della Lombardia, rappresentando un'opportunità e una risorsa per tutta l'Italia. Milano necessita quindi di particolare attenzione da parte del Governo nazionale, giacché sono previsti 7.000 incontri culturali. La Scala indubbiamente dovrà essere all'altezza di sostenere una stagione così impegnativa, così come anche teatri meno famosi, come il teatro Parenti, che rappresentano vere e proprie eccellenze. È importante quindi giungere a questa manifestazione così speciale considerando la cultura con la debita attenzione.
Chiudo con l'augurio che, come si evince dal documento, lei, Ministro, possa veramente caratterizzare il suo operato proponendo la politica del fare, aspetto fondamentale cui tiene molto. Un grande poeta del Novecento, Ezra Pound, ha affermato che «La migliore cultura è quella delle idee che diventano azione». Speriamo, ministro, che queste idee diventino azioni per il bene della cultura e quindi della politica italiana.
EMERENZIO BARBIERI. Mi atterrò all'invito della presidente Aprea, limitandomi a svolgere alcune considerazioni su argomenti che non ho capito o non condivido, dando quindi per sottinteso che i punti sui quali non mi soffermo siano da me condivisi.
Non sono grato a tutti i suoi predecessori, Ministro, perché, trovandomi all'opposizione con tanti colleghi qui presenti nei venti mesi del governo Prodi, avemmo occasione di esprimere al suo predecessore Ministro Rutelli il nostro radicale disaccordo su una serie di linee del suo operato e del suo Ministero. Capisco che lei lo faccia per educazione, ma nel merito delle questioni non sono d'accordo.
Colgo l'occasione per inserire una riflessione in merito. In uno scontro tra l'opposizione e il Ministro Rutelli esigemmo che il Ministro spiegasse alla Commissione i criteri secondo cui avrebbe composto il consiglio di amministrazione di Cinecittà Holding. Poiché i parametri non cambiano in base al ruolo svolto di maggioranza od opposizione, altrimenti le verità apparirebbero relative, gradirei sapere da lei cosa intenda fare dopo le dimissioni, date con assoluta correttezza dal consiglio di amministrazione di Cinecittà Holding, se abbia già individuato la soluzione giuridica da adottare tra commissariamento e rinnovo del consiglio. Nel secondo caso, vorrei sapere a quali criteri intenda ispirarsi il Governo per la procedura delle nomine.
Concordo e la supporterò affinché lo 0,28 per cento del 2008 si avvicini sempre più allo 0,39 per cento del 2000. Credo che questo ci interessi anche dal punto di vista politico, per evitare che la percentuale più alta di stanziamento per i beni culturali sia stata raggiunta durante i Governi D'Alema e Amato. Dovremmo farne quindi anche un punto d'onore. Mi preoccupa, tuttavia, aver sentito in questi giorni il suo collega della difesa ribadire l'esigenza di aumentare le risorse in quel settore, così come il Ministro Maroni per il comparto di sua competenza. È necessario evitare che accada quanto avvenuto a un suo predecessore, il Ministro Buttiglione, che solo alla fine della presentazione della legge finanziaria scoprì che non solo non avevano aumentato gli stanziamenti per il suo dicastero, ma addirittura avevano sottratto fondi in misura rilevante.
Sulla questione dei parchi archeologici, apprezzo molto, ministro, le sue proposte. Come probabilmente le avrà già anticipato l'efficiente presidente Aprea, questa Commissione aveva deliberato l'avvio di un'indagine conoscitiva sul funzionamento delle sovrintendenze archeologiche in Italia. L'iniziativa non è andata avanti a causa dello scioglimento delle Camere. Condivido le linee che ha prospettato, tuttavia sollevo un interrogativo. Concordo con l'attivazione di accordi con le regioni, gli enti locali e con i proprietari di beni culturali. Aggiunge, però, il riferimento ad «accordi con persone giuridiche private senza fine di lucro». Lei invoca il mecenatismo, ma viviamo in un Paese che non ha mai avuto la possibilità di avere un albo per i mecenati, da sempre poco numerosi.
Certamente lei sa che dal 2006 è ferma una proposta di legge unitaria della Commissione sullo spettacolo dal vivo. L'estensore della proposta era l'onorevole Rositani - non più rieletto - d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, che in quel momento era rappresentata in questa sede dall'assessore agli affari istituzionali della regione Emilia-Romagna, coprendo in tal modo anche un'altra area politica. Sarebbe interessante poter ripartire di lì per conoscere le intenzioni dell'attuale Governo al riguardo.
Conoscendola e avendo spesso dialogato con lei, Ministro, so cosa lei intenda affermando che la televisione deve essere «formativa»; tuttavia, è necessario fare attenzione all'utilizzo di questo aggettivo parlando della RAI. In questo Paese, infatti, abbiamo già avuto reti televisive con l'ambizione di essere formative. Per essere brutali, mi riferisco a quando il monopolio sulla RAI apparteneva ai democristiani, partito in cui militavo, al successivo monopolio democristiano-socialista e infine alla tripartizione DC-PSI-PCI. Tutti facevano formazione, basti ricordare Telekabul; bisogna fare molta attenzione, per cui una precisazione appare necessaria.
Ho infine molto apprezzato il suo intervento a difesa del paesaggio di Monticchiello e concordo assolutamente con lei. Tuttavia, le pongo un problema che riguarda non solo i comuni amministrati dal centrosinistra, ma anche quelli amministrati da noi. In seguito alle decisioni del Governo sull'ICI, le uniche entrate degli enti locali sono quelle derivanti dalle opere di urbanizzazione. Questo significa che il suo sforzo per difendere la bellezza del paesaggio cozzerà contro il fatto che senza una radicale riforma della finanza locale i sindaci saranno costretti a urbanizzare, per garantirsi le uniche entrate a loro disposizione. Vorrei quindi capire come intenda procedere rispetto a questa che diventerà una questione importante. In occasione della prossima finanziaria, infatti, l'ANCI, che è guidata da un sindaco del Partito Democratico, ma ha come vice deputati del Popolo della Libertà, verrà qui a chiedere di parlare di tali questioni.
MANUELA GHIZZONI. Signor Ministro, innanzitutto desidero rivolgere un apprezzamento per la disponibilità con cui ha accettato questo incontro. Mi consenta anche di porgerle gli auguri per un lavoro certamente gravoso.
Sono trascorse poche settimane da quando si è insediato, per cui ha appena preso possesso del dicastero. Ritengo quindi che la relazione presentata sia introduttiva di un documento che arriverà alla nostra attenzione nelle settimane e nei mesi futuri, in cui delle intenzioni qui dichiarate - alcune delle quali siamo pronti a sottoscrivere - si specificheranno le modalità di attuazione, soprattutto dal punto di vista della copertura. Su questo tema tornerò nel mio intervento, che tenterò di contenere nei dieci minuti. La presidente è autorizzata a segnalarmeli e, nel momento in cui sforerò, deciderò se procedere o fermarmi.
Apprezzo la sua intenzione di mantenere un costante colloquio con questa Commissione. Anche la presidente Aprea vigilerà.
Per ragioni di tempo, vorrei concentrarmi su alcuni temi che tenterò di sviluppare per titoli. Innanzitutto, desidero dichiarare che il gruppo che rappresento, il Partito Democratico, non farà un'opposizione
pregiudiziale. In questa Commissione siamo abituati a entrare sempre nel merito delle questioni. Faremo quindi la nostra opposizione rigorosa nel merito delle questioni dei singoli provvedimenti, come avvenuto in Aula la settimana scorsa.
Sottolineo che per il bene del Paese collaboreremo alla ricerca di una sintesi possibile ai problemi che verranno sottoposti alla nostra attenzione, ma senza ambiguità, perché abbiamo idee e prospettive diverse sull'Italia e sul futuro del nostro Paese. Abbiamo evocato l'abbattimento delle barriere ideologiche, ma restano nette alcune differenze, che tornerò a citare nel corso del mio intervento.
Come lei sa, per dare maggiore vigore alla nostra azione di opposizione abbiamo istituito il Governo ombra. Il suo omologo, se mi permette, è Vincenzo Cerami, artista di fama internazionale, a testimonianza del fatto che per il Partito Democratico la cultura è certo tutela, promozione del patrimonio materiale e immateriale, come discende dalla Costituzione, ma soprattutto inclusione sociale, processo identitario (aspetto su cui forse non si è soffermato abbastanza nella relazione) e - sottolineo a lei, Ministro e poeta - memoria e sogno. Credo che non ci sia nulla di più colpevole che spezzare o togliere i sogni a un uomo, cosa che in qualche modo si annuncia con il decreto-legge n. 93. Ritengo che in questa nostra prima audizione ci sia un convitato di pietra. Il Ministro ne ha fatto cenno solo per la parte che attiene ai tagli del tax credit, sebbene nel documento siano indicati tagli «generosi» per raggiungere la copertura
necessaria del provvedimento in parola.
Ritengo doveroso partire da qui, anche perché è abbastanza imbarazzante rilevare nella sua relazione il riferimento ad alcuni progetti, che però decadono, visto che i fondi sono stati tagliati. Riprenderò questo tema per indicare questo triste elenco, augurandomi che la stampa, che sta seguendo la nostra audizione, possa darne informazione, giacché in questi giorni su questi tagli necessari alla copertura del provvedimento si rileva un grande silenzio sulla stampa.
Prima di fornire questo elenco, desidero rappresentare ai colleghi - paradossalmente lo ha fatto l'onorevole Barbieri, come ormai è nel suo ruolo - come questo rappresenti solo il primo assaggio, in quanto, come ieri annunciato da Tremonti in Europa, ci sono altri 10 miliardi di tagli in due fasi, la prima a giugno, la seconda in finanziaria. Ha ragione l'onorevole Barbieri a ricordare che il Ministro La Russa chiede più fondi per sé, per poter incrementare...
EMERENZIO BARBIERI. Non per sé, ma per la difesa.
MANUELA GHIZZONI. Certamente per la difesa, non per sé! Sappiamo bene come avviene nel momento in cui vengono ripartite risorse che non ci sono, perché La Russa chiede che la quota di PIL destinata alle risorse per il Dicastero della difesa passi dall'1,09 all'1,25 per cento. Ignoro la sua opinione, signor Ministro, ma credo che all'Italia spetti piuttosto un protagonismo culturale e non certamente bellico.
Peraltro, nella sua relazione lei ha fatto giustamente riferimento al potenziamento del personale del MIBAC. Su questo ci avrà al suo fianco, perché è uno dei ministeri con maggiore anzianità. Nella finanziaria e precedentemente nell'azione dei venti mesi del Governo Prodi abbiamo dato un segnale positivo, procedendo al concorso per 40 sovrintendenti, per gli assistenti museali e per i funzionari tecnici. Ora, nelle previsioni del suo collega Tremonti c'è il blocco del turn-over, un'assunzione ogni otto pensionamenti. Lo considero particolarmente sbagliato, perché si tratta non soltanto di dare risposte a un ministero in difficoltà, che sta implodendo per carenze di personale, ma anche di fare entrare giovani in questa prestigiosa amministrazione, di gratificarne i talenti e soprattutto metterli in gioco dal punto di vista della sperimentazione di nuove prassi per la tutela e la valorizzazione dei beni
culturali.
Vengo al decreto. Mi rendo conto che sottrarrò tempo ma, giacché non ne ha
parlato nessuno, nemmeno la vicepresidente, tocca a me il compito di redigere la «lista della spesa», che purtroppo però non è fatta di spesa ma di tagli.
«Azzeramento totale del fondo per contribuire in conto interessi per il restauro degli immobili dei centri storici - il Ministro ne ha parlato giustamente molto nella sua relazione - e per il recupero e la conservazione degli edifici riconosciuti dall'UNESCO come patrimonio dell'umanità». Tante volte in questa Commissione abbiamo parlato della necessità di investire, dell'esigenza che la Repubblica faccia la sua parte nella tutela del patrimonio dell'UNESCO.
Analogamente, per gli stessi centri UNESCO, «azzeramento del fondo delle risorse per favorire i processi di mobilità alternativa». Si tratta di 14 milioni per ogni anno del triennio 2008-2010. Stessa sorte è toccata al fondo per il ripristino del paesaggio.
Di questo trovo imbarazzante o grave che non si faccia menzione nella relazione del Ministro, anche perché si cita l'articolo della legge finanziaria, che però non esiste più in quanto emendato, a meno che non si intervenga in Parlamento, come naturalmente faremo. Gradiremmo su questi punti specifici avere al nostro fianco i colleghi dell'attuale maggioranza.
La stessa sorte è toccata anche ai 10 milioni di incremento delle risorse per le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia. Su questo torno, visto che si tratta di un punto importante, dal momento che con queste risorse vengono realizzate infrastrutture culturali, non donazioni a pioggia.
Avete cassato anche i 3,5 milioni aggiuntivi alle istituzioni culturali. Avevamo fatto un'operazione condivisa, proveniente dal Senato - fortunatamente Barbieri lo ricorda -, ribadendo la necessità di sostenere queste istituzioni, di toglierle dalla tabella C, che ogni anno può essere decurtata di tagli lineari, di spostarle infondendo loro certezze, in modo che potessero fare un'attività programmata, di cui avremmo verificato gli esiti. Invece il fondo è stato tagliato.
Sono stati tagliati 1,5 milioni di contributi al festival pucciniano e, rispetto a quanto affermato nella relazione, anche 1 milione per il restauro archeologico degli edifici antichi e di spettacolo, teatri e anfiteatri.
Non ho avuto tempo di leggere quanto resterà dopo questi tagli, ma oltre a questo c'è un'ipoteca importante, che non deve essere sottovalutata, sulla copertura dei provvedimenti che eventualmente saranno assunti in corso d'anno. Il presidente sa a cosa mi riferisco. Per il suo Dicastero la riduzione del fondo speciale in parte corrente è praticamente di 5 milioni di euro e nel 2010 sarà di 12 circa. È di 7,7 milioni in conto capitale per quest'anno e di ben 41 per i successivi 2009 e 2010.
L'elencazione proseguirà, perché esiste il caso emblematico del Centro del libro che lei qui cita, ma la cui vita non può prendere avvio perché i finanziamenti per quest'anno vengono ridotti della metà, per 1,5 milioni, ma successivamente il fondo sparisce. Mi chiedo quindi con quali risorse si dia vita a questo intervento assolutamente strategico in un Paese dove solo meno del 40 per cento degli italiani legge un libro all'anno. Poi ricordo la questione del cinema e altre ancora.
Su questo primo lotto vorrei esprimere alcune valutazioni di carattere generale, perché questo è di fatto il primo atto del Governo Berlusconi e con esso vengono tagliati i fondi per la cultura.
Questa è la sintesi che non ho letto sui giornali e neppure sentito dalle parole del Ministro, fatto salvo il rammarico relativo al tax credit.
Sono convinta, onorevole Carlucci, che presenteremo un emendamento e faremo una battaglia insieme, ma è sintomatico che siano andati a tagliare lì.
GABRIELLA CARLUCCI. Hanno tagliato un po' dappertutto.
MANUELA GHIZZONI. No, non hanno tagliato dappertutto. Devo ammettere che c'è stata più attenzione nei confronti dell'istruzione, aspetto che mi ha colpito favorevolmente (il presidente lo sa in
quanto ho scambiato qualche battuta con la ministra Gelmini). C'è tuttavia un taglio preoccupante, ovvero l'abolizione del fondo che avevamo «strappato con i denti» in questa Commissione, tutti insieme, a favore dell'AFAM, l'Alta Formazione Artistica Musicale, che scompare. Giustamente, la ministra Gelmini mi ha fatto notare che potremmo attingere a quel fondo di 100 milioni. Tuttavia, le risorse sono troppo esigue per accontentare tutti: il cinema, le AFAM, il Fondo per il paesaggio. Come primo provvedimento, quindi, il Governo Berlusconi torna con un ritornello che purtroppo abbiamo ascoltato e che pensavamo fosse stato abbandonato, ovvero quello dei tagli alla cultura.
Le cifre da lei riportate, signor Ministro, sono giuste e tuttavia sottolineo come nei due Governi Berlusconi i tagli alla cultura siano stati pari al 20 per cento. Per noi è stato difficile risalire la china, però lo abbiamo fatto. Peraltro, si tratta di tagli in una situazione in cui i conti pubblici non erano tenuti così sotto stretta sorveglianza come abbiamo fatto noi, tant'è che l'Europa, giacché avevamo un deficit superiore al 3 per cento, aveva aperto una procedura di infrazione, che si chiude oggi e di cui potete fregiarvi. Siete anche fortunati!
Non vorrei, quindi, che si ritornasse alla situazione precedente. Abbiamo faticato a risalire la china, ma siamo anche andati oltre e abbiamo proceduto alla razionalizzazione della spesa, su cui vorremmo avere qualche delucidazione in più. Noi abbiamo previsto in finanziaria, in modo transitorio nel 2006 e poi nel 2007, una modalità che consente di avere più capacità di spesa. È da qui che bisogna ripartire, non dalla costituzione di commissioni. Peraltro, il Ministero è stato riorganizzato in maniera tale da avere una migliore filiera di spesa, per cui è necessario lasciarlo lavorare, dato che la riorganizzazione è estremamente recente.
Emerge però un altro problema. Questi tagli, introdotti con il decreto-legge n. 93, dimostrano anche che il potere della cultura manca e che la classe dirigente, l'Esecutivo, il Parlamento, i poteri diffusi non considerano la cultura una priorità, ma le attribuiscono sempre un valore residuale. Se vuole, signor Ministro, possiamo fare insieme questa battaglia, però dobbiamo scardinare questa cornice a partire dal decreto-legge n. 93.
Avrei voluto parlare di molti altri aspetti, ma me aggiungo solo uno. Lei ha parlato di città, benché venga tagliato il fondo, ma vorrei sapere se a suo avviso le città possono essere la sede in cui finalmente portare a sintesi l'annoso dibattito tra tutela versus contemporaneità, valorizzazione e fruizione. Negli ultimi anni, le città sono infatti diventate un motore di produzione culturale, di professionalità alte, non di creazione di consenso come riportato su alcuni giornali; sono diventate momenti di crescita civile e sociale, di aumento della coesione sociale. Lo hanno fatto attraverso la cultura, i festival, i musei, la creazione di importanti opere architettoniche.
Desidero quindi sapere quale sia il suo impegno, Ministro, in questo senso; se si possa andare avanti su questa linea, peraltro tratteggiata dalle azioni del dicastero Rutelli, garantendo alle città il sostegno affinché svolgano questo tipo di lavoro, chiarendo anche i livelli normativi nazionali, regionali e comunitari; se si possa fare di più e istituire un tavolo che garantisca un maggior coordinamento tra i vari livelli decisionali nell'ambito delle politiche culturali.
