Sulla pubblicità dei lavori:
Aprea Valentina, Presidente ... 3
Seguito dell'audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, professore Francesco Profumo, sulle linee programmatiche del suo Dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Aprea Valentina, Presidente ... 3 25 30
Bachelet Giovanni Battista (PD) ... 16
Barbieri Emerenzio (PdL) ... 24
Carlucci Gabriella (UdCpTP) ... 22
Centemero Elena (PdL) ... 6
De Camillis Sabrina (PdL) ... 21
De Pasquale Rosa (PD) ... 8
Gianni Giuseppe (PT) ... 13
Goisis Paola (LNP) ... 14
Levi Ricardo Franco (PD) ... 11
Lolli Giovanni (PD) ... 20
Mazzarella Eugenio (PD) ... 23
Nicolais Luigi (PD) ... 3
Palmieri Antonio (PdL) ... 18
Pes Caterina (PD) ... 12
Profumo Francesco, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 25
Rivolta Erica (LNP) ... 21
Russo Antonino (PD) ... 19
Siragusa Alessandra (PD) ... 24
Tocci Walter (PD) ... 22
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare:
Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 12,10.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, il seguito dell'audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, professore Francesco Profumo, sulle linee programmatiche del suo Dicastero.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire, a partire dall'onorevole Nicolais, vicepresidente della Commissione.
LUIGI NICOLAIS. Vorrei, innanzitutto, ringraziare il Ministro per avere presentato il documento programmatico sulle linee di azione del MIUR, che abbiamo molto apprezzato anche per il dettaglio dei suoi contenuti e per la competenza insita nella preparazione dello stesso.
Debbo anche complimentarmi con il Presidente del Consiglio Monti, che ha previsto in capo al Ministero tutte le deleghe di cui abbiamo bisogno per fare in modo che la conoscenza diventi davvero una leva per il grande cambiamento del Paese, e possa quindi riuscire ad aumentarne la competitività.
In effetti, la filiera della conoscenza deve completarsi con l'innovazione e, in questo caso, riusciamo a concentrare in una sola persona tutte le deleghe, partendo dalla scuola primaria, fino ad arrivare all'innovazione, passando attraverso l'università, la ricerca scientifica e il rapporto con le imprese.
Ho molto apprezzato anche il continuo riferimento all'Europa. L'Italia deve in qualche modo guardare all'Europa come punto di riferimento, ovviamente specializzando, in base alle caratteristiche peculiari del nostro Paese, le regole generali dello sviluppo dell'Europa. Vorrei brevemente entrare nel merito della sua presentazione, in relazione ad alcune criticità che abbiamo individuato nell'attività delle amministrazioni, nei settori di competenza del Ministro. In relazione alla ricerca, credo che esistano due punti cruciali: i tempi di erogazione dei fondi e la valutazione.
Quanto ai tempi di erogazione dei fondi, si registrano ritardi non accettabili per la ricerca. In molti casi occorrono dai tre ai sei anni per l'erogazione del fondo. Una ricerca che si rispetti, dopo sei anni, non è più una ricerca, ma al massimo è un miglioramento di qualcosa che già esiste: credo che una della nostre necessità sia accelerare il più possibile questo processo di erogazione, una volta che sia stata effettuata una valutazione attenta.
Credo, infatti, che la valutazione sia molto importante. Per la ricerca applicata, durante il periodo del Governo Prodi, avevamo cercato di individuare l'Agenzia per l'innovazione come elemento di riferimento per una valutazione attenta di tutte le ricerche applicate. Purtroppo, in questi anni non c'è più un sistema rapido e oggettivo terzo, capace di valutare la ricerca finanziata.
Essa è finanziata anche in quantità notevole nel Mezzogiorno e, molto spesso, è connessa a un grande problema, ossia segue un processo di bottom-up, privo di una regia centrale, che dà luogo ad iniziative tra loro non collegate che, alla fine della ricerca, non lasciano sul territorio alcun elemento di miglioramento del sistema.
Penso che abbiamo fortemente bisogno di un regia e di un'aggregazione delle ricerche sviluppate sul territorio, in particolare per quanto riguarda il Sud. Anche per il PON Fondo infrastrutture, che è stato importante, ci sarebbe stato bisogno di una forte regia centrale. Occorre, infatti, creare infrastrutture che restino sul territorio e permettano al Mezzogiorno di essere più competitivo di adesso, di pianificare gli interventi e lavorare in questa direzione.
C'è anche una grande necessità di ricerca libera. Voglio fare riferimento a quanto affermò il presidente Maccacaro durante un'audizione, ossia che la ricerca applicata è come un fiume che si alimenta dai ghiacciai e che questi ultimi rappresenterebbero la ricerca libera.
Abbiamo contemporaneamente bisogno di utilizzare al meglio i risultati della ricerca e di continuare a seminare con una ricerca libera, non necessariamente nelle direzioni che date dall'Europa. Dobbiamo lasciare i nostri ricercatori liberi di svolgere la loro attività, che risulta essere di qualità - e, quindi, con forte connotazione scientifica -, ma anche sconnessa dalle strategie di sviluppo del Paese o dell'Europa. Ovviamente, c'è anche il resto dell'attività, che è frutto dell'interazione tra la ricerca pubblica e l'impresa.
Nel documento si parla molto del tema relativo alle innovazioni nella pubblica amministrazione, argomento sul quale ritornerò a breve: credo che abbiamo anche bisogno di guardare all'innovazione in quanto tale. In Italia si verifica un grande problema: nel momento in cui un ricercatore deposita un brevetto, non c'è modo di finanziare la ricerca che segue il brevetto e precede il prodotto. Dobbiamo, dunque, pensare a una norma che ci permetta di finanziare questa attività, che gli americani chiamano «Valle della Morte» e che rappresenta, appunto, un'area di grande mortalità dei nostri spin-off, delle nostre ricerche applicate.
In merito al progetto smart cities presentato dal Ministro, ritengo che la digitalizzazione costituisca un cambio non di tecnologie, ma di mentalità: ancora una volta credo che abbiamo bisogno di una guida centrale e non di un sistema bottom-up. Non parlerei, peraltro, di «digitalizzazione», perché il suono di questa parola fa venire in mente semplicemente che stiamo virtualizzando i documenti, e non è così. L'uso di Internet, dell'informatica e di sistemi avanzati serve a cambiare totalmente la mentalità della pubblica amministrazione.
La pubblica amministrazione, per diventare moderna, può usare solo la leva della tecnologia, non tanto quella dei cambiamenti di regolamenti. Abbiamo bisogno, Ministro, di reingegnerizzare i processi. Quella delle smart city può essere una grande occasione per concentrarsi su alcuni modelli, lavorare in open source, come è anche indicato nel progetto, e pensare al cloud computing. Prima di arrivarci, però, dobbiamo accelerare il processo di interoperabilità tra i dati.
Come ha giustamente asserito nel suo documento, si verifica sempre di più la condivisione di dati, ma abbiamo bisogno che il «sistema-Paese» abbia una completa interoperabilità tra tutti i dati, che riduce molte perdite di tempo. Tuttavia, aumenta molto la trasparenza delle attività delle pubbliche amministrazioni.
Vorrei aggiungere poche parole sull'università. Credo che nell'università - ovviamente, la competenza del Ministro non necessita di commenti - occorrano innanzitutto maggiori risorse. L'università italiana soffre principalmente per tagli che sono stati operati in questi anni. È stata elaborata una riforma, oltre ad una serie di altre iniziative in essere, ma oggi avremmo veramente bisogno di fondi maggiori per l'università.
In ordine al diritto allo studio ed agli studenti stranieri, credo che l'esperienza del Politecnico di Torino faccia da scuola. Dobbiamo internazionalizzarci con studenti incoming, non outcoming. Molti di noi hanno studiato all'estero, come molti nostri allievi, ma a noi occorrono studenti che dall'estero vengano a studiare in Italia.
La riforma Gelmini aveva introdotto la possibilità di insegnare nell'università in inglese, perlomeno con riferimento ai master ed ai dottorati: avvertiamo una forte esigenza di aprire le nostre università al resto del mondo.
Quanto alla scuola, credo che i cambiamenti di questi anni richiedano una grande attenzione. Innalzare l'età alla pensione dei nostri docenti a 65 anni non è una questione solamente legata alla loro età, ma richiede un cambiamento sostanziale della loro carriera. Non possiamo pensare che il solo spostamento a 65 anni dell'età pensionabile abbia risolto il problema dell'economia nazionale. Dobbiamo pensare che un docente, fino a 65 anni, non può fare sempre la stessa cosa. A mio avviso, questo è un aspetto molto importante, indicato anche dal Ministro.
Quanto all'ICT nella scuola, non si tratta di insegnare come usare un computer, ma di insegnare ai nostri docenti come insegnare utilizzando il computer: a cambiare è la mentalità, il modo di insegnare, e non possiamo farlo senza corsi di formazione approfonditi.
Abbiamo fortemente bisogno di trasferire questa nuova tecnologia non nella manualità, ma nella mentalità di un docente che deve utilizzare questa nuova tecnologia. Credo che vada compiuto uno sforzo nell'avviare corsi di formazione non per comprendere l'uso del computer, ma per cercare di capire che oggi il problema non è tanto quello dell'accesso alla conoscenza, quanto il fatto che l'allievo dispone di troppi dati ed a lui dobbiamo consegnare un'arma che faccia da filtro.
Credo anche, come molti di noi, che l'autonomia scolastica sia un elemento centrale della questione. Dobbiamo tener conto che i dirigenti hanno bisogno di nuove norme sulla dirigenza pubblica. Più insistiamo e vogliamo muoverci nella direzione di una pubblica amministrazione che sappia gestire in efficienza e qualità, più dobbiamo conferire ruoli chiari ai nostri dirigenti: pertanto, anche nella scuola, come in tutti gli altri uffici pubblici, abbiamo bisogno di norme chiare.
Credo, signor Ministro, che il Ministero dell'istruzione sia un Ministero a scadenza. Mi permetto di dirlo non perché non ritengo che sia un Ministero importante, ma nel senso che esso deve sempre più muoversi trasferendo le deleghe in periferia e assumendo un ruolo di controllo e di indirizzo chiaro verso le periferie che svolgono veramente un'attività operativa. Ritengo che questo sia il futuro del Ministero dell'istruzione.
Ho molto apprezzato, ovviamente anche per la cultura, il progetto relativo alle nuove scuole. Se non cominciamo con le costruzioni pubbliche a introdurre i concetti di ecocompatibilità, di risparmio energetico e di revisione del modo di progettare, non riusciremo mai a offrire a questo Paese un vero cambiamento.
Mi permetto di ricordare che il Presidente Obama, nel suo discorso di insediamento, affermò che occorreva porre al centro l'ambiente e che, a tal fine, era necessario ridisegnare tutto il modo di costruire, di pensare alla costruzione, all'impresa.
Cominciamo con la scuola, con gli edifici pubblici, e diamo un grande contributo in questa direzione. Più del 40 per cento dell'energia è persa attraverso
gli edifici normali. Noi lavoriamo tanto sulle energie alternative, ma non facciamo niente per ridurre lo spreco di energia che avviene attraverso edifici, che sono stati progettati in un momento storico in cui il risparmio energetico non era un elemento centrale.
Signor Ministro, ribadisco il mio apprezzamento per il suo lavoro: le auguro davvero tutti i successi, ma però sarebbe anche necessario che, nella filiera della conoscenza, diamo uno sguardo attento alle interfacce, alle cerniere tra i blocchi, tra la scuola e l'università, tra l'università e la ricerca, tra l'università e il mondo del lavoro, tra la ricerca e l'innovazione.
Si tratta, infatti, di aree totalmente dimenticate dalle nostre politiche. Non abbiamo una reale integrazione tra scuola e università, così come non abbiamo, tranne che in alcuni casi, che lei conosce molto bene, una reale interazione tra l'università e il mondo del lavoro.
Credo che un'università vada valutata non solo per le attività scientifiche che produce, ma anche per la capacità di placement dei propri giovani e dei propri laureati: credo che questo serva a un Paese che vuole veramente cambiare, che vuole diventare leader in tutta l'Europa.
ELENA CENTEMERO. Innanzitutto, ringrazio il Ministro Profumo per l'audizione svolta il 10 gennaio presso questa Commissione, perché ci ha sottoposto una serie di spunti su cui riflettere. Anche le considerazioni sottoposte all'opinione pubblica in questi giorni, attraverso giornali e telegiornali, hanno sicuramente sollecitato le nostre capacità non solo creative, ma anche di riflessione.
La mia prima riflessione riguarda il fatto che, sicuramente, abbiamo bisogno di un sistema di istruzione e formazione in tutta la filiera - dalla scuola al sistema professionale, all'università - moderno, all'avanguardia, europeo, che recepisca non solo le indicazioni che l'Unione europea ci dà nell'ottica della riforma e della modernizzazione, ma sia anche figlio e frutto della nostra identità.
Per chiarire meglio questo concetto, è molto importante far riferimento a esperienze del sistema di istruzione e formazione universitario anglosassone e non solo, che devono essere adattate alla nostra identità culturale, alla scuola e alla nostra università, le quali rappresentano sicuramente un sistema di alta formazione, apprezzato in tutto il mondo.