Ringrazio per la pazienza i colleghi che vorranno intervenire. Rivolgo un'ultima raccomandazione. Lei, signor Ministro, avrà sempre al suo fianco i deputati e le deputate del gruppo del PD in questa Commissione quando vorrà proporre alla nostra attenzione provvedimenti volti a sfatare il presunto atteggiamento contrario alla cultura del Governo Berlusconi, anche come eredità oggettiva. Sta a lei naturalmente voler utilizzare la nostra passione civile, la nostra intelligenza e le nostre competenze.
LUCA GIORGIO BARBARESCHI. Signor presidente, non è possibile stabilire un limite di
durata degli interventi? Perché quello che una persona dice in dieci minuti...
PRESIDENTE. Onorevole Barbareschi, vuole intervenire sull'ordine dei lavori?
LUCA GIORGIO BARBARESCHI. Vorrei evitare che ognuno facesse dei monologhi; altrimenti diventa impossibile, perché si può tenere la parola anche per quaranta minuti.
PRESIDENTE. In questa Commissione per ora si è deciso di procedere in questo modo, anche perché dobbiamo conoscerci...
LUCA GIORGIO BARBARESCHI. In cinque minuti si dicono le stesse cose che...
PRESIDENTE. Onorevole Barbareschi, in ufficio di presidenza abbiamo deciso di seguire questo metodo. Grazie, comunque, per il suggerimento.
Do la parola all'onorevole Granata, capogruppo del popolo delle Libertà.
BENEDETTO FABIO GRANATA. Onorevole Ministro, onorevoli colleghi, inizialmente sono portato a dare un taglio diverso a questo mio sintetico intervento, anche perché voglio non rassicurare, ma dichiarare con grande chiarezza la piena condivisione sull'impostazione di fondo, che credo sia emersa in modo fortissimo, a meno che non si ascolti in modo prevenuto - e non è il caso di questa Commissione - la relazione del Ministro.
La stratificazione storica e culturale, ovvero la cultura, è la più grande infrastruttura della nazione, su cui si può e si deve costruire un percorso di sviluppo e sul quale questa Commissione per le sue funzioni legislative e politiche sarà al fianco del Ministro in un'impostazione che cercherà nel modo più adeguato, nel quadro complessivo di una fase difficile e complessa dell'economia nazionale, di tutelare i fondi e le risorse indispensabili alla valorizzazione di questa infrastruttura. Più semplicemente, siamo compatti nel ritenere che, per dare speranza all'Italia, sia necessario difendere questa grande infrastruttura immateriale. Non è di cemento, non è un ponte, né un'autostrada, ma è la più grande infrastruttura che abbiamo.
Se, come ritengo, questo convincimento, che credo sia fortissimo, sottolineato in modo molto intelligente e puntuale in tutto lo spirito, come un filo rosso che lega la relazione del Ministro, è condiviso dalla Commissione, bisogna essere coerenti rispetto a un'impostazione che porta anche a reintegrare somme che sono certamente indispensabili per una politica culturale attraverso un nuovo metodo e una nuova visione di organizzazione del sistema.
Per contribuire alla valorizzazione di questa fondamentale infrastruttura, bisogna avere il coraggio politico e legislativo di lanciare un tentativo coraggioso di ripensamento complessivo senza travolgere alcuni capisaldi. Ritengo che ancora oggi la legge n. 1089 del 1939 rappresenti un monumento legislativo, ma non per questo si può rimanere ipnotizzati, senza tentare di superarla per affrontare i diversi problemi imposti dall'attualità.
Desidero sottolineare subito e con forza un concetto. Dal 2003, l'UNESCO ha assunto una decisione con effetto retroattivo, poi estesa a tutti i siti inseriti nella sua World Heritage List: ha stabilito che per poter essere inseriti e continuare ad essere presenti in tale lista ci si deve dotare di un piano di gestione. Questa decisione dell'UNESCO è fondamentale, perché sottolinea un dato sul quale anche noi dobbiamo essere convinti, come precondizione dell'opzione ideologica, come scelta politica di fondo dell'identità nazionale: non esistono custodia e tutela senza valorizzazione. L'UNESCO ha dichiarato che non può esistere una forma di tutela del patrimonio che prescinda dalla valorizzazione dello stesso, perché la valorizzazione è la più alta, nobile ed estesa forma di tutela. Da questo punto di vista, è necessario verificare il quadro normativo esistente. Concordo con lei, signor Ministro, sulla
esigenza di non fare molte altre leggi, ma occorre avere il coraggio di applicare e di
difendere una fase legislativa particolarmente interessante, che poi è sfociata in un processo molto complesso e approfondito nel nuovo codice dei beni culturali, con una serie di capisaldi molto importanti, da lei puntualmente sollevati e sottolineati. Ne cito uno su tutti, rispetto al quale anche negli interventi si evidenzia un'assoluta condivisione: la piena e totale consapevolezza dell'importanza del paesaggio come bene culturale, non come accessorio folkloristico o romantico dell'identità culturale nazionale. Il paesaggio è un bene culturale in sé, principio sancito dalla stessa legge n. 1089 del 1939 e dall'articolo 9 della Costituzione, poi riconfermato da questo lavoro. Il tema è quello di creare le condizioni per procedere in modo adeguato alla valorizzazione dell'enorme patrimonio di cui dispone la nazione.
Nei limiti di tempo dati posso proporre solo alcune tracce necessariamente non approfondite, però ritengo opportuno mettere mano a una norma capace di introdurre nuovamente princìpi di coinvolgimento attivo nel patrimonio culturale nazionale, senza distinguere per la valorizzazione tra competenze statali, regionali e locali, ma tenendo conto attraverso equilibrati meccanismi di concertazione innanzitutto della rigorosa tutela del patrimonio.
Non voglio essere frainteso, perché esiste un dato imprescindibile: la tutela, la custodia del patrimonio e la sua inalienabilità riguardano lo Stato. La valorizzazione, invece, vista anche l'importanza riconosciutale dall'UNESCO, risponde ad altri requisiti manageriali, sui quali non sempre le tanto stimate, preziose e sapienti culture diffuse all'interno delle nostre sovrintendenze hanno dato segnali di lungimiranza gestionale del patrimonio culturale; dobbiamo riconoscerlo con grande onestà intellettuale.
Pur non avventurandomi in questa sede in una proposta legislativa compiuta, ritengo necessaria una figura di sovrintendente vicina al modello siciliano - il quale, pur non avendo una buona stampa, è diverso - che sia unico e su base provinciale, da individuare tra soggetti legati non solo a una formazione specialistica di settore, ma anche ad una capacità manageriale frutto di nuovi percorsi formativi dell'università italiana legati alla valorizzazione del patrimonio culturale. Questa figura dovrebbe coordinare e valorizzare il patrimonio sul modello dell'attuale figura del direttore regionale, avendo però questa impostazione su base provinciale, lasciando la tutela, la custodia e la ricerca - altro fattore importantissimo - alla specificità formativa delle singole sovrintendenze.
Tale nuova figura, per certi versi inedita, dovrebbe riuscire a coordinare la valorizzazione, ad inserirsi in un nuovo quadro di coordinamento con le rappresentanze del territorio, comprese quelle dell'intrapresa privata e dell'associazionismo di settore. Il Ministro Bondi ha citato la presenza di un associazionismo prestigioso e importante - penso al FAI -, che offre sul territorio esempi non di alienazione, ma di gestione del bene attraverso questo meccanismo.
Occorre creare una rete di relazioni tra questi soggetti per valorizzare l'intero complesso del paesaggio culturale italiano. Si tratta di integrare la valorizzazione su aree territoriali tematiche. Quando parliamo di distretto culturale, intendiamo l'esaltazione di alcune qualità e specificità presenti sul territorio per aree non soltanto geografiche, ma soprattutto tematiche.
Dobbiamo ripensare l'idea di un turismo che deve essere sempre più legato - ed è certamente questo lo spirito della relazione del Ministro - a una visione di ricerca del viaggiatore e non del turista (non tanto ad una ricerca romantica del grand tour), certamente attento alle specificità, alle qualità, alle differenze e alle peculiarità del passaggio, che sono la vera cifra dell'irriproducibilità dell'offerta culturale italiana.
Su questo siamo imbattibili, ma è necessaria una maggiore organizzazione. Per farlo, c'è un forte richiamo alla necessità di una norma o comunque di un rapporto tra i 41 siti UNESCO italiani e le città
d'arte. I sindaci e le amministrazioni delle città d'arte stanno lavorando a un progetto di legge che riunisca queste qualità e queste eccellenze. Lo stesso meccanismo, parlando dei finanziamenti previsti con il 5 per mille, potrebbe essere previsto proprio grazie ad una norma che coniughi le eccellenze italiane qualificabili oggettivamente soltanto attraverso la lista UNESCO; ovviamente non è esaustiva del patrimonio culturale nazionale, ma i 41 siti italiani hanno una loro peculiarità, riconosciuta da un organismo internazionale di assoluto valore.
La presunta e a mio avviso infondata predisposizione negativa del Governo Berlusconi verso la cultura non è oggettiva, mentre è oggettivo il fatto che l'UNESCO indichi 41 siti presenti sul territorio italiano come patrimonio mondiale dell'umanità e che questi potrebbero essere legati al primo grande distretto culturale delle eccellenze insieme alle città d'arte. Serve una normativa, ma anche un fondo per finanziarla. Ebbene, uno dei meccanismi possibili potrebbe essere quello del 5 per mille.
È inoltre necessario avere il coraggio di rivedere, non necessariamente da un punto di vista legislativo, alcuni passaggi della legge Ronchey, perché vi è una grande questione legata alla piena valorizzazione del sistema museale, ovvero l'esigenza di coniugare la salvaguardia della «sacralità dei luoghi» con la necessità di una valorizzazione. Tale valorizzazione deve, senza offendere i luoghi stessi, dimostrare un minimo di razionalità, cosa che spesso non avviene. Ancora oggi nascono numerose polemiche in merito ai servizi aggiuntivi all'interno dei siti museali o dei parchi archeologici, dove la realizzazione di punti di merchandising, di librerie, di luoghi di ristorazione sembra una proposta offensiva.
L'unico appunto di parte che mi sento di muovere è il seguente. Nel programma del PdL è stata già inserita una proposta che ha una grande valenza simbolica. Così come si è fatta una legge quadro sulle grandi opere, il Ministro deve affrontare il tema delle grandi demolizioni con una legge quadro, che in modo simbolico, ma anche operativo e pragmatico individui delle somme e dia una potestà decisionale immediata. Non si capisce perché in Italia per costruire un ponte... Ho una posizione personale anche sulla realizzazione del ponte sullo Stretto, non in linea con quella del PdL (Commenti)... Mamma mia, non voglio essere messo al bando per questo, sono libero di pensare!
BENEDETTO FABIO GRANATA. Ci conosciamo poco, ma per molti non è una sorpresa.
Sulle demolizioni, sul ripristino della bellezza, sul ripensamento delle grandi aree industriali dismesse deve emergere una volontà politica del Governo di investire con una legge quadro, perché si tratta di grandi opere, che difendono la più grande infrastruttura immateriale della nazione, ovvero la cultura.
GABRIELLA CARLUCCI. Volevo innanzitutto ringraziare il Ministro e anche il sottosegretario per la celerità con cui hanno accettato di intervenire in questa Commissione, rivolgendo naturalmente loro anche gli auguri di buon lavoro.
Inoltre, poiché sono qui dal 2001 e ho ascoltato tre relazioni programmatiche prima di questa, desidero fare i sinceri complimenti al Ministro, perché il suo intervento è articolato e comprensivo di tutte le tematiche che attengono a questo Dicastero. Inoltre, l'idea di fondo di questa relazione è quella della politica del fare, che contrasta con quella del continuare a legiferare.
Concordo quindi con questi interventi programmatici che richiamano più volte la bellezza con molti punti di contatto rispetto alle idee che ho sviluppato in questi anni in materia di spettacolo. Infatti, prioritariamente mi occuperò della materia dello spettacolo, che lei, signor Ministro, ha trattato alla fine della sua relazione.
Per richiamare le considerazioni dell'onorevole Barbieri circa la necessità di
una legge quadro che viene indicata dal Ministro come legge obiettivo, volevo ricordare a questa Commissione che l'ossatura di quella legge è stata presentata da me nel 2002 ottenendo il consenso di tutte le categorie dello spettacolo, proprio perché, dopo la riforma dell'articolo 117 della Costituzione voluta dal centrosinistra nel 2001, i rapporti fra Stato e regioni in materia di spettacolo erano molto confusi ed hanno generato una serie di conflitti di attribuzione di competenze.
Quella legge del 2002, poi confluita nel Testo unico, di cui nella XIV legislatura era relatore l'onorevole Rositani, aveva avuto il parere favorevole della Commissione affari costituzionali, quello più importante in quanto attiene alle competenze tra Stato e regioni.
Amplificata con le ulteriori modifiche nate nell'ambito della discussione svolta in Parlamento dal 2006 al 2008, il progetto di legge è stata aggiornato e presentato (chi vi parla è prima firmataria) il primo giorno di questa nuova legislatura. In esso sono richiamati tutti i princìpi di coordinamento con gli enti locali, necessario e propedeutico a mantenere la centralità del FUS.
Oggi abbiamo sentito citare le grandi difficoltà economiche di questo settore. Come gli altri colleghi della Commissione, mi impegno a battermi per prevenire i tagli del Ministro Tremonti, in particolare per quanto riguarda il tax shelter e il tax credit inseriti in questa legge finanziaria. Ricordo, però, a questa Commissione che essi sono il frutto di un lavoro congiunto e avviato da chi vi parla. Non voglio affermare di aver fatto tutto in questa Commissione, però crediti di imposta e tax shelter nascono da una mia proposta di legge.
In questa Commissione ci impegneremo a trovare in sede di conversione del decreto i fondi necessari per coprire il taglio effettuato dal provvedimento sull'ICI, ma le parole del Ministro, che garantiscono la presenza dei nostri funzionari a Bruxelles per dare seguito ai decreti attuativi, testimoniano questa volontà da parte del Governo.
Lavoreremo aiutando il Ministro e i suoi uffici per individuare forme di copertura economica preventive rispetto ai tagli annunciati dal Ministro Tremonti, che peraltro sul decreto ICI sono stati trasversali a tutti i ministeri.
Nella relazione del Ministro ho particolarmente apprezzato l'intenzione di combattere il degrado delle periferie riqualificandole. I luoghi della cultura, però, possono essere anche luoghi dello spettacolo. Anche lo spettacolo è il nostro miglior biglietto da visita e un importante momento di aggregazione.
Quando ci siamo occupati di finanziamenti allo spettacolo, abbiamo ribadito la necessità di garantire la centralità del FUS, perché le regioni, una volta cointeressate, non possono fare a meno di una visione di insieme, la quale permette di individuare le aree che necessitano di un intervento di riqualificazione o di ammodernamento di luoghi di fruizione dello spettacolo. La visione d'insieme e centrale dello Stato deve essere garantita, ma regioni e enti locali devono essere coinvolti. Il FUS può essere incrementato e indirizzato prioritariamente nell'intervento diretto dallo Stato a incentivare la formazione, le opere prime e seconde (non soltanto di cinema, ma anche di teatro e musica) nonché la scoperta e la formazione dei nuovi talenti.
Per incentivare altre forme di finanziamento, dobbiamo perseguire la strada dei crediti d'imposta e del tax shelter indicata da questa legge finanziaria. In questi anni la produzione fonografica e musicale (non penso solo al settore audiovisivo), a causa della pirateria e del peer to peer, argomenti sui cui ritorneremo, ha subìto un forte calo dei guadagni, con il conseguente minor investimento nei giovani talenti.
Considero un'ottima soluzione quella di mettere a regime, una volta sperimentati, il credito d'imposta e il tax shelter investendoli in tutte le forme dello spettacolo dal vivo.
Credo infatti che l'applicazione immediata attraverso l'attuazione dei decreti sul tax shelter e sul credito di imposta sarà il miglior modo per valutare la risposta degli
investitori. Lei giustamente si richiama alla riforma del 1996 delle fondazioni lirico-sinfoniche, che però non ha trovato applicazione perché manca un punto fondamentale, ovvero il principio della responsabilità amministrativa dei consigli di amministrazione. Infatti, un consiglio di amministrazione che ambisce alle sponsorizzazioni private non può presentarsi a fine anno con un deficit di 30-40 milioni di euro.
Per poter fare questo, è necessario innescare il meccanismo della responsabilità dei consigli di amministrazione e in seguito prevedere anche una divisione del FUS. Si dovrebbe infatti stabilire per il FUS una parte fissa, che attiene ai contratti di lavoro, i quali non possono essere modificati. Tuttavia, è chiaro che per quanto riguarda le fondazioni lirico-sinfoniche, deve essere effettuata una ricognizione. Infatti, la Scala di Milano non può avere lo stesso organico e comunque non possiede lo stesso bacino di utenza del teatro di Trieste, per citare due aree geografiche molto differenti tra di loro e dunque con bacini di utenza molto diversi. Anche per quanto riguarda la parte fissa, quindi, ritengo opportuno effettuare una ricognizione.
La parte variabile può e deve essere legata a una maggiore produttività per quanto riguarda tutto lo spettacolo dal vivo; essa deve inoltre essere collegata alla modernizzazione dei luoghi dove viene fruito lo spettacolo. Sappiamo infatti che in futuro il cinema non verrà più proiettato con la pellicola, ma il segnale arriverà attraverso il satellite. Una sala digitale multifunzionale (teatro, balletto, cinema, musica) in qualunque luogo della nostra penisola, compresi i piccoli comuni di provincia attrezzati in tal senso, potrebbe ricevere la prima della Scala di Milano, garantendo quindi la formazione del pubblico, la diffusione dello spettacolo dal vivo a tutti i livelli e la possibilità per tutti di accedere alla cultura.
Premiare con la parte variabile del FUS la multidisciplinarietà significa anche, per quanto riguarda le fondazioni lirico-sinfoniche - e questo deve essere un argomento della discussione sulla riforma incompiuta di queste fondazioni -, evitare che il costo del biglietto, a parte i noti sprechi di spettacoli allestiti per una settimana e poi buttati, non sia sostenibile per tutte le fasce di pubblico.
Se una fondazione lirico-sinfonica allestisce uno spettacolo e debutta con i grandi nomi della lirica italiana e mondiale, può ad un costo nettamente inferiore realizzare le repliche con giovani talenti; il biglietto potrebbe costare 20 euro dando allo stesso tempo ai giovani talenti la possibilità di esprimersi e di avere un palcoscenico.
Tutte queste innovazioni sono contenute in questa proposta di legge, che recepisce quanto di nuovo è nato nel frattempo, dal 2006 ad oggi. Queste nuove piattaforme di fruizione dello spettacolo hanno bisogno di luoghi appropriati, per cui la riqualificazione delle periferie o dei centri storici può avvenire attraverso l'utilizzo di leve fiscali.
L'aiuto economico alle strutture dello spettacolo potrebbe essere garantito dalla trasformazione del credito sportivo in credito dello spettacolo.
Per quanto riguarda le strutture e le società che producono spettacolo, bisogna avere il coraggio di sospendere i parametri di Basilea 2, perché le società dello spettacolo non sono in grado di fornire quelle garanzie. Il credito sportivo può diventare prioritariamente una banca che aiuta le strutture, ma anche le società che producono spettacolo, costituendo un fondo di garanzia che può per esempio sfruttare il FUS, oggi gestito dalla Banca d'Italia. Anziché essere gestito dalla Banca d'Italia, potrebbe essere dato alla banca dello spettacolo e costituire un fondo di garanzia con cui concedere mutui agevolati alle società e alle infrastrutture dello spettacolo.
Il tema della pirateria attiene sempre alla perdita dei finanziamenti diretti, perché chi riesce a produrre e a vendere le opere dell'ingegno ovviamente ha un income immediato. In Inghilterra qualche giorno fa è stato istituito un nuovo ministero senza portafoglio che si occupa prioritariamente
del diritto d'autore. Infatti, la diffusione della banda larga, che sta avvenendo molto velocemente anche in Italia, ha incrementato fino a livelli incredibili la diffusione della pirateria, del downloading illegale e del peer to peer.
Per quanto riguarda il cinema, oggi in Italia è crollato l'intero settore del videonoleggio, dove lavorano circa 180.000 addetti, con la prevista chiusura di 500 videoteche. Ciò non significa che DVD e CD siano in crisi, perché la pay-TV va molto bene, in Inghilterra benissimo. È quindi doveroso intervenire in maniera seria contro la pirateria, in quanto arreca un danno economico grave anche alle casse dello Stato. Infatti, se non si paga il noleggio o l'acquisto del DVD, non si paga l'IVA. Si tratta quindi di somme che dovrebbero andare nelle casse dello Stato.
Volevo proporre alla presidente Aprea di deliberare un'indagine conoscitiva sulla pirateria, invitando tutti i soggetti coinvolti in questo gravissimo danno economico alle casse dello Stato, ma soprattutto alle casse di chi investe nei contenuti. La mancata vendita o il mancato noleggio di DVD vanno a detrazione dei fondi alla SIAE, all'IMAIE e a produttori di musica e di cinema che potrebbero reinvestirli nei nuovi talenti.
Poiché abbiamo parlato di spettacolo e il Ministro si occupa di Cinecittà Holding, sottolineo di aver più volte invocato una razionalizzazione delle spese di quella società pubblica, che ha 14 società controllate direttamente. Queste società hanno completamente perso la loro mission, così come ha fatto per altro verso l'ETI, che dovrebbe essere il luogo in cui sperimentare e aiutare i nuovi talenti e che invece non sta assolvendo al suo compito.
Per quanto riguarda Cinecittà Holding, è evidente la necessità di procedere a una razionalizzazione dell'intervento diretto dello Stato, magari riunendo in un unico organismo le 14 società che oggi fanno capo al gruppo pubblico. Cito ad esempio la promozione del cinema italiano all'estero; in realtà essa non esiste, perché la società che se ne occupa a causa della scarsità di finanziamenti, ma anche di spese e strutture inutili, fa poco.
A proposito della promozione all'estero, vorrei spingere il Ministro a trovare un accordo con quei ministeri che già si occupano della nostra promozione all'estero, quali il Ministero degli affari esteri, l'Istituto del commercio con l'estero e le strutture che già hanno finanziamenti e già sono preposte alla promozione del nostro made in Italy. Nell'ambito di questa promozione, propongo quindi di raccordarsi con una tecnostruttura molto agevole e molto meno costosa di Cinecittà e di impegnarsi nell'acquisto di una sala cinematografica interamente dedicata al cinema italiano negli Stati Uniti o in Francia, in cui finalmente il cinema italiano possa essere conosciuto.
Date le premesse del Ministro, ritengo che questa possa essere una legislatura di svolta, in grado di coinvolgere sotto ogni punto di vista i territori nella promozione non solo dei beni culturali, ma anche del turismo e dello spettacolo. Tale sinergia, che ritrovo nelle parole del Ministro, potrà sicuramente imprimere una svolta a questa legislatura.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Carlucci, per la passione e per la tenacia che è suonata come un avvertimento a tutti noi della Commissione.
È presente il vicepresidente della Commissione trasporti, onorevole Barbareschi, cui do la parola.
LUCA GIORGIO BARBARESCHI. Innanzitutto, vorrei ringraziare il Ministro Bondi per la sua relazione che ho trovato molto esaustiva e che credo nasconda qualcosa tra le righe, cioè il tentativo (così ho voluto interpretarlo) di togliere un po' di Stato e rendere più dinamico il futuro dell'imprenditoria anche per quanto riguarda i beni culturali.
Ho molto apprezzato anche la sottigliezza dell'onorevole Granata che, parlando del ponte, nascondeva la sua conoscenza di Tomasi di Lampedusa, che parla di un'isola con dentro mille isole e cinque milioni di isole dentro.
Vorrei fare tre brevi interventi sulla televisione, sul cinema e sul teatro, con una premessa. Credo che la vera soluzione ai nostri problemi sia quella di far sì che la burocrazia e la politica facciano un passo indietro rispetto alle nostre dinamiche in tutti e tre i settori: RAI, cinema e teatro.
La mia formazione è più anglosassone che italiana ed ho vissuto sia negli Stati Uniti che in Inghilterra; inoltre, ho prodotto cinema, teatro e televisione in altri Paesi. Ebbene, non ho mai visto così tante sovvenzioni e così tante persone che si occupano dei beni culturali come in questo Paese. È vero che abbiamo un'alta concentrazione di siti, ma anche una costosissima macchina burocratica che in questi anni non ha lavorato con la dovuta virtuosità.
Ritengo che l'intervento del Ministro vada nella direzione di snellire i vecchi meccanismi. I vari passaggi politici portano al cambiamento dei ruoli di potere, ma la macchina burocratica rimane la stessa.
A proposito di televisione, parlare di modelli culturali televisivi innovativi è importante se si tiene conto del fatto che siamo talmente in ritardo che oggi è sufficiente copiare dagli altri. La BBC, la televisione di Stato inglese, ha radicalmente cambiato i modelli distributivi con un modello di condivisione culturale. Al contrario di noi, che ancora discutiamo sull'opportunità di aumentare il canone di due o tre euro, lo ha raddoppiato, dando però il proprio database in gestione agli utenti e anticipando la logica di narrowcasting, con cui si trasforma l'utenza in un soggetto in grado di creare prodotti. Questa è la grande rivoluzione del passaggio fra broadcasting e narrowcasting.
Chiedo scusa per l'uso di neologismi inglesi, ma, giacché sono più avanti di noi, mi sembra opportuno ricorrervi. Usare termini come trasmissione a banda larga non avrebbe senso. Il narrowcasting è stato inventato da Steve Ross trenta anni fa con le 500 strade della comunicazione, per cui si parla ogni tanto anche in inglese. Il vero problema della condivisione creativa è il nostro futuro, perché la distribuzione dei nostri prodotti culturali avverrà in maniera del tutto nuova, su piattaforme diverse che si chiameranno IPTV, telefonia, Internet.
Nel parlare di RAI, sono quindi assolutamente d'accordo nell'individuare la sua funzione primaria per il Paese, ma appare necessario un cambiamento radicale, perché è impensabile che nei prossimi cinque-sei anni siano ancora i direttori di rete o i direttori generali a stabilire le linee culturali di un Paese. In questo caso verremmo travolti da una rivoluzione tecnologica che equivale alla rivoluzione agricola o a quella dell'epoca del ferro in altre ere. Non serviranno più e saranno del tutto ininfluenti.
Con questo, non bisogna sottovalutare il fatto che oggi la RAI destina il 70 per cento delle proprie risorse a produzioni legate a multinazionali che riempiono il nostro Paese di prodotti degradati, di reality show demenziali. Questa emergenza deve essere affrontata, se si ritiene che il servizio pubblico debba sviluppare come protagonisti produttori di contenuti italiani, che peraltro in questi anni hanno lavorato in maniera eccellente, al punto di rendere più importanti i prodotti italiani, con testimonial italiani, di quelli stranieri. Quando una buona fiction italiana va bene batte in prima serata i film americani, con la differenza che la RAI ha investito in questi anni su società importantissime che assorbono più del 70 per cento del budget per prodotti che non solo non fanno library per la RAI, ma che danno modelli educativi di scarsa rilevanza.
Vorrei che questo problema fosse affrontato. Naturalmente, oggi la centralità del servizio pubblico è un tema importantissimo in tutta Europa, perché nel momento in cui questa è ancora caratterizzata dalle banche più che dalla cultura, il servizio pubblico è tornato a essere centrale, perché si dovrà occupare di questo, utilizzando tuttavia tecnologie diverse e tenendo conto delle nuove rivoluzioni distributive.
Naturalmente, la funzione degli operatori culturali può essere quella degli ambasciatori
del made in Italy fuori, e in questo fiction, cinema, musica possono svolgerla in modo eccellente, a patto di organizzarsi in associazioni che non devono essere fortemente dipendenti dallo Stato, come avvenuto in questi anni.
L'onorevole Carlucci afferma giustamente che il made in Italy del cinema all'estero non è mai esistito. Non può esistere, perché le nomine di carattere politico hanno sempre generato distinzioni dei prodotti dal punto di vista politico. Su RAI International, che dovrebbe essere il vettore sul satellite di quanto raccontiamo nel mondo, la qualità è veramente degradante e imbarazzante. Si tratta di un prodotto che raccontiamo a un'Italia paradossalmente molto più dinamica e in gamba, fatta di eccellenze italiane che sono andate via per diventare numeri uno in ogni settore: nell'auto, nella ricerca, nel cinema. I migliori italiani trasferitisi all'estero ci chiedono continuamente come sia possibile trasmettere su RAI International programmi che sono «l'ajo nell'imbarazzo», orrendi.
In questo intervento, cercherò dunque di essere poco politico ma molto chiaro nell'indicare le possibili soluzioni.
La nostra lingua deve essere certamente esportata come modello culturale, ma anche reinsegnata a scuola e anche nel Parlamento, perché alcuni interventi da analfabeta che ho ascoltato in Parlamento al mio primo mandato sono imbarazzanti. Mi dispiace dirlo, ma le scuole e la televisione ci guardano in diretta, così come le scolaresche vengono ad assistere ai lavori del Parlamento. Se abbiamo introdotto educazione civica, quindi culturale, in questo Paese - questa sarà la nostra rivoluzione -, l'esempio dovrà essere dato in Aula innanzitutto con l'ascolto. La violenza e la mancanza di educazione in questo Paese nascono infatti anche dalla mancanza di ascolto, negli Stati Uniti definita deficit attention syndrome. Se il Parlamento non dà l'esempio nell'ascoltare, non potremo insegnare ai nostri figli né i beni culturali, né la bellezza, che consiste nel rispetto e nell'ascolto degli altri.
Per quanto riguarda la televisione, infine, occorre garantire il rispetto delle quote IMAIE e SIAE, ovvero i residual degli investimenti dei grandi broadcaster. Da anni si assiste all'evasione totale dei diritti musicali e dei diritti di interprete. L'IMAIE si trova in una situazione imbarazzante (si tratta di decine di milioni di euro). Per citare l'esempio della mancanza di virtuosità, mentre l'equivalente francese (ADAMI), gestito in maniera privata, ridistribuisce i dividendi agli interpreti, in Italia questo istituto viene gestito da un trio sindacale (CGIL, CISL e UIL) ed è sotto osservanza da parte della magistratura, perché ha incamerato i soldi senza aver distribuito nulla negli ultimi sei anni.
Passo molto velocemente al cinema. Al di là di tutte le proposte di cambiamento dei modelli produttivi, ritengo che in questi anni sia mancato un aspetto fondamentale, ovvero un modello distributivo dei nostri prodotti. Credo che non serva lo Stato, ma che in questa direzione il Ministro abbia avuto l'intuizione giusta di aprire al mercato. Forse non è neppure negativo che il mercato sia consapevole della mancanza di fondi. Vorrei infatti ricordare come l'Inghilterra, l'Irlanda e gli Stati gaelici (ad esempio la Scozia, che si riconosce un'identità culturale assolutamente diversa) siano rinati grazie alla Thatcher, che ha completamente tagliato i fondi per cinema e teatro, obbligando gli operatori culturali del proprio Paese a riconfrontarsi con il mercato non nazionale, ma internazionale. Questo lo affermano Harold Pinter, Anthony Sheffer, Nigel Williams, ovvero i più grandi scrittori di quell'epoca, tutti di sinistra e tutti rigorosamente ostili
alla Thatcher perché per motivi editoriali faceva comodo parlarne male. La realtà è che l'Inghilterra è rinata perché ha riproposto i propri prodotti considerando il mondo come mercato.
Questo vale anche nel nostro Paese per quanto riguarda l'insularità; quando la regione Sardegna ha capito che era inutile batter cassa allo Stato, ha stipulato un accordo con la Ryan Air, sviluppando
il sito di Alghero e facendo crescere il mercato immobiliare del 70 per cento con la creazione di vettori che agissero direttamente sulla propria città. Le idee possono essere tantissime e non credo che la distribuzione di soldi a pioggia possa risolvere i problemi, anche perché i soldi sono stati dati e buttati. Per anni abbiamo avuto film orrendi e perso la nostra tradizione. Il cinema italiano è stato leader non in Italia, ma nel mondo, quando non esistevano sovvenzioni, ma esistevano la distribuzione e i generi, altro aspetto che l'Italia ha dimenticato. Il meccanismo del cinema d'autore è una delle più grosse «bufale» italiane. Il cinema d'autore non è mai esistito neanche ai tempi di Fellini, i cui film venivano scritti da sceneggiatori come Pinelli e Flaiano, spesso nascosti anche nei titoli. Solo la Svizzera ha dedicato una retrospettiva a Flaiano. Questa è la verità: dobbiamo tornare
ai generi, ai prodotti.
Sono d'accordo che Gomorra e Il Divo siano ottimi prodotti cinematografici, ma mi auguro anche che - come hanno insegnato gli inglesi con film come Quel che resta del giorno, con cui si raccontava la virtuosità vittoriana di un Paese - per un Gomorra altri dieci film italiani siano ambasciatori di quell'Italia virtuosa che esiste, anche a macchia di leopardo nelle zone più depresse, e che tiene in piedi questo Paese, al di là del luogo comune di un'Italia mafiosa, dove esiste la 'ndrangheta, e piena di aspetti deleteri. Lo voglio sottolineare perché la nostra immagine in Europa, anche quella economica, può avvalersi di un coordinamento tra il Ministero dei beni culturali, la Confindustria, il Ministero delle attività produttive e il Ministero degli esteri. Queste quattro istituzioni potranno però funzionare insieme, se chi si occupa dei prodotti culturali realizzerà prodotti di
eccellenza, come in questi anni non è avvenuto esclusivamente per colpa degli operatori culturali. Dobbiamo smettere di affermare che sia colpa della politica. Non abbiamo esportato prodotti buoni solo perché non li abbiamo saputi realizzare.
Negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia, con la metà delle risorse singole date a produttori di teatro, sono stati scritti spettacoli e realizzati prodotti che hanno girato il mondo. Di questo, purtroppo, si deve prendere atto, altrimenti è sempre troppo facile chiedere sovvenzioni alla «grande mammella» dello Stato senza essere in grado di dare prodotti. Forse scopriremo che in Italia sono sufficienti sette film all'anno, come in Inghilterra, due e non duecento festival di cinema, visto che il Giappone ne ha uno, pur avendo il doppio della nostra popolazione. Credo che anche i festival e meccanismi di questo tipo abbiano una loro importanza.
Di tax shelter ha parlato l'onorevole Carlucci, per cui non mi dilungo, ma ritengo che possa essere il vero motore propulsivo.
Desidero esprimere velocemente due considerazioni sul teatro. I teatri devono essere di innovazione e non di restauro. In questi anni, i teatri stabili si sono trasformati in teatro di giro. I teatri stabili devono stare fermi, altrimenti dovremmo cambiare la definizione in teatri «instabili, semoventi, in continuo movimento». I teatri stabili, che hanno molte sovvenzioni, devono occuparsi del territorio, come il Piccolo di Milano o lo Stabile di Roma; devono agire, sviluppare nuovi talenti anche di scrittori, come funziona la Schauspielhaus, la Schaubuehne, il Royal Court Theatre, gli arrondissement francesi. In tutto il mondo si lavora sul territorio. Questo permetterà al teatro privato, che ha un'altra funzione, di girare con prodotti realizzati con investimenti privati.
Ho quindi già parlato con il Ministro Gelmini, che è sensibile in proposito, affinché il teatro sia insegnato nelle scuole, come la musica. Ho la fortuna di avere figli che frequentano le scuole private. La differenza di violenza fra le scuole private, in cui viene insegnata la bellezza, e quelle pubbliche, è palese. Il femminino platonico è infatti insegnato anche agli adulti maschi che, avendo un'aggressività maggiore,
grazie al teatro e alla musica riescono a svilupparsi in maniera diversa.
EMILIA GRAZIA DE BIASI. Femminino hegeliano.
LUCA GIORGIO BARBARESCHI. Femminino platonico, la invito a leggere Il Simposio di Platone. Poi mi chiama quando vuole. C'è sempre un momento per imparare. La sua mi è sembrata una polemica inutile.
Sono felice di aver parlato dell'ARCUS, perché ammetto che è stato uno scandalo, anche nella legislatura di centrodestra. L'ARCUS ha infatti dato fondi a persone che non avevano nulla a che vedere con le eccellenze di questo Paese. Vorrei finalmente trovare nella lista persone che hanno operato nel mio settore, giacché paradossalmente non ne conoscevo nessuna, pur avendo fatto cinema e teatro per trenta anni.
Come negli altri Paesi, la lirica deve fare una scelta di vita. Solo in Italia, infatti, i cantanti vengono pagati cifre esorbitanti con sovvenzioni dallo Stato. Chi lavora per un teatro privato potrà chiedere anche 50.000 euro a sera, a patto che il mercato lo ripaghi, ma chi lavora per un teatro di Stato, percepirà quello che il teatro può pagare.
È necessario evitare di assistere a situazioni che ho sperimentato in parecchi teatri lirici, in cui le orchestre fanno cadere gli archetti a metà di una prova perché sono scaduti i tempi, per poi lavorare altre sei ore fuori dal teatro con i loro quartetti in giro per l'Italia, venduti con sovvenzioni dello Stato con una compagnia sotto altro nome.