Mi soffermo solo su alcuni aspetti, che ritengo fondamentali. Si è parlato di ricerca. Ieri, in occasione di una riunione del Dipartimento lombardo della formazione e dell'istruzione, abbiamo messo in evidenza come il sistema lombardo e italiano delle imprese sia costituito soprattutto da piccole e medie imprese: l'accesso ai fondi europei nel nostro territorio estremamente risulta, soprattutto per le piccole imprese, complesso da raggiungere.
Per questo motivo, dobbiamo pensare non solo a un sistema nel quale le imprese si esercitino ad accedere ai bandi e ai fondi, ma anche a un sistema che raggruppi le piccole e medie imprese grazie all'apporto di quell'elemento fondamentale costituito dalle associazioni di categoria in reti, in filiere, in cluster, in costellazioni.
Credo che il sistema di istruzione e di formazione, il sistema universitario di un territorio debba essere profondamente collegato all'esigenza del territorio stesso, in modo particolare accentuando il rapporto fra gli stessi, che deve diventare sempre più stretto e numericamente consistente: in tale settore occorre investire risorse che, nel sistema di istruzione e formazione, si risolvono nell'alternanza scuola-lavoro e, nel sistema universitario, in quello dello stage.
Ho apprezzato molto, per tante ragioni, gli interventi di alcuni miei colleghi in riferimento all'edilizia scolastica. Con riferimento al sistema universitario, sicuramente abbiamo bisogno di aumentare le residenze universitarie in modo da rendere i nostri studenti e i nostri giovani sempre più autonomi. Per quanto riguarda, invece, il sistema di istruzione e di formazione delle scuole, i nostri enti
locali hanno a disposizione sempre meno risorse per la messa in sicurezza delle scuole, a causa dei vincoli contenuti nel Patto di stabilità: molti dei nostri comuni, le province stesse, che hanno in gestione l'edilizia scolastica sui nostri territori, hanno grandissime difficoltà a reperire fondi per la messa in sicurezza delle scuole, ma anche per la costruzione di nuovi edifici scolastici che abbiano la caratteristica della «efficientizzazione», come lei ha sottolineato, della loro struttura, e quindi che permettano la riduzione di costi e il reperimento di risorse da utilizzare in progetti formativi.
So che i fondi strutturali, sostanzialmente, sono collegati alle regioni che rientrano nell'obiettivo convergenza, ma noi abbiamo una grande emergenza relativa all'edilizia scolastica, rispetto alla quale non abbiamo risorse o fondi, mentre abbiamo bisogno di liberare risorse per allocarle diversamente.
Un altro aspetto importante che voglio sottolineare è l'attenzione alla qualità. Nel corso della precedente audizione, signor Ministro, lei ha utilizzato i termini «eccellenza» e «qualità», che ho apprezzato molto, perché credo che siano preferibili al concetto di merito.
Quando parliamo di qualità, parliamo sostanzialmente di un sistema nel quale sono gestiti i processi formativi, ma anche i servizi, all'interno sia della scuola sia delle università: esso è dato da input e output e dà vita a un progressivo miglioramento di se stesso.
Quando parliamo di qualità della scuola, quindi, parliamo di un sistema molto complesso, che non riguarda solo l'offerta formativa, che deve essere assolutamente valutata affinché la qualità sia percepita e si innalzi, ma anche tutti i servizi che una scuola o un'università devono fornire.
Altro aspetto importante che voglio sottolineare è quello relativo all'autonomia scolastica. All'interno della sua la relazione, lei ha dato al tema una grande importanza. Essa è nata molti anni fa, nel 1997, con la legge Bassanini, e in realtà non ha mai avuto una sua concretizzazione, perché non è previsto un aspetto fondamentale, quello relativo all'autonomia di carattere finanziario.
Le scuole hanno un'autonomia di progettazione, organizzativa, ma non hanno un'autonoma gestione delle risorse. Anche nell'ottica di una nuova visione della dirigenza all'interno delle scuole, questo deve essere un elemento qualificante e fondamentale: credo che sia anche molto importante spingere le scuole ad adottare i bilanci sociali, che rappresentano una forma di rendicontazione pubblica, rivolta all'utenza, sul modo in cui sono spesi i soldi destinati alle scuole, che però in questo momento sono molto pochi. Non si parla, dunque, di autonomia se non esiste quella di carattere finanziario, che per il momento manca.
Un altro aspetto importante è quello relativo alla governance a livello territoriale. Giustamente, l'onorevole Nicolais del PD parlava della necessità di trasferire funzioni di livello territoriale a livello locale, ma dobbiamo fare un altro passo: capire bene quali sono le funzioni che spettano all'istruzione scolastica e alle diramazioni territoriali del Ministero e, quindi, all'ufficio scolastico regionale o territoriale, e quali spettano agli enti locali.
Nel decreto legislativo n. 112 del 1998 abbiamo trasferito alcune funzioni agli enti locali, alle regioni, ai comuni e alle province. Ora c'è una sovrapposizione di funzioni soprattutto nell'ambito dell'amministrazione locale. Laddove è in corso un processo di riforma della struttura amministrativa locale, attraverso, appunto, l'abolizione delle province, necessariamente dobbiamo, da una parte, ridefinire le funzioni e, dall'altra, far sì che queste non si sovrappongano o tolgano autonomia alle istituzioni scolastiche.
Le riporto un esempio per tutti: quello dell'orientamento. Lei sa che, nell'università, esso è di competenza dei comuni: perché non delle scuole? Abbiamo proprio bisogno di capire come ristrutturare e riorganizzare il rapporto tra l'ente locale e l'istituzione scolastica o la diramazione del Ministero dell'istruzione,
sempre nell'ottica di una non dispersione delle risorse e di un'allocazione delle stesse efficace ed efficiente.
Altri due temi mi stanno particolarmente a cuore. Si è parlato di dirigenti scolastici e si parla anche di docenti. Credo che questi ultimi siano fondamentali nell'ambito sia della scuola sia dell'università, per la formazione dei nostri studenti e per il futuro delle generazioni che in questo momento stanno formandosi. È assolutamente necessario, quindi, pensare a un sistema di reclutamento differente da quello che abbiamo ereditato fino adesso, che permetta ai giovani che escono dalle università di entrare nel mondo della formazione e dell'istruzione e nelle università stesse, non in tempi lunghi, ma in tempi brevi. Abbiamo bisogno, infatti, di modificare l'aspetto fondamentale della mentalità.
Se possiamo riconoscere che, a livello politico, la fase storico-politica che stiamo vivendo riveste una grande importanza, così come questo Governo ha la grande responsabilità di cercare di modificare la nostra mentalità e di proiettarci in una dimensione che non può essere più solo italiana, ma deve essere necessariamente veramente europea e internazionale.
In quest'ottica è davvero fondamentale permettere che chi ha strumenti nuovi li metta al servizio del mondo della formazione e dell'istruzione e di un sistema di reclutamento diverso.
Mi permetta di dirle che le graduatorie a esaurimento, che peraltro non sono più tali, salvaguardano, sì, i diritti di persone che per tanti anni hanno servito l'istruzione nel nostro Stato da precari, ma questa non è la forma migliore per far sì che il nostro sistema scolastico muti.
Dobbiamo pensare a un sistema diverso e credo che una forma di reclutamento - prima le ho parlato di reti di imprese e di reti di scuole - collegata alle reti di scuole di un territorio diventi, in quest'ottica, fondamentale e permetta la libera scelta e l'accesso di giovani nel mondo dell'istruzione.
C'è bisogno di una carriera per i docenti, per chi vuole di spendere tutto il proprio tempo, mattina e pomeriggio, a tempo pieno, nelle scuole, che devono essere aperte alla società anche d'estate.
Infine, le scuole italiane all'estero sono per noi un patrimonio di grande importanza: sono circa 140 e, collegati a esse, ci sono gli istituti di cultura italiana e l'insegnamento dell'italiano all'estero. Da una parte, vi sono gli istituti di cultura italiana, mentre dall'altra c'è la società Dante Alighieri. Questo sistema deve essere assolutamente riformato: l'insegnamento italiano all'estero è fondamentale per il nostro «sistema-Paese», per quel sistema lei, signor Ministro, ha così ben messo in luce nel corso dell'audizione del 10 gennaio e che appare fondamentale per la nostra impresa e per la nostra industria.
ROSA DE PASQUALE. Ringrazio il Ministro per la sua relazione e anche per le notizie che abbiamo appreso oggi leggendo i giornali. Non è così frequente, infatti, che chi si interessa della cosa pubblica agisca anche di consequenziale con quello che afferma. Occorre, dunque, dare il giusto valore a questo dato, che è bene mettere in luce: la nostra scuola deve innanzitutto insegnare la dimensione pubblica. Per troppi anni, infatti, nella scuola è stata data preminenza alla dimensione privata: ci si è formati per diventare bravi medici, bravi ingegneri o bravi muratori. Dobbiamo, invece, far sì che la nostra scuola dimostri e mostri sempre più la consapevolezza della dimensione pubblica: in tale ottica, la dimensione privata non è sminuita, ma si esprime pienamente solo in una dimensione che ha dentro di sé, che dà un contributo alla
dimensione pubblica all'interno di un unico Stato, di un'unica società. Questa è, a mio avviso, la mission vera di tutto il nostro sistema di istruzione, dalla scuola all'università.
Signor Ministro, le parlerò, in particolare della scuola. Io provengo dal quel mondo, sono alla mia prima legislatura, in qualche modo un po' prestata alla politica e mi scuso, quindi, se sarò concentrata
su questo discorso. Già l'onorevole Nicolais e l'onorevole Ghizzoni hanno offerto un panorama complessivo, ma io entrerò un po' più nel merito.
Vorrei dividere la questione in emergenze e prospettive. Qui abbiamo un'emergenza legata alla scuola e anche una dimensione di prospettiva a cui, nel contempo, dobbiamo guardare.
Per quanto riguarda l'emergenza, negli ultimi tre anni sono stati operati tagli alla scuola incredibilmente elevati, come non si era mai visto dall'epoca repubblicana in poi, e, soprattutto, sono stati effettuati tagli lineari. I tagli lineari sono devastanti in qualsiasi settore perché non incidono lì dove effettivamente ci sono sprechi, e quindi non modificano la situazione in modo virtuoso, né fanno economia dove c'è esubero ingiustificato, ma sono penalizzanti per i più virtuosi. Se si taglia in modo uguale, infatti, sia nei confronti di chi ha già operato economie e razionalizzato al massimo, sia nei confronti di chi non l'ha fatto, è logico che chi ha già razionalizzato si troverà in grandissime difficoltà.
Ciò si è verificato con riferimento alle assegnazioni del personale, alle disponibilità per il funzionamento scolastico, che, come è già stato affermato, hanno messo in ginocchio l'autonomia scolastica, rendendo quasi impossibile la programmazione delle spese, non solo a lunga gittata (lei sa benissimo che quando c'è una piena autonomia occorre potersi programmare). Se, infatti, non si ha certezza di quello che si avrà, o è ridotto al limite quello che si ha, non si può programmare nulla, con riferimento né alle spese né alle rientrate. Le chiedo come pensa di intervenire sulle modifiche che sono state effettuate e che hanno causato questi danni.
Un'altra emergenza consiste nell'applicazione del Titolo V: la colloco tra le emergenze, perché ormai lo è diventata. All'inizio si trattava di una riforma. A questo punto, invece, ci troviamo di fronte a uffici scolastici periferici ormai ridotti a tre persone - è un numero simbolico - che devono continuare a far partire un anno scolastico, a garantire un contenzioso e così via.
Alcuni compiti sono stati assegnati alle scuole, alcuni dovrebbero essere assegnati all'INPDAP, con riferimento, ad esempio, a tutto il settore pensionistico, come era stato previsto: in effetti, però, questi uffici continuano a sostenere tutto il lavoro con personale molto ridotto, perché si è proiettati al momento dell'entrata in vigore dell'applicazione del Titolo V, allorquando questi uffici scompariranno. Le chiedo quali siano le sue intenzioni in tal senso.
Un'altra emergenza si è determinata a seguito della modifica degli ordinamenti degli istituti professionali, degli istituti tecnici e così via. Questa modifica ha portato a numerosi cambiamenti che, però, non sono stati accompagnati in alcun modo o non hanno avuto alcuna gradualità.
In particolare, mi riferisco agli istituti professionali, nei quali è stata operata una forte diminuzione del monte ore, con cambiamenti radicali, soprattutto nei primi due anni del corso di studi, con riferimento alle materie professionalizzanti. Ho incontrato numerosi insegnanti e dirigenti degli istituti professionali: dirle che sono con le mani nei capelli è dirle poco. Avrei piacere che li incontrasse, se potesse.
Nel settore della moda, ad esempio, le ore professionalizzanti sono diminuite da otto a solo tre alla settimana e sono state introdotte la chimica, la fisica, l'informatica.
Lei parla, giustamente, della dispersione scolastica: probabilmente, l'introduzione nei primi due anni di materie come la fisica - mia figlia frequenta il liceo scientifico e inizia a studiarla il terzo anno - può in qualche modo dare problemi, in aggiunta al fatto che sono stati non dimezzati, ma rasi al suolo i laboratori.
I ragazzi che frequentano un istituto professionale non rappresentano un'utenza con una grande intenzione di studiare, in quanto vogliono, sì, un'istruzione,
ma vogliono anche imparare a fare qualcosa: come possono orientarsi per capire se i tre anni successivi sono quelli giusti? In fondo, abbiamo sempre detto che i primi due anni dovrebbero servire da orientamento, ma bisogna dare a questi ragazzi gli strumenti per potersi orientare per il loro futuro.