PRESIDENTE. Volendo organizzare i nostri lavori, poiché sono le 13,10, ho chiesto al Ministro Bondi la disponibilità a fermarsi con noi fino alle ore 14. Completerei quindi il giro degli interventi con i capigruppo, per poi continuare con gli altri iscritti a parlare. Diversamente, potremmo prevedere un seguito dell'audizione per il prosieguo del dibattito e per la replica.
ANTONIO PALMIERI. Signor presidente, intervengo sull'ordine dei lavori. Non credo che si possa unire il dibattito alla replica del Ministro. Nonostante le sue grandissimi doti, - tutti lo apprezziamo per questo -, deve avere modo di documentarsi su alcune questioni. Nel mio intervento, ad esempio, farò riferimento a due aspetti molto specifici che riguardano il passato Governo. Per evitare che la sua risposta...
PRESIDENTE. Mi riferivo a momenti diversi.
ANTONIO PALMIERI. L'audizione si svolgerebbe in «tre puntate».
PRESIDENTE. Vediamo se riusciamo a stringere i tempi. Do la parola all'onorevole Nicolais, vicepresidente della Commissione.
LUIGI NICOLAIS. Signor presidente, sarò molto breve. Vorrei innanzitutto ringraziare il Ministro e il sottosegretario per essere qui con noi. Ho molto apprezzato il programma che ha presentato e spero riesca a portarlo avanti. Si tratta di risolvere un problema economico, non di volontà.
Non ho però trovato l'enfasi che mi sarei aspettato sull'uso e la diffusione delle nuove tecnologie. Oggi vengono offerte grandi opportunità, in parte già citate dall'onorevole Barbareschi, dall'uso delle nuove tecnologie non solo nel cinema o in altre attività analoghe, ma anche nel settore dei musei. Oggi, infatti, un museo si visita in modo virtuale, prima che in modo reale. Un intervento sull'interoperabilità dei musei statali nazionali sarebbe quindi molto utile per i potenziali turisti stranieri che desiderino avere una visione virtuale di quello che troveranno nel corso della loro visita.
Analogamente, avrei evidenziato maggiormente il ruolo delle mediateche, il cui sviluppo permette ai cittadini di entrare nella rete della pubblica amministrazione, accedendo a scritti importanti e intervenendo in un processo di ammodernamento della pubblica amministrazione.
Per quanto riguarda la mappatura dei siti archeologici, l'utilizzo dei sistemi satellitari rappresenta una grande opportunità. Nel programma di Governo sarebbe quindi interessante introdurre questa forte innovazione nel settore dei beni culturali, che cerca di coniugare tradizione e innovazione. Questi aspetti mi sono sembrati evidenziati in maniera non sufficiente.
Desidero anche ricordare che in Industria 2015 esiste un settore specifico per la ricerca nel settore dei beni culturali. Su questo si potrà intervenire con maggiore forza, cercando di utilizzare questa opportunità sviluppata dal precedente Governo per avviare un'attività di ricerca nei settori della fruizione e del restauro dei beni culturali, che richiedono una forte interazione tra pubblico e privato, nonché in quelli dell'università e dei centri di ricerca.
Per quanto riguarda l'Istituto centrale del restauro, una buona collaborazione con il CNR, che ha alcuni istituti specifici in grado di mettere a sistema la loro competenza, potrebbe rendere più interessante la creazione di una massa critica di ricercatori in questo settore.
Vorrei anche evidenziare che sotto il profilo della formazione l'Istituto centrale, gli altri istituti e le università che lavorano in questo settore dovrebbero maggiormente internazionalizzarsi, non tanto nel mandare fuori le persone, quanto nell'accettare cittadini stranieri. Da questo punto di vista, forse sono un po' in disaccordo con la mia collega vicepresidente, perché ritengo che, specialmente per gli alti livelli di formazione, l'uso di lingue diverse dall'italiano possa essere una grande occasione di internazionalizzazione dei sistemi. Si dovrebbe quindi spingere per insegnare in inglese, cosicché gli studenti stranieri possano frequentare in modo continuativo i nostri corsi.
Ho apprezzato le considerazioni a proposito del personale. Il Governo di cui facevo parte come ministro ha avviato un'operazione di stabilizzazione dei precari nel settore specifico di sua competenza. Temo che un generalizzato blocco del turn-over possa determinare un ulteriore stato di precarietà, creando sicuramente grandi problemi al Paese.
In questi due anni, abbiamo avuto grandi difficoltà nel definire il precario, per evitare un'assunzione ope legis di tutti coloro che lavoravano nella pubblica amministrazione. Abbiamo agito con forza fino all'ultima direttiva, che ho emanato circa un mese fa, pochi giorni prima che il Governo cambiasse, cercando di spingere sul controllo della qualità del personale. Per essere stabilizzati si doveva infatti superare un esame pubblico.
Spero dunque che questo blocco delle assunzioni non vi sia o che almeno venga effettuato solo in alcuni settori, perché sarebbe un grave danno per la pubblica amministrazione in generale nel nostro Paese.
Signor Ministro, ho apprezzato tutto il suo intervento, ma sono preoccupato per la copertura finanziaria, anche alla luce dei tagli effettuati ultimamente. Ho letto che è previsto proprio un taglio sui fondi per gli istituti di cultura e per l'immagine dell'Italia all'estero, intervento che rappresenta un grave danno. Ritengo infatti che questo Paese debba puntare sulla conoscenza e sulla cultura per competere nel mondo. Abbiamo bisogno di investire più in conoscenza e cultura e meno forse nell'impresa, perché oggi la competitività deriva soltanto dalla nostra capacità di smaterializzare i prodotti, di renderli sempre più pieni di conoscenza piuttosto che di materia prima. Come evidenziato dall'onorevole Barbareschi, anche nel settore del cinema e del teatro la capacità di innovazione rende il prodotto interessante e competitivo a livello internazionale. Un Governo che voglia veramente puntare allo sviluppo del Paese deve
innanzitutto puntare allo sviluppo della conoscenza.
PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Goisis, capogruppo della Lega Nord.
PAOLA GOISIS. Grazie, presidente. Rinnovo gli auguri e i complimenti al Ministro e saluto tutti gli onorevoli colleghi.
Desidero esprimere innanzitutto una semplice considerazione. Mi è piaciuto molto il riferimento diffuso al concetto della bellezza. Sviluppare tale concetto può aiutare a sconfiggere quei fenomeni purtroppo esistenti nella nostra società, in particolare tra i giovani e nel mondo della scuola e dell'istruzione, come ad esempio il «bullismo». Maggiore educazione al culto della bellezza, dell'arte e della spiritualità dovrebbe risolvere numerose problematiche della nostra società. Lo stesso vale per i riferimenti alla tutela dei beni culturali, ovvero opere d'arte, musei, palazzi, città, piccoli e grandi comuni che non possiamo assolutamente dimenticare.
Il tema della bellezza mi induce a citare la frase di Dostojevski: «La bellezza salverà il mondo». Essa si ricollega a quanto già espresso in merito al miglioramento delle periferie delle città, giacché portando anche in quei luoghi la bellezza, la spiritualità e la creatività si potrebbero risolvere queste problematiche.
Ho apprezzato anche le intenzioni manifestate dal Ministro, che sarebbe sciocco non condividere. Come rappresentante della Lega Nord, devo però esprimermi su qualcosa che mi spaventa, ossia sulla volontà di costruire altri tavoli di confronto, altre commissioni, altre normative. Ritengo che il nostro Paese stia «affondando» sotto una pletora di normative, tanto che nei nostri piccoli comuni e nelle nostre città qualunque intervento viene bloccato soprattutto dalle sovrintendenze, ormai diventate un altro Stato nello Stato. Chiediamo quindi maggiore autonomia e un'inversione di tendenza, per cui non deve essere lo Stato a erogare i contributi - preferisco parlare di risorse -, ma la regione, la provincia e il comune.
Insisto su questo aspetto, non solo perché faccio parte della Lega Nord, ma anche perché ho visto degli esempi sul campo. Nel corso dell'indagine conoscitiva svolta nella precedente legislatura, lo scorso anno ci siamo recati a Madrid, verificando quanto la scelta di partire dalla periferia e non dal centro abbia permesso la realizzazione di obiettivi sorprendenti. Ad esempio, a fianco del museo del Prado sono state costruite strutture di servizi estremamente moderne e innovative senza temere di commettere un sacrilegio nei confronti del tempio della classicità. Anzi tanto più quelle strutture sono moderne, tanto più sembrano rafforzare il sacro della classicità.
Sono convinta che in questo modo si riuscirebbe ad eliminare non solo la pioggia di contributi o finanziamenti, spesso elargiti indiscriminatamente, ma anche la loro dispersione. Non voglio commettere un sacrilegio nel ricordare la situazione napoletana, ma molti miliardi sono stati profusi a Napoli senza risolvere il problema. A me sembra che questo stia avvenendo in numerosi altri settori, quali la scuola, l'istruzione, l'università, i beni culturali e artistici.
Noi aborriamo termini quali «aiuto», o «contributo». Non chiediamo l'elemosina, non siamo i mendicanti della cultura e dell'istruzione, ma vogliamo essere produttori di cultura e di istruzione e, grazie alla conoscenza del territorio, intendiamo indicare in quali luoghi, in quali strutture, verso quali forme di arte indirizzare questi beni e queste risorse. Non vi sono persone più indicate degli amministratori, di coloro che sono lì e che giorno per giorno si scontrano con la realtà.
Ho partecipato qualche giorno fa, a Ravenna, a un piccolo convegno sulle città d'arte. Veramente c'è quasi da sotterrarsi dalla vergogna nel vedere come queste città - parliamo di Ravenna, città con una sua storia - siano appunto bloccate, si trovino continuamente nell'impossibilità di agire per la presenza di «pastoie» che impediscono loro di muoversi. Inoltre, la libertà di movimento, nell'arte e nella cultura, favorisce anche la libertà di sviluppo economico.
Tutti abbiamo riconosciuto - ormai si tratta di una consapevolezza che è parte della coscienza collettiva - che l'arte e la cultura rappresentano un volano per lo sviluppo economico, per il turismo ed altro ancora. Tuttavia, niente si potrà realizzare fino a che i singoli amministratori, i sindaci, i presidenti di provincia o di
regione restano bloccati. Di fatto, ogni volta che si deve operare un intervento - portavo l'esempio della semplice imposta sui Colli euganei - si deve sentire il parere della sovrintendenza e questa deve consultare i funzionari del Ministero. Allora, mi fa davvero paura sentire che bisogna aumentare gli organici, i tavoli di lavoro e di studio, poiché ci bloccheremmo, una volta di più, nella nostra capacità di movimento di risorse e di attività.
Sapete bene qual è la proposta della Lega: il federalismo, attraverso il quale vorremmo sviluppare la capacità di utilizzare le risorse, là dove sono prodotte. In tal modo si riesce a superare tutta questa serie di difficoltà, anche perché regioni, comuni e province sono le realtà maggiormente in grado di difendere l'identità culturale, laddove invece si parla spesso di massificazione e di rendere tutti uguali. Nella scorsa legislatura abbiamo parlato molto spesso di interculturalità e multiculturalità, ma, in virtù di questi termini, si finiscono per dimenticare le nostre peculiarità storiche, culturali e artistiche.
Voglio agganciarmi al discorso della diffusione della conoscenza dell'italiano in Europa. Anche a me piace molto questa idea, ma non voglio dimenticare che, dal 1993, esiste una direttiva europea sulla tutela e la diffusione delle lingue locali. Il nostro Governo, o chi per esso, non ha ancora avuto la dignità di riconoscere la lingua veneta. Com'è possibile non riconoscere una lingua che ha millenni di storia? Pare quasi una forma di difesa, non saprei da cosa. Veramente, in questo caso, si difende la nostra cultura, poiché lo sviluppo di una lingua avviene in millenni di storia e ha dietro di sé tutto un sostrato culturale, che non possiamo dimenticare in nome della multiculturalità.
Quando portiamo avanti questi concetti, la Lega viene sempre tacciata di razzismo. Voglio parlare, invece, di razzismo al contrario. Infatti, dimenticare la nostra peculiarità significa davvero affossarla. Lo Stato italiano ha riconosciuto come lingue locali il ladino, il patois della Val d'Aosta e non so quali altre lingue regionali, mentre una lingua storica, quella della Repubblica Serenissima, non è stata riconosciuta! Spero che uno dei nostri primi interventi sarà proprio quello di sottoporre all'esame dell'Aula la direttiva europea da me citata, per fare in modo che il discorso venga portato avanti.
PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Zazzera, capogruppo dell'Italia dei Valori.
PIERFELICE ZAZZERA. Ringrazio il presidente, il Ministro e il sottosegretario per essere presenti in questa sede. Il mio intervento ovviamente sarà contenuto nei tempi. Cercherò di non usare neologismi e di utilizzare bene i congiuntivi, cercando di non sbagliarli.
Il giudizio dell'Italia dei Valori sulla relazione del Ministro non può che essere di sospensione. D'altronde, mi sembra prematuro esprimere un giudizio positivo o negativo, se è vero che le buone intenzioni, i buoni propositi e i buoni princìpi della relazione del Ministro - che non ho ascoltato, ma che ho letto - vanno messi alla prova dei fatti. Al mio paese si dice che tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.
EMERENZIO BARBIERI. Qual è il suo paese?
PIERFELICE ZAZZERA. La Puglia.
PIERFELICE ZAZZERA. Signor Ministro, nel mio paese c'è un detto che recita «tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare», per cui l'aspettiamo alla prova dei fatti.
Nella sua relazione, tuttavia, rilevo una linea sulla quale un confronto sarebbe effettivamente utile. Emerge sicuramente la volontà di potenziare la cultura nel nostro Paese, utilizzando il metodo del mecenatismo: apriamo al mercato e ai privati e spingiamo affinché il privato possa rafforzare la cultura. Da persona che condivide le idee di mercato,
sono solito affermare che sarebbe bene che non fosse il mercato a controllare la cultura, bensì la cultura a controllare il mercato.
Offro questo spunto alla Commissione, come elemento di riflessione: per me, la cultura deve rappresentare un elemento di identità del nostro Paese. Confrontiamoci, allora, sull'ipotesi di considerare la cultura non solo come un elemento da aiutare, spingere e valorizzare, ma anche come qualcosa che può diventare un fattore di sviluppo economico per il nostro territorio.
Cito Richard Florida (ma sarà la mia unica citazione): «Esiste una connessione tra qualità dell'offerta culturale e qualità della vita; tra qualità dell'offerta culturale e sviluppo del territorio; tra qualità dell'offerta culturale e coesione sociale». Esiste - lo dico anche alla Lega - una connessione tra qualità dell'offerta culturale e tolleranza...
PAOLA GOISIS. Parli per lei. Non si deve permettere...
PIERFELICE ZAZZERA. È solo una mia riflessione...
PRESIDENTE. La prego, onorevole Zazzera, si rivolga al Ministro.
PIERFELICE ZAZZERA. Dal momento che lo troviamo sui nostri quotidiani, immagino che questo aspetto sia oggetto di confronto e di dibattito! Credo anche che la cultura sia l'antidoto all'illegalità: se in realtà come Casal di Principe o persino nella Puglia da cui provengo esistessero più teatri e cinema, forse riusciremmo a far svolgere alla cultura quel ruolo che le è proprio, facendo crescere il senso civile, di appartenenza e d'identità nei confronti del nostro Paese.
Penso che tutto passi attraverso la conoscenza e quindi - credo che il Ministro avrà già individuato un percorso e una linea di azione al riguardo - il nostro Paese, prima ancora di trasmettere il proprio patrimonio culturale, deve conoscerlo. Forse neppure noi conosciamo per intero il nostro patrimonio culturale. Ha quindi ragione il collega Nicolais quando dice che dobbiamo usare le tecnologie per poterlo archiviare, renderlo successivamente fruibile e farlo diventare oggetto di marketing - stavolta il riferimento è pertinente - in modo da entrare nella logica del mercato per offrire tale patrimonio all'esterno.
Condivido l'idea di cultura come elemento di bellezza: dovremmo assolutamente costruire i nostri quartieri tenendo conto di tale assunto. Tuttavia, ancora una volta, tra il dire e il fare, tra i princìpi e la realtà permane una notevole distanza. Nella mia regione, tanto per citare un esempio su cui riflettere, esiste una discarica nei pressi di un sito paleolitico! Anche su questo dobbiamo riflettere quando parliamo.
Le cose si fanno con le risorse. Credo che il punto debole e dolente del suo e, probabilmente, anche del precedente Governo, sia quello di considerare la cultura «una Cenerentola», in termini di risorse. Nella sua relazione lo dice anche lei: lo 0,28 per cento di risorse del bilancio dimostra che siamo lontanissimi da Paesi come Regno Unito e Scandinavia, che destinano il 2-3 per cento delle risorse di bilancio a questo settore. Questo dato deve farci riflettere. Da cittadino del Mezzogiorno vorrei anche sapere quanto di quel bassissimo 0,28 per cento, lei intende destinare ad una realtà - quella del Mezzogiorno, appunto - dove si rileva un degrado del patrimonio culturale, per oggettive situazioni.
Vengo all'informazione e alla televisione. Ovviamente, non sono competente in materia come il collega Barbareschi, ma sostengo che informazione e televisione devono puntare sulla qualità, sull'autonomia e sull'indipendenza. Anche da questo punto di vista, signor Ministro - soprattutto dopo avere ascoltato alcune dichiarazioni - mi auguro che la nostra televisione trasmetta sempre meno reality show e sempre più programmi di informazione che, probabilmente, alla BBC sarebbero considerati trasmissioni di punta. Penso a
trasmissioni come Annozero, piuttosto che a Report, che invece nel nostro Paese vengono viste con grande fastidio.
Condivido pienamente quanto detto sui percorsi museali, ma riflettiamo su come tuteliamo il nostro patrimonio museale. Trovo, infatti, assolutamente carente la sua relazione, signor Ministro, su come intende fronteggiare il fenomeno criminale dei beni trafugati, degli interessi che girano intorno a questa pratica della criminalità organizzata interessata a un mercato assai fiorente.
Concludo dichiarando che tra mecenatismo e cultura, come elemento di sviluppo economico del territorio, propendo certamente per quest'ultima impostazione.
PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Capitanio Santolini, capogruppo dell'Unione di Centro. Si esauriscono così gli interventi dei capigruppo.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Grazie, ministro, per la sua relazione lunga ed esaustiva.
Il vantaggio di parlare dopo tanti interventi è quello di poter essere effettivamente più sintetica dei colleghi, giacché molte cose sono state già dette. Pertanto sorvolo, andrò veloce e svolgerò un breve intervento, anche perché mi crea sempre un certo imbarazzo intervenire all'impronta su un intervento lungo e articolato che richiederebbe, da parte nostra - anche per rispetto nei suoi confronti - uno studio minimamente più approfondito nonché maggiori possibilità di comparazione e riflessione per poi rispondere sul merito. Intervenire così è un rito necessario e doveroso, ma sicuramente ognuno di noi svolge interventi che poi, magari, desidererebbe poter modificare, almeno parzialmente.
Ho apprezzato la sua relazione. Devo dire che un ministero come il suo è straordinariamente importante e bello, ma anche straordinariamente complicato. Vi fanno capo tantissime diramazioni, competenze e aspetti culturali e, quindi, effettivamente presenta complessità notevoli.
Proprio in vista di tali complessità, quello che mi sarebbe piaciuto sentire da lei - e spero che lo potrà fare nella replica - è l'indicazione delle priorità del suo Ministero. Intendo dire che in questa relazione c'è, ovviamente, di tutto e di più, proprio perché è una prima relazione che lei fa a questa Commissione. Quindi, giustamente, ha dovuto toccare, per così dire, «l'universo mondo» e affrontare in maniera, forse non abbastanza approfondita - non dipende da lei, bensì dalla complessità della materia - tutti gli argomenti. Le chiedo quindi quali siano le sue priorità di intervento; quali le urgenze che, a breve scadenza, si presentano al suo Ministero e come intenda affrontarle.
È bello scrivere tutto ciò che lei ha scritto, ma mi piacerebbe - dalla prossima volta, certamente non da oggi - entrare nel concreto delle questioni.
Lei ha scritto che una sua prima proposta è quella di indire un concorso nazionale per le arti figurative, riservato a giovani artisti. Per carità, siamo tutti favorevoli ai giovani artisti, tuttavia sono sicura che non sia l'unico provvedimento che intende prendere, ritenendo che lei abbia ben altro da fare, proprio a causa delle necessità impellenti.
Il secondo punto, che hanno toccato in molti, è il problema delle risorse. Non è indubbiamente un problema di poco conto, anche perché lei da un lato afferma che ci saranno meno risorse, mentre a pagina 4 della sua relazione afferma anche che intende assicurare un maggiore impegno economico pubblico in questo campo. Immagino che, siccome il suo programma è spalmato sull'intera legislatura, lei preveda per il momento un taglio (in realtà previsto dal Governo e dal Presidente del Consiglio), che in seguito cercherà di recuperare.
Ritengo estremamente negativo il taglio alla cultura. Ebbene, questa è la parte più seria di tutta la sua relazione, senza voler sminuire il resto. Anche se lei ha precisato il fatto che si tratta di una limitatissima quota degli stanziamenti, quindi suscettibile di futuri aggiustamenti, la realtà è che per pagare l'ICI si sono tagliati i fondi alla
cultura, al welfare e alla ricerca. Forse queste scelte avrebbero meritato, a mio parere, maggiore approfondimento.
È vero che in occasione dell'audizione di qualsiasi ministro in qualunque Commissione, dai trasporti alle opere pubbliche, tutti protestano, dichiarando che un taglio nel proprio settore di interesse rappresenta un fatto gravissimo. Non siamo ingenui e sappiamo bene come funzionano le cose. Tuttavia, considerato che siamo il primo Paese al mondo in quanto a patrimonio culturale - le cifre sono davvero incredibili - pare strano che i fondi siano tagliati proprio in questo settore. Lei non c'entra, e certamente anche il taglio al welfare e alla ricerca sono altrettanto gravi.
Lei ha affermato di aver già mandato a Bruxelles alcuni funzionari per trattare sul da farsi in sede europea. Mi perdoni la domanda maliziosa: se non ci sono i soldi, non si vede perché li abbia mandati. Le chiedo di quale tipo di trattativa siano incaricati questi funzionari, dal momento che i fondi non ci sono. Evidentemente, essi sperano di ottenere qualche risultato - immagino che lei abbia una sua strategia al riguardo - per cui le chiedo lo scopo di questa sua iniziativa.
Passando a un'altra domanda, credo che tra le urgenze che le si pongono davanti, signor Ministro, sia rilevante quella che interessa i dirigenti di seconda fascia. Come è noto, il Ministro Rutelli, pochi giorni prima di decadere dal suo incarico, ha compiuto uno di quei colpi di mano che - prassi negativa che non ho mai compreso - tutti i ministri uscenti compiono, nominando 200 funzionari di seconda fascia. Tale nomina è stata poi contestata dalla Corte dei conti, bloccando quindi il sistema.
Non si può far finta di niente e dire che si vedrà il da farsi. Le faccio notare che queste 200 nomine spettano a lei, dal momento che la Corte dei conti ha bloccato l'intervento di Rutelli, che ritengo quanto mai negativo e che stigmatizzo con profonda convinzione. Di fatto, o lei conferma quei funzionari, oppure li cambia. Siccome, però, le nomine sono vincolate a progetti, occorre verificare se questi ultimi siano in linea, o meno, con le sue previsioni riguardo alle competenze per il suo Ministero. Ribadisco che non si tratta di una questione di poco conto, in quanto si parla di ben 200 persone e di un sistema bloccato. Se non si risolve la situazione, questo Ministero non potrà funzionare, in quanto non disporrà degli strumenti, delle risorse e delle persone necessarie per svolgere il lavoro previsto. Anche su questo tema mi sarebbe piaciuto ascoltare un suo chiarimento.
Piace anche a me, come ha detto la collega Goisis, il fatto che lei abbia parlato della bellezza, perché credo che sia un tema al quale siamo tutti sensibili in questa Commissione. Tutti noi pensiamo alle nostre periferie senza anima, che degradano il paesaggio italiano. Lo ha detto lei e io ne sono convinta. Solo che, da come l'ha posta lei, la questione sembra uscita dal libro dei sogni, signor Ministro. Infatti, per realizzare quanto prospettato ci vogliono tanti soldi. In questo modo, torniamo al discorso precedente: ci vogliono tante risorse. Sarei felicissima se venissero stanziate, ovviamente. Ci vuole il coraggio di iniziative difficili da prendere; ci vuole il coraggio di andare contro una corrente che ha pervaso l'Italia da vent'anni a questa parte; ci vuole il coraggio di far rispettare le norme, qualsiasi esse siano; ci vuole il coraggio di avere una sorta di legalità permanente sul fronte dei beni culturali e ambientali e far comprendere a tutti i
cittadini che la tutela del patrimonio culturale è un bene comune ed un vantaggio per tutti.
Questo significa, però, avere il coraggio di prendere iniziative impopolari. Sono convinta, infatti, che tanta strada si debba fare da questo punto di vista: dagli interventi demolitori, al controllo preventivo sui singoli interventi, all'archeologia preventiva che nega il permesso di proseguire determinate opere, malgrado in quei luoghi debba passare un'autostrada o debba essere costruito un edificio di pubblica utilità.
Si tratta di un lavoro estremamente coraggioso - credo che in questa Commissione
siamo pronti a darle una mano, da questo punto di vista - da svolgere senza assistere né proteggere sacche di privilegi, senza cercare scorciatoie, come credo tutti siano stati costretti a fare. Del resto, le lobby che si oppongono alla valorizzazione del patrimonio, a mio avviso, sono molto diffuse e assai forti.
In conclusione, lei, signor Ministro, ha affermato di voler individuare una figura giuridicamente capace di coordinare e sviluppare un piano nazionale dei musei. Credo che questo non basti, perché anche in questo caso si tratta di un lavoro complesso, che è stato messo in cantiere da tempo, i cui esiti non sono stati quelli attesi. Non so se sia il caso che lei affronti questo tema alla radice, senza moltiplicare i tavoli (su questo sono d'accordo anch'io), così come è necessario fare quando occorrono interventi complessi.
La ringrazio moltissimo per aver citato il Family festival di Fiuggi: un'iniziativa assolutamente importante al cui avviamento, in qualche modo, ho partecipato anche io. Spero che lei sosterrà queste iniziative anche nel prosieguo.
Da ultimo, mi associo alla richiesta di coinvolgere il CNR. Ne parleremo anche con il ministro competente, quando verrà, ossia il Ministro Gelmini. Tuttavia, credo siano importanti le sinergie con i colleghi che hanno le competenze sul turismo e sul CNR. Insomma, bisognerebbe creare una sorta di sinergia e collegamento costante fra i ministeri che incrociano le stesse materie, poiché probabilmente risorse aggiuntive si possono trovare anche operando in questa direzione.
STEFANO CALDORO. Mi associo al saluto al Ministro e ai suoi collaboratori più diretti. Condivido la relazione, molto netta, realista, sincera e in linea con il carattere del nostro interlocutore. La relazione mi pare condivisa anche dall'opposizione, che nel merito non ha sollevato eccezioni, facendo semmai qualche valutazione marginale e concentrando l'attenzione sulla questione delle risorse.
Voglio fare un appunto brevissimo sul problema della qualità della spesa, che credo evidente in questo come in altri ministeri chiave. L'hanno detto molto bene, quindi non ritorno sull'argomento, gli onorevoli Barbareschi e Nicolais: esiste la necessità di valutare il prodotto, che si misura sul proprio mercato. Il mercato della cultura è molto complesso, però questa necessità sussiste e non è necessario insistere ulteriormente sul tema.
Sulla questione delle risorse, tuttavia, credo che da parte dell'opposizione siano stati accentuati alcuni elementi evidenziati con sincerità dal Ministro nel suo intervento e relativi ad una serie di riduzioni effettivamente piccole sui capitoli di bilancio del Ministero. Personalmente sono un sostenitore di qualcosa che non va più di moda, cioè del metodo Gordon Brown: quando bisogna fare dei tagli, occorre spesso farli in maniera orizzontale, modulandoli sui capitoli di spesa. Infatti, il punto di critica è sempre lo stesso: perché si è fatta la riduzione del 6 per cento su un solo capitolo di bilancio, quando si sarebbe potuto operare un taglio più uniforme? Si tratta di una questione di politica economica.
Tuttavia, suggerisco una valutazione che ho stimato in modo approssimativo e che riguarda non tutto il Paese, bensì una parte di esso. Per i meccanismi dei fondi strutturali il coinvolgimento e l'aggancio delle risorse dei programmi operativi (dei PON e dei POR) prevede il coinvolgimento, nei progetti, di circa il 20 per cento di istituzioni presenti sul territorio nazionale. Ho fatto un conto velocissimo - chiedo agli uffici del Ministro di svolgere una verifica - e ho visto che esiste circa un miliardo di euro che tocca, direttamente o indirettamente, le competenze del Ministero per i beni e le attività culturali! Si tratta di grandi cifre previste nei programmi operativi nazionali, nei programmi operativi regionali, e nella forma nuova e innovativa, in verità poco utilizzata nella programmazione dei fondi strutturali, dei POIN, cioè dei programmi operativi interregionali. Uno di questi fa riferimento diretto ai beni culturali.
Si tratta di risorse immense, che dovranno essere utilizzate - queste sì -
tramite un governo e una regia centrale. Non credo che si voglia lasciare tutto ai cosiddetti «progetti-sponda», che nascono nelle regioni, e che anzi si abbia interesse a concentrare, nella logica della programmazione e non in quella centralista, il controllo delle risorse a livello statuale. In tutto ciò, la regia del ministero è essenziale.
Esiste un impegno della nostra coalizione e anche del Presidente del Consiglio a rivedere questa ingente distribuzione di risorse, per meglio utilizzarle nel prossimo futuro. Credo che il Ministro possa far un buon lavoro nel suo settore, utilizzando alcuni strumenti operativi. Oltre alla politica, quindi alla capacità di regia, abbiamo due strumenti operativi: la gestione del CIPE e l'utilizzo del fondo FAS, cioè il famoso fondo di cofinanziamento per queste ingenti risorse che provengono dall'Unione Europea. Credo che questo sia necessario, altrimenti continuiamo a parlare di piccole riduzioni, anche se dolorose. Mi rendo conto che, in caso di scarse risorse, togliere 500 mila euro, o 1 milione di euro pesa moltissimo. Tuttavia, la politica del Ministero può essere davvero determinata da questo potenziale di grandi interventi, per circa 1 miliardo di euro.
Continuo a dire che ciò non riguarda solo una parte del Paese, in quanto l'utilizzo dei fondi strutturali - chiaramente di concerto con le regioni visto che non mi sfugge il dovere di coinvolgere tutti i soggetti interessati - in presenza di indirizzi di carattere strategico, è un punto sul quale il Ministro e il Ministero possono trovare fonti di finanziamento ingenti.
PRESIDENTE. Sospendo la seduta per qualche minuto, per dare al Ministro la possibilità di allontanarsi.
La seduta, sospesa alle 13,50, è ripresa alle 13,55.
PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta.
Do la parola all'onorevole Mazzarella.
EUGENIO MAZZARELLA. Grazie, signor Ministro, signor sottosegretario e signor presidente per questa occasione di confronto immediato sull'infrastruttura principale del Paese, come da molti colleghi è stata giustamente sottolineata.
Innanzitutto, volevo dire che non la invidio, come non invidio il lavoro di questa Commissione, poiché la sostanza sta - forse sembrerò troppo economicista - nel differenziale dei dati, ovvero nei 2,3 miliardi di euro impegnati dall'Italia nel 2008 e negli 8,3 miliardi della Svezia, come ricordato nella relazione. In questi cinque miliardi consiste la differenza tra il dire e il fare.
È stato citato un poeta che anche io amo molto: Ezra Pound. In uno dei Pisan Cantos ha scritto: «Quello che veramente ami rimane. Il resto è scorie». Se non si troveranno almeno una buona parte di questi 5 miliardi, credo che molti dei discorsi qui condivisi rischiano di restare scorie, a futura memoria dell'azione politica anche di questo Governo, giacché quanto detto non salva quelli precedenti.
Questo è il problema della cultura in un Paese su cui sarà difficile coinvolgere, anche se bisognerà esperire, come lei sottolinea, tutto il coinvolgimento dei privati. Si tenga purtroppo conto che la cultura dell'homo economicus di oggi, in Italia, è miope: tutto «pronto contro termini». Una tale filosofia, che gira nel Paese, probabilmente sarà di ostacolo sia a lei, sia alla Commissione, sia al Parlamento, nel caso si volesse investire in questo settore.
Un amico scienziato mi ha insegnato che cosa è una derivata; ciò mi permette di affermare che i numeri sono di una tale potenza negativa che non basterà la derivata, ossia una piccola oscillazione del finanziamento in un senso o nell'altro, per cambiare le cose e per qualificare una politica di sinistra o di destra. Qui servirebbe - per così dire - un'enorme «derivata bipartisan» che ci portasse più vicini alla Svezia.
Di fronte a questa difficoltà, sarebbe realistico concentrarsi sull'ottimizzazione amministrativa - nella sua relazione se ne parla - in cui i costi d'investimento non sono certamente pari a zero, ma comunque
limitati e forse in grado, addirittura, di liberare risorse economiche. In questa ottimizzazione amministrativa è compresa anche la grande semplificazione riguardante l'attenzione al fattore tempo nelle procedure. Molta della nostra burocrazia, in realtà, vive di questo fattore tempo, mai contabilizzato.
Ho molto apprezzato anche l'accenno alle periferie. Sono peraltro convinto che molta dell'architettura e dell'urbanistica di domani - in letteratura è argomento già abbastanza qualificato - consisterà nell'arte del togliere, piuttosto che dell'aggiungere a casaccio. Da questo punto di vista, starei attento a Marinetti. È vero che ogni città ha bisogno della sua immagine, ma Marinetti (e soprattutto qualche suo emulo) è tra i padri del post-modernismo che è contro quelle censure che, citando Novak, il ministro segnalava.
Le chiederei pertanto, signor Ministro, di aiutare il Paese ad aiutarsi e mi riferisco agli artisti di ministero e di assessorato, male molto diffuso, a mia memoria.
Vorrei toccare un ultimo punto. Le chiedo di non prestare troppa attenzione a qualcosa che ho sentito dire in questa sede, se ho ben compreso, e cioè che esista una sorta di geometria variabile, finanziaria e fiscale, in base ai territori. Le infrastrutture culturali, artistiche e archeologiche del Paese sono veramente patrimonio nazionale e non vorrei che fossero penalizzate. Al di là delle questioni ideologiche, abbiamo un dato di fatto: non sarà merito dei meridionali, sarà semplicemente un caso della storia, ma la maggior parte del patrimonio che dovremmo tutelare come Commissione si trova a sud della linea gotica. Quindi, senza nulla togliere a tutto ciò che è presente sopra tale linea e che è altrettanto importante, non vorrei che ci si concentrasse solo su questo aspetto. Insomma, probabilmente, c'è bisogno di un elemento fondamentale di solidarietà nazionale.
Per chiudere su questo tema, premetto che uno dei miei autori preferiti è Biagio Marin (a cui avrebbero dovuto dare il Nobel), che scrive nel dialetto di Grado. Tuttavia, una delle cose che non ho mai condiviso della linguistica di sinistra sono gli eccessi di Tullio De Mauro sulla protezione del localismo linguistico. Certo, tutto ciò che esiste ha diritto di essere protetto, però con i soldi che vedo circolare nelle nostre leggi finanziarie penso che avremo già difficoltà a difendere l'italiano.
RENATO FARINA. Ringrazio anch'io il Ministro Bondi, il cui intervento, oltre che meticoloso, è molto appassionato.
In forza del dovere della sintesi, dividerò in due punti il mio intervento. Il primo è un punto filosofico. Il Ministro dice che bisogna innanzitutto badare al bene comune e non agli interessi di parte. Ebbene, credo che questo sia giustissimo e che cambi la prospettiva di un Ministero dei beni culturali che non pretende di dare una forma unica di cultura agli italiani, in una sorta di ritorno al MinCulPop oppure ad un progetto gramsciano di egemonia culturale, ma che lasci spazio ai soggetti culturali presenti in questo Paese. Credo che l'affermazione del Ministro sia il modo per rilanciare come criterio dominante della politica dei beni culturali la sussidiarietà, intesa sia in senso verticale - come ha sottolineato l'onorevole Goisis - sia in senso orizzontale.
Detto questo, credo che badare al bene comune significhi dare forza alle culture di parte, sostenerle e aiutarle, perché in esse sta la sostanza del bene comune. Faccio un esempio banale. Alla cultura di parte badarono i mecenati, ma Dante, nel momento in cui iniziò a scrivere la Divina Commedia, mi pare fosse non solo guelfo, ma anche di parte bianca. Insomma, il suo modo di badare al bene comune, cioè di creare bellezza, era quello di essere sé stesso. La bellezza e la cultura non nascono nel momento in cui ci si situa come su un piano sacerdotale.