Nel settore della moda è stata abolita la storia dell'arte ed è stata introdotta la fisica: da una parte lo capisco, ma, dall'altra, ritengo che, probabilmente, la storia dell'arte, dei modelli e delle collezioni poteva essere più utile per questi ragazzi. Pensi che, per avere maggiore flessibilità e, quindi, per evitare che le ore dedicate a materie di laboratorio fossero solo tre, sono state eliminate dal curricolo locale un'ora di italiano e una di matematica, che forse sarebbero state più importanti della fisica o della chimica. Oltretutto, per la chimica sono state introdotte una o due ore: cosa possono imparare questi ragazzi di fisica o di chimica?
Questa drastica riduzione delle ore di insegnamento tecnico-pratico ha incrementato le ore dedicate a materie di studio teorico e ha frammentato i saperi. Questi ragazzi, in prima e in seconda classe, hanno 14 docenti curricolari. Ripeto, si tratta di ragazzi molto difficili, che dovrebbero magari avere un numero ristretto di docenti che li conoscano e li aiutino anche a comprendere cosa fare.
Di fatto, non c'è stato il riscontro di un risparmio perché, avendo aumentato queste ore di lezione, i cosiddetti insegnanti tecnico-professionali (ITP) si trovano accanto al docente laureato di chimica o di fisica. Non la tedio, però per me questa deve essere considerata un'emergenza, perché lei stesso ha detto che una delle emergenze è la dispersione scolastica.
Un'altra emergenza è rappresentata dalla messa a norma degli edifici scolastici. Lei ha dato molta rilevanza all'edilizia scolastica: la ringrazio di questo, ma per me la costruzione di nuovi edifici è una prospettiva, mentre l'emergenza è la messa a norma degli edifici scolastici e la sospensione del Patto di stabilità per la messa a norma degli edifici scolastici. Come Partito Democratico abbiamo presentato un ordine del giorno in questo senso, che il Governo ha già accolto. Tanti comuni virtuosi hanno scelto di investire risorse negli edifici scolastici e magari non per altri fini: la politica vuol dire operare scelte per il bene comune. Gli enti locali non possono investire tali risorse perché c'è il Patto di stabilità: forse è un'emergenza sospenderlo per la messa a norma degli edifici scolastici.
Un'altra emergenza è rappresentata dalla modalità di assegnazione dell'organico del personale ATA, peraltro falcidiato, perché non si può tener conto solamente del numero degli alunni: si deve considerare anche il numero di edifici dell'istituzione scolastica e se essa si trova in montagna o in pianura.
Inoltre, la formazione degli adulti, senza ricorrere ad una riforma, che è ancora sospesa, è già stata falcidiata: non sono state assegnate proprio le risorse per la riconversione di soggetti che devono poter accedere ad altre professioni, e quindi studiare, oppure per la formazione per tutto l'arco della vita.
Inoltre, lei sa che, oltre alla scuola statale, è stata falcidiata anche la scuola paritaria, contrariamente a quanto si dice, in relazione ai fondi che la legge n. 62 del 2000 assegnava alla stessa: occorre snellire l'iter di assegnazione di tali fondi e cercare di non falcidiarli più.
Allo stesso modo, la scuola materna ha l'organico praticamente bloccato: si verifica, pertanto, ciò che si è verificato in Toscana - io provengo da Firenze -, che ha investito tante risorse negli asili nido, ma dove i bambini, arrivati alla scuola materna, non sono accettati perché mancano le sezioni, nonostante la regione abbia investito delle somme.
Elenco molto rapidamente le prospettive, che sono quelle che mi stanno più a cuore, in quanto danno la visione. Lei ha parlato di edilizia scolastica e di nuovi edifici ecocompatibili: l'esempio insegna e ci consentirebbe di avere edifici in cui poter sperimentare modalità nuove di insegnamento.
Di autonomia scolastica e incentivi ha già parlato il collega Nicolais. Altre questioni sono: la scuola aperta, sempre più legata davvero al territorio; nuove modalità di reclutamento, essendo la scuola, per ora, ingessata e bloccata (penso che l'organico funzionale sia già stato attivato a seguito di un nostro emendamento); nuove metodologie didattiche e di innovazione, che mi stanno moltissimo a cuore. Quest'ultima questione, a mio avviso è essenziale, anche ai fini della dispersione scolastica, perché la scuola deve insegnare la dimensione pubblica. Non possiamo limitarci alla solita metodologia frontale, con un insegnante dietro la cattedra. Bisogna poter sperimentare, far sì che i ragazzi comprendano e sperimentino sulla loro pelle che fanno parte di una comunità.
Esistono, così, metodologie didattiche nuove, come l'apprendimento-servizio, che esiste in Nord America e adesso anche in Spagna, l'apprendimento solidale o l'apprendimento cooperativo. A mio avviso, bisogna dare più spazio, investire in questo settore, in modo che anche le sperimentazioni stratificate negli anni possano essere messe a sistema e si possa comprendere come davvero rivoluzionare il metodo di insegnamento.
Continuo con l'elenco delle prospettive: le reti di scuole, che sicuramente rappresentano un'altra risorsa; portare avanti le indicazioni del curriculum che già sono state sperimentate, non facendole morire; investire - mi auguro che non ci sia uno stop - sull'alta formazione tecnica e sugli ITS (qualcuno mi ha detto che sembra che si voglia rimandare tale questione, ma mi auguro che ciò non avvenga); il sistema nazionale di valutazione, che sicuramente può aiutare a far sì che la scuola sia sempre più efficiente ed efficace; la formazione dei nostri docenti e la possibilità di formare la dirigenza scolastica.
Penso che la scuola non possa mai essere cristallizzata in una dimensione, ma debba poter crescere in una continua ricerca. Se vogliamo, però, puntare su qualcosa, le nuove metodologie didattiche devono essere riviste: a mio avviso, è stato un grande errore non ascoltare le scuole nella modifica degli ordinamenti delle scuole superiori.
Nelle scuole si fanno tante cose belle, ma nessuno mai si è preso la briga di volerle sistematizzare, e quindi si sprecano notevoli risorse economiche ed umane, anche in termini di tempi e di persone che generosamente si impegnano, spesso anche senza ricevere alcuna retribuzione.
RICARDO FRANCO LEVI. Signor Ministro, vorrei sottoporre alla sua attenzione un tema di ordine più generale sulle politiche italiane nei confronti dell'Europa. Più volte il Presidente Monti, quando ha illustrato i propri programmi di Governo, ha messo in luce l'intenzione di dare un nuovo significato al Piano nazionale delle riforme (PNR), il documento complessivo che ogni Governo è chiamato a presentare all'Unione europea per dare conto dei propri progetti e del quadro complessivo delle proprie politiche.
Tra poco, il Governo dovrà presentare il proprio PNR. Da questo punto di vista, vorrei richiamare la sua attenzione su un elemento generale che considero di particolare rilievo, soprattutto in questo momento in cui l'Italia sta riacquisendo un ruolo significativo in Europa.
Nell'ultimo PNR e, in modo particolare, nell'ultima relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea - i suoi uffici saranno in grado di fornirle tutti i documenti necessari -, l'Italia ha riassunto, con il precedente Governo, i propri obiettivi per quanto riguarda il campo dalla cultura e dell'istruzione nella prospettiva dell'anno 2020 che, come sappiamo, è quello posto dall'Unione europea come riferimento per un'azione generale di rilancio dell'Unione europea.
Ebbene, con un'azione che non riesco a elogiare se non per la sua sincerità, il precedente Governo - mi si consenta, in un momento di generale approvazione al Governo su base bipartisan, di ricordare una cosa che, invece, bipartisan non è -
mise in fila gli obiettivi che l'Italia si proponeva al 2020 in tutti i campi dell'istruzione e misurati su tutti i campi specifici, dall'abbandono scolastico all'investimento in proporzione del PIL, alla quota di studenti che arrivano alla licenza superiore fino a quelli che arrivano al diploma e alla laurea universitaria: l'obiettivo, signor Ministro, non la fotografia dell'esistente, era quello di essere in tutti questi campi ed in tutti questi parametri, salvo uno, all'ultimo posto tra i 27 membri dell'Unione europea.
Le chiedo, signor Ministro, di riguardare questi dati e di riconsiderare qual è la prospettiva generale che l'Italia si propone per il 2020 e quale, dunque, è il messaggio che l'Italia vuole proporre all'Unione europea sulla base della propria prospettiva di crescita.
CATERINA PES. Signor Ministro, nella sua relazione ha parlato della necessità di rilanciare il sistema dell'istruzione in Italia e noi abbiamo apprezzato molto quel termine perché, evidentemente, in questi anni gli investimenti sull'istruzione non ci sono stati.
Condividiamo con lei che, naturalmente, laddove si allargano le aree di povertà di questo Paese, come sta accadendo un po' ovunque -, queste coincidono un po' dovunque con il tasso di abbandono scolastico. I due fenomeni, purtroppo, stanno andando di pari passo.
Abbiamo condiviso da subito il principio secondo il quale l'istruzione è forse il principale strumento, evidentemente oltre al lavoro, che oggi abbiamo per uscire dalla crisi: per questo motivo essa deve ricominciare a essere un ascensore sociale e non, come si diceva, un semplice ammortizzatore.
Secondo un dato OCSE, nel 2003 il 63 per cento degli studenti passava dal primo al secondo ciclo. I dati di oggi ci dicono che sono il 54 per cento: in una società che dovrebbe essere più avanzata, perché più avanzato dovrebbe essere anche il sistema di trasmissione del sapere, gli studenti che frequentano la scuola diminuiscono. Se questa è la base, è chiaro che il Governo si trova a fare una vera e propria opera di ricostruzione, o così io la intendo.
Lei ha parlato di necessità di rimodulare le risorse, che sono poche, e di reingegnerizzare. L'ho voluta interpretare come una sorta di rimodulazione che vada alla ricerca di priorità sempre più importanti. Credo che in questo momento sia fondamentale individuare, anche attraverso la nostra audizione, quali sono le priorità che riteniamo importanti.
Intanto, Ministro, credo che sia fondamentale ripristinare quella che, se mi si concede il termine, è la legalità. Sono stati vinti, ad esempio, numerosi ricorsi al TAR, relativamente alle cosiddette «classi-pollaio», dove si prende in considerazione la presenza di organici sottodimensionati e vi sono questioni legate alla messa in sicurezza degli edifici scolastici.
Abbiamo, evidentemente, situazioni legate alla necessità di stabilizzare i precari. L'organico di diritto per l'anno in corso, ad esempio, prevedeva 59.568 posti in meno rispetto a quelli che sono stati necessari nell'organico di fatto. Alle spalle abbiamo tre anni di tagli molto importanti, pari a 8 miliardi di euro, e adesso, in qualche modo, qualcosa sta cambiando.
Nel decreto-legge di semplificazione, pubblicato nei giorni scorsi, leggiamo con favore che sono contenute alcune novità importanti. Con riferimento al Piano nazionale di edilizia scolastica, ad esempio, ritengo molto importante l'idea di edifici ecosostenibili, nei quali si investa soprattutto sulla sicurezza: lo considero un fatto di civiltà importante, così come riteniamo importante il riferimento e il sostegno all'autonomia scolastica e all'organico funzionale, nonché il richiamo alle reti di scuole.
Ci auguriamo che si vada nella direzione di un'individuazione dell'organico funzionale, che si basi soprattutto sulla programmazione di un triennio. Solo questo avrebbe, infatti, buoni effetti nella continuità didattica e nella conferma del personale precario.
Vediamo di buon occhio la previsione del bilancio unico della scuola per favorire una gestione flessibile delle risorse finanziarie. Anche questo va in direzione dell'autonomia.
Abbiamo fatto importanti passi avanti, ad esempio, con l'inserimento dei docenti abilitati nelle graduatorie ad esaurimento nel decreto-legge cosiddetto milleproroghe, con la ripartizione a tutte le università del piano straordinario per il reclutamento dei professori associati.
Manca, però, e questo per noi è molto importante, l'approvazione di un emendamento che riteniamo essenziale, perché va nella direzione dell'equità: è quello che prevede la possibilità per il personale della scuola di andare in pensione con il precedente regime maturando i requisiti entro il 31 agosto 2012. Noi le chiediamo il sostegno convinto a questo nostro emendamento, perché è una norma giusta, che veramente sanerebbe una situazione molto grave per molti lavoratori della scuola.
Vorrei, però, fare un'ultima riflessione e concludere. È evidente come la piena applicazione dell'autonomia scolastica sia lontana da venire, perché lontana è la realizzazione piena del Titolo V della Costituzione. Io penso che una vera riforma della scuola non possa che passare attraverso la riorganizzazione del sistema interno della scuola, della governance.
Ne parleremo a lungo in Commissione, giacché sono state reincardinate le proposte di legge Aprea e abbinate, ma la riflessione sulla governance e sull'organizzazione della scuola deve essere accompagnata, naturalmente, dall'idea, che si fa spazio, si deve fare largo e che, probabilmente, avrà bisogno di tempi più lunghi, volta al reclutamento degli insegnanti e dei docenti.
La scuola come noi la concepiamo è, prima di tutto, una comunità educante: questa si lega a un contesto che non è solo territoriale, ma evidentemente culturale, produttivo, sociale. I patti formativi territoriali devono essere il tappeto nel quale si costruisce, si pensa e si programma un'idea della scuola come espressione di un'intera nazione, ma anche, contemporaneamente, delle vocazioni locali che vengono valorizzate sempre più tramite la scuola. Penso, quindi, che questo sia il momento in cui il locale e il nazionale devono incontrarsi, proprio nella condivisione dell'esercizio della responsabilità.
Gli investimenti, per questo motivo, devono essere rivolti soprattutto alle risorse umane. Si tratta di un dovere. Le risorse umane sono i nostri alunni che, a differenza di noi, che siamo una generazione Gutenberg, sono i nativi digitali, i ragazzi che leggono, scrivono e ascoltano musica contemporaneamente, che proprio per questo, signor Ministro, hanno una percezione del tempo e dello spazio completamente differente dalla nostra.
Serve, quindi, una rivoluzione copernicana nella didattica, che consideri il discente, cioè colui a cui trasmettiamo un sapere, totalmente diverso da quello che eravamo noi. Anche le strutture della scuola devono essere concepite in questa direzione e, contemporaneamente, i docenti devono essere formati in questa direzione.
Rimodulare le risorse significa, in definitiva, investire su un sistema di una scuola diversa, partecipata, di reclutamento europeo, sulla formazione per tutta la vita e sul «tempo scuola». Non abbiamo bisogno di una scuola con un anno in meno, ma di avere più «tempo scuola».
GIUSEPPE GIANNI. Non inizierò, per ragioni di tempo, dalla questione meridionale, quindi non impiegherò tre o quattro ore per ricordarle tutto, anche perché mi dicono che si tratta di un concetto desueto. Non le chiederò, signor Ministro, il consuntivo degli ultimi cinque, né quali sono stati gli errori o le vittorie del Ministero, ma le ricordo che la più grande industria del Meridione è la scuola, che è stata trattata male ed abbandonata a tutti i livelli.
Non le ricorderò che ci sono scuole nei garage, nelle cantine, nei soppalchi.
Non voglio chiederle nuovi finanziamenti, ma le chiedo conferma delle risorse, già stanziate per le infrastrutture degli atenei del Sud, disposte nel CIPE e dal CIPE nell'ambito del Piano per il Sud. Senza nulla togliere alla collega Centemero, che giustamente fa ricorso a una serie di ricordi, io ricordo 150 anni di «smemoria», non di memoria, da parte del Governo nazionale.
Qualche anno fa, quando ero presente alla Commissione cultura della regione siciliana, abbiamo stanziato 80 milioni di euro per la sicurezza nelle scuole anziché regalare 100 euro per ogni famiglia: oggi le chiedo conto dei finanziamenti per il potenziamento delle infrastrutture degli atenei per il Sud, che fanno parte delle somme già stanziate nel Piano per il Sud.
Come lei sa, da quest'anno non è più in vigore la norma che garantiva alle università con i policlinici di godere di agevolazioni per intervenire sulle spese fisse. Ciò, insieme ai tagli sul fondo di funzionamento degli atenei, ovviamente si ripercuoterà sulle assunzioni e, quindi, genererà disoccupazione di persone, di idee, di cervelli e così via: cosa intende fare?
Infine, lei sa che il mandato del direttore generale Agostini scade a maggio: ha un'idea sul modo in cui intervenire e su cosa intende fare?
Sono stato sintetico perché mi riprometto di rivederla e di intervenire di volta in volta sulle questioni che saranno sul tappeto.
PAOLA GOISIS. Naturalmente, rivolgo al Ministro il mio saluto. Parto dal provvedimento che stiamo esaminando in Aula: avevamo, infatti, presentato un emendamento relativo alla scuola che - chissà perché, forse perché siamo all'opposizione - non è stato approvato, ma lo stesso emendamento, presentato invece dal collega, onorevole Antonino Russo, è stato approvato.
In ogni caso, sullo stesso argomento tutti avevamo firmato una risoluzione, perché si tratta di un problema che riguarda la scuola e i 23.000 precari che in qualche maniera abbiamo sospeso. Ritenevo che, indipendentemente dal fatto che noi fossimo all'opposizione, gli emendamenti riguardanti lo stesso argomento dovessero essere approvati. Non abbiamo, dunque, capito la ratio delle mancata approvazione di tale emendamento, che, ove necessario, si poteva benissimo modificare o riformulare.
Il mio intervento in Aula, quindi, era chiaramente ironico, nel momento in cui ho parlato della sentenza dalla Corte costituzionale n. 41 del 2011 sulle graduatorie a esaurimento, che non possono, in quanto tali, essere rimpinguate perché in questo modo non si esauriranno mai, come infatti avverrà. Ciò ha suscitato rimostranze da parte di tanti altri insegnanti, quelli che erano veramente nella graduatoria a esaurimento e che si vedono adesso scavalcati da 23.000 altri precari o concorrono con essi: pensiamo alla loro angoscia per la paura di rimanere senza posto di lavoro: in questo modo si fa una guerra tra poveri.
Qualcuno degli insegnanti che hanno seguito i lavori mi ha anche contestato, perché ha creduto che davvero contestassi una norma che, invece, avevo approvato e su cui avevo lavorato, firmando anche con la risoluzione. Probabilmente non hanno capito il tono ironico del mio intervento. Evidentemente, il problema non sarà risolto adesso con l'emendamento, ma il problema più grande è, appunto, quello del reclutamento.
È chiaro, infatti, che emergeranno ancora grandissime problematiche perché, con la nuova legge che prevede il tirocinio, ci troveremo in una situazione paradossale: insegnanti che insegnano da dieci anni, che finora hanno supplito a mancanze della scuola o si adattano a fare questo tirocinio, a cui però non possono accedere se non dopo una serie di quiz (i famosi test), potrebbero vedersi ulteriormente scavalcati da ragazzi appena laureati, che a loro volta possono accedere a questo tirocinio. Penso che il problema scuola, se non si analizza in toto, non verrà mai risolto.
Come Lega Nord avevamo proposto una soluzione e abbiamo presentato anche una proposta di legge sulla scuola, abbinata alla proposta di legge Aprea ed alla altre proposte presentate dai colleghi degli altri gruppi, ricordate dalla collega Pes. Avevamo proposto le graduatorie regionali, in una forma più facile da gestire, correggendo tanti obbrobri, come la facoltà di scegliere, oltre a una provincia, altre tre province in cui inserirsi in coda. A quel punto, è emerso l'enorme problema dell'inserimento a pettine, a coda, con gli innumerevoli ricorsi presentati e con un aggravio per il Ministero e per gli stessi docenti, che si sono trovati e si troveranno a sostenere spese legali, con un aggravio economico non indifferente in tempi di crisi.
Ho fatto questa premessa proprio perché ricordo che lei aveva parlato, in modo molto chiaro e determinato, dell'intenzione di bandire un concorso, probabilmente per risolvere questo annoso problema. È vero anche, tuttavia, che anche in questo caso nascerebbero ulteriori problematiche, relative alle sue modalità ed ai criteri che saranno adottati.
Penso, infatti, che si debba tener conto della posizione di coloro che già sono in questa corsa, che non finisce mai, e dei nuovi laureati, che potranno accedere al concorso, visto che da anni, appunto, non si bandiscono i concorsi.
Faccio, dunque, un appello perché ci ascolti anche sulla questione relativa alle graduatorie regionali: occorre elaborarle in modo da non andare contro diritti, ma nello stesso tempo tenendo conto anche di altri diritti.
Purtroppo, con riferimento alla scuola, si sta svolgendo una vera e propria guerra tra poveri. Nonostante vi siano persone che hanno fatto studi e conseguito master, lei sa bene che, a proposito dell'abilitazione, è emersa la vicenda delle abilitazioni spagnole. Come sempre, quando si fa una legge, si trova sempre il modo per aggirarla, come è avvenuto con riferimento alla normativa europea sulle abilitazioni: in Spagna vi sono agenzie che chiedono dai 5.000 agli 8.000 euro per ottenere un'abilitazione, che consiste in un corso di quindici giorni con una tesina di quindici pagine. È evidente che chi ha fretta di entrare, corre e paga anche gli 8.000 euro; chi, magari, crede di avere diritti già assodati, si vede ulteriormente scavalcato.
Non voglio spaventarla, ma solo farle capire quanto sia problematica la questione della scuola. Io credo che chi riuscirà a risolverla, dovrà davvero diventare santo subito, perché finora le cose non sono andate come volevamo.
Un altro grande problema della scuola è la questione relativa agli insegnanti di sostegno. Gli insegnanti soprannumerari potranno, con un «corsetto» di 150 ore, svolgere il ruolo di insegnanti di sostegno, a fronte di altre centinaia di insegnanti che, invece, si sono già specializzati ed hanno frequentato corsi particolari, orientati al sostegno già dalla loro formazione iniziale.
Credo che non si possa pensare che un insegnante, con un corso di 150 ore, diventi un valido insegnante per il sostegno. Anche questo è un problema che deve essere e che vorremmo affrontare insieme per trovare una soluzione che tenga conto dei diritti degli uni e degli altri, ossia sia per i docenti, sia, soprattutto, per i ragazzi. Questi, magari, con un aiuto a scuola elementare riescono in seguito a mettersi in carreggiata ed a continuare il proprio lavoro e il proprio corso di studi; se, invece, sono lasciati a se stessi, rimangono privati anche per il resto dei corsi e, magari, non riusciranno più a conseguire titoli superiori o, addirittura, la laurea.
Altro piccolo problema, ma grande per coloro che tocca, è quello rappresentato dalla questione degli ATA, che non so quanti anni fa sono passati dalla provincia allo Stato, la cui situazione non è ancora stata risolta. Mi pare esista una sentenza della Corte dell'Aja che dà ragione a costoro e impone allo Stato di assumersi l'onere di riconoscere gli anni di anzianità che avevano maturato, anche con tutti i diritti di retribuzione, finora assolutamente non risolti.
Per quanto riguarda l'università, auspichiamo che tutti i ragazzi possano accedervi, ma sono convinta - lo dico ai colleghi, ma anche a lei, che ha assunto con coraggio il suo compito - che la formula del tre più due non sia assolutamente positiva.
Ho visto il tipo di esami che sostengono, il tipo di studi che affrontano e veramente ritengo che in realtà, con l'illusione di dare a tutti la possibilità di svolgere studi universitari e acquisire la laurea, si sia abbassato ulteriormente il livello di preparazione, così come quando negli anni Sessanta si è stabilito che la scuola media fosse obbligatoria per tutti. Il principio fu giusto, ma nella realizzazione ha portato a considerare il punto nevralgico di tutta l'istituzione scuola proprio la scuola media, in merito alla quale abbiamo anche presentato una proposta.
Quanto alla sicurezza degli edifici, lei ha ipotizzato di costruire tanti nuovi edifici scolastici. Siamo già in difficoltà enorme per quanto riguarda la messa in sicurezza: mi chiedo come sia possibile costruire nuovi edifici quando sappiamo che ci sono tanti edifici nuovi che sono rimasti abbandonati, in degrado, con spese doppie per ripristinarne la sicurezza.
Mi rendo conto che il tempo è tiranno: magari successivamente parleremo anche di altro, ma per ora voglio lasciare spazio ai miei colleghi.
GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Ho avuto dalla mia capogruppo l'invito a parlare sette minuti, perché lei ha parlato sette minuti e anche per ragioni di riguardo e rispetto. Innanzitutto, rivolgo un ringraziamento al Ministro, in quanto abbiamo chiesto una discontinuità e ce l'abbiamo, perché il Governo viene, ascolta e qualche volta tiene anche conto di quello che diciamo.
È stata una grande iniziativa, ad esempio, chiedere di sbloccare per un anno le assunzioni del personale educativo e scolastico degli enti locali. Attraverso il mio forum nazionale politiche dell'istruzione lo scorso ottobre, era già stata avanzata una richiesta in tal senso al Governo, da parte di quattro assessori di quattro grandi città, Milano, Torino, Bologna e Napoli, in cui c'erano state da poco le elezioni.
Siccome, però, devo parlare sette minuti, mi dilungherò sulle critiche e vorrei specificare che sono abbastanza contento, ma che si fa prima, in questi casi, ad elencare le cose negative o discutibili, perché sono minori.
Vorrei anche integrare quanto detto dalla presidente in un passaggio della sua relazione con riferimento a Joan Baez e a Steve Jobs: anche in proposito, però, interverrò brevemente, per evitare di appesantire la mia relazione. Parto, invece, da una delle questioni problematiche. Ricordo quando il Ministro Berlinguer, con il Governo Prodi, istituì il Cofin: fu una rivoluzione, vista da uno che stava all'università, perché allora si potevano chiedere soldi solo se si provava di essere già finanziati da qualcun altro. Il vero difetto di quella formula, che ho potuto constatare negli anni, è stato la mancanza della rendicontazione e della verifica finale: i criteri stabiliti erano tali da non permettere di finanziare una seconda volta un gruppo che non aveva mantenuto l'impegno preso. Per il resto, fu un cambiamento rispetto al tempo in cui dal CNR si chiedeva del Governo un milione di lire, per il finanziamento del cosiddetto
40 per cento, si ricevevano 1.000 lire e non si doveva rendicontare niente: fu una svolta.