Questo è un po' un limite che questa Commissione deve superare - non il Ministro, che ha un compito super partes trattandosi di una materia come i beni culturali, diversa da quelle più specificamente politiche - indicando quali sono le
emergenze culturali. Ebbene, secondo me l'emergenza culturale prima è quella educativa, concetto espresso dal Presidente Fini nel suo discorso di insediamento alla Presidenza della Camera, come relativismo culturale.
Relativismo culturale - la parola cultura non è messa a caso - significa che bisogna dare il nome alle cose, che bisogna stabilire una gerarchia di concetti da promuovere. Io credo che in ogni modo vadano promossi e condivisi i valori identitari, come lei ha detto, il patrimonio artistico e quant'altro.
Mi permetto tuttavia un'osservazione un po' filosofica. Lei ha detto, signor Ministro, che la cultura è il motore dello sviluppo e della crescita della società, aggiungendo di aver promosso una politica nazionale contro l'infelicità. Non vorrei che dopo Prodi, che ha pensato di organizzare la felicità con la politica, ora la si volesse organizzare con la cultura. Insomma, non è dalla cultura che viene la salvezza di questo Paese; diversamente saremmo perenni vedovi, i quali pensano che, se dessimo in mano agli uomini di cultura il mondo, quest'ultimo andrebbe meglio. Io penso fortemente che non sia così.
Mi collego all'intervento della collega Ghizzoni, che ha parlato del primato e del potere della cultura. È vero che molti provengono dal marxismo, per il quale la cultura era solo sovrastruttura, ed è bene convertirsi ad una idea più nuova, però non esageriamo! Tale considerazione aprirebbe un discorso filosofico che non deve essere affrontato in questa sede. Per fortuna, parliamo del Ministero dei beni culturali e non della cultura, sennò saremmo qui sempre a discutere!
Entro, invece, nelle osservazioni più specifiche. Sono completamente d'accordo e prendo come oro colato quanto detto sullo spettacolo dalla collega Carlucci e su teatro, cinema e televisione dal collega Barbareschi. Anche io sono convinto che sia esistita, non solo a livello di cinema o di altri settori di pari rilevanza di massa, ma anche a livello locale, una forma di parassitismo culturale. Negli anni Settanta, attraverso l'introduzione degli assessorati alla cultura nei comuni, abbiamo assistito al tentativo di una pedagogia del popolo che andasse verso un'educazione di sinistra, oltre alla sistemazione di un salariato intellettuale, che non trovava altrimenti collocazione. Quindi, esiste una sorta di ambito della cultura che, in realtà, è assistenziale e andrebbe guardato con maggior attenzione.
Sono d'accordo anche con quanto detto dal presidente Nicolais, nonché su molti altri argomenti, nel merito dei quali non entrerò.
Vorrei però fare mia una considerazione. Mi riferisco all'assenza totale della cultura gastronomica, del cibo e del vino, come base del suo programma ministeriale. La ritengo una lacuna, tanto più grave rispetto al fatto che altri Paesi a noi vicini, concorrenti sia sul piano dell'attrattiva culturale che turistica, invece pongono tale cultura in primo piano.
Non vi leggo tutto il discorso di Sarkozy pronunciato il 23 febbraio. Vi riporto solo un passo, nel quale il Presidente francese passa dall'agricoltura alla gastronomia e dice: «L'unicità gastronomica del nostro Paese è eccezionale. Ho preso l'iniziativa che la Francia sia il primo Paese a depositare dal 2009 una candidatura presso l'UNESCO, perché si permetta il riconoscimento del nostro patrimonio gastronomico come patrimonio mondiale. Abbiamo la migliore gastronomia del mondo. Certo, lo è dal nostro punto di vista, ma sfido tutti a compararci con noi e noi vogliamo che questa sia riconosciuta patrimonio mondiale». Lo ha detto Sarkozy, che non è neanche il Ministro dei beni culturali francese. Credo che sia il Presidente Berlusconi che lei, che so essere sensibile a questi discorsi, se non altro per le comuni frequentazioni gastronomiche, dovreste farvi carico di portare avanti questo tipo di iniziative.
La gastronomia non è un «ricciolo biondo» sul marketing, come purtroppo è stata fin qui intesa. Non c'è bisogno di citare Proust, gli odori e quant'altro: la gastronomia è cultura. Non riesco a capire perché si opera questa discriminazione tra
cultura alta - le arti figurative, la musica e la poesia - mentre il resto, ciò che attiene al gusto, è considerato plebeo, qualcosa di adatto alle trasmissioni delle 12 come La prova del cuoco. Va bene anche La prova del cuoco, ma vogliamo capire che, nel momento in cui si parla di riqualificazione del turismo, questo punto è essenziale?
Ho stilato l'elenco degli chef francesi che hanno avuto la Legion d'onore. Sono decine. In Italia non esiste nulla di paragonabile. Mi domando la ragione di questa totale sottovalutazione, in un settore che al massimo diventa patrimonio di persone notevoli, che ne fanno occasione di una giusta carriera giornalistica e culturale. L'argomento deve entrare anche nell'ambito del legame tra le problematiche di questo e di altri ministeri, dall'agricoltura ad altri settori.
Considero importantissimo questo tema e si troverà il modo per valorizzarlo. Non dico di istituire un premio, ma piuttosto un'onorificenza destinata alle figure di eccellenza di questo genere.
Un'altra realtà che non capisco è la SIAE. Mi domando perché, se allestisco uno spettacolo a Desio con canti del Cinquecento spagnolo, questa società si porta via 500 euro per i diritti d'autore, «rubandoli» ai poveri bambini africani, visto che si trattava di una manifestazione di solidarietà. Mi chiedo a quale titolo la SIAE riscuota quei soldi, senza possibilità di obiezione. Forse esistono cantautori che hanno bisogno di quei soldi, ma non si tratta di un problema dei bambini africani, forse neanche della cultura. Sarebbe utile un'inchiesta sulla SIAE e sugli sprechi di queste strutture, il cui mantenimento costa più di quanto riescano a produrre, come ad esempio l'UNICEF, la FAO e forse anche l'UNESCO.
PAOLO GRIMOLDI. Cercherò di essere molto breve. Ringrazio innanzitutto il Ministro. È inutile dire che condivido pienamente la relazione e che spero si riesca a tradurre in realtà quanto scritto.
Mi permetto di sottolineare due aspetti, che solo in parte sono stati sottolineati. In primo luogo, visto che i fondi sono limitati, credo che dobbiamo riflettere su quelle che sono le priorità nell'interesse generale del nostro Paese. Sicuramente, la prima di queste priorità all'orizzonte è l'Expo del 2015. Intorno all'area dell'Expo sorgono beni storici e culturali importantissimi. Le offro, signor Ministro, un contributo: siamo nel bicentenario della morte di Piermarini e attorno a quest'area insistono luoghi di destinazione turistica importantissimi. I numeri dicono che dovrebbero arrivare 29 milioni di visitatori per l'Expo, per cui credo che dobbiamo pensare e riflettere sulle priorità di carattere turistico-culturale attorno a quest'area.
Per quanto riguarda la mia realtà, la priorità principale e maggiormente pressante è la Villa reale di Monza. Non so se lei ha avuto modo di visitarla: cade a pezzi. Potrebbe essere sicuramente una priorità nell'interesse generale del Paese, in quanto si tratta di un'area che a mio avviso richiama l'interesse dello Stato centrale.
Secondo me l'aspetto più importante, non ricordato in ambito politico, è il seguente: i fondi sono limitati, tuttavia esiste una regione (la Lombardia) che, nel solco delle modifiche alla Costituzione (approvate tra l'altro dal centrosinistra) chiede - con una legge approvata in Consiglio regionale e votata anche dal Partito Democratico - l'assegnazione delle competenze relative ai beni culturali. Non so se la mancanza di fondi è dovuta anche al fatto che la rivendicazione di tale competenza viene fatta, attraverso il federalismo differenziato, da alcune regioni. Queste ultime osservano che, in base alla Costituzione, è per loro possibile occuparsi della gestione di questa materia e pertanto la richiedono. In Lombardia non abbiamo tempo da perdere - abbiamo l'Expo -, né tempo per chiacchierare, in quanto abbiamo bisogno di fare, velocemente.
Si tratta di una notazione politica, sulla quale credo che valga la pena di dibattere, vista la totale condivisione di questo progetto di legge, sia a livello nazionale - la riforma costituzionale è stata fatta dall'attuale
opposizione - sia a livello di consiglio regionale lombardo. Ricordo che questo progetto di legge nel corso del Governo Prodi è rimasto chiuso nel cassetto, non diciamo per malizia, ma forse per le tante urgenze cui il precedente Esecutivo doveva badare al proprio interno, per cercare di andare d'accordo. Sta di fatto che si tratta di un progetto di legge che si pone alla base di un accordo politico.
Ebbene, così come la battaglia per l'Expo è stata condivisa da tutti quanti, dal sindaco di Milano alla maggioranza di sinistra in consiglio provinciale, all'allora Governo Prodi, spero che anche l'attribuzione, nel solco dell'attuale Costituzione, delle competenze sui beni culturali, oltre che su altre materie, alle regioni che si sentono in grado di poterle gestire, così com'è stato fatto nei consigli regionali, trovi condivisione anche in questa sede.
Sulla cultura gastronomica non si può dar torto al collega, il cui intervento è assolutamente condivisibile. Anzi, chi meglio delle regioni può essere attento e ottimo conoscitore delle peculiarità gastronomiche sul proprio territorio! Non mettiamoci a fare il super Stato centrale che studia le varie tipologie di mozzarella di bufala da divulgare al resto del pianeta! Ritengo che si tratti di competenze che, se vogliamo veramente valorizzare, devono essere assegnate alle regioni che conoscono le peculiarità linguistiche, gli idiomi, le identità, le tradizioni locali molto meglio dello Stato centrale.
Aggiungo un'ultima notazione, che ritengo fondamentale. Nella sua relazione si parla dei paesaggi. Non mi dilungo: il culto del bello mi pare un'ottima osservazione. Oggi i bilanci dei nostri comuni - se ha provato a fare l'amministratore locale, lo saprà molto bene - vivono in buona parte degli oneri di urbanizzazione. Questo vuol dire che un comune, per organizzare un qualsiasi evento culturale, ha bisogno di soldi. Questi soldi, nei loro bilanci, si ottengono quasi esclusivamente, soprattutto dopo l'abolizione dell'ICI - che politicamente condividiamo - con gli oneri di urbanizzazione.
Si tratta di un problema che deve coinvolgere tutti; se vogliamo difendere il territorio, l'ambiente, il paesaggio e il bello, a maggior ragione abbiamo bisogno di federalismo e di dare la possibilità ai nostri enti locali di non vivere di distruzione del territorio. Questo passaggio è fondamentale: in certe aree del Paese ormai non ci sono più aree verdi, proprio per questo motivo. Chiedo proprio che vi sia attenzione al bilancio dei comuni per difendere il bello. L'unica risposta possibile è quella del federalismo.
Mi permetto di concludere dicendo che, se i fondi saranno limitati (sicuramente non si navigherà nell'oro), occorre prestare attenzione non tanto alla quantità, quanto alla qualità. Di esempi ce ne sono tantissimi, però in questo Paese, come hanno ricordato anche altri intervenuti, esiste una macchina burocratica che sperpera tutte le risorse erogate, mentre in loco arrivano solo le briciole.
Ritengo che ci sia bisogno più che altro di qualità, coinvolgendo sicuramente i privati e cercando di svolgere un lavoro attento, per evitare quanto è capitato, ad esempio, nella mia città: tra le città-culto fondate dai longobardi, ci si è dimenticati di Monza e persino di Pavia, che pure è stata la capitale di quel regno. Queste sono piccole notazioni rispetto a fatti che, sotto un profilo squisitamente culturale e qualitativo, spero non si ripetano.
PRESIDENTE. Do la parola al giovane decano della Commissione, l'onorevole Palmieri.
ANTONIO PALMIERI. Da «giovane decano» della Commissione, sottolineo sinteticamente tre punti della relazione del Ministro Bondi. Il primo - ne ha già parlato l'onorevole Santolini - è che chiaramente questo è un vasto programma di legislatura. Pertanto, credo che sia inutile chiedere conto al Ministro Bondi, come se venisse dopo cinque anni a fare il resoconto della sua attività, di una prospettiva che ci ha dato. Cammina l'uomo quando sa bene dove andare; ebbene, lui ha indicato alcune mete, ovvero dove vuole condurre questo Ministero.
Il secondo punto riguarda una grande alleanza per la cultura che lui ha lanciato - non so se volutamente o meno, quindi se tradisco un intento chiedo scusa in anticipo - e alla quale vuole chiamare noi in primo luogo, ma anche il Paese e chi, nel Paese, già fa cultura.
L'ipotesi dell'istituzione della commissione non è una moltiplicazione, se capisco bene, di enti inutili. Portare nella commissione gli esponenti del FAI e quant'altro costituisce un esempio di come, ascoltando chi già nel Paese opera, si possono - arrivo così al terzo punto, ovvero al problema dei costi - evitare fenomeni di cui il ministro ha già fatto ammenda. Egli si è reso conto di quello che è successo e, lealmente, lo ha ammesso nella sua relazione. Al tempo stesso, però, ha indicato che si devono razionalizzare le spese e coinvolgere con questa vasta alleanza chi i denari li ha. Su questo farò, nella seconda parte, un'osservazione, dando anch'io un suggerimento, così come ha fatto l'onorevole Caldoro, sull'utilizzo di quel «tesorone», non un tesoretto, dei PON e dei POR.
Credo che vada reso atto al Ministro sia dell'intenzione di arrivare a una razionalizzazione dei costi e all'utilizzazione al meglio di ciò che abbiamo, sia della difesa orgogliosa, inserita tra le prime righe del suo intervento, delle prerogative del suo Ministero. Quindi, si tratta di un programma di legislatura, di un'alleanza per la cultura, di attenzione al finanziamento.
Passo alle domande su cinque punti specifici. In primo luogo, come chiesi al Ministro Rutelli nella sua prima audizione, le chiedo, signor Ministro, che fine abbia fatto il portale «Italia.it». In realtà lo sappiamo, poiché Rutelli lo ha lanciato alla BIT del 2007 chiudendolo poi a pochi giorni dalle elezioni. Si tratta di uno stanziamento importante, di un tentativo di utilizzare la rete Internet come vetrina dell'Italia nel mondo. Il suo predecessore ha compiuto scelte che, di fatto, hanno danneggiato questo progetto che, di per sé, inutile nasconderselo, era enormemente complicato. Le chiedo allora che fine abbia fatto «Italia.it».
La seconda domanda riguarda il libro e la lettura. In questa Commissione, l'allora presidente Adornato presentò una proposta di legge a favore della lettura e del libro. Senza voler incrementare il numero delle leggi, credo che in questo caso una legge che sancisse alcune iniziative specifiche e stanziasse alcuni finanziamenti mirati, potrebbe indirizzare l'attenzione su un veicolo attraverso il quale passa sicuramente l'educazione al bello. Mi verrebbe da dire che è giusto educare al bello, ma mancano forse gli educatori. Questa, però, è un'altra partita. Attraverso il libro e la lettura, sicuramente l'introduzione al bello, che rappresenta il perno della sua relazione, può essere agevolata. Ragionare di una legge, magari di iniziativa parlamentare e, ovviamente, condivisa, potrebbe costituire un aiuto a raggiungere il suo obiettivo.
In tema di finanziamenti, c'è una norma conosciuta solamente da chi lavora con il no-profit, che abbiamo votato nel decreto sulla competitività del maggio 2005 e che in gergo si chiama «più dai, meno versi». Essa prevede di defiscalizzare fino a un tetto di 70 mila euro per il singolo che faccia una donazione all'ente no-profit a lui più consono o a una serie di enti. Ebbene, valutare la possibilità di estendere questo tipo di meccanismo anche a coloro che intervengono a favore di chi lavora nel mondo della cultura sussidiariamente, cioè valorizzando chi già fa queste cose, evidentemente potrebbe essere una buona via.
Infine, essendo un «giovane decano», ma anche un ragazzo di periferia (essendo nato e abitando nella periferia estrema di Milano), mi permetterei di suggerire una ricognizione delle tante iniziative finanziate, in parte, dall'Unione europea (non solo per le regioni del Sud, visto che esistono anche per il mio quartiere) volte a recuperare con un certo decoro estetico edifici e aree dismesse.
FIORELLA CECCACCI RUBINO. La ringrazio, signor Ministro, per la sua presenza e per la bellissima relazione, che condivido pienamente.
Prima di entrare nel merito della relazione, però, volevo anche complimentarmi con lei per le parole pronunciate al momento dell'insediamento al Collegio romano e che ha espresso anche oggi nella premessa della sua relazione, quando ha affermato che una seria politica culturale, in Italia, non può essere né di destra né di sinistra e che il suo compito primario sarà rivolto a tutelare l'immenso patrimonio culturale del nostro Paese.
Ecco, qualcuno potrebbe obiettare che questa è la solita retorica di chi, assumendo un incarico istituzionale, vuole farsi garante di tutti; tuttavia, in realtà, ha fatto ben altro. Ha espresso parole forti, come quelle rivolte all'intellighenzia di sinistra, invitandola a collaborare e ha dato anche la sua disponibilità, come nel caso della battaglia ambientalista del professor Alberto Asor Rosa. Grazie a questo approccio, lei non solo è riuscito a creare un clima di apertura e disponibilità, necessario in un momento delicato come quello delle precedenti settimane, durante le quali qualcuno ha voluto, invece, alimentare uno stato di tensione. Lei è riuscito anche, per la prima volta, a fare della cultura uno strumento non di contrapposizione politica, bensì di apertura verso le differenze, per trovare insieme quel terreno comune e per affrontare le sfide del cambiamento che ci attende.
In questi anni, la politica ha visto nella cultura solo uno strumento, la maggior parte delle volte per conseguire visibilità o per costruire consenso. Di questa concezione gramsciana della politica - come diceva prima l'onorevole Farina - non c'è più bisogno. Abbiamo invece l'esigenza di una politica che sappia riconoscere l'immenso valore del nostro patrimonio artistico e culturale che i nostri predecessori ci hanno lasciato e trasmesso e che sappia dare un giusto impulso alla grandissima creatività presente nel nostro Paese.
Sicuramente ciò che il mondo della cultura ci ha sempre chiesto è una maggiore tutela, una valorizzazione e una fruibilità dell'immenso patrimonio dei beni culturali e artistici; maggiori risorse per le attività culturali, per la creazione di nuove opportunità e la formazione di nuovi talenti; un'intensificazione del rapporto tra cultura, impresa, turismo e territorio, quest'ultimo inteso nella doppia accezione di ambiente e comunità locale; minore precarietà per gli operatori della cultura e dello spettacolo.