In questo senso, quello che sono diventati adesso i PRIN, anche prima di lei - ma devo dire anche lei ci ha messo un po' di suo -, non mi piace più e, siccome la premessa riguarda lo scarso ritorno degli ERC, mi permetto di richiamare la pagina 35 della relazione del professor Maiani del 14 maggio 2009 a questa Commissione, nella quale si vede perché il ritorno è basso: non è dovuto alla scarsa competitività, come lei ha detto, dei nostri concorrenti.
Guardando le domande e i valori in percentuale, scopriamo che in Italia
siamo ai più alti livelli in Europa sia per gli studying grant sia per gli advanced grant. Siamo secondi solo a Gran Bretagna e Germania, ma, per esempio, siamo superiori a Francia, Olanda e Israele. Il problema è questo: quanti, dei 35 nostri concorrenti che hanno vinto, che si collocano al terzo posto in assoluto degli ERC vinti da italiani, vengono in Italia? Solo tre. Gli altri 32 preferiscono spendere il proprio ERC, essendo cittadini italiani, in altri Paesi dell'Unione, perché lì trovano migliori condizioni di ricerca.
Mi permetto, quindi, di discutere la premessa per la quale i PRIN dovrebbero essere anche non più concessi su una ricerca di lungo periodo, ma dovrebbero essere anch'essi focalizzati.
A un certo punto lei ha parlato della riforma del reclutamento. Noi abbiamo combattuto la riforma Gelmini, ma più che riformare il reclutamento sarebbe necessario il reclutamento, a questo punto. Se lo riformiamo, infatti, un'altra volta, il pericolo è che per altri dieci anni non lo faremo più. È un pericolo abbastanza plausibile perché mancano dei tasselli: nel 2011 ci sarebbero stati zero reclutamenti e forse anche nel 2012, stiamo per toccarlo con mano.
A questo proposito mi permetto di segnalare che bisogna individuare l'ideologia a fronte dell'insieme di misure che il nostro partito ha chiesto di bloccare, dalle tagliole del 90 per cento al blocco del turnover, al meccanismo che fa sì che questi fondi per gli associati non siano considerati in quel computo.
Io capisco che lei si avvalga ancora dello stesso collaboratore del quale si avvaleva la sua predecessora, ossia il professor Schiesaro, ma vorrei segnalare che c'è un'ideologia sbagliata, emersa per due anni dai giornali, che proviene da alcuni professori universitari, i quali la smentiscono nel momento in cui sono pubblicati i dati di AlmaLaurea, secondo i quali si spende troppo per studente.
Noi saremmo vicini alla Svezia e agli Stati Uniti. Tutti sanno che questa è una balla perché Andrea Cammelli l'ha smentito dieci minuti dopo, eppure questa filosofia è ancora questa: abbiamo troppi ricercatori, addirittura troppi studenti universitari.
Certo, in queste condizioni possiamo non reclutare ancora per parecchi anni, ma ho l'impressione che questo sia un tema drammaticamente urgente e non riesco a vedere come in due o tre mesi possa essere fatto un reclutamento dei più bravi e dei più meritevoli. Non mi importa di stabilizzare quelli che ci sono, ma voglio che tutti abbiano un'equa opportunità di entrare nell'università, se lo meritano.
Sono rimasto affascinato per quanto affermato in merito a scuola, edilizia, ingegnerizzazione ed energia, come ero rimasto affascinato, a suo tempo, dalla lettura del Quaderno bianco del gruppo guidato dall'attuale Ministro per la coesione territoriale Barca. Tuttavia, ho l'impressione, pur capendo quanto possa essere difficile contrattare con il Ministero dell'economia, che anche a tal proposito un meccanismo di sblocco del Patto di stabilità sarebbe comunque una boccata d'ossigeno per ottenere risultati immediati. Quel piano è bello, ma ho paura che, su oltre la metà di edifici in condizioni disastrose, potrebbe dare un risultato solo in tempi molto lunghi.
Il rilancio, lo sviluppo e l'autonomia delle scuole: questi temi erano contenuti nel titolo del primo incontro del mio forum, tenutosi due anni fa. Con riferimento, però, ai suoi collaboratori, che sono in continuità con il Ministero precedente e verso i quali nutro il massimo dell'ammirazione, trattandosi di tecnici, ritengo che, evidentemente, la valutazione debba partire anche dai dirigenti scolastici.
Non è giusto valutare questi ultimi se l'autonomia è stata progressivamente svuotata, ad opera di circolari redatte dagli stessi tecnici che ancora oggi sono responsabili del Ministero. Bisogna che la direzione politica abbandoni questo tipo di problema, in quanto si sono verificate anche alcune illegalità.
La collega Pes parlava di ricorsi: vorrei spiegare che i numerosi ricorsi vinti, ad esempio, dall'avvocato Cristina Maltese a Roma, non sono stati instaurati contro la legge Gelmini, ma contro le circolari illegali che fanno un'attuazione della legge e dell'organico non coerente con la legge Gelmini. Le previsioni del Ministro Gelmini sul maestro unico, ad esempio, erano errate: quasi nessuno lo ha voluto e, a questo punto, il rabberciamento di un tempo pieno, svolto, anziché con due insegnanti, con uno più molti pezzi di altri, è illegale. Per tali finalità, purtroppo, occorrono risorse, ma il minimo è che le circolari rispettino le leggi vigenti. Vi sono, dunque, numerose questioni urgenti che hanno che fare con una nuova direzione politica che, forse, è degli stessi tecnici che c'erano prima.
Non ripeto quanto detto da tutti i colleghi, in particolare dal mio collega Nicolais, ma anche dalle colleghe Pes e De Pasquale. Non condivido, non solo in quanto fisico, l'attacco dell'onorevole De Pasquale alla fisica in favore della storia dell'arte. Non siamo un partito che vuole da lei un nuovo curriculum, ma vorremmo che vi fosse autonomia scolastica nelle autonomie territoriali, che sia data applicazione al Titolo V e che siano stanziate risorse per l'autonomia. Perfino con la legge Gelmini, con i nuovi ordinamenti, pur di avere le risorse, il 20 o il 30 per cento potrebbero bastare. È necessario, però, come diceva il professor Nicolais, che il Ministero creda nell'autonomia, nel Titolo V e ne affretti l'applicazione.
In questo senso, penso che anche in ordine al reclutamento, la discontinuità e la svolta che lei ha annunciato siano molto importanti: mi auguro che la funesta previsione della presidente - che, cioè, che il concorso non sarebbe stato bandito - sia errata. Credo che sia l'unico modo per garantire uguali opportunità a tutti, sia a chi è già in graduatoria ed ha talento, sia a chi non è in graduatoria, ma si è laureato e ha concluso il primo TFA, cosa che speriamo possa avvenire entro l'anno. Alcuni non hanno mai avuto nessuna possibilità di partecipare a un concorso, altri ne hanno persi decine e, se perderanno anche questo, in fondo è giusto che rimangano in coda, ma questa è una grande speranza per tutti i capaci e meritevoli e per la qualità della scuola.
ANTONIO PALMIERI. Signor Ministro, complimenti per la resistenza. Affronto in maniera lapidaria quattro punti. Temo che sul primo non potrà rispondere immediatamente.
Vorrei, anche per alcune questioni emerse poco fa nel dibattito, una due diligence, cioè dati certi e inoppugnabili, ad esempio sulla numerosità delle classi (non entro nelle polemiche); sul tempo pieno; su come sta andando, se andrà avanti, la sperimentazione avviata dal suo predecessore; sui premi ai docenti meritevoli con una mensilità in più; su come sono andate le iscrizioni; sul funzionamento dei nuovi super istituti tecnici biennali che hanno preso il via lo scorso settembre; sullo stato di avanzamento - al quale l'onorevole Nicolais ha accennato - del programma «scuole due punto zero».
In merito alle scuole paritarie, già altri colleghi sono intervenuti: ho solo una raccomandazione amichevole, ossia evitare, se possibile, quell'insulso balletto che ha fatto il nostro Governo di togliere con una mano i fondi - facendo arrabbiare le scuole paritarie -, salvo poi tornare a prevederne lo stanziamento in successivi provvedimenti, facendo arrabbiare tutti gli altri, perché sembrava che i 240 milioni di euro previsti per le scuole paritarie fossero risorse aggiuntive e non quelle già previste, eliminate con la precedente manovra. Ci dirà lei come intende affrontare il tema, ma, se eviteremo che ciò accada, sarà già un'opera di bene e di verità per tutti.
Vorrei sapere qualcosa in merito al funzionamento della cabina di regia dell'Agenda digitale. So che ha in animo di lavorare in tale direzione nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, ma nel dettaglio avrei una sommessa proposta,
quella di fare una ricognizione dell'esistente: anche in questo campo, infatti, l'Italia è a macchia di leopardo, con molte cose buone che, come diceva l'onorevole De Pasquale parlando delle esperienze scolastiche, spesso non si conoscono e, quindi, non fanno sistema.
A quanto mi risulta, c'è un'unica regione, la Lombardia, che ha attivato la sua Agenda digitale. Vorremmo sapere e valutare a che punto è e, soprattutto, se può essere un utile esempio anche per le altre regioni per capire le competenze loro spettanti; è utile chiarire il ruolo dell'Agenzia per l'innovazione, con particolare riguardo, appunto, agli ambiti dell'Agenda.
Inoltre, ieri è partito il nuovo Codice dell'amministrazione digitale, elaborato dal Ministro Brunetta sulle ceneri del precedente, elaborato dal Ministro Stanca. Forse travalichiamo un po' le sue competenze, ma diamo un suggerimento in generale al Governo: partire dall'attuazione di tale codice, già di per sé, è una robusta agenda digitale per il nostro Paese o almeno per parte di esso.
A proposito di smart community - credo che adesso sia questa la dizione esatta -, da dieci anni ormai lavoro sul tema dell'accessibilità degli strumenti digitali per i cittadini con disabilità. La cosiddetta legge Stanca del 2004 è una delle migliori in Europa, ma è largamente inapplicata. Dell'accessibilità non c'è traccia nei quattro punti finora declinati in Agenda digitale, pur essendo questo, evidentemente, un motore di uguaglianza sociale molto importante, oltre che di miglioramento dei servizi per tutti, perché un sito accessibile è un sito migliore per tutti. Non so se questo tema - in particolare il progetto «accessibile.gov.it», che da due anni sta mettendo a disposizione dei cittadini la possibilità di segnalare ciò che non va, permettendo, solo nell'ultimo anno, di risolvere decine di situazioni grazie a tali segnalazioni -, sia di competenza sua o del Ministro Patroni
Griffi, ma sicuramente rientra nell'ambito dell'Agenda digitale: come intendete portarlo avanti? È scaduto tutto a fine dell'anno scorso. Il sito c'è ancora, la gente ancora scrive, ma le persone che vi operavano non hanno più i contratti, né la possibilità di operare: si tratta, pertanto, di un'occasione che rischia di essere persa, dopo tanti anni di lavoro, per l'aspetto dell'inclusion: come sa, essendo questo uno dei momenti cardine dell'Agenda europea, sarebbe un peccato se rimanessimo indietro su questo punto.
ANTONINO RUSSO. Sono convinto che riusciremo ad approfondire molti temi, ma mi pare giusto, in questo veloce intervento, ringraziare il Ministro, visto che in due soli mesi ha quasi doppiato la presenza del Ministro Gelmini in tre anni e mezzo.
Restano, tuttavia, nonostante quattro incontri, parecchie scorie, caro Ministro, da smaltire, che sono la peggiore delle eredità che potesse avere andando al Ministero. Ci sono questioni che si sono incancrenite per insipienza, sciatteria, sudditanza anche a una certa politica temeraria. Uso questo termine non a caso, perché temerarie sono le liti rispetto alle quali il Ministero rischia di essere condannato. Noi abbiamo il più alto numero di contenziosi che mai, in precedenza, erano pendenti nel ministero: credo dobbiamo concludere al più presto, se non altro per rispetto a chi vede sospesa la propria condizione.
È stata bocciata una parte dell'emendamento dell'onorevole Goisis, che io condivido pienamente, se non altro perché ho contribuito a scriverlo in precedenza, però un emendamento si scrive in funzione della legge che va emendata. Quell'emendamento presentato dalla Lega, ma presentato anche da qualche altro gruppo, era scritto in funzione del decreto sviluppo. Nella proroga del termine - come mi ha spiegato a mezzanotte la mia capogruppo, facendomi modificare l'emendamento - bisogna scrivere diversamente: per questo l'emendamento Russo ha avuto migliore fortuna.
Condivido, però, di quell'emendamento una parte importante: quella che tenta di disciplinare i contenziosi attribuendone con chiarezza la competenza. Signor Ministro,
non è indifferente che sia competente il tribunale amministrativo o il tribunale ordinario. Per i contenziosi davanti al tribunale amministrativo, infatti, ci sono 60 giorni per ricorrere; per il tribunale ordinario, al giudice del lavoro, ci sono cinque anni per ricorrere, quindi ci sono potenzialmente tanti ricorsi che possono essere presentati. Se riusciamo, invece, a fare questa piccola operazione, garantiremo un po' di stabilità. Io sono uno che ha sposato quasi sempre la causa dei ricorrenti.
Proseguo per flash. Parto, innanzitutto, dalla questione degli inserimenti in graduatoria, che è il tema della settimana. Credo che, in sede regolamentare, dobbiamo disciplinare l'inserimento: il mio emendamento demanda proprio all'amministrazione regolamentare. Dobbiamo provare a chiudere tutte le fattispecie pendenti, i reinserimenti di chi aveva dimenticato di fare l'aggiornamento, lo scioglimento delle riserve dei DM n. 21, n. 85 e n. 137. Non si capisce perché il semestre aggiuntivo, se non si ha corso SISS, non sia stato considerato già tale dalla legge. Bisogna provare a chiudere questa vicenda senza determinare nuovi torti a chi già è nelle graduatorie.
Dobbiamo tenere conto della questione dei non abilitati. Ci sono, infatti, quelli che hanno più di 360 giorni, quelli che ne hanno meno, e comunque hanno maturato competenze che vanno riconosciute in vista del nuovo sistema.
C'è una questione particolarmente odiosa, che io non tollero, quella relativa agli inidonei. Va già male definire inidonei docenti che, per tantissimi anni, sono stati a scuola e poi, per la malattia, sono considerati da scartare. Credo che alcuni torti debbano essere sanati, anche perché molto spesso le leggi non sono applicate per come sono state scritte. Basta guardare il caso di Roma, che non riconosce la possibilità di dispensa dal servizio.
Credo che dovremo mettere mano alla questione dei cinque anni di permanenza che bloccano le graduatorie e, quindi, prevedere la possibilità di ricambio; utilizzare tutti i posti vacanti e disponibili; chiudere la questione dei corsi singoli in vista del TFA che in molte province non sono riconosciuti (poco fa mi è arrivata una nota rispetto a Milano e Bergamo). Bisognerebbe farlo prima che partano i TFA.
Cito, infine, un ordine del giorno approvato con 24 voti di scarto dalla Camera, non ora che il Governo ha una maggioranza bulgara, riguardante l'8 per mille da destinare all'edilizia scolastica. Su questo argomento abbiamo anche presentato un'interrogazione: vorremmo capire come si orienta il Governo su tale questione.
GIOVANNI LOLLI. Interverrò molto brevemente e di ciò mi scuso con il Ministro, che ringrazio. Sono del tutto d'accordo con il collega Russo che mi ha preceduto. Avrei molti argomenti da aggiungere, ma il problema che ha segnalato e che altri colleghi, d'altra parte, hanno già segnalato - la prego di credere a noi che siamo sul territorio -, è sentito e veramente serio.
Sentito e serio, inoltre, è il problema che è stato sollevato in ordine all'università dai vincitori di concorso che sono ancora sospesi: si tratta di eredità che vengono dal passato, che si sono accumulate negli anni e nei Governi - diciamoci la verità - e sulle quali, però, bisogna intervenire. La prego di farci sapere cosa intende fare in merito a ciò.
Lei ha sollevato un problema cui io tengo molto, quello della messa in sicurezza degli edifici scolastici. La cosa mi riguarda. Posso dirle che, se il terremoto de L'Aquila fosse avvenuto, anziché alle 3,30 di notte, durante l'orario scolastico, noi avremmo contato un quantitativo di morti molto superiore.
So bene che mettere in sicurezza le scuole italiane costa una cifra che oggi non è disponibile, ma bisogna pure cominciare. Le suggerisco una via, sulla quale ci potremmo tutti insieme battere. I comuni, come sappiamo tutti, sono vincolati al Patto di stabilità; da tempo si
sta cercando la strada, magari selettivamente, per superare questa griglia che metterebbe i comuni in condizione di spendere i soldi che hanno: perché non fare insieme la scelta di puntare, naturalmente aprendo una relazione con la Commissione europea, a questa spesa particolare? Esentando, cioè, dall'applicazione del Patto di stabilità le spese dei comuni per la messa in sicurezza degli edifici pubblici strategici, a partire dalle scuole?
Della terza e ultima questione enuncio solo il titolo. Avremo modo di parlare - lei non poteva farlo - di un problema di contenuti: tra le tante arretratezze della scuola italiana, la prego di approfondire il problema dell'educazione motoria. Non sto parlando solo delle ore di educazione fisica, che - già fatto vergognoso - sono minori rispetto alla Turchia, ma proprio, culturalmente, dell'attività motoria a partire dalla scuola primaria: si tratta di una questione di impianto culturale, sulla quale la scuola italiana è molto in ritardo.
SABRINA DE CAMILLIS. Le rivolgo i miei complimenti, signor Ministro. Intervengo per sottoporle la questione del finanziamento delle università del Mezzogiorno, investe è stata già inviata una nota ufficiale da parte della Federazione del sistema universitario lucano-molisano-pugliese. C'è un problema di riparto del fondo legato non al 12 per cento - che è il fondo ripartito in base alle premialità e, quindi, in base alla qualità delle università, questione sulla quale ci sarebbe da argomentare e da capire, perché anno per anno e a posteriori siano stati modificati i pesi per la valutazione qualitativa degli atenei - ma all'82 per cento, che è quella parte del fondo ordinario ripartito con una sperequazione che va da 6.500 euro pro capite per alcune università a 2.200 euro per altre.
Il Ministro Monti ha parlato di un'iniziativa seria per il rilancio del Mezzogiorno. Sono convinta che la rete della conoscenza e l'investimento sulla conoscenza siano il primo passo per cercare di investire sul Mezzogiorno ed esplicare tutte le potenzialità che ha. Affido a lei, signor Ministro, tale questione, che i rettori del Mezzogiorno hanno posto: se, infatti, non garantiamo ai giovani del Sud il diritto costituzionale di essere informati come quelli del Nord, perdiamo la partita. Confidiamo in lei e sono convinta che, approfondendo, riuscirà a darci una risposta positiva in questo senso.
ERICA RIVOLTA. Signor Ministro, la ringrazio per essere qui ad ascoltare anche alcune note sgradevoli. Come altri colleghi, ho letto questa mattina la notizia delle sue dimissioni - arrivate un po' tardivamente - dal CNR: proprio su questo argomento vorrei porle alcune questioni. Vorrei sapere, visto che ne è stato presidente per qualche mese, quali siano le sue intenzioni per il futuro, a partire, ad esempio, dal futuro presidente, se cioè lei considererà buono il lavoro del Search committee, pescando, quindi, nella rosa dei nomi già scelta, o sceglierà un'altra strada.
Con riferimento al direttore generale, visto lo stato delle finanze del CNR, probabilmente occorre trovare una figura quasi magica, perché si tratta non solo di avere una persona estremamente professionale, ma anche in grado di traghettare un ente così importante in acque un po' più tranquille.
Soprattutto, come intende ripristinare molti dei progetti che mi risulta non abbiano più i finanziamenti, in quanto le risorse che sono state erogate dal MIUR sono state girate a copertura dei debiti dell'ente? Se è giusto sostenere la ricerca di un ente che lei conosce bene, ci dirà come pensa di realizzare il futuro rilancio dell'ente, e non solo.
A proposito dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, manca il direttore, in quanto il direttore Giardini si è dimesso: che intenzioni ha?
Inoltre, non pensa che si potrebbero diminuire alcune spese del CNR, ad esempio per gli affitti, che probabilmente, in alcuni casi, sono inutili?
L'augurio e l'invito che le rivolgo con riferimento alla scuola è di poter riuscire,
in questo anno e mezzo, a governare una macchina mastodontica con ruote arrugginite e, a mio avviso, con troppi micropoteri. Spero che lei abbia la forza per farlo e riesca davvero a metterci mano abbondantemente.
Infine, sollevo una piccola questione che riguarda l'ASI, apparsa sul Corriere della Sera di ieri. Nel 2010 c'è stata una missione viaggio organizzata da ASI per assistere al lancio del satellite: ho letto che questa missione è costata un milione di euro. Mi sembra una cifra incredibile. Vorrei avere chiarimenti anche su tale questione.
WALTER TOCCI. Signor Ministro, lei ha osservato una cosa importante, e cioè che la quota di successo dei nostri progetti in Europa è inferiore alla quota dei nostri versamenti. Io la invito, tuttavia, anche a confrontare questo dato con un altro parametro, ossia la quota dei ricercatori italiani rispetto al totale europeo. Vedrà che si ottiene un numero molto più alto rispetto a quanto rappresentiamo in termini di volume complessivo di ricerca.
Ciò significa che la nostra è una squadra superallenata, perché è costretta a un campionato un po' strano, in cui gli altri si presentano con undici giocatori e noi con sei: la nostra comunità scientifica raccoglie successi anche molto importanti rispetto alle forze in campo.
Questo significa anche che ci facciamo molto del male con il turnover, perché comporta un risparmio stupido: i giovani che informiamo e per i quali spendiamo soldi sono bravissimi, ma vanno all'estero e competono sui progetti europei con altri progetti di ricerca tedeschi, inglesi o francesi.
Quanto al PRIN, mi preoccupa per un punto: la ripartizione dei fondi secondo le università e le discipline era già esistente in Italia negli anni Ottanta, non è una cosa nuova. Ce ne liberammo perché constatammo che non funzionava. La cosa che più mi preoccupa è che lei riduca tutto a un solo strumento: mi riferisco ad Horizon, ma l'Europa non ha soltanto quello strumento, ne ha tanti. Una politica della ricerca è un po' come un'orchestra, in cui devono esserci diversi strumenti. Non possiamo dotarci solo di un pianoforte, in quanto abbiamo bisogno anche di un violino, della tromba e così via.
Lei ha ragione nel dire che bisogna fare squadra, ma perché ciò avvenga basterebbe assegnare alle università una quota del fondo di finanziamento ordinario in base ai risultati della ricerca e, anzi, costringere l'università a metterci altrettanto, in modo da portare avanti una politica della ricerca a livello di ateneo. Non tutti gli atenei sono in grado di farlo. Oggi abbiamo la possibilità di ottenere risultati che ci consentono di premiare le strutture in quanto tali, non i singoli progetti.
C'è poi la ricerca finalizzata, ma non si fa squadra soltanto con i bandi. Fare una politica nazionale della ricerca significa definire gli obiettivi su cui convergere, trovare alleanze internazionali su cui posizionarsi e programmare. Questo non lo fanno soltanto i bandi e non lo fa - se ne sarà accorto - la struttura burocratica del Ministero: abbiamo bisogno di una tecnostruttura.
In realtà, ce l'avremmo già: si tratta dell'IIT, gestito come un circolo del bridge da pochi amici, che è anche al di fuori della sua competenza come Ministro. Riformiamo l'IIT, riportiamolo sotto la competenza del Ministero dell'università e della ricerca, affidiamolo a bravi scienziati ed affidiamo loro il compito di fare squadra, cioè di dirigere le politiche della ricerca e di creare una convergenza tra le parti migliori della nostra università, per farla comparire in Europa.
GABRIELLA CARLUCCI. Signor Ministro, grazie della pazienza dimostrata. Interverrò molto velocemente, toccando solo tre punti. La prima questione riguarda l'immissione in ruolo dei docenti privi di abilitazione: si tratta di un argomento già trattato e io le sottopongo la proposta di un'associazione di insegnanti e dirigenti scolastici, i quali sostengono che la normativa attualmente in vigore prevede il
conseguimento dell'abilitazione attraverso il tirocinio formativo attivo, al quale si accede solo dopo aver superato alcune prove preselettive. In questa situazione si ritiene opportuno e meno dispendioso prevedere l'ingresso semplificato al TFA per tutti quei docenti che hanno dimostrato nel tempo di avere svolto la loro attività.
Tale accesso riservato consentirebbe di ottenere l'abilitazione a quei docenti che, pur essendone sprovvisti, hanno già dimostrato di essere in grado di insegnare. Se non fosse possibile questa proposta, in alternativa, visto che lei ha parlato di concorsi, potrebbe essere percorribile la strada di un corso-concorso, sia abilitante sia valido per l'immissione in ruolo: questa ipotesi potrebbe comportare anche un notevole risparmio economico. In ogni caso, la proposta è scritta e dettagliata e posso fargliela avere.
L'onorevole Lolli ha velocemente accennato alla questione relativa allo sport, che nelle nostre scuole non esiste. Bisogna, però, almeno facilitare coloro che lo praticano già fuori della scuola. Seguendo le best practicy europee e mondiali (lei parla di scuola digitale), ho presentato una proposta insieme all'onorevole Lolli, secondo firmatario, su quello che potrebbe essere un ottimo modo per permettere a quegli atleti che già nella scuola media o media superiore svolgono attività sportiva molto intensa - c'è una sperimentazione in tal senso svolta dalla Federazione italiana Sci, che però prevede, ovviamente, un periodo di tempo molto ridotto - di superare i compiti che si fanno normalmente seguendo le lezioni con l'immissione in Internet di test. Tra l'altro, oggi, con le nuove tecnologie, ci sarebbe la possibilità del riconoscimento della persona attraverso il riconoscimento biometrico.
Infine, relativamente alla dispersione scolastica, dico, con esperienza da amministratore locale, che i fondi sono gestiti dalle regioni e rivolti solo agli istituti scolastici, spesso non in grado di realizzare corsi suppletivi per evitare la dispersione scolastica: si potrebbe dare ad altri soggetti la possibilità di attingere a questi fondi.