Nella sua relazione sono emersi in modo chiaro tutti questi punti. Concordo con quanto da lei detto e anticipato anche in una recente intervista, mi sembra, sul Corriere della sera sulla priorità del recupero delle periferie degradate ma, più in generale, sulla riscoperta del nostro patrimonio paesaggistico, per la riscoperta a sua volta del valore del bello. È rivoluzionaria questa sua affermazione, in primis perché fa cadere anche uno strumentale luogo comune che ha sempre additato il centro destra come la parte politica dei costruttori o degli abusivisti.
Lei, giustamente, ha detto che se motivato da necessità immediate, limitatamente a un breve arco temporale, l'abuso edilizio può essere compreso, ma non giustificato. Soprattutto, uno scempio perpetuato negli anni è intollerabile e va represso con forza. Infatti, dietro a questa distruzione sistematica del nostro territorio si cela una selvaggia speculazione cui, invece, bisogna assolutamente porre fine. Aggredire il nostro territorio in modo speculativo comporta un danno economico perché si riducono le nostre bellezze.
Cito brevemente: secondo alcuni sondaggi di un osservatorio internazionale, il Country Brand Index, l'Italia perde sempre più posizioni e sempre più appeal come meta dei desideri nell'immaginario turistico. Abbiamo perso, negli ultimi tre anni, il primato come destinazione turistica più attraente del mondo che detenevamo nel 2005. Siamo stati preceduti da Austria, Stati Uniti, Inghilterra e Francia, senza contare, poi, che altri Paesi sono pronti a scalzarci, dopo quello che è accaduto in Campania con i rifiuti.
Malgrado ciò il nostro Paese riesce ad avere la posizione di leadership per arte e cultura. Veniamo scalzati soltanto dall'Egitto per quanto riguarda la storia e dalla Francia per la ristorazione. Questi dati, basati su dati statistici, stanno a dimostrare che la bellezza, da sola, non basta. Serve una politica di valorizzazione e di controllo sul territorio molto più efficace.
All'Italia, il nostro Paese, non manca niente per arte, cultura, bellezza e folklore. L'italian style è imitato in tutto il mondo. Forse, quella che è mancata al nostro Paese è una classe dirigente capace di tradurre tutto questo oro di cui il Paese è ricoperto, trasformandolo in una risorsa spendibile e in grado di generare una ricchezza diffusa.
Vorrei sottolineare che bisogna pensare all'intensificazione del rapporto tra cultura, impresa e turismo. Le condizioni, secondo me, sono mature per l'ingresso dell'iniziativa imprenditoriale anche nei settori dei beni culturali. Si dà per scontato il mercato della cultura riferendosi all'editoria, agli audiovisivi, al cinema e alla televisione, mentre si rileva costantemente una resistenza verso qualunque tentativo di organizzazione imprenditoriale delle attività culturali di tipo non industriale, in particolare quelle riferite ai beni culturali e allo spettacolo dal vivo.
Brevemente, su quest'ultimo - di cui mi sono molto occupata nella precedente legislatura e di cui intendo occuparmi anche in questa - già il Popolo della Libertà ha dato un chiaro segnale, inserendo nel programma elettorale la volontà di emanare una legge quadro. Questa è la dimostrazione della nostra volontà di far rialzare un settore che potrebbe rappresentare un vero volano per la nostra economia. Per fare ciò occorrerà anche che la spesa per la cultura non sia ancorata all'annualità delle leggi finanziarie, bensì misurata in quota fissa rapportata al PIL. Il FUS (Fondo unico per lo spettacolo) andrebbe trasferito dalla tabella delle spese a quella degli investimenti della legge finanziaria, prevedendo soprattutto l'indicizzazione del fondo, già previsto nella legge che lo istituì.
RICARDO FRANCO LEVI. Anche io mi unisco ai ringraziamenti al Ministro e al sottosegretario, per essere venuti così celermente davanti alla nostra Commissione. Sono certo che se mi concentrerò su un unico punto, non lo interpreterà come un segno di disattenzione verso la complessità della sua relazione. Mi riferisco al centro per il libro e per la promozione della lettura. Credo non siano necessarie, particolarmente a quest'ora, molte parole per sottolineare l'importanza decisiva della lettura quando si parla di cultura, ma anche di sviluppo e crescita in generale di un Paese.
Non posso, da questo punto di vista, non rilevare la contraddizione - che sono certo è presente al ministro come a tutti noi - tra l'impegno, presente nella sua relazione, all'attivazione del centro per il libro e la lettura e la cancellazione dei fondi che a quell'attivazione servivano, nel prospetto che definisce il dettaglio del finanziamento per la manovra sull'ICI. Si tratta di una contraddizione che, ovviamente, può durare sino al momento in cui si esauriranno gli sforzi che il Ministro ha preannunciato per ottenere la ricostituzione dei fondi del Ministero, ma che non può durare a lungo. O c'è la volontà di attivarsi sul centro per il libro e la lettura, che è il primo, ma decisivo, passo verso quella legge per il libro che ci metterebbe alla pari con gli altri Paesi come la Francia, più avanti di noi in questo campo, oppure è meglio riconoscere che non si hanno né mezzi né, in questo momento,
la possibilità e la volontà politica per fare tale passo.
Mi corre solo l'obbligo, se il presidente me lo permette, di fare una piccola precisazione all'onorevole Palmieri. Vorrei solo ricordargli che il portale «Italia.it» fu un'iniziativa e una realizzazione del Governo Berlusconi.
EMILIA GRAZIA DE BIASI. Buon lavoro, signor Ministro. La ringrazio per la
sua sollecitudine a venire in audizione. In premessa, vorrei ricordare che di Dante non esiste un rigo autografo perché tutto è stato bruciato, come sappiamo. Ciò mi porta a una prima considerazione, cioè che il primo valore è l'autonomia della cultura da qualunque forma di potere. Sarebbe opportuno che smettessimo di polemizzare, anche perché Gramsci non è mai stato né ministro né assessore. Lasciamolo al suo pensiero, sul quale ciascuno di noi ha le proprie convinzioni.
Penso che, viceversa, oggi il grande punto sia quello di verificare ed estendere il concetto e il valore di autonomia della cultura, soprattutto in un mondo in così tumultuoso cambiamento, laddove il potere assume volti e configurazioni che molto spesso esulano persino dalle istituzioni. Penso che tutti noi non possiamo che avere a cuore il fatto che non esista un pensiero unico, ma che, per fortuna, ci sia quel pluralismo reale in grado di consentire alla cultura italiana di stare nel mondo. Penso che questo non sia un problema esplicitamente ed esclusivamente di turismo. Vorrei che alzassimo un po' il tiro. Certamente il tema del turismo e della valorizzazione delle risorse italiane è molto importante, ma ritengo che nel mondo globale l'Italia dovrebbe avere una collocazione ed un ruolo tali da rispettare la sua tradizione e la sua storia, ma anche la sua capacità creativa e le sue competenze. Da questo punto di vista, signor ministro, le chiederei - per
la prossima volta - cortesemente qualche risposta più sul merito di quelle che oggi, anche per via della lunghezza e della onnicomprensività della sua relazione, lei ha potuto dare in un campo che ritengo molto importante, riassunto sotto il nome di «economia della cultura»: l'occasione di sviluppo economico e di occupazione, ma anche l'occasione per verificare le scelte di investimento sulla cultura relativamente all'intero territorio nazionale.
Vorrei, a questo proposito, chiederle quale rapporto intende avere il Ministero con il sistema degli enti locali e, cioè, quale applicazione del Titolo V intende attivare. Vorrei dire cordialmente al deputato della Lega, onorevole Grimoldi, che la Lombardia è fra le regioni che investono meno sulla cultura e che il famoso documento di cui parla altro non è che un documento che, sollecitando una valorizzazione dei territori e del federalismo, richiede che alcune competenze, nell'ambito del Titolo V, vadano alle regioni. Dunque, non vi è nulla di eversivo e non si tratta di spostare il Ministero. Cerchiamo di non essere parodistici! Fra le competenze da devolvere alle regioni vi è, per esempio, il grande tema del sistema radiotelevisivo pubblico e delle sedi locali che dovrebbero, a mio avviso, continuare sempre di più ad avere quella funzione nazionale di narrazione dell'Italia che fino ad oggi non hanno avuto, rimanendo
sostanzialmente delle redazioni. Lo dico solo per mettere a posto alcune cose, altrimenti sembra che in quella regione succeda chissà cosa: purtroppo succede davvero molto poco.
Sarà interessante, signor Ministro, procedere a una verifica delle sue intenzioni con le risorse a disposizione, a partire dalla leva fiscale, che ritengo fondamentale nel campo della cultura. La sua idea di fare in modo che anche i singoli possano defiscalizzare è quanto mai meritoria. Vorrei però che in proposito vi fosse un confronto più chiaro rispetto al sistema delle risorse e sapere che cosa ne pensa il Ministero competente, visto il decreto-legge n. 93.
Non ho sentito dichiarare - e questo mi dispiace molto - che la cultura, in qualunque parte del mondo, non può vivere senza intervento pubblico. Questo non significa non lasciare tutto lo spazio possibile ed immaginabile ai privati. Tuttavia, mi permetto di dire che vi è un'eccessiva genericità - se posso farle un appunto rispetto alla puntigliosità della sua relazione - nel mettere la sponsorizzazione insieme ai fondi di dotazione, insieme all'intervento del privato. Credo che si tratti di materia complicata, da ordinare, che attiene a livelli differenti della nostra Repubblica. Allo Stato spero che continui a competere, ad esempio, il FUS, che non credo si possa regionalizzare.
Certo è, però, che vi è differenza fra la sponsorizzazione di un evento e il finanziamento strutturale di un'infrastruttura culturale. Sono due cose molto diverse, che credo andrebbero finalmente messe in ordine.
Il secondo punto su cui vorrei interrogarla, signor Ministro, è quello che riguarda lo spettacolo dal vivo. Sono d'accordo con i colleghi che hanno detto che la normativa è urgente. Questo è assolutamente imprescindibile, perché ormai siamo in una sorta di far west che non consente, fra l'altro, di lavorare correttamente.
Penso ai grandi teatri: io vengo da Milano, dove - mi permetto di dirlo alla collega Frassinetti - non esiste solo il teatro Franco Parenti, ma anche il Piccolo Teatro, il Teatro d'Europa, il Teatro dell'Elfo. C'è una ricchezza, in questo Paese, e un dibattito molto serio sulla distinzione fra teatri nazionali, teatri di tradizione e teatri locali. Vi è un problema che riguarda, secondo me, la tutela dei piccoli teatri nel senso di tutti coloro che vogliono tentare di produrre cultura e non sono messi in condizione di farlo anche a causa dell'esiguità di finanziamenti locali. Lei sa molto meglio di me che i finanziamenti locali sono in relazione all'erogazione del FUS e viceversa. Si tratta di un meccanismo che, fra l'altro, credo debba essere rivisto.
Mi associo totalmente all'idea di procedere velocemente con una normativa riguardante lo spettacolo dal vivo. Sul cinema hanno già detto i colleghi e non intendo ripetere nulla, anche perché non c'è il tempo per farlo.
Vorrei soffermarmi brevemente sulla musica per dirle, signor Ministro, che sono d'accordo sul fatto che la legge n. 800 del 1967 è totalmente obsoleta, e non da oggi, ma ritengo che dobbiamo prendere una decisione e spero che la prenderemo insieme; spero, inoltre, che la Commissione abbia un ruolo e una funzione in questo campo. Noi abbiamo il problema di rivedere non soltanto una normativa, ma un atteggiamento delle istituzioni nei confronti della produzione musicale e non solo del mercato discografico. Questo sta diventando un problema enorme. Penso alle orchestre, all'Orchestra Verdi di Milano, ma naturalmente se ne potrebbero ricordare molte altre.
Cito un problema molto profondo che riguarda il rapporto con la scuola e con l'educazione musicale, con un linguaggio costantemente dimenticato e marginalizzato, come appunto quello della musica, per passare poi alle fondazioni lirico-sinfoniche, rispetto alle quali sono anni che mi batto perché si faccia la riforma e dunque sono d'accordo con lei.
Mi permetto di ricordarle la norma, presente nel cosiddetto «milleproroghe», che ha reso possibile la contrattazione di secondo livello, quindi quella territoriale, nelle more della contrattazione nazionale. Questo è un punto che mi sembra particolarmente rilevante nella direzione della riforma delle fondazioni lirico-sinfoniche. Tuttavia, anche su questo, occorre fare chiarezza su un punto: penso che oggi il problema principale delle fondazioni lirico-sinfoniche, di quegli statuti tremendi, sia nel paradosso che vede l'80 per cento del finanziamento pubblico e l'80 per cento di presenza privata nei consigli di amministrazione. Evidentemente qualcosa non funziona nella valorizzazione del patrimonio pubblico.
Per quanto riguarda la televisione, mi piacerebbe poterne discutere più a lungo e penso che la Commissione avrà l'occasione per farlo. Questo è un punto della sua relazione che proprio non condivido e mi corre l'obbligo di dirlo. Penso che il servizio radiotelevisivo pubblico debba essere autonomo, che le funzioni educative appartengano a un'epoca passata, che oggi siamo nel mondo della convergenza multimediale e che il 90 per cento degli adolescenti si informa su Internet. Quindi, temo che rischieremmo di educare persone molto più anziane che non ne hanno davvero bisogno. Credo che, anche in questo caso, si debba alzare il tiro. Sono d'accordo con il collega Barbareschi sul fatto che si debba lavorare, per quel che compete alla nostra Commissione, sulla qualità e la produzione dei contenuti.
Questa mi sembra davvero la strada del futuro, anche dal punto di vista occupazionale. Quando finalmente arriveremo - chissà se mai ci arriveremo - a distinguere tra fornitori di reti e fornitori di contenuti, forse faremo un passo in avanti. Per com'è oggi la legislazione, però, mi sembra tecnicamente impossibile, collega Barbareschi, lavorare in quella direzione.
Mi piacerebbe, però, che si potesse discutere meglio della missione del servizio pubblico radiotelevisivo, della tutela del diritto d'autore, che è il grande problema su cui l'Europa ci interroga, e infine - nella scorsa legislatura abbiamo cominciato a discuterne tutti insieme - del rapporto molto complicato fra minori e sistema dell'informazione nel suo complesso. La collega Goisis ricorderà bene che è stato un lavoro molto difficile.
Infine, visto che i colleghi della mia stessa terra hanno sollevato il tema, lo richiamo anch'io: signor Ministro, l'Expo è l'eccellente occasione per dimostrare quello che lei ha detto nella prima parte della sua relazione. Vogliamo valorizzare le periferie? Allora partiamo dall'Expo e facciamo in modo che non sia soltanto una vetrina di avvenimenti, ma possa servire seriamente a cambiare il volto di una città, Milano, che vive molto male nel suo centro ma davvero molto peggio in periferia, per quel che riguarda l'infrastrutturazione culturale e non soltanto la sequela di eventi.
Questo è un dibattito che, come lei sa, è aperto da moltissimi anni e riguarda tutte le tendenze politiche che hanno governato. In tutte le città italiane c'è una scelta da compiere, se investire sull'episodicità o, finalmente, sulla modernizzazione del sistema culturale. Mi pare che l'Expo possa essere un'occasione in questa direzione.
Signor Ministro, se lei si muoverà con l'attenzione al pluralismo che ha dimostrato di avere nella sua relazione, ci avrà sicuramente con lei.
MARIA LETIZIA DE TORRE. Ringrazio il Ministro per la sua relazione, ma anche tutti i colleghi intervenuti. Devo dire innanzitutto che la visione della cultura come un bene comune è affascinante; essa ovviamente richiede che anche la nostra Commissione sperimenti di lavorare per questo bene comune, quindi con onestà intellettuale e con chiarezza. Affermo, dunque, il mio impegno a lavorare in questo senso.
Il ministro mi scuserà se affronto solo due punti: i giovani e i territori. Riguardo ai giovani, apprezzo molto la visione della città come luogo del bello. Ovviamente questo ha molta attinenza, come è già stato detto, con l'educazione dei giovani. Le scuole cercano di dare un'offerta formativa ricca di arte, ma spesso - penso, ad esempio, al quartiere Brancaccio, nella scuola voluta da padre Puglisi, dove gli insegnanti si impegnano anche gratuitamente e c'è una qualità artistica grandissima - il quartiere in cui si trovano è di una assoluta mancanza di bellezza. Si tratta, dunque, di un valore grandissimo.
Per realizzare questo progetto, però, non basta un Ministero, ma occorre il lavoro di tutti i ministeri e di tutti gli enti locali. Signor Ministro, come il Governo intende compiere questo percorso che, ovviamente, è di lungo o lunghissimo periodo? Come intende muoversi, come intende coinvolgere gli enti locali?
Sempre per quanto riguarda i giovani, va bene il concorso sulle arti figurative, ma ci sono altri aspetti. Uno di essi è quello della formazione degli artisti. Certo, le accademie sono legate all'Università, e anche l'alta formazione artistica. La mia domanda è la seguente: intende il Ministero per i beni culturali, e in che modo, collaborare con chi forma i giovani artisti? Lo chiedo nell'ottica di una formazione artistica ampia ed elevata, ma anche per non creare giovani disoccupati, come spesso accade.
Riprendo quanto detto dalla collega che mi ha preceduto riguardo al rapporto tra arte e TV. Al riguardo, anche il collega Barbareschi ha affermato molte cose condivisibili. Non solo la TV, ma tutti i mezzi che i giovani usano, sia per studiare che per svago, purtroppo sono spesso veicoli di
«non bello», di una cultura individualista e spesso violenta. Personalmente, nell'ambito del Ministero della pubblica istruzione mi sono spesa molto, come si sono spese le associazioni dei genitori, attraverso comitati e progetti, ma non abbiamo sortito alcun risultato, perché questo è un problema più grande di noi. Dunque, chiedo come il Ministero dei beni culturali possa impegnarsi per veicolare prodotti «belli» attraverso tutti questi mezzi.
Faccio ora una considerazione sulle città, i territori e gli enti locali. Apprezzo moltissimo, signor Ministro, che sia legato alla città molto di quello che lei ha detto. È la città che deve essere bella. Tuttavia, nello scorrere della relazione, non mi è chiaro quale ruolo svolga il Ministero nella sua sede centrale e quale ruolo svolgano le regioni, i territori e le città.
Io vengo da Trento, da una comunità autonoma, quindi so molto bene che cosa vuol dire curare il bello. Questo comporta un'alta qualità di autogoverno, di corresponsabilità di tutti i cittadini. Penso che questo sia un punto che non si può realizzare in modo centralistico e, d'altra parte, signor Ministro, so bene, per l'esperienza di questi due anni, quanto purtroppo il meccanismo dei ministeri sia molto centralistico e molto poco attento alla comunità primaria, che è il comune.