EUGENIO MAZZARELLA. Intervengo brevemente, per flash. Innanzitutto, ringrazio il Ministro per aver esibito a questa Commissione qualche elemento di concretezza, che mancava. Seguirò velocemente proprio le sue linee di azione: a proposito della riforma del sistema universitario, forse parlerei, visti i tempi, di manutenzione forte, perché il sistema delle università è bloccato e c'è bisogno di attuare l'attuabile, pur in un quadro prospettico di visione. Il reclutamento, ad esempio, ormai rischia di essere fermo per cinque o addirittura per sei anni. Forse si potrebbe già pensare in termini di riforme strutturali nella struttura del Ministero, cioè tra l'organico di 8.500 e 5.200 unità attive: delle due l'una, o c'è bisogno, per far funzionare la macchina, di riportarla a organico, o c'è bisogno, come vedo in realtà
negli allegati, di ripensare alla struttura del Ministero per ottimizzare quello che è esistente.
Non mi soffermo sulla situazione dei nostri ricercatori che non accedono pro quota proporzionale ai fondi europei, in quanto sono d'accordo con le osservazioni dei colleghi Bachelet e Tocci.
In merito alla questione dell'integrazione tra fondi pubblici e capitali privati, penso che, per portare nel sistema della ricerca dell'università i capitali privati, sia necessario usare la leva di una fiscalità di vantaggio, anche in modo fortemente alternativo rispetto alla slealtà nei confronti del contribuente, che i governi generalmente hanno operato negli ultimi decenni. Al sistema industriale privato arriva una serie di fondi per la ricerca che spesso sono eterodiretti, cioè sono diretti altrove e non alla ricerca.
La questione vera è questa: non si possono dare quelle stesse somme come bonus fiscale se le imprese immettono soldi nel sistema della ricerca dell'università? Questo rappresenterebbe un cambio di filosofia.
Le città intelligenti sono un'idea intelligente e, a mio avviso, lo sarebbe ancora di più un'idea di Governo generale. Per quella, infatti, è necessario avere un interfaccia istituzionale, probabilmente la città metropolitana.
Con riferimento all'allegato università, segnalo al Ministro che è vero che all'interno di quelle statali - è uomo di università e lo sa - non tutte sono uguali, ma la differenza è abissale nelle non statali; soprattutto, c'è il bubbone delle università telematiche. Se si parla di merito, c'è bisogno di serietà e di un intervento radicale perché tutto ciò abbassa il livello del sistema pubblico. Io sono anche disposto a capire che le università non statali e telematiche siano nel sistema pubblico, ma per il ranking di accreditamento c'è bisogno di grande radicalità.
Finisco con una considerazione sull'organico, perché si tratta di una vecchia fissazione. Penso che questo Ministero potrebbe far capire, certo, che la struttura dell'organico è cambiata: ci sarà un organico a tempo determinato, composto dai ricercatori, ma sarebbe interessante sapere che alla fine di questo processo è quanto meno salvaguardata l'entità numerica dell'organico. Nel 2020 dovrebbero esserci operatori universitari di ruolo e non di ruolo almeno nei numeri del 2008, allorquando si è cominciato a tagliare per 2 miliardi di euro: questo potrebbe essere un modo per reintegrare.
ALESSANDRA SIRAGUSA. Salto, per ovvi motivi, questioni puntuali su cui avremo modo di ridiscutere: mi riferisco alla riserva contenuta nella legge n. 68 del 1999, alla questione dei malati oncologici, al conseguimento del titolo per l'insegnamento della lingua inglese per i precari. Mi soffermo molto brevemente sulla questione della dispersione scolastica, in particolare al Sud, con invito a riflettere su tre questioni.
In primo luogo, la scolarizzazione precoce: è un nodo centrale che andrebbe affrontato di concerto, sia riguardo al raccordo con regioni ed enti locali per la lotta alla dispersione scolastica, sia riguardo al tempo pieno, soprattutto nella scuola elementare.
Ricordo che in Sicilia il tempo pieno non raggiunge il 6 per cento. Si potrebbero, per esempio, utilizzare gli insegnanti soprannumerari. In Sicilia quest'anno il numero sembra enorme, 855 a fronte di 1.772, a causa del fortissimo calo demografico: potrebbero essere, loro sì, utilizzati per il tempo pieno piuttosto che convertiti, ad esempio, in insegnanti di sostegno, in quanto le competenze non sarebbero esattamente adatte a tal fine.
Credo che sarebbe molto importante riuscire a ragionare, seppure in termini brevi, per il tempo che rimane fino alla fine della legislatura, su questioni così importanti e che l'Europa ci richiede di affrontare.
EMERENZIO BARBIERI. A mio avviso, il PD non ha ancora capito che è in maggioranza, perché, intervenendo in continuazione, si comporta esattamente come si comportava con il Governo Berlusconi.
Signor Ministro, sottopongo alla sua attenzione tre o quattro questioni molto semplici. Lei saprà che, dalla settimana scorsa, abbiamo ripreso l'esame della proposta di legge Aprea - che, in realtà, è una proposta del PdL - e di tutte le proposte ad essa abbinate, contenente norme per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti.
Mi interessa molto capire l'opinione del Governo in merito a ciò, tenendo conto che l'opinione del PdL, come lei ha notato, è stata ampiamente illustrata dalla presidente Aprea, dalla vicepresidente Frassinetti e dagli onorevoli Centemero e Palmieri.
Lei sa che abbiamo svolto un'indagine conoscitiva sui temi della ricerca: ritengo che la relazione conclusiva sia ottima. Suggerisco - probabilmente l'avrà già fatto - di prendere qualche spunto tra quelli lì indicati.
Trovo molto corretto - lo dico anche con riferimento ad alcune affermazioni
dei colleghi del PD - l'approccio che ha avuto sulla riforma Gelmini dell'università. Per dissipare ogni dubbio: come potrebbe il PdL appoggiare un Governo che elimina la riforma Gelmini?
Preciso, inoltre, affinché siamo chiari su tale questione, che la fisiologia prevede che sia la maggioranza, dopo un lungo dibattito, a decidere. Lo dico perché stamattina l'onorevole De Pasquale ha sostenuto che il precedente Governo decideva senza concertazione con le scuole. Sono d'accordo con quanto dichiarato dal Presidente Monti alla Camera: la concertazione non è un obbligo. Il confronto è importante, ma poi è il Governo a decidere.
Siccome non sono prestato alla politica, contrariamente alla collega De Pasquale, e far politica mi piace molto, vorrei che lei avesse contezza del fatto che il nostro appoggio rispetto alle linee che lei qui ha illustrato è convinto, nella misura in cui, ovviamente, si sviluppa, come lei ha fatto fino a ora, un confronto proficuo tra il Governo e il gruppo del PdL.
PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Profumo per la replica.
FRANCESCO PROFUMO, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Vi ringrazio molto. Certamente, stare in questa Commissione è un'esperienza. Credo di avere una sufficiente esperienza, in altri ambiti, ad ascoltare.
Vi rivolgo, però, un piccolissimo consiglio. Nella mia vita ho cercato di ottimizzare il tempo. Credo che oggi abbiate sollevato questioni di grandissimo interesse, di livello molto differenziato, da questioni di dettaglio a questioni di policy a questioni immediate. La mia sensazione è che, ai fini di una maggiore efficienza, probabilmente serva una riunione preliminare, in cui si addiviene a una sintesi e si dividono le indicazioni su tre livelli. Ritengo che questo possa essere un lavoro più diretto ed efficace.
Come avete visto, ho preso appunti. C'è stato un certo numero di ripetizioni che, certamente, non aiutano ai fini della sintesi. Sono ben disponibile, infatti, a fornirvi le risposte, ma, se seguissi la stessa logica, probabilmente non otterremmo il risultato dovuto: ho la sensazione, quindi, che, proprio come modalità di lavoro, se lo ritenete, dovremmo provare a lavorare in un modo più ordinato, che parta dagli elementi emersi, che però abbiano una loro organicità, altrimenti diventa un po' complicato.
Sulla base di ciò, è opportuno che incominci oggi a darvi una serie di risposte, ma dovete consentirmi di fare una sintesi, perché altrimenti mi ripeterei n volte.
Riprendo alcuni dei temi emersi. Credo che il primo sia quello relativo al PRIN ed al FIRB. Oggi il Paese perde 5 miliardi di euro netti sul tema Europa: questi numeri sono determinati dalla differenza tra quanto diamo come contributo all'Europa e quanto dall'Europa ci torna indietro in forme diverse, sul piano globale.
Nel settennio 2007-2013 la parte relativa alla ricerca contribuisce per il 10 per cento a questa perdita, ossia per 500 milioni di euro circa. Con grandissima serenità, dobbiamo partire da questo elemento: dobbiamo tenere presente che nel settennio successivo, dal 2014 al 2020, le risorse messe in gioco saranno maggiori e i nostri competitor diventeranno più bravi, perché nel gruppo dei 27 c'è un certo numero di Paesi che allora avevano appena iniziato. Se, quindi, non cambiamo, tenderemo a peggiorare i nostri indici di prestazione.
Certamente, abbiamo grandi singolarità, siamo bravissimi, ma non riusciamo a trasformare le singolarità in un «sistema-Paese». Quanto affermava il collega Giovanni Bachelet è vero: abbiamo ritorni limitati di persone che vengono a spendere quello che hanno nel loro zainetto attraverso la ERC, ma è altrettanto vero che facciamo 600 domande a fronte di 35 risposte positive (poi dipende dall'anno al quale ci si riferisce).
Mi domando se non sia il caso di ripensare il nostro sistema e di inoltrare
un po' meno domande, anziché inoltrarne 600. Questo è diventato un tecnicismo che ha delle basi, ma in quest'ambito non può esserci spontaneismo, perché occorre capacità organizzativa: il Paese deve capire che, quando ci si confronta con altre culture, che siamo d'accordo o meno, sono altri che stabiliscono le regole. Il mio invito è quello di trovare un modo per formare una palestra, perché arriviamo più attrezzati e più bravi. Investiamo il giusto, di più, ma otteniamo risultati migliori.
Con riferimento a quanto affermava il collega Tocci, sono d'accordo sul rapporto tra il numero dei nostri ricercatori ed il numero di ricercatori europei: l'indicatore dimostra come siamo i più bravi. Io credo che siamo i più bravi, ma questo non ci esime dal fatto che con le risorse che abbiamo a disposizione dobbiamo diventare più organizzati, perché gli altri Paesi lo fanno. I tedeschi, i francesi e gli inglesi sono bravissimi da questo punto di vista, fanno un lavoro prima, per poi risultare migliori, quando vanno a competere fuori. Questo era il significato della mia operazione, che vale sia per il PRIN sia per il FIRB, dopodiché non credo - mi pare di essere stato chiaro - che le uniche linee di ricerca debbano essere quelle di Horizon 2020. Ci sono settori che non sono coperti, c'è tutta la parte di ricerca curiosity driven che non è certamente determinata da quello.
Dobbiamo attrezzarci sulle linee di Horizon 2020. Tenendo presente un altro elemento di cui non abbiamo discusso, quello dei fondi sulla coesione. Oggi siamo al ventiseiesimo posto su 27 con riferimento alla spesa. Nel prossimo settennato ci sarà una ancora maggiore convergenza tra ricerca e coesione, e sulla coesione non vi saranno più fondi trasferiti alle regioni che, a loro volta, li trasferiscono nel modo dovuto, ma ci sarà una competizione tra regioni e regioni dal punto di vista della programmazione e la capacità di progettualità. Il vero rischio, allora, è che, se non diventiamo più bravi in questo Paese, nonostante ci siano le potenzialità, non portiamo nulla a casa: si tratta di un problema di sistema e, da questo punto di vista, abbiamo un certo tempo per migliorare.
Sul tema dell'abilitazione stiamo lavorando con il Consiglio di Stato per avere al più presto un riscontro sul decreto relativo: il passaggio successivo è quello della Corte dei conti, dopodiché saremo pronti per avviarla. Sapete che, con riferimento all'abilitazione, è prevista una fase nazionale e una successiva fase di concorsi locali. È necessario avviare velocemente tutto il processo perché c'è una quota di risorse 2011-2012, un'altra 2012-2013.
Credo di aver capito che, nel corso della legislatura e anche nel passato, avete molto lavorato sul tema dell'istruzione e del reclutamento. Vi chiederei, se potessimo, di vedere insieme quali sono i progetti in atto, a cui avete lavorato, condividendo un percorso e cercando di trovare una soluzione da portare avanti tutti insieme. Mi sembra che il modo giusto sia questo: partire dal molto che è stato fatto, vedere insieme quali sono gli elementi di sintesi e andare avanti.
Sono d'accordo che non siano necessarie nuove riforme per la scuola. Mi rivolgo all'onorevole Capitanio Santolini, in particolare. Nella mia vita ho sempre cercato di far funzionare, oliando, le situazioni che esistono. Questo Paese ha troppe norme, troppe leggi, ed ha bisogno semplicemente di farle funzionare. Credo che il mio obiettivo sia questo.
Sul tema dell'autonomia responsabile, avete visto anche nel decreto-legge sulle semplificazioni che l'idea è fondamentalmente su tre livelli: il primo è relativo ad una modalità di governo delle scuole che consenta loro di gestire e di essere capace di gestire nel modo migliore, con riferimento al processo avvenuto all'interno dell'università. Dal 1989 con la legge Ruberti si definirono i quattro famosi passi, ossia la valutazione, il modello di governo, l'autonomia gestionale-amministrativa e l'autonomia di reclutamento. Nel caso dell'università ci fu il vulnus
della valutazione per cui, se ci fosse stato questo elemento, avremmo potuto far meglio, nonostante io credo che il processo sull'autonomia sia stato positivo.