Le chiedo come si possa trasformare il lavoro di tutti i ministeri, ma ovviamente anche di questo, affinché sia molto rispettoso dei nostri territori e sussidiario rispetto a quello che i territori possono fare.
PRESIDENTE. Signor ministro, in chiusura mi permetto di fare anch'io poche battute. La ringrazio della ricchezza di dati e di informazioni che ha voluto offrire con la sua relazione, peraltro distribuita contestualmente alla sua presentazione, cosa mai avvenuta.
Mi permetta innanzitutto di congratularmi con lei per aver scelto di realizzare una politica dei beni culturali che rappresenta un progresso rispetto ad una serie di interventi che privilegiano ora l'uno ora l'altro settore senza una visione d'insieme - quella che lei, invece, ci ha presentato oggi - coerente e quanto più possibile condivisa dalle forze politiche, in quanto corrispondente ad un interesse generale del Paese. Lei ha parlato di bene comune ed è quello che ci siamo proposti anche noi all'inizio di questa legislatura.
Questa Commissione seguirà con attenzione il suo lavoro, sostenendone lo sforzo e l'impegno attraverso il dialogo fra le forze politiche affinché, come ho avuto modo di dire all'inizio della nostra seduta, prevalga la capacità di costruire insieme una vincente e ambiziosa strategia di rilancio dei beni culturali nel nostro Paese, secondo le linee programmatiche da lei appena enunciate.
D'altra parte, le attività del MIBAC sono già organizzate secondo una logica «programmatoria» a cui è stata ispirata anche l'adozione di una struttura di bilancio impostata non più per «centri di responsabilità amministrativa» ma per «missioni» e «programmi».
E se, come lei stesso ha illustrato, i campi in cui intervenire sono molti - dalle politiche a sostegno delle cosiddette «industrie culturali» (cinema, editoria, discografia) a quelle volte alla conservazione dei beni culturali, passando per il supporto agli spettacoli dal vivo e alla promozione di altre espressioni artistiche e del libro - una giusta e attesa discontinuità potrebbe essere rappresentata - concordando con il dibattito odierno - anche in questo settore nel limitare l'invadenza dello Stato e lasciare i cittadini liberi di scegliere secondo le proprie preferenze. Questo è diverso dal non prevedere la presenza dello Stato in materia dei beni culturali.
Credo, insomma, che il nostro sforzo debba andare verso un intervento pubblico che si riduca al minimo indispensabile, ossia alla semplice conservazione e tutela (lo ha ricordato molto bene l'onorevole Granata), ma che sia capace di convogliare risorse private e favorire una gestione proattiva del patrimonio culturale. Intendo dire che, avendo l'Italia da sola tra il 40 e il 60 per cento del patrimonio artistico
mondiale, siamo chiamati sempre di più ad una gestione orientata non solo alla corretta conservazione del nostro patrimonio, ma anche alla sua valorizzazione, alla diffusione verso fasce di utenza sempre più ampie (penso ai giovani e agli anziani), grazie anche a tecniche di gestione e organizzazione simili a quelle delle imprese propriamente dette. Ciò è stato detto benissimo dall'onorevole Barbareschi e da altri colleghi intervenuti.
Dunque, occorrono maggiori investimenti privati nel settore dei beni culturali; incentivazione del no profit attraverso la detassazione, sul modello delle fondazioni del mondo anglosassone; incentivazione del ruolo attivo delle nuove figure professionali quali il «professionista della raccolta dei fondi» (fund raiser) ed il «direttore di progetto» (project manager), figure professionali evidenziate anche dall'indagine conoscitiva svolta da questa Commissione nella scorsa legislatura riguardo al settore delle arti figurative; diffusione dell'informazione e della capacità di mettere a frutto le opportunità offerte dai fondi stanziati dall'Unione europea (lo hanno ricordato benissimo i colleghi Caldoro e Palmieri).
Un secondo aspetto che mi preme segnalarle riguarda l'esigenza di uno snellimento burocratico per ridurre i tempi fra programmazione dell'intervento e la sua effettiva realizzazione. Ad esempio, dalla home page del sito internet del MIBAC, attraverso il link «grandi restauri», è possibile ricercare per singola regione quali interventi di restauro siano stati programmati mediante l'utilizzo dei fondi del gioco del lotto.
Se, ad esempio, ci interessa la Lombardia, otteniamo come risultato una tabella in cui i dati sembrano evidenziare uno sfasamento troppo esteso fra triennio di riferimento nella programmazione dell'intervento (ad esempio 2001-2003) e descrizione di quello che presumibilmente è lo stato attuale di avanzamento del progetto (in alcuni casi sembra che dopo cinque anni dal 2003 siamo ancora alla fase di affidamento dei lavori!). Non credo che questa possa essere effettivamente la situazione! Potrebbe ovviamente trattarsi di un problema di aggiornamento del sito Internet del Ministero; ma ciò potrebbe parimenti evidenziare un problema di lentezza burocratica, ancorché legittimata e giustificata da esigenze di garanzia nell'espletamento delle procedure di affidamento dei lavori. In proposito, giustamente lei ha affermato che bisogna rispondere ai cittadini.
Un altro aspetto che interessa i lavori di questa Commissione è quello della verifica dei risultati, richiamato anche dai colleghi dell'opposizione. Attraverso l'esercizio della propria funzione conoscitiva, di indirizzo e di controllo, la Commissione VII potrebbe svolgere in tale ambito un ruolo propulsivo e di interlocuzione attiva con il Governo e con i soggetti interessati dagli interventi posti in essere (regioni, enti locali, soggetti privati).
Tale ruolo potrebbe riguardare: a) la verifica dell'adeguatezza della normativa, in quanto la questione riguarda il Titolo V della Costituzione; b) la verifica dei risultati conseguiti anche in termini di rispondenza ai criteri di qualità; c) la verifica sui tempi e sulle procedure di realizzazione dei progetti, individuando passaggi critici, necessità di tavoli di concertazione fra diverse amministrazioni.
D'altra parte, quella capacità di «costruire insieme» da me richiamata in apertura deve ispirare l'esigenza di stretto, attivo e proficuo raccordo fra Stato e regioni in materia di politica dei beni culturali. Si è già richiamato il «vincolo reciproco di collaborazione» delineato dalla giurisprudenza costituzionale, da interpretare attivamente come un invito al superamento di una visione angusta e burocratica, troppo a lungo incagliata nel cercare di stabilire dove finisce la «tutela» dei beni culturali, ricordata dall'onorevole Goisis, (competenza dello Stato ex articolo 9 della Costituzione) e dove ne inizia la «valorizzazione» (competenza delle regioni, ex articolo 117 della Costituzione), o a chi sia meglio affidare - ed eventualmente con quali limiti - la loro «gestione».
Noi, come Commissione, ci prestiamo a condurre questo lavoro insieme al Governo. È un problema che avremo anche in altri settori.
La politica - ed anche in questo la Commissione VII può e deve svolgere un ruolo propulsivo - deve contribuire a sdrammatizzare questi profili che dividono e rallentano nell'incertezza l'azione dei pubblici poteri, aspetto ricordato nel corso di questa lunga seduta. Meglio insistere sull'esigenza di lavorare insieme per rendere più belle le nostre città, più consapevoli i cittadini circa il valore del patrimonio culturale italiano e sempre più attraente il nostro Paese come sinonimo, nel mondo, di bellezza e di cultura.
Ancora poche brevi considerazioni sulla promozione della cultura italiana all'estero, della lettura e della formazione artistica e musicale. Non vi è dubbio che, per le materie di competenza di questa Commissione, seguiremo con attenzione e proporremo a lei, signor Ministro, interventi innovativi, e ci auguriamo efficaci, per promuovere la lettura (lo ha ricordato l'onorevole Levi nel suo breve ma immagino sofferto - avrebbe voluto dire molto di più - e accorato appello alla lettura), «Cenerentola» tra le abitudini dei cittadini italiani, e facilitazioni per l'accesso a tutte le produzioni artistiche e culturali da parte di sempre più larghe fasce di utenze, in modo particolare da parte dei giovani.
In particolare, mi auguro che lei voglia dare nuovo impulso alle scuole d'arte (lo ha ricordato l'onorevole De Torre): accademie e conservatori, che, pur di competenza del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, possono ricevere slancio e investimenti proprio dal suo Dicastero, in una logica di investimento nel futuro della grande tradizione artistica e musicale, che senza interpreti di eccellenza rischia di diventare sempre più marginale nella formazione delle giovani generazioni e nella fruizione da parte degli stessi.
Non trascureremo di seguire, inoltre, la collaborazione del MIBAC con il MAE - istituti di cultura all'estero - e con la rete degli uffici di promozione turistica e commerciale all'estero. In tale ambito alcune regioni sono state molto attive. Talora le missioni promozionali all'estero da parte di assessori e concittadini hanno alimentato le polemiche sul malgoverno e la gestione disinvolta dei fondi pubblici.
Si è trattato spesso di interventi estemporanei che, pur nel rispetto della libertà d'iniziativa locale, avrebbero forse potuto risultare più efficaci se inseriti in un quadro organico di promozione a livello nazionale.
Anche questo potrebbe essere un fronte d'intervento e d'interlocuzione attiva fra Commissioni parlamentari e ministeri interessati. Avremo modo, insomma, Ministro Bondi, di lavorare proficuamente in più direzioni e, speriamo, bene per il nostro Paese.
Mi piace, per questo, concludere citando, in suo onore, la frase che accoglie, in un cartello, i visitatori del Museo della Stampa, intitolato a Jacopo da Fivizzano, che nel 1471 aprì, proprio a Fivizzano, sua città natale, nella provincia di Massa Carrara, una delle prime stamperie d'Europa: «Almeno una cosa possiamo fare bene, far risplendere ciò che di bello abbiamo in casa nostra e che sia in grado di evocare passaggi significativi della nostra tradizione culturale».
Auguri, Ministro Bondi, e grazie per questa sua prolungata permanenza in Commissione.
Do la parola al Ministro per svolgere una breve considerazione.
SANDRO BONDI, Ministro per i beni e le attività culturali. Volevo ringraziare lei, signor presidente, i presidenti dei gruppi e tutti voi componenti di questa Commissione.
Il dibattito è stato davvero molto ricco, molto interessante, soprattutto per me, e credo anche non usuale. Voglio credere di avere anch'io un piccolo merito per aver reso possibile questo dibattito così ricco, per avere cercato di offrirvi una relazione contenente le linee programmatiche fondamentali a cui intendo ispirarmi nei prossimi anni.
Non so se posso riservarmi di rispondere nella prossima seduta alle questioni più specifiche e se mi posso permettere, invece, di dare una prima risposta alle questioni più importanti emerse durante questo primo incontro.
Innanzitutto, rispondendo anche all'intervento dell'onorevole Ghizzoni, vorrei chiarire che i fondi per la cultura nel nostro Paese sono sempre stati inferiori a quelli degli altri Paesi europei e sono sempre stati, soprattutto, insufficienti e inadeguati rispetto alle nostre necessità e al nostro dovere di tutelare il patrimonio artistico e storico del nostro passato che, come sappiamo, è uno dei più importanti ed imponenti nel mondo. Nessun Governo, finora - dobbiamo ammetterlo tutti insieme - ha mai cambiato sostanzialmente questa situazione: una situazione che non ci piace, non piace a me come non piace a nessuno di voi. Perché è avvenuto questo? Perché - sono d'accordo con chi lo ha ricordato - esiste nel nostro Paese, paradossalmente, una sottovalutazione diffusa del ruolo che può e deve avere la cultura per il futuro dell'Italia. Ha ragione l'onorevole Ghizzoni quando ricorda che la cultura, in generale, è
considerata residuale nel nostro Paese. Qualcuno, addirittura, la considera una spesa per lo più inutile e non un investimento, forse l'investimento più importante per lo sviluppo dell'Italia.
Non mi pare che in questi ultimi anni ci sia stato un cambiamento sostanziale, un salto di qualità rispetto a questa situazione, e così sarà anche per molti anni. Non mi illudo che cambi così rapidamente l'orientamento e l'atteggiamento della maggior parte dei cittadini nei confronti della cultura, non soltanto della classe politica e della classe dirigente di questo Paese.
Ecco la ragione, onorevoli colleghi, di quello che l'onorevole (e amico) Antonio Palmieri ha definito «un'alleanza per la cultura», un impegno comune per la cultura. Io credo che oggi il significato più profondo del nostro incontro sia stato quello di capire, almeno per quanto mi riguarda, la necessità e l'ineluttabilità di questa alleanza tra di noi per la cultura. Quanto più il Governo e le forze politiche sapranno che c'è un'alleanza fra noi, nella Commissione cultura ma anche fra le forze politiche, a favore della cultura, tanto più riusciremo a vincere la sfide che ci attendono.
So perfettamente che se non ci sarà questa alleanza per la cultura sarà difficile fare le cose che ho detto io per primo e quelle che avete aggiunto voi. Del resto, per le ragioni che ho ricordato e che sappiamo tutti, sarebbe stato ugualmente difficile se al posto mio ci fosse stato un altro Ministro, di un'altra forza politica, di questa maggioranza o dell'attuale opposizione.
Io credo in queste cose, ci credo profondamente, e non da oggi. Credo in una politica che faccia della cultura una leva fondamentale per il rinnovamento dell'Italia. I margini economici - lo so - sono molto limitati, è inutile nasconderselo. La situazione economica del Paese la conosciamo: impone dei sacrifici e, soprattutto, delle scelte.
Condivido le prime decisioni del Governo, quelle riguardanti la sicurezza, la detassazione, l'abolizione dell'ICI, perché si tratta di impegni assunti nei confronti dell'elettorato che era giusto onorare fra i primi atti del Governo. So, dunque, che ci sono questi problemi e condivido la linea del Governo. So anche che ci sono margini economici molto stretti e, tuttavia, penso che dobbiamo cercare di convincere tutti, le forze politiche e il Governo, che anche dei possibili provvedimenti che incidano nel settore della cultura debbano essere almeno concordati e conosciuti. Se dobbiamo fare dei sacrifici, possiamo anche accettare di farli se sono compatibili con gli obiettivi che abbiamo delineato. Ci sono tuttavia modi diversi per fare sacrifici. Ad esempio, lo ripeto per chiarezza, il provvedimento assunto sulla tax credit è sbagliato anche perché interviene non tanto su uno stanziamento di bilancio, ma su una decisione legislativa sulla quale
tutti eravamo d'accordo; una decisione che abbiamo portato in Europa per l'approvazione definitiva e
che, come ho detto, incide poco sulle risorse dello Stato e molto, invece, come volano di investimenti.
Allora, se dobbiamo fare un sacrificio, facciamolo eventualmente su un'altra cosa. Per questo dico che certi provvedimenti devono essere concordati. Mi rivolgo, naturalmente, al Governo. Come ho già detto, ho parlato con il Presidente del Consiglio e con il Ministro dell'economia e sono certo che, nel corso dell'esame parlamentare, questa decisione verrà corretta, come è giusto che sia per le ragioni da me ricordate.
L'onorevole Capitanio Santolini mi ha chiesto - ma è stata una richiesta diffusa - quali sono i miei obiettivi e le mie priorità. Rispondo a questa domanda, brevemente, e poi chiudo, per riprendere il dibattito in seguito. Penso che dobbiamo avere l'obiettivo di mantenere le risorse esistenti. Non chiederò un euro in più al Ministro Tremonti. Mi accontento che si mantengano le risorse attualmente destinate alla cultura. Al tempo stesso, vorrei chiedere l'approvazione di misure di incentivi fiscali che garantiscano, attraverso la partecipazione e il coinvolgimento di privati, i maggiori fondi possibili per la cultura.
Queste sono le priorità che indicherei in questo momento. Signor presidente, mi accingo a concludere, anche se sono davvero tante le richieste emerse dal dibattito.
PRESIDENTE. Noi vorremmo ascoltare tutte le risposte, ma rinviamo alla prossima seduta, per una questione di igiene mentale nostra e di tutti!
SANDRO BONDI, Ministro per i beni e le attività culturali. Un tema emerso in tanti interventi, e mi fa molto piacere, è quello della bellezza. Non vorrei sembrare un romantico idealista, oltretutto un poeta. Molti penserebbero che siamo alla fine, con un Ministro romantico e poeta!
Penso che il tema della bellezza sia fondamentale, perché la bellezza è quello che viene dal nostro passato. Da sindaco ho fondato una rete delle piccole città storiche dell'Italia centrale, perché è da lì che viene l'esempio della bellezza. La bellezza non possiamo inventarla, ma viene dal nostro passato. La bellezza è quel rapporto armonico fra la natura, il paesaggio e ciò che l'uomo costruisce: quel rapporto armonico che ci fa dire che le città del passato italiane sono belle, che il nostro paesaggio è bello, e dunque va mantenuto e preservato.
Questo non è un discorso romantico. Voglio ricordare che gli economisti della Banca mondiale hanno indicato proprio nel paesaggio, nei beni culturali e nelle piccole città storiche dell'Italia il modello, cioè la condizione privilegiata di un modello di sviluppo armonico e sostenibile per il futuro. Gli economisti, non i poeti, lo indicano al mondo come un modello da imitare! È mai possibile che queste cose debbano dirle gli economisti della Banca mondiale e noi non siamo in grado di convincere tutti che questa è la strada da seguire per il futuro?
Vedo che su queste tematiche esiste un parere unanime. Mi auguro veramente che su questa strada - ed è di buon auspicio l'incontro di questa mattina - possiamo proseguire. Per quanto mi riguarda, posso dire soltanto che prendo sul serio le cose che ho detto. Non mi accontento di fare il Ministro; ho accettato questo incarico perché voglio fare delle azioni che non corrispondono alla politica culturale di destra o di sinistra. La difficoltà è quella di passare da quello che diciamo tutti ai fatti, per le ragioni che abbiamo detto, in primo luogo quelle economiche e finanziarie. Sulle azioni necessarie, però, siamo tutti d'accordo. Come è emerso chiaramente questa mattina, non ci sono differenze sostanziali fra di noi. Speriamo di potercela fare con questa alleanza per la cultura. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro.
Do la parola all'onorevole Palmieri sull'ordine dei lavori.
ANTONIO PALMIERI. Signor presidente, intervengo solo per rendere nota, soprattutto alla minoranza, e formalizzare
una richiesta che informalmente ho già avanzato a lei e ai capigruppo della maggioranza, ovvero quella di deliberare, presso questa Commissione, nel minor tempo possibile, un'indagine conoscitiva sullo stato della ricerca in Italia, come prima tappa di un cammino da fare insieme.
PRESIDENTE. Attendiamo un programma da sottoporre all'ufficio di presidenza.
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 15,15.
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