Ritengo che dobbiamo imparare da quello che è stato fatto in quel caso, naturalmente con le differenze dovute: lavoriamo sul tema valutazione e sul tema di governo delle scuole. Amministrazione e gestione sono temi che avete messo in evidenza: non si può parlare di autonomia se non ci sono risorse da gestire.
Negli anni futuri - diciamocelo con chiarezza - non credo che il Paese avrà più risorse, ma potrà cercare di utilizzare meglio quelle che ci sono e reingegnerizzarne alcune sulla base di alcune priorità.
Relativamente al tema scuola, sapete che per gli anni 2011-2012, per il funzionamento, ci sono risorse pari a 130 milioni di euro: a fronte delle 10.000 scuole, si tratta di circa 13.000 euro per scuola, quindi il tutto non ha senso. Se, però, proviamo a pensare di avere un budget complessivo che preveda la quota di funzionamento, che per gli anni 2013-2013 sarà leggermente più alta, ossia pari a 200 milioni di euro, aggiungendo le risorse previste dalla legge n. 440 del 1997, le risorse collegate alle supplenze di diverso tipo, otteniamo un paniere di 1,5 miliardi di euro, il che significa, per le 10.000 scuole, circa 150.000 euro: non sono tanti, ma dobbiamo cominciare a fare qualcosa.
Credo che attraverso un'autonomia responsabile, senza vincoli di capitolo, le scuole possano compiere le loro scelte e queste possano essere collegate al territorio o anche a una periodicità nel tempo. Si può prevedere che in un determinato anno, ad esempio, sia data una maggiore attenzione ai servizi, in un altro anno ad alcuni tipi di investimenti. Credo, quindi, che si possa cominciare a ragionare in modo diverso: è una cultura che dobbiamo aiutare ed evidenziare.
Ritorno sul tema che alcuni di voi hanno messo in evidenza, in relazione al fatto che nella scuola ci sono moltissime esperienze estremamente positive: sono, però, rimaste sempre a livello di sperimentazione, molte volte concentrate nella stessa scuola. Innanzitutto, dovremmo cercare di avere un database dove raccogliere le esperienze con la loro descrizione, in modo che diventino patrimonio comune e che alcune di queste sperimentazioni possano diventare, dapprima, prototipi, e poi - ci auguriamo - anche progetti Paese. Con un certo tipo di linearità di progetto e di processo, credo si possa arrivare a questo punto.
Credo che i temi relativi alla scuola professionale ed alla formazione tecnica, sia a livello di scuola media superiore, sia a livello di università, siano temi su cui possiamo ragionare insieme. Credo che sappiate che è stato anche avviato un tavolo con il Ministero del lavoro e con il Ministero dello sviluppo, in cui è stato evidenziato che uno degli elementi è proprio quello della formazione permanente nella vita, pensando a una continuità tra la formazione, il lavoro e il ciclo della vita.
Questo è un tema di grandissima importanza. Sulla formazione/istruzione professionale è stato presentato un disegno di legge nelle legislature precedenti, in merito al quale è stato svolto un gran lavoro: potremmo ripartire da lì e trovare insieme le possibilità di sviluppo. Credo che il Paese ne abbia veramente bisogno.
Onorevole De Pasquale, io sono stato in un certo numero di scuole e mi è stato riportato esattamente quello che lei diceva, ossia la necessità di una maggiore attenzione alle ore di laboratorio, di esercitazione, alla pratica, soprattutto perché vi sono studenti il cui livello di attenzione può essere mantenuto solo ragionando in tal modo. Su questo tema vale la pena fare un ragionamento insieme e vedere come procedere.
Il tema relativo al diritto allo studio è importante, soprattutto in una situazione come questa che, dal punto di vista economico, mette moltissime famiglie in difficoltà. Sapete che un provvedimento in tal senso è nella fase finale di elaborazione:
credo che valga la pena dedicare a tale aspetto una sessione di lavoro, per vedere insieme se siamo allineati e valutare quali possano essere i contributi.
Oggi il diritto allo studio deve essere inteso come un welfare complessivo per gli studenti, in cui ci sono diversi tipi di colonne, che sono certamente le borse di studio, ma anche i servizi, le attività part time nelle scuole, nei confronti delle quali si presta notevole attenzione, o anche le quote di prestiti sull'onore. Bisogna, però, vedere complessivamente la partita e ciascuno studente, alla fine, deve avere una certa quantità di risorse che gli consenta di avere un'attività di studio che corrisponde alle sue aspettative. Non credo che oggi sia più possibile pensare di avere un'unica alternativa.
Io sono un ex studente che ha vissuto attraverso una soluzione di questo genere: ho vinto una borsa di studio che allora si chiamava «Einaudi», avevo preso il presalario, avevo la camera in un collegio e una parte di prestito sull'onore. Parlo di moltissimi anni fa, non invento niente: è la mia esperienza personale e credo che abbia funzionato, quindi potrebbe essere una buona soluzione.
Quanto al completamento della legge n. 240 del 2010, credo che già in occasione del nostro prossimo incontro saremo pronti per ragionare sui decreti-legge elaborati in Consiglio dei ministri, in particolare sul finanziamento alle università. Si tratta di un tema sul quale, se ritenete, in occasione della prossima seduta posso svolgere una breve presentazione, per valutare insieme quali sono i punti di criticità e ragionare su quelli.
Credo che sappiate, invece, che si è concluso l'iter del decreto-legge sull'accreditamento, anche con grande apprezzamento dal Presidente del Consiglio: si tratta di un elemento di grandissimo interesse.
L'onorevole De Torre chiedeva come potremo continuare a lavorare insieme. Vi propongo questa modalità: quando individuiamo un tema, lo svisceriamo insieme, apriamo una discussione e su quella cerchiamo una sintesi. Il risultato è quello di raggiungere una sintesi che possa diventare operativa.
Vi sono stati numerosi interventi sul tema delle città intelligenti. Certamente, si tratta di un tema di grandissimo interesse per il Paese. Tra l'altro, c'è un programma europeo estremamente importante, anche in termini di risorse: credo che anche in questo caso occorra uno stretto allineamento tra le due operazioni.
Quanto alla struttura organizzativa del Ministero, credo che ricordiate che oggi il Ministero è organizzato in tre dipartimenti: uno per la programmazione e l'innovazione, uno per la scuola e uno per la ricerca e l'università. Ad oggi c'è un solo direttore di dipartimento, il dottor Biondi per l'innovazione e la programmazione: nel prossimo Consiglio dei Ministri proporremo di avere un il capo dipartimento anche per la scuola e per la ricerca e l'università.
Credo che questo sia un primo passo: non appena avremo i capi dipartimento, valuteremo con loro il modello organizzativo per le direzioni generali e gli uffici sottostanti. Credo che tra i tre dipartimenti servirà una maggiore sinergia, anche perché la filiera di istruzione, università e ricerca è certamente unica: mi auguro, pertanto, che attraverso questa operazione si sviluppi anche una migliore sinergia delle diverse attività.
Rispondo all'onorevole Nicolais in merito ai ritardi sull'erogazione dei fondi: credo che dobbiamo trovare una soluzione, perché ricerca significa ricerca di oggi, non ricerca di ieri. Se la risposta si ha dopo tre o sei anni, probabilmente a quel punto sarebbe meglio cancellare e rigenerare: mi auguro che adesso, con la nuova struttura del Ministero, effettivamente riusciamo a ottenere di più e più velocemente.
Credo che sappiate che nel decreto-legge contenente le semplificazioni è contenuta una notevole semplificazione della legge n. 297 del 1999, che ha costituito un punto di riferimento importante, ma
aveva bisogno di una manutenzione, che va proprio nella direzione cui lei accennava.
Tra l'altro, anche rispetto a quei progetti europei che vedono una compartecipazione tra la quota nazionale e la quota europea, ricordate che ad oggi c'era la doppia valutazione, il che ha comportato ritardi e, qualche volta, anche una dicotomia di risultato. Questa previsione è stata cancellata.
Sempre più o meno sulla stessa linea, è stata prevista anche per l'università e per gli enti la possibilità che i nostri ricercatori e i nostri professori si mettano in aspettativa ove dovessero vincere un progetto europeo di valore e potessero firmare un contratto su quel progetto. Questo dovrebbe aiutarci su due elementi: una maggiore responsabilizzazione delle persone e un miglior utilizzo delle risorse europee, anche perché le risorse, in genere, sono più elevate rispetto agli stipendi di ricercatori e professori.
L'Agenzia per l'innovazione era nata come un'agenzia per la valutazione: in questa riorganizzazione del Ministero sapete che è stata prevista anche un'unificazione rispetto alla parte relativa all'innovazione ed alle tecnologie per l'innovazione della pubblica amministrazione: con quella filiera continua stiamo facendo una reingegnerizzazione anche con riferimento a quel settore. Penso che si debba ritornare all'idea iniziale dell'Agenzia dell'innovazione, puntando molto sull'innovazione: questo potrebbe costituire uno strumento di accelerazione.
Credo di aver in parte risposto in precedenza sulla ricerca libera: certamente, la nostra attenzione è verso Horizon e, in generale, versi i progetti europei, ma tutto quello che non lo è dovrà essere coperto da risorse italiane, che potremmo finalizzare molto di più, invece di lasciare che siano distribuite in modo disordinato.
Certamente, in questo momento si pone attenzione all'innovazione della pubblica amministrazione, ma non è tutto. Noi siamo «bramini», non proprio bravi, fino al brevetto, mentre ciò che avviene in seguito è molto più complicato. Ritengo opportuno prestare attenzione a questo aspetto ed avviare una sperimentazione in alcune aree della convergenza, dove sono state stanziate alcune risorse a tal fine, creando qualche prototipo. Se il risultato fosse positivo, potremmo estenderlo a tutto il Paese.
Sono d'accordo che il tema delle città o comunità intelligenti sia prima di tutto culturale e che l'elemento tecnologico sia di secondo momento. Bisogna essere più sistemisti, piuttosto che inventare cose nuove: la cultura è molto più complicata.
Se posso lanciare un sassolino, credo che un tema sul quale dobbiamo svolgere tutti una riflessione è quello relativo alla formazione per persone che abbiano un tipo di cultura molto trasversale, non proprio delle nostre istituzioni. In questa direzione, forse, dovremmo fare qualche sperimentazione, per avere le competenze e poter gestire la formazione.
Con riferimento all'università, la riforma è ancora in itinere e certamente ha bisogno di qualche oliatura. Credo che dobbiamo al più presto avere gli strumenti affinché possiamo valutare le cose che funzionano e le cose che eventualmente, dopo averle verificate sul campo, debbono essere nuovamente oliate.
Con riferimento ai docenti nelle scuole, l'avere portato l'età per la quiescenza a 65 anni ci impone, non solo ci suggerisce, di rivedere la carriera dei nostri docenti. Credo che dovremo trovare modalità diverse e prevedere che, per un certo periodo, le persone stiano prevalentemente in aula, in altri possano trasferire alcune delle loro esperienze ai più giovani o svolgere attività diverse rispetto a quelle svolte nell'aula stessa.
È fondamentale affrontare il tema della formazione dei nostri docenti rispetto alle nuove modalità di far scuola o anche alle domande che provengono dai nostri studenti: si tratta di un tema strettamente connesso all'immissione di giovani che possono avere una maggiore relazione con la platea scolastica.
In merito all'autonomia scolastica e alla nuova norma sulla dirigenza pubblica,
si tratta di temi che potrebbero essere costituire elementi da considerare all'interno della modalità di governo con un'attenzione, naturalmente, ai dirigenti scolastici, ma più in generale, credo, alla pubblica amministrazione. Credo che il Ministero - sapete come la penso - debba essere meno autorizzativo e più cooperativo, che dà le policy, gli indirizzi e valuta, non deve scrivere circolari, ma deve essere in grado di definire le linee e valutare rispetto a obiettivi, che però devono essere chiari e oggettivi.
Quello relativo alle nuove scuole è un «tema-Paese». Le risorse che abbiamo per ora sono poche, ma a breve incontrerò il dottor Lucibello dell'INAIL per trovare risorse aggiuntive che ci consentano di avviare prima una parte di sperimentazione ed avviare un processo un po' più esteso.
Da ultimo - nella prossima seduta comincerò rispondendo all'onorevole Centemero -, ci sono le interfacce tra i diversi blocchi. I blocchi, in fondo, sono anche evidenti in queste tre strutture all'interno del ministero. Credo che dovremmo cercare di avere canali orizzontali che consentano di far parlare l'infanzia, la scuola, l'università, così come l'università e la ricerca, così come la ricerca e l'innovazione e l'innovazione e il lavoro.
Credo di essere in grado di farvi una proposta - tra l'altro, me l'ha chiesta anche il Presidente della Repubblica - in questa direzione, per valutare insieme come procedere.
Concluderei qui, al fine di poter fare una sintesi sugli interventi svolti oggi, utilizzando i numerosi contributi che avete fornito e di cui vi ringrazio.
PRESIDENTE. Saluto e ringrazio il Ministro Profumo, informandolo che potrà eventualmente inviare alla Commissione un documento scritto da allegare al resoconto stenografico della seduta.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14,50.